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Il mio amico Eric

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Il mio amico Eric
15
IIll mio amico Eric
regia
KEn loach
sceneggiatura
PaUl lavErTy
fotografia
Barry acKroyd
montaggio
JonaThan MorriS
musiche
GEorGE FEnTon
interpreti
Eric canTona, GErard KEarnS,
STEPhaniE BiShoP, STEvE EvETS
KEN LoACH
1936 - Nuneaton (Inghilterra)
2009
2007
2005
2004
2002
2001
2000
1998
il mio amico Eric
in questo mondo libero
il vento che accarezza l’erba
Un bacio appassionato
Sweet sixteen
Paul, Mick e gli altri
Bread and roses
My name is Joe
nazione
Gran BrETaGna
durata
110’
1995
1994
1993
1991
1990
1981
1971
1969
1967
Terra e libertà
ladybird ladybird
Piovono pietre
riff raff
l’agenda nascosta
Uno sguardo, un sorriso
Family life
Kes
Poor cow
Il mio amico Eric 147
La storia
Eric (Steve Evets), un postino di mezz’età che vive e lavora a Manchester, si trova in un momento critico della sua vita. Tren’anni
prima, in preda ad un attacco di panico, aveva abbandonato la
moglie Lily (Stephanie Bishop) e la figlia appena nata. Oggi vive
con Ryan (Gerard Kearns) e Jess (Stephan Cumbs), i due figliastri
lasciatigli in custodia dalla seconda ex moglie, con i quali ha un
difficile rapporto. La figlia Sam (Lucy-Jo Hudson) è una ragazza
madre in procinto di laurearsi e gli chiede di prendersi cura della
nipotina per più tempo, questo per Eric significa dover rivedere
Lily dopo tanti anni. Una sera mentre Eric è nella sua stanza impegnato ad autocommiserarsi gli si materializza davanti Eric Cantona, il suo idolo del Manchester United del quale è tifosissimo.
Cantona con la sua “filosofia” lo aiuterà ad affrontare il suo passato riavvicinandosi a Lily e lo spronerà a chiedere l’aiuto dei suoi
colleghi e amici tifosi per togliere dai guai Ryan che nel frattempo
si è messo in affari con un pericoloso criminale.
La critica
Loach celebra le inedite nozze tra commedia proletaria e repertorio
di Frank Capra, formando una coppia irresistibile: Eric Cantona, star
indimenticata del Manchester United, e Eric il postino, cinquantenne depresso alle prese con un criminale che gli plagia il figlioccio.
Non sapendo a che santo votarsi, il secondo si rivolge al poster di
san Cantona; ed ecco che il calciatore gli si materializza davanti,
per fargli da coach nel ritorno alla felicità. Una miniera d´inventiva
come sa fare chi ama il suo pubblico. Originale anche l´approccio col
tifo. Al cinema, supporter sembrava sinonimo di hooligan. Invece
Loach ci mostra il lato “di sinistra” della tifoseria: quello di chi vive
il calcio come un´esperienza di amicizia e solidarietà.
Roberto Nepoti, la repubblica, 5 dicembre 2009
l calcio fa bene. Il calcio libera. Il calcio non è affatto il nuovo oppio dei popoli. Parola di Ken Loach: in “Il mio amico Eric” il sempre battagliero regista inglese innalza un inaspettato inno al gioco
148 FILM
Il mioDISCUSSI
amico Eric
INSIEME
più popolare del mondo. L’Eric del titolo è l’asso francese Cantona,
già punta di diamante dell’attacco del Manchester United: è lui ad
“apparire” a un povero postino già abbastanza avanti negli anni,
schiacciato dalla pesantezza di una vita senza prospettive. Un grande amore in gioventù finito nel nulla, due figli adottivi che ne combinano (soprattutto uno) di peggio e di più, un lavoro che svolge
senza alcuna passione. E una figlia naturale che lo ha reso da poco
nonno, unico piccolo raggio di luce in un panorama così desolante.
Ma all’improvviso “appare” Eric: l’idolo dello stadio, quel giocatore
così forte, quella vita così radicalmente diversa. Un sogno, certo, ma
che per una volta non è alienante. Anzi, è un sogno che dà forza, che
insegna saggezza. Che cosa farebbe Eric di fronte a guai così seri?
La favola bella c’illude dolcemente. Perché Loach, questo è il suo
miracolo, non si stanca mai di seminare speranza.
Luigi Paini, il Sole-24 ore, 13 dicembre 2009
Un film dai toni leggeri, lontanissimo dai duri trattati di denuncia
sociale per i quali Loach è famoso (come il penultimo, “In questo
mondo libero”) e dagli excursus storico-politici (come il recente “Il
vento che accarezza l’erba”, vincitore di Cannes nel 2006), nonostante sia stato scritto insieme al fido collaboratore Paul Laverty.
Ed è una grande prova di coraggio e di anticonformismo, da parte
di Loach e Laverty, passare con questa disinvoltura dall’impegno
alla leggerezza. Così come è una prova di grande libertà espressiva
cambiare, all’interno dello stesso film, genere e tono più e più volte:
Il mio amico Eric è a tratti commedia e a tratti melodramma sentimentale, un po’ gangster story e un po’ Full Monty, satira sociale ma
anche osservazione documentaria sulla realtà delle famiglie inglesi
avvilite dalla crisi.
Paola Casella, Europa, 12 dicembre 2009
Ken Loach tra commedia e dramma. Un occhio sempre al proletariato e con voli visionari che comunque non smentiscono mai la sua
vocazione al realismo. Siamo a Manchester, Eric fa il postino ed è
pieno di guai. Da Lily, la sua prima moglie, da cui ha avuto una figlia,
Sara, si è distaccato per una sorta di instabilità emotiva. La seconda,
Chrissie, l’ha lasciato lei, dandogli in custodia due figli avuti da padri
diversi e che Eric, finché erano piccoli, ha allevato con impegno, ma
che adesso, cresciuti, non riesce più a tenere a bada, specialmente
uno presto coinvolto nella malavita. Per aiutarlo nelle sue crisi, gli
altri postini escogitano mille modi, con solidarietà affettuosa, ma
Eric il soccorso più consistente lo trova nel manifesto di un grande
calciatore del Manchester United, il francese Eric Cantona, oggi a
riposo ma pronto a dargli man forte a fianco (nella sua immaginazione) largendogli buoni consigli sul modo di comportarsi con
la prima moglie, con i due figliastri, con il nipotino che la figlia gli
ha parcheggiato in casa perché molto occupata nei suoi studi. Il
finale consolerà tutti all’insegna di quella solidarietà, di cui i colleghi di Eric hanno dato prova fin dall’inizio e che culminerà in una
battaglia tragicomica con cui la malavita intenta a minacciare Eric
e i suoi verrà sconfitta. Sembra di incontrare di nuovo Frank Capra,
ma oggi e con lo stile moderno dì Ken Loach. Buoni sentimenti in
primo piano, ma anche turbamenti e crisi, con la presenza sempre
confortante di quel famoso calciatore (mostrato qua e là anche con
il repertorio delle sue imprese più celebri) che dispensa ad ogni svolta perle di saggezza riscritte dallo sceneggiatore Paul Laverty sulla
base di suoi detti famosi e inserite poi da Loach in contesti autentici.
Come tutta la gente attorno, del resto, i postini amici, i familiari
sempre pronti a circondare quel protagonista instabile con le loro
presenze spesso contraddittorie, però anche in allegria. Fra i meriti,
l’interpretazione, da quella del quasi sconosciuto Steve Evets come
Eric, per finire con tutti gli altri, e non solo il vero Cantona, persino
nelle parti più di fianco. Ken Loach all’altezza della sua fama.
Gian Luigi Rondi, il Tempo, 5 dicembre 20009
Il calcio è sempre una gran bella soluzione, almeno per i maschi,
e infatti viene in aiuto persino a Ken Loach, che grazie a Eric Cantona ammorbidisce i toni eccessivamente vetero e arrabbiati degli
ultimi film e con “Il mio amico Eric” ci regala un gioiello di impegno «alla leggera». Scritto con acume dal fedelissimo Paul Laverty e ambientato come sempre nella working class inglese, il film
narra di Eric, postino di mezz’età depresso dai ricordi e impaurito
dal futuro, che finisce per confessarsi con il ritratto del suo idolo
Eric Cantona, ex superstar del Manchester United. E lui, l’irresistibile calciatore che abbiamo già visto attore in tanti film (fra cui,
nel 1998, “Elizabeth”, con Cate Blanchett, il primo delta trilogia
di Shekhar Kapur, giunto al secondo capitolo nel 2007 con “The
golden age”), prende corpo e scende in terra, pronto a trasformare
in meglio la vita del suo omonimo. Sotto le mentite spoglie del
comunista irriducibile Ken Loach, scopriamo stavolta trama e tocco alla Frank Capra, un sorriso, un sogno e un colpo al cuore del
sistema, con sorpresa finale. Bravissimi i due protagonisti Steve
Evets e Cantona, mostri di birra e simpatia.
Piera Detassis, Panorama, 16 dicembre 2009
I commenti del pubblico
oTTiMo
ADELE bUGAttI DI MAIo Una commedia/dramma in cui realtà e
immaginazione si alleano in un happy end. In questo film si riesce
a realizzare un’osmosi tra commedia e dramma. Si arriva a gestire
l’apparizione onirica della star del calcio in equilibrio tra astrazione e ironia. La “leggenda del calcio” diventa l’amico segreto in una
sceneggiatura ben calibrata. Il mito calcistico interagisce con i problemi del piccolo impiegato Eric. Ne esce una storia d’affetto e amicizia. Un film su una possibile positività dei miti che sembra quasi
irreale di questi tempi, su una solidarietà possibile.
MArIAGrAzIA GorNI Proprio un bel film, giocato con originalità
e disinvoltura su più generi, capace di trattare con leggerezza temi
importanti e impegnativi senza paura di apparire banale per il lieto
fine. Ken Loach non nasconde certo i problemi (e come potrebbe
uno come lui!) ma sa anche indicare vie d’uscita che fanno sperare in un’umanità diversa in cui la solidarietà e l’amicizia emergono
come valori irrinunciabili. E persino il calcio, una volta tanto, ne esce
alla grande con il suo forte potere di aggregazione. Molto bravi i due
protagonisti.
PIErANGELA CHIESA Due vite che s’intersecano, due uomini che si
confrontano, un sogno che diventa realtà. Come siano i due uomini
già lo lascia intendere la locandina: goffo, maldestro Eric il postino,
Il mio amico Eric 149
perfettamente equilibrato, sicuro di sé Eric lo sportivo. Ad un certo
momento della sua vita piatta, triste, piena di guai e di solitudine,
Eric il postino rivolge uno sguardo implorante, quasi una preghiera,
al suo idolo Eric Cantona e Eric il campione, miracolosamente, si
materializza. E il sogno che prende corpo, da quel momento diventa
il taumaturgo di Eric il postino, il suo psicanalista, il maestro di vita.
E riesce in ciò che né gli amorevoli colleghi né i familiari avevano
saputo dargli: lo aiuta a ritrovare la fiducia in se stesso e la capacità
di reagire alle avversità. Un film che alterna momenti leggeri ad altri
ricchi di tensione, ma sempre ben condotto ed equilibrato, capace
anche di farci credere che il calcio non è solo chiassosa tifoseria.
Bravissimi gli attori, molto buona la sceneggiatura, incalzante il
montaggio.
PIErFrANCo StEFFENINI È banale e perfino un po’ patetico riconoscerlo ma ciò che più mi è piaciuto di questo film è il suo proporsi
come una favola moderna, in cui il bene alla fine prevale sul male:
antichi rapporti sentimentali si ricompongono, si riafferma la solidarietà tra colleghi di lavoro, il vilain di turno viene sconfitto con
l’arma del ridicolo e perfino lo sport del calcio viene rappresentato
come passione travolgente, fonte però di coesione e non di violenza. Curioso che un film siffatto venga proposto da un regista che
ci ha abituato alla polemica politica e sociale, civile ma dura. Mi è
piaciuta anche la trovata di raffigurare come deus ex machina più
o meno immaginario l’ex giocatore Cantona, che tra l’altro nel suo
mondo reale passava per un trasgressivo e un violento, e che invece
nel film, in linea con lo spirito che vi aleggia, arriva a dire che il
suo gesto sportivo più bello non è stato un gol, bensì un passaggio
illuminante con cui ha consentito a un compagno di segnare. Abbonda nel film il turpiloquio, ma evidentemente il regista ha voluto
creare un contrappunto di cruda modernità ai toni sostanzialmente
favolistici.
LUISA ALbErINI Il campione sportivo scende dal suo piedistallo di
carta ed entra in campo: Eric, il postino, non sembra sorprendersi.
Quello di cui ha bisogno è un buon consiglio e una parola di incoraggiamento, e Cantona, che dal manifesto appeso in camera sua lo
osserva da anni, è la persona giusta. Dice parole di buon senso, parla
150 Il mio amico Eric
di solidarietà e di amicizia, lo accompagna come un buon allenatore
che deve rimettere in forma e al lavoro i suoi ragazzi. Ed è talmente convincente in questo suo ruolo da persuadere Eric, il postino,
uomo ormai nei guai, a vedere in tutti i suoi amici, compagni di
lavoro, altrettanti Cantona, dotati della stessa energia e disposti allo
stesso compito: riportare in vantaggio la sua squadra e vincere la
partita, quella molto più seria della vita. Una bella favola, e le favole
sono fatte per raccontare a piccoli e grandi che il lieto fine è sempre
possibile. Ottima sceneggiatura, ottima recitazione.
roSA LUIGIA MALASPINA La colomba di Picasso, simbolo di pace,
la cui immagine, prima strappata, poi ricomposta e incorniciata, è
metafora della vita sentimentale di Eric (postino problematico). Ken
Loach tratta dell’amicizia con tocco leggero, divertito, inventivo.
Bella la coppia dei due Eric che si allenano sportivamente alla vita,
uno in modo goffo e l’altro magistrale; uno pasticcia e l’altro ha
movimenti precisi, determinati, e sa dare suggerimenti colmi di saggezza quando si materializza nel momento del bisogno. E altrettanto bella, divertente la prova di amicizia e generosa solidarietà della
compagnia dei postini, da una parte, e di abbandono con fiducia
dall’altra parte, con la battaglia finale esilarante.
GIULIo KoCH Un grande regista, un grande sceneggiatore, una
storia che continua la dichiarazione d’amore che Loach da tempo
porta avanti per la working class inglese. Questa volta toni più
leggeri, una cura speciale per la recitazione, un ‘attenzione particolare ai significati reconditi dei meccanismi psicologici dei lavoratori di Manchester: dalla passione sportiva, alla passione per gli
amici; dalle battute al fulmicotone agli sguardi attoniti di chi non
sa che pesci pigliare; dai fallimenti matrimoniali, alla cocciuta voglia del protagonista di aiutare il figlioccio pasticcione. È un inno
al popolo che lavora e che soffre. Se non fosse per un sonoro a
mio giudizio poco funzionale al film, e per ritmi talvolta deprimenti (specie nella prima parte), il film meriterebbe di più. Meritevole
di menzione il valore della speranza che comunque caratterizza i
film di Loach. Buona ma non eccelsa la fotografia, sapiente l’uso
alternato di tono diversi e di accenti diversi anche se, come detto
sopra, ne risente il ritmo.
G. ALbErtA zANUSo Bravissimo Ken Loach che riesce a rinnovarsi pur non uscendo dal mondo che più gli interessa. Egli tenta,
riuscendoci molto bene, a guardare le cose col sorriso sulle labbra.
Non ci risparmia la realtà della vita di oggi, dei matrimoni che si
spezzano, della solitudine, dei pericoli che si annidano nelle grandi
città, della monotonia di certi lavori, della cattiveria nonchè la vacuità di molte persone. Che cosa ci può salvare da tutto ciò? L’amor
proprio, la fermezza, l’amicizia e perché no, la capacità di continuare
a sognare. Attori che non sembrano tali, sia per l’aspetto fisico che
per la straordinaria naturalezza, una città qualsiasi ma che potrebbe
essere qui o altrove, l’ottima sceneggiatura; ma soprattutto la speranza che ci regala alla fine. Un ottimo film.
CLAUDIA LAvEzzArI Passato il primo quarto d’ora, sono finalmente riuscita a sintonizzarmi con il film, pur ripetendomi “questo non è
Ken Loach!” Alla fine però ero soddisfatta e provavo una sensazione
gradevole per il finale lieto, ma non imperdonabile, come quello di
certe favole. Molti gli spunti che mi piacerebbe approfondire, come
per esempio l’utilità di riuscire a trovare un punto di aggregazione
e di identità collettiva. Mi sono piaciuti il forte senso di solidarietà
che tiene unito il gruppo di amici, sempre pronti a spalleggiarsi e a
soccorrersi anche attraverso atti maldestri e ridicoli; la capacità di
accettare i limiti e quindi le mancanze gli uni degli altri; l’assenza di
rancore nell’ex moglie di Eric che, nonostante il brutto trattamento
ricevuto, fa prevalere la parte migliore di entrambi; il senso di responsabilità e l’amore verso i figli che Eric riesce a dimostrare, pur
in un momento molto difficile per lui e, infine, la sua capacità di
rinascita e riscatto. Tifoso del Manchester, si aggrappa al mito del
campione Eric Cantona per rimettersi in piedi. Lo usa come amico
virtuale e propria coscienza per combattere la depressione, l’apatia
e ritrovare se stesso. Eric e i suoi appaiono persone semplici, ingenue e di scarsi mezzi culturali, ma non sono dei mediocri perché
credono in valori fondamentali per i quali sono disposti a rischiare.
A conti fatti mi sembra che nel film ci sia tutto Ken Loach: gli argomenti trattati, i personaggi, le ambientazioni. Il suo messaggio
arriva, ancora una volta, forte e chiaro, ma si esprime attraverso la
compassione, la speranza e, finalmente, ci fa uscire consolati dalla
consapevolezza che è dura, ma ce la possiamo fare!
EDoArDo IMoDA Ci troviamo di fronte ad un nuovo Loach,
vero? Vero per il suo avvicinarsi alle classi più popolari della realtà
inglese e alle sue manifestazioni più sentite, forse, ma solo forse,
non vero perché vista la cupa realtà che abbiamo conosciuto nei
suoi precedenti impegni non ci aspettavamo un roseo finale. In
realtà poco o nulla è cambiato nelle riflessioni di fondo del regista,
nella coerenza del suo messaggio comprensivo di riferimento alla
lotta di classe qui in versione agrodolce. Ottima la scelta (reciproca mi è sembrato di capire), di Cantona, anche ripesando ai suoi
comportamenti, in campo e fuori (si ricordi la sua aggressione,
citata nel film e nel dibattito, al tifoso sulle tribune), ma proprio
per questo un angelo come lo vorremmo tutti noi, molto poco
catechistico e molto più sanguigno e sensibile alle passioni umane
del giorno dopo giorno. Finale buonista alla Frank Capra ho letto
in qualche recensione... ma ne siamo sicuri? E se ci trovassimo
di fronte, visti i molti richiami ad altri film ricordati anche dalla
platea del San Fedele, a un frammento di “Arancia Meccanica”?
Complessivamente un ottimo film, forse da premio, un rimpianto
da tifoso su quanto possa essere bello il calcio come fenomeno di
aggregazione e quanto sia mal gestito in Italia!
BUono
ALESSANDrA CASNAGHI Bogart in “Provaci ancora Sam”, Cantona in questa pellicola di Loach. Un mito che smaschera le debolezze,
incoraggia, abbandona, ritorna, collabora attivamente. Nulla è perduto e il finale consolatorio è prevedibile ma perfetto.
rACHELE roMANÒ Ciascun uomo ha in sé poteri reconditi; se
riesce a utilizzarli può cambiare e rendere vivibile la realtà quotidiana, talvolta terribile. Eric, il protagonista, ci è riuscito seppur in
modo stravagante. Il film è sobrio, prodotto con cura, e si guarda
con attenzione.
CLArA SCHIAvINA Ho trovato il film piacevole e interessante. Mi
sembra che il messaggio fosse: la depressione toglie la capacità di
reagire agli eventi della vita. Solo facendo un lungo e profondo lavoro su se stessi, con l’aiuto degli amici, si può cambiare ottica nel
Il mio amico Eric 151
giudicare ed affrontare i vari casi della vita, trasformando in positivo
ciò che appariva completamente negativo, acquisendo, inoltre, una
capacità decisionale prima sconosciuta. Bella l’idea di esaminarsi e
contestarsi e lottare con se stessi tramite la conversazione con il
proprio adorato e ammiratissimo idolo del calcio che, fra l’altro, ha
il suo stesso nome.
CArLA CASALINI Nella mia insipienza calcistica, di Eric Cantona
ignoravo persino l’esistenza. Ma questo non conta. Come non conta
quale personaggio fosse davvero questo campione che appare a Eric
il postino per dargli conforto e consigli. Importa piuttosto come,
grazie alle emozioni regalate ai tifosi, diventi un “idolo” indiscutibile
e addirittua un maestro di vita e di pensiero: non per niente, in seduta con amici e compagni, Eric lo indica alla pari con altri modelli
ideologici, da Nelson Mandela a Fidel Castro a Gandhi. È questo,
mi pare, uno dei temi indagati dal film; che ha toni disomogenei,
ma composti in un mix intrigante e coerente. Memorabile, dopo le
scene di realistica violenza, quella paradossalmente comica dei tanti
Cantona in maschera che fanno giustizia. Mì convince meno il pieno, un po’ convenzionale, di buoni sentimenti a lieto fine. Diciamo
che il duro Ken Loach si è concesso una vacanza.
diScrETo
GrAzIA AGoStoNI “Originali” alcune trovate ma, nel complesso, il
film non mi ha interessato. Positiva la rinascita del protagonista.
CrIStINA brUNI zAULI Non ho particolarmente apprezzato questa opera di K. Loach e l’escamotage del dialogo immaginario con il
famoso calciatore Cantona mi è parsa puerile e priva di contenuti
originali. L’argomento della tifoseria calcistica è forse più adatto a
un pubblico maschile. Ho solo gradito il finale, originale con le maschere di Cantona e la condivisione come strumento per stemperare
le ansie. Il regista sembra ribadire che l’isolamento e la chiusura
uccidono e danneggiano, mentre l’aggregazione collettiva aiuta
l’individuo ad acquisire più sicurezza in se stesso. Così almeno è
stato per il protagonista che nella sfortuna ha trovato un gruppo
di veri amici.
152 Il mio amico Eric
MEdiocrE
ELENA CHINA-bINo Partendo da un puzzle con le tessere sparse
alla rinfusa si arriva, dopo un’evoluzione lenta ma inesorabile, alla
composizione di ogni incastro: tutto al suo posto. Perfetto lieto fine.
Era da tempo che non si vedeva un film così rasserenante al San
Fedele. È stato questo il motivo che ha spinto alcuni spettatori ad
applaudire a fine spettacolo?
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