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Anne Sexton

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Anne Sexton
Anne Sexton
Come ti uccidi la prossima volta? Due amiche che parlano di morte.
E mettono in versi le loro tragedie. Prima di suicidarsi.
Nell'aprile del 1959 in un bar di Boston, due poetesse alle prime armi, la ventiseienne Sylvia
Plath e la trentenne Anne Sexton, bevono cocktail e parlano con superficialità da salotto dei loro
tentativi di suicidio.
Anne e Sylvia si confrontavano sulle comuni esperienze di ricovero, sui rispettivi tentativi di
suicidio e sugli atteggiamenti personali verso l'arte.
Le due poetesse tuttavia erano caratterizzate da personalità e condizioni diverse.
Anne Sexton che, a differenza di Sylvia Plath, non soffriva marcatamente di fasi depressive,
cadeva in trance per ore, si imbottiva di psicofarmaci ed era vittima di un etilismo devastante.
Sylvia Plath, timida, insicura, perennemente in difficoltà economiche, Anne, invece, era una
vera poetessa vamp, sempre chic, accuratissima nel trucco, vestiva di rosso e tacchi a spillo,
costantemente seguita da uno staff di collaboratori, tra l'infermiera, la governante, la segretaria.
Nelle sue apparizioni pubbliche, che venivano pagate a peso d'oro, arrivava sempre in ritardo,
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Anne Sexton
barcollante, e già si capiva il suo stato, lanciava le scarpe al pubblico a procedeva nella lettura
delle sue opere con voce sensuale.
Sylvia Plath aveva provato a togliersi la vita cinque anni prima, per una forte depressione da cui
era uscita dopo un lungo ricovero e tre elettroshock.
Per l'amica - che l'anno seguente avrebbe pubblicato una raccolta autobiografica intitolata "In
manicomio e parziale ritorno" - i soggiorni in cliniche psichiatriche e le overdose di quelle che lei
chiamava . pillole "uccidimi". stavano diventando un'abitudine. Quattro anni dopo, quando
Sylvia Plath si uccise col gas del forno nella cucina della sua casa inglese, Anne Sexton ricordò
quelle chiacchierate in una poesia:
"La morte di Sylvia"
Come hai potuto scivolare giù da sola nella morte
che ho desiderato così tanto e così a lungo,
la morte che tutte e due dicevamo di aver superato,
... la morte di cui parlavamo tanto, a Boston,
mentre ci scolavamo tre martini extra dry.
E si ricordò dell'amica nell'ottobre del '74, quando si uccise anche lei col gas: con i gas di
scarico della sua macchina, visto che in America quasi tutti i forni sono elettrici.
Non è stata solo la loro fine simile a portare critici e lettori a vedere le due scrittrici come due
personaggi paralleli - tutte e due americane, quasi coetanee, poetesse ma prima ancora mogli e
madri di due figli, tutte e due portate a una poesia "confessional", che metteva in piazza
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sentimenti e argomenti mai trattati prima in versi.
Nella fama però hanno avuto un destino diverso.
Sylvia Plath divenne famosa dopo la morte, quando uscì la raccolta di poesie "Ariel", e la sua
figura tragica, simbolo dell'impossibilità di conciliare genio e vita familiare, oscurò a poco a poco
Anne Sexton, che invece da viva aveva raggiunto un livello di fama inusuale per un poeta: le
sue letture pubbliche erano affollatissime, i suoi libri diventavano best-seller e vincevano premi
su premi, Pulitzer compreso. Aveva persino fondato un gruppo soft-rock che cantava le sue
poesie.
In verita' oltre queste similitudini c'erano anche tante differenze tra le due poetesse ed amiche.
Sembra quasi che Anne Sexton abbia avuto tutto quello per cui l'amica, nei suoi diari, sembra
lottare.
Diversamente dalla Plath - timida, insicura, sposata con un poeta, l'inglese Ted Hughes, e
sempre in difficoltà economiche - Anne Sexton, nata in una famiglia ricca e moglie di un uomo
d'affari, aveva una bellezza appariscente, un modo di fare affascinante, ed era diventata madre
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senza problemi.
Aveva un comportamento disinibito che le procurò una quantità di amanti (poeti, ma anche uno
dei suoi psichiatri e un barbiere jugoslavo conosciuto a Roma) e l'ammirazione di paladine della
liberazione sessuale come Erica Jong. Metteva tutta la sua vita nelle sue poesie, senza pudore
(basta citare qualche titolo da "The complete poems": "L'aborto", "Mestruazioni a quarant'anni",
"Al mio amante che torna da sua moglie").
Ma aveva anche problemi mentali molto gravi: non era solo vittima della depressione, come la
Plath, ma soffriva di turbe psichiche, cadeva in trance per ore, beveva troppo e prendeva troppi
psicofarmaci, spesso, per sua stessa ammissione, si comportava da pazza. Quando decise di
uccidersi davvero, lo fece perché si rendeva conto di non essere autosufficiente, di essere
pronta per andare definitivamente in manicomio.
La poesia di S. Plath e R. Lowell, A. Sexton venne definita confessionale, definizione con cui si
pone in rilievo l'uso della scrittura quale strumento di conoscenza e di trasformazione di
avvenimenti traumatici, e come elemento di connessione tra l'esperienza psichica e
l'espressione poetica. Come la stessa Sexton afferma: "Ciascuno ha la capacità di mascherare
gli eventi di dolore. La persona creativa non deve usare questo meccanismo. Scrivere è vita in
capsule. Lo scrittore deve sentire ogni gonfiore graffiato fino al dolore in modo da conoscere le
vere componenti di queste capsule".
In quegli anni Anne aveva già composto numerose poesie; nel '59 consegnò all'editore H. Miffin
"Al manicomio e parziale ritorno" (To bedlam and part way back), due anni dopo pubblicò il 2°
volume di "All my pretty ones".
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Anne Sexton
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di
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lucidamente
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vale
ostinatamente
a
dire
consapevole
l'affermazione
onirica
persevera
e
della
del
sé
Articolo
interamente
copiato
dal
medesimo
post
finalizzata
http://ibipolari.splinder.com
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