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Un secolo di emigrazione italiana in Svizzera

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Un secolo di emigrazione italiana in Svizzera
Un secolo di emigrazione italiana in Svizzera
(1870-1970), attraverso le fonti dell'Archivio
federale1
di Mauro Cerutti
Negli ultimi decenni del XIX secolo, da paese d'emigrazione la Svizzera si
trasforma progressivamente in paese d'immigrazione: come ha evidenziato
G. Arlettaz,2 il censimento del 1888 mostra per la prima volta un'inversione
del bilancio migratorio, che diventa deficitario. L'aumento dei lavoratori
stranieri si spiega con l'industrializzazione, l'inurbamento e lo sviluppo
edilizio, le grandi opere ferroviarie e i trafori alpini, ma anche coi trattati
estremamente liberali in materia di domicilio fra Svizzera e Stati vicini,3
inizia così un flusso immigratorio definito «fenomeno precipuo e fondamentale della storia svizzera del XIX e XX secolo», su cui ora disponiamo della
presentazione bibliografica di S. e G. Arlettaz4 e della sintesi storica di M.
L'articolo amplia e approfondisce una nostra comunicazione del 30 ottobre 1990 per un
convegno sulle fonti storiche dell'emigrazione italiana («L'emigrazione italiana in
Europa, 1870—1970»), organizzato alla Biblioteca nazionale di Roma dall'Ufficio centrale italiano per i beni archivistici. Tutti i fondi cit. in nota sono depositati all'Archivio
federale di Berna. Queste le principali abbreviazioni:
—RO: Recueil officiel des Lois fédérales
—RU: Raccolta ufficiale delle Leggi federali
—FF: Foglio federale della Confederazione svizzera
— CS: Collezione sistematica delle leggi e ordinanze federali 1848—1947
Nel suo importante contributo «Démographie et identité nationale (1850—1914). La
Suisse et la "question des étrangers"», in Studi e Fonti, n° 11, Berna, 1985, pp. 83—180.
3
Come mostra il censimento federale del 1910: in quell'anno solo l'I—2 % degli stranieri
domiciliati in Svizzera appartengono a Stati con cui non esiste un trattato di domicilio.
Vedi il «Messaggio del Consiglio federale all'Assemblea federale concernente
l'istituzione di norme di diritto federale per regolare la dimora e il domicilio degli stranieri in Svizzera», 2 giugno 1924 (FF, 1924, pp. 587—611).
«L'immigration en Suisse depuis 1848. Une mémoire en construction», in L'histoire en
11
Vuilleumier.5
In questo articolo presenteremo a grandi linee la componente italiana
dell'immigrazione in Svizzera nel secolo 1870—1970. La prima data segue
di poco il trattato di domicilio italo-svizzero (1868) e corrisponde alla piena
realizzazione dell'Unità d'Italia; nel 1970 Berna adotta misure per stabilizzare il numero dei lavoratori stranieri, e il popolo elvetico respinge la prima
iniziativa xenofoba. Nostro scopo è soprattutto evidenziare come la documentazione dell'Archivio federale sia utile allo studio dell'immigrazione
italiana sul lungo periodo. Dopo alcune considerazioni generali sul
fenomeno immigratorio, cercheremo di descrivere le caratteristiche di tale
documentazione (suddivisa secondo i maggiori dipartimenti federali interessati) e proporremo un rapido bilancio della ricerca storica in materia;
nell'ultima parte, in base a uno spoglio parziale dei documenti, presenteremo alcuni aspetti dell'immigrazione posteriore alla seconda guerra
mondiale. Rimiamo sin d'ora all'elenco dei principali fondi (in allegato).
1 Considerazioni introduttive
Per illustrare l'importanza quantitativa dell'immigrazione italiana nel
secolo in esame, è opportuno ricordare alcuni dati numerici, sia italiani sia
svizzeri.
Secondo le statistiche italiane, le partenze per la Svizzera rappresentano
l'8,7 % (982-000 individui) del totale di emigrati fra il 1876 e il 1910, il 9,5
% (676000) fra il 1911 e il 1940, il 25,9 % (1058000) fra il 1941 e il
1960, il 37,4 % (1-230-000) fra il 1961 e il 1975. Nel secondo dopoguerra
(fino all'inizio degli anni '70) la Svizzera è la meta principale dei lavoratori
italiani emigrati, con una punta massima nel 1963 (44 % circa). Nel periodo
1876—1975, cui si riferiscono le fonti italiane a nostra disposizione, gli
Suisse. Bilan et perspectives — 1991, publié par la Rédaction de la Revue suisse
d'histoire, Bâte, Schwabe & Co., 1992, pp. 137—147. La definizione qui riportata spetta
appunto a questi autori.
Immigrati e profughi in Svizzera. Profilo storico, Zurigo, Pro Helvetia, 1990 (ediz. orig.
in francese: 19S7).
12
italiani emigrati nel nostro paese sono circa 4 milioni.6
I censimenti elvetici, a loro volta, mostrano che dall'Unità alla seconda
guerra mondiale l'immigrazione italiana è seconda solo a quella tedesca,7 e
in seguito la supera. Nel 1888 gli italiani costituiscono il 18,2 % degli
immigrati, ma salgono al 36,8 % nel 1910 (202-809 persone) e da allora
rappresentano sempre oltre un terzo degli stranieri nel paese. Dopo un calo
in termini reali nel periodo interbellico, con un minimo di 96-018 persone
nel 1941 (43 % degli stranieri), il flusso immigratorio riprende a salire nel
dopoguerra: dal 49 % del totale nel 1950, gli italiani passano al 59,2 % nel
1960 (346-223 individui) e al 54,1 % nel 1970 (583-855).8 Negli anni '60,
quindi, a un forte aumento in termini reali corrisponde un calo in termini
relativi; dal 1950 al 1970, comunque, la colonia italiana si situa costantemente attorno alla metà della popolazione straniera.
Questi dati complessivi sono utili perché mostrano le tendenze generali sul
lungo periodo, ma occorre una parentesi sulle statistiche svizzere in materia.
Le più note e importanti sono i censimenti federali della popolazione, svolti
in genere ogni dieci anni (dal 1860) all'inizio di dicembre. Mentre prima si
conteggia la popolazione presente, a partire dal 1888 si adotta sempre il
criterio della popolazione residente,9 categoria che ovviamente comprende
6
Dati tratti da Mario Monferrini, L'emigrazione italiana in Svizzera e Germania nel
1960—1975. La posizione dei partiti politici, Roma, Bottacci Editore, 1987, tabelle alle
pp. 16 e 58. Sull'emigrazione italiana in generale, vedi soprattutto Èrcole Sori,
L'emigrazione italiana dall'Unità alla seconda guerra mondiale, Bologna, II Mulino,
1979. Il rapporto di A. Sommavilla e A. Ulrich Die Sicherung und Archivierung des
Quellengutes zur italienischen Einwanderung in die Schweiz, pubblicato nel 1990 dal
Consiglio svizzero della scienza, stima a 4,5 milioni il totale degli immigrati italiani in
Svizzera dal 1861 ai nostri giorni.
Tenendo conto anche dei lavoratori stagionali, si può affermare però che la presenza
italiana supera quella tedesca fin dalla prima guerra mondiale. Vedi Mare Vuilleumier,
«Mouvement ouvrier et immigration au temps de la Deuxième Internationale. Les travailleurs italiens en Suisse. Quelques problèmes», in Revue européenne des sciences sociales et Cahiers Vilfredo Pareto, t. XV, 1972, n° 42, pp. 115—127. Molto utile per il periodo fino alla Grande Guerra è anche la tesi di Rudolf Schlaepfer, Die Ausländerfrage
in der Schweiz vor dem Ersten Weltkrieg, Zürich, Juris, 1969.
8
Recensement fédéral de la population 1970, vol. 7 (Suisse 4. Origine, lieu de naissance...), Berne, 1974, pp. 96—97.
9
Sulla distinzione fra presente e residente, vedi Les Résultats du Recensement fédéral du
1er décembre 1888, vol. I, Berne, 1892, pp. 21—22: «Contrairement à la population de
13
gli stranieri (e quindi gli italiani) ma non gli stagionali (giunti nel paese per
una "stagione" di 9 mesi, di solito da marzo a novembre); di questa parte
cosi cospicua e caratteristica dell'immigrazione italiana, perciò, nulla dicono i censimenti federali.10
Nel secondo dopoguerra si introducono progressivamente nuovi tipi di
censimento, basati non più sulla popolazione residente ma sulla manodopera: dal 1949 l'UFIAML (Ufficio federale dell'industria, delle arti e mestieri
e del lavoro) censisce ogni anno la manodopera straniera. L'inconveniente
iniziale del mese prescelto (febbraio, il che escludeva di fatto la maggioranza degli stagionali) scompare nel 1955: da allora il conteggio — effettuato
in agosto, quando la presenza dei lavoratori stranieri è massima — include
anche stagionali e frontalieri. Da notare che questi censimenti non computano gli studenti, i familiari dei lavoratori, chi non ha attività lucrativa e chi
vive di rendita.11
Un altro tipo di censimento annuo, introdotto nel 1964 dalla Polizia federale
degli stranieri, computa la popolazione straniera di residenza al 31 dicembre, ossia tutti gli stranieri che possiedano un permesso di domicilio, di
dimora o di tolleranza, a prescindere dallo svolgimento di attività lucrative;
come quello federale, però, anche questo censimento esclude gli stagionali e
i frontalieri.12
fait [presente], la population de résidence ordinaire d'une commune embrasse toutes les
personnes, et de nouveau exclusivement les personnes qui ont leur résidence ordinaire ou
du moins leur résidence principale dans les limites de la commune au moment du recensement» Per un'analisi crìtica delle fonti statistiche elvetiche e in particolare dei censimenti federali, vedi il contributo di G. Arlettaz cit. in nota 2 (soprattutto pp. 97ss.).
In genere il materiale di base per l'elaborazione dei dati finali di censimento è stato poi
distrutto. L'Archivio federale possiede solo il materiale raccolto dall'Ufficio federale di
statistica per il censimento 19S0 (E 3321,1990/153).
11
Vedi La Vie économique, n° 10, octobre 1964 (articolo dell'UFIAML su «Le problème
de la main-d'œuvre étrangère en Suisse»), pp. 432—459, e l'Annuaire statistique de la
Suisse (varie annate).
Vedi il «Rapporto del Consiglio federale all'Assemblea federale sull'iniziativa popolare
contro l'inforestierimento», 29 giugno 1967 (FF, 1967/11, pp. 65—117). Un'ordinanza
federale del 25 settembre 1972, inoltre, istituisce un registro centrale degli stranieri, gestito dalla polizia federale degli stranieri in collaborazione con l'UFIAML (RU, 1972/II,
pp. 2181—2183).
14
Per riassumere su questo punto (e trascurando l'immigrazione clandestina,
che sfugge ai censimenti elencati), è chiaro che disponiamo di fonti statistiche basate su due crìteri assai diversi: da un lato la popolazione residente
(censimenti federali, censimenti annui dal 1964), dall'altro quella attiva
(statistiche UFIAML di febbraio o agosto, dal 1949). Oltre a non essere
omogenee, tali fonti non coprono lo stesso perìodo storico, il che certo non
facilita un'analisi diacronica quantitativa della presenza italiana nella Confederazione.
Occorre introdurre un'altra osservazione generale, in apparenza evidente:
l'immigrazione italiana, di cui abbiamo ricordato l'importanza quantitativa
e il carattere strutturale, va vista anche come componente essenziale della
questione più generale degli stranieri in Svizzera. In altre parole, non basta
studiare la presenza italiana in sé ma è indispensabile considerarla come
parte della categorìa generale "stranieri" (di cui costituisce, in pratica dal
primo dopoguerra, il gruppo più cospicuo).
Il censimento del 1910 rivela in modo quasi brutale al pubblico svizzero
l'entità della popolazione straniera (e perciò di quella italiana): in un decennio gli stranieri — 552-000, pari al 15 % della popolazione — sono
aumentati del 44 %! I 202-000 italiani (stagionali esclusi) formano da soli
oltre un terzo del gruppo. Come ha ben mostrato G. Arlettaz,13 lo choc è
accresciuto dal fatto che i dati appaiono solo nel 1915, in piena guerra
mondiale, quando in realtà oltre 100-000 stranieri sono tornati in patria a
causa delle mobilitazioni: il che suscita forte emozione in un clima già
turbato da paure e fantasmi di guerra, con gli ambienti patriottici già impegnati nella campagna contro gli stranieri "indesiderabili" (disertori e
renitenti). In questo clima particolare comincia a delinearsi il fenomeno di
rigetto legato al timore di ìxa'Ueberfremdung, cioè di un aumento demografico eccessivo dovuto a forestieri: timore assai diffuso, e accentuato dagli
ambienti patriottici, che è alla base della notevole svolta di Berna in materia
immigratoria.
A partire dalla Grande Guerra, dunque, la politica svizzera verso gli stranieri subisce un cambiamento di rilievo: per la prima volta le autorità fede-
«Les effets de la première guerre mondiale sur l'intégration des étrangers en Suisse», in
Relations internationales, n° 54, été 1988, pp. 161—179.
15
rali intervengono direttamente sull'immigrazione, ponendo fine così a una
politica estremamente liberale e privando i cantoni del loro monopolio
legislativo precedente.14 Fino alla guerra Berna si è limitata, in pratica, a
negoziare trattati di domicilio con gli Stati di provenienza degli stranieri e
ad espellere dal paese, in virtù dell'articolo 70 della Costituzione, chi ha
compromesso la «sicurezza interna ed esterna della Svizzera». La svolta
legislativa prende inizio da un'ordinanza del 21 novembre 1917 sulla polizia ai confini e sul controllo degli stranieri,13 emessa dal Consiglio federale
in virtù dei pieni poteri: quest'ultima tende a unificare i criteri da adottare
verso gli stranieri (che devono dimostrare lo «scopo legittimo» del soggiorno previsto in Svizzera e giustificare i propri mezzi di sussistenza) e introduce l'obbligo del visto, ottenibile presso i consolati all'estero. Il testo
istituisce inoltre un Ufficio centrale per la polizia degli stranieri, cui scopo
immediato è sorvegliare e allontanare dalla Svizzera gli «stranieri sospetti»;
tale ufficio, che da le istruzioni necessane alle autorità cantonali di polizia o
direttamente agli organi confinali di sorveglianza, tiene un registro delle
informazioni ricevute.
Questa «centrale di controllo degli stranieri»16 inizia a operare nel marzo
1919, diretta da Heinrich Rothmund (che nel 1929 diverrà capo dell'intera
divisione di polizia, comprendente anche la polizia degli stranieri), e verso
la fine dell'anno conta circa 300 funzionali Nel 1919 e nel 1921 il governo
centrale adotta due nuove ordinanze17 per adattare la legislazione
all'immediato dopoguerra, caratterizzato dalla fine dei pieni poteri e da una
grave crisi economica: volendo smantellare il grosso apparato burocratico
Vedi Angela Garrido, Le début de la politique fédérale à l'égard des étrangers,
Lausanne, Etudes et mémoires de la section d'histoire de l'Univ. de Lausanne, publiés
sous la direct, du prof. H. U. Jost, t 7, 1987. Sulle modifiche postbellice alla politica
svizzera verso stranieri e rifugiati, vedi anche l'articolo di C. Hoerschelmann e U. Gast
«L'importance de la politique d'asile dans le cadre de la politique suisse à l'égard des
étrangers et des conventions internationales sur les réfugiés, de la Première Guerre mondiale à 1933», \n Relations internationales, n° 74, été 1993, pp. 191—203.
15
RU. vol. 33, 1917, pp. 1015—1025.
Cosi definita da H. Rothmund, allora capo della divisione federale di polizia, durante la
conferenza «Tâches et difficultés de la police des étrangers», tenuta a Zurìgo il 12 ottobre
1954 su invito deH"'Union civique romande" (E 2001 (E)1970/217/205).
17
Ordinanze sul controllo degli stranieri, 17 novembre 1919 (RU, voi. 35, 1919, pp.
1195—1209) e 29 novembre 1921 (RU, voi. 37, 1921, pp. 923—931).
16
sorto attorno alla polizia degli stranieri, Berna restituisce le competenze sui
permessi di dimora e domicilio ai cantoni, che devono però rispettare le sue
direttive. L'ordinanza del 1921 introduce un'importante novità, stabilendo
un legame esplicito tra situazione del mercato del lavoro e autorizzazioni
d'ingresso agli stranieri: in pratica, cioè, gli uffici di polizia cantonali devono sentire il parere degli uffici del lavoro prima di lasciar entrare in Svizzera chi intenda svolgervi un'attività. Progressivamente, inoltre, viene abolito
l'obbligo del visto (poi reintrodotto all'inizio del secondo conflitto mondiale).
Un importante messaggio governativo del 2 giugno 1924,18 che insiste
pesantemente sulla necessità di lottare contro la «superpopolazione» e
l'«invasione straniera» nonché sull'impossibilità di conservare agli stranieri
un diritto di domicilio come prima della guerra, sottolinea l'urgenza di una
revisione costituzionale che permetta a Berna di legiferare in materia di
stranieri. Nell'ottobre 1925 la richiesta è avallata dal popolo,, che approva il
nuovo articolo costituzionale 69ter; il lungo processo iniziato nel 1917
sbocca così finalmente nella «Legge federale concernente la dimora e il
domicilio degli stranieri», approvata il 26 marzo 1931, 19 che precisa e
codifica una serie di regole già in vigore, in pratica, dall'immediato dopoguerra, e conferma il legame tra mercato del lavoro e politica verso gli
stranieri.20 Se la legislazione è ormai unificata a livello federale, le competenze restano principalmente cantonali; la polizia federale degli stranieri
può però annullare i permessi di ammissione concessi dai cantoni (per
esempio agli stranieri «indesiderabili»). I tipi di permesso sono tre:
tolleranza, limitata nel tempo, per chi è privo di documenti in regola; dimora, limitata la prima volta a un massimo di un anno, per chi possiede documenti validi; domicilio, di durata illimitata. L'ultimo permesso conferisce,
in pratica, gli stessi diritti dei cittadini elvetici (tranne ovviamente quelli
civici) e consente di restare in Svizzera per sempre, salvo espulsioni ad
1ft
Messaggio cit. in nota 3.
19
RU, voi. 49, 1933, pp. 293—303. La legge entrerà in vigore il 1° gennaio 1934. Vedi
anche il «Messaggio del C. f. ... che accompagna un disegno di legge su la dimora e il
domicilio degli stranieri», 17 giugno 1929 (FF, 1929, pp. 741—751).
Il che in pratica comporta una stretta collaborazione fra organi di polizia e uffici del lavoro. Su questo punto fondamentale, vedi soprattutto l'art. 7 dell'ordinanza d'esecuzione
della legge sugli stranieri, 5 maggio 1933 (RU, voi. 49, 1933, pp. 304—322).
17
opera di autorità cantonali o federali.21
Abbiamo insistito sull'importanza della svolta postbellica e sulla legge
derivatane, anche perché i principi legislativi del 1931 sono tuttora in vigore: la legge federale sugli stranieri del 194822 conferma la necessità di una
stretta collaborazione fra autorità di polizia e uffici del lavoro, introducendo
solo modifiche minori e alcuni complementi su nuove categorie di stranieri
(in particolare internati23) giunte in Svizzera nel periodo bellico.
La prima guerra mondiale segna una svolta anche per la procedura di naturalizzazione: la legge federale del 26 giugno 192024 subordina ancora la
concessione federale della nazionalità svizzera all'acquisto del diritto di
attinenza in un comune e di cittadinanza in un cantone, conservando inoltre
ampie competenze alle autorità cantonali (ad esempio per l'entità della tassa
di naturalizzazione), ma aumenta a 6 anni il periodo minimo richiesto di
permanenza nel paese (dai 2 previsti nel 1876, confermati dalle legge del
1903). Il che riflette un cambiamento fondamentale nell'ottica delle autorità
federali, perché, come hanno mostrato G. Arlettaz e S. Burkart,25 a partire
dalla guerra la naturalizzazione non é più considerata un mezzo per assimilare gli stranieri: al contrario è l'assimilazione — cioè l'acquisizione da
parte dello straniero di "valori nazionali", di una mentalità che corrisponda
II messaggio federale del 2 giugno 1924 (cit. in nota 3) precisava già (p. 607): «II
domicilio si distingue dalla dimora essenzialmente in ciò che esso può essere ritirato solo
mediante la espulsione.»
«Legge federale che modifica e completa la legge federale concernente la dimora e il
domicilio degli stranieri», 8 ottobre 1948, e relativa ordinanza d'esecuzione, 1° marzo
1949 (RU, 1949, pp. 223—252). Sui tenutivi posteriori di modifica legislativa, che nel
1982 sfociano nel rigetto popolare di una nuova legge federale, vedi il rapporto pubblicato da G. Kreis: La protection politique de l'Etat en Suisse. L'évolution de 1935 à 1990.
Etude pluridisciplinaire effectuée et éditée sur mandat du Conseil fédéral, par G.
Kreis, J.—D. Delley et O. K. Kaufmann, Berne, P. Haupt, 1993, pp. 170ss.
3
24
Sull'internamento durante la seconda guerra mondiale, vedi sotto (cap. II. 4.).
Vedi G. Arlettaz et S. Burkart, «Naturalisation, "assimilation" et nationalité suisse.
L'enjeu des années 1900—1930», in Devenir Suisse. Adhésion et diversité culturelle
des étrangers en Suisse, sous la direction de P. Centimes, Genève, Georg, 1990, pp.
47—62, nonché gli articoli di G. Arlettaz cit. in nota 2 (soprattutto pp. 121ss.) e in nota
13.
25 Vedi nota 24.
18
allo "spirito svizzero" — a dover precedere la naturalizzazione, e nella stessa ottica la legge del 29 settembre 195226 raddoppierà il periodo minimo di
permanenza per chiedere la naturalizzazione. Questi criteri aiutano a capire
perché, nonostante un numero tanto alto di immigrati, i naturalizzati
risultino pochissimi: dal 1889 al 1970, in totale, le naturalizzazioni ordinarie di italiani (escluse quindi le mogli già svizzere che riottengono la nazionalità d'origine) sono meno di 70-000.27
Ci sembra, peraltro, che dalla prima guerra mondiale e dalla paura diffusa
verso gli stranieri dipenda anche la vigilanza più severa alla frontiera in
campo sanitario: una legge del 1921 contiene disposizioni più esplicite per
«proteggere il paese dall'invasione di epidemie», autorizzando il governo a
varare misure speciali di controllo sui confini.28 Ma solo nel secondo dopoguerra, con la ripresa massiccia dell'immigrazione per lavoro, si giunge a
un testo ben più preciso e dettagliato sull'argomento: il decreto federale del
17 dicembre 1948 sul servizio sanitario alla frontiera, che prevede posti
salutari al confine e affida all'Ufficio federale dell'igiene i controlli e le
visite sanitarie per gli immigrati.29
Il timore dell'inforestierimento, sviluppatosi come visto nel contesto della
Grande Guerra, non va però considerato un fenomeno circoscritto, esauritosi
all'inizio degli anni '30 col varo della legislazione federale sugli stranieri:
sempre diffuso a livello latente e in attesa di un clima storico propizio, dalla
metà degli anni '60 riesploderà, come vedremo, in celebri iniziative popolari di carattere xenofobo.
Questa parentesi generale ci è parsa necessaria perché gli immigrati italiani,
26
RO, 1952, pp. 1115—1131.
27
Esattamente 69-269, cosi suddivise per perìodi (Annuaire statistique de la Suisse, varie
annate): 1889—1910: 7-738; 1911—1920: 10-514; 1921—1930: 10044; 1931—1940:
9-476; 1941—1950: 9-816; 1951—1960: 10-284; 1961—1970: 11-397. Non esistono
dati su naturalizzazioni anteriori al 1889.
28
Legge federale del 18 febbraio 1921 (RU, voi. 37, 1921, pp. 379—380). Sin dal 1886
esisteva una «Legge federale sulle misure da prendersi contro le epidemie di pericolo generale», meno esplicita però sui controlli di frontiera (vedi art. 7): RU, voi. 9, 1887, pp.
277—287.
29
RU, voi. 64, 1948, pp. 1169—1174 (col testo dell'ordinanza federale della stessa data).
19
specie nel secondo dopoguerra, rappresentano — lo ripetiamo — la componente maggiore della popolazione straniera; per uno studio approfondito
della loro presenza e soprattutto delle sue ripercussioni nel pubblico, perciò,
di fatto occorre consultare non solo le fonti che riguardano direttamente
l'Italia ma anche quelle sul fenomeno "stranieri" nel suo insieme.
2 I fondi dell'Archivio federale sull'immigrazione italiana
L'Archivio federale conserva le carte dell'amministrazione federale a partire dal 1848, data di fondazione dello Stato federale moderno.30 Dati però il
sistema federale e il ruolo notevole dei cantoni per la polizia degli stranieri e
per il controllo del mercato del lavoro, molti documenti sull'immigrazione
italiana ora si trovano negli archivi cantonali.
Inoltre, a causa della consuetudine archivistica di rispettare i fondi originali 3 1 versati dalle rispettive amministrazioni (fondi di provenienza), la
documentazione sugli immigrati italiani è dispersa in parecchi fondi. Non
esiste comunque, finora, un inventario che permetta di accedere rapidamente all'insieme delle carte: l'informatizzazione, tuttora in corso, per il momento non è di grande aiuto, con l'importante eccezione di parte dei fondi
del Ministero pubblico federale.32 Scopo principale di questo articolo, del
resto, è tentare un primo censimento dei fondi relativi alla presenza italiana
nella Confederazione.
I dipartimenti federali che si sono occupati più da vicino di immigrazione
italiana sono quelli di giustizia e polizia, degli affari esteri (Dipartimento
politico fino al 1979, salvo un breve periodo a fine Ottocento) e
L'Archivio federale di Berna (che contiene, diversamente da quello centrale italiano,
anche i documenti sugli Affari esteri), nel 1991 ha pubblicato un inventario completo dei
fondi disponibili: Systematische Beständeübersicht, bearbeitet von N. Bütikofer, H. Caduff u.a. unter der Leitung von Ch. Graf.
Un'importante eccezione è il fondo «E 21 /Polizeiwesen», costituito artificialmente
dall'Archivio federale a partire da oltre 50 fondi originali. Vedi sotto (Allegato 1).
rf. Sul piano per informare parte del fondo «E 21», vedi H. Caduff e K. Rufer, «Der
Einsatz der maschinellen Datenverarbeitung im Bundesarchiv», in Studi e Fonti, n° 4,
Berna, 1978, pp. 129—170.
20
dell'economia pubblica; ovviamente, perciò, i loro fondi sono i più significativi nell'ottica che qui ci interessa, ma la loro importanza rispettiva varia
a seconda dei periodi storici.
2.1 L'aspetto poliziesco: Fondi del Dipartimento di Giustizia e
Polizia (Allegato 2.3)
Schematizzando, riteniamo si possa affermare che l'aspetto poliziesco
(controllo, sorveglianza, arresti, espulsioni di immigrati) sia piuttosto importante nell'intero periodo in esame (1870—1970), ma assuma particolare
rilievo in certe fasi: per esempio a cavallo del secolo, quando in Svizzera la
polizia è molto preoccupata dall'attività degli anarchici (o pretesi tali) e dei
socialisti italiani. Nel settembre 1898, a Ginevra, L. Luccheni pugnala a
morte l'imperatrice d'Austria, e il governo italiano ne approfitta per convocare a Roma, in novembre e dicembre, la «Conferenza internazionale per la
difesa sociale contro gli anarchici»,33 la Svizzera vi partecipa e sottoscrive
quasi tutte le disposizioni adottate, fia cui lo scambio internazionale
d'informazioni sugli spostamenti dei militanti anarchici. L'adesione elvetica
è espressa in una dichiarazione governativa e non sottoposta alle Camere
federali, perché non concerne un vero e proprio trattato internazionale; la
partecipazione alla conferenza spinge comunque Berna, anche senza
l'esplicito avallo parlamentare, a rafforzare la sorveglianza sui militanti
stranieri e in particolare italiani.
In materia di polizia politica, la Svizzera dispone già dal 1889 del Ministero
pubblico federale,34 diretto dal procuratore generale della Confederazione.
Se prima il governo assegnava a procuratori temporanei singole inchieste
Vedi Mare Vuilleumier, «La police politique en Suisse 1889—1914. Aperçu historique»,
in H. U. Jost, M. Vuilleumier ..., Cent ans de police politique en Suisse (1889—1989),
Lausanne, Association pour l'étude du mouvement ouvrier & Editions d'En bas, 1992,
pp. 31—62.
Sulla sua creazione, vedi ibid. e G. Grossen, Th. Steffen,... «Die politische Polizei in den
ersten Jahrzehnten des Schweizerischen Bundesstaates. Gesetzlich-organisatorische
Grundlagen und politisch-ideologische Feindbilder des Schweizerischen Staatsschutzes
1848—1914», in Studi e Fonti, n° 18, Berna, Archivio federale svizzero, 1992, pp.
I l l — 1 3 8 (con bibliografia che comprende anche una lista di fascicoli del fondo «E 21»
[Ministero pubblico federale], concementi in parte l'attiviti dei militanti italiani).
21
federali di particolare gravita, con la legge del 28 giugno 1889 il Ministero
pubblico diventa un'istituzione permanente, cui spetta sorvegliare l'attività
politica dei militanti stranieri con l'aiuto delle polizie cantonali: agli inizi,
infatti, l'organo dispone solo di 4 funzionali che raccolgono le informazioni
fornite dalle polizie cantonali, incaricate della vigilanza effettiva. Come ha
ricordato M. Vuilleumier,35 la creazione del Ministero pubblico non è
dovuta a un preteso «pericolo anarchico» bensì alla scoperta dell'attività
illecita e talvolta provocatoria svolta in Svizzera dalla polizia di Bismarck,
che spia i socialisti tedeschi rifugiati nel paese: tale scoperta, unita a incidenti diplomatici anche gravi nelle relazioni con Berlino, induce Berna a
sorvegliare meglio, con un organo di nuovo tipo, l'attività politica dei militanti stranieri. Il procuratore generale che lo dirige ha una doppia funzione:
oltre che pubblico accusatore nella procedura penale federale, è capo della
polizia a livello centrale, con l'incarico di sorvegliare gli stranieri e intervenire ove commettano «atti compromettenti la sicurezza interna o esterna
della Svizzera». Questa confusione di ruoli, che non rispetta il principio
della separazione dei poteri, è denunciata già allora, e non solo dai socialisti
elvetici; la richiesta di dissociare le due funzioni torna periodicamente nei
decenni successivi.36
L'azione di polizia contro i militanti italiani si accentua, inoltre, sia dopo lo
sciopero generale del novembre 1918 (quando molti italiani sono espulsi a
causa della loro attività politica) sia nel periodo fascista}1 Nel 1921, quindi
prima della marcia su Roma, sorge a Lugano uno dei primi fasci italiani
all'estero, e dal Ticino il movimento si espande poi alle colonie italiane
dell'intera Confederazione, sviluppandosi bene anche grazie al settimanale
Squilla italica; la vittoria del fascismo, d'altra parte, spinge un certo numero di militanti socialisti, repubblicani, anarchici e comunisti a rifugiarsi nel
nostro paese. Questo, tuttavia, per alcuni funge da semplice luogo di transito
verso la Francia, anche a causa della politica poco generosa di Berna in
materia d'asilo: l'asilo è concepito da parte svizzera non come un diritto del
35
Nell'articolo cit. in nota 33 (p. 37).
Oltre che ibid., su questo punto vedi il rapporto cit. in nota 22, pp. 105 ss.
3
Per più ampi dettagli su questo periodo rimandiamo al nostro Fra Roma e Berna. La
Svizzera italiana nel ventennio fascista, Milano, Franco Angeli, 1986. L'edizione in
francese (Le Tessin, la Suisse et l'Italie de Mussolini. Fascisme et antifascisme
1921—1935, Lausanne, Payot, 1988) è più completa, soprattutto sul piano bibliografico.
22
profugo politico ma come qualcosa che lo Stato ha facoltà di concedere in
funzione dei proprì interessi politici. Nella legge sugli stranieri del 1931,
già citata, l'art. 21 da del diritto d'asilo un'interpretazione un pò più ampia:
«Se uno straniero, al quale sia stato rifiutato un permesso, dimostra in modo
attendibile di cercare rifugio da una persecuzione politica, il Consiglio
federale può concedergli l'asilo, obbligando un cantone a tollerarlo.»
Tale legge entrerà in vigore solo nel 1934; dalle nostre ricerche, in ogni
caso, non risulta che alcun profugo italiano abbia beneficiato della nuova
norma. 38 I profughi politici antifascisti accolti in Svizzera restano dunque
pochissimi: una lista del Ministero pubblico federale ne enumera, nel novembre 1929 e in tutto il nostro territorio, solo 32, di cui 13 a Ginevra e 9 a
Lugano. Certamente incompleta, tale lista non tiene conto, per esempio, dei
clandestini comunisti, cui era assolutamente vietato l'ingresso; va poi aggiunto che ebbero un ruolo antifascista importante anche immigrati
"economici" giunti prima della guerra, spesso già domiciliati (quindi ben
integrati nella vita del paese) e talvolta naturalizzati.
D'altronde, diversamente che negli anni seguiti alla conferenza del 1898
contro gli anarchici, non ci risulta che le autorità federali abbiano accettato
di coUaborare con quelle italiane per la sorveglianza degli antifascisti in
Svizzera: nel 1925 il capo del Dipartimento di polizia, H. Haberlin, in una
lettera al collega G. Motta riassume la posizione di Berna nel motto «non
vogliamo sante alleanze». Ciononostante, seppure in modo autonomo, il
Ministero pubblico federale segue con molta attenzione le attività dei militanti antifascisti; come già ricordato, tuttavia, per l'opera di sorveglianza
vera e propria dipende dalle polizie cantonali. In certi cantoni, ove
l'esecutivo conta membri di tendenza socialista o antifascista, le direttive di
Berna non sono applicate con troppa sollecitudine e la polizia è chiaramente
tollerante con i fuorusciti: è il caso del Ticino (ove al governo è
° Vedi il nostro articolo «La Suisse et les réfugiés antifascistes italiens», in L'émigration
politique en Europe aux XIXe et XXe siècles. Actes du colloque organisé par l'Ecole
française de Rome... (3—5mars 1988), Ecole française de Rome, 1991, pp. 305—326,
nonché il nostro contributo «La Svizzera di fronte al flioruscitismo», in Svizzera e Italia
negli anni trenta. La presenza dei fuorusciti. Atti del convegno internazionale di studi.
Locamo, 15 novembre 1991, a cura di R. Carazzetti e R. Huber, Locamo, A. Dado,
1993, pp. ÎΗ71.
23
l'antifascista G. Canevascini) e di Ginevra (sotto il governo socialista di L.
Nicole,39) ma anche a Basilea le autorità di polizia si mostrano comprensive
con gli antifascisti.40
Nel 1935 nasce, con compiti di protezione statale e di polizia politica per
l'intera Svizzera, una polizia federale legata al Ministero pubblico. Come
già per la creazione di quest'ultimo (1889), la spinta iniziale viene
dall'attività illecita e sempre più invadente della polizia tedesca in territorio
elvetico: nel 1935, quando la Gestapo rapisce a Basilea il tedesco antinazista
B. Jacob, con l'accordo delle Camere il Consiglio federale adotta un decreto
urgente che gli permette poi di creare il nuovo organo di polizia.41 Diretta
da W. Balsiger, all'inizio la "Bupo"(abbreviazione assai diffusa di Bundespolizei) dispone solo di 5 ispettori, ma di fatto il suo capo può dare istruzioni non solo ai subalterni diretti ma anche ai funzionali delle polizie cantonali; questi ultimi possono così essere soggetti a una doppia gerarchla,
causa talvolta di complicazioni e attriti. Va notato inoltre che Berna, in un
primo tempo, evita deliberatamente il termine "polizia federale", per non
dare l'impressione di intaccare il federalismo e in particolare le competenze
cantonali in materia di polizia.42 Il rapporto del 1993 a cura di G. Kreis,
commissionato dal Consiglio federale dopo il noto scandalo delle schedature, da informazioni preziose sul funzionamento della polizia federale e sui
suoi legami col Ministero pubblico; non è molto utile, tuttavia, per quanto
39
Come rivela l'atteggiamento di tale governo verso il giornalista fuoruscito C. E. a Prato:
vedi il nostro articolo «G. Oltramare et l'Italie fasciste dans les années trente. La propagande italienne à Genève i l'époque des sanctions et de la crise de la société des Nations», in Studi e Fonti, n° 15, Berna, Archivio federale, 1989, pp. 151—211.
Per qualche indicazione al riguardo, vedi il nostro contributo «Les communistes italiens
en Suisse dans l'Entre-deux-guerres», in Centenaire Jules Humbert-Droz. Colloque sur
l'Internationale communiste. La Chaux-de-Fonds 25—28 septembre 1991, La Chauxde-Fonds, Fondation J. Humbert-Droz, 1992, pp. 213—240.
Il 20—21 giugno 1935 le Camere accettano un decreto federale urgente sulla sicurezza
del paese, che entra in vigore immediatamente (RU, voi. SI, 1935, pp. 583—585); il progetto di polizia federale è poi elaborato dal Dipartimento di giustizia e polizia. Il nuovo
organo è definitivamente istituito dal Consiglio federale il 29 novembre 1935: vedi il protocollo della seduta in E 1004 1/355. Sulla polizia federale, vedi anche il rapporto cit. in
nota 22 (soprattutto pp. 108ss., 117 et 247ss.).
42
Quando nasce la "Bupo", il Foglio federale (1935, p. 771) segnala semplicemente che
«II Dr. W. Balsiger... è nominato aggiunto del Ministero pubblico della Confederazione e
incaricato della funzione di capo del servizio di polizia.»
24
concerne la sorveglianza degli stranieri, perché si occupa quasi unicamente
del controllo esercitato sui cittadini svizzeri.43
Nel secondo dopoguerra e soprattutto durante la guerra fredda, come vedremo, la polizia federale si svilupperà molto e, in stretto contatto col Ministero
pubblico, accentuerà la sorveglianza anche sugli immigrati italiani sospettati di attività comuniste.
2.2 L'aspetto politico-diplomatico: Fondi del Dipartimento politico
(Allegato 2.1)
I fondi del Dipartimento politico federale permettono di studiare le ripercussioni politico-diplomatiche delle attività di immigrati e profughi italiani.
Benché già prima del 1914 tali attività creino problemi fra Roma e Berna, le
loro conseguenze sono più frequenti e rilevanti nel Ventennio: lo mostrano,
ad esempio, i Documenti diplomatici svizzeri,44 che coprono il perìodo
1848—1945 e illustrano alcune celebri affaires dell'epoca fascista.
Le carte del Dipartimento politico, com'è ovvio, documentano bene queste
affaires: in particolare r«Enregistrement centrai» (E 2001: vedi Allegato
2.1), sorta di libro mastro della nostra politica estera, registra e suddivide
per periodi cronologici tutti gli oggetti che richiedono interventi diplomatici. Il fondo comprende anche la corrispondenza con altri settori
dell'amministrazione centrale (specie il Dipartimento di polizia); spesso i
fascicoli sulle vicende legate all'attività politica di cittadini italiani contengono informazioni e rapporti anche molto dettagliati del Ministero pubblico
federale.
Naturalmente i fasci italiani all'estero, nati in Ticino già nel 1921 e poi
sviluppatisi anche grazie ai consolati, ma soprattutto le attività antifasciste
di fuorusciti e di militanti politici residenti in Svizzera da lungo tempo,
Opera cit. in nota 22. Vedi, fra l'altro, la p. 21 dell'introduzione.
44
Berna, Benteli Verlag. Il primo dei 12 voi. usciti sui 15 previsti è apparso nel 1979. Sugli
scopi della collezione, vedi il contributo di Antoine Fleury «Les Documents diplomatiques suisses. Histoire d'une publication majeure des historiens suisses», in L'Histoire
en Suisse... (cit in nota 4), pp. 397—409.
25
suscitano polemiche e incidenti di varia gravita, con ripetuti interventi delle
due diplomazie.43 Nel 1926, per esempio, il Consiglio federale infligge un
severo monito per gli articoli su Libera Stampa al profugo socialista A.
Tonello, poi espulso nel 1934. Nel 1930 si celebra a Lugano il processo
contro G. Bassanesi, reo di essere partito dal Ticino per il suo volo di
propaganda su Milano, e in dicembre il pilota (con C. Rosselli e A. Tarchiani) viene espulso. Nel 1933 il Consiglio federale, contro il parere del
governo ticinese, allontana dalla Svizzera il profugo repubblicano R. Pacciardi, a causa delle sue molte attività antifasciste in Ticino e nella speranza
che la polizia italiana cessi lo spionaggio nel nostro paese.46 Il giornalista
socialista C. E. a Prato, principale redattore del Journal des Nations a
Ginevra, viene espulso dal governo elvetico nel 1937, in seguito a pesanti
pressioni diplomatiche di Roma; talvolta, anzi, tali pressioni non occorrono
neppure, perché Berna — per dar prova della sua buona volontà e del suo
scrupoloso rispetto del diritto, come ben mostra il caso Bassanesi — intende
agire in modo autonomo. Ma questi incidenti, tutto sommato, non intaccano
mai seriamente i buoni rapporti italo-svizzeri; per il capo della nostra
diplomazia, G. Motta, le relazioni ufficiali sono importantissime, più importanti comunque del principio del diritto d'asilo.
Ci sembra poi che nel secondo dopoguerra la presenza e l'immigrazione
italiane siano meno rilevanti nell'ottica dei rapporti politico-diplomatici. Il
Dipartimento politico, certo, collabora ai negoziati che, imposti dalla crescente richiesta di manodopera italiana, sfociano nei due importanti accordi
del 1948 e del 1964 sull'afflusso degli italiani in Svizzera; ma la partecipazione della nostra diplomazia alle discussioni è piuttosto secondaria, mentre
svolgono un ruolo centrale le autorità di polizia e, come vedremo, soprattutto il Dipartimento dell'economia pubblica.
" Su questo punto, oltre ai nostri lavori già cit. (note 37 e 38), vedi le tesi di Marzio Rigonalli (Le Tessili dans les relations entre la Suisse et l'Italie 1922—1940, Locarno, Pedrazzini, 1983) e di Katharina Spindler (La Svizzera e il fascismo italiano 1922—1930,
Bellinzona, Casagrande, 1980 [trad, dal tedesco]).
Vedi il nostro articolo «L'antifascisme italien au Tessin et les relations de la Suisse avec
l'itaUe fasciste, à travers le cas Facciardi», in Relations internationales, n° 30, été 1982,
pp. 177—191.
26
2.3 L'aspetto economico: Fondi del Dipartimento dell'Economia
pubblica (Allegato 2.5)
L'aspetto economico assume particolare rilievo a partire dal secondo dopoguerra, anche se il contributo degli italiani alla nostra economia è una
costante per l'intero periodo 1870—1970; ne abbiamo già sottolineato
l'importanza numerica, del resto, fin dagli ultimi decenni dell'Ottocento.
Dopo l'Unità gli operai italiani danno un contributo essenziale alla costruzione della rete ferroviaria e dei grandi trafori alpini. Moltissimi sono attirati in Svizzera proprio dalle grandi opere ferroviarie, come mostra il caso
celeberrimo della ferrovia e galleria del San Gottardo: dal 1872 al 1882,
anno d'inaugurazione dell'intera linea Immensee—Chiasso, l'immenso
cantiere da lavoro a migliaia di regnicoli. Il loro contributo, anonimo ma
fondamentale al successo dell'impresa, comporta un pesante sacrificio: nella
sola galleria principale i frequenti incidenti provocano 177 morti e oltre 400
feriti.47 L'aspetto sociale e umano del traforo è documentato in parte dal
fondo dell'Archivio federale denominato «Ferrovie» (E 53, vedi Allegato 1),
che copre appunto il periodo 1872—1882: una quindicina di volumi vertono
su dure condizioni di lavoro, infortuni, aiuti alle vittime e proteste degli
operai, sfociate tra l'altro nei "torbidi di Göschenen" (luglio 1875).
L'immigrazione
di massa, legata alle ferrovie
ma
anche
all'industrializzazione, si smorza molto con la Grande Guerra, cui segue un
periodo di stasi e poi di calo, ma torna a crescere dopo il 1945; negli anni
'60, anzi, tocca punte assolute e relative mai raggiunte. Novità fondamentale del secondo dopoguerra, a nostro avviso, è Vìnte/vento diretto dello Stato
svizzero per sollecitare, poi regolare e infine limitare l'afflusso di lavoratori
italiani: per la prima volta nella nostra storia contemporanea, come ha notato M. Perrenoud,48 le nostre autorità organizzano l'immigrazione massiccia
Dati tratti da O. Martinetti, «Minatori, terrazzieri e ordine pubblico. Per una storia sociale delle grandi opere ferroviarie ticinesi 1872—1882», in Archivio storico ticinese, n°
92, dicembre 1982, pp. 271—332. Il lavoro, basato anche sul fondo «Ferrovie / E 53»
dell'Archivio federale e contenente una preziosa bibliografia, evidenzia appunto il
richiamo esercitato dal cantiere del Gottardo sull'immigrazione italiana. Più in generale,
vedi l'opera collettiva II San Gottardo e l'Europa. Genesi di una ferrovia alpina,
1882—1982. Atti del convegno di studi. Bellinzona, 14—16 maggio 1982, Bellinzona,
A. Salvioni & Co., 1983.
Vedi il suo articolo «La politique de la Suisse face i l'immigration italienne
27
di manodopera, d'intesa con le organizzazioni padronali e operaie.
Il ruolo nuovo dell'amministrazione federale in materia d'immigrazione
economica appare chiaro se si analizza sul lungo perìodo la natura dei fondi
del Dipartimento dell'economia: rispetto alle fonti anteriori alla prima
guerra mondiale, quelle posteriori alla seconda mostrano subito
un'evoluzione nettissima. Fino al 1914 vige per tutti (quindi anche per gli
italiani che cercano lavoro in Svizzera) una libertà quasi assoluta di spostamento, e l'azione dello Stato per regolare sul piano economico i flussi
migratori è praticamente inesistente; Berna si limita a concludere col
Regno, il 22 luglio 1868, un «Trattato di domicilio e consolare» che assicura reciprocamente a italiani e svizzeri libertà d'accesso e di domicilio nei
paesi rispettivi. Il suo art. 1 è molto esplicito:
«Tra la Confederazione Svizzera e il Regno d'Italia vi sarà amicizia perpetua, e libertà reciproca di domicilio e di commercio. Gli Italiani saranno in
ogni Cantone della Confederazione Svizzera ricevuti e trattati, riguardo alle
persone e proprietà loro, sul medesimo piede e alla medesima maniera come
lo sono o potranno esserlo in avvenire gli attinenti degli altri Cantoni.»49
Ma nel clima di chiusura provocato dalla guerra la Svizzera riconsidera
questi principi estremamente liberali, che contribuiscono a spiegare la forte
immigrazione italiana fino al 1914: nel marzo 1919 Berna denuncia i trattati di domicilio con l'Italia e con la Germania, motivando la decisione col
timore äell'Ueberfremdung e coi pericoli dell'«invasione straniera».30 Un
argomento ulteriore è il fatto che cantoni e comuni hanno sopportato spese
non indifferenti per soccorrere gratuitamente i malati poveri di origine
italiana, conformemente a una precedente convenzione col Regno; il governo elvetico, inoltre, si mostra preoccupato dalle difficoltà economiche
dell'immediato dopoguerra e dalla forte disoccupazione, che colpisce anche
gli immigrati italiani.51 Poco dopo, però, Berna accetta di sospendere la
(1943—1953)», in Mouvements et politiques migratoires en Europe depuis 1945: le
cas italien. Actes du colloque de Louvain-la-Neuve des 24 et 25 mai 1989, sous la direction de M. Dumoulin, Louvain-la-Neuve, CIACO Editions, 1989, pp. 113—141.
49
RU, vol. IX 1866—1869, pp. 706—731.
50
Processo verbale del Consiglio federale, 31 marzo 1919 (E 21, Archiv-Nr. 24567).
51
Vedi il rapporto della Legazione di Svizzera a Roma in data 1° gennaio 1921, intitolato
28
decisione; il trattato con l'Italia è rinnovato tacitamente, da ambo le parti,
ogni trimestre. La dura realtà della crisi economica postbellica, cui la Svizzera non sfugge, impedisce comunque che l'afflusso di operai italiani
riprenda come prima, benché in settori come l'edilizia questi conservino un
ruolo dominante; a limitare gli ingressi concorrono anche la citata polizia
federale degli stranieri, istituita nel 1919, e la nuova legislazione più restrittiva. D'altra parte le autorità elvetiche non rinunciano a rivedere il trattato del 1868, che ritengono ormai troppo liberale, e riaprono i negoziati
con l'Italia. Il 5 maggio 1934 si firma a Roma una dichiarazione italo-svizzera, che modifica il trattato sul punto fondamentale della libertà di domicilio:
«I cittadini italiani che hanno o avranno dimorato regolarmente in Svizzera,
senza interruzione, durante S anni riceveranno il permesso di domicilio
incondizionato, e avranno pure il diritto di cambiare liberamente di posto, di
professione e di residenza.»
Gli svizzeri in Italia sono sottoposti a uguali condizioni, in virtù della reciprocità.52 A quell'epoca la grande maggioranza degli italiani in Svizzera —
il 78 % nel 1930, pari a circa 100000 individui su 127-00053 — ha già un
permesso di domicilio, perciò solo una misura federale di espulsione può
costringerla a lasciare il paese.
Il 21 giugno 1929, pochi mesi prima della Grande Crisi, un decreto federale
istituisce Y Ufficio federale dell'industria, delle arti e mestieri e del lavoro
(UFIAML),54 riunendo due uffici preesistenti del Dipartimento
dell'economia (tra cui quello del lavoro, creato nel 1920). I compiti
«La crise économique en Suisse et les ouvriers italiens» (E 4300 (B) 1, Archiv-Nr. 22).
Lo stesso fascicolo contiene alcune interessanti tavole statistiche sui disoccupati italiani
in Svizzera.
5
Art. 1 della «Dichiarazione concernente l'applicazione del trattato di domicilio e consolare del 22 luglio 1868 tra la Svizzera e l'Italia», Roma, 5 maggio 1934. CS, 11, 668
(0.142.114.541.3). Vedi anche E 4300 (B) 1, Archiv-Nr.22 (col testo originale in
francese).
53
Rapporto del Dipartimento di giustizia e polizia, 20 agosto 1937 (ibid.).
All'organizzazione del nuovo ente provvedere un decreto del 4 ottobre successivo. Vedi
RU, voi. 45, 1929, pp. 459—463.
29
dell'UFIAML che qui soprattutto ci interessano sono il «disciplinamento del
lavoro», 1'«osservazione del mercato del lavoro» e la «cooperazione nella
stipulazione dei trattati internazionali» concernenti il campo sociale. Fino al
1945, in pratica, l'ufficio non ha occasione d'intervenire nel settore
dell'immigrazione italiana, specie perché la crisi della nostra economia ha
soppresso la domanda di lavoratori stranieri; nel dopoguerra, però, con la
sua «sezione per la manodopera e l'emigrazione» assume un ruolo importantissimo in materia d'immigrazione economica. Interlocutore principale
fra l'amministrazione federale e settori economici sempre più bisognosi di
manodopera, l'UFIAML si fa portavoce delle nostre richieste presso la
rappresentanza diplomatica italiana in Svizzera (o direttamente a Roma). Si
può dire perfino che tenda a sviluppare un nuovo tipo di diplomazia, parallela a quella tradizionale: il capo della sezione citata, A. Jobin, si reca più
volte a Roma per esporre le richieste dell'industria e agricoltura elvetiche.
In stretta collaborazione con la polizia degli stranieri, poi, l'UFIAML svolge
una parte centrale nei negoziati che sfociano, nel 1948 e nel 1964, in due
accordi fondamentali per l'organizzazione dell'immigrazione economica
italiana; per suo tramite, cioè, lo Stato elvetico interviene per la prima volta
direttamente a canalizzare e regolare l'afflusso di operai italiani necessario
alla nostra economia.
2.4 II fondo del Commissariato federale per l'Internamento
(Allegato 2.4)
Dopo i tre fondi più rilevanti per lo studio dell'immigrazione italiana sul
lungo periodo, occorre citare quello del Commissariato federale per
l'internamento, limitato nel tempo ma, riferendosi alla seconda guerra
mondiale, eccezionalmente denso.
Nel giugno 1940, per sfuggire alla Wehrmacht, si rifugiano in Svizzera oltre
40-000 soldati francesi, fra cui una divisione polacca; proprio per far fronte
a questo afflusso, Berna organizza in tutta fretta il Commissariato, che
dipende dal Dipartimento militare e ha l'incarico di sistemare, alloggiare e
sorvegliare gli internati.55 Il decreto federale del 2 dicembre 194056 ne
Fondamentale sulla politica svizzera verso gli internati militari e i profughi in genere
dall'ascesa del nazismo alla fine della guerra mondiale resta il "Rapporto Ludwig", redatto da Carl Ludwig su mandato del Consiglio federale: La politique pratiquée par la
30
precisa meglio i compiti, lo sottopone al capo di Stato maggiore generale
dell'esercito e prevede che «gli internati possono essere obbligati a lavorare».
L'armistizio dell'8 settembre 1943 e il successivo sfaldamento dell'esercito
italiano, privo di direttive precise, provocano la tuga in Svizzera di circa
21-000 soldati.37 Per lo più sbandati e non tutti in uniforme (isolati o a
gruppi, solo in rarìssimi casi inquadrati in formazioni compatte), dal
Norditalia costoro penetrano nella Confederazione attraverso l'estremo sud
del Ticino, approfittando anche della debolezza delle forze svizzere che
sorvegliano il confine. Riuniti dai servizi del Commissariato, i profughi
vengono inviati oltre Gottardo, in piccoli campi situati quasi esclusivamente
Suisse à l'égard des réfugiés au cours des années 1933 à 1955, Berne, Chancellerie
fédérale, 1957. Sulla creazione del Commissariato, vedi anche il voi. 13 dei Documenti
diplomatici svizzeri, Berna, Benteli Verlag, 1991, che copre gli anni 1939—1940
(rubrica VII. 3: Internés et prisonniers de guerre). Per una sintesi con utili statistiche ricapitolative sull'insieme dei profughi e internati in Svizzera, vedi L. Mysyrowicz e J.-C.
Favez, «Refuge et représentation d'intérêts étrangers», in Revue d'histoire de la
deuxième guerre mondiale, n° 121, janvier 1981 (numero speciale dedicato alla Svizzera
della guerra mondiale), pp. 109—120.
56
RU, vol. 56/11, 1940, pp. 2056—2057.
57
Sui militari e in genere sui profughi italiani (compresi i civili, di cui parleremo più sotto),
vedi il "Rapporto Ludwig" cit. in nota 55, nonché Elisa Signori, La Svizzera e ifuorusciti italiani. Aspetti e problemi dell'emigrazione politica 1943—1945, Milano, F. Angeli,
1983, e C. Musso, Diplomazia partigiana. Gli alleati, i rifugiati italiani e la Delegazione del Clnai in Svizzera (1943—1945), Milano, F. Angeli, 1983. Di un certo interesse
resta la testimonianza di un ufficiale ticinese che si occupò direttamente dei rifugiati
italiani: A. Bolzoni, Oltre la rete, Bellinzona, Grassi & Co, 1946. Vedi anche la sintesi di
M. Vuilleumier cit. in nota 5.Un'opera recente sull'arrivo e sulla presenza in Svizzera dei
rifugiati italiani, militari e civili è quella di Renata Broggini Terra d'asilo. I rifugiati
italiani in Svizzera 1943—1945, Bologna, Società éditrice il Mulino, 1993, che si basa
molto anche sulle testimonianze orali dei sopravvissuti e dedica ampio spazio ai campi
universitari. La stessa Broggini ha già pubblicato una scelta di articoli editi in Svizzera
dai profughi di orientamento cattolico (/ rifugiati italiani in Svizzera e il foglio
"Libertà". Antologia di scritti 1944—1945, Roma, Cinque Lune, 1979) e curato la
pubblicazione di F. Sacchi Diario 1943—1944. Un fuoruscito a Locamo, Lugano, G.
Casagrande, 1987. Da parte nostra, abbiamo già tentato una rapida sintesi sul fenomeno
dei profughi italiani a partire dal '43, presentando anche i fondi esistenti presso
l'Archivio federale: «I rifugiati italiani nella Confederazione elvetica durante la seconda
guerra mondiale. Bilancio provvisorio e presentazione delle fonti archivistiche», in Una
storia di tutti. Prigionieri, internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale
[Atti del convegno di Torino, 2—4 novembre 1987], Milano, F. Angeli, 1989, pp.
205—228.
31
in regioni germanofone. Indipendentemente dai problemi di alloggio e sussistenza, il loro arrivo pone un problema giuridico alle nostre autorità: in
base alla convenzione dell'Aia del 1907, esse rifiutano di considerarli come
autentici "internati" (statuto previsto solo per soldati di eserciti effettivamente belligeranti, mentre gli italiani non sono reduci da combattimenti veri
e propri). Berna decide infine di creare appositamente per loro la nuova
categoria dei "rifugiati militari", compromesso fra internati e profughi
civili, che permette di giustificare di fronte all'estero il loro soggiorno in
Svizzera. Un aspetto tra i più originali di tale soggiorno è dato dai campi
universitari, organizzati fin dal 1944 negli atenei romandi di Ginevra,
Losanna, Friborgo e Neuchâtel: sotto la direzione del Commissariato e con
la collaborazione di docenti svizzeri (ma anche italiani, pure profughi), oltre
500 giovani possono iniziare o proseguire gli studi universitari.
Nell'ottobre 1944, caduta la Repubblica partigiana dell'Ossola, probabilmente 6—7-000 fra partigiani e civili entrano dall'Italia nel Ticino e nel
Vallese.58 In totale, tenendo conto dei circa 21-000 rifugiati del settembre
1943, di quelli entrati dopo e dei 2—3-000 partigiani ossolani, si può dire
che dal 1943 al 1943 i militari italiani entrati nel paese — e in grande
maggioranza rimastivi per circa 20 mesi — siano circa 30-000. Fonti
preziose al riguardo sono i fondi del Commissariato: oltre 17-000 fascicoli
personali, rapporti sulla disciplina interna nei campi e sulle relazioni con gli
autoctoni, raccolte di giornaletti o volantini editi dagli internati, estratti di
lettere sottoposte a censura, elenchi degli universitari, rapporti sulle visite
della principessa Maria José ecc.
Dopo l'8 settembre 1943, parallelamente all'afflusso dei militari, inizia
quello dei civili italiani, in buona parte ebrei.59 Diversamente dai soldati,
essi non vengono internati ma sottoposti alle autorità di polizia, in particolare ai servizi dipendenti da Heinrich Rothmund; questi, che dal 1919 dirige
co
Sulla vicenda, oltre ai contributi cit. in nota 57, vedi C. Cantini, «I partigiani dell'Ossola
in Svizzera», in Italia contemporanea, fase. ISO, marzo 1983, pp. 57—72. Non concordiamo però pienamente coi dati dell'articolo sui profughi ossolani rimasti in Svizzera
(vedi il nostro contributo cit. in nota 57).
Sui profughi ebrei, oltre ai lavori cit. in nota 57, vedi M. Sarfatti, «Dopo 1*8 settembre:
gli ebrei e la rete confinaria italo-svizzera», in Rassegna mensile di Israel, fase, gennaio—giugno 1981, pp. 149—173.
32
l'Ufficio di polizia degli stranieri, dal 1929 è capo dell'intera divisione di
polizia, importante sezione del Dipartimento di giustizia e polizia. Il 17
settembre, quando l'afflusso assume proporzioni giudicate eccessive da
Berna, i servizi di Rothmund decidono, fra l'altro, di respingere tutti i civili
di sesso maschile aventi più di 16 anni. Questa direttiva, benché non sempre
applicata rigorosamente alla frontiera, impedisce a molti ebrei italiani
l'accesso al suolo elvetico (ed ha un effetto dissuasivo); sarà revocata il 3
dicembre, quando Rothmund stesso ordina telefonicamente agli organi
confinari di ammettere tutti gli ebrei provenienti dall'Italia. Quanto ai civili
accolti in Svizzera, dopo tre settimane in campi di quarantena essi vengono
inviati in campi di lavoro o in case di riposo, oppure beneficiano di un regime di semilibertà e possono risiedere presso privati. Se è impossibile
conoscere il numero dei civili respinti (o dissuasi dal tentare l'entrata), si sa
invece che il totale dei profughi ammonta a 14-500—15-000: fra i civili
rifugiatisi in Svizzera nella seconda guerra mondiale, quello italiano è il
gruppo nazionale più cospicuo. Fonti principali in proposito sono i fondi del
Dipartimento di giustizia e polizia (vedi Allegato 2.3), soprattutto quello
intitolato a H. Rothmund (E 4800 (A) 1967/111) e quello, voluminoso, che
comprende i fascicoli personali di tutti i profughi civili (E 4264,
1985/196—197).
In totale, dunque, l'eccezionale movimento migratorio dovuto al conflitto
spinge in Svizzera circa 45-000 italiani, militari e civili. Si tratta però di
una popolazione parzialmente fluttuante: parecchi militari rientrano in patria, e mai un numero così alto di profughi italiani è presente contemporaneamente nel paese. La punta più alta è raggiunta nelle ultime settimane di
guerra: il 1° aprile 1945, poco prima del rientro, il Commissariato per
l'internamento censisce 23-518 rifugiati militari. Il 10 giugno 1945 i profughi civili sono 8-684, di cui 3-976 ebrei.60
Anche se spesso in sede storiografica questa popolazione viene confusa con
la categoria dei fuorusciti e, in generale, con l'immigrazione antifascista, di
fatto non si tratta dello stesso tipo di immigrati:61 fra i rifugiati giunti dopo
60
Vedi il nostro contributo cit. in nota 57 (tabella a p. 223).
Concordiamo qui pienamente con quanto scritto da Aldo Garosci nella sua classica Storia
dei fuorusciti, Bari, Laterza, 1953, pp. 211—213.
33
1'8 settembre, pochi sono gli autentici profughi politici. I soldati, nel clima
di panico e sbandamento seguito all'armistizio, in mancanza di ordini cercano di evitare probabili rappresaglie della Wehrmacht e delle SS; gli ebrei,
evidentemente, friggono dalle persecuzioni razziali naziste; per gli altri
rifugiati civili la fuga è dovuta a diverse ragioni, talvolta anche puramente
opportunistiche.
Ai profughi italiani della seconda guerra mondiale sono dedicate varie
ricerche storiche, sulla scia del sempre fondamentale «Rapporto Ludwig»
del 1957; qui ci limitiamo a menzionare l'opera di E. Signori (pubblicata
nel 1983) e quella recentissima di R. Broggini, rinviando alle nostre note
per indicazioni bibliografiche più precise.62
3 Bilancio sommario della ricerca storica sull'immigrazione
italiana
Nel loro panorama bibliografico citato,63 S. e G. Arlettaz notano che, mentre in Svizzera la ricerca storica sull'immigrazione si sviluppa solo a partire
dalla metà degli anni '60 (in concomitanza col vivo dibattito politico allora
in corso sull'inforestierimento), gli studi sui profughi e sull'esilio politico
poggiano su una lunga tradizione.
Questa costatazione ci pare pienamente valida proprio per l'immigrazione
dalla Penisola, già oggetto in passato di studi soprattutto italiani. Basti citare il Commissariato generale dell'emigrazione, istituito nel 1901 e abolito
dalle autorità fasciste nel 1927: il suo Bollettino dell'emigrazione è una
fonte molto utile (e non ancora sufficientemente sfruttata) anche per indagini sugli immigrati italiani in Svizzera. Diretto da Giuseppe De Michelis,
che personalmente si occupa da vicino di questo tema, il Commissariato
pubblica un Annuario dell'emigrazione italiana, coi dati statistici per il
periodo 1876—1925, e un Censimento degli Italiani all'estero alla metà
dell'anno 1927, con ragguagli preziosi su varie istituzioni e associazioni
62
Vedi nota 57.
63
Vedi nota 4.
34
degli italiani in Svizzera.64 Uno dei rari lavori impegnativi usciti in passato
sul tema, opera del celebre sociologo tedesco R. Michels, è Le colonie
italiane in Isvizzera durante la guerra, apparso nel 1922.65 Michels,
dall'ottobre 1914 docente all'Università di Basilea, tra altre fonti utilizza il
Bollettino per presentare uno spaccato dell'immigrazione italiana all'epoca
della Grande Guerra, analizzando le sue tendenze politiche interne e in particolare quella socialista, il suo tessuto economico e il fenomeno delle
cooperative di consumo; egli affronta anche le naturalizzazioni e la presenza
in Svizzera di molti disertori e renitenti italiani, mostrandosi sensibile
alT«inconveniente grave del modo sregolato ed anarchico dell'arruolamento
della mano d'opera italiana in Svizzera», di cui in parte attribuisce la responsabilità agli annunci usciti sulla stampa italiana.66
Altra riflessione generale è quella di M. Vuilleumier, che negli studi svizzeri sull'immigrazione ha sottolineato il «dominare esclusivo di un solo
punto di vista, quello delPUeberfremdung»:67 un "filtro" storiografico che è
stato applicato anche a prima del 1914, quando quel concetto era ancora
inespresso e il timore deU'inforestierimento non ancora diffuso come a
partire dalla guerra. Sentimenti che qui per semplificare definiremo
«xenofobi», in effetti, si sviluppano verso gli immigrati italiani e il loro
comportamento già prima del 1900: per Basilea lo documenta attentamente
Peter Manz, che evoca «l'emergere, il consolidarsi ed il diffondersi... di un
composito sistema di stereotipi antiitaliani»,68 il "filtro" troppo comodo e
semplificatore détì'Ueber/remdung, in ogni caso, occulta altri aspetti importanti della presenza italiana, come i contatti che questa ha con le associa-
Soppresso il Commissariato, però, il censimento del 1927 è pubblicato dal Ministero degli
affari esteri nel 1928. Per alcune indicazioni sul ruolo di De Michelis e del Commissariato all'emigrazione, vedi Ph. V. Cannistraro e G. Rosoli, Emigrazione, Chiesa e fascismo.
Lo scioglimento dell'Opera Bonomelli (1922—1928), Roma, Edizioni Studium, 1979,
pp. 18ss.
' Edito dall'Istituto Storiografico della Mobilitazione (Serie statistico-economica), Roma,
Alfieri & Lacroix.
66
Ibid., p. 288.
° Vedi il suo articolo cit. in nota 7.
Peter Manz, Emigrazione italiana a Basilea e nei suoi sobborghi 1890—1914. Momenti
di contatto tra operai immigrati e società locale, Cornano, Edizioni Alice, 1988 (tesi di
dottorato), p. 231.
35
zioni operaie elvetiche e l'influsso che vi esercita.
Ci pare inoltre che, sul lungo periodo qui in esame, i nostri storici abbiano
privilegiato nettamente l'immigrazione di tipo politico, confermando la
citata preferenza tradizionale per profughi ed esuli.69 Certo è molto arduo
distiguere l'immigrazione politica da quella propriamente economica, tanto
più che spesso l'immigrato economico diventa poi un militante politico a
contatto con le organizzazioni operaie attive in Svizzera, ma in genere la
ricerca elvetica sembra aver preferito illustrare le ripercussioni politiche
dell'immigrazione, a scapito dei suoi aspetti socioeconomici o culturali.
Questa tendenza è ben visibile nei lavori concernenti un periodo storico
assai studiato come quello fascista.
La tesi di K. Spindler, La Svizzera e il fascismo italiano 1922—1930,10
quasi non si occupa d'immigrazione antifascista, analizzando più i rapporti
diplomatici fra i due Stati e soprattutto le posizioni assunte sul fascismo
dalle «famiglie ideologiche» della borghesia svizzera. L'atteggiamento della
sinistra elvetica e il suo appoggio all'antifascismo sono interamente trascurati: secondo l'autrice, «la sinistra essendo nemica originale e vittima principale dei fascisti, non aveva una opzione di fronte al fascismo»71. Anche la
tesi di M. Rigonalli, Le Tessin dans les relations entre la Suisse et l'Italie
1922—1940,11 si occupa quasi esclusivamente dell'aspetto politico-diplomatico, e in particolare delle ripercussioni avute sui rapporti italo-svizzeri
dalla propaganda irredentistica concernente il Ticino; un solo capitolo verte
sull'antifascismo e sullo spionaggio politico italiano.
Questa tendenza è eloquentemente documentata da S. e G. Arlettaz, che per il loro articolo (cit. in nota 4) hanno recensito ben 1042 titoli pubblicati in Svizzera dal 1945 al 1988
e dedicati ai vari aspetti dell'immigrazione dal 1848 in poi: per il 52 % questi sono biografìe di esuli e rifugiati. Degli altri titoli di carattere generale, 184 (il 18 %) riguardano
11 "rifugio" e l'esilio, 140 (il 13 %, quasi tutti posteriori al 1964) l'immigrazione, 130 (il
12 %) gli ebrei e 41 (il 4 %) l'internamento.
70
Vedi nota 45.
La frase è tratta dalla prefazione.
72
Vedi nota 45. La tesi recente di Stephan Winkler, Die Schweiz und das geteilte Italien.
Bilaterale Beziehungen in einer Umbruchphase 1943—1945, Basel, Helbing & Lichtenhahn, 1992, analizza i rapporti politico-diplomatici italo-svizzeri durante la Repubblica di Salò.
36
Nella nostra tesi, Fra Roma e Berna. La Svizzera italiana nel ventennio
fascista,1* abbiamo tentato di combinare i due aspetti: le relazioni ufficiali
italo-svizzere e la presenza da noi, specie in Ticino, di antifascisti e profughi italiani. La loro attività politica, in parte clandestina, ha spesso forte
risonanza grazie all'appoggio di antifascisti autoctoni, segnatamente del
consigliere di Stato G. Canevascini e del quotidiano Libera Stampa. Il caso
del Ticino mostra bene come la solidarietà manifestata sul piano cantonale
alla causa antifascista (anche da membri dell'esecutivo) talvolta crei difficoltà internazionali alla diplomazia elvetica. Un capitolo del nostro lavoro
concerne i fasci italiani all'estero, sviluppatisi dal Ticino in tutte le colonie
del paese tanto da inquadrare gli immigrati in un modo nuovo, parallelo a
quello tradizionale dei consolati; sulla loro nascita va poi segnalato il lavoro
di P. Bernardi-Snozzi Dalla difesa dell 'italianità al filofascismo nel Canton
Ticino (1920—1924),™ che dedica ampio spazio anche alle minacce irredentistiche. In genere l'ottica "irredentistica" ha influenzato gli studi centrati sui rapporti culturali italo-svizzeri e concernenti essenzialmente il
Ticino; in questo campo il ruolo degli immigrati è piuttosto marginale, se
confrontato alle iniziative dei pochi ticinesi effettivamente fautori di un
irredentismo culturale (o eccezionalmente politico). Lo conferma l'opera di
P. Codiroli L'ombra del Duce. Lineamenti di politica culturale del fascismo
nel Cantone Ticino (1922—1943),15 che si sforza di sviscerare l'impatto e
gli scopi della penetrazione culturale italiana; un capitoletto tratta però le
scuole a tempo pieno create dal regime, in 6 località ticinesi, dall'inizio
della seconda guerra mondiale (scuole la cui propaganda interessa direttamente l'immigrazione italiana in Ticino).
Ci pare quindi che gli studi sul perìodo fascista, gravitanti soprattutto sulla
dimensione "politica", dedichino relativamente poco spazio agli immigrati;
in quelli centrati sul Ticino, poi, il tema dell'irredentismo mostra
un'invadenza forse eccessiva, a scapito dell'aspetto socioeconomico della
presenza italiana. Ma l'"invadenza" è dovuta in parte al vigore della propaganda ufficiale fascista; il discorso cambia per opere relative alle colonie
73
Vedi nota 37.
'^Estratto dell'Archivio storico ticinese, Bellinzona, n l 95—96, settembre—dicembre
1983, pp. 305—472.
75
Milano, F. Angeli, 1988.
37
italiane in altri cantoni, ove non esisteva ovviamente la minaccia irredentista. E. Signori, di cui abbiamo citato l'interessante opera sui profughi della
seconda guerra mondiale,76 ha poi pubblicato con M. Tesoro un lavoro che,
attraverso la presenza a Zurigo del profugo repubblicano F. Schiavetti, illustra l'attività della locale colonia italiana durante il fascismo.77 La realizzazione più originale dell'antifascismo a Zurigo è la «Scuola popolare
italiana» del 1931 (dal 1932 «Scuola Ubera italiana di emancipazione proletaria»), fondata anche grazie a immigrati economici di lunga data e diretta
appunto da Schiavetti; questi poi, il 21 novembre 1943, con altri immigrati
antifascisti (fra cui G. Chiostergi) fonderà a Olten la Federazione delle
Colonie libere italiane, tuttora esistenti.78 Sugli italiani nella città della
Limmat, inoltre, è prezioso un documento raccolto da M. Morach, Pietro
Bianchi..., Maurer und organisiert. Ein italienischer Emigrant erzählt aus
seinem Leben:79 ricordi di un uomo del Comasco che, nato nel 1885, a
Zurigo giunge prima del 1910, si naturalizza nel 1930 e muore nel 1977.
Bianchi, attivo nel movimento socialista che poggiava sul celebre Ristorante
Cooperativo e sull' Avvenire del Lavoratore, rievoca con grande vivacità
molti operai e antifascisti italiani di spicco. Qualcuna delle stesse figure
appare anche nel nostro articolo «Emigrazione romagnola in Svizzera dalle
origini al periodo fascista»,80 perché parecchi repubblicani e socialisti
romagnoli, giunti a Zurigo (ma anche a Basilea e a Ginevra) già alla fine
76
Vedi note 57.
// verde e il rosso. Fernando Schiavetti e gli antifascisti nell'esilio fra repubblicanesimo e socialismo, Firenze, F. Le Monnier, 1987 (soprattutto la parte quarta, «La battaglia
antifascista in Svizzera», pp. 345ss.). Vedi anche «F. Schiavetti e l'esperienza zurighese»,
contributo della stessa autrice al voi. Svizzera e Italia... (cit. in note 38), pp. 73—89.
Sulte CLI, vedi E. Signori, // verde e il rosso... (cit in note 77), e La Svizzera e i fuorusciti... (cit. in note 57), pp. 212ss.; Bruna De Marchi, Gli immigrati italiani in Svizzera
e il ruolo delle Colonie Libere, tesi di laurea presentata all'Univ. degli Studi di Bologna,
Anno accademico 1971—1972 (dattil.); G. Leuenberger, Der Antifaschismus in der
italienischen Emigration in der Schweiz. 1943—1945. Die Entstehung und die Gründung des Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera, lavoro di licenza presentato alla Facoltà di lettere dell'Università di Zurigo, 1984 (dattil.); C. Cantini, «La
prima Colonia libera italiana di Losanna (1943—1950)», in Quaderni di Agorà, Zurigo,
novembre 1991.
79
Zurigo, Limmat Verlag, 1979.
Pubblicato in Antifascisti romagnoli in esilio [Atti del convegno di Cesena, 6—7 dicembre 1980], Firenze, La Nuova Italia, 1983, pp. 75—97.
38
dell'Ottocento, diventano poi noti antifascisti: per esempio D. Armuzzi,
emigrato nel 1897, quasi mezzo secolo dopo è tra i fondatori delle Colonie
libere italiane.
Quanto agli immigrati di Ginevra, un contributo di C. Camisa copre gli
anni dall'Unità alla vigilia della Grande Guerra, descrivendo fra l'altro lo
sviluppo del movimento anarchico di L. Bertoni.81 Per il periodo fascista,
noi stessi abbiamo tentato di delineare la vita della colonia nonché le tensioni tra il fascio, fondato nel 1923, e le vecchie associazioni di immigrati
appoggiate dai fuorusciti; il caso ginevrino è interessante, perché le istituzioni coloniali precedenti (specie le scuole) mostrano notevole autonomia e
resistono bene agli sforzi fascisti per infiltrarvisi e inquadrarle.82 Sugli
immigrati antifascisti di area socialista a Losanna, invece, esiste un contributo di J. Hugli, basato principalmente sullo spoglio del settimanale socialista di Zurigo L'Avvenire del Lavoratore.**
Nel suo lavoro di licenza universitaria, P. Manz ha affrontato
l'immigrazione italiana a Basilea nel periodo 1914—1925, comprendente
gli inizi del fascismo e l'azione del fascio locale,84 nella sua tesi di dottorato, poi, ha spostato l'analisi al periodo 1890—1914. Ne è uscita un'opera
giustamente definita pionieristica, probabilmente il miglior esempio di
monografia regionale sugli immigrati italiani in Svizzera: Emigrazione
italiana a Basilea e nei suoi sobborghi 1890—1914. Momenti di contatto
81
«Genève italienne. La "Cité de refuge" de l'Unité à la veille de la première guerre mondiale», in L'Emigration politique en Europe... (cit. in nota 38), pp. 327—344.
82
Vedi il nostro contributo «Les Italiens à Genève i l'époque du fascisme et de la Société
des Nations», di prossima pubblicazione nel volume previsto per il settantacinquesimo
della "Société genevoise d'études italiennes", nonché Eugénie Chiostergi-Tuscher,
L'antifascisme dans l'immigration italienne à Genève, giugno 1975 (dattil). Sempre
molto utili sono pure le testimonianze raccolte nell'opera collettiva Egidio Reale e il suo
tempo, Firenze, La Nuova Italia, Quaderni del Ponte n° 9, 1961.
83
«Socialisme antifasciste à Lausanne de la première à la deuxième guerre mondiale», in
L'emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo (1926—1939), Firenze, Sansoni
Editore, 1982, pp. 263—291.
^Emigrazione italiana a Basilea (1914—1925). Materiali e testimonianze sulla sua vita
associativa, lavoro di licenza presentato all'Università di Basilea, marzo—maggio 1979.
Vedi anche, dello stesso autore, «Per lo studio dell'emigrazione italiana a Basilea
(1880—1943)», ia Archivio storico ticinese, n° 88, dicembre 1981, pp. 481—496.
39
tra operai immigrati e società locale.** Si tratta di un tentativo di storia
"totale" dell'immigrazione, che cerca di renderne con grande vivacità —
grazie a costanti citazioni, frutto di un ampio spoglio di fonti — non solo la
già ricca e multiforme dimensione associazionistica (operaia e piccoloborghese) ma anche quella "culturale" (alimentare, vestimentaria, musicale,
ludica, linguistica ecc.). Il campo d'osservazione ristretto a Basilea permette
a Manz un'analisi appofondita, centrata talvolta su singoli «quartieri
italiani», chiarendo meglio la genesi degli stereotipi negativi e caricaturali
accollati ai regnicoli: stereotipi alla base di «una diffusa xenofobia antioperaia e antiitaliana» negli ambienti locali piccolo-borghesi ma anche popolari,
che si concretizza in varie «petizioni antiitaliane» e talvolta, nei sobborghi,
persino in tumulti con fenomeni di caccia agli italiani.86 (Tumulti analoghi
più gravi, per inciso, sono già scoppiati a Berna nel giugno 1893 e a Zurigo
nel luglio 1896.) D'altra parte, come nota Manz, spesso la stampa socialista
e sindacale basilese mostra un «pesante paternalismo» verso i lavoratori
italiani, ritenendoli troppo impulsivi, radicali, bisognosi di rieducazione e
organizzazione politica; essa teme, inoltre, che gli imprenditori edili li
utilizzino come crumiri e come massa di manovra per un abbassamento
generale dei salari. 87
Questi giudizi negativi — ricorrenti, del resto, fra gli operai dell'intero
paese — toccano la questione importante dei complessi rapporti fra immigrati italiani e movimento operaio svizzero; se ne occupa, per il periodo
della II Internazionale, uno stimolante contributo di M. Vuilleumier, che
contiene utili indicazioni metodologiche.88 Nel primo dopoguerra, del resto,
R. Michels già aveva additato l'importanza di tali rapporti, sottolineandone
gli aspetti positivi:
85
Vedi nota 68.
BO
Vedi soprattutto le pagine sull"'ItalienerkrawaH" scoppiato a Binningen nel giugno 1904
(ibid., pp. 205ss.).
87
Ibid., pp. 160ss. e 199ss.
no
Cit. in nota 7. Vedi anche, dello stesso autore, «Les exilés en Suisse et le mouvement ouvrier socialiste (1871—1914)», in L'esilio nella storia del movimento operaio e
l'emigrazione economica, a cura di M. Degl'Innocenti, Manduria/Bari/Roma, Piero Lacaita editore, 1992, pp. 61—80.
40
«La parte importante avuta dalle colonie italiane nella storia del socialismo
in Isvizzera non è ancora, come pur lo meriterebbe, stata fatta oggetto di
amorevole studio. Diremo di più: coloro che si sono occupati della storia del
movimento operaio in Isvizzera, hanno negletto quasi del tutto il contributo,
pur così importante, datogli dall'elemento italiano immigrato, i cui protagonisti spesso hanno servito ai socialisti indigeni da maestri sì per la teoria
che per la pratica.»89
A parte qualche lavoro poco noto,90 fra i primi a raccogliere il suggerimento
di Michels è un testo di G. Pedroli uscito nel 1963, // socialismo nella
Svizzera italiana 1880—1922.91 Esso mostra appunto come il Partito
socialista ticinese si formi a partire da un'organizzazione italiana creata nel
1895, l'USIS (Unione Socialista Italiana in Svizzera), divenuta poi USLI
(Unione Socialista di Lingua Italiana). Dal 1894 al 1901 l'immigrato socialista più in vista è l'emiliano A. Vergnanini, che spinge il movimento verso
l'azione sindacale e la collaborazione coi sindacati elvetici.92 Viceversa G.
Menotti Serrati, che lo sostituisce nel 1900 alla testa dell'USLI, politicizza
fortemente l'organizzazione, che diventa sezione del PSI in Svizzera; salvo
una parentesi di due anni, egli resta nel paese fino al 1911 e si segnala,
come documenta l'opera di A. Rosada,93 quale il principale propagandista e
organizzatore socialista. Dal 1900 al 1930, tra l'altro, la sezione elvetica del
PSI dispone a Zurigo, nell'Avvenire del Lavoratore, di un periodico molto
letto dagli operai italiani. L'influsso di alcuni prorughi politici italiani è ben
visibile nel caso del ticinese G. Canevascini, segretario della Camera del
lavoro di Lugano, che nel 1913 fonda con loro il quotidiano Libera Stampa
e, a partire dalla guerra, diventa il leader indiscusso dei socialisti ticinesi: la
Michels aveva aggiunto che, «naturalmente, gli operai italiani cozzano talvolta anche
contro le cattive volontà e le tendenze xenofobe e nazionali dei loro compagni di lavoro
indigeni». Opera cit. in nota 65, pp. 142—143.
In particolare gli articoli pubblicati dal tipografo grigionese Erich Vaiar, ottimo conoscitore dell'immigrazione italiana, nel periodico socialista L'Avvenire dei Lavoratori, dal
30 luglio 1944 al 1° gennaio 1945 (n1 14—19), col titolo «Gli inizi del movimento operaio italiano in Svizzera».
91
Milano, G. Feltrinelli Editore.
Su Vergnanini, vedi F. Andreucci, T. Detti, // movimento operaio italiano. Dizionario
biografico 1853—1943, voi. V, Roma, Editori Riuniti, 1978.
93
Serrati nell'emigrazione (1899—1911), Roma, Editori Riuniti, 1972.
41
sua cultura politica risente di una nettissima impronta italiana e delle varie
tendenze che prima del conflitto agitano il movimento operaio nel Regno. 94
Sui rapporti fra immigrazione e movimento operaio svizzero — studiati
soprattutto nel perìodo anteriore alla Grande Guerra, come abbiamo già
visto, e affrontati in una monografia regionale (su San Gallo) anche dalla
tesi di H.-M. Habicht95 — è indispensabile citare, infine, il libro molto
importante di E. Grüner sul lavoro e sul movimento operaio svizzero in
generale^D/e Arbeiter in der Schweiz im 19. Jahrhundert. Soziale Lage,
Organisation, Verhältnis zu Arbeitgeber und Staat.96 L'opera più recente in
4 tomi diretta dallo stesso Grüner97 interessa più da vicino gli immigrati
italiani e le loro associazioni operaie: Arbeiterschaft und Wirtschaft in der
Schweiz 1880—1914. Soziale Lage, Organisation und Kämpfe von Arbeitern und Unternehmern, politische Organisation und Sozialpolitik9*
comprende un capitolo sugli inizi di questa immigrazione, sullo sfruttamento degli italiani in Svizzera e sugli sforzi del movimento operaio italiano
(ma anche elvetico) per garantir loro condizioni di lavoro più umane. 99 Un
altro capitolo, che ricorda gli sforzi dei socialisti per organizzare gli operai
regnicoli affinchè non fungano più da «esercito di riserva antiproletario»,
illustra altresì la forte presenza italiana in vari scioperi edili: a Lucerna
(1897), a Ginevra (1898), a Losanna (1890 e 1900), al Sempione (1901)
ecc. 100 Altre pagine trattano l'attività degli anarchici italiani e
Sugli intensissimi contatti fra Canevascini e gli immigrati e profughi italiani in Ticino,
vedi, oltre al libro di G. Pedroli cit. in nota 91, G. Canevascini, Autobiografia, a cura del
Gruppo di lavoro della Fondazione Pellegrini-Canevascini, Lugano/Bellinzona, 1986.
Probleme der italienischen Fremdarbeiter im Kanton St. Gallen vor dem Ersten Weltkrieg, Herisau, 1977
96
Berna, 1968.
97
Con la collaborazione di H.-R. Wiedmer, A. Balthasar, H. Hirter e H. Dominer.
Zurigo, Chronos Verlag, 1987, 3 vol. in 4 tomi. Alcuni documenti sull'immigrazione
italiana nello stesso perìodo, inoltre, sono stati pubblicati in A. Balthasar e E. Grüner,
Tensions sociales — transformations économiques. Documents d'histoire suisse (1880
à 1914), Berna, Bubenberg Druck- und Verlags- AG, 1989 (soprattutto pp. 83—94,
147—159 e 395—403).
99
Vol. I, pp. 258—272 («Die Italiener als "Ware Arbeit" und die Bemühungen um ihre
menschliche Behandlung»).
100
Vol. 2/2, pp. 1069ss. («Grèves dans le bâtiment, travailleurs étrangers et levées de
42
l'organizzazione del PSI in Svizzera, ma anche gli eventi del 1898, quando
sulla scia della violenta repressione antioperaia di Milano nascono le "bande
svizzere": interi gruppi di operai che tentano di recarsi in Italia, nella
speranza illusoria di partecipare a una rivoluzione.101
Per il periodo tra le guerre mondiali, più che i rapporti fra immigrazione e
movimento operaio svizzero gli studi riguardano, come si è visto, la lotta
antifascista. Va anche tenuto presente che il movimento operaio italiano è
molto indebolito dalla vittoria del fascismo e dalle successive scissioni del
PSI (e della sua sezione elvetica). Nel 1923 la maggioranza dei socialisti
italiani in Svizzera rifiuta di aderire alla III Internazionale; disponendo di
solide radici fra gli immigrati di lunga data, inoltre, i socialisti mantengono
il controllo del popolare Avvenire del Lavoratore e del "Ristorante Cooperativo" di Zurigo, il che spiega in parte la debolezza dei comunisti fra gli
operai regnicoli. À rilanciarli contribuiscono però la creazione dei Gruppi
comunisti di lingua italiana (legati al Partito comunista svizzero, comprendenti sia italiani sia ticinesi) e, dal 1927, l'arrivo di comunisti in fuga
dall'Italia o espulsi da altri paesi; la loro corrente può contare sul settimanale Falce e Martello (1925—1936) e, agli inizi degli anni '30, sulla notevole
attività di un dirigente giunto dalla Francia (R. Cocchi, membro persino del
segretariato politico del Partito comunista svizzero). Un nostro recente
contributo sviluppa questi ed altri aspetti della presenza comunista italiana
nella Svizzera del periodo interbellico.102
troupes»).
101
Vol. 3, pp. 423ss. («Anarchismus, Emigranten und Zweite Internationale») e pp.
437ss.(«Die Italiener in der Schweiz zwischen Isolierung und Solidarisierung»). Sulle
ripercussioni elvetiche dei fatti del 1898 e sull'episodio delle "bande svizzere", vedi
anche M. Vuilleumier, «L'emigrazione italiana in Svizzera e gli avvenimenti del 1898»,
in Anna Kulisdoffe l'età del riformismo. Atti del Convegno di Milano — dicembre
1978, Milano, Mondo Operaio / Edizioni Avanti!, 1978, pp. 85—103. Sullo stesso tema
Walo Mina ha presentato un lavoro di licenza alla Facoltà di lettere dell'Università di
Ginevra: Les répercussions des émeutes italiennes de mai 1898 au Tessin: l'arrivée
des réfugiés. L'épisode des bandes armées, agosto 1984 (dattil.).
102
«Les communistes italiens...», cit. in nota 40.
43
4 L'immigrazione italiana in Svizzera dopo il 1945,
attraverso i fondi dell'Archivio federale
La storiografia dell'immigrazione italiana nel secondo dopoguerra si può
considerare un terreno quasi vergine. Fin dalla metà circa degli anni '60,
certo, la paura dell'inforestierimento e i dibattiti sulle iniziative popolari
xenofobe ispirano molte pubblicazioni sul tema, ma si tratta per lo più, con
qualche eccezione.103 di opere scritte a caldo, soprattutto da sociologi o
giornalisti, e in genere prive di una prospettiva storica. In questo campo
certe fonti svizzere come quelle dell'Archivio federale non sono ancora
sfruttate in modo sistematico, anche perché il loro limite di consultazione
resta fissato a 35 anni; primo contributo storico a utilizzarle è un articolo di
M. Perrenoud.104
In base a uno spoglio parziale di tali fonti, tenteremo ora una presentazione
sommaria della politica di Berna sull'immigrazione, evidenziandone anche
qualche aspetto poco noto e segnalando alcune piste da approfondire:
l'immigrazione italiana ha un tale ruolo, nella Svizzera del secondo dopoguerra, che per forza di cose gli storici dovranno occuparsene seriamente e
sfruttare la ricca documentazione dell'Archivio federale.
Negli ultimi anni del conflitto le previsioni degli esperti svizzeri sugli sviluppi economici dell'immediato dopoguerra, tutt'altro che ottimistiche, non
lasciano praticamente margini al rilancio dell'immigrazione: il precedente
della crisi avutasi nel primo dopoguerra incita a un pessimismo quasi generale. Un rapporto allestito nel 1944 dal delegato del Consiglio federale alle
possibilità di lavoro, O. Zipfel, da per scontato che la nostra economia subi-
In particolare Lucio Boscardin, Die italienische Einwanderung in die Schweiz mit besonderer Berücksichtigung der Jahre 1946—1959, Zürich, Polygraphischer Verlag,
1962; Hermann M. Hagmann, Le travailleurs étrangers chance et tourment de la
Suisse, problème économique, social, politique, phénomène sociologique, Lausanne,
Payot, 1966; Rudolf Braun, Sozio-kulturelle Probleme der Eingliederung italienischer
Arbeitskräfte in der Schweiz, Erlenbach/Zürich, E. Rentsch, 1970; S. Soldini, M. Rossi
..., L'immigrazione in Svizzera. Il lavoro straniero in Svizzera dalle origini ad oggi,
con particolare riferimento all'immigrazione italiana, Milano, Sapere Edizioni, 1970;
Delia Castelnuovo-Frìgessi, Elvezia il tuo governo. Operai italiani emigrati in Svizzera,
Torino, Einaudi, 1977.
104
Vedi nota 48.
44
rà un violento choc e andrà incontro a una forte disoccupazione,105 per vari
motivi: smobilitazione militare (quindi fine delle spese e dell'intervento
federali a difesa del paese), cessazione delle commesse legate al conflitto
(quindi crisi del commercio estero), prudenza degli industriali a causa
dell'incertezza congiunturale (quindi calo notevole dei portafogli ordini). È
interessante notare che nel dopoguerra, nonostante la congiuntura per noi
favorevole, tale pessimismo non sparisce del tutto, sia perché resta vivo il
ricordo del precedente menzionato, sia perché rallentamenti ciclici dello
sviluppo di lungo periodo determinano brevi periodi di stasi o anche minirecessioni, come nel 1948—1949. Anche per questo, fin circa alla metà degli
anni '50, Berna sembra convinta che il benessere economico sia provvisorio
e la crisi inevitabile; tale convinzione influirà, come vedremo, sulla sua
politica nei confronti dell'immigrazione.
4.1 La ripresa dell'immigrazione e il ruolo dell'UFIAML
La prosperità postbellica coglie dunque di sorpresa le autorità elvetiche; la
domanda estera sollecita subito fortemente il nostro apparato industriale,
uscito indenne dalla guerra. Avvantaggiati rispetto ai concorrenti europei,
gli industriali svizzeri non hanno motivo di procedere a costosi ammodernamenti d'impianti, preferendo il più comodo ricorso alla manodopera
immigrata; questi operai, principalmente italiani, contribuiscono così in
misura notevole a un «miracolo economico elvetico»106 che accentua ancora, in fondo, la nostra dipendenza dall'economia mondiale.
Va precisato però che le prime richieste di lavoratori italiani provengono
dall'agricoltura. È un'innovazione rispetto al primo grande moto immigratorio di fine Ottocento, quando gli italiani lavoravano quasi solo
nell'edilizia, nei grandi cantieri ferroviari e nell'industria, mentre il primario restava in mano ai contadini autoctoni:107 ora gli agricoltori della Sviz-
Rapporto datato marzo 1944, intitolato Das Programm der öffentlichen Arbeiten.
Zweiter Zwischenbericht des Delegierten für Arbeitsbeschaffung, Zürich, Polygraphischer Verlag. Copia del rapporto si trova in E 2001(D) 3/518.
™°Nuova Storia della Svizzera e degli Svizzeri, Lugano/Bellinzona, Gianpiero Casagrande
editore, 1983, voi. 3, p. 195.
107
Vedi l'articolo di G. Arlettaz cit. in nota 2, p. 107.
45
zera tedesca, benché piuttosto reticenti verso braccianti a cui non sono
abituati, hanno urgente bisogno di manodopera e non possono più contare
su quelli provenienti dall'Austria o dal sud della Germania.108 Già verso la
fine del 1945, a Berna, l'UFIAML espone alla Legazione d'Italia il nostro
fabbisogno di personale in campo non solo agricolo ma anche alberghiero,
tessile e domestico. Nonostante l'appoggio della legazione, il reclutamento
in Italia è ritardato dalla disorganizzazione amministrativa e dallo scarso
coordinamento fra i ministeri interessati; in questa situazione d'urgenza è
inviato a Roma un caposezione dell'UFIAML, A. Jobin.109 Con questa
prima missione speciale, seguita da varie altre negli anni successivi, inizia
un fenomeno nuovo del secondo dopoguerra: quella sorta di diplomazia
parallela con cui Berna, tramite l'UFIAML, interviene per canalizzare il
flusso migratorio proveniente dall'Italia.
Quasi subito si manifesta una netta divergenza fra i due Stati sul metodo di
assunzione da adottare. Mentre Roma preferisce un reclutamento collettivo
tramite i canali ufficiali, escludendo che i datori di lavoro svizzeri cerchino
di persona la manodopera in Italia,110 Berna privilegia il reclutamento individuale, come mostra questa nota di Jobin per le autorità italiane, del 22
marzo 1947:
«Nous avons pu nous rendre compte que le recrutement individuel, qui repose sur une ancienne tradition entre la Suisse et l'Italie, est le système qui
convient le mieux aux conditions particulières de notre pays. La diversité de
nos entreprises et de leurs besoins se prête mal au recrutement collectif,
auquel nos employeurs préfèrent de beaucoup l'engagement individuel qui
s'opère le plus souvent avec le concours des travailleurs italiens qu'ils occupent déjà et qui permet une sélection directe et généralement bien plus
satisfaisante que ce n'est le cas lorsque le recrutement se fait sur une base
collective.»111
108
Rapporto di A. Jobin per il direttore dell'UFIAML, M. Kaufmann, 3 aprile 1947 (E 7001
(B) 1/543).
10
Nota del direttore dell'UFIAML, Kaufmann, per il capo del Dipartimento dell'economia
pubblica, Stampfli, 23 maggio 1946 (ibid.).
110
Nota di Kaufmann per il consigliere federale Stampfli, 20 novembre 1947 (ibid.).
U1
N o t a per Tommasini, Direttore generale dell'emigrazione (ibid.).
46
La divergenza sarà parzialmente risolta dall'accordo italo-svizzero del
1948, ma il ruolo di Jobin e in genere l'intervento diretto di Berna sembrano
già indicare ima prassi nuova, più vicina alla posizione italiana. Nel 1946,
comunque, giungono in Svizzera dall'Italia — specie dal Nord, in misura
minore dal Centro 112 — alcune migliaia di braccianti, che ora rappresentano il gruppo più forte degli immigrati italiani. In quell'anno i permessi di
lavoro concessi agli italiani (75 % del totale) sono 48-808, cosi suddivisi per
settori:
— agricoltura: 10 523
— industria alberghiera: 7 375
— industria tessile: 4 010
— personale domestico: 7 510
— edilizia e costruzioni: 9 225
— industria metallurgica e
meccanica: 3 243 113 .
Anche negli anni successivi i braccianti sono molti, tanto più che nel 1948,
secondo Jobin, la Svizzera può praticare una politica d'immigrazione liberale solo nel settore agricolo, non esposto ai rìschi congiunturali.114 Ma il
1947 segna un nuovo importante balzo quantitativo, con prevalenza di muratori e manovali: su un totale di 126-544 permessi ad italiani, 25-256 concernono l'edilizia e 20-335 l'agricoltura.115
L'afflusso massiccio di manodopera edile straniera (quasi tutta italiana 116 ),
dovuto alla congiuntura eccezionale del periodo postbellico, provoca critiche
e opposizioni nei sindacati svizzeri, che temono pressioni sui livelli salariali; 117 le autorità federali tentano più volte di frenare il boom edilizio e
112
Nota di Kaufmann per Stampfli, 18 luglio 1946 (ibid.).
113
Nota di Kaufmann per Stampfli, 1° marzo 1947 (ibid.).
14
Nota di Kaufmann per R. Rubattel (dal gennaio 1948 nuovo capo del Dipartimento
dell'economia pubblica), 13 settembre 1948 (ibid.).
17-118 il personale domestico, 15-757 l'industria metallurgica e meccanica, 15-644
l'industria alberghiera. Vedi la tabella «Permis de séjour délivrés i des travailleurs
étrangers 1947—1954» (ibid.).
116 9 7 o/o di t u t t i i permessi accordati nel 1947!
117
Vedi due note di Kaufmann: l'una del 1° marzo 1947 per Stampfli, già cit., l'altra del 14
febbraio 1948 per Rubattel (ibid.).
47
quindi il ricorso agli stranieri. In una circolare del 28 febbraio 1948, 118 per
esempio, il Dipartimento dell'economia pubblica invita i governi cantonali a
una politica di prudenza, anche per prevenire nuovi aumenti di prezzi e
salari; chiedendo loro di costruire soprattutto alloggi e non edifici pubblici o
industriali, Berna precisa i contingenti cantonali dei lavoratori ammessi nel
1948. Benché in quell'anno i muratori e manovali italiani aumentino rispetto al 1947 (29-667 contro 25-256), il 1949 segna una svolta in concomitanza
con la minirecessione già accennata, che cessa solo dopo l'inizio della
guerra di Corea: solo 12-344 permessi!119 L'inversione congiunturale appare già all'inizio di una circolare sulla manodopera edile straniera, che
l'UFIAML invia ai cantoni il 6 ottobre 1948: 120
«Si l'on peut admettre qu'en général le degré de l'emploi continuera à se
maintenir un certain temps encore à un niveau favorable, il semble cependant que le plus haut point de notre activité économique soit dépassé. On
constate déjà dans certaines branches des signes avant-coureurs d'une
régression des affaires. Bien qu'il s'agisse là de symptômes encore plutôt
isolés, il convient d'accorder toute l'attention voulue à l'évolution de la
situation pour pouvoir intervenir à temps dès que les circonstances
l'exigeront.»
A questo invito generale ne segue uno esplicito: gli uffici cantonali del
lavoro non devono garantire la riassunzione per l'anno successivo agli operai edili che rientrano in Italia.
4.2 L'accordo italo-svizzero del 22 giugno 1948 e il ruolo del
ministro E. Reale
Già nel 1947 Roma informa Berna di essere interessata a un accordo
sull'emigrazione in Svizzera,121 che risolverebbe il citato dissidio sulle
n
*ibid.
119
Tabellacit. in nota 115.
120
121
E 7001 (B) 1/543.
Nota di M. Kaufmann per Stampfli, 20 novembre 1947 (ibid.).
48
assunzioni di manodopera; Berna, così, ha l'opportunità di rivedere il criterio in vigore per la concessione del diritto di domicilio (S anni di permanenza ininterrotta nel paese, in base alla dichiarazione italo-svizzera del 5
maggio 1934). Durante i contatti preliminari fra i due Stati, il flusso migratorio si mantiene in aumento e non si sentono ancora i primi sintomi della
recessione (che inizieranno nell'autunno 1948). Le autorità elvetiche, perciò, sono condizionate in parte dalla paura deH'inforestierimento e dalle
pressioni dei sindacati, ma forse anche più, come già visto, dalla convinzione che l'alta congiuntura economica sia provvisoria; questa costante
"ossessione della crisi" le induce a far tutto il possibile perché i lavoratori
stranieri non possano insediarsi stabilmente. È quanto esporrà con molta
chiarezza, accanto ad altre considerazioni sulla nostra politica immigratoria,
il capo della divisione di polizia, H. Rothmund, in una conferenza pubblica
del 1954:
«... il s'agit de faire en sorte que le nombre le plus petit possible de ces
travailleurs étrangers parviennent à l'établissement et obtiennent ainsi une
entière liberté dans l'exercice de leur activité professionnelle. Il faut que
ceux qui en bénéficieront soient choisis soigneusement, en considération de
leurs qualifications professionnelles et de leur caractère. De tels étrangers ne
se hâteront pas, le cas échéant, de faire appel aux caisses de chômage, mais
au contraire ils rechercheront tout d'abord un autre travail, si nécessaire à
l'étranger.» 122
Nell'accordo di Roma del 22 giugno 1948 123 (il primo firmato dalla Svizzera con un altro Stato in materia d'immigrazione), il desiderio di limitare al
massimo i permessi di domicilio trova una conferma ben precisa: rispetto al
1934, infatti, la permanenza minima richiesta per ottenere il domicilio è
raddoppiata da S a 10 anni. L'art. 18, inoltre, prevede che «i lavoratori
italiani dovranno beneficiare in Svizzera dello stesso trattamento dei nazionali per quanto concerne le condizioni di lavoro e di rimunerazione», e l'art.
20 li autorizza a trasferire le loro economie in Italia.
122
Conferenza cit in nota 16.
^«Accordo tra la Svizzera e l'Italia relativo all'immigrazione dei lavoratori italiani in
Svizzera» CRU, 1948, vol. 64, pp. 790—796).
49
Diversi articoli vertano sul metodo di assunzione. Come richiesto da Roma,
i datori di lavoro (o le associazioni padronali) possono solo ricorrere al
canale ufficiale e non ad agenti privati: le domande nominative (fino a 5
lavoratori per datore di lavoro) vanno presentate al consolato d'Italia competente, le altre (dette numeriche ) alla legazione italiana di Berna, che le
trasmetterà direttamente in Italia agli uffici del lavoro regionali. L'art. 4,
tuttavia, introduce una concessione a favore degli imprenditori:
«Tenendo conto del carattere essenzialmente individuale della domanda di
mano d'opera in Svizzera e delle relazioni tradizionali che esistono tra datori di lavoro svizzeri e lavoratori italiani, il Governo italiano acconsente
che i datori di lavoro svizzeri ingaggino ... i lavoratori italiani con i quali
essi intrattengono relazioni personali.»
L'accordo — che prevede anche una commissione consultiva italo-svizzera
incaricata di sorvegliarne l'applicazione, poi riunitasi per la prima volta, su
richiesta di Roma, nel giugno 1954 124 — è poi completato, il 4 aprile 1949,
da una convenzione sulle assicurazioni sociali,125 in base a cui i lavoratori
italiani possono usufruire dell'Assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti (AVS), obbligatoria in Svizzera solo dal gennaio precedente. Tale convenzione vede esitante una parte delle autorità federali, preoccupate dalla
garanzia di reciprocità a favore degli svizzeri in Italia: il Consiglio federale,
in seguito, riconoscerà «innegabile che, da parte svizzera, i relativi negoziati furono condotti con una certa riserva, anche in considerazione del
livello di allora delle assicurazioni sociali italiane».126 Le esitazioni sono
superate anche grazie al ministro d'Italia a Berna, E. Reale, che del resto,
sensibilissimo alle condizioni sociali dei suoi connazionali immigrati, 127 nel
1951 persuade la Svizzera a migliorarle con una nuova convenzione:
1 OA.
Circolare della divisione di polizia alle polizie cantonali degli stranieri, 18 aprile 1955
(E 2001 (E) 1970/217/205).
ì2i
RU, 1950/1, pp. 371—384.
«Messaggio del Consiglio federale ... concernente l'approvazione di una convenzione tra
la Svizzera e l'Italia sulla sicurezza sociale», 4 marzo 1963 (FF, 1963/1, p. 281).
Vedi la testimonianza di Francesco Antinori, segretario privato del ministro Reale a
Berna fino al 1951, «Al servizio della Repubblica», in Egidio Reale e il suo tempo (cit.
in nota 82), pp. 169—194.
50
quest'ultima, firmata a Roma il 17 ottobre dallo stesso Reale, sopprime la
precedente riduzione di un terzo per le rendite AVS degli assicurati
italiani. 128
Qui ci pare necessario un inciso sulla personalità e sul ruolo di Reale, anche
perché la sua presenza a Berna — come ministro dal gennaio 1947, come
ambasciatore dal marzo 1953 alla primavera 1955 — coincide con un periodo chiave per la ripresa e lo sviluppo dell'immigrazione. Benché non
diplomatico di carriera, l'avvocato repubblicano Reale conosce bene la
Svizzera, ove è giunto profugo nel 1926 per sfuggire al fascismo,129 dopo
un breve rientro in patria alla fine della guerra, perciò, nel 1947 è nominato
dal ministro degli esteri (P. Nenni) primo rappresentante della nuova Repubblica a Berna, ove si segnala, come visto poc'anzi, per il notevole impegno a favore dei connazionali. Ammiratore da lunga data delle nostre istituzioni democratiche, egli non esita però a difendere con grande energia la
loro causa, sia con le autorità federali sia con gli imprenditori; F. Antinori,
suo segretario privato a Berna, definirà quello di Reale un impegno di «lotta
su due fronti che venivano a trovarsi alleati», aggiungendo:
«Gli svizzeri (particolarmente i datori di lavoro privati) volevano bensì che
la mano d'opera affluisse, ma solo quella che volevano loro, il più a buon
mercato possibile e con le minime garanzie. In questo ... i loro interessi si
trovavano a coincidere con quelli di certi sfruttatori della miseria italiana,
purtroppo italiani anch'essi, che nella ripresa dell'emigrazione avevano
immediatamente intravisto vaste possibilità di lucro e d'influenza e si trasformavano in veri negrieri per lucrare percentuali di sangue su ogni "unità"
trasportata oltre frontiera, senza naturalmente curarsi affatto di quello che
sarebbe poi stato il destino delle loro vittime, interessati come erano soltanto
a che fossero molte. L'ultima cosa di cui si preoccupavano, pertanto, era la
stipulazione di contratti di tariffe e di garanzie.»130
Le carte dell'Archivio federale — specie la corrispondenza con R. Rubattel,
«Convenzione tra la Svizzera e l'Italia relativa alle assicurazioni sociali», approvata da
un decreto federale del 21 dicembre 1953 (RU, 1954/1, pp. 133—143).
129
130
Su Reale profugo in Svizzera, vedi il nostro libro Fra Roma e Berna..., cit. in nota 37.
Testimonianza cit. in nota 127, p. 186.
51
dal 1948 capo del Dipartimento dell'economia pubblica — confermano in
pieno questo impegno del ministro a favore dei connazionali e per il rispetto
dell'accordo del 1948. Il vigore di Reale è illustrato, ad esempio, dal suo
intervento perché l'Associazione degli impresari costruttori svizzeri non
imponga una politica discriminatoria verso i lavoratori edili del Meridione.
Il 28 marzo 1952 il presidente degli impresari, E. Fischer, in un telegramma
alla legazione chiede all'Italia 200 operai, ma precisando che deve trattarsi
di settentrionali;131 egli giudica «ridicolo, molto ridicolo» il rifiuto di questa
condizione da parte della rappresentanza diplomatica, che secondo lui vuole
imporre la «burocratizzazione» delle assunzioni, e aggiunge che gli impresari stanno già sostituendo gli italiani con manodopera germanica.132 Reale,
oltre a reagire esponendo il caso a Rubattel,133 in una lettera a Fischer respinge ogni tentativo di discriminazione regionale:
«...non posso ammettere che siano fatte e riconosciute distinzioni fra lavoratori italiani che non si basino sulle qualità e capacità di lavoro, ma siano
fondate sull'appartenenza ad alcune anziché ad altre regioni d'Italia.» 134
Nella stessa lettera il ministro minaccia di non concedere più facilitazioni
agli impresari e di attenersi scrupolosamente all'accordo italo-svizzero del
1948; ma a questo punto i suoi interlocutori hanno buon gioco a chiamare in
causa un paragrafo, a dir vero poco chiaro, dell'accordo stesso:
«Sarà tenuto conto per quanto possibile dei desideri espressi dai richiedenti
circa le regioni nelle quali i lavoratori richiesti dovrebbero essere di preferenza reclutati.»135
L'incidente si chiude provvisoriamente grazie a un colloquio fra Rubattel
131
Copia del telegramma in E 7001 (B) 1/458.
1 "\O
A partire dal 1951, in effetti, i permessi a lavoratori edili di provenienza tedesca aumentano dai 313 dell'anno precedente a 2-913, ma tale aumento non intacca il quasi monopolio italiano nel settore: 25-529 permessi nel 1951 (83 % del totale), 41-395 nel 1954
(82 % del totale). Vedi la tabella cit. in nota 115.
133
Lettera del 24 aprile 1952 (E 7001 (B)l/458).
134
Lettera del 24 aprile 1952 (ibid.).
135
Art. 6, par. 2.
52
(che ha rapporti molto cordiali con Reale) e i delegati degli impresari.
Questi, benché rincresciuti di avere offeso il diplomatico italiano, si giustificano invocando.
«les relations personnelles, confiantes et anciennes qu'ils entretiennent avec
de très nombreux spécialistes italiens du Nord; ces derniers désignent,
pratiquement, eux-mêmes leurs remplaçants, s'ils sont empêchés, et recommandent directement aux entrepreneurs ceux de leurs compatriotes
désireux de travailler en Suisse.»136
Ritroviamo qui, come si vede, la divergenza tra Roma e Berna in materia di
assunzioni, divergenza non completamente risolta dall'accordo del 1948.
Altri esempi della passione con cui Reale si interessa agli immigrati sono i
suoi ripetuti interventi per migliorare le dure condizioni imposte ai braccianti italiani: nel 1951 egli se ne lamenta per la prima volta con Â. Zehnder, capo degli affari politici nel Dipartimento politico federale, rilevando
— stando a un appunto del dicastero — «que certains paysans font travailler
ces ouvriers 14 heures par jour et les traitent comme des nègres». 137 Reale,
che intende proporre a Roma di vietare in futuro il lavoro in Svizzera ai
braccianti italiani, non nasconde di voler compilare «liste nere» dei proprietari agricoli che maltrattano il personale italiano, ma la minaccia non sembra allarmare troppo il Dipartimento politico: nel medesimo appunto, infatti, si legge che «quant au gouvernement italien, il est peu probable qu'il
tienne compte des suggestions de son ministre à Berne, eu égard à notre
attitude très comprehensive». Ma il ministro d'Italia ha già parlato dei
braccianti anche col responsabile dell'economia pubblica, Rubattel, che
solleva la questione in Consiglio federale.138 Qui il capo del Dipartimento
politico, M. Petitpierre, esorta il collega a non mettere direttamente in
contatto Reale e i rappresentanti dell'agricoltura svizzera, per «ragioni di
principio» e per non creare un «precedente pericoloso»: a suo avviso le
discussioni fra le due parti devono svolgersi unicamente per il tramite go-
136
Lettera di Rubattel a Reale, 26 maggio 1952 (E 7001 (B) 1/458).
137
Appunto del 19 settembre 1951 (E 7001 (B) 1/543), cit. anche da M. Penenoud (vedi
nota 48).
138
Lettera di M. Petitpierre a Rubattel, 21 settembre 1951 (E 7001 (B) 1/543).
53
vernativo.139
Nel 1953 Reale interviene ancora a favore dei braccianti, anche perché il
Bollettino quindicinale dell'emigrazione, pubblicato dalla Società Umanitaria di Milano, ha denunciato maltrattamenti nei loro confronti; alcuni
immigrati hanno fatto domanda di rimpatrio, mentre in Italia un movimento
d'opinione chiede già di riesaminare il problema dell'emigrazione agricola. 140 Grazie all'intervento di Rubattel, il Segretariato svizzero dei contadini
a Brugg procede allora a inchieste interne, che minimizzano i casi denunciati. In settembre, poi, hanno luogo due visite d'ispezione a imprese agricole della Svizzera tedesca, visite cui partecipano membri della Legazione
d'Italia, dell'UFIAML e dell'Unione svizzera dei contadini; il 6 ottobre il
Segretariato dei contadini scrive a Rubattel che, stando alle conclusioni dei
partecipanti, le accuse del Bollettino sarebbero infondate.141 Da parte svizzera si evoca poi la necessità che la legazione intervenga sul quindicinale,
per informarlo sulla situazione reale dei braccianti,142 ma ancora nel 1956 il
Bollettino, pur precisando che i braccianti in Germania stanno peggio che in
Svizzera, scrive che, «come altra volta abbiamo detto e documentato, le
condizioni di vita e di lavoro dei nostri emigrati agricoli in Svizzera sono
durissime, specialmente per il lunghissimo orario di lavoro».143
L'ambasciatore Reale interviene anche per migliorare le condizioni degli
operai nei cantieri idroelettrici della Maggia, già sede di molti incidenti
mortali. In una lettera del 2 settembre 1953 144 egli scrive a Rubattel:
«Depuis deux ans il y a eu trop d'accidents sur ces travaux. La seule liste
des accidents mortels a rejoint un chiffre qui n'a jamais été atteint dans
139
" Rubattel concorda poi con Petitpierre: vedi la sua lettera del 29 settembre al collega
(ibid.).
140
Lettera del 13 agosto a Rubattel (E 7001 (B) 1/458).
14l
Ibid.
1
Lettera di Rubattel al Segretariato svizzero dei contadini, 28 gennaio 1954 (ibid.).
143No i 4 _ u ) 2J luglio 1956. Una copia del Bollettino, trasmessa dal console di Svizzera
a Milano, si trova in E 2001 (E) 1970/217/205.
144
E 7001 (B) 1/458.
54
d'autres chantiers et au cours d'autres travaux en Suisse, même quand les
mesures de protection n'étaient pas développées comme à présent. Je ne me
cache pas qu'il y a douloureusement des accidents que l'on ne peut pas
empêcher ou prévoir dans des travaux tels que ceux de la Valle Maggia.
Mais le nombre des morts — 36 pour les seuls Italiens — est tel qu'il justifie le doute que les mesures de protection nécessaires et indispensables
quand il s'agit de la sauvegarde de vies humaines, n'ont pas été et ne sont
pas prises. J'ai été récemment en Valle Maggia lors du dernier accident qui
a coûté la vie à cinq ouvriers. Et j'ai devant les yeux la vision de ces cinq
cercueils et du désespoir tragique des familles et des camarades de travail.»
Rubattel, che ritiene fondate queste lagnanze, 143 organizza un incontro fra
Reale e il presidente delle Officine idroelettriche della Maggia, il consigliere
di Stato ticinese Nello Celio. Questi tende però a scagionare l'impresa, come
scrive poi allo stesso Rubattel:
«Noi siamo persuasi di aver fatto tutto il possibile per prevenire questi gravi
incidenti, la cui maggioranza è purtroppo da ascrìvere a negligenza degli
operai stessi. Sulla scorta dell'ampia documentazione in nostro possesso
possiamo dimostrare che in rarissimi casi è documentabile una responsabilità dell'impresa, e mai una responsabilità della direzione dei lavori.» 146
4.3 L'accordo italo-svìzzero del 1948 e lo sviluppo
dell'immigrazione italiana negli anni '50
L'accordo del 1948 offre l'assetto entro cui si sviluppa l'immigrazione
italiana fino al 1964, ma sarebbe errato considerarlo la causa
dell'incremento migratorio avvenuto negli anni '50; come sappiamo, anzi,
uno dei suoi scopi era rendere più difficile agli italiani l'ottenimento del
permesso di domicilio. Causa diretta del brusco aumento avutosi a partire
dal 1951, invece, è la congiuntura economica internazionale creatasi con la
guerra di Corea; lo confermano eloquentemente i permessi di lavoro con-
145
146
Vedi il suo biglietto del 4 settembre 1953 al direttore dell'Ufficio federale delle assicurazioni sociali, Saxer (ibid.).
Lettera del 23 settembre 1953 (ibid.).
55
cessi in Svizzera nel 1951, quasi raddoppiati rispetto al 1950:
— 75-210 (compresi stagionali e frontalieri) nel 1950, di cui 45-975 (61 %)
agli italiani
— 136-775 nel 1951, di cui 82-104 (60 %) agli italiani. 147
Benché in misura minore, la progressione continua negli anni seguenti,
riesumando lo spettro dell' Ueberfremdung e creando reazioni allarmate nei
sindacati svizzeri. Berna tenta allora di "misurare" il rischio
d'inforestierimento, che vede soprattutto negli stranieri aspiranti a una
dimora stabile: in effetti dopo l'accordo del 1948, che ha portato a 10 anni il
periodo minimo per concedere il domicilio agli italiani, nel 1950 la stessa
clausola è stata imposta agli austriaci e nel 1953 lo sarà ai tedeschi. Poiché i
censimenti decennali e gli altri rilevamenti non rivelano quanti stranieri
intendano stabilirsi in Svizzera, nel 1952 l'UFIAML svolge un'inchiesta
speciale sulla permanenza media della manodopera immigrata. Riassunti
dal suo direttore, M. Kaufmann, eccone i principali risultati:
«11 % de l'effectif [dei lavoratori stranieri controllati] séjournaient depuis 5
ans ou plus lors du relevé et près de 24 % se trouvaient en Suisse depuis 2 à
4 ans. Ces données confirment l'opinion ..., selon laquelle la plupart des
étrangers admis depuis la fin de la guerre sont repartis après un séjour plus
ou moins prolongé. La plupart des travailleurs agricoles et des personnes
occupées dans l'alimentation, ainsi que la majorité des ouvriers travaillant
dans l'industrie des métaux et des machines ne séjournent que durant une
période relativement brève en Suisse, alors que la moitié des étrangers
travaillant dans les professions commerciales, l'habillement, la toilette et
l'industrie textile résident déjà depuis quelques années dans notre pays.
Les Italiens représentent à eux seuls plus des 4/5 des 13-000 travailleurs
étrangers séjournant dans notre pays depuis 5 ans et plus.» 148
E questa è la conclusione tratta dal direttore dell'UFIAML:
Tabella cit. in nota 115. Questi dati, come già visto, sono certo più completi dei rilevamenti annui effettuati in febbraio dall'UFIAML a partire dal 1949, che non comprendono
i lavoratori stagionali.
Riassunto della comunicazione di M. Kaufmann alla conferenza dei capi dei dipartimenti
cantonali della polizia e del lavoro, 16 aprile 1953 (E 2001 (E) 1970/217/205).
56
«Si les résultats de l'enquête prouvent que la situation n'a encore rien
d'alarmant, ils n'en démontrent pas moins clairement que le moment est
venu d'examiner quelles mesures pourraient être prises, le cas échéant, pour
lutter contre un accroissement anormal de l'effectif des travailleurs étrangers. Plus la période d'intense activité économique se prolonge, plus le
danger de la surpopulation étrangère s'accroît...».149
Proprio per decidere queste misure preventive, il 9 aprile 1933 ha luogo a
Berna un'importante riunione di preparazione a una conferenza che riunirà,
alcuni giorni dopo, i responsabili cantonali dei dipartimenti di polizia e
degli uffici del lavoro. Vi partecipano i principali funzionali interessati alla
politica immigratoria: H. Rothmund per la divisione di polizia, il ministro
Zehnder per il Dipartimento politico, M. Kaufmann e A. Jobin per
l'UFIAML, O. Zipfel in quanto «delegato alle possibilità di lavoro». Zipfel
evidenzia gli effetti molto positivi della guerra di Corea sulle esportazioni
svizzere; il conflitto ha avvantaggiato la nostra economia, mentre
un'eventuale pace la danneggerebbe:
«Kommt eine Verständigung mit Russland zustande, so müssen wir damit
rechnen, dass die Wirtschaft schlechter gehen wird. Die Rüstung wird
sowohl im Ausland wie auch in der Schweiz verlangsamt. Eine Periode der
politischen Beruhigung wird unserer Wirtschaft Schaden bringen. Die
ausländische Wirtschaft wird Friedensartikel herstellen, und wir werden die
ausländische Konkurrenz stärker spüren.»150
Dato il possibile ritorno della recessione, secondo Zipfel è bene limitare la
manodopera straniera e informarne gli imprenditori: in caso di crisi e disoccupazione, i sindacati non mancherebbero di criticare la politica di Berna.
Anche gli altri partecipanti temono una possibile inversione congiunturale
con molti senza lavoro: come chiede Rothmund, quindi, per impedire che i
lavoratori stranieri s'insedino stabilmente occorre concedere, di norma, solo
permessi stagionali. L'intervento di Zehnder, concernente soprattutto gli
italiani, è interessante per le sue considerazioni politiche ispirate direttamente dal contesto della guerra fredda, in base a cui la Svizzera ha tutto
150
Appunto sulla riunione del 9 aprile 1953 (E 4001 (D) 1973/125/39).
57
l'interesse ad aiutare la vicina Italia:
«Italien hat einen grossen Ueberschuss an Arbeitskräften, die es nicht selbst
absorbieren und auch nicht leicht absetzen kann. Vom Standpunkt der
Neutralität und Solidarität aus besteht eine gewisse Verpflichtung, den
Italienern zu helfen. Sonst riskieren wir den Kommunismus einmal in
Italien, also entlang unserer langen Südgrenze, zu haben. Ich würde dafür
plädieren, dass man den Italienern gegenüber sehr large ist, wenn sie
hauptsächlich für die Saison kommen. Es handelt sich hier um eine schweizerische Verpflichtung im internationalen Rahmen. Unsere Liberalität geht
aber nicht dahin, dass die Italiener hier sesshaft werden, sondern dass wir
den Ueberfluss der Arbeitlosen zeitweise abnehmen helfen.»151
Dunque anche Zehnder, pur sottolineando che occorre aiutare l'Italia per
solidarietà contro il rischio comunista, propone di lasciar venire in Svizzera
solo gli stagionali, facilmente rinviatoli in caso di difficoltà economiche; e
su questo punto i partecipanti sono unanimi. Una lista di «suggerimenti»
per prevenire aumenti straordinari di manodopera straniera, preparata di
comune accordo, viene poi presentata dal direttore dell'UFIAML alla conferenza del 16 aprile. Eccone i punti principali:
«l)N'accorder, chaque fois que les circonstances le permettent, qu'une
autorisation saisonnière dans toutes les professions où pareille possibilité
peut être envisagée...
2) Tâcher d'obtenir des employeurs qu'ils signalent à l'autorité cantonale
compétente les travailleurs étrangers qui ne donnent pas satisfaction du
point de vue professionnel ou du caractère. On ne renouvellera pas leur
permis de séjour et on ne les autorisera pas à changer d'emploi dans
l'intervalle.[...]
4) Tâcher d'obtenir des employeurs qu'ils licencient non seulement les
travailleurs étrangers qui ne donnent pas satisfaction, mais aussi la
main-d'œuvre qui n'est pas spécialement qualifiée et dont ils pourraient
à la rigueur se passer en cas de fléchissement de l'activité dans
l'entreprise.[...]
5) Se montrer très prudent lors de l'examen de demandes de changement
de profession.!...]
151
Jbid. Il corsivo è nostro.
58
6) Enfin,... user de prudence lors de l'admission des membres de la famille
du travailleur étranger dont le séjour dans notre pays est considéré
comme provisoire.»152
Concludendo il suo intervento di fronte ai responsabili cantonali, Kaufmann
ammette che «sans doute notre pays devra payer le prix de l'aide fournie à
notre économie par la main-d'œuvre étrangère à laquelle on a dû recourir
pour faire face à des besoins extraordinaires», ma aggiunge subito:
«Ne serait-ce toutefois pas payer un prix exagéré les services rendus par
cette main-d'œuvre que de devoir accorder l'établissement à demeure à une
grande partie des travailleurs étrangers admis depuis la guerre? On ne
saurait raisonnablement faire à la Suisse le reproche d'éviter d'accepter une
hypothèque aussi lourde, surtout si l'on considère que les travailleurs
étrangers n'ignoraient pas que leur séjour dans notre pays n'aurait qu'un
caractère temporaire.»153
Contrariamente alle previsioni pessimistiche degli esperti svizzeri,
l'armistizio seguito alla guerra di Corea (luglio 1953) non danneggia la
nostra economia: la congiuntura resta buona e la domanda di lavoratori
stranieri aumenta ancora, salvo un rallentamento passeggero nel 1959." 4
Né sembra seguito da effetti pratici significativi il suggerimento di
Kaufmann teso a privilegiare l'immigrazione stagionale, caratterizzata
soprattutto dall'impossibilità quasi assoluta di far venire in Svizzera la famiglia: le statistiche, infatti, mostrano un calo tendenziale degli stagionali
sul lungo perìodo. Nel 1954, come già nel 1953, il 44 % circa dei permessi
di dimora concessi per la prima volta a lavoratori stranieri va agli stagionali. Nei censimenti UFIAML della manodopera straniera «sotto controllo»
(annuale, stagionale e frontaliera), svolti in agosto a partire dal 1955, gli
Testo dell'intervento di Kaufmann, allegato al verbale della conferenza del 16 aprile
1953 e da Rothmund inviato, col verbale, ai responsabili cantonali (E 2001 (E)
1970/217/205).
T^el 1959 ottengono permessi di dimora «iniziali» (cioè concessi per la prima volta)
274-000 lavoratori stranieri, contro i 298-000 nel 1957 (i dati del 1958 non sono disponibili). Anche i censimenti svolti in agosto dall'UFIAML indicano solo 365-000 lavoratori stranieri «sotto controllo» nel 1959, contro i 377-000 del 1957. Vedi La Vìe
économique (articolo cit. in nota 11), p. 453.
59
stagionali tendono a diminuire regolarmente: 33 % del totale nel 1956, sono
solo il 28,6 % nel 1964. La stessa tendenza vale per gli italiani (fra cui però
— data la forte presenza in settori a carattere stagionale come quelli agricolo, edile e alberghiero — la percentuale degli stagionali è molto più alta):
nel loro caso va agli stagionali il 64 % dei permessi di dimora «iniziali» nel
1954 (come nel 1953), ma gli stagionali censiti in agosto scendono regolarmente dal 46,5 % del 1956 al 36 % nel 1964.155 Nonostante le proposte di
Berna ai cantoni, quindi, gli stagionali continuano a diminuire perché, dopo
alcune stagioni in Svizzera, accedono allo statuto dei lavoratori annuali,
relativamente più sicuro.
L'aumento costante degli stranieri negli anni '50 allarma i sindacati svizzeri, che esigono dal governo maggiore rigore: il 29 novembre 1955, su loro
richiesta, si tiene a Berna una conferenza cui partecipano, oltre a membri
dell'Unione sindacale svizzera (USS) e dell'Associazione svizzera degli
impiegati, anche i responsabili dell'UFIAML, della divisione di polizia e
della polizia degli stranieri. A nome dell'USS, il consigliere nazionale
Steiner espone con molta energia l'inquietudine della base operaia e sindacale per lo sviluppo eccezionale del fenomeno, come pure la sua opposizione
agli imprenditori che invece vorrebbero accentuarlo:
«Doch hat die Einwanderung in der letzten Zeit das tragbare Mass überschritten, was zu einem Unbehagen in der Arbeiterschaft geführt hat. Der
"Druck von unten", von den Mitgliedern der Gewerkschaften, auf energische Massnahmen gegen den Zustrom von Ausländern ist in der letzten Zeit
deutlich stärker geworden und könnte einmal zu unüberlegten Handlungen
führen, namentlich als Reaktion zu den Forderungen von Seiten der Arbeitgeber in der Presse, die Einwanderung sollte erleichtert und die Zulassungspraxis gelockert werden. Bei einem Oeffhen der Schleusen ginge aber der
Arbeitsfriede bald in die Brüche. Die Ausländer arbeiten vielfach zu
schlechtem Bedingungen als die Schweizer, was auf die einheimischen
Arbeiter nachteilige Auswirkungen hat.» 156
'Percentuali tratte dalla tabella cit. in nota 115 e da La Vìe économique (articolo cit. in
notali).
lì6
Protocollo della conferenza, 1° dicembre 1955 (E 7001 (B) 1/543).
60
Steiner attribuisce in parte la responsabilità della situazione alla mancanza
di coordinamento fra i cantoni, da cui dipende l'applicazione concreta delle
direttive federali: alcuni praticano una politica troppo lassista in materia
d'immigrazione, e in genere vi è troppo scarsa la collaborazione tra uffici
del lavoro e polizia degli stranieri. Anche lui evoca l'eventualità di una crisi
economica e delle difficoltà che creerebbe allora la forte eccedenza di
manodopera straniera; chiede perciò la piena applicazione dei suggerimenti
fatti dairUFIAML nel 1953, e infine dichiara:
«Es wird in aller Form erklärt, dass die Gewerkschaften einer allfälligen
Lockerung der Zulassungspraxis und einem Oeffiien der Schleusen den
schärfsten Kampf ansagen. Nötigenfalls müsste der Kampf in der Bundesversammlung ausgefochten werden.»
Il direttore dell'UFIAML, Kaufmann, minimizza allora il pericolo
à&WUeberfremdung, «che non è cosi grande né cosi vicino», e ricorda
l'inchiesta speciale del 1952, secondo cui la maggioranza degli stranieri
tende a lasciare il paese dopo un periodo lavorativo più o meno lungo: una
seconda inchiesta analoga l'ha appena confermata.157 Il nuovo capo della
divisione di polizia, Jezler, pur condividendo in parte l'inquietudine dei
sindacati, afferma che «le chiuse non sono state affatto aperte»; al termine,
Kaufmann promette che inviterà i cantoni a un maggiore rispetto delle direttive federali.
Ma la situazione non cambia negli anni seguenti e, data soprattutto la forte
pressione padronale, segna anzi un'accelerazione del flusso immigratorio
(377-000 lavoratori stranieri recensiti dall'UFIAML nell'agosto 1957,
contro i 271-000 del 1955). Non stupisce perciò che i sindacati esprimano di
nuovo il loro malcontento: lo mostra con chiarezza, per esempio, l'articolo
di Jean Mori, segretario dell'USS, pubblicato il 5 giugno 1957 dalla socialista Berner Tagwacht col titolo «Genug der ausländischen Arbeitskräfte in
157
«Am 1. Oktober 1955 sind, in runden Zahlen, an kontrollpflichtigen auslandischen Arbeitnehmern gezählt worden: 2-100, die bereits seit 8 Jahren ununterbrochen hier anwesend sind, 4-800 seit 9 Jahren, 4-000 seit 7 Jahren, 2-900 seit 6 Jahren, 4-500 seit 5
Jahren, 11-900 seit 4 Jahren und 16-500 seit 3 Jahren.» Testo dell'intervento di
Kaufmann, allegato al protocollo cit. in nota 136.
61
der Schweiz!».138 Il testo è interessante perché riassume bene la posizione
sindacale sull'immigrazione di manodopera, denunciandone gli effetti
negativi per l'intera classe operaia elvetica: certi imprenditori, infatti, la
sfruttano come un comodo mezzo per intaccare le convenzioni collettive e
comprimere i salari. Mori precisa che non è mosso da ostilità per gli stranieri (e ricorda che molti di loro sono costretti a vivere in alloggi malsani,
spesso in baracche), ma scrive anche:
«Immer mehr Klagen laufen auch über den Egoismus einer grossen Zahl
ausländischer Arbeitskräfte ein, welche sich weigern, den gewerkschaft-1
liehen Organisationen beizutreten, die ihre Interessen wirksam zu verteidigen in der Lage sind.»
Egli afferma, inoltre, che il ricorso sempre più massiccio agli stranieri
contribuisce all'alta congiuntura, con effetti inflazionistici penalizzanti per
chi vive di pensioni, di rendite e di piccoli risparmi nonché per i lavoratori
in genere, e conclude dicendo che in materia di manodopera estera «il lìmite
estremo è stato oltrepassato». Il suo articolo, benché esaminato seriamente
dai responsabili federali della politica immigratoria, per quanto ne sappiamo
non produrrà effetti concreti.159
4.4 La posizione ufficiale della Svizzera sull'ammissione delle
famiglie dei lavoratori italiani
Negli anni 'SO, in seguito alla forte immigrazione, il tema del ricongiungimento tra immigrati e loro familiari suscita vive discussioni fra Roma e
Berna. Ufficialmente la questione è sollevata per la prima volta dall'Italia
nel giugno 1954, nella commissione consultiva italo-svizzera prevista
dall'accordo del 1948: in base a considerazioni etiche e sociali, gli italiani
chiedono di facilitare il più possibile la concessione di permessi di dimora
alle famiglie dei loro emigrati. Da parte elvetica ci si dichiara semplicemente disposti a «recommander aux cantons de tenir compte, dans la mesure du
lî8
Copia dell'articolo si trova in E 4001 (D) 1973/125/39.
Vedi l'analisi dell'articolo compiuta il 22 luglio 1937 da Mader, capo della polizia degli
stranieri, per il capo del Dipartimento federale di polizia, M. Feldmann (ibid.).
62
possible, des circonstances particulières et des considérations d'ordre
humanitaire».160
H 18 aprile 195S una circolare della divisione federale di polizia agli organi
cantonali di polizia degli stranieri traccia una netta distinzione tra stagionali e non stagionali. Per i primi il problema della famiglia è presto liquidato, «puisque de tout temps les saisonniers ont eu l'habitude de vivre séparés
de leur famille pendant la saison»,161 mentre il discorso sui secondi, più
articolato, denota la consueta "psicosi della crisi":
«II n'est pas douteux, si la famille vient vivre en Suisse, que cela contribue à
relâcher ou même à rompre les liens du travailleur avec son pays et à lui
créer, en Suisse, des attaches qui rendront son départ plus difficile le jour où
il deviendra une charge pour notre marché du travail. Par là, le problème
des familles des travailleurs italiens se rattache au problème général et si
important qui se posera nécessairement un jour, du départ des travailleurs
étrangers dont nous n'aurions plus l'emploi et qui seraient une lourde
charge pour le pays si notre situation économique cesse d'être aussi favorable qu'elle l'est aujourd'hui.»
Ma il problema ha anche risvolti sociali ed umani, particolarmente gravi per
i figli in Italia:
«En refusant systématiquement aux familles des travailleurs italiens
l'autorisation de venir vivre avec leur chef de famille, on risque, surtout si la
séparation dure des années, de rompre tout lien familial; s'il y a des enfants,
ceux-ci peuvent souffrir toute leur vie d'avoir été privés de l'autorité de leur
père dans une période où ils en avaient le plus grand besoin, n convient
donc d'éviter de prendre des décisions trop dures, qui pèseraient lourdement
sur le travailleur étranger et sa famille et qui pourraient blesser le sens
d'humanité de la population suisse.»
La circolare conclude che, pur con molta cautela, non bisogna fare del rifiu-
Circolare della divisione federale di polizia alle polizie cantonali degli stranieri, 18
aprile 1955 (E 2001 (E) 1970/217/205).
63
to una norma assoluta ma esaminare caso per caso, tenendo conto dei possibili inconvenienti. Se non c'è rischio che il lavoratore usi la famiglia come
pretesto per stabilirsi definitivamente in Svizzera, o se la presenza del lavoratore continua ad essere necessaria per il paese, la sua richiesta andrà
esaminata con benevolenza.162
Negli anni seguenti Roma continua a sollecitare concessioni in materia. Nel
maggio 1956, in previsione dell'incontro di Petitpierre col presidente Gronchi e col ministro Martino nel cinquantesimo del traforo del Sempione, una
nota del Dipartimento politico163 consiglia prudentemente di non toccare
con gli ospiti italiani questo «problema spinoso» (che peraltro nessuno dei
due solleverà). L'ambasciatore d'Italia succeduto nel 1933 a Reale, M.
Coppini, interviene invano più volte, avanzando proposte per uno sblocco
almeno parziale: ad esempio quella di accettare le famiglie dei metallurgici,
respinta da Berna perché discriminatoria,164 o quella di ammettere le famiglie di chi è nel paese da 2—3 anni e svolga attività senza carattere stagionale.163 In mancanza di soluzioni la situazione resta molto penosa per i
lavoratori, anche perché in genere i cantoni si mostrano rigidi, specie coi
figli di genitori che lavorino entrambi in Svizzera: un funzionario del Dipartimento politico, dopo aver incontrato un diplomatico italiano, scrive che
questi gli ha citato «des exemples assez choquants de parents qui ont dû se
séparer d'un jour à l'autre de leurs enfants nés pendant leur séjour en
Suisse»,166 quindi suggerisce:
«Pour conclure, j'ai donc eu l'impression que l'Ambassade cesserait de nous
harceler si on lui laissait entendre qu'on examinait sérieusement le
problème et qu'entretemps on appliquait avec moins de rigidité le règlement
actuel.» 167
162
ibid.
Nota per il capo del Dipartimento politico, 9 maggio 1936 (ibid.).
164
Nota per il ministro Zehnder, 4 giugno 1936 (ibid.).
165
Nota di Zehnder per il capo del Dipartimento politico, 16 maggio 1936 (ibid.).
Appunto del funzionario Lepori per il ministro Zehnder, 14 giugno 1936 (ibid.).
l67
Ibid.
64
Il consiglio è ascoltato: il 4 luglio 1956, nella riunione interna tra il ministro Zehnder (capo degli affari politici), il direttore dell'UFIAML e un responsabile della polizia degli stranieri,168 tutti sono convinti che occorra
liberalizzare la prassi in vigore verso le famiglie degli italiani. Ma come
conciliare i principi di umanità con gli inconvenienti di un afflusso massiccio delle famiglie, specie nel campo degli alloggi e della scuola? Inoltre
l'Austria e la Repubblica federale tedesca, fornitrici anch'esse di lavoratori
alla Svizzera, chiederebbero anch'esse le stesse concessioni...
Ma anche un altro aspetto del problema preoccupa i partecipanti alla riunione: la Svizzera deve adeguarsi ai principi dell'Organizzazione europea per
la cooperazione economica (OECE) sui lavoratori emigrati: pur non avendo
aderito nel dopoguerra al Piano Marshall, essa infatti è membro dell'OECE,
sorta nell'aprile 1948 con l'incarico iniziale di ripartire gli aiuti americani
all'Europa. 169 Il 30 ottobre 1953, per liberalizzare il mercato eropeo del
lavoro, l'OECE ha raccomandato la concessione del domicilio definitivo ai
lavoratori provenienti dai paesi membri, dopo una presenza di 5 anni; 170 ma
l'ottenimento del domicilio implica per lo straniero il diritto di far venire la
propria famiglia. Il principio dell'OECE — ben più generoso della prassi
adottata con l'accordo italo-svizzero del 1948, che prevede 10 anni di soggiorno minimo — induce i partecipanti a chiedere un intervento di Berna
sui cantoni, affinchè questi accolgano più generosamente le famiglie dei
lavoratori italiani; si prevede perciò di riunire tutti i direttori delle polizie
cantonali. Convocata dal capo del Dipartimento di giustizia e polizia, M.
Feldmann, la conferenza avrebbe lo scopo, come scrive Zehnder in una nota
per Petitpierre,
1 /\R
1
Nota di Lepori per Petitpierre (con riassunto della riunione), 25 luglio 1936 (ibid.).
Vedi l'articolo di A. Fleury «Le patronat suisse et l'Europe: du Plan Marshall aux
Traités de Rome», in L'Europe du patronat. De la guerre froide aux années soixante.
Actes du colloque de Louvain-la-Neuve des 10 et 11 mai 1990, Berne, Peter Lang,
1993, pp. 165—189.
17O
I1 7 dicembre 1956 l'OECE riconfermerà la raccomandazione del 1953.
Sull'atteggiamento elvetico di fronte alle sue direttive, nonché sugli sforzi per far riconoscere la situazione speciale della Svizzera, vedi l'importante rapporto congiunto del
Dipartimento di giustizia e polizia e di quello dell'economia pubblica sul problema della
manodopera straniera, accettato dal Consiglio federale il 17 marzo 1958 (E 4001 (D)
1973/125/39).
65
«de créer un choc psychologique destiné à ébranler l'attitude absolument
rigide observée en cette matière principalement par les Cantons industriels,
surtout Zurich, et divers cantons de la Suisse orientale. Ils refusent strictement d'autoriser la venue des familles avant que l'intéressé ait 10 ans de
séjour.»*71
Ma il Dipartimento di giustizia e polizia rinuncia a convocare la riunione, 172 limitandosi a inviare, il 12 novembre 1956, una nuova circolare ai
dipartimenti cantonali di polizia, firmata dallo stesso Feldmann.173 Il testo
sottolinea che, contrariamente a quanto previsto nel primo dopoguerra,
l'immigrazione ormai non si può più considerare un fenomeno temporaneo,
data anche la stabilità della situazione economica; rimprovera ai cantoni,
inoltre, di non aver seguito abbastanza i consigli della circolare diramata
nell'aprile 1955 e di essere stati talvolta troppo rigidi. Per tentare di migliorare una situazione «poco soddisfacente» sul piano umano e sociale, poi, li
invita a rispettare tre criteri generali:
«... il faut autoriser la venue des membres des familles des travailleurs
étrangers s'il est établi, sur la base des conditions d'engagement de
l'étranger, de la situation générale du marché du travail dans la profession
qu'il exerce et des conditions économiques dans sa branche d'activité, qu'il
restera durablement dans notre pays. Nous estimons aussi que l'admission
de la famille est également indiquée lorsque l'étranger a occupé le même
emploi pendant plusieurs années, qu'il est arrivé à une certaine stabilité si
l'on considère le genre de son activité et ses qualifications personnelles et
professionnelles [...]. L'admission de sa famille renforcera sans doute ses
attaches avec notre pays et relâchera peut-être ses liens avec son pays
d'origine.[...]
Nous vous prions enfin aussi d'examiner avec bienveillance la possibilité
d'autoriser la venue de la famille ou de certains membres de la famille
lorsqu'un refus serait particulièrement dur en raison des circonstances
171
Nota del IO settembre 1956 (E 2001 (E) 1970/217/205).
172
Vedi la lettera del capo della polizia federale degli stranieri, Mader, al ministro Zehnder
(19 novembre 1956), che però non spiega le ragioni della decisione {ibid.).
1
'^Intitolata «Admission des familles des travailleurs étrangers» (ibid.).
66
personnelles ou de la famille du requérant.»
Feldmann ricorda, infine, che mantenendo una linea inflessibile la Svizzera
si esporrebbe a ripercussioni internazionali negative:
«...le mépris des considérations humanitaires e sociales blesserait avant tout
le sens de l'équité de notre population comme il porterait atteinte au renom
de notre pays à l'étranger et affaiblirait notre position à l'égard des organisations internationales qui s'efforcent d'arriver à une collaboration dans le
domaine économique et social.»174
Da questo breve sommario delle discussioni svizzere emerge una divergenza
sempre più netta fra Berna e cantoni: il governo, assillato dai continui interventi dei diplomatici italiani e preoccupato della nostra immagine internazionale, si mostra sempre più sensibile all'aspetto umano e sociale
dell'immigrazione, ma il sistema federalistico gli toglie, anche se li volesse
davvero, i mezzi sufficienti per imporre una politica più generosa ai cantoni
(specie se di grande peso economico, come Zurigo). Il problema della famiglia resta perciò fra i più scottanti; bisognerà aspettare l'accordo italosvizzero del 1964 perché Berna si risolva a concessioni di un certo rilievo in
questo campo.
4.5 II clima di guerra fredda e la politica della Svizzera
verso gli immigrati italiani
 prima vista, l'affermazione di un legame fra guerra fredda e politica svizzera in materia d'immigrazione può forse stupire. Siamo convinti, però, che
il contesto della guerra fredda vada preso in seria considerazione per capire
meglio l'atteggiamento di Berna verso l'immigrazione italiana, e non solo
nell'ottica della sorveglianza poliziesca sugli immigrati comunisti. Le nostre autorità sono preoccupate di una possibile vittoria del comunismo in
Italia, data la forza del PCI e la sua influenza in campo sindacale; in nome
del comune anticomunismo, esse possono oggettivamente avere interesse ad
allearsi con quelle italiane, accogliendo chi non trova lavoro nella Penisola
174
67
o mostrandosi comprensive verso le richieste di Roma. La nostra politica
immigratoria nel secondo dopoguerra dipende essenzialmente, beninteso,
dal fabbisogno di manodopera degli imprenditori; certi indizi, però, fanno
capire che Berna prende almeno in considerazione le implicazioni politiche
dell'immigrazione italiana.
Nel luglio 1946, quando questa riprende nel secondo dopoguerra, a Roma il
ministro di Svizzera è inquieto per un possibile influsso comunista fra gli
emigranti: è stato informato che gli uffici provinciali del lavoro sarebbero
legati alla Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), di tendenza
comunista, quindi favorirebbero le assunzioni di lavoratori comunisti. I suoi
timori sono poi confermati da un funzionario del Ministero degli esteri:
questi sottolinea che i maggiori vivai di operai per la Svizzera (Emilia, Toscana, Lombardia e Veneto) sono appunto le regioni più «rosse» d'Italia. 173
Con la guerra fredda cresce in Svizzera la paura del comunismo. Più che di
una novità, come ben sottolinea il rapporto pubblicato da G. Kreis, 176 si
tratta di un "ritorno alla norma" dopo il conflitto e la minaccia nazifascista:
Berna torna a una prassi di polizia e di sorveglianza risalente in fondo allo
sciopero generale del 1918, basata quasi solo sul pericolo comunista. Ma
ovviamente il clima di guerra fredda accentua questa prassi, tanto più che
dal 1935 la Confederazione può sorvegliare l'attività politica con la già
citata polizia federale. Quanto agli stranieri, risale proprio agli inizi della
guerra fredda il «Decreto federale concernente i discorsi politici di stranieri», del 24 febbraio 1948 e tuttora in vigore: gli stranieri senza permesso di
domicilio possono parlare su temi politici, in assemblee pubbliche o private,
solo se dispongono di un'autorizzazione speciale.177
Dopo lo scoppio della guerra in Corea (giugno 1950), il timore di una
sovversione comunista in Europa cresce d'intensità, anche fra i principali
responsabili elvetici. Molto rivelatore è quanto scrive in proposito, il 12
175
Lettera del ministro R. de Weck all'UFIAML, 1° luglio 1946. Cit. da M. Perrenoud
(vedi nota 48), p. 122.
176
Opera cit. in nota 22, p. 2Î8.
177
Art. 2 del decreto (RO, 1948, voi. 64/1, pp. 111—112). Sul decreto stesso e sul suo contesto politico, vedi G. Kreis, opera cit. in nota 22, pp. 173—176 e p. 373.
68
dicembre successivo, il capo della diplomazia svizzera, Petitpierre, al capo
di Stato maggiore generale dell'esercito:
«Sans doute une invasion militaire de l'Europe occidentale ne peut pas être
exclue. Toutefois il me paraît plus probable et plus conforme à la tactique
communiste que l'URSS cherchera à agir à l'intérieur des pays pour susciter
un renversement du régime et éventuellement une guerre civile. L'Autriche
semble être actuellement le pays le plus menacé. En Allemagne, les opérations seraient dirigées par la police ou les troupes de l'Allemagne orientale.
En France et en Italie, le parti communiste pourrait créer des troubles et
chercher à s'emparer du pouvoir par la force. L'Europe deviendrait le
champ d'une vaste guerre civile, dans laquelle les communistes, quelle que
soit leur nationalité, s'opposeraient aux troupes chargées de défendre le
Gouvernement.»178
Se il responsabile della nostra diplomazia è preoccupato anche da un possibile colpo di mano del PCI, un timore analogo esprime il ministro Zehnder, suo diretto subordinato, nella riunione interdipartimentale già citata del
9 aprile 1953, 179 per lui, come sappiamo, la Svizzera dovrebbe contribuire a
sventare il pericolo accogliendo più generosamente gli italiani (specie gli
stagionali), che altrimenti potrebbero essere utilizzati dai comunisti. Ma va
citata anche una riflessione di Petitpierre poco posteriore alla dichiarazione
di Zehnder: il 30 aprile 1953, dopo che l'ambasciatore Reale ha chiesto a
Berna di facilitare la partecipazione degli immigrati italiani alle elezioni del
7/8 giugno, il capo del Dipartimento politico scrive al collega Rubattel:
«Les ouvriers italiens à l'étranger qui gagnent plus que les travailleurs
italiens restés en Italie sont un élément de stabilité politique. Il est à prévoir,
et le gouvernement italien compte là-dessus, que les ouvriers italiens vivant
en Suisse voteront pour les partis de l'ordre et de la stabilité. Comme nous
ne désirons pas qu'un régime communiste s'installe à nos frontières, il est
aussi dans l'intérêt de la Suisse de trouver une formule permettant aux ou-
1
Cit. ibid., pp. 370—371. In generale, per una presentazione della nostra politica estera
nei primi anni di guerra fredda, presentazione basata sulle fonti dell'Archivio federale,
vedi l'articolo di Ch. Graf e P. Maurer «Die Schweiz und der Kalte Krieg 194S—1950»,
ta Studi e Fonti, n° 11, Berna, 1985, pp. 5—82.
179
Vedi sopra, p. 56-57.
69
vriers italiens travaillant en Suisse d'aller voter dans leur pays.» 180
Rubattel concorda subito con Petitpierre, quindi l'UFIAML può emanare
direttive sui congedi per gli italiani che intendono votare. Nonostante una
certa reticenza dei cantoni e delle associazioni padronali, si organizzano 31
treni speciali per trasportare in Italia i votanti 181 . La cosa si ripete regolarmente alle elezioni successive: se nel 1958 si calcola che circa 90-000
elettori su 250-000 (cioè il 36 %) rientrino in patria, nel 1963 il loro numero
è stimato a circa 180-000, pari a quasi il 40 % degli immigrati.182
Stando alla lettera di Petitpierre citata, l'Italia, tramite il suo ambasciatore a
Berna, cercherebbe di far capire alla Svizzera che i due paesi hanno un interesse politico comune. Anche in seguito i diplomatici italiani sfiorano il
tasto politico per ottenere da Berna concessioni in materia d'immigrazione:
lasciano intendere, cioè, che aderire a certe richieste dell'Italia significa
rafforzarne i partiti di governo, privando i comunisti di argomenti per attaccarli sul terreno della politica emigratoria.183 Anche il nostro ministro a
Roma segnalerà che certe campagne di stampa, volte a far leva sul malcontento dei lavoratori emigrati in Svizzera, sono alimentate da ambienti
comunisti.184
Più che alla minaccia comunista in Italia, comunque, Berna è direttamente
sensibile all'attività dei militanti o simpatizzanti comunisti italiani in territorio svizzero. Agli inizi degli anni '50, in seguito ad accordi fra il PCI e il
Partito svizzero del lavoro (PdL), nasce la Federazione di lingua italiana
del Partito svizzero del lavoro, con segretario ticinese (membro del comitato
direttivo del PdL) ma membri italiani (tenuti a prendere la tessera del PdL,
pur rimanendo membri del PCI); essa svolge propaganda comunista per le
180
Cit. da M. Perrenoud (vedi nota 48), p. 129. Il corsivo è nostro.
182
Vedi il rapporto del Dipartimento federale delle poste e delle ferrovie per il Consiglio
federale, 25 marzo 1963 (E 7175 (B) 1978/57/33).
18J
Vedi, ad esempio, l'accenno all'«interesse politico» fatto dall'ambasciatore Coppini, intervenuto presso un funzionario del Dipartimento politico perché vengano accolte le famiglie italiane: nota del 5 febbraio 1957 (E 2001 (E) 1970/217/205).
184
Lettera al Dipartimento politico, 21 dicembre 1956 (ibid.).
70
elezioni in Italia, forma politicamente i militanti, organizza collette per
l1Unità, si batte per migliorare le condizioni salariali e lavorative degli
operai immigrati. Con l'aumento di questi ultimi a partire dal 1951,
aumentano anche gli iscrìtti alla Federazione, attiva soprattutto nella Svizzera tedesca industriale e particolarmente intorno a Zurigo (circa 200 nel
1952 ma 542 nel 1954, di cui 150 a Zurigo, 80 a Baden e 70 a Winterthur,
solo pochi nella Svizzera francese). Poiché però i suoi responsabili stimano
a oltre 5-000 gli immigrati membri del PCI, è chiaro che questi, una volta in
Svizzera, in grande maggioranza non s'iscrivono.185
Il 1° giugno 1955 la polizia federale e il Ministero pubblico fanno scattare
una retata di arresti, seguita dall'espulsione di 20 membri della Federazione
ma anche, come vedremo, da discrete ripercussioni sui rapporti con l'Italia.
Tutto incomincia con informazioni raccolte dalla polizia zurighese su attività di militanti comunisti, specie nella ditta Sulzer di Winterthur (il cui capo
del personale, inoltre, comunica a un alto funzionario della polizia federale
la presenza di cellule comuniste nella fabbrica).186 Identificati con
un'inchiesta discreta vari responsabili della Federazione a Winterthur e
altrove, polizia federale e Ministero pubblico preparano un'operazione le cui
modalità, sottoposte al capo del Dipartimento di giustizia et polizia, M.
Feldmann, sono approvate il 21 marzo 1955 dal Consiglio federale. In
quella sede il capo del Dipartimento militare, P. Chaudet, dichiara
«dass sein Departement an der ganzen Angelegenheit besonders interessiert
sei, im Hinblick auf die Möglichkeit, dass bei der Beschäftigung von
italienischen Arbeitern in den Rüstungsbetrieben Spionage betrieben werden
könnte.»
Feldmann assicura allora il collega
«dass die Bundesanwaltschaft mit der Nachrichtensektion des Generalstabes
ihrer ständigen Praxis gemäss auch in diesem Fall engen Kontakt halten
1 ÄS
Rapporto del Dipartimento federale di polizia per il Consiglio federale, 15 giugno 1955
(E 4001 (D) 1976/136/112). Il rapporto si basa sui documenti a carattere interno confiscati a militanti comunisti il 1° giugno 1955, durante la retata di cui stiamo per parlare.
Lettera del procuratore federale, R. Dubois, al consigliere federale Feldmann, 8 dicembre
1955 {ibid.).
71
werde.» 187
Prevedendo le vive proteste della stampa comunista, egli chiede che si pensi
già a preparare un comunicato ufficiale, in modo da orientare l'opinione
pubblica.188 L'intervento scatta finalmente mercoledì 1° giugno, data scelta
per ragioni tattiche (dopo la domenica e il lunedì del congresso del PdL a
Ginevra):189 alle 6 del mattino la polizia perquisisce contemporaneamente
26 domicili di militanti della Federazione (a Winterthur, Zurigo, Frauenfeld, Sciafrusa, Baden, Zofingen, Brugg, Basilea e Binningen). Il molto
materiale confiscato si rivela deludente: rapporti interni e corrispondenza,
materiale di propaganda del PCI, opere di formazione politica, tessere del
PCI e del PdL, 190 ma nessun indizio dello spionaggio temuto da Chaudet in
materia di armamenti.191 Il ticinese S. Rodoni, segretario della Federazione,
è tratto in arresto; 20 militanti italiani,192 arrestati e interrogati, sono subito
espulsi dal governo in virtù dell'alt 70 della Costituzione. Il comunicato
ufficiale del Dipartimento di giustizia e polizia, pubblicato il giorno stesso,
accusa i comunisti italiani di aver creato cellule sul posto di lavoro e tentato
di assumere la guida delle Colonie libere italiane. Fondate nel 1943 da
militanti antifascisti, queste ultime sono tenute per statuto a una linea politica neutra, e le autorità federali di polizia temono che vi s'infiltrino militanti
comunisti: un timore costante anche negli anni seguenti, che si tradurrà in
un'attenta sorveglianza sui responsabili e sulle attività delle CLI. 193
Appena saputo della retata, la stampa comunista (a cominciare dal Vorwärts) protesta vivamente, notando che unica colpa degli espulsi è di essere
187
Lettera al capo della polizia federale, Balsiger, 21 marzo 1935 (ibid.).
189
Lettera del Ministero pubblico a Feldmann, 27 maggio 1955 (ibid.). Alla lettera sono
allegate istruzioni dettagliate per lo svolgimento dell'operazione.
1 Qfl
Rapporto del Dipartimento di polizia cit. in nota 185.
191
Lettera del Ministero pubblico a Feldmann, 6 giugno 1955 (ibid.).
Di cui 9 provengono dalla Toscana, 6 dalla Lombardia, 3 dall'Emilia, 1 dalla Liguria e
1 dal Friuli.
193
Vedi, ad esempio, il fascicolo sulle CLI (E 4001 (D) 1976/136/113), che contiene apprezzamenti sulle tendenze politiche dei loro responsabili durante gli anni '60.
72
membri del PCI; le proteste si allargano anche ad ambienti non comunisti,
tanto più che circolano notizie su altre prossime misure di espulsione. Poiché i giornali del Ticino (di orientamento socialista ma anche radicale e
conservatore) criticano duramente le autorità federali di polizia, il consigliere federale Feldmann raccomanda di informare meglio i capi dei partiti
politici ticinesi.194 Anche la stampa italiana s'interessa da vicino alle
espulsioni: un articolo del 25 settembre sul Corriere della Sera («Dopo
un'indagine segreta ancora molti Italiani verrebbero espulsi dalla Svizzera»)
provoca allarme fra gli immigrati in Svizzera, come spiega l'ambasciatore
Coppini al nostro ministro Zehnder.195
Il Vorwärts del 6 dicembre, sotto il titolo «Nuova ondata di maccartismo a
Winterthur», scrive che per motivi politici sono stati licenziati 3 operai
italiani della ditta Rieter e 9 della Sulzer; Feldmann, stupito, chiede
spiegazioni al procuratore della Confederazione, R. Dubois. 196 Questi afferma di non aver nulla a che vedere coi licenziamenti, ma ammette che
parte del materiale confiscato il 1° giugno è stato affidato alle polizie zurighese e argoviese, col permesso di farne l'uso voluto: a Zurigo, quindi, la
polizia ha potuto identificare altri membri della Federazione di lingua
italiana del PdL, e il 1° dicembre il cantone ha tolto il permesso di dimora
ad altri 16 operai italiani (fra cui i 9 licenziati della Sulzer). Dubois tenta di
spiegare a Feldmann, come ha già fatto con un diplomatico italiano, che il
ritiro del permesso di dimora rientra nelle competenze dell'autorità cantonale, in cui Berna non può interferire.197 Ma il capo del Dipartimento di polizia, inquieto della piega che prendono gli avvenimenti, gli risponde seccamente che
«dem Ausland gegenüber bedeuten Hinweise auf kantonale Kompetenzen
stets eine recht problematische Angelegenheit, sobald Aufgaben in Frage
stehen, welche die Beziehungen unseres Landes zu andern Ländern
194
Lettera al Ministero pubblico, 24 ottobre 1955 (E 4001 (D) 1976/136/112).
195
Lettera del Ministero pubblico a Feldmann, 27 settembre 1955 (ibid.).
196
Lettera del 6 dicembre {Ibid.).
197
Lettera dell'8 dicembre (ibid.)
73
berühren.» 198
Sembra proprio, a questo punto, che il consigliere federale non domini più
la situazione: alcuni responsabili di polizia, a livello federale o cantonale,
hanno preso iniziative gravide di conseguenze senza informarlo. Quanto ai
licenziamenti nella Sulzer e in altre ditte metallurgiche di Winterthur, è
evidente — come scrìve a Feldmann il capo della divisione di polizia, R.
Jezler — che la polizia federale {Bundespolizei ) ha informato queste ditte
della decisione prevista contro gli operai comunisti;199 subito dopo, ancor
prima che le autorità zurighesi annuncino ufficialmente la revoca del permesso, le aziende hanno deciso il licenziamento «per motivi politici». Ciò è
considerato da Feldmann un'ingerenza del tutto indebita di privati nella
protezione dello Stato, ingerenza che per giunta crea notevoli complicazioni
diplomatiche con l'Italia. 200 Anzi, non solo diplomatiche: Roma, come
rappresaglia per i licenziamenti "politici", decide misure d'embargo sulla
manodopera italiana per le ditte di Winterthur (soprattutto la Sulzer, che
attende ben 300 italiani, ma anche la Rieter e la Lokomotivfabrik). Questa
reazione delle autorità italiane, ovviamente non tacciabili di filocomunismo,
si spiega con le proteste sorte nella Penisola per le espulsioni e i licenziamenti decisi in Svizzera: il governo della Penisola deve far fronte ai comunisti, che hanno già attaccato spesso la sua politica dell'emigrazione, e alla
Camera italiana è prevista un'interpellanza proprio sul caso delle espulsioni.
Debitamente autorizzati dal nostro governo, il procuratore Dubois e il capo
della polizia federale incontrano allora a Zurigo una delegazione
dell'esecutivo zurighese, preoccupato di un'estensione dell'embargo ad altri
settori dell'economia cantonale. Uno dei tre consiglieri di Stato, il capo del
Dipartimento di polizia König, si dice d'accordo con le misure federali
contro i comunisti italiani, giudica «maldestra» la decisione della Sulzer e
198
Lettera del 6 gennaio 1956 (ibid.).
Nota del 13 febbraio 1956 (ibid.). Ricordiamo, per evitare confusioni, che la divisione di
polizia e un'importante sezione del Dipartimento federale di giustizia e polizia, diretta a
lungo da Rothmund (a partire dal 1955 da Jezler) e comprendente anche la polizia federale degli stranieri; la polizia federale, creata nel 1935, si occupa della polizia politica e fa
parte del Ministero pubblico.
200
Lettera al procuratore Dubois, 16 gennaio 1956 (ibid.).
74
approva la proposta, avanzata da Dubois, di sciogliere la Federazione di
lingua italiana. Viceversa il suo collega socialista Meierhans, responsabile
delle costruzioni, si chiede se così non si «spari ai passeri con cannoni» e
nota che lo scioglimento creerebbe nuove vittime, oggetto di future simpatie
popolari: perché non proibire allora tutto il PdL, visto che la Federazione è
una sezione del partito? Da vari funzionali sindacali, inoltre, Meierhans ha
saputo che è infondata l'accusa secondo cui gli operai comunisti vorrebbero
minare i sindacati dall'interno; prima di agire, infine, secondo lui il Ministero pubblico avrebbe dovuto consultare le organizzazioni sindacali. Anche
il terzo consigliere di Stato (il responsabile dell'economia pubblica, Egger),
ritiene che occorra dar fiducia ai sindacati e che le autorità federali
avrebbero prima dovuto consultarli.201
Il 3 marzo 1956 il procuratore Dubois riceve la visita dell'ambasciatore
Coppini, che
«a immédiatement entamé le problème des ouvriers italiens. Visiblement,
cette affaire commence à le gêner aux entournures. Il m'a déclaré d'emblée
qu'il n'a actuellement plus qu'un souci: celui de s'entremettre en vue de
faire lever au plus tôt l'embargo décrété à l'endroit de la maison Sulzer
S.A., celle-ci insistant d'ailleurs de plus en plus pour pouvoir engager
quelques 300 nouveaux ouvriers italiens. Le problème, m'a-t-il déclaré
d'entrée de cause, pourrait trouver une solution immédiate. On sait qu'une
interpellation a été déposée au parlement italien à propos des mesures de
renvoi décrétées récemment par les autorités suisses, zurichoises en particulier. Le gouvernement devra y répondre incessamment. Or, M.
l'ambassadeur Coppini prétend que l'embargo mis sur les ouvriers italiens
pourrait être levé immédiatement, si nous l'autoriserions à dire à son ministère que les autorités fédérales ont considéré comme malheureuse ou inhabile la justification donnée par la maison Sulzer au congédiement d'ouvriers à
fin novembre 1955.»
Dubois, favorevole alla richiesta italiana, termina criticando la Sulzer:
«II est indubitable que la justification des congés, par la maison Sulzer
0
Verbale della riunione dell'8 febbraio 1956. Vedi anche la nota stesa il giorno dopo da
un altro partecipante, il vicecomandante della polizia federale Amstein (ibid.).
75
frères S.A., fut malheureuse. C'est la pure vérité et le moins que l'on puisse
en dire. Si donc nous disions oui à la solution envisagée par les Italiens,
nous infligerions par là-même à cette firme un évident désaveu. Il en résulte
que la S.A. Sulzer est la première intéressée. C'est aussi elle, après tout, qui
requiert l'immigration de 300 ouvriers. Peut-être serait-elle d'accord
d'essuyer ce désaveu au prix de la levée de l'embargo. C'est même vraisemblable.»202
Ma la soluzione non è cosi semplice: Berna non intende rilasciare una dichiarazione come quella proposta da Coppini, e la Sulzer, per ragioni di
prestigio, esita ad ammettere il suo torto. 203 La vicenda si risolve all'inizio
d'aprile con un incontro fra lo stesso Coppini e il direttore generale della
ditta, Henri Sulzer: questi accetta di inviare all'ambasciata una lettera che
soddisfa le esigenze italiane. Il gesto sblocca la situazione anche per le altre
due aziende coinvolte, e Roma autorizza subito la partenza dei lavoratori per
la Svizzera.204
Ma la retata del giugno 1955 ha ripercussioni anche nel giugno 1956: altri 8
membri della Federazione devono lasciare il paese su decisione delle autorità zurighesi di polizia, che ne hanno trovato i nominativi nel materiale
confiscato un anno prima. 203 L'episodio riaccende la già lunga discussione
sulla competenza dei cantoni in materia di espulsioni per motivi politici:
mentre secondo Jezler, capo della Divisione di polizia, in virtù dell'alt. 70
della Costituzione l'unica competente è l'autorità federale, per il procuratore
Dubois lo sono anche i cantoni, in base alla legge federale sugli stranieri del
1948. 206
202
Letter» del 5 marzo al consigliere federale Feldmann (ibid.).
3
Nota del capo della divisione di polizia (Jezler) a Feldmann, 15 marzo 1956 (ibid.).
T>Iota di un funzionario del Dipartimento di polizia (Solari) a Feldmann, 6 aprile 1956
{ibid.).
20S
Nota del Ministero pubblico, 26 luglio 1956 (ibid.).
206
Il fase. E 4001 (D) 1976/136/112 contiene molte prese di posizione emananti dalle due
parti (che peraltro non giungono a un accordo). La lunga discussione, a carattere
giuridico, verte sull'interpretazione dell'art. 10, par. b, della legge sugli stranieri dell'8
ottobre 1948 (RU, 1949/1, pp. 225ss.).
76
Messa in difficoltà di fronte alla sua opinione pubblica da questa serie di
espulsioni e licenziamenti, Roma ha chiesto più volte una dichiarazione
ufficiale che chiarisca la posizione di Berna sull'attività politica degli stranieri: si tratta di evitare ulteriori malintesi e di far capire ai futuri immigrati
che in Svizzera, per volere delle autorità elvetiche, devono astenersi da
azioni politiche. Il sottosegretario italiano all'emigrazione, Del Bo, si reca
da Feldmann in settembre, per esporgli questa richiesta del proprio governo. 207 Il comunicato emesso il 17 novembre 1956 dal Dipartimento federale
di polizia, pur avendo carattere generale, è appunto la dichiarazione richiesta da Roma e concerne perciò, in primo luogo, l'attività dei militanti comunisti. Eccone il passaggio principale:
«En principe, seul le citoyen suisse doit pouvoir exercer une activité politique dans le pays et contribuer ainsi à la formation de l'opinion en matière
politique. D'une façon toute générale, il y a donc lieu d'exiger des étrangers
la plus grande retenue dans ce domaine. Les étrangers ne doivent pas
s'occuper de nos affaires intérieures. Cela vaut surtout pour les extrémistes
de tout genre, qui exercent une activité dirigée en fin de compte contre les
fondements de la Confédération et, en particulier, contre le régime démocratique.»208
Al termine di questo capitolo sui rapporti fra contesto della guerra fredda e
immigrazione italiana in Svizzera, citiamo un episodio significativo,
avvenuto proprio nel periodo in cui Berna tenta di dare soluzione soddisfacente alla vicenda delle espulsioni. Nel gennaio 1956 il nostro ministro a
Bonn informa il Dipartimento politico di un'iniziativa diplomatica compiuta
presso la legazione dal Ministero dell'interno tedesco: la RFT, che ha appena concluso un accordo con l'Italia per un'immigrazione annua di circa
100-000 lavoratori, sarebbe lieta di beneficiare dell'esperienza svizzera in
questo campo, specie per quanto concerne l'attività dei militanti comunisti.
Il nostro rappresentante scrive:
«Die Behörden in Bonn haben gewisse Bedenken, die Italiener könnten
Nota di Feldmann per il segretario del Dipartimento di polizia, 15 settembre 1956 (E
4001 (D) 1976/136/112).
77
sich, wenigstens zum Teil, in politisch unerwünschter Weise betätigen. Das
Innenministerium hätte grosses Interesse daran, sich mit den zuständigen
schweizerischen Amtsstellen zu unterhalten über die Erfahrungen, die wir
mit den Italienern machten und über die Massnahmen, die wir allenfalls
zum Schütze vor politischen Uebergriffen trafen. Das Innenministerium
wäre der Schweiz verpflichtet, wenn sie bereit wäre, der Bundesrepublik
behilflich zu sein bei der Bekämpfung des Kommunismus. Das erstrebte
Ziel habe übernationale Bedeutung. Selbstverständlich würden alle schweizerischen Auskünfte streng vertraulich behandelt.»209
Chiedendo il parere del Dipartimento politico, il ministro esprime
l'opinione che un certo contatto con le autorità tedesche in materia sarebbe
particolarmente utile, permettendo di conoscere le iniziative di Bonn. Egli
non esclude che fra poco il vicepresidente del "Bundesamtes für Verfassungsschutz" si rechi in visita a Berna; le autorità svizzere, in tal caso,
avrebbero una comoda opportunità per esaminare con lui la questione. Le
ricerche (incomplete) effettuate per questo articolo non ci hanno permesso
di rintracciare la risposta elvetica a Bonn; dato però il preavviso favorevole
del nostro diplomatico nella RFT, non è escluso che tale risposta sia stata
positiva.
4.6 L'accordo italo-svìzzero del 1964 e le sue conseguenze sulla
paura dell' Ueberfremdung
All'inizio degli anni '60, come mostrano i censimenti UFIAML di agosto,
l'immigrazione subisce di nuovo un forte aumento. Dai 365-000 lavoratori
del 1959 (stagionali e frontalieri compresi, ma senza i familiari) si passa ai
435-000 del 1960 e al massimo storico di 721-000 nel 1964; in quegli anni
gli italiani sono rispettivamente 243-000 (66,6 % del totale), 303-000 (69,6
%) e 474-000 (65,8 %). 2 1 0 Il fenomeno dipende dalla congiuntura
economica e dalla politica dei nostri imprenditori, che in genere, nonostante
la paura deU'inforestierimento e le proteste dei sindacati, invece di ammodernare e razionalizzare seriamente preferiscono ricorrere agli immigrati.
209
Lettera del 19 gennaio 1956 (E 2001 (E) 1970/217/205). Il corsivo è nostro.
AIA
La Vie économique, articolo cit. in nota 11.
78
Quanto al governo, poi, esso è preso in un ingranaggio che non può più
controllare, come ammette con toni allarmati nel rapporto del 9 febbraio
1965 al Consiglio nazionale:
«II concitato sviluppo economico dell'ultimo triennio ci ha posti in una
situazione dalla quale non possiamo più toglierci invertendo semplicemente
il senso della marcia. L'apparato produttivo s'è enfiato talmente che non è
ormai più possibile assicurarne il funzionamento senza il concorso di centinaia di migliaia di stranieri, e ciò non solo per ragioni d'entità degli effettivi, ma anche perché l'articolazione professionale della mano d'opera indigena ha subito profonde trasformazioni. Infatti, in numero sempre crescente
i nostri compatrioti hanno abbandonato agli stranieri i lavori faticosi,
sgradevoli o meno pagati.» 211
Il corrispondente a Berna della Gazette de Lausanne, G. Duplain, ha già
analizzato lucidamente la situazione nel novembre 1960, in una lettera al
presidente della Confederazione e ad altri tre membri del Consiglio federale:
«La Suisse devient de plus en plus une nation état-major, qui a besoin d'une
quantité croissante d'ouvriers étrangers pour assurer la marche de son
économie. Nous pratiquons par la force des choses une sorte de néo-colonialisme, en faisant venir chez nous des centaines de milliers d'ouvriers
dont nous ne pouvons recevoir les familles et que nous n'entendons pas
assimiler. Il ne me paraît pas que cette situation puisse s'éterniser.»
Il paese, per Duplain, ha due scelte: o ritiene indispensabili questi operai e
adotta misure per assimilarli, o deve limitarne l'afflusso e praticare una
politica di «maltusianismo economico», per non mettere in pericolo le sue
caratteristiche nazionali.212
La lettera, presa in serio esame, 213 a Berna fa riflettere. Il governo, che del
Rapporto per la Commissione ampliata degli esteri sulla limitazione della manodopera
straniera, FF, 1965/1, pp. 238—265 (il passo cit. è a pag. 242).
212
Lettera del 9 novembre 1960 al presidente Wahlen, capo del Dipartimento politico, e ai
responsabili dell'economia pubblica, della polizia e dell'interno (E 4001 (D)
1973/125/39).
213
Vedi il rapporto redatto il 22 dicembre 1960, su richiesta del consigliere federale von
79
resto ha già istituito un'apposita commissione, a partire dal marzo 1963
vara diversi decreti per limitare la manodopera straniera; pur senza dare una
soluzione soddisfacente al grave problema,214 essi comunque contribuiscono
a rìdurla dopo il massimo storico del 1964.
In tale contesto si svolgono i negoziati italo-svizzeri per un nuovo accordo
che modifichi quello del 1948. Iniziati nel 1961 su richiesta di Roma, essi
però s'interrompono a fine novembre, sempre per iniziativa italiana, anche
per lo scalpore suscitato in Svizzera, all'inizio del mese, dalla visita del
ministro del lavoro F. Sullo. Al presidente della Confederazione, F. T.
Wahlen, questi esprime in modo poco diplomatico il desiderio italiano di
ima rapida e favorevole conclusione della trattativa, ricorda le concessioni
sull'immigrazione fatte a Roma da tedeschi e francesi, e parla delle massicce pressioni esercitate in Italia sul governo da sindacati d'ogni tendenza,
che minacciano di bloccare gli emigranti diretti in Svizzera.213 Senza
avvertire le autorità federali, inoltre, Sullo si reca in varie località industriali
zurighesi e a Basilea, visita missioni cattoliche e tiene discorsi agli operai in
fabbriche importanti, criticando la politica migratoria e in particolare il
sistema sociale della Svizzera. Le sue dichiarazioni, non prive di calcoli
preelettorali in vista delle votazioni italiane, 216 suscitano vive reazioni pò
Moos, dal capo della polizia degli stranieri, Mäder (ibid.). Il testo si riallaccia esplicitamente al rapporto congiunto dei dipartimenti di polizia e dell'economia pubblica sulla
manodopera straniera, del 19 febbraio 19S8 (ibid.).
Vedi il «Rapporto del C. f. all'Assemblea federale sull'iniziativa popolare contro
l'inforestierimento», del 29 giugno 1967 (FF, 1967/II, pp. 65—117).
21S
Vedi la nota redatta da Wahlen dopo l'incontro, 8 novembre 1961 (E 2001 (E)
1976/17/507).
Vedi ad esempio il telegramma dell'ambasciatore svizzero a Roma, Zutter, per il Dipartimento politico, 11 novembre 1961 (ibid.): «Personnalité Ministre Sullo fortement discutée. Originaire sud, appartient à aile gauche parti démo-chrétien. Connu pour tendances
démagogiques, initiatives inconsidérées et ambitions. Ambassadeur Del Balzo, qui est un
de mes amis, m'a spontanément confié que MAE [Ministero degli Affari esteri] fort contrarié par agissements Sullo lequel a déjà agi manière analogue en Allemagne, sans
cependant que presse prenne parti. Pour le freiner, Storchi [sottosegretario di Stato agli
affari esteri] lui a été adjoint dans son voyage en Suisse, mais semble pas qu'il ait pu le
brider.»
80
polari, anche xenofobe; Wahlen esprìme ufficialmente all'ambasciatore
d'Italia r«étonnement» del Consiglio federale.217
Dopo questa interruzione e una lunga fase preparatoria, i negoziati ufficiali
riprendono a Ginevra nel giugno 1964; il nuovo accordo è firmato a Roma il
10 agosto, 218 quando cioè, come ammettono gli esperti svizzeri, «l'on entreprend en Suisse de grands efforts pour modérer l'expansion économique
et combattre l'excès de population étrangère».219 Le concessioni svizzere,
pur «relativamente modeste»220 e tali da non soddisfare le richieste italiane,
contraddicono però oggettivamente la politica generale che Berna persegue
da qualche tempo per tentare di limitare l'immigrazione. Facilitando
l'arrivo delle famiglie, inoltre, il nuovo accordo contribuisce ad accentuare
le tendenze xenofobe; è insomma espressione della morsa in cui si trovano
le autorità svizzere, ormai costrette a migliorare senza indugio le condizioni
degli immigrati italiani.
11 testo, che conferma le ampie competenze dei cantoni, ribadisce il sistema
di assunzione del 1948 e prevede per gli italiani le stesse condizioni di
lavoro e remunerazione degli svizzeri; la permanenza minima per il permesso di domicilio resta fissata a 10 anni. I lavoratori annuali che risiedano
in Svizzera ininterrottamente per almeno 5 anni, però, ottengono facilitazioni per il rinnovo del permesso di dimora e possono cambiare posto di
lavoro o attività professionale;221 si calcola che di questa maggiore mobilità
possano usufruire 30—40-000 persone. I lavoratori annuali, inoltre, possono
217
Comunicato ufficiale del 14 novembre 1961 (ibid.).
Accordo fra la Svizzera e l'Italia relativo all'emigrazione dei lavoratori italiani in Svizzera (con protocollo finale dello stesso giorno), approvato dall'Assemblea federale il 17
marzo 1965 ed entrato in vigore il 22 aprile successivo (RU, 196Î, pp. 400ss.).
219
220
Vedi il testo, preparato dall'UFIAML e dalla polizia degli stranieri, «Commentaires sur
l'accord du 10 août 1964...», 22 agosto 1964 (E 7170 (B) 1977/67/261).
Lettera del capo dell'economia pubblica, H. Schaffner, al direttore dell'UFIAML (M.
Hölzer, uno dei principali negoziatori dell'accordo), 13 agosto 1964 (E 7170 (B)
1970/67/261).
Per maggiori dettagli, vedi l'art. 11. Sulle categorìe di lavoratori stranieri e sui vari permessi previsti dalla legislazione svizzera, vedi la pubblicazione dell'UFIAML Politica
concernente il mercato del lavoro in Svizzera: caratteristiche e problemi, Berna, 1980,
soprattutto pp. 60ss.
81
farsi raggiungere dalla famiglia dopo 18 mesi e non più dopo 3 anni; 222 da
notare che nel 1964, prima dell'accordo, circa 800—1-000 familiari sono
ammessi ogni mese nella Confederazione.223 Gli stagionali, se in 5 anni
hanno lavorato in Svizzera almeno 43 mesi, possono ottenere un permesso
di dimora non stagionale, che li autorizza subito a farsi raggiungere dalla
famiglia.224 Già in precedenza, infine, è stata firmata una convenzione
italo-svizzera sulla sicurezza sociale, che migliora quella del 1951 e affianca
nuovi campi assicurativi all'AVS. 225
Le conseguenze dirette dell'accordo (con l'arrivo di più famiglie italiane),
ma soprattutto il dibattito pubblico da esso suscitato (che aumenta lo
spauracchio d&WUeberfremdung, specie in cantoni industriali come Zurigo), suscitano una prima iniziativa popolare xenofoba, presentata il 30
giugno 196S dal Partito democratico zurighese con quasi 60-000 firme, 226
ma poi ritirata il 18 marzo 1968 dal comitato organizzatore. Il 20 maggio
1969 Azione nazionale ne presenta un'altra con circa 70-000 firme, che
fissa in tutti i cantoni (Ginevra esclusa) un tetto massimo di stranieri pari al
10 % degli svizzeri presenti nell'ultimo censimento;227 ma il 7 giugno 1970
la cosiddetta iniziativa Schwarzenbach è respinta sia dal popolo — con
654-844 voti (54 %) contro 557-517 (46 %) — sia da 13 cantoni e 4 semi-
222
224
225
La concessione non figura nell'accordo (vedi art. 13) bensì nei «Commentaires...» cit. in
nota 219.
Art. V del protocollo finale.
Convenzione del 14 dicembre 1962, entrata in vigore il 1° settembre 1964 (RU, 1964,
pp. 737—779). Vedi anche il messaggio del Consiglio federale in data 4 marzo 1963 (FF,
1963/1, pp. 281—307).
Vedi il rapporto del Consiglio federale cit. in nota 214. Su questo movimento xenofobo e
sul suo promotore (Albert Stocker, fabbricante zurighese di cosmetici che già nell'agosto
1963 aveva rilasciato dichiarazioni antiitaliane sul canale televisivo svizzero tedesco),
vedi E 2001 (E) 1976/17/509, e E 4001 (D) 1973/125/39. Sulle tendenze xenofobe in
Svizzera a partire dagli anni '60, vedi Valérie Bory—Lugon, Immigration et xénophobie
dans la socitété suisse, Lausanne, Institut de science politique, Mémoires et documents
7, 1977, e Marianne Ebel e Pierre Fiala, Sous le consensus, la xénophobie. Paroles, arguments, contextes (1961—1981), Losanna, Institut de science politique, Mémoires et
documents 16, 19S3.
227
Vedi il rapporto del Consiglio federale in data 22 settembre 1969, in Feuille fédérale,
1969/11, pp. 1050—1077.
82
cantoni (contro 6 cantoni più 2 semicantoni).228 La partecipazione elettorale
(del 75 %, quando le donne non votano ancora) può considerarsi altissima
per le consuetudini svizzere. Il voto, tra l'altro, segue di pochi mesi il decreto governativo del 16 marzo che, stabilendo appunto un tetto globale per la
manodopera straniera, permette di stabilizzarla e di ridurla progressivamente; la recessione iniziata negli anni 1973—1974 farà il resto, riesumando il
fenomeno della disoccupazione e costringendo molti italiani al rimpatrio...
Allegati
1. Fondi di pertinenza
£ 2: Auswärtige Angelegenheiten (affari esteri: 1848-1895)
quasi nulla sull'immigrazione italiana
esiste comunque un inventario a stampa dettagliato
E 21: Polizeiwesen 1848—1930 (Affari di polizia)
Fondo molto cospicuo (circa 280 mi.), creato nel 1984 per fusione di oltre
50 fondi preesistenti (di cui il principale — quello del Ministero pubblico
federale, istituito nel 1889 anche per accentrare a Berna le informazioni
delle polizie cantonali su militanti stranieri — comprende la corrispondenza
con le polizie cantonali, col capo del Dipartimento di giustizia e polizia, con
autorità di polizia stranieri e con altri organi dell'amministrazione federale). L'inventario descrive lo sviluppo del fondo e da notizie dettagliate sulle
varie autorità di polizia che l'hanno costituito; comprende indici suddivisi
per materie, nomi di persona e toponimi. Parte dei dati è stata rielaborata
elettronicamente; un listato con tutti i nomi di persona rinvia ai rispettivi
fascicoli.
Il fondo comprende moltissimi fascicoli su:
Militanti e partiti italiani in Svizzera (soprattutto anarchici e socialisti)
Scioperi a cui hanno partecipato operai italiani
228
Per il dettaglio dei risultati ufficiali definitivi, vedi .FF, 1970/II, pp. 261—264.
83
Disordini anti-italiani ("Krawalle")
Liste di espulsioni (1919 e anni seguenti)
Profughi politici
Giornali degli immigrati italiani in Svizzera
Comprende inoltre 3 serie sulle naturalizzazioni del periodo 1848—1930.
Qui i fascicoli personali sono in ordine alfabetico, ma non vi sono strumenti
di ricerca per raggnippare i naturalizzati in base alla nazionalità d'origine.
KB: Fino alla prima legge federale in materia (1876), le naturalizzazioni spettavano
ai cantoni e non richiedevano un'autorizzazione federale. Prima del 1876, perciò, i
fascicoli sui naturalizzati non erano sistematicamente trasmessi a Berna; solo dopo
tale data la documentazione si può considerare completa.
E 21, Archiv-Nr. 23-560: la serie, anni 1848—1920
(1025 scatole con fascicoli personali in ordine alfabetico)
E 21, Archiv-Nr. 23-561: 2a serie, anni 1921—1929 (475 scatole)
E 21, Archiv-Nr. 23-562: 3a serie, resti, anni 1850—1930 (95 scatole)
E 53: Fondo Ferrovie (Gottardo 1872—1882)
(esiste uno schedario dettagliato)
voi.
voi.
voi.
voi.
voi.
voi.
voi.
voi.
164: Funzionari di polizia durante il periodo di costruzione
166: Torbidi di Göschenen (27—28 luglio 1875)
167: Condizioni di lavoro sulla linea e nella galleria del Gottardo
168: Assicurazioni e soccorsi agli operai
169: Personale e condizioni di lavoro
170—172: Infortuni
173: Indennità e donazioni agli operai infortunati
174—175: Infortuni
2. Fondi di provenienza
2.1 Fondi del Dipartimento politico
E 2001 (A): Dipartimento politico (1896—1918)
n° 82:
n°83:
n°l 18:
84
Agitazioni anarchici in Svizzera e anarchici italiani in Ticino
(1899—1900)
Lotta contro anarchismo (1901—1904)
L. Luccheni (1898—1899)
ni 173—180: Relazioni con l'Italia
n° 223 : Sorveglianza anarchici in Svizzera da parte dell'Italia
(1913—1914)
n°226: Azioni del console d'Italia a Lugano
n° 438: Accordo con l'Italia per le assicurazioni sociali (1913—1917)
ni 625—626: Agitazione di Italiani in Svizzera: Maggio 1898
(1898—1899)
ni 627—628: Affare Silvestrelli (rottura relazioni diplomatiche con
l'Italia in seguito all'articolo di L. Bertoni sul Risveglio del
18/1/1902)
n° 660: Guerra di Libia: dimostrazione di Italiani davanti al consolato
di Zurigo (1911)
n° 789: Servizio di informazioni della Legazione d'Italia a Berna
(1914—1918)
n° 794: Agente consolare a Sciaffusa: servizio informazioni
(1916—1918)
n° 820: Emigrazione in Svizzera (1916—1917)
ni 1459—1460: Addetto all'emigrazione italiana in Svizzera
(1904—1915)
n° 1461 : Ufficio della Legazione d'Italia a Kandersteg per gli operai
italiani del tunnel del Lötschberg (1910)
E 2001 (B): Divisione degli Affari esteri (1918—1926)
E 2001 (B) 1 (1918—1920)
voi. 10: Disertori, tra cui alcuni Italiani
voi. 80: Internati
voi. 98: Misure contre l'immigrazione straniera (1918—1920)
E 2001 (B) 2 (1921)
voi. 2:
Italiani senza lavoro
voi. 5:
Disertori
voi. 7:
Trattato di domicilio con l'Italia
voi. 8:
Operai italiani in Svizzera (1919—1921)
E 2001 (B) 3 (1922)
voi. 46: Espulsione di lavoratori italiani (1912—1923)
E 2001 (B) 4 (1923)
voi. 17: Incidenti di Lugano del 16/9/1923
85
E 2001 (B) S (1924)
vol. S:
Trattato di estradizione con l'Italia (1922—1924)
Progetto per un trattato sul lavoro, con l'Italia (1923—1924)
voi. 18: Incidenti diversi in relazione col fascismo
E 2001 (B) 6 (1925)
voi. 19: Incidenti in relazione col fascismo
E 2001 (B) 7 (1926)
voi. 18—19: Incidenti: fascisti e antifascisti nel Ticino
E 2001 ( Q : Divisione degli Affari esteri (1927—1936)
E 2001 (C) 1 (1927—1929)
vol. 5:
UFIAML, protezione della mano d'opera svizzera (1927)
voi. 21: Trattato con l'Italia per la mano d'opera (1924—1929)
vol. S9—63: Fascismo e antifascismo in Svizzera
E 2001 (O 2 (1930-1931)
voi. 35 : Espulsione di stranieri, di cui alcuni Italiani
voi. 37—39: Agitazioni in Svizzera: fascismo/antifascismo
E 2001 ( Q 3 (1932—1934)
voi. 98—100: Fascismo e antifascismo in Svizzera
E 2001 (C) 4 (1935—1936)
voi. 88: Statistica degli stranieri residenti in Svizzera (1933—1936)
voi. 100—104: Fascismo e antifascismo in Svizzera
E 2001 (D): Divisione degli Affari esteri (1937—1945)
E 2001 (D) 1 (1937—1939)
voi. 52: Accordo con l'Italia del 5 maggio 1934
voi. 94: Ritorno in Italia di Italiani residenti in Svizzera (1938—1939)
Italiani a Ginevra
Espulsioni di Italiani
voi. 95: Rifugiati ebrei dall'Italia (1938—1939)
voi. 101—102: Organizzazioni fasciste e propaganda
86
E 2001 (D) 2 (1940—1942)
vol. 49: Reciprocità fra Italia e Svizzera per l'assistenza ai malati
(accordo del 1875; negoziati anni 1930 ...)
voi. I l i : Manifestazioni contro Italiani in Svizzera (1940—1941)
voi. 120: Colonie e fascisti italiani in Svizzera (1938—1942)
E 2001 (D) 3 (1943—1945)
voi. 63: Trattato di domicilio con l'Italia (1938—1945)
voi. I l i : Scuole italiane in Svizzera (1926—1945)
voi. 262: Immigrazione italiana
voi. 269—270: Rifugiati italiani in Svizzera (1941—1945)
voi. 272—277: Rifugiati e internati (fra cui Italiani)
voi. 285—286: Propaganda italiana in Svizzera (1933—1945)
voi. 298—299. Organizzazioni fasciste in Svizzera
voi. 308—323: Internati militari, fra cui Italiani (su questo tema, vedi
anche E 5791 1)
E 2001 (E): Dipartimento politico (1946—...)
E 2001 (E) 1 (1946—1948)
voi. 90: Stagionali italiani in Svizzera (1946—1948)
voi. 91: Rifugiati italiani in Svizzera (D. Alfieri, G. Bastianini)
E 2001 (E) 1967/113 (1949—1951)
voi. 369: Stagionali italiani in Svizzera (1948—1951)
E 2001 (E) 1969/121 (1952—1954)
voi. 153: Stagionali italiani in Svizzera (1948—1954)
E 2001 (E) 1970/217 (1955—1957)
voi. 205: Stagionali italiani in Svizzera (1955—1957)
E 2001 (E) 1976/17 (1961—1963*)
Archiv.-Nr.: 507—509: Stagionali italiani in Svizzera (1961—1963)
Visita del Ministro del Lavoro Sullo (1961—1962)
*)NB: Da allora gli inventari del Dipartimento politico sono suddivisi per paesi,
non più per materie: la rubrica "Italia" comprende tutti gli oggetti relativi ai rapporti italo-svizzeri (quindi anche all'emigrazione), il che facilita enormemente la
ricerca.
87
Stampa
Fondazione di un partito svizzero contro l'inforestierimento
E 2001 (E) 1978/84 (1964—1967)
voi. 823—824: Lavoratori italiani in Svizzera: accordo del 1964
(1964—1967)
voi. 825—827: Stampa (1964—1967)
voi. 828: Visita del sottosegretario Storchi in Svizzera (1964)
E 2001 (E) 1980/83 (1968—1970)
voi. 502: Relazioni con l'Italia (1968—1970)
Visita del Ministro G. Medici (1968)
voi. 511—512: Stagionali italiani in Svizzera (1968—1970)
vol.513: Commissione mista italo-svizzera
E 2200 Rom: Archivi della Legazione (poi Ambasciata) di Svizzera a
Roma (1867—...)
Concerne soprattutto la presenza svizzera in Italia:
zere, scuole, camere di commercio ecc. Qualche
Grande Guerra verte suir"emigrazione", ma si
italiana oltreoceano. Alcuni riguardano comunque
in Svizzera: per esempio.
cittadini e colonie svizfascicolo anteriore alla
tratta dell'emigrazione
l'immigrazione italiana
E 2200 Rom, 1972/16 (1959—1961)
vol. 5—6: accordi italo-svizzeri e visita in Svizzera del ministro Sullo
E 2200 Rom, 1976/112
vol. 8:
accordi italo-svizzeri in materia di domicilio (1960—1965)
2.2 Fondi del Dipartimento dell'Interno
E 3001 (A): Segretariato del Dipartimento; Divisione per la
Cultura, la Scienza e le Arti [Scuole italiane in Svizzera]
E 3001 (A) 1: Segretariato (1929—1931)
voi. 5:
Scuole italiane in Svizzera (1929—1931)
E 3001 (A) 2: Segretariato (1932—1935)
voi. 9:
Scuole estere in Svizzera (1933—1935)
88
E 3001 (A) 3: Segretariato (1936—1938)
voi. 9:
Istituto Montana/Zugerberg: creazione di una sezione italiana
(1933—1937)
voi. 10: Scuole italiane in Svizzera (1935—1938)
E 3001 (A) 4: Segretariato (1939—1941)
voi. 12: Scuole italiane in Svizzera (1939—1940)
E 3001 (B): Segretariato del Dipartimento; Divisione per la
Cultura, la Scienza e le Arti
E 3001 (B) 1978/30: Segretariato (1951—1956)
voi. 40: Centri di studio italiani in Svizzera (1951—...)
E 3001 (B) 1978/75: Segretariato (1934—1976)
voi. 3:
Scuole per i bambini dei lavoratori italiani (1961—1964
e 1965—1967)
E 3001 (B) 1979/121: Segretariato
voi. 161: Scuole per i bambini italiani in Svizzera (1969—1974)
2.3 Fondi del Dipartimento di Giustizia e Polizia
E 4001: Segretariato generale del Dipartimento di giustizia e polizia
E 4001 (A) 1: Magistratura H. Häberlin: (1920—1934)
voi. 29, 38, 39 e 42
E 4001 (B) 1970/187: Magistratura J. Baumann (1934—1940)
Archiv-Nr. 4: Espulsione di C. E. a Prato
E 4001 (C) 1: Magistratura Ed. von Steiger (1941—1951)
(N.B.: esiste uno schedario: E 4001 (C) 1970/27)
voi. 258: Campi per i rifugiati
voi. 261: Statistiche sul numero dei profughi
voi. 281—284: Profughi dall'Italia dopo T8/9/1943
Fascicoli personali su E. Ciano, D. Alfieri, G. Bastianini,
G. Volpi ecc.
89
E 4001 (D) 1973/125: Magistrature M. Feldmann, F. T. Wahlen e
L. von Moos (1952—1971)
vol. 4
vol. 39: Respingimento di Italiani alla frontiera (1965—1967)
Movimento in Svizzera contro l'inforestierimento
(1964—1965)
voi. 46: Polizia stranieri
E 4001 (D) 1976/136: Magistrature M. Feldmann, F. T. Wahlen e
L. von Moos (1952—1971)
vol. 24: Accordo con l'Italia (1967)
Attività politica dei lavoratori stranieri in Svizzera (1962)
Giornali pubblicati dai lavoratori stranieri (1962—1971)
voi. 26: Iniziative contro l'inforestierimento del 30/6/1965
e 19/6/1969 (1967—1970)
voi. 27: Stampa e propaganda attorno alle iniziative (1969—1970)
Accordo con l'Italia (1965—1971)
voi. 28: Italiani in Svizzera (1952—1971)
voi. 112—113: Comunisti italiani in Svizzera (1955—1971)
E 4260 (C): Divisione di polizia
E 4260 (C) 1969/140
voi. 13: Accordi con l'Italia per l'assistenza sociale (1909—1950)
voi. 64: Aiuti ad Italiani bisognosi in Svizzera (1948—1950)
E 4264,1985/196 e 197: Bundesamt für Polizeiwesen (1936—1952)
Fondo molto cospicuo (oltre 3-500 scatole con circa 45-000 fascicoli).
Comprende, in ordine alfabetico, i fascicoli personali sui profughi civili del
periodo 1936—1952 (tra cui perciò i quasi 15-000 italiani, in gran parte
ebrei, giunti in Svizzera fra l'8 settembre 1943 e gli ultimi mesi di guerra).
Esiste uno schedario alfabetico su microfilm, ma non un repertorio per
raggnippare tutti i fascicoli sugli italiani.
E 4300 (B): Polizia federale degli stranieri (istituita nel 1919)
E 4300 (B) 1 (1905—1947)
Archiv-Nr.9: Accordo sul lavoro con l'Italia (1927—1930)
Archiv-Nr. 21—23: Trattato di domicilio con l'Italia del 1868
(1905—1935)
90
E 4300 (B) 2 (1929—1957)
vol. 7:
Trattamento degli Italiani in Svizzera (1933—1947)
E 4300 (B) 3 (1922—1961)
voi. 28: Insegnanti italiani in Svizzera
voi. 31—32: Mercato del lavoro. Generalità
E 4300 (B) 1969/78
voi. 6:
Inforestierìmento. Iniziativa Azione nazionale del 30/6/1963
E 4300 (B) 1969/122
voi. 9:
Italia: trattato di domicilio (1912—1950)
voi. 13: Italia: assicurazioni sociali (1948—1949)
E 4300 (B) 1971/4
Nr. 662.1:Elezioni in Italia (1958—1963)
E 4320: Ministero pubblico federale (1931—...)
Riunisce tutta la documentazione che continua quella del Ministero pubblico
federale integrata nel fondo E 21 (vedi sopra): soprattutto rapporti, inchieste, informazioni ecc. provenienti dalle polizie cantonali e accentrati a Berna.
Contiene moltissimi fascicoli su vari soggetti (militanti politici e profughi
italiani, partiti, movimenti, scioperi, incidenti, giornali a carattere politico
pubblicati da immigrati italiani). Alcuni dei molti versamenti sono classificati per serie:
Estremisti di destra (stranieri e svizzeri)
Estremisti di sinistra (stranieri e svizzeri).
Limiti di consultabilità dei singoli fascicoli:
a)
quelli di oltre 50 anni sono consultatali liberamente
b)
quelli di 35—50 anni richiedono l'autorizzazione del Ministero
pubblico
federale
e)
i più recenti non sono consultatali
E 4800 (A) 1967/111: Handakten H. Rothmund (Capo della polizia degli
stranieri dal 1919 e della divisione di polizia — che comprende anche la
polizia degli stranieri — dal 1929 al 1954)
91
Nr. 14: Accordo del 22/6/1948 con l'Italia
Vedi anche i fascicoli 21,139, 203, 334, 335,403 (tavole statistiche sui
profughi civili 1939—1945), 448 e 464.
2.4 Fondi del Dipartimento militare
E 57911: Commissariato federale per l'Internamento
NB: Vedi preliminarmente il «Rapporto finale» (in tedesco) del capo del
Commissariato federale per l'internamento, colonnello Probst: E 5791 1, 9/34
Serie N. 3: Fascicoli personali degli Italiani (135 scatole con circa
17-000 fascicoli). Poiché spesso le corrispondenze sono molto posteriori
al 1945, la serie è consultabile previa autorizzazione del Dipartimento di
giustizia e polizia.
Serie N. 7: Atti generali concernenti gli Italiani
Serie N. 9: Atti del capo sezione: comprende carte sull'insieme degli
internati, e in particolare sugli italiani.
Serie N. 16: Ufficio di censura: contiene estratti di lettere scritte da
internati italiani e censurate, come pure giornaletti e volantini di propaganda confiscati dalla censura militare.
Serie N. 18: Ispettorato per i campi di studio: contiene fascicoli sui
campi universitari creati per gli internati italiani (Ginevra, Losanna,
Friborgo e Neuchâtel).
NB: Sulla questione degli internati militari italiani, vedi anche i fondi E 27,
Affari militari (fascicoli 14-447,14-450,14-451,14-506,14-507,14-508,
14-557 e 14-565) e £ S79S, Stato maggiore personale del generale, nonché qui
sopra, Allegati 1 (Fondi del Dipartimento di giustizia e polizia) e 2 (Fondi del
Dipartimento politico).
2.5 Fondi del Dipartimento dell'Economia pubblica
E 7001 (B) 1: Segretariato generale del Dipartimento (1940—1955)
92
vol. 458: Corrispondenza con Rappresentanze straniere (fra cui
Legazione d'Italia /Ministro E. Reale)
voi. 543: Mano d'opera straniera (1943—55), fra cui: accordo con
l'Italia 1948
Ufficio federale dell'industria, delle arti e mestieri e del lavoro
(UFIAML)
Comprende anche fondi anteriori al 1929, data di fondazione dell'UFIAML
(sorto per fusione di alcuni uffici preesistenti, fra cui quello del lavoro).
E 7169: Ufficio del lavoro
E 7169 1
voi. 7:
Accordo con l'Italia (1920—1925)
voi. 11: Assistenza ai disoccupati (— Italia: 1920—1923)
E 7169 1981/39
voi. 2:
Reciprocità con altri stati per l'assicurazione disoccupazione
(—Italia: 1926—1939)
E 7170 (A): UFIAML: Registrazione centrale
E 7170 (A) 1 (1928—1948)
voi. 24: Accordo con l'Italia (1947—1948)
Partenza degli Italiani per partecipare alla votazione del
18/4/1948
E 7170 (B) 1977/67 (1949—...)
voi. 3 :
Catastrofe di Robiei (1966)
voi. 72: Commissione per lo studio del problema
dell'inforestierimento (1970)
vol.100: Mano d'opera straniera (1961—1969)
voi. 118: Elezioni italiane al Parlamento (1968)
voi. 245—248: Immigrazione / generalità (1954—1970)
voi. 250—25 la: Iniziative contro l'inforestierimento (1965 e 1969)
voi. 259—263: Accordi e negoziati con l'Italia (1961—1970)
voi. 264: Colonie Libere Italiane in Svizzera (1969—1970)
Scuole per i bambini italiani (1969—1970)
93
Formazione professionale dei lavoratori italiani (1966—1969)
Commissione mista italo-svizzera (1966—1970)
E 7175 (B): UFIAML: Sezione per la manodopera e l'emigrazione
E 7175 (B) 1978/57 (1948—1969)
voi. 23: Mano d'opera: — Italia (1948)
voi. 24: Mano d'opera: — Italia (1949—1958)
voi. 25: Mano d'opera: — Italia (1959—1960)
Lavoratori italiani per l'agricoltura (1960—1966)
voi. 26: Lavoratori italiani per l'agricoltura (1967—1969)
Accordo con l'Italia (1949—1965,1966—1969)
voi. 27: Visita Ministro Sullo del 1961 e reazioni diverse
(1961—1962)
voi. 28: Commissione mista (1966—1968)
Inchieste, lamentele (1951—1954)
Visita sanitaria di confine (1964—1968)
voi. 29: Accordo con l'Italia 1964
Corrispondenza con l'Ambasciata d'Italia (1949—1956)
voi. 30: Agricoltura (1958—1967)
Stampa (1962—1963)
voi. 31: Stampa (1964—1965)
voi. 32: Stampa (1966—1969)
Reclutamento mano d'opera in Italia (1954)
Visita sanitaria (1948—1961)
voi. 33: Negoziati con l'Italia (1949—1954)
Negoziati con l'Ambasciata d'Italia per i lavoratori agricoli
(1955—1957)
Elezioni in Italia (1958—1969)
E 7175 (B) 1982/104
voi. 8:
Documentazione sugli anni 1968—1971:
Colonie Libere Italiane
Terremoto in Sicilia (1968)
voi. 21: Legislazione sugli stranieri: legge del 1931 (1929—1934)
voi. 24: Iniziativa Schwarzenbach (1968—1970)
voi. 112: Lamentele dell'Italia (1949—1953)
voi. 113: Lamentele dell'Italia (1953—1966)
Lamentele a proposito del nuovo accordo italo-svizzero
(1964—1965)
94
£ 7800 1: Segretariato generale del Capo del Dipartimento
Atti del Capo dipartimento (E. Schulthess; H. Obrecht; W. Stampfli;
R. Rubattel: 1907—1955)
voi. 24: Negoziati con l'Italia (1945—1948 e 1949—1950)
voi. 122: Mano d'opera straniera (1945—1953)
voi. 125 : Convenzione conclusa fra la Svizzera e l'Italia in materia di
assicurazioni sociali (1951—1953)
voi. 133: Assicurazione Vecchiaia e Superstiti
Modifica art. 18 Legge federale sull'AVS; convenzione con
l'Italia del 1948
95
Zusammenfassung
Der Beitrag behandelt die Einwanderung von italienischen Staatsangehörigen in die Schweiz in der Zeit zwischen 1870 und 1970. Das Stichjahr 1870
ist das Jahr der nationalen Einigung Italiens, und zudem wurde kurz zuvor
(1868) das italienisch-schweizerische Abkommen über das Niederlassungsrecht unterzeichnet. Hundert Jahre später dann ergriffen die schweizerischen Behörden Massnahmen, um die Einwanderung von ausländischen
Arbeitskräften zahlenmassig einzuschränken, und das Schweizervolk verwarf die erste fremdenfeindliche Volksinitiative.
Nach allgemeinen Betrachtungen über die italienische Immigration gibt der
Artikel einen Ueberblick über die betreffenden Bestände im Bundesarchiv,
insbesondere über diejenigen des Eidgenössischen Justiz- und Polizeidepartementes, des Eidgenössischen Politischen Departementes, des Eidgenössischen Volkswirtschaftsdepartementes sowie über diejenigen, die während
des Zweiten Weltkriegs beim Eidgenössischen Kommissariat für Internierung und Hospitalisierung entstanden sind. Der Beitrag legt weiter eine
Bilanz der zum Thema der italienischen Immigration greifbaren Fachliteratur vor und skizziert dann anhand der erwähnten Quellen des Bundesarchivs die italienische Einwanderung nach 1945. Im Anhang findet sich eine
detaillierte Liste der Pertinenz- und Provenienzbestände, letztere geordnet
nach den Departementen, durch welche sie gebildet wurden.
Laut den eidgenössischen Volkszählungen war bis zum Zweiten Weltkrieg
nur die deutsche Einwanderung zahlenmässig stärker als die italienische;
nach 1943 dann wurde die italienische zur bedeutendsten. Wenn man
zudem die Saisonarbeiter mitzählt, die durch die Volkszählungen nicht erfasst wurden, ist anzunehmen, dass die italienische Einwanderung schon
vor dem Ersten Weltkrieg die zahlenmässig bedeutendste war. Nach dem
Zweiten Weltkrieg nahm die Zahl der italienischen Einwanderer ausserordentlich stark zu: Im Jahre 1970 stellten die italienischen Staatsangehörigen
ungefähr die Hälfte der ausländischen Wohnbevölkerung der Schweiz. Da
nur alle zehn Jahre eine eidgenössische Volkszählung stattfindet und überdies nur die im Dezember des betreffenden Jahres in der Schweiz wohnhafte
Bevölkerung gezählt wird, müssten diese Daten noch mit denjenigen des
96
Bundesamtes für Industrie, Gewerbe und Arbeit (BIGA) verglichen werden.
Das BIGA zählt seit 1949 jedes Jahr im Februar die ausländischen Arbeitnehmer, seit 1953 zusätzlich auch im August, so dass nun auch die Saisonarbeiter statistisch erfasst sind.
Die italienischen Einwanderer stellen nicht nur einen zahlenmässigen Faktor dar, sondern sie bilden auch einen strukturellen Bestandteil der
ausländischen Wohnbevölkerung der Schweiz. Der Erste Weltkrieg und die
aufkeimende Angst vor der Ueberfremdung führten die eidgenössischen
Behörden zu einer weniger liberalen Ausländerpolitik. 1919 wurde die eidgenössische Fremdenpolizei geschaffen, deren erster Leiter H. Rothmund
war. 1931 stimmte das Parlament dem ersten Ausländergesetz zu; dieses
Gesetz wurde 1948 noch leicht abgeändert. Der Zweite Weltkrieg hatte
insgesamt auch eine Verhärtung der Naturalisierungspolitik zur Folge. Die
Anzahl der eingebürgerten Italiener ist denn auch nicht sehr hoch: Knapp
70*000 Eingebürgerte sind 1970 zu verzeichnen bei einer Gesamtzahl von
rund 4 Millionen Einwanderern in 100 Jahren.
Anhand der Bestände im Bundesarchiv lässt sich die italienische Immigration von 1870-1970 von drei Aspekten her untersuchen. Die Bestände des
Eidgenössischen Justiz- und Polizeidepartementes bieten sich an zum Studium des polizeilichen Aspektes. Seit 1889 verfügt die Eidgenossenschaft
über eine ständige Bundesanwaltschaft; 193S wurde die Bundespolizei
geschaffen. Bis 1914 wurden die tatsächlich oder angeblich anarchistischen
Aktivitäten überwacht; in der Zwischenkriegszeit galt die Aufmerksamkeit
der Behörden besonders den Antifaschisten, und zur Zeit des Kalten Krieges
schliesslich wurden namentlich die aktiven Kommunisten scharf kontrolliert, einige wurden sogar ausgewiesen.
Der politisch-diplomatische Aspekt der italienischen Einwanderung, der für
den Zeitraum des Faschismus besonders wichtig scheint, wird vor allem
durch die Bestände des Politischen Departements dokumentiert. Die politische Aktivität einiger im Schweizer Exil lebenden Antifaschisten führte
wiederholt zu Meinungsverschiedenheiten zwischen der Schweiz und Italien
auf diplomatischer Ebene; es sei hier nur erinnert an die Affäre Bassanesi
im Jahr 1930.
Für das Studium des wirtschaftlichen Aspektes vor allem nach 194S sind die
Bestände des Eidgenössischen Volkswirtschaftsdepartementes und dabei
97
namentlich des BIGA von grösster Wichtigkeit. Die italienischen Arbeitskräfte leisteten seit dem späten 19. Jahrhundert einen namhaften Beitrag an
die Entwicklung der schweizerischen Wirtschaft; staatliche Eingriffe zur
Förderung der Einwanderung von Arbeitskräften von jenseits der Alpen
wurden allerdings erst nach dem Zweiten Weltkrieg ergriffen.
Die Bestände des im Jahre 1940 gegründeten Eidgenössischen Kommissariats für Internierung und Hospitalisierung liefern wertvolle Unterlagen über
die Ankunft von rund 30'000 italienischen Militärflüchtlingen nach dem
Waffenstillstand vom 8. September 1943. Zur gleichen Zeit gelang es rund
IS'000 italienischen Zivilisten, zum grössten Teil Juden, in die Schweiz zu
flüchten, wo sie der Fremdenpolizei unter H. Rothmund unterstellt wurden.
Der Ueberblick über die Fachliteratur zur italienischen Immigration zeigt,
dass die historische Forschung den Aspekt der Ueberfremdung besonders
berücksichtigt hat, während die Beziehungen der Einwanderer zur schweizerischen Arbeiterbewegung bisher nicht das nötige Interesse der Forschung
gefunden haben. Die Arbeiten über die Zeit des Faschismus behandeln vor
allem den politischen Aspekt der Einwanderung und im Bezug auf den
Tessin die Frage des Irredentismus. Die italienische Einwanderung nach
dem Zweiten Weltkrieg ist bisher noch nicht historisch analysiert worden,
ein Umstand, der unter anderem mit der archivischen Sperrfrist von 35
Jahren zusammenhängt. Eines der Ziele des vorliegenden Beitrages, der auf
einer bloss partiellen Bearbeitung der betreffenden Bestände des Schweizerischen Bundesarchivs basiert, ist es denn auch, einige Möglichkeiten zu
lohnenden vertieften Forschungen aufzuzeigen.
Im Jahre 1948 schloss die Schweiz zum ersten Mal ein Abkommen mit
Italien über die Einwanderung italienischer Arbeitnehmer. Die eidgenössischen Behörden waren überzeugt, dass die damalige Hochkonjunktur nur
von vorübergehender Natur sei und eine neue Krisenzeit folgen werde. Deshalb suchten sie zu verhindern, dass die italienischen Arbeitskräfte, die die
Schweiz damals dringend nötig hatte, sich dauernd im Lande niederlassen
konnten. Während die italienisch-schweizerische Uebereinkunft von 1868,
die der Immigration alle Tore öffnete, die freie Wahl des Wohnsitzes garantiert hatte, forderte Bern bereits im Jahre 1935 eine minimale
Aufenthaltsdauer von fünf Jahren zur Erlangung desselben Rechtes, im Abkommen von 1948 wurde die minimale Aufenthaltsdauer dann auf zehn
Jahre erhöht. Im Laufe der fünfziger Jahre stieg die Zahl der Einwanderer
98
an. In der Folge protestierten die Gewerkschaften, da sie fürchteten, es
werde durch die Anstellung billiger Arbeitskräfte aus Italien Druck auf die
Löhne entstehen. Die Schweizer Behörden schienen ausserstande, die Einwanderungsflut einzudämmen, zum Teil wegen der weitreichenden Kompetenzen der Kantone. Diese Ohnmacht zeigte sich besonders deutlich in der
Frage, ob und wann ausländische Arbeitnehmer ihre Familien nachziehen
durften. Auf hartnäckiges Drängen der italienischen Diplomatie und nach
Empfehlungen der OECE, der auch die Schweiz angehört, schien Bern
zunächst bereit, seine rigorose Politik in bezug auf den Familiennachzug zu
lockern; allein der Widerstand einiger wirtschaftlich starker Kantone, allen
voran Zürich, war zu stark.
Auch die Auswirkungen des Kalten Krieges beeinflussten die eidgenössische Einwanderungspolitik. Im Namen einer internationalen Solidarität
gegen die kommunistische Gefahr wurde in der Schweiz gelegentlich die
Meinung vertreten, es müssten mehr italienische Arbeitslose bei uns aufgenommen werden, damit der soziale Druck und damit die Gefahr einer
kommunistischen Revolution in Italien vermindert würde. Bundesrat Petitpierre war ferner überzeugt, dass die Teilnahme der italienischen Gastarbeiter an Wahlen in ihrer Heimat gefördert werden sollte, da sie, wie er meinte,
sicher die Parteien der Ordnung und Stabilität wählen würden. Der Kalte
Krieg hatte auch zur Folge, dass die militanten kommunistischen
Immigranten besonders misstrauisch beobachtet wurden. Im Rahmen einer
grossen Polizeiaktion, die im Juni 1953 mit Zustimmung des Bundesrates
gleichzeitig in mehreren Industriezentren der deutschen Schweiz durchgeführt wurde, wurden rund zwanzig Mitglieder der «Federazione di lingua
italiana del Partito svizzero del lavoro» verhaftet und später ausgewiesen.
Im Anschluss an diese Aktion kündigte die Firma Sulzer in Winterthur
mehreren italiemschen Arbeitnehmern «aus politischen Gründen», was zu
langwierigen Verhandlungen zwischen Bern und Rom führte. Und im
Januar 1956, kurz nach dem Abschluss eines Einwanderungsabkommens
mit Italien, wandte sich die Bundesrepublik Deutschland mit der Bitte an
die Schweiz, sie bei der Ueberwachung der italienischen Kommunisten zu
unterstützen.
Die Zahl der Einwanderer erreichte unter dem Druck der Hochkonjunktur
zu Begin der sechziger Jahre den historischen Höhepunkt; im August 1964
zählte das BIGA 721'000 ausländische Arbeitskräfte, davon 474*000 Italiener. Von 1963 an versuchte Bern die Einwanderung einzudämmen.
99
Gleichzeitig handelte die Schweiz auf Anfrage der italienischen Behörden
ein neues Einwanderungsabkommen aus. Die Übereinkunft, die am 10.
August 1964 in Rom unterzeichnet wurde, brachte einige Erleichterungen
in bezug auf den Familiennachzug der Jahresaufenthalter und der Saisonniers. Diese Zugeständnisse und besonders die breite öffentliche Diskussion
des Abkommens vorab in den Industriekantonen wie Zürich schürten erneut
die Angst vor der Ueberfremdung. Eine erste fremdenfeindliche Volksinitiative wurde 1965 eingereicht, drei Jahre später aber wieder zurückgezogen. Die zweite, die sogenannte «Schwarzenbach-Initiative», wurde 1969
eingereicht und 1970 von Volk und Ständen bei starker Stimmbeteiligung
abgelehnt. Im gleichen Jahr ergriffen die Bundesbehörden Massnahmen zur
effizienteren Eindämmung der Einwanderung. Die wirtschaftliche Rezession liess von 1973-1974 an die Arbeitslosenzahlen auch in der Schweiz
ansteigen, so dass viele italienische Arbeitnehmer in ihre Heimat zurückkehren mussten.
Résumé
L'article prend en considération l'immigration italienne en Suisse pendant la
période 1870-1970: la première date correspond à la pleine réalisation de
l'Unité italienne et suit de peu le traité d'établissement italo-suisse de 1868;
en 1970, les autorités suisses adoptent des mesures pour limiter l'afflux de
main-d'œuvre étrangère et le peuple rejette la première initiative populaire à
caractère xénophobe.
Après des considérations générales sur l'immigration italienne, l'article
passe en revue les fonds des Archives fédérales sur le sujet, en particulier
ceux du Département de justice et police (DJP), du Département politique
(DPF), de celui de l'économie publique (DEP), et ceux constitués pendant la
Deuxième Guerre mondiale par le Commissariat fédéral à l'internement.
Après un bilan sommaire de la bibliographie existant sur le sujet, l'article
esquisse une présentation de l'immigration italienne après 1943 à partir des
fonds des Archives fédérales. Les annexes comportent des listes détaillées
des fonds, répartis entre fonds de matière et fonds de provenance, selon les
départements qui les ont constitués.
100
Selon les recensements fédéraux, l'immigration italienne est devancée,
jusqu'à la Deuxième Guerre mondiale, par celle originaire d'Allemagne, et
devient ensuite la plus importante. En fait, si l'on tient compte des travailleurs saisonniers, non comptabilisés par les recensements, on peut considérer que les immigrés italiens sont les plus nombreux déjà à la veille de la
Grande Guerre. Dans le deuxième après-guerre, l'afflux de la main-d'œuvre
italienne connaît un développement exceptionnel: jusqu'en 1970, les Italiens
représentent la moitié environ de la population étrangère en Suisse. Les
données des recensements fédéraux, effectués tous les 10 ans et ne prenant
en compte que la population résidente en décembre, doivent être complétées
par celles fournies par l'Office fédéral de l'industrie, des arts et métiers et du
travail (OFIAMT): à partir de 1949, cet office recense annuellement en
février la main-d'œuvre étrangère et à partir de 1955 effectue le même
comptage au mois d'août, ce qui permet finalement de connaître le nombre
des saisonniers.
L'immigration italienne doit aussi être étudiée en tant que composante
structurelle du groupe des étrangers dans la Confédération. La Première
Guerre mondiale et la naissance de la peur de VUeberfremdung amènent les
autorités fédérales à adopter une politique moins libérale envers les étrangers: en 1919 est créée la Police fédérale des étrangers, confiée à H. Rothmund, et en 1931 les Chambres adoptent la première loi fédérale sur les
étrangers, qui en 1948 subira de légères modifications. La Grande Guerre
entraîne également un durcissement dans la politique de naturalisation. De
toute façon, le nombre des Italiens naturalisés n'est pas élevé: à peine
70'000, sur un total d'environ 4 millions d'immigrés dans la Confédération
en un siècle.
Les fonds déposés aux Archives fédérales permettent d'étudier l'immigration
italienne sur la période suivant trois optiques principales. Les fonds du DJP
privilégient bien sûr l'aspect policier. Depuis 1889 la Confédération dispose
d'un Ministère public à caractère permanent; en 1935 sera constituée la
Police fédérale (Bundespolizei). Jusqu'en 1914, c'est l'activité des anarchistes, ou présumés tels, qui est particulièrement surveillée; dans l'entre-deuxguerres, ce sont notamment les antifascistes qui feront l'objet d'une surveillance attentive; à l'époque de la Guerre froide, enfin, les militants communistes seront soumis à un contrôle étroit, et certains d'entre eux seront
expulsés. L'aspect politico-diplomatique de l'immigration italienne est
documenté par les fonds du DPF, et nous paraît particulièrement important
101
pour la période fasciste: l'activité politique de quelques exilés antifascistes il suffit de penser à l'affaire Bassanesi en 1930 - suscite à maintes reprises
des discussions entre les diplomaties des deux pays. Les fonds du DEP (en
particulier ceux de l'OFIAMT) sont indispensables pour l'étude de l'aspect
économique particulièrement après 1945. L'apport des travailleurs italiens à
l'économie helvétique a certes été important dès la fin du 'XB&ms, mais c'est
seulement après la Deuxième Guerre mondiale que l'État fédéral intervient
directement pour organiser la venue des ouvriers transalpins. Le fonds du
Commissariat fédéral pour l'internement, créé en 1940 et dépendant du
Département militaire, fournit de précieux renseignements sur l'arrivée en
Suisse, après l'armistice du 8 septembre 1943, de quelques 30'000 réfugiés
militaires italiens. À la même époque, environ 15'000 civils italiens, en
grande partie juifs, parviennent à entrer dans la Confédération, où ils seront
soumis à la Division de police que dirige H. Rothmund.
La recherche historique consacrée à l'immigration italienne semble avoir
privilégié l'optique de l'Ueberfremdung, tandis que les relations entre travailleurs transalpins et mouvement ouvrier helvétique n'ont pas suscité
l'intérêt qu'elles auraient pourtant mérité. Les travaux consacrés à la période
fasciste ont été attentifs surtout à l'aspect politique de l'immigration, et dans
le cas du Tessin ont privilégié la question de l'irrédentisme. Pour la période
postérieure à la Deuxième Guerre mondiale, l'immigration italienne n'a à
vrai dire pas encore fait l'objet d'études à caractère historique; cela est dû
notamment au délai de consultation des archives, fixé à 35 ans. Un des buts
de cet article, basé sur un dépouillement partiel des fonds des archives
fédérales pour cette période, est précisément de mettre en évidence quelques
pistes de recherche qui mériteraient d'être approfondies et développées.
En 1948, Berne conclut avec Rome un accord sur l'immigration des travailleurs italiens, le premier du genre signé par la Confédération. Les autorités
fédérales sont alors persuadées que la bonne conjoncture n'est que passagère
et qu'un retour de la crise est inévitable. C'est pour cette raison qu'elles
cherchent à éviter que les travailleurs italiens, dont l'économie helvétique a
pourtant grand besoin, puissent se fixer durablement dans le pays. Alors que
l'accord italo-suisse de 1868, qui avait ouvert les vannes à l'immigration,
garantissait la liberté de domicile, et qu'en 1934 Berne avait exigé un séjour
minimum de 5 ans pour l'obtention de ce droit, le texte de 1948 porte à 10
ans la durée minimale requise. L'immigration s'accroît au cours des années
50, suscitant les protestations des syndicats qui craignent l'utilisation par le
102
patronat de cette main-d'œuvre bon marché en tant que moyen de pression
sur les salaires. Les autorités fédérales paraissent impuissantes à maîtriser le
flux migratoire, notamment à cause des larges compétences dont disposent
les cantons. Cette impuissance est clairement perceptible dans la question
des familles des travailleurs immigrés. A la suite d'un véritable harcèlement
de la part de la diplomatie italienne et des recommandations de l'OECE,
dont la Suisse fait partie, Berne paraît favorable à une politique plus souple
en matière d'accueil des familles, mais se heurte à la résistance de certains
cantons économiquement importants, tout particulièrement Zurich.
Le contexte de la Guerre froide influe sur la politique fédérale envers
l'immigration italienne. Au nom d'une solidarité supranationale contre la
menace communiste, certains responsables fédéraux sont d'avis que la
Suisse a intérêt à soulager la pression sociale en Italie pour éviter une révolution suscitée par le PCI, et se doit d'accueillir plus largement les travailleurs italiens qui n'ont pas d'emploi chez eux. Pour sa part, le conseiller
fédéral Petitpierre est convaincu qu'il faut favoriser la participation des
immigrés italiens aux élections politiques dans leur pays, car il est à prévoir
que ceux-ci «voteront pour les partis de l'ordre et de la stabilité». La Guerre
froide engendre également chez les responsables suisses une suspicion
accrue à l'égard des militants communistes italiens. En juin 1955, une importante opération de police organisée conjointement dans plusieurs centres
industriels suisses alémaniques avec le feu vert du Conseil fédéral, conduit à
l'arrestation puis à l'expulsion d'une vingtaine de communistes, membres de
la Federazione di lingua italiana del Partito svizzero del lavoro. Cette
opération sera suivie notamment de mesures de licenciements adoptées
contre des ouvriers italiens «pour raisons politiques» par la maison Sulzer
de Winterthur, et occasionnera de longues discussions entre Berne et les
autorités italiennes. A relever encore qu'en janvier 1956, les autorités de la
République fédérale allemande, qui viennent de conclure un accord sur
l'immigration avec l'Italie, s'adressent à la Suisse pour proposer une
coopération en matière de surveillance des militants communistes italiens.
Sous la pression de la haute conjoncture, le nombre des travailleurs immigrés connaît un nouveau bond au début des années 60: le sommet historique
est atteint en août 1964, lorsque l'OFlAMT recense 721*000 étrangers actifs,
dont 474*000 italiens. A partir de 1963, Berne adopte des arrêtés pour tenter
de freiner l'immigration. A la même époque et à la demande des autorités
italiennes, la Suisse accepte de négocier un nouvel accord sur l'immigration,
103
qui est finalement signé à Rome le 10 août 1964. Le texte comporte des
concessions, certes modestes, qui facilitent cependant la venue en Suisse des
familles des travailleurs annuels et saisonniers. Ces concessions, et surtout
le débat qui a lieu dans l'opinion autour de l'accord, contribuent à relancer
dans le pays , tout particulièrement dans des cantons industriels comme
Zurich, la peur de VUeberfremdung. Une première initiative populaire à
caractère xénophobe est donc déposée en 1965, puis retirée en 1968.
L'initiative «Schwarzenbach», elle, est déposée en 1969, puis rejetée en
1970 par le peuple et les cantons à l'issue d'un vote à forte participation. La
même année, les autorités fédérales adoptent des mesures plus efficaces pour
contenir et réduire l'immigration. La récession économique qui commence
en 1973-74, provoque le retour du chômage et contraint de nombreux travailleurs italiens à rentrer dans leur pays.
104
Schweizerisches Bundesarchiv, Digitale Amtsdruckschriften
Archives fédérales suisses, Publications officielles numérisées
Archivio federale svizzero, Pubblicazioni ufficiali digitali
Un secolo di emigrazione italiana in Svizzera (1870-1970), attraverso le fonti dell'Archivio
federale
In
Studien und Quellen
Dans
Etudes et Sources
In
Studi e Fonti
Jahr
1994
Année
Anno
Band
20
Volume
Volume
Autor
Cerutti, Mauro
Auteur
Autore
Seite
11-104
Page
Pagina
Ref. No
80 000 176
Das Dokument wurde durch das Schweizerische Bundesarchiv digitalisiert.
Le document a été digitalisé par les. Archives Fédérales Suisses.
Il documento è stato digitalizzato dell'Archivio federale svizzero.
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