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Ponte sullo Stretto e mucche da mungere - Contra
Ponte sullo Stretto e mucche da mungere Grandi infrastrutture, servizi pubblici e bolle speculative A cura di Luigi Sturniolo Realizzato in collaborazione con la Rete No Ponte terrelibere.org Giugno 2009 2 Copyright Questo testo è stampato su licenza Creative Commons 2.5 Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia (creativecommons.org/licenses/by-ncnd/2.5/it/) Copertina http://www.flickr.com/photos/project404/2699044100 (Elaborazione digitale) Stampa Tipografia A&G di Lucia Amara Via Agira 41, 95123 Catania Edizioni terrelibere.org 3 COLLANA PRAÇA DA ALEGRIA 4 Luigi Sturniolo è da sempre attivista nei movimenti sociali. Negli ultimi anni è stato impegnato nelle lotte contro la costruzione del Ponte sullo Stretto. Lavora come bibliotecario presso la Biblioteca Regionale di Messina Terrelibere.org è una rivista elettronica che produce e raccoglie dal 1999 inchieste e ricerche sui rapporti tra Nord e Sud del Mondo, la mafia, le migrazioni, le questioni di genere, l’economia e la disuguaglianza. Tutti i materiali sono diffusi liberamente su licenza Creative Commons. Dal 2009 diventa casa editrice. 5 A Giulio 6 Più psicologico che fisico, più spettacolo che lotta, e redditizio come mai prima Naomi Klein, Shock Economy 7 Indice Introduzione 12 PPP, infrastrutture, speculazione 14 Le infrastrutture: la nuova frontiera 18 I contractor 23 La prossima bolla speculativa 27 Il caso del Ponte sullo Stretto di Messina 30 Le infrastrutture di prossimità 34 La Calabria nelle mani della francese Veolia 37 Il grande business privato – pubblico dell’acqua 37 Rifiuti d’oro 44 Campania, la privatizzazione del ciclo dei rifiuti 49 Emergenza permanente 51 La tecnologia c’è ma non si usa 53 Thor rimane a guardare 54 8 Incenerire e lucrare 56 La guerra, una questione privata 60 L’Afghanistan ed il sugo di pollo 61 Un milione di ettari 64 Mission aziendale 66 Una diga in Lesotho, un cinque stelle in Sudan 71 Disastro ambientale 74 La palla di Gheddafi 75 Il contesto ed il “dettaglio” Ponte 80 Le scommesse 82 La mutazione in senso speculativo 86 L’affaire Ponte 90 Bibliografia 93 9 Sintesi Fino a poco tempo fa era il peggiore dei mali. L’intervento pubblico in economia oggi è centrale sia nella socializzazione delle perdite che nelle Partnership Pubblico Privato: “grandi opere”, servizi di pubblica utilità come acqua, gestione dei rifiuti, trasporti, persino l’economia dei disastri e delle guerre dall’Africa all’Afghanistan. Sono le “mucche da mungere”, costruite o gestite con denaro pubblico o garantito dallo Stato, ma pensate per portare profitto ai privati con operazioni ad alto rischio ed inutili per il territorio. Il Ponte sullo Stretto – esempio estremo di questa strategia - può diventare un crack finanziario, una bolla speculativa pagata da tutti i cittadini. Cosa hanno in comune il Ponte sullo Stretto, una diga in Lesotho, la gestione dell’acqua in Calabria, i cumuli di rifiuti nel centro di Napoli, le razioni di pollo per i soldati in Afghanistan ed un hotel extralusso a Kartoum con vista sulle capanne di fango inondate dal Nilo? Sono tutti casi-esempio di una nuova strategia, l’economia basata sulle partnership tra pubblico e privato che “mungono” attività senza rischio. Al primo soggetto spettano i costi, al secondo i benefici. E’ l’economia delle infrastrutture inutili, addirittura non volute ed imposte al territorio. E’ l’economia dei disastri e delle guerre. 10 Dopo i sistemi basati sul welfare e sulla presenza dello Stato, dopo la lunga fase delle privatizzazioni e del liberismo – quando l’intervento pubblico in economia diventa un tabù, e neanche i partiti di sinistra osano citare Keynes - inizia l’era delle PPP (Partnership Pubblico Privato), capaci di controllare il settore pubblico da detentrici del capitale di ciò che viene costruito o gestito. Aumenta il differenziale sociale, ovvero l’eterno scarto tra il ricco ed il povero. Le residue risorse pubbliche sono spostate a favore di contractor privati. Si generano debiti che verranno trasferiti sulle generazioni a venire. I “movimenti di protesta territoriali”, etichettati come egoisti e retrogradi, hanno avuto la “lucida follia” di comprendere il “grande inganno” delle politiche di privatizzazione dei servizi e dei beni pubblici, di pubblicizzazione del costo, di distruzione ambientale e sociale, della shock economy che trae profitti dalle guerre e dai disastri naturali. Questo libro prova a raccontare una storia diversa. Scheda dopo scheda, paese dopo paese, esempio dopo esempio capiremo che la questione, in realtà, è una sola. 11 Introduzione Il ragioniere Ugo Fantozzi, stanco delle partitelle scapoli-ammogliati e delle altre attività ricreative organizzate dalla mega-ditta, decide di passare le sue serate a lume di lampada elettrica leggendo libri sovversivi, proibiti e rivelatori. “Ma allora mi hanno sempre preso per il culo!”, sbotta infine, dando una manata sul librone e sollevando un cumulo di polvere. Questo agile libro vorrebbe sortire un analogo effetto, ovvero evidenziare il “grande inganno” delle politiche di privatizzazione dei servizi e dei beni pubblici e di pubblicizzazione del costo, di distruzione ambientale e sociale. Vorrebbe raccontare la nuova shock economy che trae profitti dalle guerre e dai disastri naturali. Vorrebbe spiegare che le “grandi opere” non sono occasioni di progresso ma nuove invenzioni per aumentare il “differenziale sociale”, ovvero l’eterno scarto tra il ricco ed il povero. Quest’ultimo, anziché aderire alle ragioni del padrone o subire la propaganda di quella scatola magica pervasiva ed efficacissima che si chiama televisione, deve prendersi una pausa ed iniziare a ragionare. E, tra le altre cose, comprendere che i vari “movimenti di protesta territoriali”, etichettati come egoisti e retrogradi, hanno invece avuto la “lucida follia” di comprendere il giochetto: dopo la fase del pubblico, dopo la fase del privato, arrivano le famigerate “PPP”, ovvero i partenariati pubblico-privato che lucrano sui bisogni sociali, costruiscono cattedrali nel deserto contro 12 la volontà del popolo e “mungono” le mucche di attività economiche senza rischio. In questo modo non esiste primo e terzo mondo: il Ponte sullo Stretto, i rifiuti in Campania, l’acqua in Calabria e persino una infrastruttura inutile in Lesotho o addirittura un “cinque stelle” nel poverissimo Sudan sono in grado di generare straordinari profitti al pari di interventi analoghi nelle zone ricche; anzi, forse di più. Il Medio Oriente o l’Africa sono terreni ideali per l’economia della guerra (armamenti, basi, logistica) e della ricostruzione (appalti, sicurezza). Purtroppo per gli esterofili italiani, non potremo risolvere brevemente la questione piangendo la nostra anomalia e sospirare agli esempi che arrivano da oltreconfine. Le multinazionali che citiamo sono francesi, spagnole, inglesi, tedesche. I mostri della ricostruzione in zona di guerra sono statunitensi. I conflitti d’interesse sono la norma, così come le pratiche di corruzione. I crimini contro l’ambiente e l’umanità commessi dalla prima potenza mondiale non saranno giudicati da alcuna Procura. Parliamo quindi di un problema squisitamente politico, che non può essere affrontato con sguaiati appelli a sanare l’anomalia nazionale, all’intervento della magistratura, ad un ricambio generazionale. Occorre invece togliersi l’etichetta di “popolo del no” e lavorare, molto banalmente, per un intervento pubblico rivolto alle esigenze della collettività ed alla salvaguardia dei beni comuni. Servizi pubblici ed infrastrutture di prossimità. Forza ragionier Fantozzi. Ora che ha capito, esca da quella stanza… 13 PPP, infrastrutture, speculazione Luigi Sturniolo La crisi, nella sua dimensione globale, sta mutando i contorni del vivere sociale e gli abitanti di questo pianeta stanno imparando a fare i conti con le incognite dentro le quali sono sprofondati. La bolla speculativa è un passaggio del piano inclinato “critico” a cui le élite politico-economiche hanno risposto attraverso la dottrina neoliberista e i giochi di prestigio della finanza creativa1. Ad un tendenziale rallentamento della crescita economica, sfociata nell’attuale recessione, ha corrisposto, infatti, un esplosivo aumento degli investimenti finanziari internazionali in percentuale dei rispettivi PIL. Si è passati, ad esempio, negli USA dal 5,9% del PIL degli anni 1975-1979 al 145,2% del 2000, 1 Per una lettura di lungo periodo su tasso di profitto e accumulazione vedi: Minqi Li, Feng Xiao e Andong Zhu. Long wawes, institutional changes, and historical trends: a study of the longterm movement of the profit rate in the capitalist world economy in Journal of World-Systems Research, 2007, XIII, 1, p. 33-54. http://www.countdownnet.info/archivio/analisi/world_econ omy/572.pdf. 14 mentre in Giappone nello stesso periodo si è passati dal 2,8% al 192,1% ed in Europa dal 4,6% al 175,3 %2. Nello stesso periodo, attraverso il pensiero unico del neoliberismo, venivano imposte forti compressioni salariali, riduzione del welfare e si avviava il processo di mercificazione di ambiti che nel passato erano stati mantenuti separati da una logica di mercato. Si pensi al processo di privatizzazione dell’acqua o alla aziendalizzazione-privatizzazione dei servizi pubblici. Al volgere del tornante odierno, però, ciò che nella fase precedente veniva definito come il peggiore dei mali (l’intervento pubblico, la mano dello Stato nell’economia) riacquista centralità. Si parla nuovamente di processi di nazionalizzazione ed allo Stato compete il ruolo di attore primario nella rimessa in moto dell’economia. In realtà, lungi dall’avviare una politica di redistribuzione delle risorse, che avrebbe quantomeno il significato di alleviare la condizione di precarietà, nella quale via via sempre più ampi strati sociali vengono a 2 Giussani, Paolo. La crisi dell’economia. Milano, 2002, http://www.countdownnet.info/archivio/analisi/world_econ omy/arcanoglobale.pdf. 15 trovarsi, viene praticata la più grossa socializzazione delle perdite private mai vista. Esemplare, da questo punto di vista, è il salvataggio, da parte del Tesoro americano, di Fannie Mae e Freddie Mac, i due maggiori istituti finanziari specializzati nel settore immobiliare, coinvolti nella bolla speculativa dei mutui subprime. Stesso significato ha la necessità espressa dal Fondo Monetario Internazionale di creare delle “Bad Bank” su cui far confluire l'enorme massa di titoli tossici ancora in circolazione. “Gli Stati Uniti hanno 10 mila miliardi di dollari di debito pubblico, mille dei quali cumulati nell’ultimo anno. I pacchetti congiunturali previsti, che molti osservatori definiscono insufficienti, valgono duemila miliardi di dollari, metà di quello che è costato - a prezzi odierni - l’intervento americano nella seconda guerra mondiale”, afferma Romano Baer, responsabile gestione patrimoniale e analisi finanziaria della Banca di Stato del Canton Ticino3, in una intervista per Ticino Management. Nell’articolo citato vengono segnalati i rischi di un eccessivo ricorso all’emissione di bond di Stato che determinerebbe un loro graduale deprezzamento ed un forte aggravamento del debito pubblico (per gli Stati Pattono, Alberto. 2010: fuga dai bond in Ticino Management, XXI, 3, marzo 2009. 3 16 Uniti pari ad un aumento del 10%). Va, peraltro, segnalato che secondo il FMI sarebbe di 4000 miliardi di dollari l’ammontare dei titoli tossici posseduti dalle banche4, dando ragione a chi, provocatoriamente, sostiene che non basterebbe tutto il denaro del mondo a sanare la crisi. E’ da rilevare, ancora, nell’ambito delle valutazioni sulla sostenibilità dei titoli obbligazionari, così centrali per il finanziamento delle grandi infrastrutture, che il piano di ristrutturazione di una parte del debito di General Motors (pari a 27 miliardi di dollari) prevede la conversione di bond in azioni5. La trasformazione dei titoli di risparmio in capitale di rischio sarebbe la condizione posta dalla società ai propri obbligazionisti per evitare la bancarotta. Dentro questo scenario le politiche di rilancio delle grandi opere e delle infrastrutture, agite attraverso il partenariato pubblico-privato, assurgono ad un ruolo fondamentale in quanto cercano di bypassare la crisi 4 International Monetary Fund. Global Financial Stability Report, Washington DC, aprile 2009. http://www.imf.org/external/pubs/ft/gfsr/2009/01/pdf/tex t.pdf. Ferrari, Arianna. GM ristruttura 27 miliardi di debito, converte bond in azioni, 27.04.2009 in www.milanofinanza.it. 5 17 attraverso il trasferimento di ingenti risorse dal pubblico al privato e attraverso l’attivazione di nuovi meccanismi finanziari che prospettano probabili future bolle speculative. Le infrastrutture: la nuova frontiera Su “La Stampa” del 24 novembre 2008 Sandra Riccio6 condensava in un breve articolo un grande numero di dati concernenti l’interesse dell’economia mondiale nei confronti delle infrastrutture in tempo di crisi. Secondo l’Ocse, 1,7 trilioni di dollari (il 2,5% del Pil mondiale) verranno spesi annualmente per costruire e rinnovare impianti ed opere pubbliche. L’investimento totale dovrebbe arrivare a 53 trilioni di dollari entro il 2030. Tra i soggetti privati, interessati a questo settore d’investimento, l’articolo cita la Bank Julius Baer & Co e il fondo Dws Invest Global Infrastructures che ha tra i propri titoli la tedesca E.On, la spagnola Iberdrola e la francese Vinci. A questi vanno aggiunti l’australiana Macquarie Bank, seguita da Goldman Sachs, Ubs, Deutsche Bank e Caisse de Dèpots. In Italia il primo ad aver pensato ad un fondo per le infrastrutture è stato Tommaso Padoa Schioppa, ministro dell’economia nel Riccio, Sandra. Le infrastrutture diventano business in La Stampa, 24.11.2008. 6 18 governo Prodi. L’articolo segnala, inoltre, gli Etf (fondi che replicano il rendimento di un indice di mercato) relativi alle più importanti società mondiali operanti nel settore delle infrastrutture. Esempi di questi indici sono gli Nmx30 Infrastructure Global (costituito dalle 30 maggiori società, a livello mondiale, nel campo del gas, del petrolio, delle autostrade, dell’acqua) e Nmx Infrastructure Europe (costituito dalle 16 società più rappresentative dell’Europa centrale nel campo delle autostrade, dell’acqua, delle reti energetiche e degli aeroporti). Altri indici di riferimento sono il World Water Index (che comprende 20 società operanti nel settore dell’acqua) e il Macquarie Global Infrastructure 100 che riunisce le cento azioni a maggiore capitalizzazione di società attive nel comparto infrastrutture su scala globale. A questo settore, cita ancora l’articolo7, manifesta interesse Calpers, il più grosso fondo pensione americano, che ha deciso di impegnarsi nel settore per il 3% del proprio patrimonio totale. A questo proposito il 3 aprile 2009 veniva annunciata l’intenzione di investire nove miliardi di dollari nell’azienda di Stato del porto della Virginia8. 7 Riccio, Sandra. Cit. 8 Christie, Jim. Calpers unit steams into U.S. port with $9 bln offer, 04.03.2009. http://www.forbes.com/feeds/afx/2009/04/03/afx6254333. html. 19 Il 20 marzo 2008 i governatori di New York, Pennsylvania e California, Michael Bloomberg, Ed Rendell e Arnold Schwarzenegger, leaders della lobby creata dalla Rockefeller Foundation per stimolare gli investimenti in infrastrutture, incontrano il nuovo presidente degli Stati Uniti Barak Obama9. Obiettivo dell’incontro è manifestare la necessità di investimenti in opere pubbliche per 2,2 trilioni di dollari. Il campo d’azione previsto è la costruzione e l’adeguamento di strade, porti e aeroporti, l’energia, le telecomunicazioni. Da notare come nella lettera al Congresso, inviata da questa nuova coalizione, si tenga a sottolineare che a parità d’investimento la capacità di creazione di posti di lavoro è superiore per il riammodernamento delle infrastrutture che per i nuovi progetti, prevedendo questi impegni superiori in progettazione ed espropri. Il Build America Bonds Act of 2007 aveva già previsto il finanziamento di strade, porti, ponti ecc. per 50 miliardi di dollari. Il 3 aprile 2009 il “U.S. Treasury Department office of public affaire” annuncia che sulla base 9 Building America’s Future meets with President Obama, 20 marzo 2009. http://investininfrastructure.org/Websites/investininfrastruct ure/Images/Newsroom/Press%20Releases/3%2020%2009% 20obama%20ICYMI.pdf. 20 dell’American Recovery and Reinvestment Act of 2009 ogni Stato o amministrazione locale potrà emettere obbligazioni per il finanziamento di opere pubbliche con la garanzia che il governo federale coprirà gli interessi per il 35%10. Il 22 aprile 2009 lo Stato di California emette Build America Bonds per 6,9 miliardi di dollari11. In Italia, il primo gennaio 2008 nasce BIIS (Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo), del Gruppo Intesa Sanpaolo, specializzata in public finance. Si tratta dell’integrazione di Banca Intesa Infrastrutture e Sviluppo (nata nel 2006) e Banca Opi (attiva dal 2000). La BIIS è la prima banca in Italia e una delle prime in Europa ad occuparsi esclusivamente di opere pubbliche e infrastrutture realizzate in partenariato pubblicoprivato. La nuova BIIS ha un patrimonio di un miliardo di euro e, oltre ad erogare finanziamenti, in alcuni casi partecipa al capitale di rischio acquistando quote azionarie che rivende non appena vengono aperti i 10 U.S. Treasury Department, Office of public Affairs. Build America Bonds and school bonds, 03.04.2009. http://www.treas.gov/press/releases/docs/BuildAmericaand SchoolConstructionBondsFactsheetFinal.pdf. Cooke, Jeremy R. California Sells Record $6.9 Billion in Build America Bond Deal, 22.04.2009. http://www.sott.net/articles/show/182571-California-SellsRecord-6-9-Billion-in-Build-America-Bond-Deal. 11 21 cantieri. Tra i suoi interventi sono da citare l’autostrada Brebemi12, la cartolarizzazione di crediti verso Asl, l’emissione di obbligazioni per enti e imprese locali, il finanziamento del termovalorizzatore di Parona Lo Melina, ecc.13 La BIIS realizza nel 2008 un utile di 47 milioni di euro con un forte incremento dell’attività rispetto a quello del 200714. Tra gli impegni recenti di BIIS è da segnalare quello relativo alla Pedemontana Lombarda, l'autostrada che collegherà le province di Bergamo e Varese, della quale ha acquisito il 26% del capitale e per la quale si occuperà “dell’arranging del debito”, che arriva a circa 3 miliardi di euro su un costo complessiva dell'opera di 4,7 miliardi15. 12 Milano – Bergamo – Brescia. Battistuzzi, Andrea. Intesa fa il Biis sulle opere in Italia Oggi, 24.01.2008. 13 14 Intesa Sanpaolo: BIIS chiude 2008 con utile netto di 47 mln, 01.04.2009. http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=20 0904011214051116&chkAgenzie=PMFNW. 15 Pedemontana, BIIS (Intesa Sanpaolo) arranger debito per 3 mld, 03.04.2009. http://uk.reuters.com/article/motoringAutoNews/idUKL394 133120090403. 22 I contractor Dentro il meccanismo di crisi globale del sistema economico, il settore delle PPP (Partnership Public Private) ha avuto un buon incremento. I contractor operanti nel settore che si occupa, appunto, della costruzione di strade, ponti, ma anche basi militari, dighe, progetti di ricostruzione in zone di guerra, hanno la capacità di intervenire in diverse aree del pianeta e di legarsi in cordate variamente modulate (solo per fare degli esempi legati alle società interessate alla costruzione del Ponte sullo Stretto: Impregilo16, che è il primo general contractor italiano nel settore delle grandi opere, agisce nel campo della costruzione di autostrade, ponti, dighe, ospedali e nell’installazione di inceneritori, mentre CMC17, oltre al settore delle costruzioni civili, è interessata all’allargamento della base militare Dal Molin 16 Mangano, Antonello. Ponte, autostrada, inceneritori, l’imbarazzante curriculum di Impregilo, 2008. http://www.terrelibere.org/terrediconfine/3621-ponteautostrada-inceneritori-limbarazzante-curriculum-di-impregilo. 17 Mazzeo, Antonio. Quella cooperativa “rossa” che lega Sigonella al Ponte e alla Tav, 2006. http://www.terrelibere.org/terrediconfine/index.php?x=com pleta&riga=01857. 23 a Vicenza ed opera da anni presso la base militare Usa di Sigonella). Aspetto fondamentale dell’attività di queste società è nutrirsi dei flussi finanziari pubblici, attivati contemporaneamente al taglio dei servizi di welfare secondo uno schema che prevede, come giustificazione, l’utilizzo di qualsiasi occasione di stress sociale, politico, economico. Da questo punto di vista è esplicativa la lettura della transizione neo-liberista svolta da Naomi Klein. Attraverso l’esempio dei processi di privatizzazione effettuati in occasione dell’uragano Katrina possono essere decodificati i provvedimenti presi in favore dei grossi contractor globali nel corso delle mille emergenze di cui si nutre l’attuale “shock economy” (l’emergenza terrorismo, l’emergenza rifiuti, l’emergenza lavoro, l’emergenza terremoto, ecc.)18. Secondo la Klein, questo Dal punto di vista dell’emergenza terrorismo l’utilizzo dell’11 settembre ai fini delle imprese belliche e delle politiche securitarie assume un valore paradigmatico. Per quanto concerne la critica alla tesi ufficiale sull’attentato alle torri gemelle esiste ormai una pubblicistica molto estesa. Da segnalare i film Inganno globale di Massimo Mazzucco e Zero, regia di Franco Fracassi, basato su un’inchiesta di Giulietto Chiesa, autore anche, con Gore Vidal et al. di Zero, perché la versione ufficiale dell’11/9 è un falso, Casale Monferrato, Piemme, 2007. Per quanto riguarda i processi di privatizzazione nell’ambito del Complesso Militare Industriale americano 18 24 processo ha portato ad una progressiva identificazione tra interessi politici e aziendali, dando vita ad un sistema a carattere corporativo, le cui caratteristiche principali sono, appunto, gli enormi trasferimenti di beni pubblici ai privati, accompagnati dall’esplosione del debito pubblico e da una ulteriore divaricazione della forbice ricchi-poveri19. I dati a disposizione, relativi al 2007, ci dicono che i 225 global contractor più importanti hanno fatto affari per quasi 830 miliardi di dollari, con un incremento riguardo all’anno precedente del 27,1%. Tra le società più importanti figurano le italiane Impregilo (61°), Maire Tecnimont (79°), Astaldi (110°) e CMC (175°)20. Le quattro società italiane citate nel rapporto di ENR (Engineering news-record) rilevano, poi, anche nei bilanci 2008 forti incrementi di attività. In particolare Maire Tecnimont chiude con un utile netto di 117 milioni di vedi: Pagliarone, Antonio. Contractors, Milano, Sedizioni, 2007. 19 Klein, Naomi. Shock economy, Milano, Rizzoli, 2007. Reina, Peter e Tulacz, Gary. The top 225 international contractors in ENR (Engineering new- record), 18.08.2008. http://www.cmc.coop/img/articoli/504/p225internationalco ntractors.pdf. 20 25 euro (con un incremento del 60% rispetto al 200721), Impregilo con un utile di 167,6 milioni di euro (da 40,8 del 200722), la CMC dichiara, invece, un fatturato di 694 milioni di euro (con un incremento di 43,5 milioni rispetto al 200723) e Astaldi un utile netto di 42,1 milioni di euro (con un incremento del 10,5%24). Maire Tecnimont. L’assemblea degli azionisti approva il bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2008, Roma, 27.04.2009. http://www.mairetecnimont.it/pressrelease/comunicatistampa-2009/comunicato-stampa-n.09-27-04-2009l2019assemblea. 21 22 Impregilo. L’assemblea degli azionisti approva il bilancio al 31 dicembre 2008, Sesto San Giovanni, 29.04.2009. http://www.impregilo.it/Impregiloist/index.cfm. 23 CMC Ravenna. Approvati il budget 2009 ed il piano 20092011, Ravenna, 02.03.2009. http://www.cmc.coop/index.php?id_articolo=518&id_lingua =1. 24 Astaldi. L’assemblea degli azionisti ha approvato il bilancio dell’esercizio 2008, Roma, 24.04.2009. http://www.astaldi.com/uploads/files/pdf_comunicati_stam pa/2009/2009_04_24_assemblea_degli_azionisti.pdf. 26 La prossima bolla speculativa Il 17 febbraio 2008 appare sul sito www.rense.com un articolo di Bruce Marshall sul futuro presidente degli Stati Uniti Barak Obama e sulla sua strategia di sviluppo economico basata sulle infrastrutture25. Si tratta di un documento che da quel momento comincerà a rimbalzare a lungo sul web in quanto descrive il meccanismo che a suo dire riprodurrà, attraverso il finanziamento delle infrastrutture, quei meccanismi speculativi che adesso sono di consapevolezza relativamente diffusa e che hanno dato vita alla crisi finanziaria in corso. Ecco lo schema proposto da Marshall: attraverso una banca dedicata al finanziamento delle opere pubbliche verrebbero emesse obbligazioni che, acquistate sul libero mercato per essere soggette ad operazioni speculative, sarebbero “titolarizzate come derivati, scambiate ed in definitiva utilizzate come garanzia collaterale per le infrastrutture recentemente costruite. Assisteremmo così all’emergere di una bolla speculativa sulle infrastrutture, che andrebbe a sostituire la bolla speculativa sui mutui, 25 Marshall, Bruce. Soros, Brzezinski, Rohjatyn, Rudman Running Obama, Barak Obama Fronts Wall Street's infrastructure swindle What Change Really Means, 17.02.2008. http://www.rense.com/general80/sor.htm. 27 sostenuta all’inizio dalla spesa pubblica verso le infrastrutture”. Attraverso questo tipo di operazione verrebbe spalancata la porta della privatizzazione dei beni pubblici e l’imposizione di tariffe “capestro” per gli utenti dei servizi. Vettore di questo modello sono le PPP, capaci a questo punto di controllare il settore pubblico in quanto detentrici del capitale di ciò che viene costruito. Marshall cita, inoltre, nel corso dell’articolo, un discorso tenuto dal senatore Barak Obama nel quale il futuro presidente degli Stati Uniti dichiarava che la “propria” banca avrebbe trasformato 60 miliardi di investimenti in trilioni di dollari. Evidentemente, aggiunge l’autore dell’articolo, ciò può accadere solo per mezzo del “perverso potere magico di Wall Street”. L’intervista rilasciata da Franco Bassanini, ex ministro del centrosinistra, oggi presidente della Cassa Depositi e Prestiti, al Sole 24 ore del 12 aprile 2009 sembra confermare le analisi di Marshall sui meccanismi di finanziamento delle grandi infrastrutture26. Bassanini dichiara che per far fronte alla carenza di risorse europee la Cassa si farà promotrice della creazione dei fondi Marguerite e InfraMed per stimolare investimenti in un’ottica europea fino a 50 miliardi di euro. Il fondo Marguerite emetterà, in particolare, obbligazioni destinate al finanziamento delle infrastrutture. Con una Busacchi, Isabella. Ue, due fondi Cdp contro il deficit infrastrutturale in Il Sole 24 Ore, 12.04.2009. 26 28 dotazione di 1-1,5 miliardi, attraverso l’effetto-leva esso potrà mobilitare decine di miliardi di euro. I Margueritebond saranno, così, un’alternativa all’emissione di titoli di debito sovrano europeo, così come pensati da Delors, prima, Prodi, successivamente, Tremonti, in ultimo. Insomma, lo scenario descritto ci rimanda come ad un ulteriore passaggio del processo di acquisizione della ricchezza sociale da parte delle grosse corporation e delle banche. La lettura delle politiche neoliberiste proposte da Naomi Klein nel libro sulla “Shock Economy”27 trova qui, a mio avviso, una ulteriore conferma. Alla crisi degli anni Settanta le élite politico-economiche rispondono attraverso processi di privatizzazione e di riduzione del welfare (utilizzando a tal fine qualsiasi occasione di crisi) che consentono di mantenere i loro standard di ricchezza, polarizzando ulteriormente il differenziale sociale. In seguito, attraverso meccanismi speculativi, vengono rastrellati i risparmi. Con le politiche sulle infrastrutture si trasferiscono le residue risorse pubbliche a favore di contractor privati e si generano debiti che verranno trasferiti sulle generazioni future. 27 Klein, Naomi. Cit. 29 Il caso del Ponte sullo Stretto di Messina Il recente libro di Giuseppe Cipriani, “Questo Ponte s’ha da fare”28, e qualche presa di posizione dell’ultim’ora di politici ed intellettuali pro Ponte definiscono la mutata giustificazione ideologica della grande infrastruttura dello Stretto di Messina. Assodato che il ponte non ha alcun valore dal punto di vista trasportistico e che è assolutamente anti-economico, la grande opera acquisisce valore in sé, in quanto elemento simbolico per il quale non è necessario “fare calcoli col pallottoliere”. E’ quanto sostenuto dal prof. Bruno Sergi, docente di economia internazionale presso la facoltà di Scienze Cipriani, Giuseppe. Questo ponte s’ha da fare. Milano, Rizzoli, 2009. Giuseppe Cipriani, giornalista prima per Radio radicale, successivamente per altre testate, tra le quali Il foglio, conduce una trasmissione dal titolo La zanzara a Radio 24 ed ha avuto una certa notorietà per aver partecipato a parecchi salotti televisivi per il fatto che il suo libro è andato nelle librerie poco prima che venisse rilanciata l’operazione Ponte sullo Stretto. Il libro, a dire il vero, non aggiunge molto al già detto sulla grande opera. Le poche novità sono immerse in una sequenza interminabile di dichiarazioni di personaggi politici: di quelli favorevoli, di quelli contrari, di quelli prima favorevoli ora contrari… 28 30 politiche dell’Università di Messina. La tesi di fondo in realtà è “Costruiamo il Ponte, da solo… un’opera da mettere in bella mostra …vedreste che comunque avremmo grandi ritorni economici nel nostro territorio”. Insomma, una specie di atto di fede, qualcosa che ha a che fare più con la metafisica che con gli investimenti, con lo sventramento del territorio, con il lavoro, la disoccupazione, la crisi29. La spiegazione di tutto verrebbe data dall’incipit del libro di Cipriani. Non si tratterebbe di chiedersi perché fare il Ponte, ma perché non farlo30. Assistiamo, in sostanza, ad un mutamento nelle argomentazioni a sostegno della mega-infrastruttura. Cambia anche il linguaggio utilizzato e si assiste ad una sorta di “inversione degli stili”. Gli oppositori al Ponte hanno prodotto, nel corso degli anni, documentazione a carattere scientifico, suffragata da una base empirica (calcoli costi/benefici, valutazioni sull’impatto L’intervista di Peppe Caridi al prof. Bruno Sergi è stata pubblicata sul quotidiano on line di Messina Tempostretto il 26 marzo 2009. Ciò che sorprende nell’intervista, considerato che l’intervistato è un economista, è la quasi totale assenza di dati empirici a sostegno della tesi sostenuta. http://www.tempostretto.it/8/index.php?location=articolo &id_articolo=15040. 29 Si tratta di una vera inversione della tradizione del pensiero razionale e scientifico, non sappiamo quanto consapevole. 30 31 ambientale, previsioni dei volumi di traffico…). Al contrario, la parte avversa, specialmente negli ultimi tempi, sembra privilegiare battute e slogan, oppure semplificazioni del tutto estranee alla stessa tradizione “istituzionale”. Fino ad un certo punto, la tesi sostenuta era che i tassi di crescita economica attesi per il Meridione avrebbero determinato un aumento dei trasporti nello Stretto tale che il ritorno economico in termini di pedaggi avrebbe reso profittevole il Ponte e quindi, attraverso la finanza di progetto, sarebbe stato possibile attrarre investimenti privati. Nel 2000 l’advisor tecnico-finanziario Price Waterhouse, associato nell’impresa a Certet dell’Università Bocconi, a Sic e Sintra, ingaggiato dal Governo su richiesta del CIPE dopo l’approvazione del Progetto di massima della Stretto di Messina Spa da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, descrive degli scenari riguardanti gli attraversamenti dello Stretto in relazione ai tassi di crescita del PIL attesi31. Price Waterhouse Coopers Italia, Price Waterhouse Coopers U.K., Certet Università Bocconi, Sintra s.r.l., Net Engineering. Collegamento Sicilia – continente, rapporto finale dell’Advisor, 2001. 31 32 In realtà, già nel 2003 uno studio del prof. Marco Brambrilla del Politecnico di Milano dimostrava che solo lo scenario più avanzato proposto dagli advisor (incremento di 3,8% del Pil per il meridione), un allungamento della concessione a 50 anni e una riduzione dell’offerta di trasporto per nave avrebbero reso economicamente interessante l’opera32. Il corso dell’economia di questi ultimi anni ha comunque tolto ogni dubbio, infatti dal 2001 al 2005 l’incremento del Pil per il meridione non ha raggiunto lo 0.5%, nel 2006 ha di poco superato l’1%, nel 2007 si è attestata sullo 0.5% e dal 2008 siamo entrati nel segno meno33. Per il 2009 il valore previsto è -1,5%. Il futuro è, poi, un’assoluta incognita. A dimostrazione di tutto questo, negli ultimi anni i transiti attraverso lo Stretto sono diminuiti piuttosto che aumentare. I dati previsti, secondo gli studi degli advisor, prevedevano, infatti, incrementi tra il 10 ed il 39% fino al 2012 con una tendenza in crescita per gli anni successivi. I dati reali degli ultimi otto anni, ben Brambrilla, Marco. Analisi costi-benefici del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, Milano, 2003. http://www.astridonline.it/--le-infra/Studi--ric/BRAMBILLA-Legge-Obiettcosti-ponte.pdf. 32 33 Banca d’Italia. Relazione annuale sul 2007, Roma, 2008. 33 ricostruiti da una recente inchiesta della trasmissione televisiva “Exit”, danno invece evidenze ben diverse. I transiti dei camion sono in calo del 7%, quelli dei passeggeri del 20%, quelli delle auto del 30%. Uguale il risultato per il traffico ferroviario: treni passeggeri –33%, treni merci –11% solo negli ultimi due anni34. Le infrastrutture di prossimità Sembra a volte di rasentare l’ingenuità quando vengono contrapposte le argomentazioni degli attivisti contro le devastazioni ambientali e la privatizzazione del bene comune ai sostenitori di costosi impianti infrastrutturali e degli insediamenti inquinanti. L’inutilità e l’inefficacia del Ponte sullo Stretto sono paradigmatiche, ma le stesse critiche utilizzate nei confronti di questa mega infrastruttura sono spendibili per molti altri casi 34 I dati sono stati presentati nel corso della trasmissione televisiva Exit sul Canale La7 il 12.03.2009. Da segnalare, nel corso della trasmissione, la singolare dichiarazione di Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto di Messina s.p.a. a proposito della forte flessione dei transiti nello Stretto: “E’ un esercizio faticoso dover ogni volta rifare i conti”. Cfr. http://www.la7.it/blog/post_dettaglio.asp?idblog=ILARIA_ DAMICO_-_Exit_15&id=3270. 34 (inceneritori, rigassificatori, privatizzazione dell’acqua, nucleare). In realtà sono i flussi di denaro a giustificare questi insediamenti e queste scelte politiche e non viceversa. Eppure tocca battersi contrapponendo progetto a progetto. Al piano delle grandi opere è possibile contrapporre una proposta di realizzazione di infrastrutture di prossimità. Oggi, che il tabù della spesa pubblica è stato abbattuto dagli stessi sostenitori del “tutto mercato”, perché oggi quelle risorse sono necessarie per salvare banche e imprese, è possibile aprire una vertenzialità territoriale che ponga come prioritaria la spesa pubblica al servizio degli abitanti dei territori. Le infrastrutture prossime ai cittadini sono anche più produttive sul piano occupazionale e generano una mobilitazione imprenditoriale meno permeabile ai grandi contractor delle opere pubbliche e alle operazioni speculative. Alla costruzione del Ponte sullo Stretto è possibile opporre, ad esempio, una piattaforma sociale basata sulla messa in sicurezza del territorio dal rischio sismico ed idrogeologico, un grande piano di edilizia scolastica ed una rinnovata politica di welfare che assicuri una difesa dalla crisi economica. La pratica di questa piattaforma sociale si configura, inoltre, come espressione di democrazia radicale in quanto agita da soggetti (i movimenti territoriali) che sfuggono alla tradizionale strutturazione della soggettività politica. La crisi del meccanismo della 35 rappresentanza genera, in sostanza, il sorgere di espressioni politiche e sociali che sperimentano, con caratteristiche diverse nei vari territori, nuove forme di aggregazione e nuovi meccanismi di presa delle decisioni più inclini alla realizzazione di un agire dal basso che offra risposte ai bisogni degli abitanti. 36 La Calabria nelle mani della francese Veolia Peppe Marra35 Il grande business privato – pubblico dell’acqua Negli ultimi anni la difesa dell’ambiente, la produzione di energia da fonti rinnovabili, la tutela e la gestione dell’acqua non sono più argomenti di pertinenza esclusiva degli ecologisti, ma sono entrati a far parte del patrimonio lessicale delle grandi società multinazionali. Proprio dal business dell’oro blu e dei “certificati verdi”, i colossi del capitalismo “ambientalista” ricavano infatti i maggiori introiti, incuranti naturalmente della salvaguardia del patrimonio naturale e del territorio. È questo il caso della Veolia Environnement, colosso parigino da 36 miliardi di fatturato e 320 mila dipendenti, che fornisce acqua a più di 80 milioni di persone e raccoglie e 35 Peppe Marra è attivista del C.S.O.A. “Angelina Cartella” di Gallico, Reggio Calabria, e di TerritoRioT, realtà impegnate a contrastare un modello di “sviluppo” fatto di grandi opere inutili e devastanti come il Ponte sullo Stretto, i rigassificatori, le centrali e gli inceneritori, di privatizzazioni selvagge di beni e servizi. 37 tratta oltre 66 milioni di tonnellate di rifiuti36. Attraverso l’acquisizione dei pacchetti azionari di maggioranza di società di servizi e giovandosi dell’appoggio del governo Sarkozy37, la Veolia oggi è presente in tutto il mondo. In Italia il suo nome comincia a diventare ben noto anche al di fuori del mondo finanziario, ma non certo per le sue qualità gestionali. Per i settemila cittadini del “Comitato Acqua Pubblica” di Aprilia è famosissima: da quando la 36 I dati sono tratti dalla Relazione Annuale del 2008. http://www.veolia.com/media/Veolia_RADD-2008.pdf. 37 Tornato recentemente da un viaggio diplomatico in Africa, dove ha ottenuto anche degli accordi per l'ingresso di Veolia e Suez (altra grande multinazionale francese) nella gestione delle acque, il presidente Nicolas Sarkozy ha dichiarato di nutrire una profonda amicizia nei confronti del presidente di Veolia Henri Proglio. Un’amicizia di lunga data, visto che nel dicembre del 2008 il governo francese aveva creato il Fondo Strategico di Investimento (FSI): dieci miliardi di euro in favore di imprese tra cui sempre Veolia e Suez. Un articolo ventilava addirittura l’ipotesi che il mancato incontro tra lo stesso Sarkozy ed il Dalai Lama, in visita in quel periodo in Francia, fosse dovuto alla volontà di non incrinare i rapporti con la Cina, individuata dalla Veolia come principale area di crescita per il proprio business. Cfr. Malnati, Roberto, Mercati Asiatici: Ragion di Stato, 08.08.2008. http://www.bluerating.com/mercati/43-borse/942-mercatiasiatici--ragion-di-stato.html. 38 società francese ha iniziato a gestire il locale servizio idrico, gli apriliani hanno avuto un aumento sulle bollette del 300%. È conosciuta a Brindisi ed a Pietrasanta (Lucca), città in cui le locali procure hanno sequestrato gli inceneritori gestiti da Veolia a causa delle emissioni nocive. Diventa popolare anche in Calabria dove è entrata prepotentemente sia nella gestione delle acque che in quella dei rifiuti, combinando e trasformando due settori così importanti e vitali in un unico grande business, quello dei servizi pubblici locali, sempre meno pubblici e soprattutto sempre meno servizi. Il 10 novembre 2006, durante il Consiglio Regionale della Calabria, si parla di decentramento e trasferimento di deleghe agli enti locali. Interviene l’on. Abramo, ex sindaco di Catanzaro ed ex candidato del centro-destra per ricoprire il ruolo di governatore, che calorosamente si rivolge ai suoi colleghi: «Vi garantisco che i comuni (inseriti nel) con il piano industriale previsto dalla Sorical, che oggi fanno pagare ai propri concittadini l'acqua al costo di 280 di vecchie lire al metro cubo (€ 0,14, NdA), non sopporteranno dal punto di vista economico le 2.400 lire (€ 1,24, NdA) previste nel piano Sorical. Se non discuteremo di queste problematiche, potremmo avere un territorio, e soprattutto comuni, che rischiano il dissesto finanziario. Ovvero tutti i 409 comuni della Calabria». Sarà un facile profeta, visto che oggi sono 106 i comuni calabresi che rischiano il dissesto finanziario a causa dei debiti contratti negli anni, con la Regione Calabria prima, con la Sorical poi, e che non riescono a pagare neanche 39 grazie alla rateizzazione concessa. Ma cosa è la Sorical e come mai ha tutto questo potere? La So.Ri.Cal S.p.A. è una società mista pubblico-privata che gestirà fino al 2034 il complesso acquedottistico calabrese, l’approvvigionamento idrico e la fornitura all'ingrosso di acqua potabile ai comuni ed altri enti. Il 53,5% del suo capitale sociale è pubblico mentre il rimanente 46,5% è detenuto dalla Acque di Calabria S.p.A. Originariamente Acque di Calabria S.p.A., che era costituita da Enel Ydro e dall'Acquedotto Pugliese, entra in Sorical con il 49% azionario, ma non sborsa un solo euro, tanto pagherà man mano che le saranno corrisposti i compensi38. In seguito l’Acquedotto Pugliese ha venduto le sue quote a Enel Ydro che è rimasto quindi unico socio, e ancora dopo è la Veolia ad acquistare il 100% del capitale di Enel Ydro, arrivando così di fatto a controllare l’acqua calabrese. Privatizzazione significa soprattutto aumento delle tariffe, anche se il contratto con la Sorical ne prevedeva il blocco fino al 2008, permettendone l’aumento nel caso si realizzasse un evidente miglioramento della qualità del servizio. Eppure le tariffe sono aumentate annualmente Petrasso, Pablo. Acqua e rifiuti calabresi. Monopolio alla francese in Calabria Ora, 10.05.2008. 38 40 mentre del “reale miglioramento” del servizio non si è vista traccia. Nel settembre del 2008, dopo essersi dimesso dall’incarico di direttore generale del Dipartimento dei Lavori Pubblici adducendo motivazioni personali, l’ingegnere Pierantonio Isola consegna al suo successore ed all’assessore regionale al ramo, l’on. Luigi Incarnato, una relazione che, oltre a smascherare le varie inadempienze della Sorical, denuncia gli scarsi controlli sulle tariffe39. La tariffa di partenza era stata fissata in base a quella adottata dalla Regione Calabria nel 2004, l’ultimo anno della sua gestione diretta; questa comprendeva anche le spese per la manutenzione straordinaria che Sorical ha considerato in seguito “investimenti”, e quindi fuori tariffa. Questo interessante giochetto, affiancato alla forte riduzione di importanti operazioni di manutenzione ordinaria che la Regione svolgeva con regolarità, si è tradotto in una notevole diminuzione dei costi, a fronte però di un aumento delle tariffe per i comuni calabresi del 30%. Acque ingiustamente costose quindi, ma anche torbide! Il P.M. Luigi De Magistris, prima di essere costretto ad abbandonare la Calabria, ha coinvolto in un’inchiesta i responsabili della Sorical, insieme a imprenditori e Pollichieni, Paolo. Com’è salata l’acqua Sorical in Calabria Ora, 01.10.2008. 39 41 dirigenti regionali40. Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, turbata libertà degli incanti, abuso di ufficio, il tutto consumato nel settore delle acque: questi sono i reati ipotizzati: la gran parte degli appalti affidati direttamente dalla Sorical, sarebbero andati ad un gruppo di società, sempre le stesse, ricollegabili tra loro e che “avevano interesse anche con persone preposte a uffici pubblici”. Tra le persone raggiunte da avvisi di garanzia figura pure Raimondo Luigi Besson, ex amministratore delegato della Sorical coinvolto anche nell’inchiesta che ha interessato Acqualatina41, la società di gestione del servizio idrico di Latina di cui era vicepresidente ed il cui 49% è sempre in mano alla Veolia. Raimondo Besson era un importante dirigente dell’ufficio regionale del Lazio che, all’epoca della giunta Badaloni, si occupò del disegno degli ambiti idrici e della legge regionale che regolamenta l’acqua laziale: prima ha curato per la regione la privatizzazione del servizio idrico, poi lo ha amministrato per conto della Veolia. Mentre i consiglieri 40 Papaleo, Stefania. Sorical nella bufera. Imprenditori e dirigenti indagati in Il Quotidiano della Calabria, 14.05.2008. 41 Raimondo Besson era stato arrestato insieme ai vertici di Acqualatina, accusati di associazione per delinquere, abuso d'ufficio, frode nelle pubbliche forniture, falso ideologico e truffa aggravata. Le ordinanze di custodia cautelare sono state in seguito annullate dal Tribunale del Riesame di Roma per “mancanza di gravi indizi di reato”. 42 d’amministrazione passano da una società all’altra, le diverse imprese controllate scambiano consulenze e sistemi gestionali: tanto per fare un esempio la stessa Acqualatina ha venduto nel 2005 consulenze alla Sorical per 514 mila euro42. Come dire Veolia vende a Veolia. Ma chi paga? Quando entra nelle gestioni miste, Veolia promette di apportare le competenze: e spesso vince le gare grazie a questa promessa. Peccato che i costi di queste consulenze e dei gettoni di presenza dei consiglieri che girano l’Italia, portino ad aumenti e a “squilibri finanziari” che i comuni saranno costretti a ripianare. Sono stati proprio questi appalti “particolari”, considerati truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, a far partire l’inchiesta della Procura di Latina. Non tenendo per nulla conto di tutto ciò ma prendendo invece a pretesto la crisi ambientale provocata dalle ultime devastanti alluvioni, la giunta regionale calabrese è intenzionata a proporre una riforma legislativa per andare a costituire un solo soggetto gestore dell’intero ciclo integrato delle acque, dall’adduzione alla bollettazione: “Un soggetto unico che si assuma una gestione imprenditoriale, con un rapporto diverso con il Palladino, Andrea. Privatizzazioni: l’acqua va ai francesi, i cittadini non pagano in Il Manifesto, 28.01.2007. 42 43 cittadino, evitando sofferenza”. che i Comuni vadano in Ma se oggi il 25% dei comuni non riesce a pagare i debiti con la società di gestione, dopo questa riforma saranno le famiglie calabresi a ritrovarsi in questa situazione? Rifiuti d’oro La storia dell’ingresso del colosso francese nel business dei rifiuti in Calabria è per certi versi analoga. Il 31 maggio 2007, gli organi di informazione finanziaria salutarono con entusiasmo la notizia dell’acquisto da parte di Veolia del 75% dell’azienda spezzina di gestione rifiuti TM.T., di proprietà di Termomeccanica. Ciò ha comportato che quasi il 90% della Tec S.p.A. passasse di mano, arrivando in quelle dei nostri amici transalpini. La Tec è la società che gestisce il ciclo dei rifiuti per Calabria Sud – uno dei due “sistemi” impiantistici previsti dal piano regionale rifiuti per la Calabria – che comprende, tra gli altri impianti, l’inceneritore di Gioia Tauro. L’operazione è stata sicuramente un grosso affare, ma ha procurato anche qualche fastidioso grattacapo ai dirigenti della Veolia. Tutto inizia nel febbraio del 2008, quando l’inceneritore di Pietrasanta registra uno 44 sforamento delle diossine quattro volte superiore ai limiti previsti dalla legge43. La procura lucchese apre un’inchiesta dove si ipotizza che la Termomeccanica avesse realizzato un apposito software per tenere sempre, e quindi falsamente, nella norma i parametri di monossido di carbonio e di diossina. A questo punto la Veolia, che si ritiene parte lesa, fa un giro delle procure italiane, nelle città dove era subentrata a Termomeccanica, per esporre alcune “anomalie” riscontate nella gestione precedente; questo porta all’apertura di analoghe inchieste a Vercelli prima44 ed a Brindisi poi45. Ma tutto questo non scalfisce minimamente le attività dell’inceneritore calabrese che continua a bruciare rifiuti in una regione in “emergenza” proprio come la Campania. Undici anni di emergenza e di commissariamento che hanno significato lo sfruttamento di una enormità di fondi pubblici gestiti attraverso Fontani, Giuliano. Truccati per anni i dati sulla diossina in Il Tirreno, 3.09.2008. 43 De Maria, Enrico – Pozzo, Gloria. Inchiesta a Vercelli. L’azienda avrebbe diminuito la percentuale di monossido di carbonio in La Stampa - sezione Vercelli e Biella, 12.09.2008. 44 Ambiente, sequestrati impianti monitoraggio emissioni «Veolia» in www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 4.09.2009. 45 45 strumenti straordinari, l’aggiramento di leggi e trafile, appalti dati a trattativa privata “in violazione della normativa comunitaria”, commesse milionarie distribuite a piacimento, gare vinte con forti ribassi subito compensati da perizie di variante. Una vera manna per politici e imprenditori, una cuccagna denunciata nell’esplosiva relazione in cui il prefetto Antonio Ruggiero, ex commissario delegato, sintetizzava la sua esperienza: 41 dipendenti che nessuno aveva mai visto, entrate ed uscite annotate su foglietti volanti, oltre 223 milioni di euro di debiti a fronte di un saldo di cassa dichiarato di 45 milioni46. Sarebbe dovuto bastare questo rapporto a porre fine ad una situazione così vergognosa, ma né questa relazione – una tra le più fotocopiate in Parlamento – né tanto meno la ormai famosissima inchiesta Poseidone del P.M. De Magistris, sono riuscite a “normalizzare” la gestione dei rifiuti in Calabria. Invece si continua a prorogare il commissariamento e a leggere sui giornali di nuove necessarie discariche o dell’ipotetica nuova sede per il secondo inceneritore che in Calabria nessuno vuole. E le amministrazioni calabresi, di ogni colore, sono pronte ad accettare di tutto, sia per le velate minacce di fallimento dovute agli 85 milioni di euro che Petrasso, Pablo. Il sacco dell’ambiente, le verità di Ruggiero in I Quaderni di Calabria Ora, 6.08.2007. 46 46 la Tec deve riscuotere dalla Regione Calabria47, sia per la paura di rivedersi sommersi dalla spazzatura. Già, perché ogni volta che la Tec ha problemi e blocca l’inceneritore, in alcune città l’immondizia non viene raccolta. Ufficialmente questo succede perché non esiste alcuna alternativa per il conferimento di quei rifiuti, anche se a pensar male si finisce sempre con il ritenere responsabile di tutto ciò il conflitto di interessi esistente tra la Tec e alcune società miste preposte alla raccolta. Queste infatti presentano una forte partecipazione, in quota privata, di Termomeccanica, padrona ancora del 25% di TM.T. e con tutto l’interesse a incrementare gli utili dell’inceneritore pianigiano. Le “buone intenzioni” della Veolia si sono evidenziate a Napoli, dove nel dicembre del 2007 si era prima ritirata dalla gara d’appalto per la gestione dei rifiuti campani e per la costruzione di tre nuovi inceneritori, per poi rientrare in grande stile. Motivo di questo colpo di scena? Il bravo Prodi, prima di farsi da parte, aveva lasciato l’ultimo regalino: la firma sul decreto per sbloccare i contributi alla costruzione degli inceneritori, quei Cip6 che i cittadini pagano per le energie rinnovabili e che l’Italia, oggetto per questo di procedure di infrazione da parte dell’Unione Europea, usa per finanziare anche gli Cordova, Claudio. Rifiuti: la Calabria rischia grosso. Ma a qualcuno l'emergenza conviene in www.strill.it, 29.04.2009. 47 47 inceneritori. Se non ci fossero questi finanziamenti - il 7% delle nostre bollette Enel - i “termovalorizzatori” non sarebbero appetibili per gli investitori privati: sono i Cip6 che valorizzano i rifiuti per questi (im)prenditori, che ci guadagnano 55 euro per ogni tonnellata incenerita48. Un’altra riprova che l’incenerimento dei rifiuti è solo un grande business, l’ennesima mucca da mungere. Zanotelli, Alex. Il ritorno dei Cip6: politica da inquinamento, appello al popolo campano del febbraio 2008. 48 48 Campania, la privatizzazione del ciclo dei rifiuti Antonello Mangano49 Toni ha una collana d’oro massiccio al collo, barba incolta, canottiera in vista, petto villoso, occhiali da sole e scudetto tricolore sulla maglia azzurra. Entra tre volte nel centro commerciale: corteggia da tamarro la commessa, rubacchia sul prezzo fregando pure un amico, infine dice “noi gli arbitri li compriamo”, scherzando grossolanamente sul prezzo dei televisori. Sono gli spot che la catena MediaMarkt (presente in Italia col marchio MediaWorld) mandava in onda alla vigilia dei campionati europei del 2008. Molti italiani si sentirono offesi, tranne quello che ne avrebbe avuto tutti i diritti, perché ne avevano usato il nome, ovvero il popolarissimo centravanti del Bayern Monaco che invece la prese a ridere. Per il resto, dalle proposte di boicottaggio alle prese di posizione dei politici, è stato tutto un coro di indignazione. Si è scomodato pure l’ambasciatore a Berlino, che ha ottenuto il ritiro dello 49 Antonello Mangano si occupa di ricerche su immigrazione, mafie, Sud del mondo. E’ autore dei libri “Un posto civile, sette ottime ragioni per riconvertire la base USA di Sigonella” e “Gli africani salveranno Rosarno, e, probabilmente, anche l’Italia”. 49 spot più pesante, quello che richiamava i furti di “calciopoli”, ed una pagina di scuse della catena che ricordava il genio italico e le tante invenzioni ad esso ascrivibili50. Effettivamente, siamo al solito luogo comune dell’italiano buzzurro e truffatore. Un’immagine trita e ritrita, che però aveva assunto nuova linfa dalla contemporanea vicenda della spazzatura campana. Le immagini dei cumuli di rifiuti dati alle fiamme ed accumulati per le strade di Napoli sembravano fornire l’ennesima prova di un popolo che si compiace della sua furbizia ma è sostanzialmente insipiente fino all’autodistruzione. Ma è davvero così semplice? Dobbiamo utilizzare soltanto una chiave interpretativa di tipo “antropologico”?51 Mangano, Antonello. Da Napoli alla Sassonia: riciclaggio a valle e nuove tecnologie, 01.06.2008. http://www.terrelibere.org/danapoli-alla-sassonia-riciclaggio-a-valle-e-nuove-tecnologie. 50 51 I principali giornali tedeschi intervennero con numerosi commenti sulla vicenda, specie quando furono spediti in Germania i rifiuti campani. Ad esempio, nell’editoriale di prima pagina della Frankfurter Allgemeine Zeitung, dal titolo “Bancarotta delle istituzioni”, si punta soprattutto sull’aspetto etnico-culturale alla base del disastro ecologico del napoletano. La colpa è “delle tipiche caratteristiche napoletane, con l’abitudine a situazioni caotiche che da generazioni rafforza il convincimento che in qualche modo è sempre possibile 50 Emergenza permanente In Campania il “sistema” ha inventato l’emergenza permanente per creare un metodo di arricchimento efficace e duraturo. Una shock economy52 basata sulla complicità tra la camorra specializzata in ecomafie, la politica e l’imprenditoria del centro-nord Italia, dove la popolazione “stressata” dai cumuli di rifiuti in fiamme cede più facilmente alle soluzioni a base di inceneritori e discariche. Un intreccio che ha portato la Campania ad essere la pattumiera d’Italia, ruolo sgradevole solitamente assegnato a paesi come la Somalia. La totale distruzione del territorio, la compromissione di attività come l’agricoltura, l’allevamento ed in parte lo stesso turismo ha portato all’esasperazione la popolazione, contraria all’apertura di nuove discariche nella regione. In quel momento, i tedeschi possono vantarsi a buon diritto: cavarsela con la furbizia […] E se le cose vanno storte, arriverà sempre qualcuno dal cuore tenero per dare una mano”. Anche la progressista “Berliner Zeitung” critica quello che considera il tipico laissez faire italiano e spiega che dietro i problemi dei rifiuti di Napoli “c’è anche l'indifferenza nei confronti del bene comune e della cosa pubblica, assai spiccata in Italia, ma tanto più forte quanto più si va verso sud”. 52 Klein, Naomi. Cit. 51 parte dei rifiuti che lo Stato italiano invia oltreconfine vengono riciclati e rivendute come materie prime secondarie53. Ciò che per gli italiani sembra un problema irrisolvibile per gli altri diventa un’opportunità economica54. 53 I due milioni di tonnellate di materie prime importate dall'Italia già nel 2006, secondo i dati raccolti dall'ente federale tedesco per l'ambiente, comprendono 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti e rottami, e tra questi 1,3 milioni di tonnellate di rottami di ferro e acciaio, 160.000 di rottami di alluminio, 90.000 di vetro da riusare, 70.000 di carta da riciclare, 82.000 di resti da legno non trattato, 45.000 di rame da riutilizzare e 26.000 di tessuti usati. Cfr. “Rifiuti: la Germania ha scoperto come tramutarli in oro” in ANSA, 20.02.2008. I rifiuti trasportati con i convogli provenienti dalla Campania sono finiti nella discarica di Croebern, alle porte di Lipsia, dove già nel 2005 entrò in servizio il più grande impianto tedesco per il riciclaggio biomeccanico delle immondizie. Cfr. Platzende Ballen in Der Spiegel, 31.03.2008; Braun, Michael. Neapels Dreck-Geschäfte mit Deutschland in Der Spiegel, 11.01.2008; Romano, Beda. Il sindaco tedesco: più ricchi con la vostra spazzatura in Il Sole 24 ore, 05.01.2008. 54 52 La tecnologia c’è ma non si usa L’Italia, oltre a fornire ai tedeschi l’immondizia a proprie spese55, risultava al terzo posto, con 2,01 milioni di tonnellate, nella graduatoria degli acquirenti di materie prime secondarie. Una parte della spazzatura trasportata a nord, quindi, è presumibilmente stata riacquistata. La linea politica del governo italiano, tuttavia, proseguiva testardamente sul binomio discaricheinceneritori, ipotizzando persino leggi speciali e presidi dell’esercito. Gli inceneritori sono una tecnologia di molti decenni anni fa. Chi li ha riduce il danno (economico e ambientale) mentre grandi città come Sidney, Tel Aviv, San Francisco ne fanno ampiamente a meno (e anche San Francisco, ad esempio, non fa la differenziata porta a porta, ma differenzia a valle). Infatti: 1) la differenziazione si può fare benissimo anche a valle della raccolta56, senza neppure una linea di 55 Secondo Der Spiegel il trasporto della spazzatura campana in Germania costava ogni giorno allo Stato italiano circa 200 mila euro. Cfr. Braun, Michael. Cit. 56 “Riciclaggio a valle e nuove tecnologie” in The Economist, 17.02.08, trad. in www.terrelibere.org. 53 separazione a monte ’secco-umido’, che pure sarebbe utile. Basta avere l’impiantistica giusta; 2) il residuo viene trattato con metodo ‘a freddo’, meccanico-biologico, la cui tecnologia è molto semplice e non particolarmente costosa; 3) solo il residuo ulteriore viene talvolta venduto a ditte che lo inceneriscono. Ma questo non perché sia indispensabile, bensì per una (ambientalmente opinabile) scelta economica. Infatti il secco pulito che viene da un ciclo del genere potrebbe essere usato per fare le strade o per produrre altre merci. Thor rimane a guardare Mentre infuriava il dibattito sull’egoismo dei napoletani, sulle discariche protette dall’esercito, sul decisionismo da marketing pubblicitario del presidente del Consiglio Berlusconi, nessuno citava una tecnologia leggera ed interamente italiana pronta all’uso. Si tratta di un sistema per il riciclaggio a valle. http://www.terrelibere.org/terrediconfine/riciclaggio-a-vallee-nuove-tecnologie. 54 Thor (Total house waste recycling - riciclaggio completo dei rifiuti domestici) è un sistema sviluppato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) che permette di recuperare e raffinare tutti i rifiuti e trasformarli in materiali da riutilizzare e in combustibile dall’elevato potere calorico, senza passare per i cassonetti separati della raccolta differenziata. Si tratta di una tecnologia ideata e sviluppata interamente in Italia, basata su un processo di raffinazione meccanica (meccanoraffinazione) dei materiali di scarto, i quali vengono trattati in modo da separare tutte le componenti utili dalle sostanze dannose o inservibili. Come un ‘mulino’ di nuova generazione, l’impianto Thor riduce i rifiuti a dimensioni microscopiche, inferiori a dieci millesimi di millimetro. Il risultato dell’intero processo è una materia omogenea, purificata dalle parti dannose e dal contenuto calorifico, utilizzabile come combustibile e paragonabile ad un carbone di buona qualità. “Un combustibile utilizzabile con qualunque tipo di sistema termico”, aggiunge Paolo Plescia, ricercatore dell’Ismn-Cnr e inventore di Thor, “compresi i motori funzionanti a biodiesel, le caldaie a vapore, i sistemi di riscaldamento centralizzati”57. Il primo impianto Thor, attualmente in funzione in Sicilia (a Torrenova, in provincia di Messina), riesce a trattare fino a otto tonnellate l’ora e non ha bisogno di un’area di stoccaggio 57 CNR News, 07.01.2008. 55 in attesa del trattamento; è completamente meccanico, non termico e quindi non è necessario tenerlo sempre in funzione, anzi può essere acceso solo quando serve, limitando o eliminando così lo stoccaggio dei rifiuti e i conseguenti odori. Un impianto da 4 tonnellate/ora occupa un massimo di 300 metri quadrati e ha un costo medio di 2 milioni di euro58. Incenerire e lucrare Riassumendo: le tecnologie che per semplicità chiameremo “verdi” garantiscono una economia diffusa, risparmio di denaro pubblico, la compatibilità ambientale e la risoluzione definitiva del problema rifiuti. Il sistema basato sugli inceneritori, invece, garantisce profitti garantiti dallo Stato a pochissimi soggetti privati. E’ proprio il decisore pubblico l’ago della bilancia. I Cip6 59 garantiscono infatti 55 euro di finanziamento pubblico per ogni tonnellata incenerita (soltanto i 6-7 milioni di tonnellate di eco-balle che sono stoccate a metà 2008 valgono già oltre 300 milioni di euro di finanziamento pubblico). 58 CNR News, cit. 59 Cfr. il par. “Rifiuti d’oro”. 56 Fino alla metà degli anni ’90, la città di Napoli e la sua sterminata provincia producono il 60% dei rifiuti solidi urbani regionali. La raccolta in strada è un settore selvaggiamente privatizzato e da sempre affidato alle ditte subappaltatrici controllate dai clan della camorra, che spesso coincidono con quelli che controllano le discariche e il “movimento terra”. Le emergenze igienico-sanitarie si susseguono fin dal dopoguerra. Nonostante l'epidemia di colera del 1973 la situazione rimane immutata fin verso la metà degli anni '90, quando sull’onda delle inchieste di “tangentopoli”, vengono chiuse molte megadiscariche formalmente legali ma improvvisate, oppure non a norma, vicine ai centri abitati ed alle aree agricole, stracolme di percolato e rifiuti tossici. Nel 1993 si apre l’era del “Commissariato straordinario di governo all'emergenza rifiuti”, quale camera (non elettiva) di compensazione tra le vecchie e le nuovi lobby affaristico-criminali dei rifiuti. A Napoli siamo all'inizio dell’“era d’oro” dell’ex-comunista Antonio Bassolino che si presenta inizialmente come “il sindaco di tutti i napoletani onesti” e teorizza la smobilitazione dell'industria statale e il potenziamento del terziario e del turismo. Il governatore regionale di AN Antonio Rastrelli diviene Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti. Nel 1997, Rastrelli, sulla base di un progetto dell'Enea e per conto del ministro dell'Ambiente del primo governo Prodi Edo Ronchi, ministro dell’Interno il napoletano 57 dei DS Giorgio Napolitano, redige il nuovo “piano regionale per i rifiuti solidi urbani”, che prevede la privatizzazione in blocco del ciclo di smaltimento degli Rsu. Un piano che porterà, grazie ai suoi successori, al dominio monopolistico dell’Impregilo60 della famiglia Romiti sul trasporto, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti di tutta la Campania attraverso le controllate Fibe s.p.a e Fibe Campania s.p.a. L’idea portante è quella di spremere energia dall’incenerimento delle eco-balle, il cosiddetto Cdr (Combustibile derivato dai rifiuti). Alle imprese che si aggiudicano gli appalti infatti il governo garantisce il pagamento a peso d'oro di ogni tonnellata di immondizia bruciata e la possibilità di vendere l'energia ad un prezzo triplo di quello di mercato. Si tratta dei già citati Cip6, introdotti addirittura nel 1992 dal Comitato interministeriale prezzi. Tutti i governi che si succedono alla guida del Paese, dirottano questo denaro pubblico verso gli impianti che utilizzano le cosiddette fonti “assimiliate”, ossia per l’appunto 60 Impregilo vanta circa 20.000 dipendenti del mondo, ma la tendenza è quella a tagliare il personale. Spiega Ivan Cicconi, tra i massimi esperti in materia: “Mentre un rapporto medio tra dipendenti tecnici ed operai, in gruppi come il francese Bouygues o il tedesco Strabag è di 1 a 6, per Impregilo è di 1 a 0.5. E’ ormai una compagnia di avvocati e finanzieri, con una forte capacità di pressione politica”. Cfr. Staglianò, Riccardo. Dall’Aquila alla Tav al Ponte scava scava spunta sempre Impregilo in Il Venerdì di Repubblica, 01.05.2009. 58 rifiuti, ma anche petrolio, carbone, etc. Una grande truffa che è causa di un numero ancora non quantificato di disastri ambientali in tutta la penisola. 59 La guerra, una questione privata Antonello Mangano e Stephanie Westbrook61 “Quando Rumsfeld entrò nel governo di George W. Bush, nel 2001, fu con la missione personale di reinventare la guerra per il ventunesimo secolo: trasformarla in qualcosa di più psicologico che fisico, più spettacolo che lotta, e redditizia come mai prima d’allora”62. Nasce dunque l’esigenza di portare al cuore dell’esercito americano la rivoluzione del branding e dell’outsourcing già sperimentate nell’universo aziendale. Halliburton e Blackwater si aggiudicano gli “appalti” per le situazioni estreme, come la guida di veicoli in situazioni di alto rischio o gli interrogatori in carcere, ma anche la logistica, l’approvvigionamento ed i servizi medici. Le prime decisioni di Rumsfeld riguardano la burocrazia del 61 Stephanie Westbrook è co-fondatrice di “U.S. Citizens for Peace and Justice - Rome” (Cittadini Statunitensi per la pace e la giustizia – Roma ), che fa parte di un movimento che in America e nel mondo si oppone alla guerra e sostiene il ruolo della politica e della diplomazia internazionale nella prevenzione e soluzione dei conflitti. 62 60 Klein, Naomi. Cit., p.324. Pentagono, indicata in uno stupefacente discorso pubblico come “il primo avversario”63. L’obiettivo è trasferire al privato quanto più possibile, dall’assistenza medica agli alloggi per le famiglie dei soldati. Questo processo arriverà ad estremi grotteschi durante la presidenza Bush, ma era stato avviato molto tempo prima. “Nei Balcani, dove Clinton aveva stanziato 19.000 soldati, le basi Usa spuntarono come mini-città Halliburton: sobborghi recintati e ordinati, costruiti e gestiti interamente dall’azienda”64. A quell’epoca il presidente della Halliburton si chiama Dick Cheney, pochi anni dopo sarà il vicepresidente di Bush. Roba da far impallidire il conflitto d’interesse “senza pari in Occidente” del satellite di Retequattro. L’Afghanistan ed il sugo di pollo Il modello di business è cost plus, ovvero il profitto è calcolato come percentuale dei costi: più i costi sono alti più si guadagna. Il rischio non esiste, ed il modello somiglia terribilmente all’economia corrotta che in Italia regola spesso gli appalti pubblici e produce cantieri Klein, Naomi. Cit., p.328. Il discorso fu pronunciato il 10 settembre 2001, dunque poche ore prima dell’attacco non metaforico contro il Pentagono. 63 64 Klein, Naomi. Cit., p.333. 61 eterni, con la differenza che si fa alla luce del sole. Ed in Medio Oriente, ha già prodotto paradossi come il lusso bellico della “zona verde” di Baghdad. L’Iraq e l’Afghanistan sono stati i terreni privilegiati della sperimentazione di questa nuova economia. “I cavatelli al sugo di pollo sono usciti da una busta di plastica marrone appoggiata sul parabrezza della Toyota del mercenario”, racconta un reporter dal confine afghano. “Siamo parcheggiati in mezzo al niente, ad aspettare in un’immensa distesa di terra secca e sassi l’arrivo di un vecchio elicottero russo con un pilota tajiko in ciabatte. L’americano è il supervisore del gruppo, un ex militare assoldato dalla Blackwater. Questa specie di armata privata è in grado di procurare uomini addestrati per qualsiasi missione: paracadutisti, cecchini, carristi…. Tra Iraq e Afghanistan, fornisce migliaia di uomini di supporto alle truppe americane sul campo. Con più di un vantaggio: gli uomini della Blackwater sono civili, non hanno le limitazioni dei militari in forze, non rientrano nelle statistiche dei caduti dell’esercito, si armano autonomamente, bypassano le gerarchie, possono essere esposti a situazioni inaccettabili per l’esercito regolare, e non rispondono alle medesime regole d’ingaggio. Ma, soprattutto, rappresentano un business enorme, almeno quanto le buste di razioni di cavatelli che mi vengono offerte per pranzo. Sono prodotti da un’azienda privata, pagata per le migliaia di uomini schierati qui, e sono messe in conto dalla Blackwater per ognuno dei contractor in campo (usare la parola “mercenario” con 62 un mercenario non sta bene, meglio dire “contrattista a termine”) (…). In mezzo al deserto osservo la mia busta di cavatelli con curiosità. E’ il primo prodotto della shock economy che mi capita tra le mani. Ad etichettarlo come tale è Naomi Klein, secondo cui un evento catastrofico fornisce straordinarie opportunità di sviluppo economico in una logica di privatizzazione della necessità impellente. La mia shock economy bag contiene un pranzo completo, include uno stuzzicadenti, una bottiglietta mignon di tabasco, caffé liofilizzato e un chewing-gum per la pulizia dei denti. Tutto meravigliosamente asettico e disidratato. L’unica cosa che deve essere aggiunta è l’acqua: un reagente chimico nella busta farà scaldare i cavatelli. Sulla busta sono riportati il menù, la data di produzione e quella di scadenza: i miei cavatelli sono stati cucinati esattamente otto anni fa. Cerco di immaginare dove ero quando qualche operaio della Halliburton in Texas li scolava e li condiva…”65 Scotti, Alessandro. Narcotica, Milano, ISBN Edizioni, 2007, P.160, 65 63 Un milione di ettari Sul territorio statunitense, secondo il sito Global Security, ci sono circa 6000 installazioni militari. Il quadro generale sullo stato delle basi negli Stati Uniti, sia attive che dismesse, è ben descritto in un discorso di Robert F. Kennedy Jr. del 2003: “Il governo federale è il più grande inquinatore degli Stati Uniti e il Dipartimento della Difesa è il peggiore del governo. Secondo l’EPA (Agenzia per la protezione dell’ambiente), rifiuti di ordigni inesplosi si trovano in 16.000 poligoni militari negli USA e si stima che la metà contenga armi chimiche o biologiche. In tutto, il Pentagono è responsabile per più di 21.000 siti potenzialmente contaminati, e sempre secondo l’EPA, avrebbe contaminato fino a 16 milioni di ettari, ossia un’area poco più grande della Florida”. Nel sud est dello stato di Colorado, c’è la Piñon Canyon Maneuver Site, un poligono di oltre 95.000 ettari che dipende dalla base di Fort Carson. È stato creato negli anni ottanta su terreni privati espropriati, la metà contro la volontà dei proprietari, ed è utilizzato solo due volte all’anno per un periodo di un mese. Nel febbraio del 2007, l’esercito ha annunciato ufficialmente di voler triplicare le dimensioni del poligono, acquisendo, sempre tramite esproprio, altri 170.000 ettari per un totale di 265.000. Da altri 64 documenti e mappe ufficiali, pare che l’esercito miri ad occupare oltre un milione di ettari, un’area pari quasi a metà Toscana. Con l’annuncio, si è creata una coalizione trasversale per opporsi alla espansione del poligono. La coalizione è composta da proprietari, la maggior parte allevatori di cavalli e mucche, archeologi e paleontologi, interessati a questa zona ricca di tracce di dinosauri e arte rupestre, ambientalisti, pacifisti, nativi americani; tutti insieme per opporsi a quello che viene definito il più grande land grab, cioè esproprio, nella storia statunitense. Il Colorado non è Berkeley. È una zona nota per essere politicamente molto conservatrice, e secondo dichiarazioni fatte da ufficiali di Fort Carson, è stata scelta anche per questo, con l’idea che la gente avrebbe accettato di tutto pur di “sostenere le truppe”. Nonostante questo orientamento politico, anche qui la gente parla di un complesso militare-industriale66 fuori 66 Boeing, Carlyle Group, General Atomics, General Electric, Lockheed-Martin, and Northrop Grumman Corporation sono le imprese maggiori dell’industria militare nordamericana. A queste occorre aggiungere KBR, Fluor Corporation, DynCorp International, Triple Canopy, Halliburton e Blackwater come specialiste nelle ricostruzione e nella sicurezza privata in zone di guerra. La definizione military-industrial complex fu pronunciata per la prima volta dal presidente Dwight D. Eisenhower nel Discorso di addio alla nazione, 17 gennaio 1961. Cfr. “Farewell Address” in The Annals of America, Vol. 18. 19611968: The Burdens of World Power, 1-5. Chicago: Encyclopaedia Britannica, 1968. 65 controllo. Parla di una volontà da parte dell’esercito di acquisire, utilizzare, inquinare e abbandonare per poi acquisire sempre nuovi spazi. E per la gente, questo comportamento dell’esercito non ha nessun legame con la sicurezza nazionale. Il ricordo degli espropri degli anni Ottanta è ancora vivo. Come è vivo il ricordo delle tante promesse fatte allora e non mantenute, come la promessa di non fare esercitazioni live fire, cioè con vere munizioni di guerra, che invece dal 2004 è permesso, come la promessa di compensazioni economiche, mai pagate, come la promessa di un boom economico per la zona, mai realizzato, e come la promessa di non espandersi ulteriormente. Tutte queste promesse non mantenute sono state giustificate da Fort Carson con una frase, “things change”, le cose cambiano. Mission aziendale Negli Stati Uniti, non sono solo le Forze Armate a costruire delle basi. Ci sono anche gli eserciti privati, come la famigerata Blackwater, la più grande società di mercenari del mondo. Hanno strettissimi legami con il Partito Republicano e con la destra religiosa. Creata nel 1997, oggi la Blackwater ha un miliardo di dollari in contratti con il governo statunitense, corrispondente al 90% del suo business, e due terzi di questi contratti sono stati assegnati senza gara. La sede si trova in North Carolina, ed è la più grande base militare privata nel 66 mondo. Estesa per 3000 ettari, comprende vari poligoni chiusi ed all’aperto, riproduzioni di centri urbani per l’addestramento, un lago artificiale per atterraggi anfibi, diverse piste, ed una flotta di 20 aerei. Nell’ottobre 2006, hanno presentato al piccolo comune di Potrero, 850 abitanti in una zona rurale vicino a San Diego, California, una proposta per una nuova base, Blackwater West. Il progetto era per una base di 330 ettari, inclusi diversi poligoni di tiro, un eliporto, vari campi di addestramento e un arsenale di 1700 metri quadrati. I residenti di Potrero, come spesso capita, erano stati tenuti all’oscuro del progetto. Però, man mano che si spargeva la voce, la gente si è organizzata per opporsi alla nuova base privata. L’opposizione era all’inizio frutto di preoccupazioni per il rumore e per il traffico in una zona rurale molto tranquilla. La gente di Potrero sapeva poco o niente sulla Blackwater. Però la voce della nuova base ha cominciato a girare fuori dal piccolo centro e sono stati appoggiati da altri gruppi con più esperienza. Si è formata quindi una coalizione di ambientalisti, veterani per la pace e del movimento contro la guerra. Con le campagne di informazione, inclusi incontri con il giornalista e massimo esperto sulla Blackwater, Jeremy Scahill, l’opposizione è diventata anche contro questa società in quanto mercenari di guerra. Al movimento si sono aggiunti anche associazioni per i diritti degli immigrati. Tanti pensano che la scelta di Potrero, a solo 3 chilometri dal confine con il Messico, è una indicazione 67 che la Blackwater vuole aggiudicarsi importanti contratti nella privatizzazione del confine. La Blackwater, sin dall’inizio, ha cercato di conquistare “i cuori e le menti” della gente con una campagna di relazioni pubbliche. Il vice presidente, Bob Bonfiglio, si è trasferito a San Diego per seguire il progetto a tempo pieno. La Blackwater ha ancorato il suo yacht aziendale sulla costa sventolando una enorme bandiera della società. Hanno donato tende e provviste alla persone evacuate durante gli incendi dell’ottobre del 2007. Durante gli spettacoli dell’intervallo di una partita di football all’Università di San Diego nel dicembre 2007, paracadutisti della Blackwater si sono lanciati da aerei sopra lo stadio con paracadute con il logo della società e scendevano in mezzo del campo con una gigantesca bandiera a stelle e strisce. Però non è bastato a far cambiare idea alla gente. Il movimento Stop Blackwater di Potrero ha deciso di agire nei confronti del consiglio comunale. Ha raccolto firme per una recall election, vale a dire una votazione in cui gli elettori si esprimono sulla rimozione o no di un pubblico ufficiale già eletto e sul candidato per sostituirlo. Servivano 133 firme sui 425 elettori di Potrero, e hanno firmato in 300. Quindi si è tenuta la recall election nel dicembre del 2007. Gli elettori si sono espressi, con voti dal 60 al 70%, per sostituire tutti i membri del consiglio con i candidati contro il progetto della Blackwater. La recall ha finito quindi per essere un referendum sulla nuova base ma anche sulla politica poco trasparente che 68 non dialoga con la gente. Nel marzo del 2008, a sorpresa di tutti, la Blackwater ha ritirato la sua proposta. Purtroppo, mentre la campagna contro la Blackwater procedeva a Potrero, nel settembre del 2007 due società, la Raven Development e la Southwest Law Enforcement, hanno presentato domanda per una “scuola professionale” nella vicina San Diego. Ma quello che nessuno sapeva fino ad aprile 2008 è che queste due società non sono altro che “prestanomi” che fanno capo alla Blackwater e questa “scuola professionale” è un centro di addestramento dotato di un simulatore navale – c’è la base navale a San Diego – e un poligono di tiro all’interno di un palazzo esistente di 6000 metri quadrati ubicato a solo centinaia di metri dal confine con il Messico. La coalizione Stop Blackwater è ora mobilitata sul caso di San Diego continuando le campagne di informazione. Il primo risultato, agli inizi di maggio 2008, è stato che il sindaco di San Diego ha annunciato delle indagini per verificare se la Blackwater non avesse intenzionalmente cercato di nascondere la sua identità quando ha fatto la domanda per l’autorizzazione della “scuola”. Il movimento lavora localmente, ma tutti sono d’accordo che il miglior modo per far chiudere la Blackwater a San Diego è di invertire la tendenza alla privatizzazione delle forze armate e delle forze dell’ordine. Il movimento sostiene quindi una campagna per una legge presentata al Congresso per vietare l’uso dei contractor privati. Spesso si comincia con un 69 movimento NIMBY (not in my backyard, cioè non nel mio giardino) che poi man mano si trasforma in un movimento contro il complesso militare industriale67. 67 Westbrook, Stephanie. Movimenti contro le basi militari negli USA, 2008. http://www.terrelibere.it/terrediconfine/movimenti-controle-basi-militari-negli-usa. 70 Una diga in Lesotho, un cinque stelle in Sudan Antonello Mangano Tangenti per due milioni di dollari, le maggiori multinazionali del settore costruzioni sotto accusa, trentamila persone cacciate dalle loro case. Lo scenario è il Lesotho, piccola enclave in territorio sudafricano ed ex colonia britannica, poco più di 30 mila chilometri quadrati, per la maggior parte altipiani e montagne: una piccola Svizzera dell’Africa meridionale. Il Lesotho è però un paese povero, che vive di agricoltura ed allevamento e dipende in gran parte dagli aiuti finanziari del vicino Sudafrica, dove molti dei suoi abitanti emigrano per lavorare nelle miniere. La risorsa principale è l’acqua: un bene destinato a diventare sempre più prezioso68. La storia del Lesotho Highlands Water Project inizia nel 1986, con la stipula di un trattato con il Sudafrica dell’apartheid. Il progetto, secondo al mondo per imponenza solo a quello delle Tre Gole in Cina, è pensato per creare un sistema di dighe e tunnel per Battistini, Tommaso. Le dighe del Lesotho, corruzione multinazionale e Banca Mondiale in Liberazione, 20.03.2003. 68 71 deviare le acque locali verso il distretto industriale di Johannesburg69, ricevendo in cambio energia elettrica. L’opera, i cui costi totali ammontavano a più di quattro miliardi di dollari, è stata finanziata da grandi banche multilaterali di sviluppo come la Banca Mondiale e la Banca Europea per gli Investimenti. Prevedeva il coinvolgimento di numerose agenzie di credito all’esportazione, tra cui anche l’italiana Sace, ed importanti banche private come la Dresdner Bank e il Crédit Lyonnais. Il fornitore naturale dell’acqua è il fiume Senqu, che nasce negli altipiani del Lesotho e prende più a sud il nome di fiume Arancione, per sfociare infine nelle acque dell’Atlantico al termine di un viaggio lungo 1500 chilometri. Le opere programmate sono a dir poco imponenti: sei dighe, altrettanti tunnel e due stazioni di pompaggio. Fine prevista dei lavori: 2027, quando 70 metri cubi d’acqua al secondo dovrebbero affluire verso il fiume sudafricano Vaal. Il Guateng è un’area ad alta densità industriale che produce, insieme al distretto di Johannesburg, il 60% del PIL dell'intera Africa australe. 69 72 Il progetto è diventato anche un grosso caso di corruzione internazionale. Nel 2002 arriva la prima condanna per l’ex direttore del progetto, Masupha Sole, 18 anni di reclusione per truffa e corruzione. Dopo un’approfondita indagine, il giudice del Lesotho Brendan Cullinan accerta che Sole si è messo in tasca ben due milioni di dollari gentilmente offerti, con i più vari stratagemmi, dalle multinazionali interessate agli appalti. Nel 2006, la canadese Acres International e la tedesca Lahmeyer sono condannate per aver pagato mazzette da 2 milioni e da 670 mila dollari. L’intermediario della “vecchia” Impregilo è stato accusato di aver impedito l’acquisizione di una serie di documenti sui pagamenti illeciti degli anni ’90. Il tribunale locale ha imposto una maxi-multa di 15 milioni di rand, ovvero circa 1,5 milioni di euro70. Le tangenti elargite dall’Impregilo, che si è sempre dichiarata innocente, ammonterebbero a ben 250 mila dollari. Impregilo ha guidato con una quota del 22% la Highlands Water Venture, che ha costruito le due dighe di Katse e di Mohale, le più grandi del progetto. Da un lato, dunque, la Banca Mondiale e ricchissime multinazionali, dall’altra una corte con pochi soldi ed un gruppo di magistrati fatti venire dal Sudafrica e nominati dal governo del Lesotho per avere un collegio giudicante al di sopra delle parti. 70 Cfr. Campagna per la Riforma della Banca Mondiale. http://www.crbm.org/modules.php?name=browse&mode=p age&cntid=576. 73 La vita di 30 mila basotho – cacciati da montagne abitate da tempo immemorabile - è stata sconvolta dal progetto: le giuste compensazioni sono la richiesta minima di questo popolo71. Il rapporto di Sekara Mafisa, l’ombudsman nazionale, riconosce completamente le ragioni delle comunità locali, ritenendo inadeguato il piano per il reinsediamento e chiedendo alle autorità competenti di agire di conseguenza. Disastro ambientale Duecento chilometri di strade costruiti negli altipiani del Lesotho, migliaia di ettari di terra arabile invasi dalla acque, crepe aperte nelle case dagli esplosivi, inadeguati risarcimenti ai Basotho, l’erosione dei terreni ed i trasferimenti forzati di migliaia di persone. “Impatto ambientale” non è che un eufemismo. Altro effetto è il dilagare di Aids, alcolismo e prostituzione: piaghe esportate dai circa 20 mila lavoratori arrivati in Lesotho per realizzare il progetto. La manodopera locale ha manifestato più volte contro le ingiuste condizioni di lavoro. La tensione è sfociata nel 71 Il modello delle “opere compensative” – sostanzialmente denaro pubblico che dovrebbe ripagare i danni apportati al territorio - è stato applicato più volte in Italia, in particolare per la TAV ed il Ponte sullo Stretto. 74 1996 in una protesta pacifica per il pagamento di alcune mensilità arretrate, quando la polizia ha reagito aprendo il fuoco e uccidendo cinque persone. Nessun agente è mai comparso davanti a un tribunale per rispondere di quei fatti e i risultati della commissione d'inchiesta non sono mai stati resi pubblici72. Ricapitolando, in un paese africano piccolo come il Lesotho ci sono giudici ed un ombudsman che si sono adoperati per il rispetto delle leggi ed i diritti delle persone73. Dall’altro lato, infrastrutture palesemente inutili per il territorio (addirittura risorse locali spostate in un’altra nazione), compensazioni fittizie ed un sistema di corruzione che collega gli imprenditori ai decisori pubblici. Stiamo parlando di Africa, ma anche di Italia. La palla di Gheddafi Dai suoi diciotto piani si gode un eccellente panorama sul Nilo ma anche sulle case di fango spesso allagate dallo straripamento del fiume. Duecentotrenta stanze extralusso, numerosi ristoranti ed un design avveniristico, nove anni di lavori costati 190 milioni di 72 Battistini, Tommaso. Cit. Manes, Luca. C’è un giudice a Maseru … in Nigrizia, 06.09.2006. 73 75 dollari. Il Burj al-Fateh è un hotel cinque stelle che sorge a Kartoum, a due passi dalla miseria del poverissimo Sudan. Per la sua forma tondeggiante i locali lo chiamano la “palla di Gheddafi”, riferendosi al finanziamento stanziato dal governo libico74. L’hotel è diventato celebre anche come sfondo dei servizi di Al-Jazeera dal Sudan. La suite presidenziale costa 4000 dollari a notte, la sistemazione più economica non meno di 250. Molti dei materiali e delle forniture non si trovano in loco e devono essere importati dall’estero. Al grill si possono ordinare hamburger da 70 dollari fatti con carne australiana. Al ristorante dell’ultimo piano, dove è stato assunto un cuoco fatto arrivare appositamente dalla Francia, ad agosto si può godere un panorama unico sulle case inondate dal fango del Nilo e magari riflettere sul 40% di sudanesi che vivono sotto la soglia di povertà. La realizzazione è dell’italiana CMC, una delle imprese nate come “coop rosse” – è stata fondata nel 1901 da 35 muratori di Ravenna - ed oggi bersaglio privilegiato dei “No Global” dopo gli appalti vinti per le basi Usa di Vicenza e Sigonella, per il TAV, per il Ponte sullo Stretto. 74 L’hotel è stato finanziato dalla LAFICO (Libyan Arab Foreign Investment), società del governo libico che ha posseduto importanti quote della Fiat e della Juventus, è presente in Tamoil e nel 2008 è intervenuta con un miliardo di euro nel salvataggio di Unicredit. 76 Curiosamente, per la CMC, il mercato regionale italiano di maggiore rilievo è diventato quello siciliano. Nell’isola, le imprese emiliano-romagnole hanno lentamente ma progressivamente scalzato le imprese autoctone. Nel 2009, CMC realizza alle porte di Catania il centro commerciale Katané per Intercoop, curando tutti gli aspetti dell’operazione, dall’acquisto del terreno a tutte le procedure urbanistiche e commerciali, per arrivare alla costruzione e vendita chiavi in mano dell’intero complesso. Il valore complessivo è di 96,8 milioni di euro e la costruzione, avviata nel febbraio 2007, è durata due anni. Il rapporto tra Sicilia e CMC comincia negli anni ’60, con la costruzione delle raffinerie del gruppo Monti a Gela e Milazzo. Dal 2006, la cooperativa opera nella base USA di Sigonella, sta costruendo il Mercato Agro Alimentare (MAAS) di Catania e la statale 640 di Porto Empedocle; fa inoltre parte del raggruppamento che ha vinto con la capofila Impregilo l’appalto per il Ponte sullo Stretto di Messina. Torniamo in Africa. Il taglio del nastro durante l’inaugurazione è del presidente Omar al-Beshir, colpito dalle ipotesi di mandato di arresto internazionale per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra nel Darfur75. 75 Magic Burj al-Fateh Hotel opens in Khartoum. http://www.middle-eastonline.com/english/business/?id=27644 77 Per imprese come CMC ed Impregilo, dunque, l’Africa è ben diversa dal “continente perduto” escluso dall’economia-mondo e lontano dalla storia che molti immaginano. Per loro, l’Africa può essere l’eldorado degli appalti facili, del rischio d’impresa azzerato, del denaro pubblico che scorre a fiumi grazie a regimi compiacenti ed organismi internazionali. L’impatto socio-ambientale dei progetti, o la loro utilità sul territorio, non interessano ad alcuno. E persino la corruzione non è una questione squisitamente etica ma il metodo relazionale privilegiato che connette decisori pubblici e grandi corporations. Con l’Africa ci si può arricchire, e lo dimostra la storia della CMC. A partire dagli anni ’80, la cooperativa realizza un decisivo salto di qualità costruendo silos e complessi molitori per cereali in Algeria, strade in Somalia, Tanzania, Costa d’Avorio, Burkina Faso e dighe in Botswana, Zimbabwe, Tanzania, Algeria. La ditta ravennate è presente da quasi 30 anni in Mozambico dove ha lavorato su infrastrutture e complessi industriali76. Una interessante teoria ipotizza un “modo di produzione africano”77, per capire il quale occorre 76 Cfr. www.cmcafricaaustral.com. Sciortino, Alberto. Il modo di produzione africano, 2003. http://www.terrelibere.org/il-modo-di-produzione-africano. 77 78 rivedere il concetto stesso di conflitto: non scontro tra stati per il controllo del territorio, ma scontro tra chi è armato e la popolazione inerme. I conflitti diventano una forma specifica della globalizzazione, per il controllo delle risorse e la connessione ai mercati internazionali. Un modello “economico” che espelle con le migrazioni o distrugge con le guerre la parte “inutile” della popolazione, ma garantisce straordinari profitti alle élite locali ed alle grandi corporation. Ancora una volta guerre e grandi opere sono facce della stessa medaglia. 79 Il contesto ed il “dettaglio” Ponte Giuseppe Sottile78 Nel descrivere il ciclo della produzione capitalistica, Marx osserva che “il processo di produzione appare soltanto come un male necessario per far denaro. Tutte le nazioni a produzione capitalistica vengono colte perciò periodicamente da una vertigine, nella quale vogliono fare denaro senza la mediazione del processo di produzione”79. Questo è quello che sembra in specie essere successo negli ultimi trent’anni con l’emergere sul piano quantitativo di un’accumulazione di “ricchezza” finanziaria, che sul piano qualitativo ha condotto ad una metamorfosi verso una dinamica speculativa del capitale. Tuttavia, adesso non si tratta soltanto di “far denaro” giocando sulla differenza dei valori nominali d’un titolo azionario, faccenda 78 Giuseppe Sottile insegna storia e filosofia nei licei. Cura il sito www.countdownnet.info ed ha curato, insieme ad Antonio Pagliarone, il volume Ma il capitalismo si espande ancora?, Trieste, Asterios, 2008. K. Marx, Il Capitale, Roma, Editori Riuniti, 1980, libro II p. 58-59. 79 80 antidiluviana, ma di far confluire una parte di reddito monetario sempre maggiore (salari e profitti prodotti in ambito industriale e commerciale e spesa pubblica) verso investimenti di carattere puramente speculativo, che non producono reddito monetario alcuno, ma lo assorbono dalla cosiddetta “economia reale” e lo accrescono sotto forma d’un indebitamento crescente. Evidentemente, qualcosa deve aver cominciato a non funzionare nel normale processo di accumulazione allargata del capitale, se, a partire dagli anni ’70, inizia a declinare il tasso di crescita economica caratterizzata da investimenti produttivi, crescita salariale (relativa ed assoluta), espansione sostenuta del welfare, che avevano accompagnato il secondo dopoguerra in Occidente ed un po’ dappertutto sul pianeta. La spiegazione più plausibile, a mio parere, è che le condizioni di redditività del capitale avessero raggiunto un punto tale per cui cominciò a risultare più conveniente realizzare “profitti speculativi”80 che hanno portato ad un progressivo 80 Come il capitale speculativo non è vero capitale, così non lo sono i profitti speculativi. Gli ordinari profitti rappresentano un potenziale incremento di ricchezza materiale in forma capitalistica se investiti ai fini dell’accumulazione, quelli di origine speculativa rappresentano soltanto una sottrazione ai primi. 81 incremento della deregulation finanziaria, e parallelamente una deregulation dei servizi pubblici e di condizioni di lavoro favorevoli ai salariati sino a quel momento, ottenute dopo decenni di lotte. Tutto ciò ha consentito una ripresa della redditività del capitale i cui guadagni hanno continuato a fomentare la dinamica speculativa, garantita dall’incremento dei valori azionari sul mercato secondario dei titoli e da investimenti speculativi su altrettanti valori nominali di cui l’ingegneria finanziaria oggi è stracolma. Le scommesse Rammento come tutto “ebbe inizio” con le scommesse sull’andamento dei tassi di cambio al tramonto del regime instaurato dagli accordi di Bretton Woods. Le partnership pubblico-privato oggi di moda ed in genere l’outsourcing di servizi un tempo pubblici e per lo più pagati con l’incremento dei salari lordi dei lavoratori (da cui l’incremento delle entrate fiscali degli Stati che hanno consentito l’epoca del welfare o dell’ “integrazione” dei lavoratori e precedente, come ovvio, alla famigerata e ideologicamente propagandata “crisi fiscale” dello Stato) hanno fatto ormai epoca nella considerazione di un’abbondante letteratura che ne mette in luce i guasti, dal lato delle performance e delle condizioni di lavoro, nonché le strategie atte ad accrescerne gli utili attraverso operazioni finanziarie speculative ad esse collegate. 82 Un caso documentato è stato quello giocato dalle Private Military Companies (PMC) nell’ultima cosiddetta Guerra del Golfo: il valore complessivo dei contratti stipulati dal solo Dipartimento alla Difesa americano con la sussidiaria della Hulliburton, la KBR (di cui Dick Cheney era Chief Exescutive Officer), passa da 427 milioni di dollari nel 2001 a 2170 nel 2003, trovandosi in testa alle compagnie che hanno un contratto con lo stesso Dipartimento nel biennio 20022004. Ma tutti i contratti con le PMC “decollano”. E’ la dinamica dell’outsourcing. Come altri settori pubblici, quello militare diviene solo fonte d’accumulazione privata; molte attività vengono sempre più appaltate ad imprese private, dalla produzione ai servizi, sino alle attività di combattimento e queste corporation in più, molto di più, lucrano sugli incrementi del valore delle loro azioni e delle connesse attività finanziarie consentite dagli appalti milionarî. Il punto è che a farne le spese è la spesa sociale. In questi ultimi decenni si è potuto assistere ad un modificazione del regime economico-sociale capitalistico, che ha fissato paletti e spartiacque: da una fase di lenta ma continua acquisizione di performance positive in termini di condizioni di vita per i salariati sino alla fine degli anni ’70 del secondo dopoguerra (epoca dell’integrazione dei lavoratori) ad una perdita altrettanto continua di quelle acquisizioni (de-integrazione), in un quadro, secondo alcuni, più che secolare di vera “decrescita”, ossia di declino della redditività nella 83 creazione di ricchezza materiale dentro le condizioni del capitalismo. Per gli ultimi trent’anni, abbiamo assistito ad un marcato declino caratterizzato da circa nove contrazioni nette della crescita tra recessioni e debacle finanziarie, con uno spartiacque significativo alla fine degli anni ’70, quando la tendenza alla crescita della quota di redditi da lavoro dipendente sul reddito nazionale si è invertita rispetto a prima. Una serie di misure, quali il rapporto tra crescita della produttività e dei salari reali nel settore privato, la misura del peso e tipologia del carico fiscale – una vera e propria metamorfosi a svantaggio del lavoro dipendente -, il valore reale dei salari minimi, misure alternative del tasso di disoccupazione, il tasso di sindacalizzazione, misure di sostegno al welfare (come la spesa per servizi sociali in percentuale del Pil), il grado di precarietà occupazionale ed il tasso di povertà, indicano in maniera evidente un peggioramento a tratti sostanziale delle condizioni di vita dei salariati dentro il capitalismo, ossia, in altri termini, indicano che il regime economico nel quale viviamo non è più in grado di riprodursi ma segue una tendenza di tipo asfittico. Dall’altro, abbiamo assistito nel medesimo arco di tempo all’emergere d’una dinamica economica, che ne sembra il corrispondente speculare, di tipo speculativo. Osserva ad esempio Murray E.G. Smith che “nei primi anni ’80, il settore finanziario contava per solo circa il 10% dei profitti totali, mentre al 2007 si era passati al 40%. Tra gli anni ’50 e ’70, il rapporto asset finanziari 84 Pil era mediamente di 4 a 1, mentre per il 2007 si era passati ad un rapporto di circa 10 a 1. Nel 1980, gli asset finanziari mondiali (depositi presso le banche, titoli e partecipazioni azionarie) contavano per il 119% della produzione mondiale, mentre al 2007 si è passati al 356%”81. Il debito sul mercato creditizio USA è salito da circa il 150% del Pil dei primi anni ’80 al 350% del 2007. Per S&P 400, il rapporto prezzi delle azioni/utili delle imprese è passato tra il 1980 e il 2003 da 8 a 40 ad 1. Il servizio sul debito in relazione al reddito disponibile è cresciuto di 4, 5 punti percentuali tra i primi anni ’90 ed il 2007. La conseguenza inevitabile per lo stesso arco di tempo è stata una politica economica che ha progressivamente rivitalizzato la redditività del settore privato al fine di produrre e sostenere questa dinamica speculativa. Si è assistito così ad una progressiva privatizzazione e commercializzazione di settori produttivi e servizi pubblici, liberalizzazione di ogni mercato, deregulation, ristrutturazioni, acquisizioni e dismissioni, riduzione dei “profit retained” e massimizzazione dei profitti speculativi, 81 Smith, Murray E.G. Causes and Consequences of the Global Economic Crisis, 2008, p.8. http://www.countdownnet.info/archivio/analisi/world_econ omy/579.pdf. 85 ruolo determinante dei fondi pensione e di investimento nel determinare le strategie delle imprese. In sostanza, riduzione degli investimenti produttivi, dunque del tasso d’accumulazione e trionfo di quello che è stato definito lo shareholder value model. Il monetarismo deflazionistico, da parte sua, tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 si è espresso nella forma di un ridimensionamento della spesa pubblica ed in particolare di quella relativa allo stato sociale per ridurre il deficit ed il debito pubblici accumulati negli anni ’70 (riduzione che però non si è assolutamente realizzata) e di politiche volte alla riduzione del sostegno all’occupazione ed al salario sociale (che, invece, si sono avute). La mutazione in senso speculativo Insomma, il carico di questo declino della crescita economica capitalistica ha prodotto da un lato una sorta di mutazione del capitalismo in senso speculativo e dall’altro un notevole peggioramento nelle condizioni di riproduzione dei salariati del settore pubblico e privato. La spettacolare performance ingegneristico-finanziaria del capitalismo in questi ultimi trent’anni – di cui, ad esempio, la speculazione originata sui mutui sub-prime è solo un caso dei profitti speculativi originati tra banche commerciali, di investimento ed infine fondi pensione/investimento ed investitori stranieri, attraverso costi per le commissioni, differenziali nei tassi di 86 interesse sui prestiti a breve e a lungo termine che i mortgaged-based Securities procuravano82 – ha solo fatto emergere un’economia basata sul debito che ha incrementato il rapporto tra formazione del debito e reddito nazionale o reddito monetario prodotto dall’andamento della crescita dei salari e dei profitti, la cui insostenibilità si sta manifestando in questa crisi. Il debito cumulativo delle famiglie, del settore finanziario e non finanziario e del Governo americano nel suo complesso sono il triplo del Pil americano e il doppio di quello registrato nel periodo successivo al crollo del 1929. L’ultimo decennio, poi, ha visto esplodere il mercato dei derivati, scommesse su un’attività sottostante (underlying asset) che possono essere di tipo finanziario (variazioni del tasso d’interesse, del prezzo di uno strumento finanziario, del prezzo di una merce, del tasso di cambio in valuta estera etc.) o di tipo creditizio (merito o indici di credito) e che si sono accumulati tra gli strumenti di investimento delle istituzioni finanziarie, incrementando notevolmente l’indebitamento del sistema economico83. 82 Si veda Moseley, F. US home mortgage crisis: how bad will it be? Causes and solutions, 2008 in www.countdownnet.info. 83 Possiamo ricordare che Bear Stearns aveva circa 13 trilioni di dollari in derivati e fallì nel marzo del 2008. Freddie Mac, Fannie Mae, Lehman Brothers e AIG sono 87 Recenti stime per i derivati Otc (Over The Counter, ossia su mercati non regolamentati) registrano un ammontare di 747 trilioni di dollari in valore nozionale, circa 15 volte il PIL mondiale. Il recente crash finanziario ha ed avrà delle invitabili ricadute sugli standard di vita, producendo intanto una sorta di “keynesismo finanziario” obbligato nel tentativo di rimettere in moto il credito onde ridare fiato alla speculazione finanziaria, con inevitabili spostamenti di denaro pubblico in quella direzione, con la novità che in questo frangente le Banche commerciali USA hanno ottenuto un incremento dei depositi presso la Fed in cambio di derivati come collaterali e “for the first time (previously only Treasury bonds were accepted)”, come rileva Moseley84. Non v’è dubbio che i lavoratori si troveranno a dover pagare questa montagna di finanziamenti statali, come hanno fatto quelli americani con i tremila miliardi di dollari spesi nella cosiddetta “guerra” in Iraq. La crisi fiscale dello Stato, poi, ha giocoforza costretto le amministrazioni pubbliche ed entrare nel gioco della finanza “creativa”. Per quanto riguarda l’Italia, ad crollati nel settembre dello stesso anno a causa dell’insieme dei valori mobiliari e dalle esposizioni sui derivati. 84 88 Moseley, F. Cit., p. 21. esempio, “a fine 2006 gli Enti Locali (Regioni, Province e Comuni) avevano un’esposizione in derivati verso banche italiane stimabile in circa 13 miliardi di euro di nozionale, pari al 36% dell'indebitamento totale verso intermediari residenti; il valore di mercato di queste posizioni risultava negativo per circa un miliardo di euro. Tuttavia, l’esposizione degli Enti Locali ai derivati è probabilmente assai più ampia, poiché diverse fonti indicano che molte posizioni in derivati detenute dagli Enti Locali sono in contropartita con banche estere, posizioni per le quali non sono ancora disponibili dati statistici”85. Sul versante delle attività industriali e commerciali, ossia sull’altra faccia della medaglia, si è invece assistito ad una debacle notevole negli ultimi mesi86. Messina, Alessandro. Dati di rilievo sui derivati, 2007. http://www.finansol.it/wp-content/uploads/2007/10/datidi-rilievo-a_messina.pdf . 85 Sul sito www.telegraph.co.uk, un articolo del 2 marzo 2009 dal titolo “We need shock andawe policies to halt depression” riporta i dati della produzione industriale dell’ultimo trimestre rispetto all’anno precedente così elencati: Taiwan (43pc), Ukraine (-34pc), Japan (-30pc), Singapore (29pc), Hungary (-23pc), Sweden (-20pc), Korea (19pc), Turkey (-18pc), Russia (-16pc), Spain (-15pc), Poland (15pc), Brazil (-15pc), Italy (-14pc), Germany (-12pc), France (11pc), US (-10pc) and Britain (-9pc). 86 89 L’affaire Ponte L’affaire Ponte sullo Stretto si può dire vada inserito in questo quadro di cui le PPP sono un aspetto. Si potrebbe sostenere che esse supportino comunque la crescita economica, ma allora non si vede perché non favorire progetti di sviluppo di più larga portata, sapendo poi che le ricadute in termini di benefici diffusi per la costruzione del Ponte sono praticamente inesistenti. Progetti infrastrutturali come questo e quelli ventilati in giro per il mondo nei prossimi anni sono caratterizzati da due aspetti: maggiore sarà il ruolo degli attori istituzionali privati (dato lo stato comatoso dei conti pubblici in ogni nazione sviluppata) maggiore sarà il grado di privatizzazione di servizi un tempo pubblici; maggiore sarà il ruolo da questi giocato maggiori saranno gli scopi puramente speculativi di tutta la faccenda, al punto che l’effettiva performance di infrastrutture così implementate non giocherà alcun ruolo. Si pensi al caso degli ETF87. Con essi si punta sull’andamento di un paniere di titoli di riferimento rappresentato dalle imprese implicate nel settore delle infrastrutture, un 87 ETF è l’acronimo di Exchange Traded Fund, un termine con il quale si identifica una particolare tipologia di fondo d’investimento con due principali caratteristiche: è negoziato in Borsa come un’azione; ha come unico obiettivo d’investimento quello di replicare l’indice al quale si riferisce (benchmark) attraverso una gestione totalmente passiva. 90 classico andamento speculativo che replica se stesso. In realtà sembra che la spesa pubblica prevista per la costruzione del Ponte rappresenti solo l’incipit per tutta la faccenda. Le obbligazioni emesse poi dai soggetti interessati sarebbero acquistate sul mercato secondario degli investimenti per essere soggette ad operazioni speculative, verrebbero titolarizzate come derivati e scambiate, utilizzate come garanzia collaterale per le infrastrutture in essere e da costruire, poiché questo è lo scopo principale di tutta la faccenda. Il Ponte ed i pedaggi relativi alla tratta, ci sembra costituiscano una sorta di “rumore di fondo” che come quello del Big Bang potrebbe non esserci mai. Quello che conta è costruirvi sopra una montagna di debito. Ecco perché, ad esempio, nell’ultimo decennio il valore d’un immobile e negli ultimi anni d’un barile di merdoso petrolio hanno assunto un valore + n rispetto ad un anno di riferimento, mentre l'immobile dal punto di vista reale si sarebbe dovuto deprezzate come capitale fisso residenziale ed il greggio, a parità di condizioni, non mutare di prezzo o mutarlo di poco visto che Dio non ci ha chiesto dall’oggi al domani una quantità infinita di petrolio per curare le sue attività nell’intero universo. Deve essere chiaro che l’investimento di tipo speculativo per quanto, come sottolineato precedentemente, sia il portato di un’assenza di investimenti di tipo classico, finalizzati all’accrescimento 91 della capacità produttiva e della ricchezza materiale sebbene in forma capitalistica, non possiede appunto le suddette caratteristiche. Qui il reddito monetario entra nella sfera speculativa la cui crescita si alimenta a condizione che ne continui ad entrare. Appena la catena di indebitamento così formatasi si spezza ed il valore nominale degli strumenti finanziari subisce un crash è come se venisse semplicemente indicata l’origine del declino economico in corso. In un certo senso questo non è più capitalismo, bensì un capitalismo che nega se stesso, ma non per opera dei salariati. 92 Bibliografia PPP, infrastrutture, speculazione Banca d’Italia. Relazione annuale sul 2007, Roma, 2008. Battistuzzi, Andrea. Intesa fa il Biis sulle opere in Italia Oggi, 24.01.2008. Brambrilla, Marco. Analisi costi-benefici del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, Milano, 2003 reperibile in www. Astrid-online.it. Building America’s Future meets with President Obama, 20 marzo 2009 reperibile in www.investininfrastructure.com. Busacchi, Isabella. Ue, due fondi Cdp contro il deficit infrastrutturale in Il Sole 24 Ore, 12.04.2009. Chiesa, Giulietto et al. Zero, perché la versione ufficiale dell’11/9 è un falso, Casale Monferrato, Piemme, 2007. 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Mangano (a cura di), Gli africani salveranno Rosarno – E, probabilmente, anche l’Italia 3. L. Sturniolo (a cura di), Ponte sullo Stretto e mucche da mungere - Grandi infrastrutture, servizi pubblici e bolle speculative www.terrelibere.org www.terrelibere.org/libreria [email protected] 105 106