1. Presentazione del progetto La violenza contro le donne rientra
by user
Comments
Transcript
1. Presentazione del progetto La violenza contro le donne rientra
1. Presentazione del progetto La violenza contro le donne rientra nelle violazioni dei diritti umani ed è una di quelle più frequenti; recenti ricerche mostrano infatti che tra un quarto e un terzo della popolazione femminile è vittima di violenze perpetrate da persone molto vicine e nella quasi totalità dei casi si tratta di persone di sesso maschile, per questo si parla di violenza di genere1. Nonostante la quota di donne vittime di violenza sia preoccupantemente elevata, il fenomeno della violenza contro le donne, fino a pochi anni fa, era considerato un problema secondario, un fatto spesso privato tra marito e moglie legato ad archetipi culturali e che non era necessario fronteggiare a livello pubblico e legislativo. Questo lassismo e mancanza di attenzione, spesso anche da parte di chi è investito del compito di difendere e proteggere i più deboli, come la polizia o la magistratura, ha determinato da una parte il proliferare dei casi di violenza, dall’altro la presenza di un forte sommerso, in cui la donna vittima di violenza, priva della fiducia nei confronti dell’autorità pubblica necessaria per avere il coraggio di denunziare il proprio aggressore, preferisce tenere nascosta la violenza subita. Molti casi di violenza non sono denunciati anche perché la vittima non conosce i servizi esistenti sul territorio che possono prestarle aiuto sotto forma di punti di aiuto, di ascolto, consulenze legali, ecc. Partendo da questi presupposti, si declina nel progetto un duplice obiettivo: da una parte portare nuovamente alla luce il problema della violenza contro le donne, individuando un lessico comune tra i partner del progetto funzionale alla migliore comprensione del fenomeno a livello europeo e delle pratiche poste in essere e dall’altra mappare le caratteristiche dei servizi, dei progetti e delle azioni messe in atto per fronteggiare il fenomeno della violenza sulle donne in tre aree europee: la Regione Puglia in Italia, la Regione Vallona in Belgio e i Paesi Baschi in Spagna. Il rapporto di contestualizzazione, preliminare al lavoro sul campo, è strutturato nel modo seguente: nel paragrafo 2 la Regione Puglia viene brevemente descritta dal punto di vista del profilo socioeconomico. Segue un paragrafo che descrive i dati sulla violenza contro le donne in Italia e in Puglia. Nel paragrafo successivo si fa il punto sulla struttura amministrativa e sulle competenze dei vari livelli istituzionali rispetto al tema, mentre nel paragrafo 5 si tenta una definizione del concetto “violenza contro le donne”. Nelle sezioni successive vengono invece analizzati gli interventi legislativi e le azioni intraprese a livello internazionale, nazionale e regionale, nello specifico in Regione Puglia, rispettivamente nei paragrafi 6, 7 e 8. Un paragrafo finale trae alcune provvisorie conclusioni rispetto alla panoramica effettuata nei paragrafi precedenti. 2. Il contesto geografico e socio-economico della Regione Puglia La Puglia è una regione dell'Italia meridionale che copre una superficie di 19.358 km² e conta 4.076.546 abitanti. Le donne rappresentano il 51,5% della popolazione. L’incidenza della popolazione straniera sul totale è dell’1,6%. 1 “Gender-based violence is violence involving men and women, in which the female is usually the victim; and which is derived from unequal power relationships between men and women” - UNFPA Gender Theme Group, 1998. (La violenza di genere è una violenza che coinvolge uomini e donne, nella quale la donna è di solito la vittima; e che deriva da una disuguale relazione di potere tra uomo e donna) 1 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. Il capoluogo della regione è Bari. La regione e suddivisa nelle province di Bari (1.599.378), Brindisi (402.985), Foggia (682.456), Lecce(811.230), Taranto (580.497) e Barletta-AndriaTrani, quest'ultima di recente istituzione e non ancora operativa. Sotto il profilo economico è una delle regioni più dinamiche del Mezzogiorno. Secondo gli ultimi dati del mese di ottobre 2008 il PIL regionale è cresciuto dell'1,8% contro il dato nazionale che segna l'1,5% (e il dato della ripartizione delle regioni del mezzogiorno che misura 0,7%) dovuto soprattutto alla crescita del settore terziario e industriale, a fronte di un ridimensionamento del settore agricolo. Il tasso di occupazione complessivo è di 46,7% e sotto il profilo settoriale l’aumento di occupazione è da attribuirsi al terziario e al settore delle costruzioni. Rispetto agli anni precedenti è in aumento il tasso di disoccupazione, 11,6% nel 2008. Il tasso di inattività femminile per le donne in età lavorativa è del 64,5% contro il 49,3% a livello nazionale. 3. Dati sulla violenza in Italia In Italia l’ISTAT nel 2006 ha condotto un’indagine interamente dedicata al fenomeno della violenza contro le donne nelle sue diverse forme, attraverso un’intervista telefonica su un campione di 25.000 donne tra i 16 e 70 anni. Questa indagine misura tre diverse tipologie di violenza contro le donne: violenza fisica, sessuale e psicologica, osservando inoltre se la violenza è stata subita all’interno della famiglia o al di fuori. I risultati mostrano che il 31,9% della classe di età considerata è stata vittima di violenza sessuale o fisica e quindi si stima che in Italia ben 6 milioni 743 mila donne tra i 16 e 70 anni abbiano subito almeno un caso di violenza. È stato stimato inoltre che 5 milioni di donne, pari al 23,7%, hanno invece subito violenze di tipo sessuale, 3 milioni e 961 mila violenze fisiche, mentre lo stupro o il tentato stupro ha coinvolto circa un milione di donne (4,8%). Focalizzandosi sui casi di violenza sessuale prima dei 16 anni si stima che ben 1 milione 400mila ragazze e bambine hanno subito violenze. I risultati mostrano inoltre che nei casi di violenza fisica è più frequente che le aggressioni siano ad opera del partner o dell’ex-partner più che di uno sconosciuto (12% contro il 9,8%), l’inverso invece accade per i casi di violenza sessuale, per cui il 20,4% delle donne ha subito violenza da un altro uomo e “solo” il 6,1% dal partner o ex partner. Nei casi di stupro o tentato stupro invece non emergono significative differenza tra i soggetti che hanno compiuto la violenza mentre, nei casi di violenza sessuale su ragazze al di sotto dei 16 anni, gli autori sono per lo più persone conosciute. Considerando invece le tipologie di donne maggiormente a rischio di subire violenza scopriamo che le donne separate e divorziate sono più esposte al rischio di subire violenze nel corso della vita. Focalizzandoci sui casi negli ultimi 12 mesi, al contrario, emerge che sono le giovani e le studentesse quelle più esposte al rischio di violenza (più di tipo sessuale che fisica). A livello geografico, i valori più elevati si osservano per i centri metropolitani (42,0%) e per i residenti del Nord e del Centro. Nonostante sia aumentata la percentuale di donne che subiscono violenza o tentata violenza il sommerso rimane elevatissimo, circa il 96% dei casi di violenze perpetrate da un non partner e il 93% di quelle commesse da partner non sono state denunciate. Dai dati raccolti dall’ISTAT risulta molto elevata anche la quota di donne che non solo non 2 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. denuncia il suo violentatore, ma che preferisce non parlare con nessuno della violenza subita (33,9% per quelle subite da parte del partner e 24% per quelle da non partner); questo dato aumenta ancor di più quando la violenza, nello specifico quella sessuale, è avvenuta prima dei 16 anni: più della metà delle minori violentate infatti dichiara di non aver mai parlato con nessuno della violenza subita. La violenza fisica è stata graduata su una scala dalle forme più lievi, come la minaccia di essere colpita o l’essere spinta, a quelle più gravi come il soffocamento, l’ustione, la minaccia con armi. Nei casi di violenza fisica, i casi più diffusi sono la spinta, l’afferrata, la strattonata, il tirare per i capelli, episodi sperimentati dal 56,7% delle donne vittime di violenza, mentre il 52% ha subito la minaccia di essere colpita. Tra i casi di violenza sessuale che l’ISTAT definisce come quelle situazioni in cui la donna è costretta a fare o subire contro la sua volontà atti di tipo sessuale, le più diffuse sono le molestie fisiche (79,5% dei casi di violenza sessuale) e l’aver avuto rapporti sessuali non desiderati (19%). Analizzando nel dettaglio gli autori della violenza emerge che i partner o gli ex partner sono responsabili della quota più elevata di stupri (69,7% dei casi è opera dell’attuale o dell’ex partner) e rapporti sessuali non voluti. Le molestie fisiche sessuali sono invece per lo più commesse da soggetti sconosciuti. I casi di violenza domestica risultano estremamente diffusi, 2 milioni 938 mila donne hanno subito violenza fisica e/o sessuale dal partner o dall’ex partner: il 12% ha subito violenza fisica e il 6,1% sessuale, lo stupro o il tentato stupro ha coinvolto il 2,4% delle donne e le violenze. Secondo i dati ISTAT, si consumano per lo più nelle abitazioni della vittima (58,7%). Nonostante il 34,5% delle donne abbia dichiarata che la violenza subita è stata molto grave e ben il 21,3% ha temuto per la sua incolumità, solo il 18,2% di coloro che ha subito una violenza considera la violenza in famiglia un reato, palesando una concezione ancestrale che relega ancora all’interno delle mura domestiche la donna ad una figura di second’ordine sottomessa alla figura maschile. La quota di violenze in famiglia non denunciate risulta elevatissima, ben il 92,4% delle violenze sessuali e fisiche non viene denunciato. Nei casi di violenza domestica, la violenza fisica e sessuale è spesso accompagnata da quella psicologica (il 90,5% delle donne vittima di violenza fisica e sessuale ha anche subito violenza psicologica). Si stima quindi che siano ben 1 milione e 42mila le donne italiane che hanno subito in famiglia violenza psicologica e sessuale o fisica a cui si aggiungono circa 6milioni 92mila che hanno subito solo violenza psicologica dal partner. Altra forma di violenza monitorata dall’ISTAT è lo stalking che consiste in comportamenti persecutori commessi in questo caso dal partner per lo più al momento della separazione e che come nel caso della violenza psicologica, spesso si accompagna ai casi di violenza fisica. Infatti, quasi il 50% delle vittime di violenza sessuale o fisica da un partner precedente ha subito anche comportamenti persecutori. La violenza extra familiare riguarda invece 5 milioni 221mila donne e a differenza della violenza domestica dove la più diffusa è quella fisica, la violenza da non partner è in primo luogo sessuale. Infatti, le violenze fisiche commesse da uno sconosciuto sono il 37,3%, quelle sessuali invece sono pari al 65,6%. Le tipologie di violenze fisiche più diffuse sono la minaccia di essere colpita (50,3%) e il 42,1% l’essere stata spinta o strattonata. I 3 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. casi di violenza sessuale più citati sono le molestie fisiche sessuali (92,5%) e il tentato stupro (11,2%). Anche nei casi di violenza al di fuori della famiglia, il numero di denunce è bassissimo: solo il 4% ha denunciato gli abusi subiti e una donna su quattro non ne parla con nessuno, in particolare quando il violento è una persona che si conosce e l’episodio riguarda una violenza di tipo sessuale. La rilevazione effettuata dall’ISTAT comprende anche un affondo regionale. In Puglia nello specifico sono state intervistate 1.104 donne tra i 16 e 70 anni ed emerge che il 24,9% ha subito una violenza fisica o sessuale, una quota rilevante ma comunque inferiore al dato nazionale (31,9%) e il 5,3% delle donne pugliesi dichiara di averla subita prima dei 16 anni. Nello specifico il 15,8% delle donne ha subito una violenza fisica, il 17,6% una violenza sessuale e il 4,3% uno stupro o tentato stupro. Così come a livello nazionale, anche a livello regionale il sommerso rimane elevatissimo: solo il 10,8% delle vittime denuncia la violenza del partner e nel caso la violenza sia commessa da un non partner la percentuale scende al 5,4%. Questi risultati evidenziano la magnitudine e la gravità del fenomeno in esame. La violenza sulle donne non è un fenomeno da fronteggiare e combattere visto i “numeri” che lo caratterizzano ma è necessaria un’azione più profonda che non può essere circoscritta al controllo del territorio o a pene più severe. Questi strumenti sono certamente utili ma non bastano, è necessaria una politica a tutto tondo che accanto alla prevenzione prima e alla protezione dopo la violenza, riesca a modificare due atteggiamenti che caratterizzano il fenomeno della violenza contro la donna. Innanzitutto far sviluppare l’idea della parità tra i sessi, perché fino a quando non si raggiungerà una totale parità, le violenze, in particolare quella domestica, saranno all’ordine del giorno; ed in secondo luogo mettere in atto azioni e progetti che infondano maggiore fiducia e sicurezza alla donna vittima favorendo in tal modo la denuncia delle violenze subite. 4. Struttura amministrativa e competenze dei livelli istituzionali rispetto al tema L’Italia è una Repubblica Parlamentare composta nelle sue articolazioni amministrative da Comuni, Province, Regioni e Stato. Non solo le Regioni, ma anche i Comuni, le Province e le costituende Città metropolitane sono a partire dalla riforma del Titolo V enti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione. E' possibile che nel corso del progetto, visti i disegni di riforma dell’organizzazione in senso federale dello stato alla discussione del Parlamento, si potranno registrare ulteriori cambiamenti. La suddivisione delle competenze tra i livelli istituzionali relativamente al tema oggetto di studio ricalca la configurazione istituzionale dei livelli di competenza propri di almeno tre sistemi: quello sanitario, quello socio assistenziale e quello giudiziario. A livello centrale è inoltre istituito (dal 1997) il Ministero delle Pari Opportunità che ha il compito, in sinergia con altri ministeri (in particolare quello del Welfare, della Salute, della Famiglia, della Giustizia) di promuovere e coordinare le azioni di governo anche in materia di sfruttamento e tratta delle persone, di violenza contro le donne nonché di violazione dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne. A tal scopo si prevede che il Ministro per le pari opportunità, con decreto emanato di concerto con i Ministri del Welfare, della Salute, della Famiglia stabilisca i criteri di 4 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. ripartizione del Fondo Pari Opportunità che prevede la destinazione di risorse a parte per le attività dell’Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota a parte destinata al Piano nazionale per la violenza sessuale e di genere. Le competenze trasversali del ministero e l’approccio intersettoriale necessario per la promozione di politiche sulla materia della violenza contro le donne, chiedono il coordinamento dell’intero spettro dei livelli amministrativi e di diversi sistemi di politiche. Come su altri policy field dove lo Stato non esercita potestà esclusiva (p.e. le politiche dell’immigrazione), anche questo specifico campo di politiche si configura secondo una logica di governance intersettoriale e multilivello. Ponendosi in una prospettiva d’analisi bottom up nell’osservazione dei diversi attori che concorrono alle azioni di sistema contro la violenza verso le donne i principali percorsi di competenza possono afferire a: - politiche sociali: a livello di bilancio dello stato sono gli a) organi centrali a definire le risorse da destinare al Fondo nazionale per le politiche sociali che sebbene sia determinato nel suo ammontare da una pluralità di finanziamenti di settore, le risorse che lo costituiscono vi affluiscono senza vincolo di destinazione. E’ compito dei b) livelli regionali cui le quote del fondo vengono trasferite indirizzare e coordinare, attraverso atti normativi regionali, e programmare, attraverso lo strumento del Piano sociale regionale, e di controllare l’operato degli enti locali. Il livello regionale determina in larga misura le dimensioni delle quote di risorse da destinare all’assistenza e ai servizi sociali e le modalità di attribuzione delle risorse agli enti locali. Dell’implementazione e della programmazione in senso stretto dei servizi di occupano c) i comuni programmando una quota degli interventi in forma associata nei Piani di Zona. Alcuni trasferimenti regionali e statali che arrivano al livello comunale possono essere vincolati alla realizzazione di finalità specifiche. - politiche sanitarie: a) gli organi centrali (ministero, parlamento, governo) mettono a punto il Piano sanitario nazionale definendo nella Conferenza Stato-Regioni gli accordi sul finanziamento del Sistema sanitario nazionale. E’ infatti alle b) Regioni che spetta il funzionamento del sistema sulla base di leggi regionali di politica sanitaria (recepimento della normativa nazionale) e del Piano sanitario regionale di durata triennale. Le regioni nominano i direttori generali a capo delle c) Aziende Sanitarie Locali e decidono la ripartizione finanziaria da destinare alle strutture sanitarie di livello locale che si occupano di erogare servizi e prestazioni sanitarie. Sono le Aziende Sanitarie locali a tenere la relazione con i medici di base, le aziende sanitarie, ecc. Ulteriore tassello di competenze che entrano in gioco nelle politiche di fronteggiamento e prevenzione della violenza sessuale e di genere, interessa le forze dell’ordine: polizia di stato (di diretta competenza del Ministero dell’interno), carabinieri (alle dirette dipendenze del Ministero della Difesa) e polizia locale (gestite direttamente dai Comuni), che a diverso titolo possono intervenire. 5. Definizione di violenza contro le donne 5 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. Uno dei documenti più importanti sulla violenza di genere è la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 Dicembre 1993, frutto di una pressione sempre crescente dei movimenti femminili e su richiesta della Conferenza di Vienna sui diritti umani tenutasi nello stesso anno. Nella stessa conferenza viene contestualmente nominata una Relatrice speciale sulla violenza contro le donne scelta in seguito nella persona di Radika Coomaraswamy. La Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, a differenza di altre dichiarazioni e risoluzioni, è anche vincolante per tutti gli stati che l’hanno sottoscritta e che si sono quindi impegnati alla sua implementazione. La Dichiarazione assume un ruolo fondamentale in quanto per la prima volta fornisce una definizione ampia della violenza contro le donne definendola all’articolo 1 come “qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata." La Dichiarazione provvede anche a fornire nell’art. 2 un quadro delle varie forme di violenza, affermando che “la violenza va intesa come comprensiva, ma non limitata a, quanto segue: a. la violenza fisica, sessuale e psicologica che si verifica nella famiglia, in particolare maltrattamenti fisici, abusi sessuali nei confronti delle bambine nel contesto domestico, violenza correlata alla dote, stupro coniugale, mutilazioni dei genitali femminili ed altre pratiche tradizionali che recano danno alle donne, violenza da parte di persona diversa dal coniuge e violenza a fini di sfruttamento; b. la violenza fisica, sessuale e psicologica che si verifica nella comunità, in particolare stupro, abusi sessuali, molestie sessuali e intimidazioni sul lavoro, negli istituti scolastici e altrove, tratta delle donne e prostituzione forzata; c. la violenza fisica, sessuale e psicologica commessa o condonata dallo Stato, ovunque avvenga." La Dichiarazione pone inoltre l’accento sulla relazione che si stabilisce tra l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro la donna e l’eliminazione della violenza di genere: il primo passo per poter contrastare il fenomeno della violenza è infatti l’eliminazione delle discriminazioni di natura sessista. La violenza contro le donne viene descritta nella Dichiarazione come un ostacolo alla parità, allo sviluppo e alla pace in generale, come un ostacolo allo stesso sviluppo umano, riconoscendo che la violenza contro le donne costituisce una manifestazione delle relazioni di potere disuguale fra uomini e donne. Nel testo si identificano inoltre alcuni gruppi di donne come particolarmente vulnerabili alla violenza: le donne indigene, le donne anziane, le donne che appartengono a minoranze, le donne che abitano in comunità rurali isolate, ecc. La classificazione proposta, come indica la stessa dichiarazione, non è esaustiva. Nel tempo sono state portate alla luce, anche grazie all’operato della Relatrice speciale e delle associazioni femminili, altre forme di violenza non espressamente indicate nella Dichiarazione come la preferenza per il figlio maschio, la tratta, la disuguaglianza fra bambini e bambine nell’accesso al cibo, usanza molto praticata nei Paesi in via di sviluppo, i matrimoni precoci con le relative sopraffazioni e violenze. Altre forme di violenza sono i test di verginità pre-matrimoniali, la pratica dei “sati” cioè il rogo delle 6 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. vedove, una pratica che sembra essere tornata in uso in molti Paesi, i crimini passionali, la schiavitù sessuale, le costrizioni in materia di abbigliamento e tutte quelle forme di violenza contro le donne a sfondo etnico e razzista, o legata ai pregiudizi culturali, all’intolleranza, all’estremismo religioso e anti-religioso. Volendo classificare le diverse tipologie di violenza sulle donne, ritroviamo: - violenza sessuale, in cui la donna è costretta a fare o subire atti o rapporti sessuali non desiderati. Rientrano in questa fattispecie lo stupro, la molestia fisica sessuale, essere obbligata a rapporti sessuali con terzi, rapporti col partner per paura di ritorsioni, attività sessuali denigranti e umilianti ma anche battute o prese in giro a sfondo sessuale, telefonate oscene, imporre gravidanze, il pedinamento, lo stalking ecc. Tra le forme di violenza sessuale quella più grave e degradante è senza dubbio lo stupro: come la Relatrice speciale ha affermato nel suo rapporto del 1999, lo stupro costituisce "un’intrusione nelle parti più private ed intime del corpo di una donna, ed anche un’aggressione all’essenza del suo io". Mentre comunemente lo stupro avviene come una manifestazione di estrema violenza sessuale contro una singola donna, va sempre più aumentando il suo impiego come arma di guerra, di repressione politica, o di pulizia etnica. Durante la guerra dell’ex Jugoslavia, ad esempio, decine di migliaia di donne musulmane furono tenute in "campi di stupro" dove vennero stuprate ripetutamente e costrette a partorire bambini contro la loro volontà. Lo stupro può essere usato per rendere le donne "non maritabili" nelle comunità in cui vivono e finalizzato non solo a punire la vittima, ma anche a punire i membri maschi della famiglia, che sono spesso costretti ad assistere all’atto; - violenza fisica, ogni forma di intimidazione o azione in cui venga esercitata una violenza fisica. Sono compresi lo spintonare, il picchiare con o senza l’uso di oggetti, il tirare per i capelli, l’ustionare; - violenza psicologica e verbale, in cui si attacca l’identità o l’autostima della donna. È una tipologia di maltrattamento che accompagna la violenza fisica ed in molti casi la precede. Esempi sono le minacce, impedire di vedere altre persone, essere sbattute fuori di casa, minacciare di usare violenza contro i figli ed altri familiari ecc. La violenza psicologica è molto comune nei casi di violenza domestica e si tratta spesso di atteggiamenti che si insinuano nella relazione e diventano “normali” e finiscono per essere accettati dalla donna senza che si accorga di quanto questi comportamenti siano per lei lesivi; - violenza economica, che consiste in limitazioni di tipo economico generalmente imposte dal partner mediante il controllo dell’autonomia economica della donna, impedendo per esempio di conoscere il reddito familiare, sottraendo alla donna il suo stipendio, impedendole di prendere decisioni in merito alla gestione economica della famiglia, costringendola a lavorare o a non lavorare, a contrarre debiti ecc. La violenza di genere coinvolge le relazioni tra uomo e donna all’interno della società, della famiglia e del lavoro e l’ambiente familiare in particolare è quello in cui i casi di violenza sono i più frequenti; secondo alcune ricerche condotte nei Paesi dell’Europa occidentale tra il 20 e il 30% delle donne subisce violenza dal partner o dall’ex-partner. 7 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. 6. Interventi internazionali a tutela delle donne La tematica della violenza sulle donne è stata affrontata a livello sovranazionale già nel 1979 con la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), un accordo internazionale che pone l’ineguaglianza e la discriminazione contro le donne all’interno del contesto relativo alla povertà, alla razza, alla salute e alla rappresentazione politica, comprendendo inoltre la discriminazione che avviene all’interno delle mura domestiche. La Convenzione CEDAW non fa riferimento specifico alla violenza sulle donne, anzi questo termine non è mai adoperato nel testo e quindi non contiene norme esplicite sul dovere degli Stati firmatari di combattere la violenza di genere. Tuttavia, la Convenzione stessa ha chiarito che tutte le forme di violenza contro le donne rientrano nella definizione di discriminazione e quindi implicitamente gli inviti contenuti nella convenzione di vigilare e combattere i casi di discriminazione sessuale si riferiscono anche alla lotta contro la violenza di genere. Dopo dieci anni, nel 1989, il Comitato CEDAW istituito per vigilare sull’applicazione della Convenzione, con la Raccomandazione Generale n.12, invita esplicitamente gli Stati nei rapporti periodici a fornire informazioni sulle leggi e le iniziative a livello nazionale per tutelare le donne da ogni forma di violenza nella vita quotidiana, compresa la violenza sessuale, la violenza domestica, le molestie, ecc. e per fornire loro assistenza e servizi. Sempre negli anni ’80 (1986) ritroviamo un intervento a livello europeo sul lato dell’offerta dei servizi dedicati alle donne vittime di violenza. La Commissione sui Diritti e pari opportunità delle donne del Parlamento Europeo, ha stabilito infatti che ogni 10.000 abitanti dovrebbe essere disponibile un posto in un centro antiviolenza. Gli anni ’90 inaugurano un periodo di impegno crescente da parte degli organismi delle Nazioni Unite sulla tematica della violenza contro le donne. La già citata Dichiarazione di Vienna e il Programma d’Azione adottati dalla II Conferenza Mondiale dei diritti umani del 1993 sanciscono la piena appartenenza del fenomeno della violenza sulle donne alla tematica dei diritti umani. Sino ad allora infatti, sebbene la violenza fosse in tutti i trattati internazionali vietata, si riteneva che l’universalità dei diritti umani fosse solo un principio generale e che la sua applicazione nel diritto comunitario riguardasse solo l’azione diretta da parte dello stato e dei suoi rappresentanti. La violenza sulle donne invece, essendo perpetrata per lo più da soggetti privati, veniva di fatto esclusa dai diritti umani garantiti e difesi dai trattati internazionali. La Dichiarazione di Vienna chiarisce tale posizione affermando infatti che “i diritti umani delle donne e delle bambine sono inalienabili e parte integrante e indivisibile dei diritti umani universali”. Nel susseguente Programma d’Azione, inoltre, la violenza di genere viene di fatto ricollegata a tutte le forme di molestia e sfruttamento sessuale ritenute incompatibili con la dignità e il valore della persona umana. Il tema della violenza contro le donne è stato approfondito anche nella Conferenza di Pechino del 1995 che di fatto ripropone la stessa definizione di violenza sulle donne presentata nella Dichiarazione del 1993 e, identificando 12 aree prioritarie di intervento, pone tra esse la lotta alla violenza di genere. La conferenza ha sottolineato nuovamente che la violenza contro le donne è sia una violazione dei diritti umani della donna, che un impedimento al pieno godimento di tutti i 8 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. suoi diritti e ha stabilito tre obiettivi strategici: implementare misure integrate per prevenire ed eliminare la violenza contro le donne, studiare le cause e conseguenze della violenza, eliminare la tratta delle donne e assistere le vittime di violenza. Cinque anni dopo, nell’Assemblea di “Pechino+5” viene ribadita la rilevanza del fenomeno, invitando gli Stati a prendere tutte le misure necessarie per eliminare la violenza contro le donne ed una delle sue principali cause: la discriminazione sessuale. Documento chiave della lotta contro la violenza di genere è quello della Conferenza sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione (CEDAW), già citato nel secondo paragrafo. Il Comitato della CEDAW nelle proprie raccomandazioni generali, al numero 12 e 19 richiede una presa di posizione netta da parte degli stati firmatari per “fornire adeguati servizi di sostegno e di protezione per le vittime di violenza domestica, di stupro, violenza sessuale e ogni altra forma di violenza di genere.” Anche in Europa sono state prese importanti iniziative a supporto della lotta contro la violenza di genere. A livello europeo la tutela della donna nell’esercizio dei diritti umani è infatti garantito sia dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che già all’ art. 3 recita in generale che “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”, che dalla Carta Sociale Europea, adottata nel 1961 e rivista nel 1999, che contiene varie clausole anti-discriminatorie. Per ciò che concerne la Convenzione Europea, diversi articoli sono riferiti esplicitamente alla tutela dei diritti delle donne, in particolare sancendo la parità tra uomo e donna come condizione necessaria per un’efficace lotta alla violenza di genere. La disposizione più importante della Convenzione è rappresentata dall’art.14, che sancisce il diritto di non discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciute nella Convenzione stessa e tra le forme di discriminazione viene annoverata anche quella fondata sul sesso. Esplicitamente riferita alla violenza contro le donne è la Raccomandazione Rec(2002)5 emanata dal Consiglio dei Ministri degli Stati Membri adottata il 30 aprile 2002. Questa raccomandazione è stato il primo strumento internazionale che ha proposto una strategia globale per prevenire la violenza e proteggere le vittime, e tuttora costituisce una delle misure legislative fondamentali a livello europeo nella lotta alla violenza contro le donne. Nell’allegato alla raccomandazione, dopo aver definito la violenza contro le donne come “qualsiasi azione di violenza fondata sull’appartenenza sessuale che comporta o potrebbe comportare per le donne che ne sono bersaglio danni o sofferenze di natura fisica, sessuale o psicologica”, al punto 2 il Consiglio d’Europa afferma che “è responsabilità ed interesse degli Stati, che dovranno farne una priorità delle loro politiche nazionali, garantire alle donne il diritto di non subire alcuna violenza di qualsiasi natura e chiunque ne sia l’autore”. In seguito la Raccomandazione invita gli Stati ad adottare o sviluppare politiche nazionali di lotta contro la violenza (punto 3), istituire strutture o organi che a livello centrale, e se possibile interconnesse alle autorità locali, mettano in atto misure di contrasto ai fenomeni di violenza di genere (punto 4) e a sviluppare la ricerca e raccolta di dati creando una rete a livello nazionale e sovranazionale (punto 5). L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ha inviato diverse raccomandazioni e risoluzioni. Ricordiamo per esempio la Raccomandazione 1450 del 2000 sulla violenza 9 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. contro le donne in Europa in cui l’Assemblea raccomanda al Comitato dei Ministri di istituire un programma europeo di lotta contro la violenza sulle donne o la Risoluzione 1247 dell’anno successivo che si focalizza sulla pratica ancora in uso delle mutilazioni genitali femminili. Sulla lotta contro la violenza domestica ricordiamo la Raccomandazione 1582 (2002) del Consiglio di Europa che propone diversi strumenti per combattere questa forma di violenza, come garantire il patrocinio gratuito alle donne vittima di violenza, aprire centri di ascolto per le donne, sviluppare piani di collaborazione tra le istituzioni e gli organismi non-governativi, incrementare il rapporto tra le istituzioni centrali e quelle locali, ecc. Il Consiglio di Europa tra le diverse attività messe in atto per contrastare il fenomeno in esame ha varato una Campagna di sensibilizzazione ed informazione a livello europeo in particolare sul tema della violenza domestica e con la Raccomandazione 1681 (2004) ha invitato alla formazione di una Task-Force transnazionale che implementi le campagne di sensibilizzazione e che ha il compito di valutare i progressi conseguiti a livello nazionale durante l’implementazione della suddetta campagna. La stessa Commissione Europea è intervenuta sul tema delle discriminazioni di genere nella comunicazione intitolata “Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini” in cui si delineano sei ambiti di azione per il quinquennio 2006-2010 tra cui l’eliminazione di ogni violenza basata sul genere. Questa tabella di marcia sancisce l’impegno nel contrastare ogni forma di violenza, come le pratiche di mutilazione genitale femminile o i matrimoni precoci e forzati, considerate violazioni ingiustificabili del diritto fondamentale alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità e all’integrità fisica ed emotiva della donna. La Commissione sul tema specifico della tratta delle donne suggerisce di introdurre una normativa adeguata che criminalizzi tale traffico di essere umani scoraggiando al contempo lo sfruttamento, per lo più a fini sessuali, che le vittime della tratta subiscono. Riassumendo, l’attenzione a livello europeo, almeno dal punto di vista legislativo, sul tema della violenza di genere è forte. L’Assemblea invitando gli Stati membri ad adottare ogni strumento utile per garantire la tutela della donna e la sua sicurezza, ha anche ricordato il carattere diffuso della violenza domestica su tutto il territorio europeo, che è presente in tutte le categorie e classi sociali in maniera indistinta. L’Assemblea ha anche definito gli atti di violenza domestica come degli atti criminali che gli stati membri hanno l’obbligo di prevenire e punire, offrendo contemporaneamente una protezione alle vittime. Sono stati inoltre sollecitati i governi a mettere in atto politiche efficaci di sensibilizzazione e campagne di informazione per porre la popolazione nella condizione di conoscere ed essere educata sul tema. Infine, è stata riconosciuta la necessità e l’importanza dell’elaborazione di strategie di intervento a livello locale per prevenire il fenomeno e dare assistenza alle vittime, nonché è stato sollecitato il miglioramento delle statistiche sulla violenza domestica e l’ aumento delle risorse per sostenere i servizi sociali che trattano il problema della violenza domestica. Oltre alle svariate campagne di sensibilizzazione ricordiamo l’implementazione sin dal 1997 della linea di finanziamento Daphne sul tema della violenza contro le fasce più deboli: bambini, giovani e donne. A diretto sostegno delle donne sono nate diverse organizzazioni a livello europeo, tra queste ricordiamo il Women Against Violence Europe, un network europeo di organizzazioni a sostegno delle donne nella lotta alla violenza di genere. Un network che 10 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. consta di più di 2000 associazioni e che raccoglie, tra l’altro, un esteso database contenenti informazioni sulla prevenzione della violenza sulle donne. 7. La legislazione e gli interventi di livello nazionale in Italia 7.1. Il periodo delle mobilitazioni civili e delle battaglie d’opinione Data al 1975, con l’efferato delitto del Circeo, l’ingresso del tema della violenza contro le donne nel dibattito politico generale. Si inaugura infatti proprio da quell’episodio di violenza, la stagione dei processi per stupro con i primi tentativi delle donne di costituirsi parte civile. Nascono in quell’anno, sul fronte del sostegno alle battaglie legali, il Tribunale 8 Marzo e sul fronte dei servizi, per il sedimentato delle richieste dei movimenti femminili di fine anni ’60 anche i primi consultori pubblici. L’anno successivo a Roma dall’occupazione da parte di un gruppo di donne di uno stabile disabitato di via del Governo Vecchio si dà vita alla prima Casa delle donne e al primo Centro antiviolenza italiano, mentre a Bruxelles prendeva avvio il primo Tribunale internazionale per i crimini contro le donne. Sul tema della violenza alle donne e delle discriminazioni di genere si susseguono in quegli anni ad opera soprattutto di gruppi autorganizzati di donne riflessioni, dibattiti, mobilitazioni: è sempre nel 1976, per esempio, che a Roma migliaia di donne sfilano per le vie della città per l’iniziativa “Riprendiamoci la notte!”, rivendicando il diritto di uscire libere senza avere paura. Tappa cronologica fondamentale prodromica dell’iter legislativo sul tema della violenza alle donne è rappresentata dal 1979: in quell’anno il Movimento delle donne e l’Unione donne Italiane si fecero infatti ideatrici e portavoce di una proposta di legge di iniziativa popolare contro la violenza sessuale: l’obiettivo che i collettivi si erano proposti era quello di far riconoscere a livello legislativo il reato di stupro nella sua natura di reato contro la persona, e non, come avveniva, di crimine contro la morale. Con la proposta di iniziativa popolare le proponenti cercarono di coinvolgere il più alto numero di donne possibili: riuscirono ad ottenere 300mila firme in brevissimo tempo e in un clima di grande partecipazione. La legge vide la luce solo dopo ben 15 anni di lotte parlamentari con un testo che stralciava alcuni dei punti formulati nella prima proposta, tra i quali veniva contemplato l’istituto della procedibilità d’ufficio. La possibilità cioè, da parte dell'autorità giudiziaria di procedere senza necessità di denuncia di violenza da parte della vittima. Modalità che, nella logica dei primi estensori della proposta di legge, avrebbe dato la possibilità a molte donne di difendersi senza esporsi e senza l’obbligo di denuncia. Nello stesso anno della prima proposta di legge, si avviano le prime esperienze dei Telefoni Rosa e delle Case d’accoglienza per donne violentate, mentre molti centri dell’Unione Donne Italiane si trasformano di fatto nei prototipi dei Centri antiviolenza dove si sperimentano i primi percorsi di uscita dalle situazioni di violenza proprio attraverso la relazione tra donne, anche su modello di altre esperienze già attive a livello europeo (Inghilterra, Svezia, Germania, Svizzera, Belgio, Austria, Irlanda). Proprio l’esperienza pionieristica dei Centri delle donne puntava ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica - oltre la cronaca degli stupri di strada – sulla sfera domestica e sulle forme di violenza più sottili tipiche della sfera privata, ben più numerosi e sommersi. Per molti anni i Centri hanno continuato le loro attività con formule autogestite e grazie al contributo dell’associazionismo no profit e del contributo del volontariato. 11 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. 7.2. La legislazione italiana L’Italia fino alla metà degli anni ‘90 è stata caratterizzata dall’assenza di una legislazione chiara sulla violenza contro le donne e solo l’approvazione della legge n.66 del 15 febbraio 1996 ha portato una significativa innovazione legislativa in materia di violenza sessuale. Tale legge, nota con il nome “Norme contro la violenza sessuale” viene approvata dopo 20 anni dalla prima presentazione in Parlamento. Le legge qualifica la violenza contro le donne come delitto contro la libertà personale, innovando la precedente normativa, che la collocava fra i delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume. L’anno successivo, il 7 Marzo 1997 viene approvata su proposta dell’allora Ministro per le Pari Opportunità Anna Finocchiaro la direttiva “Azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini” con cui vengono recepite sul territorio nazionale le indicazione della Conferenza di Pechino del 1995. Tutti gli obiettivi indicati nel documento, come l’integrazione del punto di vista di genere nelle politiche governative o la formazione a una cultura della differenza di genere hanno un impatto anche sul problema della violenza, in quanto indirizzati al raggiungimento di una maggiore parità tra uomo e donna. Obiettivo specifico di lotta contro la violenza sulle donne è l’articolo 9 intitolato “prevenzione e repressione della violenza” che impegna le istituzioni italiane a prevenire e contrastare con iniziative efficaci tutte le forme di violenza fisica, sessuale e psicologica contro le donne, dai maltrattamenti familiari al traffico di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale. In questo obiettivo viene sottolineata inoltre l’importanza di un osservatorio nazionale di monitoraggio della legge contro la violenza sessuale e la necessità di un’indagine statistica nazionale sulla violenza domestica. Riferita alla violenza sessuale, in particolare allo sfruttamento della prostituzione e alla pornografia, è la legge n. 269 del 3/8/1998 intitolata “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia,del turismo sessuale in danno di minori quali nuove norme di riduzione in schiavitù”. Tale legge pur essendo diretta alla tutela dei minori rientra a pieno titolo tra la legislazione a tutela delle donne, visto l’alto numero di bambine e ragazze minori coinvolte nella pedopornografia e/o costrette a prostituirsi. Dello stesso anno è la legge n. 286 che all’art.18 tutela le donne straniere soggette alla tratta e costrette a prostituirsi. Tale articolo prevede il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno di 6 mesi rinnovabili per proteggere la vittima rispetto alle organizzazioni criminali e per favorirne la partecipazione a programmi di assistenza ed integrazione sociale. Questa legge è assolutamente innovativa a livello europeo e ha permesso, secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, di sottrarre più di 4000 persone alla tratta, nello specifico rilasciando 3.800 permessi di soggiorno speciali e assistendo circa 150 donne nel rimpatrio volontario. Gli effetti positivi sotto forma di emersione del sommerso sono evidenti, il numero di procedimenti penali sono passati nei primi due anni dall’applicazione della legge da 200 a più di 2.000. Ciò è dovuto alla maggiore sicurezza della persona violentata in quanto la vittima si può rivolgere ad un’associazione tramite cui richiedere un permesso di soggiorno speciale ancor prima della presentazione della denuncia. Sempre riferita alla tratta di persone è la legge 228/2003 che, dopo aver introdotte delle modifiche agli articoli 600, 601, sulla tratta delle persone e la riduzione e mantenimento in schiavitù “mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità 12 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. […]”, istituisce il Fondo per le misure anti-tratta “destinato al finanziamento dei programmi di assistenza e di integrazione sociale in favore delle vittime” (art.12). Come ben sappiamo tra le forme di violenza quella più frequente è quella domestica e a questo si riferisce la legge 154/2001 (“Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”) che è volta a ridurre il rischio che sia minacciata l’integrità fisica o morale del coniuge o altro convivente. Tra le disposizioni previste emerge l’allontanamento immediato e coatto del coniuge violento dalla casa familiare su ordine del giudice, rispondendo così alla domanda di maggiori strumenti di tutela per le donne vittime di violenza all’interno del nucleo familiare. il Codice penale italiano all’articolo numero 572, dal titolo “Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli”, sanziona la violenza domestica, intesa come atti di violenza fisica o psicologica” se continuativi e compiuti allo scopo di sopraffare e umiliare la vittima. Tuttavia questo articolo di legge è stato adoperato molto di rado perché le forze dell’ordine, cui in casi estremi si rivolge la donna per ottenere protezione, non mettono in moto la procedibilità d’ufficio, ed anzi diverse donne hanno dichiarato di essere state dissuase a presentare denuncia dalle forze dell’ordine2. Più recentemente è stata promulgata la legge n.7 del 9 gennaio 2006, “disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”. Una pratica che la legge all’art.1 definisce come “violazione dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine”, vietata già dall’articolo 583 bis del codice penale. Con la legge 7/2006 si ribadisce il divieto di pratiche di mutilazione genitale e si predispongono programmi appositi per la promozione di iniziative informative rivolte per lo più alla popolazione immigrata tra cui i casi di mutilazione genitale sono più frequenti. Presso il Dipartimento è altresì operante la Commissione per la prevenzione e il contrasto delle pratiche di mutilazione genitale femminile, istituita il 16 novembre 2006, con compiti informativi e di promozione di iniziative di sensibilizzazione. Sono infine presenti organismi collegiali di varia natura finalizzati alla lotta contro il traffico di esseri umani, quali la Commissione interministeriale per il sostegno alle vittime di tratta, violenza e grave sfruttamento, il Comitato di coordinamento delle azioni di governo contro la tratta di esseri umani nonché l’Osservatorio sul fenomeno della tratta degli esseri umani. Sul territorio nazionale negli ultimi anni è andato inoltre aprendosi il dibattito sulla persecuzione e lo stalking che è culminato col il disegno di legge Misure contro gli atti persecutori approvato dal Consiglio dei Ministri il 18 giugno 2008. Il ddl presenta 6 articoli e punisce con una pena da 1 a 4 anni di reclusione chi si rende colpevole di “minacce reiterate o molestie con atti tali da creare nella vittima un perdurante stato di ansia o paura. O un fondato timore per l'incolumità propria o di persona a lei cara. O ancora la costringa ad alterare le proprie abitudini di vita” (art. 1). Nel tentativo di limitare gli atti persecutori commessi da ex partner o ex coniugi, un fenomeno che come mostrato nella sezione 3 risulta molto frequente, è prevista inoltre la possibilità di un inasprimento della pena. 2 E. Bascelli e P. Romito “L’intervento della polizia nei casi di maltrattamento domestico” in “Violenza alle donne e risposta delle istituzioni”. 13 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. Sul fronte relativo alle risorse è interessante far riferimento alla L. 248/2006, relativa all’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio, di un Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, al quale è stata assegnata la somma di 3 milioni di euro per l’anno 2006 e di 10 milioni di euro a decorrere dall’anno 2007. La dotazione del Fondo è stata incrementata dal comma 1261, art. 1, della L. 296/2006 (Legge finanziaria 2007), prevedendo un aumento annuo di 40 milioni di euro per il triennio 2007-2009. La legge finanziaria per il 2008 ha prima stralciato e poi riconfermato i 20 milioni di euro destinati al Fondo. Il comma dispone altresì che una quota parte dell’incremento sia destinata ad uno specifico Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere, successivamente istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità, a sua volta finalizzato in quota parte all’istituzione di un Osservatorio nazionale e in parte ad un Piano d’azione nazionale. Con decreto il 13 dicembre 2007 è stato istituito il Forum permanente contro le molestie gravi e la violenza alle donne, per orientamento sessuale e identità di genere, quale sede di dialogo e confronto fra istituzioni e società, nonché di sostegno e inclusione delle vittime. Si ricorda inoltre l’istituzione l’Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere, previsto dal comma 1261, art. 1, della L. 296/2006 (Legge finanziaria 2007), avente compiti di analisi e ricerca scientifica e di supporto alla progettazione ed implementazione delle politiche di prevenzione, sensibilizzazione e contrasto alla violenza di genere, contro le donne e contro le persone di diverso orientamento sessuale. 7.3. Gli interventi di livello nazionale Tra le numerose azioni intraprese nel nostro Paese si annovera l’istituzione della Commissione ministeriale “SALUTE DELLA POPOLAZIONE IMMIGRATA” con un ruolo consultivo per il Ministero della Salute sul tema dell’immigrazione. La Commissione nella redazione di un Piano strategico nel 2006 ha dedicato uno degli obiettivi al contrasto della pratica delle mutilazione genitali femminili. Una pratica che, sebbene sia vietata nel nostro ordinamento dalla legge 7/2006 come ricordato in precedenza, risulta comune praticata. In particolare la Commissione prevedeva di intervenire tramite gli operatori sanitari, gli enti locali e i servizi specializzati sia in maniera preventiva che in tutela delle donne vittime di questa forma di violenza. L’azione prevista inquadrava questi interventi specifici in un ottica più ampia di lotta alla violenza di genere agendo per un reale cambiamento del comportamento generale nei confronti delle donne. Un altro progetto del 2006 del Ministero della Salute è finalizzato all’apertura di sportelli contro la violenza sulle donne su tutto il territorio nazionale. Questo progetto è indirizzato all’apertura di sportelli all’interno dei Pronto Soccorso ospedalieri dove arrivano molti casi di donne con ecchimosi e segni di violenza che cercano di nascondere la violenza subita, spesso ad opera di persone note, inventando cadute accidentali ed incidenti domestici. Gli operatori del Pronto Soccorso e i medici non sempre riescono a garantire un’attenzione costante alla vittima e sono privi degli strumenti di tipo nozionistico e psicologico per riconoscere i casi di violenza di genere. Per attuare un’azione di prevenzione bisogna quindi fornire agli operatori sanitari una preparazione adeguata e gli strumenti necessari per riconoscere e gestire i casi di violenza. In tal senso va il proposito del progetto di fornire il Pronto Soccorso con sportelli dedicati alla violenza sulle donne. Il Servizio Sanitario Nazionale, quindi, deve essere in grado di fornire una specifica accoglienza sanitaria e l’attivazione successiva della risorsa 14 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. “sportello” attraverso cui dare alla vittima tutte le informazioni necessarie sulla rete attivabile per fare in modo che in lei maturi l’idea di uscire dalla situazione di violenza e denunciare il suo aggressore. Questi sportelli hanno quindi una doppia valenza: da una parte costituiscono una risorsa per incentivare la diagnosi precoce e per supportare gli operatori sanitari, dall’altra tutelano e offrono un aiuto alla vittima. Per questo motivo il progetto individua come luogo il Pronto Soccorso dove, oltre all’intervento di tipo sanitario, è possibile far emergere la violenza ed avviare una risposta organica anche sul piano psico-sociale, creando una rete con il territorio, i medici, i consultori e le associazioni femminili. Per poter realizzare un progetto così importante e ambizioso sono necessarie una serie di azioni, come: 1. Creare un Piano formativo e di aggiornamento rivolto agli operatori sanitari ospedalieri e territoriali sul tema della violenza di genere finalizzato tra l’altro al riconoscimento ed all’adeguata accoglienza delle vittime; 2. Identificare un codice unico da attivare in caso di violenza; 3. Aprire uno sportello nei grandi Ospedali dedicato alla presa in carico dei casi di violenza, possibilmente con la presenza anche di mediatori culturali per i pazienti di altre etnie, visto l’alto numero di donne straniere vittime di violenza; 4. Promuovere uno screening sistematico delle vittime di violenza; 5. Aprire un Centro Antiviolenza di riferimento regionale con il compito in primis di fornire assistenza alle donne vittima di violenza, di creare una rete intergrata con i Dipartimenti di Emergenza e Accettazione e il 118 (numero telefonico per il soccorso sanitario), e di coordinare le attività di formazione. Sempre nel 2006 è stato introdotto in Italia un progetto sperimentale denominato Arianna (“Attivazione Rete Nazionale Antiviolenza) che si propone di fornire un servizio nazionale di accoglienza telefonica alle donne vittime di violenza, di attivare una sperimentazione sul territorio nazionale per migliorare gli interventi a livello locale su 20 territori pilota, ed avviare una Rete nazionale antiviolenza. Il progetto Arianna si pone in continuità con la “Rete Antiviolenza tra le città Urban Italia” promossa nel 1998 dal Governo Italiano all’interno del programma europeo Urban. In Puglia erano coinvolte nella rete i Comuni di Foggia e Lecce tra le otto città pilota nella fase iniziale e sperimentale del progetto a cui si sono aggiunte nel 2001 i Comuni di Brindisi, Bari, Mola di Bari e Taranto. Il progetto prevede l’istituzione di una linea telefonica (1522) attiva 24 ore su 24 per offrire informazioni utili ed un orientamento ai servizi socio sanitari pubblici e privati presenti a livello locale. Tra i servizi collegati si annoverano i centri antiviolenza, le strutture residenziali, le aziende sanitarie locali, i pronto soccorso, ecc. Osservando la ripartizione delle telefonate ricevute sino ad oggi si osserva un aumento costante delle denunce, ciò dovuto anche alla maggiore conoscenza del servizio da parte delle donne e degli operatori: nel primo trimestre (8 Marzo -15 Giugno 2006) le chiamate utili erano state 2.436, nel settimo trimestre invece (16 Settembre – 27 Dicembre 2007) ben 22.344, con un aumento significativo anche dell’utenza straniera (68 nel secondo trimestre, 1.526 al settimo). Dai dati raccolti emerge inoltre che nel 70% dei casi è la donna vittima che ha contattato il 1522 e nella stragrande maggioranza dei casi (77,8%), la violenza denunciata è di tipo domestico. 15 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. 8. Il quadro normativo e gli interventi della Regione Puglia 8.1. Il quadro normativo regionale La Regione Puglia è intervenuta più volte a livello legislativo in materia di sistema integrato di welfare e di politiche di genere, riconoscendo l’urgenza e la necessità di attivare strumenti efficaci di lotta alla discriminazione e alla violenza di genere. La Giunta regionale con la delibera n. 1104 del 4 Agosto 2004 ha approvato il “Piano Regionale delle Politiche Sociali” previsto dalla legge regionale n.17 del 25 Agosto 2003 che disciplina il nuovo sistema intergrato di interventi e servizi sociali in Puglia. Il Piano, che deve essere approvato ogni tre anni, ha tra le finalità principali quelle di definire le scelte strategiche ed integrate di politica sociale, avviare la costruzione di una rete di livelli essenziali di assistenza, promuovere il protagonismo degli attori sociali e di proporre delle linee guida di indirizzo per l’attuazione del Piano. Queste linee guida sono state di seguito approvate dalla già citata delibera regionale n. 1104. Le Linee Guida su Abuso e Maltrattamento prevedono in particolare l’obbligo di istituire entro il primo triennio dalla loro approvazione dei Centri Antiviolenza in tutti i Comuni capoluogo di provincia e di inserire nei Piani di Zona le modalità di costituzioni di équipe multidisciplinari che devono essere attivate obbligatoriamente. Queste équipe svolgono nello specifico compiti di validazione-valutazione, di presa in carico e di trattamento multidisciplinare e multi professionale nelle casi di violenza. Successivamente la legge regionale 19 del 2006 e il suo regolamento attuativo individuano le tipologie di strutture e i servizi per il sostegno e l’inclusione sociale delle donne vittime di violenza. La legge regionale in particolare disciplina il sistema integrato di interventi e servizi sociali per garantire tra gli altri le pari opportunità e la non discriminazione. Con tale legge viene istituito l’Osservatorio regionale delle politiche sociali al cui interno viene posto l’Osservatorio permanente sulle famiglie e le politiche familiari che “studia e analizza l’evoluzione delle condizioni di vita delle famiglie, con particolare attenzione alle situazioni di disagio e di violenza, al rapporto famiglia-lavoro, al fine di individuare le problematiche emergenti e l’evoluzione complessiva delle esigenze familiari” (Art. 14). Nel titolo IV la legge provvede anche ad indicare le diverse tipologie di strutture (a secondo dell’utenza) da istituire sul territorio pugliese in ciascuna provincia. I centri riferiti esplicitamente alle donne vittime di violenze sono: - la casa rifugio per donne (art. 45): una “struttura residenziale a carattere comunitario che offre ospitalità e assistenza a donne vittime di violenza fisica e/o psicologica”. Questa tipologia di struttura offre ospitalità anche alle donne, con o senza figli, vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale; - il centro antiviolenza: un servizio socio-assistenziale che “consiste in un insieme di servizi d’informazione, ascolto e accoglienza, a cui può rivolgersi ogni donna in momentanea difficoltà dovuta a qualsiasi forma di violenza. Il centro eroga informazioni sui presidi sanitari, psicologici e legali a supporto della donna che abbia subito violenza, svolge colloqui di accoglienza e gestisce una linea telefonica di pronto intervento, offre consulenze psicosociali, socio-educative, legali e psicologiche, assiste la donna nella ricerca del lavoro e nel reperimento di un’adeguata sistemazione alloggiativa” (art. 47). 16 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. Il regolamento attuativo della l.r.19/2006 (4/2007) specifica all’articolo 80 le caratteristiche delle Case rifugio, che devono offrire un luogo sicuro, protetto e segreto dove erogare sostegno psicologico per la ricostruzione della propria autonomia, con un percorso di allontanamento emotivo e materiale dalla relazione violenta e servizi di cura alla persona. Altre attività erogate sono volte a indirizzare le ospiti verso nuovi sbocchi relazionali, in particolare per ciò che concerne l’avviamento al lavoro, per permettere loro una piena indipendenza economica. Il medesimo regolamento attuativo, all’art.107 invece si occupa dell’organizzazione dei Centri Antiviolenza ove si effettuano tra gli altri interventi di ascolto, sostegno psicosociale sia individuale che di gruppo, assistenza di tipo legale, orientamento al lavoro. Il decreto attuativo indica anche le figure professionali che devono essere presenti nei Centri come psicologi, educatori, assistenti sociali, psicoterapeuti che possano sia offrire un aiuto alle donne vittima di violenza ma anche attività di formazione e sensibilizzazione sul fenomeno per poter svolgere l’attività di prevenzione, uno dei compiti demandati ai Centri Antiviolenza. 8.2. Le iniziative a livello regionale La legge Regionale 7/2007 “Norme per le politiche di genere e i servizi per la conciliazione vita – lavoro in Puglia” individua all’art. 2 tra i propri obiettivi la necessità di “promuovere e sostenere iniziative di sensibilizzazione, trasferimento e scambio di buone pratiche volte a favorire il cambiamento verso una cittadinanza sessuata ovvero attenta alle differenze di genere e per la rimozione di ogni forma di violenza e abuso contro le donne” e in seguito si individua la necessità di “promuovere e sostenere iniziative volte a superare gli stereotipi di genere; promuovere ricerche, studi e la raccolta sistematica di documentazione e di dati statistici disaggregati per genere sulla condizione femminile, sulle discriminazioni, con particolare riguardo ai fenomeni di discriminazione multipla, nonché sui fenomeni di violenza contro le donne, garantendone la divulgazione”. La Regione Puglia nel campo delle Pari Opportunità e difesa della donna è tra le regioni italiane più attive. Nel “Rapporto Nazionale redatto dai Comitati Pari Opportunità dell’Italia” si afferma che “La tipologia di enti più attivi sul versante dei progetti è la Regione Puglia con 5 iniziative”. Nello specifico nel biennio 2007-2008 la Regione Puglia ha attuato: 1. il codice di condotta e antimobbing; 2. il Forum sulla salute della donne e le politiche di genere; 3. le linee guida per la redazione dei piani triennali di azioni positive nelle pubbliche amministrazioni; 4. il questionario del comitato delle pari opportunità sul fabbisogno di conciliazione; 5. il progetto dei trasporti. Tra gli altri interventi effettuati sul territorio regionale ricordiamo l’istituzione nel 2006 dell’Osservatorio permanente sulle famiglie e le politiche familiari, già citato in precedenza, e nel 2008 di un nuovo osservatorio specifico sulla condizione femminile denominato Osservatorio regionale per il benessere e la salute delle donne in Puglia. Nonostante l’elevato numero di casi di violenza registrati sul territorio pugliese, mostrato anche dalla già discussa rilevazione ISTAT, la risposta in termini di offerta di servizi di prevenzione e presa in carico dei casi non è adeguata. Sul territorio Pugliese infatti, dai dati derivanti dai Piani di Zona emerge che sono presenti solo 5 case rifugio, 11 centri di 17 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. ascolto e 31 equipe integrate e le provincie di Lecce e Foggia risultano prive di un centro antiviolenza nonostante fosse previsto nella legge regionale 19/2006. A Foggia tuttavia risultano esserci ben 3 delle 5 Case Rifugio presenti in Puglia, garantendo una copertura dei servizi generalmente offerti dai centri antiviolenza e ovviando quindi in parte alla loro mancanza. Nella Provincia di Lecce invece, non risultano esserci Centri Antiviolenza né Case rifugio. Il progetto in corso è proprio volto a verificare, aggiornare e integrare questi dati. La Regione Puglia ha inoltre provveduto alla creazione di un programma triennale (2009-2011) di interventi per la lotta alla violenza contro le donne attraverso sia campagne di sensibilizzazione e di promozione della conoscenza del fenomeno, che l’instaurazione di azioni e interventi strutturati. Il piano prevede quattro macro-aree: 1. Sistema regionale di monitoraggio e valutazione; 2. Accordi di programma per prevenire e contrastare la violenza di genere; 3. Interventi per il potenziamento dell’equipe; 4. Strumenti per l’indipendenza economica delle donne vittime di violenza. La prima fase comprende la valutazione e il monitoraggio delle azioni e degli interventi messi in atto sul territorio pugliese per rendere omogenee le azioni sul territorio regionale attraverso la mappatura dei servizi esistenti. Obiettivi di questa fase sono la definizione di linee guida regionali sulla gestione e il funzionamento dei Centri Antiviolenza, il “delineare un programma condiviso di interventi in ottica di genere” e l’incremento dell’efficacia delle azioni poste in essere. Attraverso la mappatura dei servizi, effettuata all’interno del programma Daphne III, si definirà un set minimo di servizi e strutture per la prevenzione e il contrasto alla violenza di genere in base al quale stipulare gli accordi di programma con le Province. Nella seconda linea di intervento ogni Amministrazione Provinciale provvederà a redigere un programma di intervento a livello locale in particolare finalizzato alla dotazione sul territorio provinciale di case rifugio e centri antiviolenza. In questa fase rientrano tra le altre azioni previste l’implementazione di percorsi formativi per gli operatori ed interventi di tipo infrastrutturale. La terza fase invece è finalizzata alla realizzazione di una piena collaborazione ed integrazione tra i servizi sociali territoriali, i servizi consultoriali ed operatori pubblici e privati per creare una prassi condivisa di contrasto alla violenza. La quarta ed ultima linea di intervento consiste nel favorire l’indipendenza economica della donna vittima di violenza favorendo l’ingresso o il reinserimento sul mercato del lavoro attraverso corsi di formazione, incentivi alle assunzioni ecc. Questa fase non si rivolge solo al mercato del lavoro ma tutela anche il diritto all’abitare, istituendo una riserva di alloggi per le emergenze e la messa a disposizione degli immobili confiscati alle mafie. Una mappatura completa delle strutture pubbliche e private operanti sull’intero territorio pugliese indirettamente o direttamente interessate dal fenomeno della violenza sulle donne sembra non essere disponibile. Esiste tuttavia un focus sul Comune di Brindisi con una rilevazioni delle strutture al 29 gennaio 2003. Dal monitoraggio si evince tra gli altri la presenza di quattro consultori familiari di cui uno privato, cinque associazioni femminili, un Centro comunale Antiviolenza e quattro strutture residenziali per ragazze, donne, madri con bambini ecc. 18 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. L’unico centro antiviolenza della città (denominato CrisALIde) è stato istituito nell’ambito dei servizi previsti dalla legge 285/97 e nel 2003 risultava operare nell’ambito della prevenzione e del trattamento sociale, psicologico ed educativo a favore di minori e donne vittime di violenza. Tra i servizi pubblici presenti sul territorio comunale ritroviamo tre Consultori familiari al cui interno lavorano 9 operatori. In questi consultori non sono previsti però protocolli specifici di intervento nei casi di violenza. A questi si aggiungono i Servizi Sociali territoriali in cui lavorano 43 persone, la maggior parte però con una bassa specializzazione; sono presenti infatti in totale solo 7 psicologici e un solo psichiatra. Per entrambe le tipologie di servizio, non è stato possibile quantificare e caratterizzare l’utenza in quanto queste tipologie di informazioni non vengono codificate. È possibile tuttavia quantificare la magnitudine del fenomeno osservando i dati del Pronto Soccorso e del Commissariato di Polizia. Nel 2002, si sono rivolte al Pronto soccorso 52.793 persone con una netta prevalenza di donne (il 60%) e 281 per evidenti casi di violenza subita. I casi di violenza denunciati presso il Commissariato sono stati 3 e tutte donne. Tra i servizi del privato sociale ricordiamo le varie associazioni femminili tra cui “Io donna per non subire violenza” presso cui operano 19 persone tra cui 2 psicologi, un’ assistente sociale ed un’avvocatessa. Ha un protocollo interno di intervento per i casi di violenza e nel 2003 risultava attivare regolarmente programmi di formazione sul tema della violenza, gestiva inoltre un Centro di documentazione e realizzava campagne di sensibilizzazione. A questo servizio nel 2002 si sono rivolte 29 donne, tutte vittime di violenza. Agli operatori dei diversi servizi è stato somministrato un questionario in cui erano previste domande specifiche sulla violenza contro le donne e l’accoglienza e il trattamento dei casi. Degli 80 operatori intervistati solo 31 (il 38,8%) hanno esperienza diretta di casi di violenza. Dalle informazioni raccolte, anche se spesso lacunose, si osserva che i casi di donne che hanno dichiarato di essere state vittime di violenza sono stati 78, pari al 21,1% di tutti i casi riferiti dagli operatori; molto più elevati sono tuttavia i casi di maltrattamento che giungono agli operatori: ben 148. I dati raccolti confermano i risultati dell’indagine ISTAT: la violenza sulle donne è nella maggior parte dei casi perpetrata da una persona vicina alla vittima e il luogo meno sicuro è la propria casa. I dati del comune di Brindisi mostrano come un estraneo sia l’autore di violenza sessuale solo nell’11,5% dei casi. L’autore del maggior numero di atti violenti è il marito: autore nel 34,7% dei casi di violenza e del 59,7% dei casi di maltrattamento. Sempre nella prospettiva di perseguire un coordinamento efficace dei servizi territoriali e dei diversi interventi promossi a livello territoriale, andranno inoltre tenuti in considerazione, almeno in sede di analisi pre-mappatura, i servizi offerti dai Centri di mediazione familiare. Pur non essendo questi centri nati per il presidio specifico della problematica della violenza domestica sulle donne, tuttavia occupandosi del più ampio spettro delle dinamiche che caratterizzano le “crisi familiari” , è possibile che vengano a conoscenza o possano intercettare casi di violenza domestica subita dalle donne o forme di violenza assistita a danno dei minori del nucleo familiare. Data la natura della prestazione e le caratteristiche specifiche del percorso di mediazione che prevede la partecipazione collaborativa e contestuale di entrambi i coniugi è possibile che questi servizi possano intercettare quelle dinamiche di violenza domestica/psicologica subita dalle donne o da minori di cui le donne – per motivi culturali, sociali, psicologici, ecc. - non sono consapevoli in modo esplicito (e che emergono solo nel confronto di coppia facilitato dal servizio) o dalle sedute di anamnesi individuale che precedono l’inizio del percorso di 19 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. mediazione. Tuttavia non è irragionevole pensare, viste le tematiche cui il servizio si dedica e data l’asimmetrica distribuzione territoriale dei centri antiviolenza e degli altri servizi specificamente dedicati, che donne che subiscono violenza in contesto familiare possano in modo “inappropriato” fare riferimento a questi Centri che possono trovarsi nelle condizioni di registrare il problema e funzionare da soggetto inviante. L’indagine sul campo potrà valutare nel merito tutti questi aspetti. 9. Conclusioni Cosi come è stato dimostrato anche dai dati raccolti dall’ISTAT, la violenza sulle donne non è un fenomeno locale, ma è un fenomeno trasversale che coinvolge potenzialmente tutta la popolazione femminile indipendentemente dalla razza, età, classe sociale ecc. Non può essere più considerato solo un problema privato. Il 31,9% della popolazione femminile 16-70 enne ha subito una qualche forma di violenza sessuale o fisica. La violenza fisica è soprattutto ad opera di un partner o ex partner, mentre la violenza sessuale (prevalentemente molestie) è soprattutto ad opera di altri uomini. Il sommerso è elevatissimo: percentuali intorno al 95% delle violenze non sono denunciate. La suddivisione delle competenze tra i livelli istituzionali relativamente al tema oggetto di studio ricalca la configurazione istituzionale dei livelli di competenza propri di almeno tre sistemi: quello sanitario, quello socio assistenziale e quello giudiziario. Pensando alle definizioni del concetto, uno dei documenti più importanti sulla violenza di genere è la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 Dicembre 1993. Tale documento per la prima volta fornisce una definizione ampia della violenza contro le donne. In generale gli anni ’90 inaugurano un periodo di grande investimento a livello internazionale sul tema, almeno per ciò che riguarda la produzione di dichiarazioni, documenti di indirizzo, raccomandazioni. In Italia dagli anni ’70 a metà anni ’90 il tema è stato presidiato solo da movimenti civili con battaglie di opinione che hanno avuto un scarso impatto legislativo. Finalmente nel 1996 viene approvata una legge specifica sulla violenza sessuale, cui fanno seguito altre direttive e leggi che toccano vari aspetti della questione (come l’importante legge del 1998 a tutela delle donne straniere vittime di tratta e costrette a prostituirsi). Negli anni 2000 molti interventi hanno riguardato la sicurezza sanitaria delle donne vittime di violenza, come il progetto del Ministero della Salute del 2006 che mira ad aprire sportelli specifici all’interno dei pronto Soccorso ospedalieri. La Regione Puglia è tra le più attive a livello legislativo sul tema ed in particolare con la legge regionale 19 del 2006 e il suo regolamento attuativo dell’aprile 2007 individua le tipologie di servizi per il sostegno e l’inclusione sociale delle donne vittime di violenza. Ha inoltre provveduto alla stesura di un Programma triennale 2009-2011 di interventi per la lotta alla violenza contro le donne. Come ricorda anche la Risoluzione del Parlamento Europeo del 10 Marzo 2005 “la promozione e la tutela delle donne sono requisiti fondamentali per costruire una vera e 20 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report. propria democrazia” ed “occorre utilizzare tutti i mezzi possibili per prevenire qualsiasi violazione dei diritti umani delle donne”. È necessario un impegno costante delle autorità pubbliche e di tutta la comunità che non può declinarsi solo in una maggiore attenzione e controllo sul territorio ma deve essere finalizzato ad un cambiamento culturale e sociale in quanto, come più volte indicato nel rapporto, sussiste una relazione stretta tra discriminazione sessuale e casi di violenza di genere. 21 The views expressed in this report are the sole responsibility of the author and do not necessarily reflect those of the European Commission. The European Commission will not be responsible or liable for any inaccurate or incorrect statements contained in this report.