Comments
Transcript
SOMMARIO n. 94 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO n. 94 Anno XIV (nuova serie) n. 94 luglio-agosto 2008 Animanera ............................................................................................. 8 Black House .......................................................................................... 12 Burn After Reading – A prova di spia .................................................. 20 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Cavaliere oscuro (Il) .............................................................................. 6 Cronache di Narnia (Le) – Il Principe Caspian ................................... 9 Doomsday – Il giorno del giudizio ........................................................ 39 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Fabbrica dei tedeschi (La) .................................................................... 40 Giorno perfetto (Un) .............................................................................. 36 Io vi troverò ............................................................................................ 19 Love Guru (The) .................................................................................... 4 Machan – La vera storia di una falsa squadra ....................................... 34 Matrimonio di Lorna (Il) ........................................................................ 2 Nella rete del Serial Killer ..................................................................... 27 Ombre dal passato ................................................................................ 17 Padroni della notte (I) ........................................................................... 15 Papà di Giovanna (Il) ............................................................................ 45 Pa-ra-da ................................................................................................. 31 Per uno solo dei miei due occhi ........................................................... 10 Piacere Dave ......................................................................................... 16 Postal ..................................................................................................... 47 Pranzo di Ferragosto ............................................................................ 13 Rocker (The) – Il batterista nudo ......................................................... 23 Rogue il solitario ................................................................................... 43 Sangue pazzo ....................................................................................... 25 Seme della discordia (Il) ....................................................................... 41 Serenity ................................................................................................. 30 Setta delle tenebre (La) ........................................................................ 33 Sex List – Omicidio a tre ...................................................................... 44 Shorooms – Trip senza ritorno ............................................................. 24 Shortbus ................................................................................................ 21 Solo un bacio per favore ....................................................................... 5 Terra degli uomini rossi (La) - Birdwatchers ....................................... 28 Tre scimmie (Le) ................................................................................... 11 Tu, io e Dupree ...................................................................................... 35 Bimestrale di cultura cinematografica Edito dal Centro Studi Cinematografici Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Gianluigi Ceccarelli Chiara Cecchini Silvio Grasselli Elena Mandolini Maria Luisa Molinari Francesca Piano Manuela Pinetti Ivan Polidoro Giuliano Tomassacci Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Film Tutti i film della stagione IL MATRIMONIO DI LORNA (Le silence de Lorna) Belgio/Gran Bretagna/Francia/Italia/Germania, 2008 1° aiuto regista: Caroline Tambour Operatori: Benoit Dervaux Suono: Jean-Pierre Duret, Julie Brenta, Thomas Gauder Interpreti: Arta Dobroshi (Lorna), Jérémie Renier (Claudy Moreau), Fabrizio Rongione (Fabio), Alban Ukaj (Sokol), Morgan Marinne (Spirou), Olivier Gourmet (l’ispettore), Anton Yakovlev (Andrei), Grigori Manoukov (Kostia), Mireille Bailly (Monique Sobel), Stéphanie Gob (infermiera), Laurent Caron (detective), Baptiste Somin (addetto all’obitorio), Alexandre Trocky (dottore), Cédric Lenoir (impiegato di banca), Cécile Boland (dottoressa), Serge Larivière (farmacista), Philippe Jeusette (fabbro), Sophia Leboutte (madre di Claudy), François Sauveur (fratello di Claudy), Christian Lusschentier (paramedico), Stéphane Marsin (spacciatore), Durata: 105’ Metri: 2830 Regia: Luc e Jean-Pierre Dardenne Produzione: Luc e Jean-Pierre Dardenne, Denis Freyd per Les Film du Fleuve/Archipel 35/Lucky Red/ Gemini Film/Mogador Film Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 19-9-2008; Milano 19-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne Direttore della fotografia: Alain Marcoen Montaggio: Marie-Hélène Dozo Scenografia: Igor Gabriel Costumi: Monic Parelle Produttore esecutivo: Olivier Bronckart Co-produttore: Andrea Occhipinti Produttori associati: Arlette Zylberberg, Sabine de Mardt, Christoph Thoke L orna è una giovane immigrata albanese che ha ottenuto la cittadinanza belga sposando Claudy, un drogato che tenta di sfuggire alla dipendenza. Lorna divide le sue giornate fra una lavanderia, ove stira abiti, e un minuscolo appartamento, ove tenta di sfuggire alle pressanti richieste d’aiuto di Claudy, in crisi d’astinenza e disperato. Lorna sembra rispondere con freddezza e noncuranza al bisogno d’amore di Claudy e progetta nel contempo con Fabio, tassista e organizzatore di traffici illgali, di uccidere Claudy con un’overdose. Il ragazzo drogato continua a chiedere la sua presenza anche per essere salvato dall’assedio dei pusher, ma Lorna gli ricorda di averlo sposato solo per danaro. Claudy è scosso da un tremito doloroso e lei gli compera in farmacia un calmante. Nel frattempo, telefona al fidanzato, che viaggia come autrasportatore illegale fra Italia e Germania. Lorna comincia con piccoli gesti a mostrare solidarietà e vicinanza nei confronti di Claudy, che fa ricoverare in ospedale in un reparto per tossici e che poi assiste. Cerca di convincere Fabio a non ucciderlo proponendogli di ottenere il divorzio per tornare libera. In effetti la sua cittadinanza belga dovrà servire per un altro matrimonio “bianco” con un mafioso russo, che lo pagherà con una grossa somma. Lorna incontra di nascosto il fidanzato Sokol, con cui progetta con i soldi guadagnati di acquistare un bar. Contro il parere di 2 Fabio si ferisce da sola alle braccia per denunciare il marito per percosse e ottenere quindi il divorzio. A causa della mancanza di testimoni, il tentativo fallisce, così in ospedale chiede a Claudy di picchiarla in pubblico offrendogli del danaro per ottenere il divorzio. Di fronte alla sua titubanza, si procura una taglio con una testata contro uno spigolo e scrive al giudice per ottenere la sentenza di divorzio, contro il parere di Fabio, che teme che la polizia scopra l’inganno. Claudy, dopo un periodo di disontossicazione, viene dimesso dall’ospedale, torna nell’appartamento ove prepara la cena da consumare con Lorna. Ma è arrivata la lettera del giudice che le concede il divorzio. Lorna esce per comunicarlo a Fabio che finge di aver chiesto al mafioso russo un mese di attesa dal matrimonio concordato. Al ritorno nell’appartamento, trova uno spacciatore. Per evitare che Claudy si faccia dare una dose, caccia l’uomo e butta via la chiave dell’appartamento per impedire al ragazzo di uscire. Si offre poi a Claudy in risposta al suo bisogno d’amore. I due si uniscono in un abbraccio disperato. Il giorno dopo Claudy acquista una bici e si mette a pedalare “per non pensare alla droga”. Ma il ragazzo scompare e Lorna ne ritrova il corpo all’obitorio. Scopre che Fabio l’ha fatto uccidere con un’overdose, come prevedeva il progetto originario. La polizia insospettita la interroga circa la coincidenza fra la sentenza del divorzio e la morte per overdose. Lorna abbandona il luogo dove viveva con Claudy e va a offrire alla madre del morto del danaro, ma viene allontanata dal fratello. Film Tormentata dal rimorso, chiama il fidanzato, da cui non si fa toccare, e visita con lui dei possibili locali in vendita da trasformare nel loro bar progettato. Incontra due emissari del mafioso russo che controllano i suoi documenti d’identità belga e che anticipano a Fabio la cifra pattuita per il matrimonio. Mentre visita un appartamento dove aprire il bar, si sente male e scopre di essere incinta. Si reca in ospedale per abortire, ma è disperata e incerta sul da farsi. Va poi in banca per depositare il danaro dell’assistenza pubblica di Claudy a nome del nascituro. Comunica a Fabio la sua gravidanza, ma questi vorrebbe farla abortire perché teme problemi con i russi. Infatti quando incontra il futuro nuovo marito, Andreï, questi rifiuta l’idea di dover mantenere un figlio. Fabio, a sua volta, si arrabbia di fronte alla prospettiva che l’affare sfumi e la spinge all’aborto. In ospedale l’ecografia rivela che la gravidanza è inesistente, ma Lorna insiste nella sua convinzione di essere incinta. Fallito il matrimonio con Andreï, Lorna ritira in banca il danaro (concesso in prestito) che sarebbe dovuto servire per l’apertura del bar, pagando una forte penale, e restituisce a Fabio l’anticipo avuto. Sokol ritira la propria parte di compartecipazione al progetto e abbandona la fidanzata. Fabio lascia Lorna nelle mani del suo aiutante Spirou, che la porta via in macchina per eliminarla. Ma la donna lo stordisce con una pietrata in testa e si inoltra in una foresta. Mentre vaga alla ricerca di un riparo, parla al bambino che pensa di avere in grembo e gli promette di proteggerlo. Trova infine una capanna isolata ove si rifugia accendendo un fuoco nel focolare abbandonato. L ’improvvida traduzione italiana del titolo originale, che sposta la dimensione del film da quella simbolica a quella realistico-aneddotica, mi permette di evidenziare come anche attraverso il titolo i Dardenne collochino nella misteriosa essenza dell’animo umano il significato profondo della loro opera. Lorna appartiene al mondo di coloro che non hanno parola, destinati al silenzio e all’emarginazione. Ma è nel “silenzio” che Lorna sviluppa la sua maturazione spirituale e medita il cambiamento della propria vita. Questo film chiarisce in modo definitivo quale fosse il progetto umanistico iniziato con La promesse. Essi narrano la Tutti i film della stagione difficile liberazione dal bisogno e dalla disperazione dei poveri verso una trasformazione utopica della propria esistenza. Superando retorica, colpevoli buonismi e trappole ideologiche insite nell’analisi di classe della nostra società, oggi insufficiente, essi ci trasmettono l’idea radicale che la salvezza può nascere solo fra diseredati. Ne La promesse, Igor rompe la legge del padre fuggendo con un’africana e un bambino, in Rosetta Riquet aiuta la protagonista a rialzarsi rinunciando alla vendetta, ne Il figlio l’educatore falegname Olivier perdona il giovane assassino del figlio, in L’enfant Bruno recupera il bambino perduto e decide di redimersi consegnandosi alla polizia. La speranza è affidata oltre che al movimento interno alla persona, anche alla presenza reale e simbolica di una nuova vita da proteggere e preservare. La figura del bambino qui diventa ancora più pregnante perché si tratta di un nascituro che esiste solo nella mente di Lorna. I Dardenne in questa occasione non hanno temuto di essere didattici, superando in parte il loro partito preso estetico che affida all’ambiguità e al non detto il significato profondo dei loro film. Nell’ultima sequenza, Lorna dialoga a lungo con il bimbo che forse ha nel ventre definendo in termini di compensazione la propria azione disperata: “Non ti lascerò morire, ho lasciato morire tuo padre, tu vivrai...”. Il bambino fantasmatizzato acquista una forza simbolica particolare perché è preparato dalla sua origine, dalla morte fuori campo di Claudy, che il montaggio ellittico non ci mostra. L’ultima immagine di Claudy è paradossalmente un’immagine di felicità…La morte oscura di Claudy genera in Lorna la certezza che egli continuerà a vivere nel figlio. I Dardenne raggiungono qui una totale padronanza dei propr i mezzi espressivi, rinunciando a livello narrativo, a modelli letterari, quali il Dostoevskij citato ne L’enfant, o la Bibbia (l’episodio di Isacco) ne Il figlio. L’ispirazione del racconto viene colta nella cronaca nera, sviluppato con una sceneggiatura complessa e però implacabile nella sua progressione e concatenazione. La ben collaudata formula del nascondere e svelare, trova in Lorna un’illustrazione che coinvolge l’emotività e la ragione dello spettatore. La costruzione dell’inquadratura non è più affidata a una macchina a mano che stava addosso e spesso dietro le nuche dei personaggi, quasi a penetra- 3 re nel mistero della loro psiche (e della loro solitudine). Il campo dell’inquadratura, priva di movimenti nevrotici e ossessivi, è stavolta più piano e largo, lasciando entrare altri personaggi, i fratelli e gli avversari della protagonista. Il silenzio di Lorna, più chiaramente dei film precedenti, è un film sulle relazioni possibili fra le persone. Se negli altri film la rappresentazione era fondata sul rapporto fra campo e fuori-campo, qui i Dardenne restano più a distanza, cercando di oggettivare i propri personaggi, osservandone in inquadrature larghe gesti e movimenti. In questo film, per la prima volta, assistiamo a una scena di nudo e di sesso esplicito, colmo però di pudore e di dolore. I due personaggi vincono la propria disperazione in un atto d’amore che è fatto di pietà e di donazione reciproca. Anche il montaggio delle immagini subisce un’evoluzione estetico-morale. Se all’inizio il racconto è sottoposta a una sorta di frantumazione del tempo e dello spazio (come nei precedenti film dei Dardenne la definizione dell’identità dei personaggi è affidato unicamente alle loro micro-azioni), il mutamento psicologico e coscienziale di Lorna si accompagna a una maggiore durata, linearità e consequenzialità delle inquadrataure montate. Inizialmente Lorna sembra mostrare indifferenza e disprezzo nei confronti di Claudy che gli chiede aiuto. La ripetizione ossessiva dell’invocazione d’aiuto provoca in lei il movimento morale. La sua vicenda si gioca nel capovolgimento fra vero e falso: Lorna trasforma in vero un matrimonio falso e scopre poi la falsità nei suoi rapporti con Sokol e con Andreï. Il racconto è dominato dalla presenza costante del danaro che regola tutti i rapporti fra i personaggi. Basti citare l’ inquadratura che apre il film, in cui Lorna deposita il primo acconto in banca per l’acquisto del bar, l’interramento del sussidio di Claudy, la titubanza di Lorna nell’accettare i 1.000 euro di anticipo sul futuro matrimonio con il russo, la penosa spartizione nel taxi di Fabio di quanto rimane del complotto. La tragicità della vicenda è compensata dall’amore che i Dardenne nutrono per la loro protagonista. L’apertura verso la dimensione spirituale nella vita di Lorna è sottolineata dalla dolcissima arietta dall’op. 32 per pianoforte di Beethoven, che chiude il film. Flavio Vergerio Film Tutti i film della stagione THE LOVE GURU (The Love Guru) Stati Uniti/Canada/Germania, 2008 Effetti speciali trucco: Allan Cooke, Neil Morril, Ron Stefaniuk Supervisore effetti speciali: John MacGillivray Coordinatore effetti speciali: Rob Sanderson Supervisori effetti visivi: Allan Magled (Soho VFX), Erik Liles Coordinatore effetti visivi: Kyle Ware (Hydraulx) Supervisore costume: Ciara Brennan Supervisore musiche: John Houlihan Interpreti: Mike Myers (Guru Pitka/Pitka giovane/Pitka teenager/se stesso), Jessica Alba (Jane Bullard), Justin Timberlake (Jacques Grande), Romany Malco (Darren Roanoke), Meagan Good (Prudence Roanoke), Verne Troyer (coach Punch Cherkov), Ben Kingsley (Guru Tugginmypudha), Omid Djalili (Guru Satchabigknoba), Telma Hopkins (Lillian Roanoke), John Oliver (Dick Pants), Jessica Simpson, Kanye West, Deepak Chopra, Rob Blake (se stessi), Manu Narayan (Rajneesh), Jim Gaffigan (Trent Lueders), Daniel Tosh (cowboy), Rob Gfroerer, Robert Cohen (nerds), Linda Kash (reporter), Bob Bainborough (assistente coach), Gotham Chopra (Deepak), Suresh John (indiano), Trevor Heins (Pitka giovane), Jaan Padda (Deepak giovane), Sean Cullen (arbitro), Mike ‘Nug’ Nahrgang (fan arrabbiato), Peter Scholier (zio Jack), Shakti Kupil (Sanjay), Graham Gordy (DJ) Durata: 87’ Metri: 2400 Regia: Marco Schnabel Produzione: Michael De Luca, Donald J. Lee jr., Mike Myers per Goldcrest Pictures/Michael De Luca Productions/Nomoneyfun Films/Paramount Pictures/Spyglass Entertainment Distribuzione: Universal Prima: (Roma 1-8-2008; Milano 1-8-2008) Soggetto e sceneggiatura: Mike Myers, Graham Gordy Direttore della fotografia: Peter Deming Montaggio: Lee Haxall, Gregory Perler, Billy Weber Musiche: Gorge S. Clinton Scenografia: Charles Wood Costumi: Karen Patch Produttori esecutivi: Gary Barber, Roger Birnbaum Produttori associati: Sean Gannet, Graham Gordy Direttore di produzione: Jim Powers Casting: Kathleen Chopin Aiuti regista: Jeff J. J. Authors, Fatima Palhetas, Penny Charter, Tyler Delben, Kathryn Hughes, Jonnie Katz, Eric S. Potechin, Siluck Saysanasy, Jennifer Zabawa Operatori: Roger Finlay, Marvin Midwicki, Mark Willis Operatore steadicam: Gerard Sava Art director: David G. Fremlin Arredatore: Gordon Sim Trucco: Christine Hart, Christopher Pizzerelli, Tricia Sawyer Acconciature: Jennifer Bower O’Halloran, Robert Ramos P er risollevare le sorti del campione della squadra di hockey su ghiaccio dei Toronto Maple Leafs, Darren Roanoke, la proprietaria del club Jane Bullard decide di rivolgersi al famoso guru Maurice Pitka. Pitka ha studiato in India presso il celebre maestro Tugginmypudha, è seguito da milioni di fedeli e da uno stuolo di celebrità, tra cui divi del cinema, della tv e dello sport: egli è secondo solo al numero uno dei guru, Deepak Chopra, nella risoluzione delle delicate questioni di cuore. Colpito dalla bellezza di Jane, Pitka decide di accettare l’incarico di lavorare per lei. I due partono per Toronto. La città odia la giovane presidente della squadra di hockey; i tifosi la ritengono responsabile della mala sorte che grava sul club dal 1967. Inoltre, il campione Darren Roanoke non brilla più sul campo perché la sua vita sentimentale è a pezzi dopo che la moglie Prudence lo ha lasciato per il “superdotato” campione francese Jacques Grande, asso della squadra dei L.A. Kings. Pitka consiglia a Darren di seguire il suo metodo detto DRAMA per vincere la Stanley Cup e riprendersi la moglie. Innanzitutto, Darren deve risolvere il complesso di inferiorità nei confronti della madre che ama il figlio solo quando ha successo. Prudence non sopporta l’idea che Darren sia così succube della mam- ma. A una festa, Pitka parla con Prudence e le dice che l’indomani vuole mostrarle il nuovo Darren. Il giorno dopo, Darren incontra Prudence che gli chiede se è riuscito a tenere testa alla madre e gli dice che a lei non importa nulla se non vince la Stanley Cup. Darren si riconcilia con la moglie. Jane chiede a Pitka di restare ancora per un po’. La squadra dei Leafs vince sei partite di fila: il settimo match sarà quella decisivo. I tifosi sono pazzi per il guru Pitka, Jane si congratula con lui e lo saluta. Ma, il giorno della partita decisiva, la madre del campione ritrovato Darren Roanoke si presenta allo stadio per cantare l’inno. D’un tratto il campione inizia a tremare. Alla fine del primo tempo, i Leafs stanno perdendo e Darren è chiuso nello spogliatoio in piena crisi. Guru Pitka abbandona l’aeroporto e si precipita allo stadio, va dal campione e lo convince ad affrontare la madre. Darren tiene finalmente testa alla mamma: subito dopo entra in campo a pochi secondi dalla fine della partita. Ma ora ci si mette Grande a mettere in crisi Darren: in quel momento Pitka entra nello stadio in sella a un elefante mettendo in atto uno dei suoi motti. Darren rientra in partita segnando il punto decisivo e i Leafs vincono la Stanley Cup. Qualche tempo dopo, Guru Pitka è in India in compagnia della bella Jane final4 mente libero dalla cintura di castità che indossava da quando aveva dodici anni. L ’ultima mania modaiola dalle parti di Hollywood sembra essere proprio quella di avere un “guru”. Un guru per la moda, uno per il fitness, uno per la dieta e, sì, anche uno per l’amore. Eh già, l’India impazza sempre di più nella mecca del cinema, ora ci mancavano anche questi guru, usciti direttamente dai loro ashram tempestati di colori vivaci. Un’ambientazione bollywoodiana tanto di moda mescolata a una consistente dose di comicità di grana grossa, ecco in due parole The Love Guru. Diretto dall’esordiente Marco Schnabel, già regista della seconda unità in film come Ti presento i miei, Mi presenti i tuoi? e Austin Powers in Goldmember, il film dispensa a piene mani luoghi comuni “spiritualistici” e comicità demenziale, arte in cui il protagonista Mike Myers è re indiscusso. Il comico, esploso grazie al mitico Saturday Night Live, poi “fuso di testa”, poi agente speciale Austin Powers dal petto ipervilloso, dagli orribili denti giallognoli e dagli occhiali spessi come fondi di bottiglia, qui fa il mattatore e diventa “Sua Immensità” guru Pitka, sfoggiando colorati camicioni indiani, lunghe collane, una chioma sovrabbondante, una lunga barba e un paio di baffi arricciati all’insù. E tra Film un’esecuzione al sitar e una battaglia a colpi di stracci per pavimenti intrisi di pipì, il nostro Myers si dà un gran da fare, ma non bastano una serie di sketch volgarotti e una sceneggiatura pressoché inesistente a fare una commedia. Non basta neppure una splendida Jessica Alba nei panni della presidentessa della ‘sfigata’ squadra di hockey, una gettonatissima star del- Tutti i film della stagione la musica come Justin Timberlake, nelle vesti (quasi irriconoscibili) del campione francese superdotato Grande (di nome e di fatto!) e, udite udite, non basta neppure aver scomodato il grande Ben Kingsley proponendogli di fare il verso alla sua indimenticabile interpretazione di Gandhi, affidandogli il ruolo del grande guru indiano, calvo e dallo sguardo “dinamico”, maestro del nostro Pitka. Completano la passerella una serie di apparizioni illustri che affollano la “vip room” del guru come Jessica Simpson, Val Kilmer, Oprah Winfrey. Tutti alla ricerca del “vero sé”, anche se il primo ad averlo smarrito sembra essere proprio il nostro Myers. Elena Bartoni SOLO UN BACIO PER FAVORE (Un baiser sil vous plaît) Francia, 2007 Costumi: Florie Vaslin Aiuti regista: Pierrick Vautier, Virginie Legeay, Guillaume Brac Supervisore costumi: Florie Vaslin Interpreti: Virginie Ledoyen (Judith), Emmanuel Mouret (Nicolas), Julie Gayet (Emilie), Michaël Cohen (Gabriel), Stefano Accorsi (Claudio), Frédérique Bel (Câline), Mélanie Maudran (Pénélope), Marie Madinier (Eglantine), Lucciana De Vogüe (Louise), Jacques Lafoly (cameriere) Durata: 97’ Metri: 2757 Regia: Emmanuel Mouret Produzione: Frédéric Niedermayer per Angoa-Agicoa/CNC/K Films Amerique/Moby Dick Films/Procirep/TPS Star/Arte France Cinéma Distribuzione: Officine Ubu Prima: (Roma 9-5-2008; Milano 9-5-2008) Soggetto e sceneggiatura: Emmanuel Mouret Direttore della fotografia: Laurent Desmet Montaggio: Martial Salomon Scenografia: David Faivre E milie e Gabriel si incontrano per caso a Nantes. L’indomani Emilie dovrà lasciare la cittadina per ritornare a Parigi e Gabriel si offre di farle trascorrere una piacevole ultima serata. Arrivati al commiato, l’uomo cerca di baciarla, ma lei lo blocca e inizia a raccontargli cosa è successo a due suoi conoscenti, Judith e Nicolas, proprio a causa di un bacio. Judith è una ricercatrice felicemente sposata con Claudio e Nicolas è il suo migliore amico. I due passano molto tempo insieme chiacchierando e bevendo buon vino. Qualcosa cambia quando, un giorno, Nicolas, particolarmente depresso, chiede a Judith di fare l’amore con lui solo per una volta. L’amica accetta, ma quando si baciano scatta qualcosa che non avevano previsto e si scoprono innamorati. I due le provano tutte per soffocare la passione, ma più la reprimono più questa cresce. Judith è molto addolorata per il marito, vorrebbe raccontargli tutto, ma ha paura di farlo soffrire e quindi decide, insieme a Nicolas, di fargli incontrare casualmente un’amica, nella speranza che se ne innamori rendendola libera di vivere la sua relazione senza sensi di colpa. L’escamotage sembra perfetto, ma Claudio inavvertitamente ascolta una telefonata tra i due amanti e scopre tutto. Ciononostante non dice nulla e segue il piano. Quando gli si avvicina la ragazza, però, non ce la fa a fingere, le urla tutta la sua rabbia e scappa via. La giovane, allora, cerca di contattare Nicolas, ma le rubano il cellulare e impossibilitata a chiamare, si imbarca su un aereo dove lavora come hostess, lasciando i due amanti all’oscuro di tutto e pieni di domande. Dopo qualche giorno di assenza, Claudio torna a casa e fa credere alla moglie di essersi innamorato di un’altra e di volerla lasciare. Contemporaneamente Nicolas rivede l’amica che gli comunica che Claudio sa tutto, ma, per amore di Judith, si farà da parte. Emilie conclude la storia dicendo che i due innamorati ora non sono felici, perché consapevoli di aver fatto soffrire con il loro amore una persona e aggiunge che ora è lei la moglie di Claudio. Il racconto, però, non spegne il desiderio di Gabriel di baciarla, Emilie, allora, detta delle regole: concederà il bacio a patto che lui dopo non dica nulla e se ne vada per la sua strada. Gabriel accetta, si baciano, poi lui silenziosamente va via. I l cinema ha ampiamente raccontato ogni forma di trasgressione amorosa. Con il tempo ha cercato di coinvolgere lo spettatore in situazioni sempre più scabrose fino a renderlo assuefatto e desideroso di storie e immagini sempre più estreme. 5 Poi è arrivato un giovane regista, Emmanuel Mouret, che ha scompigliato le carte in tavola e, in barba ai nuovi modelli erotici, si è messo a raccontare dell’importanza del “bacio”. Si potrebbe definirlo quasi un “rivoluzionario”, ma, gratta gratta, il nostro regista non ha nulla di innovativo se non il gusto anacronistico per qualcosa di superato che unito alla lezione di due grandi maestri del cinema come François Truffaut ed Eric Rohmer (che evidentemente ama molto) si trasforma in una sinfonia cinematografica affatto deprezzabile. Solo un bacio per favore è indubbiamente una commedia elegante di quell’eleganza che sfocia nella sublime noia che si può trovare solo in alcune sale da tè, dove tutto è volutamente lento, dove ogni parola è soppesata, dove non si beve, ma si sorseggia. Anche la musica, rigorosamente classica (Tchaikovsky e Mozart per i momenti più leggeri e Schubert a sottolineare quelli più drammatici), accarezza questa atmosfera così ovattata e diventa mezzo per amplificare le emozioni. La pellicola ha il suo incipit a Nantes, dove una donna rifiuta inspiegabilmente un bacio iniziando a raccontare ciò che è accaduto a due suoi conoscenti che hanno preso alla leggera questa tenera effusione. Da qui, parte un flashback sulla vita di due grandi amici: Judith e Nicolas. Quest’ultimo, in piena crisi esistenziale Film cerca un conforto momentaneo nella confidente, ma inconsapevolmente accende una miccia che farà esplodere gli eventi e sconvolgerà la vita di diverse persone. Mouret lo urla silenziosamente, un bacio non è mai innocuo, specialmente se è il primo, perché nel bene o nel male distrugge gli equilibri e non sempre è il preludio di una romantica liaison, piuttosto è l’anticamera dell’inferno. Dopo un bacio, infatti, non ci si può tirare indietro, non si può far finta che non sia avvenuto e ritornare alla normalità. Gli stessi Judith e Nicolas ci provano, ma più cercano di allontanare il pensiero, più questo si ripresenta con vigore. Poi c’è il senso di colpa, la paura di far soffrire di Judith e l’amore di suo marito Claudio che diventa quasi sacrificio quando scopre la verità. Tutti i film della stagione Dialoghi fluidi ed elaborati, silenzi e completa assenza di una qualsivoglia volgarità. Ogni azione viene spiegata, illustrata, ogni sentimento sviscerato in un film che, se non fosse per i piani “all’americana” e per la presenza del nostrano Stefano Accorsi, si potrebbe definire francese fino al midollo. Il regista, inoltre, si è concesso il vezzo di interpretare il protagonista caricandolo di quelle insicurezze e titubanze tipiche dell’antieroe, una scelta che in patria gli è valsa l’appellativo di “Woody Allen alla francese”. Osservando con attenzione la sua recitazione effettivamente Mouret ha diverse cose in comune con l’attore-regista statunitense, ma è ancora lontano da quella graffiante arguzia che caratterizza i suoi film. Protagonista femminile è invece l’in- cantevole Virginie Ledoyen che, con qualche anno in più, non perde in freschezza, ma acquista quella giusta maturità che le permette di reggere egregiamente il ruolo della moglie tormentata. A Stefano Accorsi l’ingrato ruolo del marito tradito, poche battute e recitazione misurata perfettamente (cosa che sorprende!), adeguata allo stile del film. Solo un bacio per favore è una pellicola sostanzialmente valida nella sua piccolezza, che si mantiene costantemente un buon ritmo nonostante la verbosità e poi ha un epilogo d’impatto: un primo piano che non risponde alla domanda iniziale, ma ne crea di nuove che accompagnano lo spettatore anche dopo la fine dei titoli di coda. Francesca Piano IL CAVALIERE OSCURO (The Dark Knight) Stati Uniti, 2008 Acconciature: Kimberley Spiteri, Janice Alexander, Linda Rizzuto, Tim Toth Supervisore effetti speciali: Chris Corbould Coordinatore effetti speciali: Don Parsons Supervisori effetti visivi: Paul J. Franklin, Andrew Lockley (Double Negative), Ian Hunter (New Deal Studios), Christian Irles (Cinesite), Nick Davis Coordinatori effetti visivi: E.M.Bowen (New Deal Studios), Shelly Lloyd-James, Toby White, Gina Willis (Warner Bros.), Danielle Morley (Framestore), William Skellorn (Double Negative), Ana Marie Cruz, Jennifer Middleton, Julie Verweij Suono: Jeroen Damen Supervisori costume: Dan Grace, Turgay Gursoy Interpreti: Christian Bale (Bruce Wayne/Batman), Heath Ledger (Joker), Aaron Eckhart (Harvey Dent/Due Faccie), Michael Caine (Alfred Pennyworth), Maggie Gyllenhaal (Rachel Dawes), Gary Oldman (tenente James Gordon), Morgan Freeman (Lucius Fox), Monique Curnen (det. Anna Ramirez), Ron Dean (det. Wuertz), Cillian Murphy (lo spaventapasseri), Chin Han (Lau), Nestor Carbonell (Sindaco Anthony Garcia), Eric Roberts (Salvatore Maroni), Ritchie Coster (il ceceno), Anthony Michael Hall (Mike Engel), Keith Szarabajka (Det. Stephens), Colin McFarlane (commissario Gillian B. Loeb), Joshua Harto (Coleman Reese), Melinda McGraw (Barbara Gordon), Nathan Gamble (James Gordon Jr.), Michael Vieau (Al Rossi), Michael Stoyanov (Dopey), William Smillie (Happy), Danny Goldring (Grumpy), Michael Jai White (Gambol), Matthew O’Neill (Chuckles), William Fichtner (direttore di banca), Olumiji Olawumi (spacciatore), Gregory Beam (compratore di droga), Eric Hellman (Junkie), Beatrice Rosen (Natascha), Nydia Rodriguez Terracina (Surrillo), Andy Luther (Brian) Durata: 152’ Metri: 3930 Regia: Christopher Nolan Produzione: Christopher Nolan, Charles Roven, Emma Thomas per Warner Bros.Pictures/Legendary Pictures/DC Comics/Syncopy Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 23-7-2008; Milano 23-7-2008) Soggetto: Christopher Nolan, Davis S. Goyer dai personaggi del fumetto creati da Bob Kane e Bill Finger Sceneggiatura: Jonathan Nolan, Christopher Nolan Direttore della fotografia: Wally Pfister Montaggio: Lee Smith Musiche: James Newton Howard, Hans Zimmer Scenografia: Nathan Crowley Art director: Simon Lamont Costumi: Lindy Hemming Produttori esecutivi: Kevin De La Noy, Benjamin Melniker, Thomas Tull, Michael E. Uslan Produttore associato: Karl McMillan Direttori di produzione: Chen On Chu, Jan Foster, Thomas Hayslip, Michael Murray, Susan Towner Casting: Elaine Grainger Aiuti regista: Julian Brain, Michael T.McNerney, Nilo Otero, Tom Brewster, Jessica Franks, Clare Glass, Micelle Gonsiorek, Richard Graysmark, Sallie Anne Hard, Glyn Harper, Brandon Lambdin, Sarah McFarlane, Andrei Mannion, Michael Michael, Gregory J. Pawlik jr., Stefan Rand, Adam Thompson, Paula Turnbull Operatori: Michael Fitzmaurice, Bob Gorelick Operatore steadicam: Bob Gorelick Supervisore art direction: Simon Lamont Art directors: Mark Bartholomew, James Hambidge, Kevin Kavanaugh, Steven Lawrence, Naaman Marshall Arredatore: Peter Lando Trucco: Peter Robb-King, Sue Robb-King, John Caglione Jr., Latrice Edwards, Lisa Jelic, Vicki Vacca A Gotham City, il perfido Joker semina il panico: con il suo ultimo colpo si è impadronito dei cospi- cui fondi custoditi da una banca comandata dalla mafia. Le autorità cittadine sono in allarme: il tenente Jim Gordon capo del6 l’Unità Anticrimine della Polizia fa affidamento sul nuovo procuratore distrettuale Harvey Dent. I due, insieme a Batman, Film formato un triumvirato che si impegna a difendere la città dalla nuova ondata di terrore seminata da Joker. Ormai la malavita controlla la città. I soldi della mafia stanno per essere trasferiti dal magnate cinese Lau a Hong Kong. Batman si reca nella metropoli d’oriente, dove riesce a catturare Lau che, interrogato da Rachel Dawes, assistente del procuratore Dent, confessa i nomi dei clienti che depositavano denaro presso di lui. Gordon e Harvey riescono a catturare ben 549 criminali in una sola volta. Durante un party a casa sua, Bruce Wayne celebra il nuovo eroe di Gotham City, colui che ha messo in gabbia i criminali senza bisogno di una maschera. Harvey è legato sentimentalmente a Rachel, ex fidanzata di Bruce. Ma Joker irrompe alla festa, Bruce si traveste da Batman e lo affronta. Il giorno dopo Joker minaccia di uccidere il sindaco di Gotham se Batman non rivelerà la sua vera identità. Batman confessa a Rachel l’intenzione di costituirsi, ma, durante una conferenza stampa, Harvey Dent dichiara di essere Batman e si fa arrestare. Durante il trasferimento in prigione di Harvey, Joker si mette sulle sue tracce, ma il vero Batman lo affronta. Dopo un lungo inseguimento, Joker viene finalmente catturato. Harvey Dent è il nuovo eroe di Gotham, ma il procuratore e Rachel vengono rapiti. A nulla valgono i tentativi di interrogare Joker. Harvey e Rachel sono tenuti prigionieri in due magazzini collegati a dei barili di carburante. Solo uno di loro riuscirà a salvarsi. Con un telefonata, Joker innesca l’esplosivo, Rachel muore e Harvey resta gravemente ferito. Joker riesce a scappare. Disperato e sfigurato, in ospedale, Harvey rifiuta di farsi curare. Joker continua nel suo piano facendo saltare in aria l’ospedale di Gotham, ma Harvey è salvo. Inoltre il pazzo criminale collega due potenti bombe a due navi piene di passeggeri. Il messaggio alla gente è terribile: a mezzanotte farà saltare tutte e due le navi a meno che i passeggeri di una non decidano di far saltare l’altra salvandosi. Batman trova Joker. Nel frattempo, sulle due navi nessuno ha il coraggio di condannare i passeggeri dell’altra imbarcazione. Batman e Joker si affrontano. Intanto, Harvey, disperato per aver perso tutto, è passato dall’altro lato della legalità e sfida Gordon minacciando di uccidere suo figlio. Arriva Batman che affronta Harvey provocandone la morte e salva il figlio di Gordon. Ora Gordon è convinto che qualsiasi possibilità di recuperare la reputazione della città sia morta con Harvey. Per non consegnare la partita a Joker, Batman si prende la responsabilità di quelle morti. Tutti i film della stagione Nel suo discorso pubblico, Gordon parla di Dent come dell’eroe di Gotham e dichiara aperta la caccia a Batman. Batman è l’eroe che la città merita, ma non quello di cui ha bisogno adesso: non è un eroe ma un guardiano silenzioso che vigila su Gotham, un cavaliere oscuro. D avvero abbiamo bisogno dei mostri? Davvero per la nostra sopravvivenza abbiamo bisogno dell’ dell’anormale, del deviato, di ciò che è fuori dalle righe? L’ordine e il caos. La ragione e il suo collasso. Batman e Joker. Il dualismo dell’anno. Cinematografico naturalmente. L’uomo pipistrello che combatte contro la criminalità di Gotham City e la sua nemesi, il perfido uomo dal volto deformato da un sinistro ghigno. Chi sono? Due facce della stessa medaglia? Due metà che si completano l’una con l’altra? Lo stesso Joker dice all’uomo pipistrello: “Tu completi me, io non ti voglio uccidere, per loro sei solo un mostro come me, ti scaricheranno quando non gli servirai più”. C’è davvero un labile confine tra chi combatte per il rispetto della legalità e chi vive sfidando qualsiasi legge e qualsiasi norma di pacifica convivenza? Il pregio maggiore di questo capitolo delle avventure del più famoso uomo pipistrello dei fumetti sembra risiedere proprio qui. Nella sfumata linea di demarcazione di un dualismo bene-male eternamente riproposto. E nel suo intricato gioco di raddoppiamenti e sdoppiamenti. E qui si va ai meriti del regista. Nolan (quello di Memento, Insomnia e The Prestige) continua l’opera iniziata con il suo precedente Batman Begins e fa di più: demolisce e ri-costruisce qualcosa di completamente nuovo. L’obbligo dello spettatore è 7 quello di cancellare i due Batman di Burton e, ancor di più, i due di Schumacher. Qui si va in territori oscuri, molto oscuri, a iniziare dal titolo (e non è un caso che per la prima volta si sia deciso di cancellare la parola Batman). Dualismi, raddoppiamenti, maschere, tutto è sfumato (anche il trucco di Joker è tutto sbafato). Tutto si raddoppia. Due maschere, Batman contro Joker, un Joker lontanissimo da quello del primo film di Nicholson, un Joker che rischia di catalizzare su di sé l’intero film, ma non lo fa, fermandosi appena un attimo prima. Nel duplice gioco di specchi cui danno vita Batman e Joker entra un altro individuo scisso, il bello e onesto procuratore Harvey Dent (nella galleria dei grandi interpreti va segnalato anche lui, un ottimo Aaron Eckhart, sullo stesso gradino del podio insieme a BatmanBale entrambi un gradino sotto Joker-Ledger) che si trasforma nell’inquietante creatura Two Faces. Bella speranza prima, cupa disperazione poi. Tutto è ambivalente, anche la sorte, anzi le sorti di tutti gli eroi-nonpiù-eroi. Si è parlato di ventata antieroica che sta soffiando sul cinema statunitense (e quest’anno ne vedremo altri di eroi dai lati oscuri sul grande schermo) e di Joker come di eroe al rovescio (“un agente del caos” come ama autodefinirsi). Ma anche Batman è vicino al rovesciamento, entrano in crisi le sue certezze, virtù e violenza si avvicinano fino a confondersi. Anch’esse. Ed ecco Batman e la sua conversione finale a cavaliere oscuro: “o muori da eroe o vivrai tanto a lungo da vederti diventare un criminale”. Batman e Joker. La violenza, la paura, la vendetta. Siamo dalle parti del recente vissuto americano. E, nel gioco dei dualismi, difficile non notare quello tra Tim Burton, inventore del Film primo Batman e Nolan, ideatore della sua trasformazione in “cavaliere oscuro”. Due estetiche del cinema diverse ma complementari. Nei suoi due Batman Burton tiene separati bene e male, esterno e interno, superficie e sottosuolo e il soggetto è un insieme di parti scisse, frammentato, in un contesto in cui finisce per perdere rilevanza, per lasciare il posto soprattutto a una dimensione onirica e fiabesca (come fiabesco è tutto il cinema del folletto Burton). Il soggetto di Nolan no, non è niente Tutti i film della stagione di tutto ciò, semmai è confuso e complesso. Se Burton attinge al sogno e alla levità fiabesca, Nolan percorre i territori dell’incubo. Questo è cinema che inverte, confonde, scambia, sovrappone, cinema che è vicino ai nostri incubi. Incubi che emergono da una oscura Dark Night che sembra senza fine. Il resto, in primis la ben nota storia della mala sorte che aleggia sul film (dalla morte prematura del ventinovenne Heath Led- ger avvenuta per un micidiale e misterioso cocktail di sonniferi e ansiolitici quando il film era in fase di post-produzione, all’arresto del protagonista Christian Bale per aggressione alla madre e alla sorella, all’incidente stradale occorso al veterano Morgan Freeman) è pura cronaca che qualcuno ha voluto trasformare in leggenda tinta di nero. Ma questo è solo battage pubblicitario. Elena Bartoni ANIMANERA Italia, 2006 Suono: Alfonso Montesanti Interpreti: Antonio Friello (Enrico Russo), Giada Desideri (dott.ssa Anna Polito), Luca Ward (commissario Masciandaro), Domenico Fortunato (magistrato), Eljana Nikolova Popova (Fabiana Russo), Enzo Castaldo (uomo dell’incubo), Ettore Belmondo (papà di Andrea), Nela Lucic (Tamara), Marco Simeoli (Pilade), Bruno Governale (avvocato Lucarini), Luigi Santoro (Andrea), Elisabetta Cavallotti (mamma di Andrea), Luis Molteni (professore), Loredana Giordano, Valerio Santoro Durata: 95’ Metri: 2600 Regia: Raffaele Verzillo Produzione: Marco Verzillo per Scripta Progeda S.R.L. Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 29-8-2008; Milano 29-8-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Raffaele Verzillo, Pier Francesco Corona Direttore della fotografia: Giovanni Brescini Montaggio: Elisabetta Marchetti Musiche: 16 BIT Scenografia: Fabrizio De Luca Costumi: Luciana Morosetti R oma. Un magistrato, il commissario Masciandaro e la psichiatra Anna Polito sono sulle tracce di un mostro che violenta e uccide bambini. Sei bambini in un anno sono stati trovati morti, chiusi in sacchi di plastica senza nessuna impronta. Il mostro è Enrico Russo, rispettabile amministratore di condomini e marito affettuoso. Egli sceglie con cura le sue vittime, entrando in confidenza con i bambini che finisce per rinchiudere in gabbia e violentare. La dottoressa Polito è convinta che si debba indagare il lato umano del mostro, trattandosi di un uomo con forti disturbi psichici. Il commissario ha un diverso atteggiamento, convinto che i pedofili non siano malati mentali, ma solo bestie. Intanto Russo resta colpito da Andrea, un bambino di sette anni, figlio di genitori benestanti ma spesso assenti. Nel frattempo, la polizia ha catturato un individuo sospetto, il signor Pilade, sorpreso a fare foto davanti a una scuola e nella cui auto sono state trovate centinaia di foto. Pilade confessa il nome del suo committente. Il commissario fa irruzione a casa dell’uomo, un rispettabile professore. Intanto Russo fotografa Andrea davanti alla sua scuola. Il giorno dopo, il mostro avvicina la sua vittima. Il piccolo si fida di quello sconosciuto e gli mostra i suoi disegni, ma all’arrivo della babysitter, Russo sparisce. Intanto il professore indagato viene messo in isolamento, anche se non ci sono prove a suo carico. Dopo aver conquistato la fiducia di Andrea, Russo lo invita a fare una passeggiata al mare insieme a lui. Quella stessa sera, Russo uccide una bambina. Dalle indagini emergono delle novità: per la prima volta il mostro ha lasciato i vestiti alla vittima, il corpo è stato abbandonato in una zona di passaggio e i tagli sul corpo sono diversi dal solito. Intanto, la moglie di Russo trova tra le cose del marito il disegno di un bambino e due mollette per capelli di una bambina. Il giorno dopo, Russo racconta una favola ad Andrea, gli parla del mare dolcemente, lo tocca, lo accarezza. L’indomani il bambino aspetta felice fuori scuola il suo nuovo amico e va via con lui. Poco dopo, Russo uccide la mamma e il papà di Andrea. Il bambino è prigioniero del mostro che straparla e lo terrorizza dicendogli che i suoi genitori non lo vogliono con loro. Intanto, Anna trova nella stanza di Andrea un disegno in cui il bambino ha ritratto il suo nuovo amico. La dottoressa nota come il mostro abbia cambiato metodo, uccidendo i genitori del bambino con premeditazione: pensa che Andrea potrebbe essere ancora vivo. Quella 8 notte, Russo usa violenza su Andrea. Il mattino dopo Anna esce di casa e prende l’ascensore con il suo vicino, Enrico Russo. La dottoressa ha un’illuminazione: è proprio il suo insospettabile vicino il colpevole. Con una scusa, Anna si precipita dalla moglie di Russo che finisce per crollare e confessare i sospetti sul marito. La donna indica il covo del mostro. Giunti sul posto, il commissario e la dottoressa non trovano nessuno ma notano il disegno di un albero. Intanto, Russo è in una zona di campagna sotto a un albero con un sacco: Andrea è ancora vivo. L’uomo appende il sacco all’albero ma il commissario lo ferma appena in tempo sparandogli. L’ultima visione del pedofilo è un’immagine di un bambino al mare felice accanto a suo padre. C hi è davvero un pedofilo? Una persona malata, un individuo con forti disturbi psichici un’animanera. Certo a leggere certe cifre si resta impressionati: sono 1.000 i bambini che spariscono ogni anno in Italia e 2.000 gli arresti per pedofilia negli ultimi tre anni, ma sono circa 100.000 i potenziali pedofili nel nostro territorio. Per non parlare dei 12 siti italiani che promuovono l’orgoglio pedofilo e del fiorente commercio di materiale Film fotografico pedo-pornografico (il costo medio di una foto pedo-pornografica si aggira sui 100 euro). Un vero “cancro sociale” per cui è urgente trovare una strategia di prevenzione, innanzitutto proteggendo i bambini in seno alla famiglia. I bambini di famiglie assenti o disgregate sono le vittime ideali, confessa un pedofilo nel film. Sono loro, il lato più debole della nostra società, a essere in pericolo. Una generazione disarmata di cui il film di Raffaele Verzillo ha il merito di offrire una rappresentazione veridica attraverso gli occhi del piccolo protagonista: un bambino e il suo mondo, la sua capacità di essere il mediatore tra il quotidiano e il fantastico, il mondo reale e il mondo dei sogni. Così i disegni dell’infanzia diventano strumenti indispensabili all’esplorazione introspettiva dell’universo infantile. Il mostro conserva un suo disegno d’infanzia che (raggelante coincidenza) presenta evidenti somiglianze con un disegno della sua vittima. Il carnefice usa con la sua vittima un tono amichevole, parla con voce dolce e confidenziale, racconta favole stu- Tutti i film della stagione pende, guarda i suoi disegni, si interessa al suo mondo, ne indaga i sogni più nascosti, ne adotta addirittura i tic (come il gesto di toccarsi ripetutamente l’orecchio). Il piccolo Andrea dirà al suo carnefice “È bello immaginare così, con papà non lo faccio mai”. Il pedofilo ha agio a inserirsi nel vuoto sempre più grande lasciato da genitori assenti. E dal vuoto prende forma il sogno, il sogno dell’infanzia: un disegno, un albero, simbolo di vita in continua evoluzione, ma anche simbolo del carattere ciclico dell’evoluzione, morte e rigenerazione. E, simbolicamente, sotto un albero avviene le resa dei conti finale tra vittima e aguzzino, in un doloroso gioco di morte e rinascita. Al di là di alcuni difetti facilmente individuabili (a volte ci si lascia prendere la mano da soluzioni di sceneggiatura piuttosto scontate che troverebbero posto più in una fiction televisiva che in un film, prima fra tutte una scena di attrazione fatale tra il rude commissario e la bella psichiatra), il film ha però un altro merito: quello di porre in primo piano l’urgenza e l’importanza del dialogo e dell’ascolto, dell’amore fra grandi e piccoli. E, dal quadro desolante dell’oggi, emerge, ancora una volta, l’immagine di fanciulli senza risposta alle proprie richieste di aiuto e al loro fianco adulti che hanno perso il loro originario ruolo-guida. Non lasciando in ombra nessun aspetto di questa piaga sociale (che sul grande schermo sembra essere ancora un tabù; lo stesso regista ha dovuto attendere due anni per trovare un distributore) il film restituisce un interessante ritratto del pedofilo (superba la prova dell’attore Antonio Friello, insieme al piccolo Luigi Santoro i migliori del cast): la sua aggressività sembra essere il frutto di quella che gli psicanalisti chiamano “una disfunzione affettiva” derivata dall’ambiente in cui è cresciuto, dominato da un padre violento e prevaricatore (i flashback dell’infanzia violata sono davvero inquietanti). E il cerchio si chiude: chi educa i bambini ha la responsabilità di prevenire la violenza limitandone le cause. Il monito è rivolto ancora ai genitori: la speranza è che un film riesca a muovere qualche coscienza. Elena Bartoni LE CRONACHE DI NARNIA IL PRINCIPE CASPIAN (The Chronicles of Narnia: Prince Caspian) Gran Bretagna/Stati Uniti, 2008 Arredatore: Kerrie Brown Trucco: Paul Engelen, Jana Hladikova, Melissa Lackersteen, Debbie Schulze, Bobo Sobotka, Hana Surkalova Acconciature: Candice Banks, Linda Dvorakova, Stephen Rose Supervisori effetti speciali: Jason Durey, Gerd Feuchter, Paul Verrall Coordinatore effetti speciali: Gerd Feuchter Supervisori effetti visivi: Greg Butler (MPC), Jon Thum (Framestore CFC) Stephan Trojansky (Scanline VFX), Guy William (WETA), Dean Wright, Wendy Rogers, Coordinatori effetti visivi: Ian Cope (Rising Sun Pictures), Luis Fernando Midence (Studio C), Edward Randolph (Baseblack), Helen Clare (MPC) Juliette Davis, Clare Jhoanna Downie, Gemma James, Sara Louise Smith Interpreti: Ben Barnes (Principe Caspian), Tilda Swinton (strega bianca), Georgie Henley (Lucy Pevensie), Skandar Keynes (Edmund Pevensie), William Moseley (Peter Pevensie), Anna Popplewell (Susan Pevensie), Sergio Castellitto (Re Miraz), Peter Dinklage (Trumpkin), Warwick Davis (Nikabrik), Vincent Grass (Dott. Cornelius), Pierfrancesco Favino (Generale Glozelle), Cornell John (Glenstorm), Damian Alcazar (Lord Sopespian), Alicia Borrachero (Regina Prunaprismia), Simon Andreu (Lord Scythley), Predrag Bjelac (Lord Donnon), Klára Issová (Hag), Shane Rangi (Asterius), Hana Frejkova, Kristina Madericova, Lucie Solarova, Karolina Matouskova, Alina Phelan (ostetriche), Leila Abassová (moglie di Glenstorm), Ephraim Goldin, Yemi Akinyemi, Carlos Silva Da Silva (figli Glenstorm), Stewart Moore (Lord 12), Douglas Gresham, Ashley Jones, Curtis Matthew Durata: 144’ Metri: 3780 Regia: Andrew Adamson Produzione: Andrew Adamson, Mark Johnson, Perry Moore, Philip Steuer per Walt Disney Pictures/Walden Media/ Stillking Films/Silverbell Films/Propeler/Ozumi Film Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia Prima: (Roma 14-8-2008; Milano 14-8-2008) Soggetto: dal romanzo di C.S.Lewis Sceneggiatura: Andrew Adamson, Christopher Markus, Stephen McFeely Direttore della fotografia: Karl Walter Lindenlaub Montaggio: Josh Campbell, Sim Evan-Jones Musiche: Harry Gregson-Williams Scenografia: Roger Ford Costumi: Isis Mussenden Produttori associati: K.C.Hodenfield, David Minkowski, Matthew Stillman Co-produttore: Douglas Gresham Direttori di produzione: Richard E. Chapla jr., Tim Coddington, Belindalee Hope, Jana Hrbková, Silvie Janculová, David Minkowski, Philip Steuer Casting: Nancy Bishop, Pippa Hall, Liz Mullane, Gail Stevens Aiuti regista: Richard Matthews, K. C. Hodenfield, Jakub Dvorak, Jeff Okabayashi, Martina Gotthansova, Emma Hinton, Gabriel Reid, Amand Weaver Operatori: Jakub Dvorsky, Gregory Lundsgaard, Rob Marsh Supervisore art direction: Frank Walsh Art directors: David Allday, Jules Cook, Jill Cormack, Matthew Gray, Klara Holubova, Stuart Kearns, Jason Knox-Johnston, Elaine Kusmishko, Charles Leatherland, Phil Simms, Jiri Sternwald 9 Film I quattro fratelli Peter, Susan, Edmund e Lucy Pevensie (protagonisti della prima avventura del ciclo Il leone, la strega e l’armadio) sono tornati alla vita di sempre nella Londra all’indomani della seconda guerra mondiale ma non riescono a dimenticare le meravigliose avventure vissute a Narnia un anno prima. Quando riescono a ritornare nel paese fatato, scoprono che dalla loro ultima visita sono passati più di 1300 anni e ormai Narnia è in mano al popolo dei Telmarini. Il malvagio re Miraz ha usurpato tempo addietro il trono del fratello e, ora che è diventato padre, ha deciso di eliminare il giovane nipote e legittimo erede, il principe Caspian, che riesce però a fuggire all’agguato mortale e a rifugiarsi nella foresta. Nel corso dei secoli, gli abitanti di Narnia sono stati costretti a nascondersi e a diventare quasi delle creature leggendarie, come pure leggenda sono ormai diventati i sovrani Pevensie e il leone Aslan. Grande è quindi la sorpresa di Caspian quando si ritrova circondato da nani, centauri, ippogrifi, tassi e topi parlanti disposti ad aiutarlo nella sua lotta contro Miraz. A lui si uniscono i fratelli Pevensie, che vogliono riportare la libertà a Narnia. La battaglia tra le forze di Miraz e quelle di Narnia sarà difficile e cruenta; Peter affronta in duello Miraz e riesce a sconfiggerlo, ma si rifiuta di ucciderlo. A farlo sarà uno dei luogotenenti di Miraz, che continuerà la battaglia all’ultimo sangue fino all’arrivo improvviso e salvifico di Aslan, che riporta ancora una volta la pace e la serenità a Narnia. Caspian diventa re, mentre Peter, Susan, Edmund e Lucy tornano nel loro mondo, consapevoli però che questa sarà l’ultima volta per loro nel reame di Narnia. Tutti i film della stagione S econdo capitolo ispirato alla saga dello scrittore inglese Clive Staples Lewis, Le Cronache di Narnia – Il Principe Caspian non delude le aspettative di quanti hanno amato il primo film e di quelli che hanno letto l’omonimo romanzo (sebbene la trama subisca inevitabili cambiamenti). Il regista Andrew Adamson è ancora dietro alla macchina da presa e dimostra di aver acquisito una maggiore sicurezza espressiva e un controllo maggiore sulla materia narrativa del film. Rispetto al primo episodio, in Il Principe Caspian sono state attenuate, e non poco, le forti implicazioni cristologiche che erano alla base del testo e della filosofia di C.S. Lewis; il personaggio di Aslan, ad esempio, che nel primo film richiamava espressamente la figura di Cristo, è ancora presente, ma il suo ruolo è stato ridimensionato in maniera notevole, anche rispetto al romanzo. I giovani fratelli Pevensie sono ancora al centro della narrazione ed il loro sviluppo psicologico è stato seguito con attenzione, mentre viene tratteggiata con finezza anche la figura del nuovo protagonista, il giovane eroe Caspian, che cerca di trovare il proprio posto nel mondo stretto tra lo zio usurpatore e il coetaneo Peter. Nonostante permangano alcune lacune e scarsi approfondimenti su alcuni aspetti relativi alla trama, in particolare nel raccordare le vicende presenti con quelle passate e alcuni snodi del finale, il film appare comunque ben narrato, più adulto e più complesso rispetto al primo film. Il regista Adamson ha la mano felice nelle sequenze d’azione. Il duello corpo a corpo tra Miraz e il giovane Peter è uno dei momenti più convincenti. Le due battaglie presenti nel film sono molto più articolate rispetto al primo capitolo, anche se risentono il alcuni punti dell’influenza visiva di Il Signore degli Anelli (lo scontro con le forze di Miraz davanti alla Tavola di Pietra ricorda troppo la battaglia del Fosso di Helm de Le Due Torri, come pure la sortita a cavallo guidata da Caspian ricorda un episodio simile nello stesso film). Fanno il loro ingresso nel cast (che comunque ritrova per un momento – un altro episodio del film particolarmente riuscito – Tilda Swinton nei panni della Strega malvagia) il giovane inglese Ben Barnes nel ruolo del principe Caspian e i nostri Sergio Castellitto e Pierfrancesco Favino, ormai sempre più lanciato. Il re Miraz di Castellitto assume connotazioni shakespeariane di sinistra grandezza, mentre Favino riesce a insinuare dubbi e apprensioni nel ruolo del suo braccio destro Lord Glozelle, che, alla fine sceglierà coraggiosamente di passare dalla parte del bene. Chiara Cecchini PER UNO SOLO DEI MIEI DUE OCCHI (Nekam achat mishtey eynay) Francia/Israele, 2005 Regia: Avi Mograbi Produzione: Serge Lalou, Avi Mograbi per Les Films d’Ici/CNC/Israel Film Council/ New Israeli Foundation for Cinema and Television/Noga Communication – Channel 8/The Ministry of Science, Culture & Sport Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 28-3-2008; Milano 28-3-2008) Soggetto e sceneggiatura: Avi Mograbi Direttori deella fotografia: Philippe Bellaiche, Yoav Gurfinkel, Avi Mograbi, Itzik Portal Montaggio: Ewa Lenkiewicz, Avi Mograbi Direttori di produzione: Tamar Berger, Françoise Buraux Suono: Avi Mograbi, Dominique Vieillard Durata: 100’ Metri: 2750 10 Film N ella martoriata terra d’Israele, c’è un luogo speciale, sia per il suo fascino che ne ha fatto una delle più belle scoperte archeologiche, sia per il valore-simbolo della resistenza patriottica che rappresenta. Una guida turistica parla a un gruppo di ragazzi dall’alto della fortezza di Masada di ciò che avvenne in quel luogo. Lo sperone roccioso culminante in un ampio pianoro che si innalza di circa trecento metri sulla costa nord ovest del mar Morto, divenne, a partire dal 66 d.C., roccaforte di resistenza giudaica contro i romani. L’episodio più famoso avvenne a Masada quando i romani posero l’assedio alla roccaforte, circondandola con un muro di circonvallazione in cui si piazzarono diverse legioni ed eretta una rampa d’assedio. Nella notte precedente l’attacco, i ribelli di Masada, per non cadere nella schiavitù, dopo un appassionate discorso del comandante Eleazar, decisero il suicidio di massa: 960 persone si tolsero la vita quella notte. Oggi, un gruppo di ragazzi in visita alla fortezza riflette su ciò che quella gente deve aver sentito in quei momenti. A distanza di tempo, Masada è divenuta un simbolo del patriottismo giudaico. Dall’alto del pianoro, alcuni giovani vengono invitati a fare un gioco. I ragazzi devono dividersi in tre gruppi e scegliere se essere tra coloro che si sarebbero suicidati, tra chi avrebbe lottato e chi avrebbe pregato. E oggi cosa succede in quegli stessi luoghi? Accade che gli ebrei hanno eretto un muro per costringere il nemico popolo palestinese a un calvario estenuante, fatto di posti di blocco, barriere e recinzioni. Poi il regista ci narra di un altro mito ebraico, quello di Sansone che decise di morire con tutti i nemici Filistei, salvando il popolo ebraico. Tradito da Dalila, privato della sua forza che risiedeva nei suoi capelli, accecato e imprigionato, Sansone pregò Dio di restituirgli l’antico potere e “uno solo dei suoi due occhi” per castigare e avere vendetta sui Filistei. A scuola i bambini raffigurano con la plastilina la storia di Sansone. Il regista alterna le immagini dei palestinesi disperati, estenuati dalle attese ai continui check-point controllati dall’esercito israeliano, a una sua conversazione telefonica con un amico palestinese. Durante la lunga telefonata, Mograbi riflette sulle ragioni storiche e mitologiche che hanno portato alla drammatica realtà di oggi. Si torna sull’altura di Masada, dove una guida spiega ad alcuni turisti ebrei che quel luogo rappresenta un esempio da cui imparare. Il messaggio della storia è chiaro: è meglio morire piuttosto che subire umiliazioni. Tutti i film della stagione Intanto il regista se la prende con i soldati israeliani ai posti di blocco. Qualcuno di loro è infastidito dalla telecamera, gli intimano di spegnerla, è una postazione militare e c’è divieto di riprendere. Accerchiato dai soldati, Mograbi replica che riprendere un funzionario pubblico è legale. Il regista insulta i soldati e intima di aprire il cancello ai bambini palestinesi che tornano da scuola: sono gente del loro stesso paese. Mograbi urla disperato ai soldati: “Voi siete il mio esercito, dovete dirmi perché agite così!” L a storia recente non ci aiuta molto a capire la lunga scia di sangue che marchia come un timbro infame i territori israelo-palestinesi; proviamo allora col mito. Due per l’esattezza: Sansone e Masada. Il celebre eroe dalla forza leggendaria e l’ultima fortezza-baluardo della resistenza ebraica contro i romani sono i due simboli forti che il regista Avi Mograbi prende come spunto per riflettere sulla realtà di oggi. Sansone fu il primo kamikaze? E gli zeloti, eroi di Masada che decisero la morte di massa piuttosto che cadere nelle mani del nemico, non sembrano dei fanatici della jihad, pronti a tutto per la loro terra? Eroi o assassini fanatici? Il gioco di prendere due miti ebraici, sviscerarli e rovesciarli per confrontarli con il presente, con il dramma attuale che sta vivendo sulla propria pelle il popolo palestinese, ha senza dubbio una sua profonda forza di suggestione. E come gli ebrei molti secoli fa, oggi anche loro, i palestinesi, vogliono smettere di essere schiavi nella loro stessa terra, di essere prigionieri della violenza e dell’occupazione. Un muro alto come un palazzo divide Israele e Palestina. Visto dagli occhi israeliani, il muro garantisce sicurezza, da quelli palestinesi è una prigione. Eppure il muro ha lo stesso cupo aspetto da entrambi i lati. Il documentarista israeliano Avi Mograbi, una specie di Michael Moore più crepuscolare e ancora più arrabbiato (ma in questa parte di mondo, davvero non c’è spazio per lo humour), firma un toccante documentario che ha il merito di avere una originale struttura composta di diversi piani narrativi e semantici che vanno a incastrarsi alla perfezione con un crescente effetto drammatico. E riesce a farci emozionare, indignare, commuovere, mescolando il racconto degli antichi miti, la dura realtà di oggi, e le riflessioni telefoniche con un amico palestinese. Il regista (che è anche sceneggiatore, montatore e produttore del film) mostra, riflette, interroga lo spettatore si interroga e decide di tornare indietro riallacciandosi ai miti fondanti della civiltà d’Israele. Il documentarista raccoglie una mole di materiale osservando israeliani e palestinesi alle prese con il loro vivere quotidiano. E nota come drammaticamente il benessere di un popolo coincida con la sofferenza di un altro. Ma c’è di più, Mograbi alza la voce contro i suoi stessi soldati, finendo per insultarli e aggredirli verbalmente. Un filo rosso macchia di sangue la storia e ci restituisce oggi il dramma di due popoli e di due civiltà: un’immane tragedia mediatica che da troppi anni miete vittime innocenti e che il mondo sta ancora a guardare. Elena Bartoni LE TRE SCIMMIE (Üç maymun) Turchia/Francia/Italia, 2008 Regia: Nuri Bilge Ceylan Produzione: Zeynofilm/NBC Film/Pyramide Productions/Bim Distribuzione/Imaj Distribuzione: Bim Prima: (Roma 12-09-2008; Milano 12-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Ebru Ceylan, Ercan Kesal, Nuri Bilge Ceylan Direttore della fotografia: Gokhan Tiryaki Montaggio: Ayhan Ergursel, Bora Goksingol, Nuri Bilge Ceylan Scenografia e costumi: Ebru Ceylan Casting: Harika Uygur Supervisore effetti speciali: Burak Balkan Coordinatore effetti speciali: Tijen Pal Suono: Murat Senurkmez Interpreti: Yavuz Bingol (Eyüp), Hatice Aslan (Hacer), Ahmet Rifat Sungar (Ismail), Ercan Kesal (Servet), Cafer Kose (Bayram), Gürkan Aydin (il bambino) Durata: 109’ Metri: 2980 11 Film U na strada di notte. Un uomo viene investito da una macchina e abbandonato sull’asfalto bagnato. C’è una persona che corre. Qualcuno però ha visto la targa dell’automezzo abbandonato in mezzo alla strada: è di proprietà di Servet, un uomo politico ambizioso e senza scrupoli. Per evitare uno scandalo che stroncherebbe la sua brillante carriera alla vigilia delle elezioni, il diplomatico chiede al suo autista, Eyup, di autoaccusarsi dell’omicidio al suo posto. Eyup è un uomo semplice, che vive con la sua famiglia, in un modesto appartamento di Istanbul, una vita monotona e tranquilla. A stento infatti, riesce a tirare su uno stipendio, lui con il lavoro di autista, sua moglie Hacer con quello di cuoca, mentre il figlio adolescente Ismail, più volte respinto alle selezioni di accesso all’università, passa i giorni nel letto in totale apatia. La richiesta di Servet arriva come un fulmine a scuotere la vita di Eyup e della sua famiglia. Il patto prevede che lui rimanga poco tempo in carcere, mentre la moglie continua a ricevere lo stipendio, in attesa del momento del rilascio, quando, per tutti loro, ci sarà un’ingente ricompensa. Eyup accetta senza condividere la decisione con la moglie e trascorre nove mesi in carcere. Hacer periodicamente va a riscuotere da Servet lo stipendio per il marito, cercando anche una sistemazione per il figlio che vuole comprarsi una scuolabus. Grazie agli incontri con Servet, la donna sente esplodere di nuovo in lei una carica di sensualità sopita per anni e i suoi incontri con il politico diventano sempre più intimi e frequenti. L’unico ad accorgersi della relazione adultera è il figlio, che, nonostante il suo ostinato silenzio, cerca disperatamente un modo per reagire. Ogni settimana va in prigione a fare visita al padre e nulla esce dalla sua bocca. Finalmente Eyup esce da prigione e torna a casa. Intanto la relazione tra Servet e Hacer si è incrinata e l’uomo tenta di lasciarla. La donna è disperata e il marito inizia ad avere sospetti. Ormai il loro rapporto matrimoniale è compromesso e la donna prova Tutti i film della stagione persino a buttarsi dal balcone. Tutto sembra irrimediabilmente essere danneggiato, fino a quando suona alla porta la polizia che cerca indizi per la morte di Servet. Eyup e Hacer vengono entrambi interrogati. In realtà, sono innocenti, perché il responsabile dell’omicidio è il giovane Ismail. Ma a questo punto si penserà bene di far ricadere la responsabilità dell’omicidio su qualcun altro. L a verità genera mostri. Come dire “le conseguenze dell’incomunicabilità”. Premio alla regia al 61° Festival di Cannes, Le tre scimmie è il sesto lungometraggio di Nuri Bilge Ceylan, regista turco, che si ricorda per Uzak. Parabola della leggenda giapponese delle tre scimmie che si coprono gli occhi, le orecchie e la bocca per non vedere, sentire e parlare, il film di Ceylan tratteggia un apologo dell’umanità pieno di amarezza. Noto anche come “Antonioni del Bosforo” il regista turco cerca di tradurre in immagini il drammatico silenzio di una famiglia, che, pur di sopravvivere, nasconde i ricordi dolorosi e le colpe represse. Ad aleggiare su di loro la morte prema- tura e non chiara di un figlio, che sembrerebbe restituire in parte quella pace, a cui tutti i componenti della famiglia anelano. Il tutto all’insegna di un Neorealismo che si affida a una fotografia scura e dai toni seppiati, dove a fare da protagonisti sono gli sguardi e i lunghi silenzi. Ed ecco che tornano i tempi morti, le inquadrature fisse e la macchina da presa immobile. I sentimenti inespressi dei protagonisti, i loro drammi sono tutti nelle posizioni che assumono, in come il regista decide di inquadrarli e nel tempo che è a loro dedicato. Verrebbe da parlare di “cinema puro” e intimista. Nonostante i personaggi vengano seguiti in esterno, Ceylan con pochi tratti riesce a delinearne in parte le psicologie. Tutti sono corrotti e colpevoli; tutti sono individui infelici che si lasciano vivere, pur di non affrontare faccia a faccia la verità, in una sorta di torpore infinito, dove neanche gli ambienti appaiono amici. A fare da cornice, infatti, spazi architettonici freddi e distanti. La stessa posizione della modesta e malandata casa della famiglia, posizionata tra le acque del Bosforo e la ferrovia, ha un chiaro significato simbolico. Da una parte, l’anelito alla libertà, dall’altra la consapevolezza che tutto è immutabile, come il treno che passa ogni mattina. Sembra essere presente, in tutto il film, una vera e propria ossessione per l’acqua, che domina nei suoni e soprattutto nella forma visiva, a partire dal sudore dei personaggi, al mare, ai bicchieri, al fantasma del bambino nudo e bagnato che gira per la casa. Il dilemma, che porta alla spregevole omertà di cui parla il titolo, nasce proprio dalla difficoltà di amarsi, dall’impossibilità di esprimere ciò che si vuole, rimanendo chiusi nella propria separazione. E, come in un teorema, il regista impassibile segue le traiettorie della trasmissibilità delle colpe, per cui dal male non può che generarsi il male. Veronica Barteri BLACK HOUSE (Geomeun jip) Corea del Sud, 2007 Regia: Terra Shin Produzione: CJ Entertainment/Kadokawa Pictures Distribuzione: Ripley’s Film Prima: (Roma 25-7-2008; Milano 25-7-2008) Soggetto: dal romanzo di Yusuke Kishi Sceneggiatura: Kim Sung-ho, Lee Young-jong Direttore della fotografia: Choi Ju-young Montaggio: Nam Na-young Musiche: Choi Seung-hyun Produttore esecutivo: Kim Joo-Sung Effetti visivi: Jaehoon Jeong Interpreti: Hwang Jung-Young (Jeon Jun-oh), Kang Shin-il (Chung-bae), Kim Seohyeong (Mi-na), Yu Seon (Yi-hwa), Jung In-Gi, Yoo Seung-Mok Durata: 104’ Metri: 2747 12 Film C orea del Sud. Jeon Jun-oh si sveglia di soprassalto nel suo letto: l’incubo che lo perseguita è la scena del suicidio del fratellino, per il quale vive da sempre nel rimorso. È il mattino del primo giorno di lavoro come agente d’una compagnia d’assicurazioni. In ufficio, Jeon riceve una strana telefonata: una voce femminile chiede rassicurazioni sulla possibilità di riscuotere il premio d’una polizza sulla vita. Jeon pensa si tratti d’un’aspirante suicida e cerca di convincere la sua misteriosa interlocutrice a desistere, ma quella attacca. Pochi giorni dopo, Jun-oh viene mandato in missione fuori città, richiesto espressamente dal misterioso cliente. Una volta sul posto, il giovane si ritrova nel salottino d’una catapecchia fuori mano, proprio accanto alla ferrovia; il cliente è un taciturno ometto dallo sguardo spiritato. Pochi istanti dopo il suo arrivo, Jun-oh diventa testimone d’un’orribile morte: il suo ospite scopre il figlio impiccato nella sua cameretta. Fin da subito Jeon sospetta che si tratti d’un infanticidio a opera di Park Chung-bae, il cliente della sua compagnia, con lo scopo di riscuotere i soldi dell’assicurazione sulla vita del bambino. Jun-oh inizia le indagini sul passato di Chung-bae, scoprendo un’infanzia difficile e un precedente allarmante: all’ometto manca un dito, che si è mozzato apposta per frodare l’assicurazione. La polizia però certifica il suicidio del piccolo. Intanto la vita dello scrupoloso agente assicurativo viene gradualmente insidiata e sconvolta da anonimi atti intimidatori. Tutte le mattine, poi, Chungbae si presenta in ufficio dal giovane impiegato pretendendo il denaro dell’assicurazione. Alla fine, il principale di Jun-ho decide di metter fine alle insistenze dell’uomo concedendogli la cifra prevista dal contratto. Ma Jeon non si dà pace: esiste un’assicurazione anche sulla vita di Shin Yi-hwa, la moglie del presunto assassino. Così, prima Jeon Junho, fingendosi un poliziotto, scrive una lettera alla donna per metterla in guardia e convincerla a fuggire; poi, ossessionato dalla vicenda, decide di andare a trovarla di persona. La signora Yi-wa non sembra sentirsi in pericolo, ma chiede al ragazzo di uccidere il marito per lei. Rapidamente tutto precipita. Jun-ho trova, davanti alla porta, la testa mozzata del gattino di Mi-na, la sua fidanzata. A poche ore di distanza, la polizia scopre il cadavere di Sen Kiu, un amico di Mi-na che aveva voluto incontrare Jun-oh per parlargli dei suoi studi sugli psicopatici. Le ricerche del protagonista lo portano a scoprire che Chung-bae è il terzo marito di Shin e che gli altri due sono morti entrambi in circostanze sospette. Quando poi Chung-bae viene ricoverato d’urgenza con tutte e due le braccia mozzate, la dirigenza della compagnia decide di lasciare il caso nelle mani del più Tutti i film della stagione esperto dei suoi impiegati, un cinico faccendiere privo di scrupoli. Quando l’agente giunge alle prove della colpevolezza della donna, questa lo cattura e lo lascia investire dal treno in corsa. Poi Shin rapisce Mi-na e si nasconde in casa di Jun-oh con il proposito d’ucciderlo. Il ragazzo però evita l’agguato e corre alla lugubre abitazione dell’assassina, dove spera di trovare la fidanzata. Mi-na è effettivamente prigioniera nello scantinato della casa, trasformato dall’efferata psicopatica in una macelleria dove giacciono cadaveri fatti a pezzi. Shin Yi-hwa rientra proprio mentre i due fidanzati stanno cercando di fuggire. Arriva la polizia; intanto nasce un incendio che in pochi minuti divora la casa: i due giovani riescono a lasciare l’edificio, seguiti dall’inquietante sguardo di Shin, che invece si lascia consumare dal fuoco. Il peggio sembra dietro le spalle, Shin invece, incredibilmente scampata all’incendio, si sostituisce a Mi-na nel suo letto d’ospedale e di nuovo coglie di sorpresa Jun-oh e con lui ingaggia una lotta furibonda. I due arrivano fin sul tetto dell’edificio; il ragazzo e la donna si colpiscono con violenza fino a ridursi reciprocamente in fin di vita, ma, con l’ultimo impeto, è Jun-oh a scaraventare giù la donna, che, nonostante il tentativo del ragazzo di salvarla, precipita verso la morte. Cinque mesi più tardi, Jun-oh scorge, tra i dipinti d’una mostra, un disegno identico a quello scoperto nel diario d’infanzia di Shin Yi-hwa durante le ricerche sul suo passato: l’autrice è una bambina che prima di perdersi tra la folla lancia al ragazzo un enigmatico sguardo. E nnesimo thriller estivo, l’esordio del sudcoreano Terra Shin è il remake d’una pellicola giappone- se del 1999 (The Black House, di Yoshimitsu Morita), a sua volta ispirata – come questa – al romanzo dell’autore nipponico Yûsuke Kishi. Nonostante la fedeltà nell’adesione ai canoni del genere, il film si caratterizza per la vena soggettivistico-psicologistica (ma mai intimistica) che motiva l’inusuale bilanciamento degli elementi narrativi: il baricentro della narrazione è infatti poggiato sul protagonista. Le orrorifiche avventure, nelle quali si trova coinvolto, sono sempre messe in risonanza con la sua storia, le sue esperienze, le vicende che hanno segnato la sua dimensione emotivo-affettiva; “Era solo una persona come noi che cercava aiuto. Ma io non ci sono riuscito”, dice Jun-oh appena scampato al coltellaccio della folle Shin; la stessa inconsueta attenzione all’avversaria che il giovane dimostra nel tentativo estremo di non lasciarla precipitare nel vuoto. Non ci sono solo la paura, gli effetti scioccanti; la morte: si può anzi dire che l’esordiente Shin tenti di costruire una narrazione, in cui è il piano psicologico a prevalere e motivare quello dell’azione; nella quale poi la coscienza individuale e la psiche diventano origine, ma anche teatro dell’orrore. L’inesperienza del regista gli impedisce di portare fino in fondo il suo progetto con coerente compattezza: quando si tratta di avviarsi alla conclusione prendendo saldamente in mano le redini del racconto, il film mostra i primi grossi cedimenti, fino all’improbabile serie di finali a sorpresa, scritti e diretti frettolosamente, che si inanellano affastellandosi goffamente nella rincorsa ai titoli di coda. Silvio Grasselli PRANZO DI FERRAGOSTO Italia, 2008 Regia: Gianni Di Gregorio Produzione: Matteo Garrone per Archimede Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 5-9-2008; Milano 5-9-2008) Soggetto: Gianni Di Gregorio, Simone Riccardini Sceneggiatura: Gianni Di Gregorio Direttore della fotografia: Gian Enrico Bianchi Montaggio: Marco Spoletini Musiche: Ratchev & Carratello Scenografia: Susanna Cascella Costumi: Silvia Polidori Suono: Filippo Porcari Interpreti: Valeria De Franciscis (madre di Gianni), Gianni di Gregorio (Gianni), Marina Cacciotti (madre di Luigi), Maria Calì (zia Maria), Grazia Cesarini Sforza (Grazia), Alfonso Santagata (Luigi), Luigi Marchetti (Vichingo), Marcello Ottolenghi (amico dottore), Petre Rosu (barbone). Durata: 75’ Metri: 2121 13 Film R oma. Gianni, un uomo di mezza età, vive in una vecchia casa del centro tra Trastevere e il Gianicolo con l’anziana madre, una nobildonna decaduta che è asfissiante nei suoi confronti. Gli unici suoi momenti di libertà li ha quando va a fare la spesa e quando riesce a scambiare quattro chiacchere con l’amico Vichingo. L’uomo ha poi parecchi debiti. Tra questi ci sono quelli che ha accumulato, nel corso degli anni, con il condominio. Alla vigilia di Ferragosto, l’amministratore gli propone uno ‘scambio alla pari”; lui gli cancella il debito, ma, per sdebitarsi, Gianni si deve occupare dell’anziana madre per due giorni. Quando l’amministratore giunge a casa sua, però, non si presenta soltanto con la madre, ma anche con la zia Maria. Gianni è travolto dagli eventi, anche perché la convivenza tra la madre e le due ospiti si rivela sin dall’inizio più problematica del previsto. Lui si adopera per farle contente ma insorgono problemi di ogni tipo. La madre dell’amministratore, per esempio, se la prende perché Gianni non le ha lasciato il televisore in camera; la padrona di casa infatti lo ha voluto nella sua stanza. Stanco e stressato, accusa anche un malore. Chiama così l’amico medico che lo tranquillizza. Anche lui, però, gli chiede di potersi occupare della madre, perché ha il turno in ospedale e non c’è nessuno che possa prendersi cura di lei. Gianni trascorre così 24 ore d’inferno. La zia Maria prepara un piatto che la madre del medico non può mangiare. Poi, la signora trasgredisce le regole che gli ha imposto il figlio. La madre dell’amministratore esce di notte e Gianni la ritrova in un locale. La mamma dell’uomo, invece, inizialmente se ne sta per conto suo, diffi- Tutti i film della stagione dente e infastidita dalla nuova compagnia. Poi ci ripensa e decide di essere un’affabile padrona di casa. Per il Pranzo di Ferragosto le signore vogliono un menu a base di pesce. A Roma è tutto chiuso. Gianni si fa così accompagnare dal Vichingo alla ricerca del cibo, giungendo nei pressi del Tevere. Alla fine del pranzo, arriva il momento del congedo. Le signore, però, non se ne vogliono andare. Gianni, all’inizio, è totalmente contrario. Poi, però, le ospiti gli offrono un buon compenso tale da fargli cambiare idea. T utto è nato da un’esperienza autobiografica. Il regista Gianni Di Gregorio ha infatti raccontato che lui, figlio unico di madre vedova, si è dovuto misurare per molti anni con la sua forte personalità. Nell’estate del 2000, l’amministratore del condominio, sapendo che era moroso, gli ha proposto di tenere sua madre per le vacanze di Ferragosto. In un sussulto di dignità, lui ha rifiutato, ma, molte volte, si è chiesto cosa sarebbe accaduto se avesse accettato. Da questo spunto personale, prende forma Pranzo di Ferragosto, che porta dentro il film anche parte del mondo di De Gregorio; le figure del dottore e del Vichingo sono realmente dei suoi amici d’infanzia mentre la parte dell’amministratore del condominio è affidata all’attore di teatro Antonio Santagata. L’esordio di Di Gregorio – anche se la direzione artistica è di Massimo Gaudioso – già aiuto-regista e sceneggiatore per Matteo Garrone (è stato tra gli altri tra i sei autori dello script che hanno adattato il romanzo di Saviano in Gomorra) - si pone subito nelle zone di un cinema di estrema semplicità e minimale: uno sguardo diverti- to e una riflessione amara sulla vecchiaia, un’autoironica deformazione di un uomo di mezza età vittima di una madre opprimente, l’amico trasteverino Vichingo che sembra uscito da un film del primo Verdone. Gli ingredienti sembrano essere, quindi, quelli giusti anche per un film che mette in mostra la propria energia attraverso situazioni, dialoghi, ripicche (la televisione in camera), contrasti (la zia Maria che può mangiare la pasta, mentre alla madre del dottore è vietata). Tutto al posto giusto, si diceva, tutto pronto per piacere, come un cibo precotto da scongelare e riscaldare. Non è un caso che al festival di Venezia, dove il film ha rappresentato l’Italia alla 23° Settimana della Critica, il pubblico abbia gradito, riservandogli un’autentica ovazione. In sala le cose stanno andando ancora meglio, visto che sono state ristampate delle copie. Eppure, dietro la sua innegabile leggerezza, Pranzo di Ferragosto è un film vecchio proprio a livello concettuale e di realizzazione. Nello spazio interno sembra di assistere anche a divertenti, ma comunque logori, sketch da avanspettacolo. Lo sguardo di Di Gregorio si posa sulle sue attrici e le fa agire, senza portare però a quel punto di improvvisa esplosione come riusciva a fare, per esempio, Camillo Mastrocinque con Totò, quando gli puntava la macchina da presa fissa anche per lungo tempo, aspettando qualcosa che, comunque, prima o poi accadeva. Qui, per creare una democratizzazione dei ruoli, il cineasta sceglie di mantenere un’equilibrio facendo emergere progressivamente i caratteri delle sue protagoniste. Inoltre, sono anche gli orizzonti di Pranzo di Ferragosto a essere limitati. La chiusura spaziale – tutto la vita dentro un quartiere – gli impedisce quasi di andare oltre. Roma prende forma solo nella scena, in cui Gianni, assieme all’amico Vichingo, vanno in giro per cercare il pesce. Le traiettorie appaiono inserirsi sulla falsariga di quelle di Moretti del primo episodio di Caro diario. Però, si ha l’impressione che questo scorcio sia visto in maniera disinteressata e spaesata e non si attua quel felice nomadismo che invece aveva caratterizzato il film del regista di Il Caimano. È come se Di Gregorio avesse avuto fretta di tornare a casa. Lì, dove la storia e la struttura del film erano più delimitate, quindi più sicure. E del rischio di provare a volersi perdere non c’è neanche la minima traccia. Se questo è il cinema italiano che piace e diverte, così dichiaratamente limitato nelle sue ambizioni, c’è poco da stare allegri. Simone Emiliani 14 Film Tutti i film della stagione I PADRONI DELLA NOTTE (We Own the Night) Stati Uniti, 2007 Regia: James Gray Produzione: Joaquin Phoenix, Mark Wahlberg, Marc Butan, Nick Wechsler per 2929 Productions/Industry Entertainment Distribuzione: Bim Prima: (Roma 13-3-2008; Milano 13-3-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: James Gray Direttore della fotografia: Joaquín Baca-Asay Montaggio: John Axelrad Musiche: Wojciech Kilar Scenografia: Ford Wheeler Costumi: Michael Clancy Produttori esecutivi: Mark Cuban, Anthony Katagas, Todd Wagner Co-produttori: Couper Samuelson, Mike Upton Direttore di produzione: Anthony Katagas Casting: Douglas Aibel Aiuti regista: Doug Torres, Brian Kenyon, Patrick Mangan, Patrick McDonald, Les McDonough, Francisco Ortiz Operatore: Rachael Levine Operatore steadicam: Stephen Consentino Art director: James C. Feng Arredatore: Catherine Davis Trucco: Kelly Gleason, Mary Cooke, Heidi Kulow, Vincent Schicchi Coordinatore effetti speciali: Drew Jiritano N ew York, 1988. Bobby Green e Joseph Grusinsky sono fratelli, figli dello stesso padre e della stessa madre. Ma, mentre Joseph ha seguito le orme del padre e del nonno, diventando un rispettato ufficiale di polizia e onorando così il cognome che porta, Bobby s’è scelto il ruolo di pecora nera, conducendo vita dissoluta e rincorrendo facili guadagni: preso il nome della madre, per evitare di far conoscere le proprie origini, dirige uno dei più lussuosi night della città per conto d’un ricco pellicciaio russo, la famiglia del quale l’ha accolto come un figlio. Ma sono i cupi anni Ottanta della lotta al narcotraffico: Bobby sta puntando uno dei boss del giro, un russo, che è nipote proprio del padrone del locale gestito da Joseph. Bobby tenta così di convincere il fratello a collaborare con lui nel raccogliere informazioni utili sul losco figuro e sui suoi spostamenti. Dopo il secco rifiuto di Joseph, Bobby decide d’agire e organizza una retata nel night, senza avvertire il fratello. L’azione è un passo falso e tra gli arrestati finisce anche Joseph, scoperto in possesso d’una piccola scorta di cocaina. La rottura sembra irreversibile. Ma qualche sera più tardi, mentre Bobby parcheggia davanti casa, una macchina accosta e un uomo incappucciato gli spara Supervisori effetti visivi: Mark Dornfeld (Custom Film Effects), Bradley Parker (Digital Domain), Kelly Port, Mike Uguccioni Coordinatore effetti visivi: Paulina Kuszta, Jarom Sidwell Supervisori costumi: Marcia Patten, Laura Steinman Supervisore musiche: Dana Sano Interpreti: Joaquin Phoenix (Robert ‘Bobby’ Green), Eva Mendes (Amanda Juarez), Mark Wahlberg (Joseph ‘Joe’ Grusinsky), Robert Duvall (Albert ‘Bert’ Grusinsky), Alex Veadov (Vadim Nezhinski), Dominic Colon (Freddie), Danny Hoch (Jumbo Falsetti), Oleg Taktarov (Pavel Lubyarsky), Moni Mshonov (Marat Buzhayev), Antoni Corone (Michael Solo), Craig Walker (Russell De Keifer), Tony Musante (capitano Jack Shapiro), Joe D’Onofrio (proprietario), Yelena Solovey (Kalina Buzhayev), Maggie Kiley (Sandra Grusinsky), Paul Herman (capitano Spiro Giavannis), Claudia Lopez (Claudia), Katie Condidorio (Hazel), Edward Shkolnikov (Eli Mirichenko), Katya Savina (figlia di Eli e Masha), Matthew Djentchouraev (figlio di Eli e Masha), Scott Nicholson (Nat il poliziotto), Robert C. Kirk (sergente Provenzano), Al Linea, Teddy Coluca, Joseph Coffey (poliziotti), Jose Edwin Soto (uomo latino), Edward I. Koch (sindaco), Fred Burrell (Commissario Ruddy), Michael Massimino, Edward Conlon (guardie ospedale) Durata: 117’ Metri: 3200 in pieno volto. Bobby si salva e l’accaduto scuote profondamente Joseph che chiede al padre d’essere coinvolto nelle indagini. Dopo molto discutere e qualche timore, i colleghi di Bobby decidono di accettare l’offerta di Joseph, il quale, nel frattempo, riceve dal russo la proposta di diventare suo socio: come garanzia di successo lo spacciatore gli confida il progetto di sterminare i poliziotti che hanno tentato d’ostacolarlo. In pochi giorni la squadra di Bobby organizza un’imboscata: l’occasione sarà l’incontro con il trafficante nel suo covo, dove i russi ricevono e raffinano la droga. Joseph arriva teso all’appuntamento, tanto che appena dentro la raffineria si fa scoprire, ma, quando pensa d’essere perso, i poliziotti fanno irruzione. Joseph resta ferito, ma il russo viene arrestato. Così, mentre Bobby riprende ormai le forze, per Joseph e la sua ragazza inizia l’inferno della vita sotto copertura. Da una camera d’albergo all’altra, i due aspettano, tra mille tensioni, di poter testimoniare al processo contro il russo. Poche ore prima dell’udienza, il trafficante riesce a fuggire e a tendere un’imboscata alla colonna che scorta Joseph e la fidanzata. Dopo una sparatoria furibonda, i due riescono miracolosamente a salvarsi, ma gli uomini della scorta cadono nello scontro: 15 Joseph si vede spirare tra le braccia il padre colpito a morte. È il momento della vendetta. Joseph presenta domanda per entrare in polizia e, senza perder tempo, si mette sulle tracce degli assassini del padre. In breve, scopre il tradimento del migliore amico e quello, inconsapevole, del suo padre putativo, il pellicciaio russo, capo dell’organizzazione che importa e distribuisce la droga. Ottenuta la soffiata decisiva, Joseph organizza un esercito di poliziotti intorno al capannone dove i russi chiuderanno una grossa trattativa. Mentre gli altri sono impegnati negli ultimi arresti, Joseph isola il nipote del pellicciaio in un canneto e lo uccide a sangue freddo. Il giorno degli onori Bobby annuncia al fratello d’aver già presentato domanda di trasferimento per essere assegnato a un incarico da burocrate. Durante la consegna del distintivo e della medaglia Joseph cerca tra i volti della platea quello di Amanda – che l’ha lasciato subito dopo l’ultimo agguato –, ma, dopo un’allucinazione che lo fa trasalire, il suo sguardo si perde nella folla degli sconosciuti. T erzo lungometraggio dell’ex enfant prodige James Gray – oggi trentottenne, chiuse il suo primo Film Little Odessa ad appena ventiquattro anni –, il film arriva nelle sale italiane dopo aver ricevuto fischi e applausi (più i primi dei secondi) al Festival di Cannes nella primavera del 2007. La filmografia di Gray – tre film in tredici anni – dice d’un cineasta discreto e rigoroso, neoclassico al punto da costruire un film poliziesco più moderno dei moderni, intessuto di temi biblici e shakesperiani, ma capace d’innovare rimanendo sempre fedele all’ortodossia della migliore classicità hollywoodiana. Tornano qui alcuni dei temi comuni anche agli altri film di Gray. Prima di tutti la famiglia, radice, fondamento identitario, ma anche catena e vincolo invincibile: la parabola compiuta dal protagonista non è che Tutti i film della stagione dinamica esemplare di questa “maledizione di nascita”, che diventa poi inevitabilmente anche condizionamento sociale. L’essere poliziotti non è solo la vocazione di famiglia, un fatto di sangue; è, allo stesso tempo, una definizione, è l’insormontabile incastro sociale al quale si finisce per ubbidire, senza alternative possibili, ottenendo il conforto dell’integrazione in un clan, in un gruppo, in un sistema di legami di solidarietà; in definitiva, dell’idenitificazione, ma pagando anche un pesante tributo (l’amore della ragazza portoricana, la vita spregiudicata ma felice da irresponsabile contestatore della legge).Come per l’evangelico personaggio del figliol prodigo, il ritorno dal padre significa per il pro- tagonista l’accettazione dell’accesso alla vita adulta. Gray torna a dirigere la coppia Mark Wahlberg Joaquin Phoenix dopo il precedente The Yards (2001, da noi uscito direttamente per l’home video), stavolta però i due sono sormontati dal carisma di Robert Duvall, vero cardine del film. La regia è sicura e precisa, fotografia e montaggio danno corpo a un film che senza incertezze si cimenta con una vicenda classica (dunque anche a forte rischio di banalità) e riesce nel rinnovare il genere poliziesco con spunti e aspirazione da epopea tragica. Silvio Grasselli PIACERE DAVE (Meet Dave) Stati Uniti, 2008 Regia: Brian Robbins Produzione: Jon Berg, David T. Friendly, Todd Komarnicki per Deep River Productions/Friendly Films (II)/Guy Walks into a Bar Productions/Regency Enterprises/Road Rebel/Twentieth Century-Fox Film Corporation Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 22-8-2008; Milano 22-8-2008) Soggetto e sceneggiatura: Rob Greenberg, Bill Corbett Direttore della fotografia: J. Clark Mathis Montaggio: Ned Bastille Musiche: John Debney Scenografia: Clay A.Griffith Costumi: Ruth E. Carter Produttore esecutivo: Thomas M. Hammel Produttore associato: Lars P. Winther Direttore di produzione: Ray Quinlan Casting: Juel Bestrop, Seth Yanklewitz Aiuti regista: Lars P. Winther, Douglas Plasse, Julian Brain, Joseph Aspromonti, Murphy Occhino Operatore/Operatore steadicam: John S. Moyer Art director: Beat Frutiger Arredatore: Robert Greenfield Trucco: Debra Coleman, Melanine Hughes, Marianna Elias, Ned Neidhardt, Robert Ryan Acconciature: Leonard Drake, Lisa Hazell, Lorna Reid Coordinatore effetti speciali: Jeff Brink Supervisori effetti visivi: Bryan Hirota (CIS Hollywood), A New York, il piccolo Josh vede entrare dalla finestra della sua cameretta una strana sfera di metallo delle dimensioni di una palla da baseball; incuriosito, l’indomani la porta a scuola durante la lezione di scienze. Qualche tempo dopo, sbarca sulla terra una strana astronave a forma di essere umano: l’astronave ha le sembianze di Dave, quarantenne di colore dalla risata contagiosa e dal vestito bianco alla ma- Ian Hunter (New Deal Studios Inc.), Erik Liles, Mark Stetson, Colin Strause, Greg Strause Coordinatori effetti visivi: E.M. Bowen (New Deal Studios), Clark Parkhurst, John Polyson (Hydraulx), William H.D. Marlett, Katie Spinelli, Nick Crew, Supervisore effetti digitali: Patrick Kavanaugh (CIS Hollywood) Coordinatore effetti digitali: William H. D. Martlett Suono: Smokey Cloud Supervisore costumi: Lisa Lovaas Interpreti: Eddie Murphy (Dave Ming Cheng/il capitano), Elizabeh Banks (Gina Morrison), Gabrielle Union (N.3-Ufficiale della cultura), Scott Caan (Ufficiale Dooley), Ed Helms (N.2-Comandante in Seconda), Kevin Hart (N. 17), Mike O’Malley (Ufficiale Knox), Pat Kibane (N. 4-Ufficiale della sicurezza), Judah Friedlander (ingegnere), Marc Blucas (Mark Rhodes), Jim Turner (dottore), Austin Lynd Myers (Josh Morrison), Adam Tomei (N. 35), Brian Huskey (Tenente Braccio Destro), Shawn Christian (Tenente Braccio Sinistro), Brad Wilson (Tenente Gamba Destra), Smith Cho (Tenente Gamba Sinistra), David ‘Goldy’ Goldsmith (Tenente Rotula), Paul Scheer (tenente Rotula), Jane Bradbury (N. 81), John Gatins (controllore traffico aereo), Chang Yung.I (genio Apple), James M. Condor (Preside), Charles Guardino (sergente Vargas), Stephanie Venditto (tecnico MRI), Richie Allan (senzatetto), Phaedra Nielson (cameriera), Brandon Molale (guardia sicurezza), Mel Cowan (detective), Rashida Roy (N. 37), The Naked Cowboy (se stesso) Durata: 90’ Metri: 2640 niera di Tony Manero; è governata, al suo interno, da un equipaggio di cento alieni in miniatura guidato dal Capitano, versione in piccolo di Dave. Il loro pianeta, Gnende, soffre a causa di una crisi energetica e la loro missione è risucchiare tutto il sale dell’oceano sulla Terra, grazie alla palla di metallo, per garantirgli l’energia di cui a bisogno. Camminando per le vie della città, l’astronave Dave viene investita dall’automobile di Gina, madre di 16 Josh e vedova di guerra. Dave vede in fotografia la palla di metallo che sta cercando disperatamente; la palla è stata rubata a scuola da un bullo, compagno di classe di Josh, ma Dave riesce a recuperarla. L’astronave Dave passa sempre più tempo con Gina e Josh e scopre qualità negli umani; che scopre in essi sentimenti e amore, e decide di rinunciare all’impresa del sale per non distruggere la Terra. Intanto, all’interno dell’astronave, il Numero 2 è con- Film Tutti i film della stagione trario alla decisione e espelle sia il Capitano sia Numero 3, fedelissima assistente innamorata del capitano (che, per gelosia nei confronti di Gina, aveva in un primo momento appoggiato l’ammutinamento di Numero 2). Anche Numero 17 esce dall’astronave (sotto l’effetto del terzo mojito ingurgitato da Dave…) e finisce nel cappuccino del poliziotto Dooley, che inizia a interrogarlo per scoprire la verità sugli strani avvenimenti di quei giorni. La polizia trova Dave e cerca di arrestarlo, ma l’astronave riesce a fuggire (grazie anche all’aiuto di Josh, che ricarica le “batterie”, grazie a un taser che ha rubato al commissariato). Recuperata la palla di metallo che Numero 2 aveva provato a gettare nell’Oceano e ricomposto tutto l’equipaggio, l’astronave fa ritorno al pianeta Gnende. E ddie Murphy è uno dei grandi comici del cinema mondiale e, a quasi trent’anni dal suo debutto, è ancora uno dei migliori in circolazione (la nomination agli Oscar per Dreamgirls ne dimostra appieno la bravura e la versatilità). Eppure Murphy continua a sprecare il proprio talento in pellicole sempre più insignificanti, in qualche misura nobilitate solo dalla sua presenza. Ciò premesso, Piacere Dave è migliore di quel che sembra, nonostante la pessima ricezione avuta in patria. Il film è una commedia semplice, senza pretese, ‘per famiglie’, con alcune battute fulminanti, che funziona grazie e soprattutto al suo protagonista. Murphy riesce infatti a dosare sapientemente la propria naturale esuberanza, riuscendo comunque a divertire, mentre la recitazione degli altri attori è troppo spesso sopra le righe, ten- dente al grottesco fuori luogo. Nel film, Murphy interpreta un doppio ruolo, senza però, stavolta, doversi affidare alle magie del makeup e degli effetti speciali. In Piacere Dave, il comico del Saturday Night Live si destreggia abilmente tra il rigido Dave MingChang, l’astronave con sembianze umane in giro per New York tra macchine che lo investono, gatti che lo assalgono, hot dog che lo intossicano e mojito che lo ubriacano, e l’esagitato Capitano Numero 1 al comando dell’austero equipaggio proveniente dal pianeta Gnende che, a contatto con la vita terrestre e newyorkese, scoprirà quanto sia bello lasciarsi andare e godersi la vita, senza dimenticare i buoni sentimenti. La regia del film è affidata a Brian Robbins, regista di Norbit, altro flop (meritatissimo, stavolta) di Murphy, ma pare ora che la collaborazione abbia prodotto buoni frutti. La morale di fondo è quella classica e banale di molte commedie made in USA: rilassatevi, imparate ad aiutarvi gli uni con gli altri e la vita vi sorriderà. Tutto il film pesa sulle spalle di Eddie Murphy e purtroppo, alla lunga, perde di ritmo e vivacità. Resta comunque una pellicola piacevolmente estiva che piacerà soprattutto ai giovanissimi. Menzione d’onore spetta al doppiatore storico di Eddie Murphy, Tonino Accolla. Scott Caan, che interpreta il poliziotto Dooley, è il figlio di James Caan. Chiara Cecchini OMBRE DAL PASSATO (Shutter) Stati Uniti, 2008 Regia: Masayuki Ochiai Produzione: Doug Davison, Takashige Ichise, Roy Lee per Ozla Pictures/Regency Enterprises/Vertigo Entertainment Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 8-8-2008; Milano 8-8-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Luke Dawson Direttore della fotografia: Katsumi Yanagishima Montaggio: Timothy Alverson, Michael N. Knue Musiche: Nathan Barr Scenografia: Norifumi Ataka Produttori esecutivi: Gloria Fan, Sonny Mallhi Produttore associato: Richard Guay Casting: Caitlin McKenna-Wilkinson Aiuti regista: Ed Licht, Amy Wilkins Trucco: Rick Findlater Acconciature: Georgia Lockhart-Adams, Rick Findlater Supervisori musiche: Dave Jordan, Jojo Villanueva Interpreti: Joshua Jackson (Benjamin Shaw), Rachael Taylor (Jane Shaw), Megumi Okina (Megumi Tanaka), David Denman (Bruno), John Hensley (Adam), Maya Hazen (Seiko), James Kyson Lee (Ritsuo), Yoshiko Miyazaki (Akiko), Kei Yamamoto (Murase), Daisy Betts (Natasha), Adrienne Pickering (Megan), Pascal Morineau (fotografo al matrimonio), Masaki Ota, Heideru Tatsuo (agenti di polizia), Eri Otoguro (Yoko), Rina Marsupi (receptionist TGK), Tomotaka Kanzaki, Jun Yakushiji (clienti), Emi Tamura (Emi), Polina Kononova, Yulia Ryzhova (modelle studio), Maria Takagi (cameriera al ristorante giapponese), Akihido Ando (direttore ristorante), Alessandra, Latrina B., Tanya Allen (modelle), Takao Toji (dottore Tokyo), Shizuka Fujimoto (infermiera), Akihiro Shimomura (padre di Megumi) Durata: 85’ Metri: 2300 17 Film B en e Jane sono due novelli sposi in viaggio di nozze in Giappone. Una sera, mentre sono in auto diretti a un cottage di montagna, Jane al volante è terrorizzata dall’improvvisa apparizione di una giovane donna in mezzo alla strada. Jane è convinta di aver investito la ragazza. Trascorso qualche giorno, la coppia prosegue per Tokyo, dove Ben, fotografo di moda, è atteso per un importante servizio. La produzione fornisce alla coppia un bellissimo loft nel centro della capitale giapponese. Sviluppate le foto della luna di miele, Jane si accorge che su tutte le immagini aleggia una strana ombra bianca. La ragazza mostra le foto a Seiko, la segretaria di Ben, che le dice si tratta di foto spiritiche. Intanto anche Ben, mentre è sul set, ha visioni della ragazza. Seiko presenta il suo ex ragazzo a Jane: il giovane le mostra alcune vere foto spiritiche. La fotografia spiritica esiste fin dall’Ottocento: si tratta di immagini che ci collegano al mondo dell’invisibile e probabilmente quelle apparizioni spettrali sulle foto rappresentano la necessità di comunicarci qualcosa. Tornata a casa, la ragazza trova Ben arrabbiato perché la pellicola delle foto di lavoro è rovinata. Jane osserva le foto e nota le stesse ombre bianche che aveva notato nelle foto scattate al cottage. Jane dice che la ragazza in quelle foto è la stessa che gli si era parata davanti all’auto di notte: è convinta che quella ragazza li abbia seguiti a Tokyo. Ben non crede all’idea di un fantasma. Il giorno dopo, Jane parla a Ben delle foto spiritiche. La coppia si reca da un famoso medium che gli spiega come la passione influenzi gli spiriti: troppo desiderio, troppo amore, troppo odio, e lo spirito rimane bloccato nel corpo, intrappolato nella morte. Jane racconta all’uomo della ragazza investita, ma Ben la porta via dicendo che quel medium è un imbroglione. Jane trova una foto di Ben dove è fotografata la stessa ragazza dell’incidente: si tratta di Megumi, una giovane che aveva lavorato per qualche tempo per la stessa agenzia di Ben. Ben racconta la verità alla moglie: Megumi era un’interprete con cui lui ebbe una breve relazione. Ben non era innamorato e lei diventava sempre più ossessiva con lui. Poi gli amici Bruno e Tutti i film della stagione Adam le dissero che era finita. Ben confessa di non averla vista più dopo la fine della relazione. Intanto Adam, rappresentante di modelle, fa un provino fotografico, ma, improvvisamente gli appare Megumi che lo uccide. Ben va a cercare l’altro amico Bruno a casa, ma non riesce a salvarlo dal suicidio. Ben è convinto che Megumi abbia ucciso i suoi due amici. Jane e Ben vanno alla ricerca di Megumi e la trovano cadavere in stato di decomposizione nella sua casa vicino Tokyo. La ragazza viene cremata l’indomani. Sembra tutto finito, ma le apparizioni di Megumi continuano a perseguitare la coppia che fa ritorno a New York. Nel bagaglio proveniente dal Giappone, Jane trova una macchina fotografica che Megumi aveva regalato a Ben. Ci sono delle foto di Megumi con Ben, Bruno e Adam. Jane intima a Ben di dirgli cosa avevano fatto a quella ragazza. Ben racconta di un serata in cui lui e i suoi amici avevano approfittato di Megumi dopo averla drogata ma confessa che non volevano farle del male, volevano solo ritrarla in foto compromettenti per minacciarla di mostrarle ai colleghi e alla madre. Jane capisce le apparizioni di Megumi erano degli avvertimenti: la ragazza voleva metterla in guardia da suo marito. Jane, distrutta, va via. Rimasto solo, Ben si rende conto di aver avuto sempre la presenza di Megumi sopra di lui. Da alcune foto capisce che il fantasma di Megumi è da molto tempo attaccato al suo collo. Ben è in ospedale, ha profonde bruciature sul collo dovute alle scosse elettriche che si è provocato ma Megumi è ancora lì, sopra di lui. U n’energia emotiva che scaturisce dalle foto, persone defunte che restano influenzate dalle passioni terrene, spiriti che restano bloccati nel corpo, intrappolati nella morte. Gli spiriti sono quindi legati alla carne anche nella morte? Ipotesi affascinante senza dubbio quella che considera il fantasma e la sua esistenza umbratile l’emblema della paura per eccellenza, quella che ci portiamo spesso dietro dall’infanzia e che terrorizza proprio perché rappresenta qualcosa di sospeso fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti; per il suo essere “porta” di collegamento con il mondo del- 18 l’aldilà, per il suo essere presenza impalpabile e misteriosa, il fantasma rappresenta la minaccia di trasformare in incubo la realtà. Ma in questo film c’è qualcosa che sa di troppo prevedibile fin all’inizio, quando il fantasma della giapponesina morta perseguita la bionda sposina americana (l’australiana Rachel Taylor una bella via di mezzo tra Scarlett Johansson e Naomi Watts già vista nel fantascientifico Transformers) di un affascinante fotografo di moda (Joshua Jackson lanciato dal serial per teenager Dawson’s Creek e protagonista della commedia “in salsa toscana” Vengo a prenderti accanto a Harvey Keitel). In mezzo a tanta banalità, si fanno notare le scene in cui la giovane americana se ne va in giro per la metropoli nipponica: i suoi occhi ricordano davvero quelli della Johansson nella commedia Lost in Translation e la città ha degli angoli davvero affascinanti. Diretto dal giapponese Masayuki Ochiai, un maestro nel genere “oriental horror” (ha diretto nel 2004 il sorprendente Infection) che decide di debuttare in America (la sceneggiatura è stata rielaborata dall’esordiente Luke Dawson) con un film ambientato nella sua patria; il film è il remake a stelle e strisce dell’omonimo cult thailandese del 2004 di Banjong Pisanthanakun e Parkpoom Wongpoom. Certo, il tema del fantasma femminile che torna per vendicare torti subiti perseguitando i vivi è troppo abusato e inizia a segnare il passo. Davvero siamo un po’ stufi di vedere spettri di ragazze con gli occhi a mandorla terrorizzare con le loro apparizioni. E poi all’inizio del nuovo millennio la stagione d’oro dell’horror asiatico era nel pieno (The Ring, The Grudge, The Eye tutti con relativi sequel), ma ora la vena innovativa del filone sembra davvero esaurita. E continuare a girare remake ‘made in USA’ ha davvero poco senso. Certo, la ghost story sarà anche priva di mordente e l’unica cosa di cui abbonda sono gli effetti sonori messi lì a bella posta per far saltare lo spettatore sulla poltrona, ma un consiglio che non fa mai male è d’obbligo: guardatevi sempre le spalle! Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione IO VI TROVERÒ (Taken) Francia, 2008 Regia: Pierre Morel Produzione: Luc Besson, Pierre-Ange Le Pogam, India Osborne per Europa Corp./M6 Films/Grive Productions Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 14-8-2008; Milano 14-8-2008) Soggetto e sceneggiatura: Luc Besson, Robert Mark Kamen Direttore della fotografia: Michel Abramowicz Montaggio: Frederic Thoraval Musiche: Nathaniel Méchaly Scenografia: Hugues Tissandier Costumi: Pamela Lee Incardona Produttore esecutivo: Didier Hoarau Direttori di produzione: Gregory Barrau, David Deshayes Casting: Ferne Cassel, Nathalie Cheron Aiuti regista: Craig Borden, Jèrôme Raffaelli, Heather I. Denton, Mathilde Cavillan, Deborah Chung, Guillaume Morand Suono: Martin Boissau Supervisore effetti speciali: Georges Demétrau B ryan Mills è un ex agente segreto americano, andato in pensione per poter stare vicino alla figlia adolescente Kim, da quando la sua ex moglie si è risposata con un importante magnate. Con riluttanza, Bryan firma il permesso per l’espatrio di Kim, che andrà in vacanza con l’amica Amanda a Parigi; in cambio dovrà chiamarlo tutte le sere con il cellulare intercontinentale. Arrivate a Parigi le due ragazze vengono avvicinate da Peter, un francese che divide con loro il taxi vedendo così dove le due alloggeranno: l’appartamento delle cugine di Amanda. Mentre Bryan e Kim sono al telefono, Amanda viene rapita; l’amica assiste al fatto dalla finestra del bagno. Sotto le direttive paterne, Kim poco prima d’esser presa, grida al padre che gli uomini hanno un tatuaggio sulla mano destra raffigurante una stella e una luna. Gli ex colleghi di Bryan scoprono, tramite la registrazione della telefonata, che si tratta d’un gruppo di albanesi, capeggiati da un certo Marko, specializzati nella tratta di giovani donne. Ora Bryan ha 96 ore di tempo per ritrovare sua figlia prima di perderla per sempre. Bryan parte alla volta di Parigi, dove riesce subito a individuare Peter che muore durante l’inseguimento. Ad aiutarlo arriva l’ex collega e amico Jean Claude, ora vicedirettore della sicurezza interna, che a sua insaputa lavora comunque contro di lui. Attraverso le indagini Bryan troverà Amanda, morta per overdose, e Marko, che verrà ucciso assieme ai suoi uomini. At- Coordinatore effetti speciali: Grégoire Delage Supervisore effetti visivi: Roxane Fechner Coordinatore effetti visivi: Elodie Glain Supervisore musiche: Alexandre Mahout Interpreti: Liam Neeson (Bryan), Maggie Grace (Kim), Framke Janssen (Lenore), Xander Berkeley (Stuart), Katie Cassidy (Amanda), Olivier Babourdin (Jean Claude), Leland Orser (Sam), Jon Gries (Casey), David Warshofsky (Bernie), Holly Valance (Diva), Nathan Rippy (Victor), Camille Japy (Isabelle), Nicolas Giraud (Peter), Gerard Watkins (Saint Clair), Marc Amyot (farmacista), Arben Bajraktaraj (Marko), Radivoje Bukvic (Anton), Mathieu Busson (agente), Nicolas Giraud (Peter), Camille Japy (Isabelle), Valentin Kalaj (Vinz), Fani Kolarova (prostituta), Goran Kostic (Gregor), Christophe Kourotchkine (Gilles), Edwin Kruger (assistente Jean Claude), Jalil Naciri (Ali), Anca Radici (Ingrid), Nathan Rippy (Ingrid), Anatole Taubman (Dardan), Bernard Treuil (tassista), Opender Singh (Singh), Valida Carroll (DJ) Durata: 93’ Metri: 2550 traverso altre indagini, giunge alla verità: le donne vengono messe all’asta per essere comprate da facoltosi e alte personalità. A capo di tutto c’è il politico Saint Claire, protetto, fra l’altro, da Jean Claude, al quale Bryan estorce con violenza il luogo dell’asta. Bryan trova sua figlia, l’ultimo lotto della serata, comprata da uno sceicco. Saint Claire e i suoi uomini non sfuggono alla vendetta di Bryan che raggiunge, in extremis, la nave dello sceicco. Anche qui nessuno sopravvivrà alla sua ira; neanche lo sceicco. Bryan e Kim finalmente si riabbracciano. Passano dei giorni. Bryan porta Kim a conoscere un’importante popstar, protetta in precedenza da Bryan, che potrà aprire le porte alla carriera di Kim che da sempre sogna di fare la cantante. D opo alcuni film, in cui Liam Neeson ricopriva ruoli da mentore o da coprotagonista, come Batman Begins (2005) o Caccia Spietata (2006), torna finalmente e meritatamente a un ruolo più importante. Qui padre coraggio (molto più coraggioso d’una madre paradossalmente priva d’ansie per la figlia in partenza), in lotta con la tratta di giovani turiste ingenue, che vengono avviate alla prostituzione e alla droga. Ottima l’idea che non vi sia nulla di personale, nessuna vendetta trasversale: semplicemente gli albanesi hanno preso, per loro sfortuna, la ragazza sbagliata. Slancio che serve a mostrarci un mondo fatto di raggiri, denaro e prostituzione, tra- 19 mite sequenze realizzate con crudezza, ma estremo rispetto; ad esempio la scena al porto, in cui Bryan apprende una parte della verità, non viene mostrata nessuna scena di violenza sessuale o di scambi di siringhe. Il tocco di Besson (Leòn; Nikita), qui in veste di sceneggiatore, è unito alla buona prova del regista Pierre Morel. Nella prima parte vengono dosate magistralmente sequenze da adrenalina ed ansia, alternandole con momenti di riflessione e ricerca; nella seconda parte, la tensione prende piede man mano che, assieme a Bryan, ci avviciniamo al ritrovamento di sua figlia. L’anima di Besson si palesa nelle scene di inseguimenti e sparatorie, in alcuni tratti volutamente eccessive, nonché nel dialogo iniziale fra Bryan e l’albanese, in cui il protagonista si lascia andare in una minaccia stile Rambo. Una storia ben costruita che ci porta a tifare per Bryan, a voler sempre andare avanti con lui. Impossibile non identificarsi col suo personaggio, aiutati dalla scelta di farci vivere la storia dal suo punto di vista, che ci porterà a rivedere Kim soltanto alla fine del film, in un crescendo di tensione. Un punto focale è la più che buona interpretazione di Neeson, affiancato da Maggie Grace conosciuta ai più come la Shannon del telefilm cult Lost. Sicuramente un film da vedere, che ci lascia con una domanda: fino a che punto ci si può spingere nella giustizia personale pur di salvare una persona amata? Elena Mandolini Film Tutti i film della stagione BURN AFTER READING A PROVA DI SPIA (Burn After Reading) Stati Uniti/Gran Bretagna/Francia, 2008 Supervisore costumi: Cha Blevins, David Davenport Interpreti: George Clooney (Harry Pfarrer), Frances McDormand (Linda Litzke), John Malkovich (Osbourne Cox), Tilda Swinton (Katie Cox), Brad Pitt (Chad Feldheimer), Richard Jenkins (Ted Treffon), David Rasche (agente CIA), J.K. Simmons (superiore CIA), Olek Krupa (Krapotkin), Michael Countryman (Alan), Kevin Sussman, J.R. Horne (avvocati divorzista), Hamilton Clancy (Peck), Armand Schultz (Olson), Pun Bandhu (Doug Magruder), Karla CheathamMosley (ospite party), Jeffrey DeMunn (chirurgo cosmetico), Richard Poe (cliente palestra stretching), Carmen M. Herlihy (potenziale cliente della palestra), Raul Aranas (Manolo), Judy Franck (segretaria dell’avvocato), Sandor Tecsy (scorta dell’Ambasciata Russa), Yury Tsykun (superiore dell’Ambasciata Russa), Brian O’Neill (Hal), Matt Walton (conduttore dello show del mattino), Lori Hammel (conduttrice dello show del mattino), Crystal Bock (donna PR), Patrick Boll (uomo di Sandy), Logan Kulick (paziente di quattro anni), Dermot Mulroney (Star di “Coming Up Daisy”), James Thomas Bligh (tenente MacDonald), Elizabeth Marvel (Sandy Pfarrer), Jacqueline Wright (Monica), Robert Prescott Durata: 96’ Metri: 2630 Regia: Joel ed Ethan Coen Produzione: Tim Bevan, Ethan Coen, Joel Coen, Eric Fellner per Working Title Films/Mike Zoss Productions/Studio Canal. In associazione con Relatività Media Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 19-9-2008; Milano 19-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Joel ed Ethan Coen Direttore della fotografia: Emmanuel Lubezki Montaggio: Joel ed Ethan Coen (Roderick Jaynes) Musiche: Carter Burwell Scenografia: Jess Gonchor Costumi: Mary Zophres Produttore esecutivo: Robert Graf Produttore associato: David Diliberto Direttore di produzione: Neri Kyle Tannenbaum Casting: Ellen Chenoweth Aiuti regista: Betsy Magruder, Ronan O’Connor, Bac DeLorme, John Silvestri Operatore: Gorge Richmond Art director: David Swayze Arredatore: Nancy Haigh Trucco: Jean Ann Black, Barbara Lacy, Patricia Regan Acconciature: Waldo Sanchez Supervisori effetti visivi: Randall Balsmeyer, Eric J. Robertson O sborne Cox è un analista della CIA che viene da un giorno all’altro rimosso dal proprio incarico. Motivo ufficiale: ha dei problemi con l’alcool. Problemi che si accentuano una volta costretto a passare le giornate a casa, intenzionato a lavorare alla propria autobiografia. Cosa che lo rende ancor più inviso all’arrivista e cinica moglie Katie, che lo tradisce con Harry Pfaffer, sceriffo federale affetto da numerose intolleranze alimentari. Alla periferia di Washington, nella palestra “Hardbodies”, Linda Litzke, donna di mezza età che sogna interventi di chirurgia estetica fuori dalla propria portata economica e cerca senza successo l’anima gemella su Internet, viene coinvolta da Chas, un collega svaporato, in un gioco pericoloso. Un inserviente ha trovato in uno spogliatoio un dischetto con informazioni riservate della CIA. I due risalgono al proprietario, che è Osborne, e decidono di tentare di ricattarlo per denaro. Le informazioni non hanno alcun valore, si tratta di vecchi dati che Osborne sta utilizzando per la stesura della sua autobiografia, ma i due squinternati ricattatori decidono di continuare nel loro gioco. Cox, non potrebbe essere altrimenti, visto il proprio background professionale, è un duro e non cede alle ridicole minacce dei due, diffidandoli dal continuare a ricattarlo. Linda e Chas, in pieno delirio di onnipotenza, portano il dischetto all’ambasciata russa, che si dimostra interessata alle informazioni e ne chiede altre. La moglie di Harry, scrittrice di fiabe per bambini, parte per il tour promozionale del suo nuovo libro. Per Harry (che ha sempre l’ossessione di essere spiato) è l’occasione di stabilirsi a casa di Katie (che ha cambiato la serratura di casa e cacciato Osborne, al quale non resta che rifugiarsi nella propria barca), ma anche di rispondere a un annuncio di incontri al buio su Internet, grazie al quale contatta (e va a letto con) Linda. Quest’ultima, convinta di aver trovato l’anima gemella (entrambi ridono alla stessa scena di un film visto milioni di volte), non si scompone neanche quando lui le mostra l’ultima creazione di bricolage nella cantina di casa sua: un vogatore/vibratore dall’utilizzo inequivocabile. Pressati dai russi, desiderosi di altre informazioni (quelle del dischetto erano di valore pressoché nullo), Chas penetra in quella che crede essere ancora casa di Cox. Di lì a poco, entra invece in casa Harry; Chas si rifugia nell’armadio della camera da letto. Harry apre l’armadio, lo vede e accidentalmente gli spara in faccia con la pistola che ha sempre dietro. Harry, sconvolto, si libera del cadavere, convinto che si tratti di una spia; poi si accorge di un uomo che lo sta spiando da una macchina e lo affronta. L’uomo è un investigatore privato, assoldato dalla moglie per spiarlo 20 durante la sua assenza. La notizia getta nella disperazione Harry, che chiama subito Linda per potersi incontrare. Nel frattempo, la CIA (che sta monitorando l’insieme delle vicende, senza capire troppo bene cosa stia succedendo) ha fatto sparire il corpo di Chas, che risulta introvabile. Sconvolta dalla sua sparizione, Linda chiede lumi ai russi, che non sanno darle informazioni. Ted, manager della palestra “Hardbodies”, segretamente innamorato di Linda, entra in casa di Katie alla ricerca di nuove informazioni da dare ai russi, convinto che siano stati loro a rapire Chas; ma viene sorpreso da Osborne, entrato di forza in casa con un’accetta, che gli spara e poi lo finisce a colpi di scure in pieno giorno per la strada. Linda si confida con Harry, col solo risultato di farlo scappare a gambe levate una volta appreso che era in combutta con l’uomo che ha ucciso. Alla CIA, un dipendente e il suo superiore provano a fare il punto della situazione: Chas è morto, Ted pure, Osborne è in coma vegetativo dopo che un poliziotto appostato sotto casa gli ha sparato quando lo ha visto attaccare Ted, Harry è stato arrestato mentre provava a imbarcarsi per il Venezuela e Linda ha deciso di collaborare con la CIA in cambio delle spese per l’operazione di chirurgia plastica. Gli agenti ne traggono una lezione: mai ripetere quel che Film Tutti i film della stagione hanno fatto in questa circostanza. Anche se, una volta messo il punto, ancora non hanno chiaro cosa abbiano fatto di preciso. I l film di apertura della 65. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, per sua stessa definizione evento fuori concorso, si è fatto parecchio rimpiangere nelle successive giornate di rassegna lagunare. Il motivo, presto riassunto, era la povertà qualitativa dei titoli susseguitisi, con menzione particolare per quelli passati in concorso. Burn After Reading è riuscito così a capitalizzare le attenzioni principali, anche in virtù del battage mediatico che un cast artistico senza rivali si è facilmente accaparrato. Il risultato, naturalmente, è stato quello di incensare il titolo oltre i suoi meriti: ma va anche detto che una commedia così i poliedrici fratelli Coen non l’azzeccavano da parecchio tempo (si pensi ai mezzi passi falsi di Prima ti sposo, poi ti rovino e The Ladykillers). Il pregio principale è senz’altro un equilibrio che può dirsi riuscito tra il brillante e il grottesco, quel grottesco che contraddistingue da sempre (talora in modo sgradevole) i capitoli più “leggeri” della filmografia coeniana. C’è dell’altro, oltre la voglia di divertire e divertirsi, in Burn After Reading, una poetica assai cara ai fratelli Coen che sa riproporsi efficacemente ogni qualvolta i due autori decidono di farla emergere oltre il clichè, o il genere che di volta in volta attraversano; una poetica del quotidiano a 360°, desolatamente attonita davanti alla constatazione, più che alla descrizione, di un mondo impazzito che ha perso la bussola (se mai ne ha avuta una) e procede per inerzia, di deflagrazione in deflagrazione, secondo un meccanismo di azione e reazione che è alla base della sceneggiatura cinematografica, ma senza la ferrea struttura che impedisce a quest’ultima di andare alla deriva. Il gioco dei Coen, quello irresistibile e metacinematografico, è proprio quello di portare il discorso alle estreme conseguenze, ben certi del fatto che con un mondo come quello in cui viviamo, non si sa mai che reazione seguirà all’azione che si sta compiendo. Ne sanno bene qualcosa i decerebrati protagonisti di Burn After Reading, vittime ma anche artefici di un mondo impazzito che porta alla deriva i suoi abitanti, li fa incontrare e accoppiare, li mette uno di fronte all’altro nei momenti peggiori, determinando una tragedia non scritta e priva di senso che è all’antitesi della tragedia greca e dei topoi che riconducono lo spettacolo sui binari della rappresentazione catartica. Non c’è catarsi nell’assurdità della vita, vien da pensare in film di valore assoluto come Non è un paese per vecchi; Burn After Reading non fa che ribadire questo concetto, in chiave più leggera, affidando la scappatoia di una catarsi alla comicità “eccessiva” come alle ca- ratterizzazioni grottesche e monodimensionali (su tutte quella di Brad Pitt), facili da etichettare e da cui potersi agevolmente autodistanziare. Un aspetto, quest’ultimo, che altrove ha rappresentato un limite: qui la “deriva” delle caratterizzazioni incomincia solo a mezz’ora dalla fine, rivelando solo in ultima istanza allo spettatore il proprio carattere finale di divertissement. Nel frattempo, qualcosa di non banale è stato detto sulla stupi- dità come macroscopico sintomo di una umana, marchiana finitezza al cospetto dei massimi sistemi. E se anche ai piani alti, nella CIA, che ha spiato l’intera vicenda, si fa fatica a tirar di somma, più in alto, dove risiede lo spettatore, si fa ancor più fatica ad ammettere che, in fondo, non è successo proprio niente. È la vita. Gianluigi Ceccarelli SHORTBUS DOVE TUTTO È PERMESSO (Shortbus) Stati Uniti, 2006 Regia: John Cameron Mitchell Produzione: Howard Gertler, John Cameron Mitchell, Tim Perell per Fortissimo Films/Process Productions/Q Television Distribuzione: Bim Prima: (Roma 24-11-2006; Milano 24-11-2006) V.M.: 18 Soggetto e sceneggiatura: John Cameron Mitchell Direttore della fotografia: Frank G. DeMarco Montaggio: Brian A. Kates Musiche: Yo La Tengo Scenografia: Jody Asnes Costumi: Kurt and Bart Produttori esecutivi: Wouter Barendrecht, Alexis Fish, Michael J. Werner Produttori associati: Morgan Higby Night, Neil Westreich, Richard Wofford Co-produttore: Pamela Hirsch Casting: Susan Shopmaker Aiuti regista: Karen Kane, Sarah Rae Garrett Arredatore: Sarah E.McMillan Trucco: Maya Hardinge Acconciature: Fabian Garcia Supervisore musiche: Michael Hill Interpreti: Lee Sook-yin (Sofia), Paul Dawson (James), Lindsay Beamish (Severin), PJ DeBoy (Jamie), Raphael Barker (Rob), Peter Stickles (Caleb), Jay Brannan (Cet), Alan Mandell (Tobias, il sindaco), Adam Hardman (Jesse), Bitch (‘Bitch’/Shortbus House Band), Justin Hagan (Brad), Jan Hilmer (Nick), Stephen Kent Jusick (Creamy), Yolonda Ross (Faustus), Jocelyn Samson (Jod), Daniela Sea (‘Piccolo Principe’) Ray Rivas Durata: 101’ Metri: 2800 21 Film I l film si apre con tre abitazioni diverse nelle quali si sta facendo sesso. Rob e Sophia, marito e moglie, provano diverse posizioni, a letto, in piedi, sul pianoforte, contro la porta a vetri, anche una insolita lui davanti e lei dietro… Severin, una dominatrice in abito di lattex, è a casa di un suo cliente, mentre James, da solo in casa, pratica un’autofellatio, riprendendosi con la videocamera; intanto Caleb, un ragazzo che vive nella casa di fronte, lo spia, insospettato. Rob e Sophia raggiungono l’orgasmo nello stesso momento di James e del cliente di Severin. James si mette a piangere, interrotto dal rientro di Jamie, al quale nasconde il suo stato d’animo, mentre Sophie parla con Rob di una sua paziente che finge col marito di avere un orgasmo e non gli dice la verità per paura che lui la lasci. Rob non sembra avere una propria opinione sull’argomento. Jamie e James, mentre Caleb, non visto li spia da dietro un albero,vanno da Sophia, che è una consulente sessuale di coppia. Jamie è un ex attore bambino, mentre James un tempo faceva l’escort e ora fa il bagnino in una piscina. I due, spiegano a Sophie, voglio sentire il parere di una esperta circa la loro decisione di diventare una coppia aperta dopo cinque anni di relazione, dato che la monogamia “è per gli etero”. Sophie chiede a Jamie di lasciarla da sola con James e gli chiede perché lui sia lì. James mentre le risponde comincia a riprendersi con la sua videocamera le racconta di un incidente occorsogli nella piscina dove lavora. Poi Jamie rientra ed è il suo turno di parlare da solo con Sophie. Il suo atteggiamento però innervosisce la terapista che gli molla un ceffone. Chiede scusa a entrambi e si giustifica confessando loro di non aver mai avuto un orgasmo. Sophie si reca nel locale Shortbus, una abitazione adibita a club, dove si fa sesso, si vedono film e si fa arte performativa. Il padrone di casa è Justin che la accoglie calorosamente. Lì Sophia conosce, tra gli altri, Severin. Mentre Jamie e James incontrano Ceth, un giovane ragazzo appena giunto a New York dalla provincia. A casa loro iniziano a fare sesso, scherzano, giocano, cantano per scherzo l’inno nazionale americano, usando i loro membri come microfoni e il sedere come cassa di risonanza. Caleb spia la scena dalla solita finestra con uno sguardo di incredula incomprensione. Dopo aver discusso col marito che non si capacita di come non riesca nemmeno a farle provare un orgasmo Sophie chiama Severin. Si incontrano in un centro dove possono chiudersi in una speciale vasca Tutti i film della stagione adibita a ottundere tutti i sensi per riprovare le sensazioni prenatali della sospensione amniotica. Lì Sophie parla della sua ricerca dell’orgasmo, della sua famiglia cino-canadese tradizionalista, mentre Severin confessa di essere incapace ad avere una vera interazione umana. Negli incontri successivi Sophia cerca invano il suo orgasmo, Severin confessa a Sophia che il suo vero nome è Jennifer Aniston (come l’attrice...). Di nuovo allo Shortbus, James Jamie e Ceth fanno un trio fisso, anche se, in un momento di intimità, Jamie rimprovera a James di non sopportare la sua introversione e teme che lui non lo ami più (e intanto Caleb, non visto, ascolta tutto). Sophie, che è andata al locale con Rob, dà al marito il telecomando di un uovo vibrante che ha nelle parti intime, proponendogli di andare in giro per il locale da soli e di rimanere in contatto in quel modo. Mentre Rob rimane in disparte e si annoia, Sophie pomicia prima con il proprietario gay del locale, ma vengono interrotti dall’uovo che vibra in continuazione, poi si apparta con Severin che le confessa che quello che ha con il suo cliente è la cosa più vicina a un rapporto che abbia mai avuto. Severin piange per consolarla, Sophie la bacia, le vibrazioni dell’uovo (il telecomando è nella tasca posteriore e viene azionato involontariamente...) raggiungono anche Severin, che è sopra Sophia, fino a farle raggiungere un orgasmo. Mentre Sophia no. Imbarazzata Severin le chiede scusa e Sophie disdice il loro appuntamento quotidiano nella vasca. In seguito al gioco della bottiglia, per penitenza James si rinchiude nell’armadio con Severin per 5 minuti. James le racconta di come ha iniziato a prostituirsi e le invidia, per celia, il cliente carino, lui non ne aveva mai avuti. Le confessa di non essersi mai lasciato penetrare da Jamie, né da nessun altro. Intanto, Ceth viene aggredito verbalmente da Caleb che gli intima di non immischiarsi tra James e Jamie. Sophie li separa ma qualcuno, usando il telecomando dell’uovo vibrante credendolo quello del televisore, le dà delle scosse così forti che Sophie scatta prendendo involontariamente a pugni Caleb. Sopraggiunge Rob e quando scopre che il marito aveva lasciato il telecomando incustodito Sophie se ne va imprecando contro di lui, poi, fuori dal locale, distrugge l’uovo vibrante. Completato il video che sta girando per Jamie, James si reca in piscina, si infila la testa in un sacco di plastica e si lancia in acqua. Viene salvato da Caleb che lo ha seguito intuendo la decisione del ragazzo. A casa di Caleb, James gli confida la 22 sua insopportabile atarassia e i suoi blocchi sessuali. Ora, con Caleb, quei blocchi sono passati e James si lascia andare alla sua prima penetrazione. Intanto Rob è da Severin per farsi frustare (di nascosto da Sophia perché non capirebbe) e Jamie è preoccupato perché James è scomparso. Durante una seduta, Sophie ha un’intuizione, si dirige nel bosco di fronte l’ufficio, si perde tra gli alberi e si ritrova in riva al mare con una panchina e un lampione. Lì si masturba e, al crescere della sua eccitazione, un black-out fa cadere nel buio l’intera città. Mentre ognuno accende delle candele, Jamie vede James a casa di Caleb e James per la prima volta gli sorride. Si ritrovano tutti allo Shortbus, dove il proprietario canta “Tutti quanti lo prendiamo dentro”, mentre Sophie si lascia andare con una ragazza che aveva notato altre volte, Rob bacia una ragazza, Jamie e James sono più uniti che mai, mentre Ceth flirta con Caleb. Arriva una banda nel locale e quando tutto assume un aspetto quasi onirico e felliniano, vediamo di nuovo Sophie in primo piano che finalmente ha raggiunto suo primo orgasmo. L a ripresa esplicita dell’atto sessuale al cinema lascia sempre imbarazzati e perplessi. Non stiamo parlando già dei suoi risvolti morali, ma, ancora, di questo atto davanti la macchina da presa. Gli attori di un film, infatti, fingono quel che compiono, seguendo certe convenzioni di verosimiglianza che cambiano a seconda del genere e dell’epoca in cui film è girato. Tra quello proiettato al cinema e quel che accade realmente davanti la macchina da presa c’è un rapporto mediato e convenzionale che, di volta in volta, affronta in maniera diversa l’equazione irrisolvibile di quella contraddizione tra finzione e realtà ben colta da Pirandello: Ne vien fuori, per forza e senza possibilità d’inganno, un ibrido giuoco. Ibrido, perché in esso la stupidità della finzione tanto più si scopre e avventa, in quanto si vede attuata appunto col mezzo che meno si presta all’inganno: la riproduzione fotografica. (L. Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Ora, il rapporto sessuale, quando è ripreso esplicitamente dalla macchina da presa, sembra far cortocircuitare questa contraddizione intrinseca del cinema, perché quel che vediamo accadere accade realmente e non può essere simulato, almeno nella sua concretezza fisica (si possono sempre simulare eccitazione e sentimenti). L’assoluta mancanza di distanza tra si- Film gnificante e significato dell’atto sessuale ripreso e poi proiettato dal cinema ha qualcosa di profondamente osceno in sé, non già per la sua mostrazione, ma perché quello che era il congiungimento di due corpi diventa, una volta proiettato in sala, il sesso fra due cadaveri, quelli degli attori che, per quanto appaiano sullo schermo con vividezza e senso di realismo, non sono che la vana ombra di un pezzo di celluloide... Il sesso al cinema può solo essere un simbolo per qualcosa d’altro, altrimenti si trasforma in qualcosa di profondamente, funereo, e viene relegato alla pornografia, dove una di quelle pulsioni psicologiche su cui, si dice, si basa il cinema, il voyeurismo, viene, a sua volta, cortocircuitata nella mera soddisfazione di se stessa, senza alcuna valenza simbolica. La visione del film di Cameron è dunque, a un primo impatto, spiazzante: imbarazza, eccita, irrita allo stesso tempo. Ma, subito dopo la scena d’apertura, quando capiamo che gli atti sessuali mostrati servono al progredire della storia e non sono fini a se stessi, ecco che l’imbarazzo, l’eccitazione e il fastidio lasciano spazio a una gioia liberata, perché lo spettatore è messo di fronte a una sessualità miracolosamente scevra dal senso di morte, dove gli attori prestano davvero totalmente il proprio corpo alla creazione dei Tutti i film della stagione personaggi interpretati, con un’efficacia che ritroviamo, mutatis mutandis, solo nella Trilogia della vita di Pasolini. Certo in Shortbus rimane una profonda contraddizione. Perché all’intensità con cui sono riprese le scene di sesso, non corrisponde un’intensità delle storie raccontate, dello spessore dei personaggi presentati, della capacità, insomma, che il film ha, di cogliere il reale. Le problematiche dei personaggi sono banalmente quelle codificate dal normale immaginario collettivo: Sophie alla ricerca di un orgasmo che da solo può darle la cifra della sua sessualità non è solo un luogo comune, ma anche un modo di vedere tipicamente maschile (qualunque sia l’orientamento sessuale). Nessuno dei rapporti interpersonali descritti nel film è colto in una realtà politica, sociale, economica rilevante, rimane solo il lato esistenziale; ogni personaggio è colto nella sua incapacità di esprimere il proprio essere perché chiuso in problemi inesistenti (Severine e l’idiosincrasia nei confronti del suo vero nome che confida a Sophie dietro mille imbarazzi), o perché troppo annoiato dalla vita per provare qualcosa (incapace di ascoltare il proprio corpo al punto tale da non saperlo usare in tutte le sue possibilità), troppo concentrato sul proprio corpo (Rob il suo onanismo egoista che non lo fa andare verso sua moglie Sophia), o, ancora, perché incapace di vivere una propria vita, come fa Caleb che preferisce spiare quella altrui (anche se il suo voyerismo salverà la vita a Jamie). Di queste monadi assolute sembra salvarsi solamente la sfera sessuale, sembra dirci Cameron, che, privo di un certo moralismo puritano, non vede il sesso come sintomo di un’alienazione che sembra manifestarsi in altre forme. Certo la vita (di alcuni) dei personaggi del film sembra risolversi alla fine, ma rimane l’impressione che il motore dell’opera sia solo un inno al sesso gioioso al quale però non corrisponde uno sguardo altrettanto felice sul resto del mondo. Per cui , ala fine , ci si chiede a chi il film si rivolge. Se a quel pubblico borghese che il film vuole (e riesce a) èpater, o a quel pubblico affine ai personaggi descritti nel film che non troveranno nella pellicola nulla di cui già non siano a conoscenza. Un risultato comunque il film lo ottiene sicuramente, quello di ricordare a tutte/i che gli uomini e le donne sanno vivere ed esprimersi, nell’intero ventaglio degli orientamenti sessuali, in maniera molto più consapevole e matura di quanto la politica, l’etica e la religione non presumano. Alessandro Paesano THE ROCKER IL BATTERISTA NUDO (The Rocker) Stati Uniti, 2008 Coordinatore effetti speciali:.John MacGillivray Supervisore effetti visivi: Aaron Weintraub Coordinatore effetti visivi: Victoria Holt (Mr. X Inc.), Paulina Kuszta Supervisore musiche: Patrick Houlihan Interpreti: Rainn Wilson (Robert ‘Fish’ Fishman), Josh Gad (Matt Gadman), Teddy Geiger (Curtis), Emma Stone (Amelia), Jason Sudeikis (David Marshall), Jeff Garlin (Stan), Lonny Ross (Sticks), Jonathan Malen (Jeremy), Nick Spencer (Harry), Christina Applegate (Kim), Howard Hesseman (Gator), Fred Armisen (Kerr), Jane Lynch (Lisa), Will Arnett (Lex), Bradley Cooper (Trash), Jon Glaser (Billy), Jane Krakowski (Carol), Samantha Weinsten (Violet), Demetri Martin (Kip), Aziz Ansari (Aziz), Ellie Knaus (Erica), Laura DeCarteret (madre di Amelia), Steve Adams (padre di Amelia), Mark Forward (Leon), Vik Sahay (Gary), Brittany Allen (“I Heart Matt Girl”), Rebecca Northan (madre di Jeremy), Simon Sinn (Mr. Lee), SuChin Park (se stessa), Ennis Esmer (Barney), Nicole Arbour (groupie), Wesley Morgan (Prom Re Josh), Tanya Bevan (Prom Re Jennifer), Marvin Karon (preside scuola), Sandi Ross (sig.ra Kopelson), Talia Russo (Amy), Jon Cor (Paul), Allan Roberto (Max), Durata: 102’ Metri: 2730 Regia: Peter Cattaneo Produzione: Shawn Levy, Tom McNulty per 21 Laps Entertainment/Fox Atomic Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 19-9-2008; Milano 19-9-2008) Soggetto: Ryan Jaffe Sceneggiatura: Maya Forbes, Wallace Wolodarsky Direttore della fotografia: Anthony B. Richmond Montaggio: Brad E. Wilhite Musiche: Chad Fischer Scenografia: Brandt Gordon Costumi: Christopher Hargadon Produttore associato: Billy Rosenberg Co-produttore: Lyn Lucibello Direttore di produzione: Lyn Lucibello Casting: Julie Ashton Aiuti regista: Brian Giddens, Michael T. Burgess, Tim Cushen, Christen Reynolds, Jack Boem, Patrick Hagarty, David C. Malcolm, Jeff Muhsoldt Operatore: Roger Finlay Arredatore: Clive Thomasson Trucco: Geralyn Wraith, Amber Chase Supevisore effetti speciali: Rob Sanderson 23 Film A nni Ottanta, i Vesuvius sono a un passo dalla celebrità. Il loro agente è riuscito a ottenere un contratto con una nota casa discografica. Devono però far spazio al raccomandato di turno, perciò uno di loro verrà sacrificato. Più precisamente, Robert “Fish” Fishman, il batterista e anima del gruppo, che ritroviamo vent’anni dopo in uno squallido ufficio nelle vesti di un normale e allampanato impiegato. Al povero Fish, sebbene faccia di tutto per nasconderlo, la ferita ancora brucia e l’insistenza con cui il collega indiano esalta l’ultimo disco dei Vesuvius, lo fa andare su tutte le furie. Risultato: perde il lavoro e ripara, per l’ennesima volta, dalla sorella. Qui scopre che il nipote Matt suona in una band, gli A.D.D., che, guarda caso, per il concerto Tutti i film della stagione di fine anno scolastico, sono rimasti senza batterista. Fish, non si lascia sfuggire l’occasione. Pur di riprendere in mano le bacchette, si unisce a loro. Ma non finisce qui. Un filmato di Fish, durante le prove, che suona completamente nudo, girerà sul web e farà migliaia di proseliti. Per gli A.D.D. si spalancano le porte del successo. Presto, persino i Vesuvius dovranno fare i conti con loro. L o spunto iniziale del film rimanda alle vicende dei Beatles e del loro primo batterista Pete Beats, messo poi da parte per far posto a Ringo Starr. Ma, mentre nella vita reale, Best per sua fortuna sembra aver ampiamente rimarginato la ferita, tanto da prestarsi a una fugace ma significativa apparizione nella pellicola (è l’uomo alla fermata dell’auto- bus intento a leggere la rivista “Rolling Stone” con i Vesuvius in copertina, mentre al suo fianco Robert Fish è in preda, ovviamente, a una crisi di nervi), nella finzione, il nostro protagonista no. Fish è un ultraquarantenne in crisi continua. Folle, collerico, malinconico, passa i suoi giorni a rimuginare su quell’occasione mancata. Veste e si comporta in maniera eccentrica, non ha lavoro, non ha famiglia, non ha soldi. Il tempo per lui si è fermato a quella maledetta sera di vent’anni prima, quando il sogno di una brillante carriera musicale si infranse. Riavrà la sua vita, quando riavrà la sua musica. Tema, dunque, un tantino scontato e, nel caso specifico, farcito di luoghi comuni, oltre che di caratterizzazioni superficiali. Il tutto, ovviamente, per strappare una risata che, comunque sia, non risulta essere mai volgare. Il che, di questi tempi, è già un pregio. A far da collante a questo guazzabuglio di piccoli e teneri sketch, la bravura di Rainn Wilson. La sua interpretazione, esasperata ma mai stucchevole, dà forza a una trama altrimenti esile e spesso prevedibile. La sua faccia di gomma e quel suo essere sempre al limite, rendono il tutto estremamente godibile, tanto da ridere addirittura di vecchie gag e di rincorse a un furgone quasi demenziali. Detto questo, il film è divertente e gradevole, girato con mano sapiente da Peter Cattaneo che ci aveva già deliziato con i precedenti Full Monty e Lucky Break. Ma, a differenza di questi, The Rocker, il cui titolo originale è Fish & Drums, ha una marcia in meno e, alla fine, non convince del tutto. Ivan Polidoro SHROOMS-TRIP SENZA RITORNO (Shrooms) Irlanda, 2006 Regia: Paddy Breathnach Produzione: Paddy McDonald, Robert Walpole per Capitol Films/Ingenious Film Partners/Bord Scannan na hEireann/Nordisk Film/Northern Ireland Film and Television Commission/ Nepenthe Film/Treasure Entertainment Ltd/Potboiler Productions Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 22-8-2008; Milano 22-8-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Pearse Elliott Direttore della fotografia: Nanu Segal Montaggio: Dermot Diskin Musiche: Dario Marianelli Scenografia: Mark Geraghty Costumi: Rosie Hackett Produttori esecutivi: Simmon Channing Williams, James Clayton, Gail Egan, Kim Magnusson, Duncan Reid Produttori associati: Katie Holly, Rebecca O’Flanagan Co-produttori: Eva Juel, Nina Lyng Direttore di produzione: Carol Moorhead Casting: Natasha Cuba, Kelly Wagner Aiuti regista: Andrew Hegarty, Alex Jones, Jonathan Shaw, Rory Shaw, Denis Fitzpatrick, Keith Barry Operatore steadicam: Roger Tooley Effetti speciali tucco: Dave Bonneywell, Ian Morse, Steve Painter, Simon Rose Supervisore effetti speciali: Kevin Byrne Supervisori effetti visivi: Alexander Marthin Interpreti: Lindsey Haun (Tara), Jack Huston (Jake), Max Kasch (Troy), Maya Hazen (Lisa), Alice Greczyn (Holly), Robert Hoffman (Bluto), Don Wycherley (Ernie), Sean McGinley (Bernie), Toby Sedgwick (‘Black Brother’), André Pollack (‘The Dog’), Jack Gleeson (‘Lonely Twin’), Mike Carbery (paramedico), Anna Tikhonova (La donna misteriosa 1), Goranna McDonald (La donna misteriosa 2), Jake Allen (Il doppio di Lonely Twin), Berry Murphy (fratello di Lonely Twin), Joe Phelan (Lonely Twin giovane), Peter McMahon (doppio di Black Brother), Thomas Creighton (doppio di Bluto) Durata: 84’ Metri: 2200 24 Film T ara assieme a due coppie di amici (Lisa e Bluto; Holly e Troy) parte per l’Irlanda per raggiungere Jack di cui è innamorata. L’obiettivo del viaggio è prendersi dei funghetti allucinogeni, per potersi godere un trip: un viaggio fatto di ipersensorialità e allucinazioni. Le regole di Jack sono semplici: niente cellulari, l’esperienza avverrà all’aperto col risultato che ognuno avrà il suo trip personale. Nel cercare i funghetti, Tara si imbatte nel “Fungo della morte”, che, se si sopravvive al veleno, dona a chi lo mangia la preveggenza. Tara, stupidamente, ne mangia uno: Jack la trova in preda alle convulsioni. A fatica la ragazza si riprende. Il gruppo si accampa vicino all’Istituto Glengarrif, un tempo retto da frati che usavano metodi educativi poco ortodossi. Jack racconta che un bambino, per vendicarsi, diede dei funghi della morte a un frate, col risultato che la droga sprigionò tutta la sua rabbia e violenza represse. Ci fu un massacro a cui sopravvisse solo un bambino che era stato rinchiuso coi cani per punizione. Oggi, si pensa che sia il bambino che il frate, chiamato “fratello nero”, si aggirino per i boschi per molestare i giovani in gita. Tara, che inizia a riprendersi, ascolta la storia nella tenda. Durante la notte, Bluto scompare e Tara ha una visione in cui lo vede morire per mano del fratello nero. Nessuno le crede. Tutti si prendono l’infuso con gli allucinogeni. Il gruppo, dopo aver visto che i cellulari sono spariti, vanno alla ricerca di Bluto. Le ragazze vengono inseguite dal frate e ritrovano il cadavere dell’amico. Prese dal panico si separano. Holly finisce nella casa di due irlandesi, un tempo allievi del- Tutti i film della stagione l’istituto e visibilmente fuori di testa. Tara vede Holly morire, apparentemente per mano del bambino-cane, liberato per sbaglio dagli irlandesi. Tara e Lisa ne trovano il cadavere. Troy e Jack vengono seguiti da un essere incappucciato che cerca di attirarli, imitando le voci delle donne. La droga falsa le loro percezioni. Tara vede l’amica morire per mano del fratello nero, cosa che puntualmente avviene. La ragazza raggiunge l’istituto, dove dovrà rincontrarsi coi ragazzi. Jack, nascosto in una stanza assieme a Troy, non si accorge che l’amico viene ucciso dall’incappucciato. Tara trova Jack; mentre si allontana per controllare un rumore nel bosco, Jack viene ucciso. La ragazza viene salvata dai soccorsi; mentre un irlandese viene arrestato con l’accusa degli omicidi. Si scopre che la colpevole è Tara; come nel frate, è stata sopraffatta dalla droga che ha sprigionato rabbia e violenza. Uccide anche l’infermiere dell’ambulanza per poter tornare libera nel bosco. U tilizzare gli stati allucinativi derivanti dall’uso di stupefacenti; mettere un gruppo di ragazzi in una foresta con il contorno d’una leggenda macabra e vedere cosa succede. L’idea c’è. Così anche la novità di sfruttare la droga come base per un horror. Peccato che poi ci si perda nella parte centrale del film: troppe corse, troppe grida inutili che fanno cadere interesse e tensione. Solo il trip di Bluto viene ben sviluppato, mostrandoci persino una mucca parlante, mentre negli altri ragazzi si vede solo uno sbandamento visivo, dato dallo sdoppiamento di immagini. Addio quindi agli effetti della droga che potevano essere sfruttati meglio, così anche gli effetti speciali. Il fratello nero, presunto assassino di turno, è troppo somigliante al mostro con la mannaia del videogioco Silent Hill. Gli stati preveggenti di Tara, che iniziano tutti con le convulsioni e terminano con il risveglio improvviso della stessa, sono ben costruiti, lasciando nell’incertezza di quando e come avverrà il prossimo omicidio. Interessante che sia il racconto di Jack che “l’occhio dell’assassino” siano realizzati con un effetto bianco e nero granuloso. Per quanto riguarda la sceneggiatura, le scene macabre sono troppo prevedibili; mentre la leggenda dell’Istituto risulta non molto chiara: in alcuni dialoghi alla strage ne sopravvive solo uno in altri ben due. Un bel guizzo si ha nel colpo di scena finale (anche se, a un occhio più attento, in un momento del film, si intuisce che la colpevole è proprio Tara), accostando il visino angelico della protagonista all’immagine d’una psicopatica assassina, che fa prendere vita alle leggende locali. Aspetto che si era già visto in Urban Legend (1998), anche se l’assassina lo faceva con consapevolezza, mentre Tara a livello inconscio. Solo il bambino cane è reale; sia l’incappucciato che il frate sono frutto della mente drogata della protagonista. Se lo scopo del regista Paddy Breathnach era instillare il dubbio che l’uso delle droghe possa far male, vi è riuscito solo in minima parte; proprio in virtù del fatto che i trip vengono poco sfruttati. Elena Mandolini SANGUE PAZZO Italia, 2008 Regia: Marco Tullio Giordana Produzione: Fabrizio Zappi, Angelo Barbagallo per Bibi Film/Paradis Film. In collaborazione con Rai Fiction/Rai Cinema/Canal+ Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 23-5-2008; Milano 23-5-2008) Soggetto: Marco Tullio Giordana Sceneggiatura: Leone Colonna, Marco Tullio Giordana, Enzo Ungari Direttore della fotografia: Roberto Forza Montaggio: Roberto Missiroli Musiche: Franco Piersanti Scenografia: Giancarlo Basili Costumi: Maria Rita Barbera Suono: Fulgenzio Ceccon, Luca Anzellotti, Decio Trani Casting: Barbara Melega Aiuto regista: Barbara Melega Interpreti: Monica Bellucci (Luisa Ferida), Luca Zingaretti (Osvaldo Valenti), Alessio Boni (Golfiero/Taylor), Maurizio Donadoni (Vero Marozin), Giovanni Visentin (Sturla), Luigi Diberti (Cardi), Paolo Bonanni (Pietro Koch), Mattia Sbragia (Alfiero Corazza), Alessandro Di Natale (Dalmazio), Tresy Taddei (Irene), Sonia Bergamasco (prigioniera), Luigi Lo Cascio (patriota), Marco Paolini (commissario politico), Giberto Arrivabene (capitano Arrivabene), Aden Sheik Mohamed (ambasciatore Haiti), Daniele Ferrari (Falieri), Adriano Wajskol (milite), Alessandro Bressanello (direttore hotel “Ai Dogi”), Giovanni Albanese (produttore), Stefano Scandaletti (Piero), Claudio Spadaro (portiere pensione Roma), Massimo Sarchielli (il Guercio), Lavinia Longhi (Desy), Marco Velutti (Aldo), Giuseppe Marchese (concierge Grand Hotel), Gabriele Dell’Aiera (partigiano Dil), Vincenzo Cutrupi (Mussolini), Mario Pegoretti (Silvestro), Danilo De Summa (Marò), Antonio Carillo (portiere hotel Regina), Lorenzo Acquaviva (comandante Borghese), Gianni Bissaca (Achilli), Aurora Quattrocchi (contessa), Marina Rocco (Gioietta), Paola Lavini (Spia Ovra), Gianni Di Benedetto (dottore), Manrico Gammarota (podestà) Durata: 150’ Metri: 4120 25 Film D ue bambini, trascinando una bicicletta, camminano tra le macerie. 1945, cinque giorni prima della Liberazione. Osvaldo Valenti, attore famoso e ufficiale della Decima Mas decide di consegnarsi nelle mani di una brigata di partigiani comandata da Golfiero, un ex regista malvisto dal regime e mandato in passato al confino. Valenti cerca per sé e per la sua donna, Luisa Ferida, da cui aspetta un bambino, la salvezza. E’ a partire da questa resa che si ripercorre tutta la vita di due tra i più famosi protagonisti del cinema italiano dell’epoca fascista. Valenti, attore istrionico, cocainomane e pronto a qualsiasi esperienza pur di salire alla ribalta, conosce Luisa, una giovane aspirante attrice, venuta da un paesetto di provincia nella capitale per cercare successo. Tra i due inizia subito un rapporto tempestoso, fatto di incontri fugaci e passioni consumate velocemente. Tuttavia, il primo a notare Luisa è Golfiero, giovane regista omosessuale, che vuole fare di lei una stella del cinema. Il regista infatti la lancia sul grande schermo e la donna si conquista anche un premio alla Mostra del Cinema di Venezia. I due sono legati da un grande affetto e da un rispetto così profondo da non cadere mai nelle braccia l’uno dell’altra. Ma siamo in un’epoca calda e i “gusti” e le idee di Golfredo sono invise al governo, che decide di mandarlo al confino. Intanto Luisa comincia a fare coppia fissa con Osvaldo, che è riuscito a girare il suo primo film, assecondandolo nei suoi vizi e nella sua voglia di ribellarsi al conformismo di regime. I due amanti decidono di avere un figlio, ma la donna a causa di un aborto naturale non porterà a termine la gravi- Tutti i film della stagione danza. Pur rimanendo Valenti un sostenitore del fascismo, al punto di rifiutare l’incarico di Direttore Generale dello Spettacolo, carica che dopo l’8 settembre gli avrebbe facilmente consentito di allontanarsi con la Ferida dall’Italia, sceglie invece di unirsi alla Repubblica Sociale. Valenti trova in Borghese un altro personaggio al di fuori delle regole e si arruola nella Decima Mas. Nel momento del crollo di tutte le speranze in una rivincita nazifascista, i due però godono di una pessima fama. Golfredo, tornato in patria, cerca in tutti i modi di allontanare la donna da Valenti, tanto più da quando l’uomo ha iniziato a bazzicare nella banda dello psicopatico Pietro Koch, bandito fascista che spadroneggia a Milano e tortura gli antifascisti. Ma Luisa e Osvaldo sono una cosa sola e la donna per trovargli la morfina arriva persino a concedersi all’amante del Koch. Sarà questo marchio d’infamia che li condurrà all’esecuzione. Luisa è incinta di nuovo; la situazione ormai per loro è critica e Osvaldo cerca la protezione di Golfredo consegnandosi spontaneamente nelle sua brigata di partigiani. Il regista li nasconde e li protegge finché gli è possibile, rimettendoci la sua stessa vita. Poco dopo, la coppia viene giustiziata, fucilata alle spalle e abbandonata in una strada di periferia con un cartello identificativo. I due bambini dell’inizio del film trovano i due corpi e prendono la pizza del film di Valenti. U n progetto tenuto nel cassetto e cullato gelosamente per quasi trent’anni per la mancanza di finanziamenti, Sangue pazzo è il melò politico di Marco Tullio Giordana, che raccon- 26 ta una storia vera attraverso gli occhi di due “maledetti”. Una storia italiana, in francese, Sangue pazzo in italiano, sinonimo siculo di “testa calda”, riporta Marco Tullio Giordana in selezione ufficiale a Cannes, anche se fuori concorso, dopo il successo imprevisto di La meglio gioventù. Il regista affronta un argomento spinoso con molta libertà, dipingendo un affresco di vita italiana che vuole svelare fatti e retroscena soprattutto emozionali, ignoti alla storia ufficiale, con un intento educativo-morale, e non critico-storico. L’alba del 30 aprile 1945, cinque giorni dopo la Liberazione, vennero trovati nella periferia di Milano i cadaveri di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, giustiziati poche ore prima dai partigiani. Coppia celebre nella vita oltre che sullo schermo, Valenti e Ferida erano stati due divi di quel cinema che il fascismo aveva tanto incoraggiato, nell’epoca dei “telefoni bianchi”. Entrambi cocainomani e sessualmente promiscui, dopo l’armistizio Valenti e Frida risalirono al nord, si stabilirono prima a Venezia, dove girarono con successo qualche film, poi a Milano dove sembra si arruolassero nella banda di torturatori antifascisti di Villa Triste. Consegnatisi poi ai partigiani pochi giorni prima della Liberazione, i due negarono ogni addebito, ma il Comitato di Liberazione pretese per loro una punizione esemplare. In realtà, il loro coinvolgimento diretto nelle nefandezze di Koch (Valenti aveva bisogno di droga, questo è sicuro, ma che la Ferida ballasse mentre seviziava i prigionieri è probabilmente una leggenda) non è stato mai provato. E tutto romanzesco, ma molto verosimile, è il mondo del cinema che gira loro intorno. A partire dalla figura di Golfiero, regista lombardo aristocratico, omosessuale e partigiano, che allude liberamente a Visconti, mentre il Direttore generale della Cinematografia potrebbe fare riferimento alla figura di Luigi Freddi, giornalista e politico, vicesegretario dei Fasci Italiani all’estero, che nel 1934 fu appunto nominato alla dirigenza della Cinematografia, organismo di controllo fascista sul cinema. Il film inevitabilmente ha creato scalpore e, in particolare, è nata una polemica sulla frase pronunciata nell’unica scena in cui compare, nei panni di partigiano, Luigi Lo Cascio: “Abbiamo fatto giustizia”. Che sia ricostruzione o reinvenzione, Sangue pazzo è un film coraggioso che, partendo da una vicenda privata, prova a fare un ritratto di un’epoca. E lo fa servendosi di un cast davvero eccellente. A partire da un incredibile Luca Zingaretti che regge l’intero film, a un convincente Alessio Boni, a Sonia Bergamasco, il cui cammeo le fa Film davvero onore. Non poteva mancare Lo Cascio, attore venerato da Giordana, anche se per pochi secondi in scena. La Bellucci ha provato ancora una volta a far vedere che “oltre le gambe c’è di più”; tuttavia lo sforzo è stato inutile. Seppure il film vada un po’ per le lunghe (ben due ore e Tutti i film della stagione mezza), la regia è impeccabile e alcune invenzioni poetiche sono davvero straordinarie. L’interessante incontro faccia a faccia tra Valenti e Golfredo nel tram e l’improvvisazione dell’attore che racconta la storia del suo film, che è la loro stessa vita; per non parlare della splendida sequenza finale, in cui ritornano i due bambini dell’inizio (tanto ci ricordano il neorealismo) che, rubata la bobina, salgono in bicicletta, lasciando che per strada scorrano i fotogrammi del film. Veronica Barteri NELLA RETE DEL SERIAL KILLER (Untraceable) Stati Uniti, 2008 Effetti speciali trucco: Jamie Kelman, Matthew W.Mungle Coordinatore effetti speciali: Larz Anderson Supervisori effetti visivi: Vincent Girelli (Luma Pictures), Jonathan Rothbart (The Orphanage), Chad Schott (LOOK! Effects), James McQuaide Coordinatori effetti visivi: Anna Fields (The Orphanage), James Notari, Gabe Shedd Supervisore effetti digitali: Justin Johnson (Luma Pictures) Interpreti: Diane Lane (Jennifer Marsh), Billy Burke (Detective Eric Box), Colin Hanks (agente Griffin Dowd), Joseph Cross (Owen Reilly), Mary Beth Hurt (Stella Marsh), Peter Lewis (Richard Brooks), Tyrone Giordano (Tim Wilks), Perla HaneyJardine (Annie Haskins), Tim De Zarn (Herbert Miller), Christopher Cousins (David Williams), Jesse Tyler Ferguson (Arthur James Elmer), Trina Adams, Ryan Deal, West A.Helfrich (poliziotti), Brynn Baron (sig.ra Miller), John Breen (Richard Weymouth), Dan Callahan (Trey Reston), Erin Carufel (Melanie), Marilyn Deutsch, Jim Hyde (giornalisti), Gray Eubank (Ray), Pete Ferryman, Kerry Tomlinson (giornalista Daytime), David Freitas, Kimberly Maus (giornalisti Five O’Clock), Zack Hoffman (capo della Polizia Michael Bagley), Sarah Brillhart (figlia della signora Miller), Diana Brillhart (Figlia della signora Miller), Ryan Hopkins (ragazzino), len Huynh (Tom Park), Dax Jordan (Scotty Hillman), Daniel Liu (detective Tom Moy), Kirk Mouser (agente dell’FBI Carter Thompson), Betty Moyer (Assistente), Katie O’Grady, David Wilson (reporters Portland), Jamal N.Qutub (Stoner giovane), David Wilson Durata: 100’ Metri: 2650 Regia: Gregory Hoblit Produzione: Andy Cohen, Hawk Koch, Gary Lucchesi, Steven Pearl, Tom Rosenberg per Cohen-Pearl Productions/Lakeshore Entertainment Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 1-8-2008; Milano 1-8-2008) V.M.: 14 Soggetto: Robert Fyvolent, Mark Brinker Sceneggiatura: Robert Fyvolent, Mark Brinker, Allison Burnett Direttore della fotografia: Anastas N.Michos Montaggio: Gregory Plotkin, David Rosenbloom Musiche: Christopher Young Scenografia: Paul Eads Costumi: Elisabetta Beraldo Produttori esecutivi: James McQuaide, Eric Reid, Harley Tannenbaum, Richard S.Wright Produttore associato: Sarah Platt Direttori di produzione: Ted Gidlow, Hawk Koch Casting: Deborah Aquila, Jennifer L.Smith, Mary Tricia Wood Art director: Michael L. Mayer Arredatore: Cindy Carr Aiuti regista: Scott Andrew Robertson, Kristen Ploucha, Steven F. Beaupre, Jonas Spaccarotelli, Cris Dearce Operatore: Mitch Dubin Operatore steadicam: George Billinger III Arredatore: Cindy Carr Trucco: Christina Smith, Molly Craytor, D.Garen Tolkin Acconciature: Trish Almeida, Barbara Lorenz, Jennifer Strauss, Amanda Williams P ortland, Oregon. Jennifer e Griffin sono agenti dell’Fbi, dipartimento crimini informatici. Una sera come tante, tra la scoperta d’un sito illegale e la cattura “teleguidata” d’un contrabbandiere della rete, i due incappano in un inquietante sito che, come unico contenuto, offre lo spettacolo della morte lenta d’un gattino. In breve, la coppia scopre che non si tratta d’un sito comune, chi l’ha costruito è un esperto e non vuole farsi rintracciare. Viene ufficialmente avviata un’indagine. Non passa una settimana che killwithme.com (uccidiconme.com), il sito sotto indagine, torna all’attività mostrando le immagine d’un uomo legato e collegato a una flebo: più aumentano i contatti dei visitatori, maggiore è la dose di eparina (anticoagulante) che entra nel corpo dell’uomo, più rapidamente si avvicina la morte. Basta qualche ora perché l’uomo muoia dissanguato sotto gli occhi degli agenti incapaci di fermare l’omicida. Al fianco dei due agenti specializzati in crimini informatici, arriva il detective Eric Box, un collega del defunto marito di Jennifer. Le indagini cominciano a dare i primi frutti. Griffin scopre l’identità del blogger dal sito del quale è partito il primo commento a killwithme.com: ma il ragazzo è morto un’ora prima che il commento fosse pubblicato. La seconda vittima designata è un giornalista televisivo, attirato dal killer con un’inserzione di collezionismo. Mentre l’uomo rapidamente viene arso vivo dalla potente luce di decine di lampade che si accendono con l’aumentare degli internauti che ne spiano le sof27 ferenze, gli agenti dell’Fbi scoprono la casa dove il reporter è stato rapito: il killer, però, ha previsto tutto, lasciando vuoto l’appartamento subito dopo la cattura della sua preda. Una mattina, mentre Jennifer è sotto la doccia, la figlia scopre per caso che sul sito del killer c’è casa sua, ripresa dall’esterno, in diretta: il misterioso criminale è penetrato nella rete domestica, e ha ratificato il suo minaccioso avvertimento, nascondendo il secondo cadavere proprio davanti l’abitazione dell’agente federale. Jennifer organizza l’allontanamento precauzionale della madre e della figlia; nel frattempo riceve da Griffin la notizia della fondamentale scoperta d’un collegamento tra il blogger morto e la serie di omicidi. Ma, in poche ore, anche il colle- Film ga amico si ritrova tra le mani del serial killer, legato, immerso fino al collo in una vasca trasparente, piazzato davanti alle solite videocamere. Anche questa volta, i colleghi assistono impotenti all’atroce morte della vittima, letteralmente sciolta dall’acido solforico versato nell’acqua della vasca. Griffin, però, prima di morire, riesce – sbattendo le palpebre secondo il codice morse – a trasmettere alla collega la chiave del mistero. Finalmente l’identità del killer è svelata insieme alla logica della sua strategia di morte: le vittime designate sono state tutte parte attiva nella cannibalizzazione mediatica della morte del professor Reilly, suicidatosi su di un ponte in pieno giorno; il figlio Owen, con la sua vendetta, vuol essere moralizzatore di una società voyeuristicamente corrotta. Prima che la polizia possa catturarlo, il ragazzo riesce a rapire Jennifer per farne ultima vittima del suo “tritacarne Tutti i film della stagione mediatico”. Legata a testa in giù sopra una falciatrice, la donna riesce incredibilmente a divincolarsi e a uccidere il ragazzo. Stesa a terra, stremata, mostra alla videocamera, abbandonata accanto al cadavere del killer, il suo distintivo. G regory Hoblit, regista e produttore per il cinema e la televisione, è noto al grande pubblico per aver diretto Edward Norton in Schegge di paura (Primal fear, 1996), dando all’allora giovane attore ancora poco noto, l’occasione per dimostrare il proprio talento. Dopo il recente Il caso Thomas Crawford (2007), Hoblit dirige questo thriller granguignolesco che in molti hanno visto a metà tra il giovane filone iniziato dal mediocre The Net e la nuova fioritura del cinema gore. La cifra del film sembra essere l’ingenuità. A cominciare dalla “morale” del progetto che si preoccupa di pronunciare condanna contro la spettacolarizzazione della violenza e l’informazione spazzatura, contro il fin troppo discusso voyeurismo della moderna società dello spettacolo, per poi mettere in scena le fantasiose torture dell’antagonista con perfetta disinvoltura, senza risparmiare mai un dettaglio. Hoblit, però, non sembra essere così interessato alla “taratura filosofica” del suo progetto e, risolto il problema della rappresentazione critica degli atroci delitti attraverso l’insistita (e ancora una volta radicalmente ingenua) mostra di videocamere, lenti, obiettivi e tutta la tecnologia possibile, si concentra sull’orchestrazione del duello a distanza tra l’agente dell’Fbi e l’omicida seriale. Ne risulta un thriller non disprezzabile, che sembra fare il verso alle crime series televisive tanto in voga, riecheggiandone caratteristici topoi, addolciti, edulcorati, sovvertiti. Silvio Grasselli LA TERRA DEGLI UOMINI ROSSI BIRDWATCHERS Italia/Brasile, 2008 Casting: Urbano Palacio, Nereu Schneider Aiuto regista: Maria Farkas Suono: Gaspar Scheuer Interpreti: Abrisio Da Silva Pedro (Osvaldo), Alicelia Batista Cabreira (Lia), Ademilson Concianza Verga (Ireneu), Ambrosio Vilhalva (Nadio), Claudio Santamaria (Roberto, lo spaventapasseri), Mateus Nachtergaele (Dimas), Fabiane Pereira Da Silva (Maria), Chiara Caselli (Beatrice, fazendeira), Leonardo Medeiros (Il fazendeiro), Nelson Concianza (Nhanderu/Lo Sciamano), Poli Fernandez Souza (Tito), Eliane Juca Da Silva (Mami), Inéia Arce Gonçalves (Neo, cameriera), Leonardo Medeiros (Lucas Moreira), Urbano Palacio (Josimar) Durata: 108’ Metri: 2970 Regia: Marco Bechis Produzione: Amedeo Pagani, Marco Bechis e Fabiano Gullane per Classic, Rai Cinema, Karta Film, Gullane Filmes Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 5-9-2008; Milano 5-9-2008) Soggetto: Marco Bechis Sceneggiatura: Marco Bechis, Luiz Bolognesi. Con la collaborazione di Lara Fremder Direttore della fotografia: Helcio Alemao Naqamine Montaggio: Jacopo Quadri Musiche: Andrea Guerra. Brani di Domenico Zipoli Scenografia: Caterina Giargia, Clovis Bueno Costumi: Caterina Giargia, Valeria Stefani Produttori esecutivi: Caio Gullane, Marco Bechis, Daniele Mazzocca M ato Grosso do Sul (Brasile), 2008. I fazendeiros conducono la loro esistenza ricca e annoiata. Possiedono campi di coltivazioni transgeniche che si perdono a vista d’occhio e trascorrono le serate in compagnia dei turisti venuti a guardare gli uccelli (birdwatchers). Ai limiti delle loro proprietà, cresce il disagio degli indio che di quelle terre erano i legittimi abitanti. Costretti in riserve, senza altra prospettiva se non quella di andare a lavorare in condizioni di semi schiavitù nelle piantagioni di canna da zucchero, moltissimi giovani si tolgono la vita. In seguito a un ultimo suicidio, un gruppo di Guarani-Kaiowà, guidati da un leader, Nadio e da uno sciamano, si accampa ai confini di una proprietà per reclamare la restituzione delle terre. A nulla servono i ripetuti inviti del fazendeiro a tornare nella riserva: il gruppo resiste a oltranza, osservando a distanza i suoi antagonisti. Nei pressi dell’accampamento, viene insediato un uomo del fazendeiro, lo Spaventapasseri, un giovane che dovrebbe tenere a bada le eventuali intemperanze, ma è più impegnato a resistere alle provocazioni dei suoi improvvisati vicini. Il giovane apprendista sciamano Osvaldo, ossessionato dalla percezione dello spirito di un amico morto 28 suicida, conosce Maria, la figlia del fazendeiro. Fra i due sembra esserci un’intesa finora apparsa impossibile. Nel frattempo, gli indios sono sovente costretti ad abbandonare l’accampamento per andare a lavorare e guadagnare dei soldi necessari alla sopravvivenza del gruppo. Nadio, visibilmente ostile a questi cedimenti, è sempre più isolato. Quando torna all’accampamento il figlio, ai piedi un paio di scarpe da ginnastica appena comprate con i soldi del lavoro, Nadio non ci vede più, reagisce con astio e lo caccia. Pagherà cara questa sua severità: il ragazzo, sperduto e spiazzato dalla severità paterna, si impiccherà a Film un albero, l’ennesimo suicidio di un Guarani-Kaiowà. Il gruppo decide di andare avanti e spingersi quasi ai limiti della fazenda. Nel frattempo, chi è al servizio del fazendeiro, decide che non è più il caso di continuare con il permissivismo. Questo progressivo sconfinamento di un manipolo di indios potrebbe essere un cattivo esempio per gli altri. Nottetempo, col tacito assenso del fazendeiro che già prepara i bagagli per scomparire qualche tempo con la famiglia, assaltano l’accampamento. Nadio trova la morte. Osvaldo raggiunge la fazenda, il volto dipinto di nero come i guerrieri. Emettendo grida ferine, giura vendetta e maledice gli astanti, compreso il fazendeiro che con la propria famiglia stava per partire. I suoi uomini allontanano Osvaldo, al quale non resta che tornare nella foresta. Sopra un albero, nel cuore della notte, a contatto con lo spirito dell’amico morto, Osvaldo rinuncia al proprio destino di suicida, in nome di una ritrovata autoconsapevolezza. Q uello di Marco Bechis era un film dal quale, inutile nasconderlo, ci si aspettava molto. Dei quattro titoli italiani in concorso a Venezia, sulla carta, appariva quello in grado attirare i favori di una giuria internazionale e mettere d’accordo pubblico e critica, come raramente avviene in Italia (specie se, a cercare questo duplice consenso, sono registi come Avati, Ozpetek e Corsicato). Birdwatchers aveva dalla sua un regista dalla misurata filmografia come Marco Bechis, parco nella propria produzione per motivi di modus operandi: ogni suo titolo è il frutto di una ricerca sul campo incessante e di una documentazione fitta e puntigliosa, necessaria in un cinema che fa della collocazione geografica un punto di forza e un elemento narrativo di primo piano. Così, dopo l’amaro, impersonale amarcord di Garage Olimpo (anche Bechis fu vittima di sequestro e sevizie ai tempi della dittatura argentina) e il Come eravamo di Hijos, che con amaro spirito di tragedia greca trasferiva le vicende dei desaparecidos argentini nei volti dei figli adottati da chi, quei desaparecidos, li aveva personalmente torturati, la cinepresa “globalizzata” del regista italo-cileno si sposta nelle regioni del Mato Tutti i film della stagione Grosso brasiliano per riflettere su una tematica primigenia e primordiale: l’appartenenza alla propria terra, le radici di un popolo progressivamente estirpate da una globalizzazione che è, in realtà, oggi quanto ieri, moderna colonizzazione e viatico di sfruttamento delle risorse indigene. Qualcosa di molto nobile sul piano delle intenzioni, ma non del tutto riuscito sul piano delle intenzioni. Le cause di un miracolo mancato, dopo la riuscita trasfigurazione lirica del piano storico e sociale nei titoli precedenti, possono essere molteplici: la più evidente, se Birdwatchers non scalda i cuori come dovrebbe, è l’oggettiva difficoltà riscontrata da Bechis nel raccontare una vicenda “altrui”, ossia non da lui medesimo vissuta e filtrata, distante dalla propria persona molto più delle migliaia di chilometri che separano lo spettatore dalle praterie brasiliane riprese su grande schermo. E la sensazione che sia avvenuto qualcosa del genere diventa certezza col passare dei minuti, constatando la mancata fusione del racconto con l’analisi sociale del mondo circostante; elemento, quest’ultimo, che può dirsi riuscito se è vero che regala al film un inizio convincente, lucido, privo di falsi veli (la prima sequenza svela molto bene l’amaro retroscena di un mondo solo in apparenza libero e incontaminato); qualcosa che funziona anche grazie alla riuscita scelta del cast, con autentici indios Guaranti-Kaiowà chiamati a interpretare se stessi. Ma quel che attende lo spettatore, all’interno di un mondo così ben descritto 29 da Bechis in cui nemmeno chi aspira a una libertà totale può prescindere dal lavoro salariato, è una storia convenzionale e senza forza, sorprendentemente (per gli standard del regista) dicotomica e manichea nonostante la presenza dei due ragazzi come unico punto di contatto tra due mondi distanti (trovata, anche questa, non molto originale). Sorprende, soprattutto, una mancanza di cattiveria e l’assenza di una scintilla a lungo attesa per tutto il film e mai scoccata: quella di una violenza a un tratto palesemente inevitabile, già scritta, ineluttabile. Uno scontro finale, tra invasori e invasi, che invece il film evita, quasi infastidito all’idea di dovercisi impantanare. Ma insomma, proprio non si capisce perché questi indigeni vessati dai fazendeiros, desiderosi della loro libertà, apertamente ostili a chi li sorveglia e vuole porre loro un freno (il tutto nella persona di un anestetizzato Claudio Santamaria), si fermino proprio sulla soglia del piede di guerra che avevano imboccato. Né perché, all’atto di accusa che tutti ci saremmo aspettati lanciare dal regista, ci siamo ritrovati di fronte a parentesi pseudo - mistiche o a banali excursus su usi e costumi di indigeni e fazendeiros che non regalano granché al narrato e relegano un po’ tutti i personaggi a figurine sullo sfondo, sempre pronte ad avallare un teorema già prefissato piuttosto che a metterlo in discussione con i vari passaggi. Un’occasione mancata, purtroppo. Gianluigi Ceccarelli Film Tutti i film della stagione SERENITY (Serenity) Stati Uniti, 2005 Regia: Joss Whedon Produzione: Barry Mendel per Universal Pictures/Barry Mendel Productions/Mutant Enemy Distribuzione: UIP Prima: (Roma 25-11-2005; Milano 25-11-2005) Soggetto e sceneggiatura: Joss Whedon Direttore della fotografia: Jack N. Green Montaggio: Lisa Lassek Musiche: David Newman Scenografia: Barry Chusid Costumi: Ruth E. Carter Produttori esecutivi: Christopher Buchanan, David V. Lester, Alisa Tager Direttore di produzione: David Siegel Casting: Anya Col off, Amy McIntyre Britt Aiuti regista: Rich Sickler, Jack Steinberg, Ruby Stillwater, Maria Battle-Campbell, Mark Brooks Operatori: Ryan Green, Andrew Shulkind Arredatori: Larry Dias, Jim Johnson Supervisori effetti trucco: Howard Berger, Gregory Nicotero, Scott Stoddard Trucco: Camille Calvet, Garrett Immel, Christopher Allen Nelson, Mary Kay Witt U na voce fuori campo ci racconta di come, essendo la Terra sovrappopolata, gli umani abbiano terraformato un altro sistema solare con decine di pianeti e centinaia di lune. I pianeti si sono uniti in un’Alleanza galattica, ma non tutti si sono allineati. Ne è nata una guerra terribile tra Alleanza e Indipendenti, conclusasi con la vittoria dell’Alleanza, che si prodiga di portare pace e un nuovo modo di pensare a tutti i non allineati. Ora vediamo che la voce fuori campo è quella di una maestra che insegna ad alcuni giovanissimi, tra i quali una sola scettica, che accusa l’Alleanza di essere costituita da invasori. Ma è solo un flashback nella mente di River, mentre uno scienziato dell’Alleanza, che la tiene prigioniera, sta cercando di controllarne i poteri telepatici e di veggenza manipolandole il cervello. Lo scienziato spiega i suoi metodi di controllo a un membro del Parlamento dell’Alleanza che risulta però essere Simon, il fratello di River, giunto sul luogo per salvarla. Grazie ai suoi poteri telepatici, River e Simon riescono a raggiungere la tromba di un ascensore e a salvarsi con l’aiuto di una navetta. Ma anche questo è un flashback. O, meglio, la registrazione della fuga di River, visionata da un agente speciale del parlamento, un “Operativo” senza nome e identità, giunto a prendere in mano la situazione. Uccide lo scienziato che ha fallito la missione e poi si mette alla ricerca di River che, da telepatica, può aver “letto” nelle menti segreti che non devono essere divul- Acconciature: Jennifer Bell, Sean Flanigan Supervisore effetti speciali: John K. Stirber Coordinatore effetti speciali: Daniel Sudick Supervisori effetti visivi: Dan Deleeuw (Rhythm & Hues Studios), Syd Dutton, Bill Taylor (Illusion Arts), Randy Goux (Zoic Studios), Richard Malzahn (Perpetual Motion Pictures), Loni Peristere Coordinatori effetti visivi: Thomas Elder-Grobbe, Eric Withee (Zoic Studios), Collin Fowler (Illusion Arts), Stephanie Pollard (Perpetual Motion Pictures), Susie Brubaker, Patrick D. Hurd Supervisore effetti digitali: Bud Myrick (Rhythm & Hues) Supervisore costumi: Dana Kay Hart Interpreti: Nathan Fillion (Mal), Gina Torres (Zoe), Alan Tudyk (Wash), Morena Baccarin (Inara), Adam Baldwin (Jayne), Jewel Staite (Kaylee), Sean Maher (Simon), Summer Glau (River), Ron Glass (Shepard Book), Chiwetel Ejiofor (detective private), David Krumholtz (Mr. Universe), Michael Hitchcock (dr. Mathias), Sarah Paulson (dr. Caron), Yan Feldman (Mingo), Rafael Feldman (Fanty) Durata: 119’ Metri: 3300 gati. River e Simon, come sa chi ha visto la serie tv Firefly di cui Serenity è un sequel, hanno travato rifugio presso la nave Serenity, classe Firefly, comandata dal capitano Malcolm “Mal” Reynolds, reduce di guerra nelle fila degli Indipendenti, costretto con il suo esiguo equipaggio ad accettare incarichi più o meno legali per sopravvivere nei pianeti di frontiera. Dopo aver rubato una grossa somma ed essere scampati a un assalto dei sanguinari Reavers, cannibali e stupratori. River e Simon sbarcano dalla Serenity. Nello stesso locale dove Mal e Zoe, la sua secondo ufficiale, cercano nuovi ingaggi, River vede una pubblicità, pronuncia la parola “Miranda” e inizia a picchiare tutti i presenti, dimostrando sorprendenti doti da combattente, mettendo tutti a terra. Solo Simon riesce a farla cadere addormentata pronunciando una frase. Mal decide di riprendere a bordo River, anche se, non sapendo se riconosce suoi amici, viene legata e rinchiusa in una stanza, per precauzione. Nessuno critica la decisone di Mal tranne Jayne, il membro mercenario dell’equipaggio, che preferirebbe sbarazzarsi di River e di Simon. Intanto grazie a Mr. Universe, un suo amico esperto informatico, Mal scopre che lo spot conteneva un messaggio subliminale per “attivare” River e poter così scoprire dove si trova. Sapendo di avere l’Alleanza alle calcagna, Mal fa prima tappa sul pianeta dove alloggia il pastore Book, che era già stato a bordo della Serenity, il quale lo con30 siglia, se vuole combattere il suo inseguitore, di “avere fede”; poi, lasciato il pianeta, viene contattato da Inara, altro ex membro dell’equipaggio, ed ex di Mal. Inara lo invita ad andarla a trovare, Mal capisce che l’invito è una trappola e infatti, recatosi là, incontra l’“Operativo” dell’Alleanza che intima a Mal di consegnarli River. Mal accusa l’uomo di malvagità, l’Operativo risponde che le sue azioni servono a costruire un mondo migliore, che lui non vedrà per le cose terribili che ha compito, necessarie allo scopo. Mal ingaggia una lotta corpo a corpo nella quale ha la peggio e, salvato dall’astuzia di Inara, tornano entrambi sulla Serenity, Mal si dirige dal reverendo Book. L’accampamento è stato però attaccato e sono tutti morti, Book ha giusto il tempo per dare l’ultimo saluto a Mal e ricordargli di credere in qualcosa se vuole vincere quella battaglia. Mal decide allora di andare su “Miranda”, che è un pianeta non presente nei database, per raggiungere il quale deve attraversare il territorio dei Reavers. Jayne non vuole seguirlo. Mal si impone come comandate della Serenity e nessuno osa replicare. Usando i cadaveri come trofei da mettere sullo scafo della nave, proprio come fanno i Reavers, la Serenity raggiunge Miranda e lì scopre la verità: in un filmato, una scienziata spiega che su quel pianeta venne sperimentato “Pax”, un gas che doveva rendere i coloni più mansueti, solo che tutta la popolazione cadde in atarassia, mentre su un 10% ebbe l’effetto contrario facendoli trasforma- Film re in pazzi assassini: i Reavers. Il nastro è vecchio, prima della guerra e dimostra che L’Alleanza cercava di rendere i coloni non allineati più mansueti col gas... Tutti devono vedere quel filmato. Mal pensa di usare le capacità di Mr. Universe. Scampati all’attacco dei Reavers, provvido, visto che permette alla Serenity di mettersi in fuga da una nave da guerra dell’Alleanza, sul pianeta di Mr. Universe un arpione infrange i vetri della Serenity, trapassando il petto di Wash, pilota della nave nonché marito prediletto di Zoe, uccidendolo. I Reavers li hanno inseguiti. Sulla stazione Mal scopre che Mr. Univers è stato ucciso dall’Operativo. Mentre cerca di trasmettere comunque il messaggio, il resto dell’equipaggio cerca di impedire ai Reavers di attaccare. Mal combatte con l’Operativo e stavolta vince, grazie a una ferita di guerra che rende inefficace una mossa segreta del suo avversario e riesce a trasmettere il video. Intanto gli altri riescono a tenere a bada i Reavers, anche grazie al sacrificio di River che si è chiusa con loro in una stanza bloccando il passaggio mettendo così in salvo gli altri. Ma, quando la porta si riapre, River è viva e ha sconfitto tutti i Reavers, ma non gli agenti dell’Alleanza che starebbero per catturarli se l’Operativo non desse l’ordine di lasciarli andare. L’Alleanza è indebolita, ma non ancora sconfitta, come ricorda l’Operativo a Mal. A lui e al suo equipaggio non rimane che continuare a fuggire. River prende il posto di Wash, mentre Simon può finalmente dichiarare il suo amore alla giovane Kaylee, ingegnere della nave. L a fantascienza cinematografica e televisiva continuano a essere la sorella povera di tutta la produzione mediatica contemporanea. Territorio di nicchia, considerato di sicuro appannaggio solo di brufolosi adolescenti a corto di ragazze, questo genere viene nobilitato solo se ha come regista un nome famoso, oppure se, alle origini dello script, c’è un altrettanto famoso romanzo (a differenza dell’Italia, la fantascienza letteraria gode di ottima salute in tutto il resto d’occidente...). Serenity invece appartiene alla più genuina fantascienza cinetelevisiva, nata dalle ceneri di una malnata serie televisiva creata da Joss Whaedon (l’ideatore di Buffy l’ammazza vampiri e dello spin-off Angel), talmente bistrattata che la Fox (il network che lo ha prodotto) ha mandato in onda gli episodi senza seguire la numerazione originale in barba all’accumulo narrativo con cui Wheadon faceva sviluppare il carattere dei suoi personaggi di Tutti i film della stagione episodio in episodio. Per cui, quando la serie è stata sospesa all’episodio 14 (ma solo 10 sono stati messi realmente in onda) Wheadon, che aveva ancora molto da raccontare, ha deciso di farne un film. L’azione prende luogo sei mesi dopo l’ultimo episodio, ma, essendo il film naturalmente autonomo dalla serie, la storia non richiede necessariamente la conoscenza dei fatti avvenuti prima. L’universo di Serenity è totalmente diverso da quello pro-tecnologico e positivista di Star Trek: qui tutto è sporco, la tecnologia è immersa in un orizzonte di insediamenti che ricordano molto più da vicino la frontiera del west ottocentesco che le architetture futuristiche. La tecnologia non ha affrancato l’uomo dalla miseria e dalla malattia, anzi una forza colonialista cerca di imporre il suo punto di vista alche a chi non si vuole alienare. Il parallelo con il nostro Pianeta e la sua complessa geopolitica è fin troppo evidente. D’altronde a Whedon non interessa la fantascienza come profezia del futuro, né come critica apocalittica ai mali irrimediabili del nostro presente autodistruttivo. Whedon è un creatore di personaggi che inserisce in determinati contesti e poi lascia crescere autonomamente. E, per essere un autore statunitense, colpiscono alcune caratteristiche di questa sua opera prima: la mancanza di un capo carismatico, (Mal non ha più fiducia nelle sue qualità di leader da quando ha perso quasi tutti i suoi uomini in battaglia, durante la guerra) l’assenza dell’esaltazione del singolo eroe che risolve ogni situazione da solo (qui la vita di ognuno è nelle mani di quella degli altri e che River riesca da sola a spazzare via i Reavers non rientra certo nella casistica dei personaggi hollywoodiani), la mancanza dell’ingombrante quanto dannatamente superficiale misticismo di certa fantascienza apocalittica da Guerre Stellari al Dune cinematografico di Lynch (fatto salvo il capolavoro letterario da cui è tratto). Serenity non si ammanta di alcuna retorica forte per una storia nella quale contano le relazioni umane e la fiducia in ciò che si crede, la necessità di credere in qualcosa, tipico elemento protestante scevro però da ogni retorica (perché ogni volta che ti parlo di fede devi subito pensare a qualcosa di religioso? Gli chiede padre Brown...). Un film intelligente e non presuntuoso che sa non prendersi troppo sul serio, pur rimanendolo in quel che racconta, con degli effetti speciali (discreti) al servizio della storia e una regia solida e non banale (memorabile il piano-sequenza interminabile quando vediamo l’equipaggio muoversi dentro la Serenity per la prima volta…). Purtroppo il film non ha avuto un buon esito al botteghino, andando a guadagnare all’incirca quel che era costato (39 milioni di dollari). Viceversa, per il pubblico appassionato di fantascienza, è stato un film graditissimo, tanto da essere annoverato, dai lettori della rivista inglese Sci-Fi, trai i migliori film di fantascienza della storia, giudizio sicuramente iperbolico, ma che testimonia della passione dell’amore per questo genere cinematografico da noi, e non solo, ancora tanto bistrattato. Alessandro Paesano PA-RA-DA Italia/Francia/Romania, 2008 Regia: Marco Pontecorvo Produzione: Marco Valerio Pugini, Ute Leonhardt per Panorama Films/Yalla Films/ Domino Film Ltd.. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 19-9-2008; Milano 19-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Marco Pontecorvo, Roberto Tiraboschi Direttore della fotografia: Vincenzo Carpineta Montaggio: Alessio Doglione Musiche: Andrea Guerra Scenografia: Paola Bizzarri Costumi: Sonoo Mishra Suono: Valentino Amato, Maurizio Argentieri Interpreti: Jalil Lespert (Miloud), Evita Ciri (Livia), Grabiel Rauta (Mihai), Patrice Juiff (Stephane), Bruno Abraham Kremer (ambasciatore), Robert Valeanu (Cristi), Cristina Nita (Tea), Liviu Bituc (Mosu), Florin Precup (Vlad), Andreea Perminov (Alina), Iulian Bucur (Constantin), Georgiana Anghel (Maria), Gabriel Huian (Viorel), Daniele Formica (don Guido) Durata: 100’ Metri: 3020 31 Film 1 992. Miloud Oukili è un clown franco-algerino, che decide di andare in Romania con la Handicap International, per lavorare negli orfanotrofi. Dopo due mesi, giunge a Bucarest dall’amico Rihai e da Livia, entrambi assistenti sociali. Miloud, entra subito in contatto con una degradante realtà: bambini che dormono nelle fogne, vivono di prostituzione e sniffando colla. Deciso a fare qualcosa per quei bambini, chiamati Boskettari, tenta di avvicinarli usando l’arte clownesca. Conosce così il gruppo, fra cui spicca Cristi, innamorato della coetanea Alina, e Tea che è rimasta incinta e non vuole abortire. Miloud dorme nelle fogne con loro e inizia ad affezionarsi, al punto tale da restare a Bucarest a tempo indeterminato. Con l’aiuto dei suoi amici e di Stefan, componente di una O.N.G., decide di investire i suoi soldi e di finanziare un progetto per salvare i suoi nuovi amici, che non hanno ancora completa fiducia in lui. Esasperato da alcuni fallimenti, Miloud sembra abbandonarli, ma saranno proprio i bambini a richiamarlo a loro. Riparte il progetto. Tea partorisce David, che gli viene subito portato via con la promessa che potrà riabbracciarlo solo quando si sarà disintossicata. Elena, una nuova bambina del gruppo, viene stuprata da un poliziotto. Miloud tiene testa ad alcuni poliziotti che fingono di non sapere nulla. Il clown si ritrova così in questura, per vendetta, con l’accusa d’essere lui stesso un pedofilo. L’ambasciata gli intima di tornare in Francia; consiglio che Miloud non segue, anche grazie all’affetto che gli han- Tutti i film della stagione no dimostrato i suoi protetti in questa circostanza. Livia e Miloud iniziano ad amarsi. Dopo la morte, avvenuta per overdose di alcool, di un amico adulto del gruppo, Miloud riesce ad avere un’idea: creare un’associazione autofinanziata da spettacoli circensi realizzati assieme ai quei bambini. Tutti accettano e decidono di chiamarla Pa-ra-da. I ragazzi vengono iniziati all’arte e pian piano si allontano dalla droga. Miloud, anche grazie a Livia e il suo gruppo, riesce a organizzare il primo spettacolo per la notte di Natale. Miloud, viene intralciato da un protettore e dalla polizia che, con una retata, porta via tutti i bambini. Grazie a Rihai, riescono a recuperarli tutti, tranne Alina che è già stata assegnata in un orfanotrofio da cui però fuggirà. Verrà ritrovata poco dopo stuprata ed uccisa. Il gruppo ne resta sconvolto, ma comprende finalmente ciò che Miloud ha sempre cercato di insegnargli: il rispetto per se stessi. È la notte di Natale; Pa-ra-da fa il suo spettacolo. 1993, ora sono a Parigi con il loro spettacolo. M arco Pontecorvo, figlio del grande Gillo, fa il suo esordio nel mondo dei lungometraggi dopo il successo del corto Ore 2: calma piatta; e lo fa senza sfigurare la degna discendenza paterna. Pa-ra-da, menzione speciale e vincitore di premi collaterali alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, è un film verità crudo ma umano, che si basa sulla storia dell’artista di strada Miloud Oukili e dell’estremo tentativo di salvare dei bambini di Bucarest da una vita di miserie; anche sincero, com’è del re- sto sincera l’interpretazione del protagonista Jalil Lespert (Mai sulla bocca), al punto tale da rendere inscindibile il vero Miloud dall’attore. Prostituzione, droga, abusi sessuali e di potere. Una Bucarest non molto edificante quella raccontata, con poliziotti corrotti e pedofili che chiudono gli occhi davanti alle condizioni inumane in cui versa la gioventù rumena, costretta a vivere nelle fogne e bere superalcolici per riscaldarsi. La realtà degli anni Novanta, e in parte quella di oggi, viene mostrata con occhio critico attraverso Miloud che osserva, scruta, si lascia coinvolgere e, infine, riesce dove in molti, prima di lui, non erano riusciti. Non è un eroe, è una persona come tante, definito più volte da chi lo circonda come un egocentrico, in preda a deliri di onnipotenza. Fatto sta che l’Associazione Pa-ra-da esiste ancora oggi e grazie ad essa sono nate numerose case diurne e centri d’accoglienza e molti di quei bambini hanno potuto oggi trovare lavoro. Il mondo della fantasia, dell’arte circense hanno qui il compito di offrire non solo una via di fuga, ma anche il mezzo per avvicinarsi a quei bambini. Miloud conquista la loro fiducia, grazie alla clowneria e al grido di “Rispetto”. Perché è proprio questo che insegna: il rispetto della propria vita umana. La fiducia che Miloud riesce ad ottenere è lenta e graduale, trova il suo picco quando Tea, solo e soltanto a lui, fa toccare la sua pancia di “donna” incinta. La storia, intervallata da alcuni disegni che sottolineano all’evolversi del racconto, è una vicenda di coraggio, simboleggiata dal bambino Cristi che riesce infine a salire sulla piccola piramide umana, stigma della risalita dal fondo. La sequenza della retata e di come vengono trattate Tea e le sue compagne, ricorda molto quella di Schindler’s list (1993) dove, alle donne di Oscar, vengono tagliati a zero i capelli per poi essere spinte sotto la doccia. Accostamento molto forte, ma estremamente efficace. Di grande impatto emotivo la scena in cui i bambini urlano davanti all’ambasciata francese il nome del loro salvatore, perché, questa volta, è lui a dover essere salvato. Il film termina con le immagini reali, di quei ragazzi rumeni, che ancora oggi si trovano per strada in balia di pedofili e spacciatori. Per chi ama vedere speranza anche nelle condizioni peggiori; ma soprattutto veder realizzata quella stessa speranza. Elena Mandolini 32 Film Tutti i film della stagione LA SETTA DELLE TENEBRE (Rise) Nuova Zelanda/Stati Uniti, 2007 Regia: Sebastian Gutierrez Produzione: Carsten H. W. Lorenz, Greg Shapiro per Rise Productions/Mandate Pictures/Kingsgate Films/Destination Films/ Ghost House Pictures Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 29-5-2008; Milano 29-5-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Sebastian Gutierrez Direttore della fotografia: John Toll Montaggio: Lisa Bromwell, Robb Sullivan Musiche: Nathan Barr Scenografia: Jerry Fleming Costumi: Denise Wingate Produttori esecutivi: Aubrey Henderson, Nathan Kahane, Carsten H. W. Lorenz, Sam Raimi, Robert G. Tapert Co-produttore: Kelli Konop Direttore di produzione: Jonathan McCoy Casting: Nancy Nayor, Kelly Wagner Aiuti regista: Arturo Guzman, Douglas McKay, Karla Carnewal, Shelly Heyward, Bill Greenfield Operatori: David E. Diano, Mike Thomas Operatore steadicam: Brook Robinson Art director: Austin Gorg Arredatore: Betty Berberian D opo aver pubblicato un reportage sui rave giovanili, la giornalista Sadie Blake viene messa al corrente da un suo amico e collaboratore che tra gli estremi rilasciati da una delle adolescenti contattate per introdursi negli ambienti dei party estremi, è nascosto un indirizzo internet legato a una strana setta. Sono anche indicati il luogo e la data di un nuovo incontro. Sadie, con l’articolo ormai completato e poca propensione a credere in simili riti, decide di non recarsi sul posto, dove però vengono uccise due ragazze, una delle quali, Tricia, figlia del detective Clyde Rawlins. Appresa la notizia, la reporter inizia a sentirsi responsabile e, anche per deformazione professionale, cerca di far luce sugli omicidi. Presto cade nella tela del ragno e si ritrova, contro la propria volontà, a casa degli organizzatori della truculenta festa in cui le due studentesse hanno perso la vita. Ridotta all’impossibilità di difendersi, la donna è oggetto di un cruento abuso sessuale, la cui conclusione è una macabra pratica cannibalistica operata da due vampiri. Più tardi Sadie si risveglia in un obitorio. Apparentemente morta agli occhi della polizia, ha invece contratto dai suoi assassini la sete per il sangue e l’immortalità. Fardello disumano che la donna non vuole portare con sé. Presa dalla disperazione, si getta da un cavalcavia nel traffico cittadino. Ma di nuovo si risveglia, cosparsa di contusioni ma ancora viva. Sot- Trucco: Elisabeth Fry Acconciature: Robert Hallowell II, Nicole Venables Supervisore effetti trucco: Christopher Allen Nelson Supervisore effetti speciali: Larry Fioritto Effetti speciali trucco: Andy Schoneberg Supervisore effetti visivi: David J. Witters (Comen VFX) Interpreti: Luy Liu (Sadie Black), Michael Chiklis (Clyde Rawlins), Carla Gugino (Eve), James D’Arcy (vescovo), Robert Foster (Lloyd), Julio Oscar Mechoso (Arturo), Cameron Richardson (Collette), Allan Rich (Harrison), Samantha Shelton (redattore LA Weekly), Kevin Wheatley (Ethan Mills), Margo Harshman (Tricia Rawlins), Cameron Goodman (Kaitlin), Holt McCallany (Rourke), Paul Cassell (detective Easton), Mako (Poe), Sam Cooper, Sam Lucas Cooper (assistenti medico legale), Natsuko Ohama (madre di Sadie), Christina Stacey (Beth), Isabella Gutierrez (bambina senzatetto), Liana Perez (Morena), Simon Rex (Hank), Anastasia Baranova (teenager), Zach Gilford (marinaio), Frank Kranz (Alex), Samaire Armstrong (Jenny), Marilyn Manson (barista), Elden Henson (Taylor), Nick Lachey (Dwayne), Christopher Allen Nelson (agente), India King (receptionist), Michael Ouellette (detective) Durata: 94’ Metri:2600 to le premurose cure dell’ascetico Arturo, interessato ad abbattere i vampiri che l’anno ridotta in quello stato, viene addestrata al combattimento e all’uccisione definitiva dei nemici, possibile solo attraverso un freccia d’acciaio. Armata di balestra, la donna si mette quindi sulle tracce dei predatori incontrati nella lussuosa villa dove ha trovato la sua morte umana. Prima è il turno dell’aristocratica e perversa Eve, poi dell’anziano Harrison. Resta la freccia per la vera mente della setta, il giovane Bishop. Per arrivare a lui, Sadie unisce le sue forze con quelle di Rawlins, che nel frattempo ha seguito la tracce di Bishop meditando vendetta per la figlia morta. Il ragazzo si nasconde lontano dalla città. Lì viene scovato e ucciso dal duo. Ma, prima che la loro collaborazione abbia fine, il detective deve rispettare il patto che l’ha sancita: uccidere Sadie liberandola dalla sua insopportabile e aberrante condizione. C ome i personaggi che lo abitano, il cinema vampiresco è predatore e si ciba delle retoriche, del décor e delle estetiche dei generi che più lo lambiscono. Horror, thriller gotico, splatter e hard-boiled in cima alla lista con una determinante attrazione per i loro miasmi maggiormente border-line. Nell’attuale e assai longeva stagione del citazionismo 33 selvaggio e dell’autoreferenzialità imperante, poi, il modulo è fanaticamente esposto ai tutti i filoni più giovani (e ‘giovanilistici’) venuti a maturazione nella contemporaneità: neo-horror, teen-movie e zombie-movie post-Carpenter/Romero prima maniera. Eppure la derivazione che sopra ogni altra continua a influire tutt’altro che secondariamente su opere come La setta delle tenebre è il gusto tarantiniano, seppur ormai limitatamente al suo livello epidermico. Meta-genere già nelle mani del suo autoriale patrocinatore, quando dimensionato all’interno di un architettura narrativa fin troppo collaudata (come quella del film di Sebastian Gutierrez) le conseguenze rasolano il cannibalismo. Lucy Liu, ormai a suo a modo icona action-cool, rimanda al suo ruolo spregiudicato in Kill Bill e, dalla medesima fonte, riverbera la matrice kung fu che pervade, anche solo nell’ammiccamento, le sequenze d’azione del film. Le truculente sequenze di carne e sangue, sembrano autorizzate dalla presa non indifferente del film-tortura, riportato in auge da Hostel (altro sdoganamento patrocinato da Tarantino, da cui Gutierrez mutua il compositore Nathan Barr, che però produce esiti lontani dall’eccellenza raggiunta per il film diretto da Eli Roth). Fino alle semplici partecipazioni attoriali: il cameo iniziale di Robert Forster, riportato alle scene dal regsita di Pulp Fiction in Jackie Brown. Film Letto attraverso gli adempimenti alla sue sostanziali, limitate intenzioni – soprattutto in riferimento allo specifico target di traguardazione (irriducibili del gore in testa) –, il lungometraggio riesce a farsi guardare, toccando qui e là anche punte di godibile entertainment. Vero atout è comunque il pri- Tutti i film della stagione mo pasto cannibalistico della protagonista nel dormitorio rionale, sequenza capace di tramutare il film in cult moderno (almeno per la folta schiera di appassionati), nonché unico tentativo davvero deciso di strappare la pellicola da un imperante regime di confezionamento mainstream, con annes- so pilota automatico di messa in scena. Condotta che, peraltro, lo colloca ben distante dallo spirito punk dei Carpenter e Bigelow di turno e più a suo agio tra Underworld e Resident Evil. Giuliano Tomassacci MACHAN LA VERA STORIA DI UNA FALSA SQUADRA Germania/Italia/Sri Lanka, 2008 Produttore associate: Mirjam Weber Co-produttore: Henning Molfenter Casting: Damayanthi Fonseka Arredamento: Lal Harindranath, Johannes Pfaller Effetti: Fabrizio Pistone Suono: Anandar Chandrahasan Trucco: Ebert Wijesinghe Interpreti: Dharmapriya Dias (Stanley), Gihan De Chickera (Manoj), Dharshan Dharmaraj (Suresh), Namal Jayasinghe (Vijith), Sujeewa Priyalal (Piyal), Mahendra Perera (Ruan), Dayadewa Edirisinghe (Naseem). Durata: 110’ Metri: 2940 Regia: Uberto Pasolini Produzione: Uberto Pasolini, Prasanna Vithanagem Conchita Airoldi per Studio Urania/ Babelsberg Film/Shakhti Films/Redwave. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 12-9-2008; Milano 12-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Ruwanthie De Chickera, Uberto Pasolini Direttore della fotografia: Stefano Falivene Montaggio: Masahiro Hirakubo Musiche: Lakshman Joseph De Saram, Stephen Warbeck Scenografia: Errol Kelly, Costumi: Sandhiya Jayasuriya, Rob Nevis N ella placida notte di Colombo, Sri-Lanka, Stanley e Manoj, intenti ad attaccare manifesti di propaganda per l’amico Vijith, discutono del loro progetto d’emigrare in Germania. Il mattino seguente, i due amici s’incontrano all’ambasciata, convinti che questa volta la loro domanda sarà accettata. E invece l’algido funzionario tedesco li respinge per la terza volta, perché i due non forniscono “sufficienti garanzie”. Nonostante l’ennesima batosta, Stanley e Manoj non si danno per vinti: mentre ancora fantasticano sul loro futuro in Europa, Stanley trova per caso un volantino che pubblicizza l’iniziativa d’un’associazione tedesca per “l’amicizia tra Germania e Asia”. È così che lentamente nella testa di Stanley - che nel frattempo ha ripreso la sua vita precaria tra la vendita delle arance, la convivenza con le due vecchie zie appassionate di corse e il fratellino – nasce l’idea: fingersi i giocatori d’una squadra di pallamano ed essere così invitati direttamente dai tedeschi per partecipare al torneo pubblicizzato dal volantino, superando definitivamente il problema del visto. Dopo un’iniziale perplessità sul misterioso sport che nessuno degli amici conosce, Manoj decide di tentare e subito consulta Piyal - gigolo di professione, molto richiesto dalle attempate turiste tedesche – per ottenere informazioni sulla pallamano. Iniziano presto le richieste di amici e conoscenti per unirsi all’avventura. Stanley e Manoj si ritrovano impegnati giorno e notte nei preparativi per il viaggio: dall’acquisto delle magliette agli improbabili allenamenti, i giorni sfilano in fretta e l’iniziale gruppetto si trasforma in breve in una piccola bizzarra compagine di disperati. Ricevuta la lettera d’invito ufficiale, arriva pure il giorno della verità: uno dei compagni di Manoj e Stanley entra nell’ambasciata, lasciando tutti gli altri fuori, in trepidante attesa dell’agognato visto. Ma anche stavolta il risultato è un buco nell’acqua: mancano lettere e permessi delle istituzioni locali. Sembra che tutto sia perso, quando Manoj si rivolge a Ruan il faccendiere. L’uomo, coperto di debiti e assillato da un gruppo di migranti che ha ingannato, accetta di aiutare i due amici in cambio d’un posto nella squadra per sé e per i suoi “assistiti”. Il patto, nonostante le resistenze di Stanley – che da Ruan deve ancora avere indietro una grossa somma di soldi datigli in prestito -, è stretto, e, grazie alle astuzie del pittoresco truffatore, pochi giorni più tardi, la squadra si ritrova i mano i visti per raggiungere la Germania. Manoj lascia il suo posto di barman e festeggia con la famiglia nel ristorante dove per tanti anni ha lavorato; ma la vergogna provata nel sentirsi irriso da una coppia di occidentali porta il ragazzo alla scelta di rinunciare. Al suo posto, il giorno della partenza si 34 presenta il giovane politicante Vijith. All’arrivo in Germania, la squadra è accolta trionfalmente, e, contrariamente alle aspettative del gruppo, portata subito sul campo. La prima partita è una rovinosa messa in scena; ma Ruan, il primo a voler fuggire, arringa i compagni spingendoli a una reazione d’orgoglio. L’incontro successivo sarà proprio lui a segnare miracolosamente l’unico punto. Osservatori dell’immigrazione però non si lasciano convincere dall’impegno dimostrato: la sera stessa la polizia irrompe nelle camere dei falsi giocatori trovandole però vuote. Il gruppo sfugge alla cattura disperdendosi in giro per la Baviera, ciascuno con un progetto diverso. Stanley, il cognato Shuran, Vijith e Riuan s’incamminano insieme alla volta dell’Inghilterra. I l produttore anglo-italiano Uberto Pasolini (tra le sue fatiche oltre al più che celebre Full Monthy, anche i non meno meritevoli Palookaville e I vestiti nuovi dell’imperatore) esordisce alla regia con un lungometraggio ispirato dalla cronaca tedesca. Davvero, nel 2004, una falsa squadra di pallamano fece perdere le sue tracce nel bel mezzo della Baviera, senza che un solo giocatore fosse mai rintracciato. È la didascalia finale a specificarlo, volendo ratificare con un sigillo di realtà l’happy ending messo in scena con trita, esausta retorica dal canuto regista neofita. Film Senza troppo soffermarci sulle affinità più che evidenti tra gli “squattrinati organizzati” britannici che, in Full Monthy cercavano il riscatto economico e sociale, e questi disperati uniti che tentano l’avventura della migrazione nella rincorsa a una vagheggiata vita migliore, passiamo direttamente all’analisi delle fragilità d’una commedia irrisolta, che sembra non voler rinunciare a niente – non alla risata, non alla denuncia della miseria, non alla malinconia e neppure al lieto fine – senza tuttavia riuscire in nulla. L’inesperienza di Pasolini, che qui si cimenta anche nella scrittura del film, mostra i suoi segni a partire da una sceneggiatura priva di forza, incapace di trovare scarti dinamici, cambi di ritmo, per finire poi con una regia appena funzionale, fin troppo discreta nel non saper quasi mai trovare alla macchina il suo posto nella scena. Machan, che pure è commedia misurata, garbata e non sgradevole, finisce con l’essere un film furbo senza però il coraggio di “dirla grossa”, incapace di prendersi la responsabilità di scelte chiare, di toni netti: un film che si rivolge senza nasconderlo alla proverbiale coda di paglia dell’occidentale medio, che prima gode dell’esotico pittoresco e dell’ameno, durante la prima parte in Sri-Lanka, e poi, messo a fare il tifo per “gli stranieri”, si sente piacevolmente appagato nel ritrovarsi, senza sforzo, dalla parte Tutti i film della stagione dei giusti. Per tentare d’essere chiari fino in fondo, la vicenda – in origine, vera avventura di veri migranti – è sfruttata esclusivamente per le sue potenzialità narrative, senza nemmeno darsi pena, vista la scelta – tanto legittima quanto discutibile – di ricalcare le vicende reali, di rendere lo Sri-Lanka qualcosa di più di un fondale perfettamen- te intercambiabile con una lista di altri luoghi vaghi e lontani. Il tutto senza nemmeno avere il coraggio – o la capacità – di confezionare un prodotto davvero efficiente rispetto alle logiche critto-commerciali che ne animano realmente la concezione. Silvio Grasselli TU, IO E DUPREE (You, Me and Cupree) Stati Uniti, 2006 Regia: Anthony e Joe Russo Produzione: Mary Parent, Scott Stuber, Owen Wilson per Universal Pictures/Kaplan-Perrone Entertainment/MMCB Film Produktion 2004/Road Rebel Distribuzione: UIP Prima: (Roma 10-11-2006; Milano 10-11-2006) Soggetto e sceneggiatura: Michael LeSieur Direttore della fotografia: Charles Minsky Montaggio: Peter B. Ellis, Debra Neil-Fisher Musiche: Theodore Shapiro Scenografia: Barry Robinson Costumi: Karen Patch Produttori esecutivi: Michael Fottrell, Aaron Kaplan, Sean Perrone Direttore di produzione: Michael Fottrell Casting: Deborah Aquila, Maria Tricia Wood Aiuti regista: Bob Roe, Michael Helfand, Brendalyn Richard, Bernie Bonner Axelrod Operatore: P. Scott Sakamoto Art directors: Kevin Constant, Paul Sonski C arl Petersen sta per sposare Molly Thompson, la figlia del suo capo, nonché proprietario dell’azienda in cui lavora. Convinto di non esser benvisto dal suocero, deve ricreder- Arredatore: Barbara Munch Trucco: Kimberly Greene, Denise Della valle, Lesile Fuller, Elaine L. Offers, Valli O’Reilly, Ann Pala Acconciature: Medusah, Vickie Mynes, Kathryn Blondell, Geraldine Jones, Kerrie Smith Coordinatore effetti speciali: Ron Bolanowski Supervisori effetti visivi: Thomas J. Smith (CIS Hollywood), Thad Beier Coordinatore effetti visivi: Heather Elisa Hill (CIS Hollywood) Supervisore costumi: Charlene Amateau Supervisore musiche: Randall Poster Interpreti: Owen Wilson (Dupree), Kate Hudson (Molly), Matt Dillon (Carl), Michael Douglas (sig. Thompson), Seth Rogen (Neil), Amanda Detmer (Annie), Ralph Ting (Toshi), Todd Stashwick (Tony), Bill Hader (Mark), Lance Armstrong (se stesso), Jason Winer (Eddie), Sidney S. Liufau (Paco), Billy Gardell (barista Dave), Eli Vargas (Aaron), Houston McCrillis (Dougie) Durata: 108’ Metri: 3000 si quando questi sceglie un suo progetto ecologista per un insediamento modello e ne fa il responsabile della sua realizzazione. Intanto Carl apprende che Dupree, il suo amico d’infanzia, è rimasto senza la35 voro e senza casa (licenziato per aver abbandonato il posto di lavoro per presenziare al suo matrimonio). Sentendosi responsabile, per amicizia, lo invita a stare da lui giusto il tempo per cercare un nuo- Film vo lavoro. Ma Dupree è troppo sincero, troppo fuori dagli schemi, troppo poco borghese per procurarsi un lavoro e preferisce mangiare pesante (intasando coi suoi escrementi prima il bagno dagli ospiti e poi quello della camera da letto di Carl e Molly), passare ore davanti la tv, sul divano (dove dorme nudo) a giocare coi figli adolescenti dei vicini, cercando di coinvolgere Carl che è invece totalmente assorbito dal suo lavoro. Molly, che non vuole saperne di un ospite indiscreto, invadente e nullafacente, spera di toglierselo di torno facendolo fidanzare con la bibliotecaria della scuola (Molly fa la maestra in una scuola elementare) dai costumi facili, la quale, dopo una notte di fuoco (a casa di Molly e Carl ovviamente, a base di ...burro spalmato, che si conclude con l’incendio del salotto) non vuole più saperne di lui. Carl, alle prese con il suocero, che ha trasformato il suo progetto ecologista in una mostruosa speculazione edilizia e lo tormenta con richieste inopportune (tra cui prendere lui il cognome della moglie e farsi vasectomizzare per non metterla incinta), è sempre meno presente in casa e non si confida più con Molly (mancando anche a un incontro con i suoi alunni, sostituito da Dupree che se la cava benissimo coi bambini sorprendendola favorevolmente). Molly invece impara ad apprezzare Dupree (che scrive poesie, fa i massaggi...) e a diventarne amica al punto tale da far ingelosire Carl (che arriva a immaginarsi che Molly lo tradisca con Dupree con tanto di beneplacito del suocero...). Così, durante una cena, Carl salta al collo di Dupree e poi sparisce dalla circolazione. Dupree con i suoi amici (i figli dei vicini) ingaggia allo- Tutti i film della stagione ra una vera e propria caccia all’uomo con tanto di volantini e strategie indagatorie, finché lo trova a dormire nel retrobottega di un pub. Appreso che il suocero gli ha tolto la direzione del progetto, lo incita a ribellarsi, ridandogli fiducia in se stesso. Così Carl affronta il suocero mentre questi è in riunione con un gruppo di finanziatori giapponesi e si riprende casa, moglie e posto di lavoro, mentre Dupree, scritto in un libro la sua filosofia di vita, diventa anche lui un ricco uomo di successo. T u, io e Dupree ha il pregio di non possedere quella volgarità di fondo, fatta di doppi sensi sessuali di certe commedie giovaniliste americane (povere torte di mele...). La verve anarcoide di Dupree (interpretato da uno strepitoso Owen Wilson, che è anche il produttore del film) sembra connotare il film come una commedia che, dall’interno, cerca di criticare il perbenismo (nemmeno tanto piccolo) borghese della provincia americana. Purtroppo gli sceneggiatori del film, invece di sviluppare i temi che qui e là vengono timidamente sfiorati (rapporto uomo/ donna, amicizia, crescita e responsabilità, ecologia ed economia), preferiscono concentrarsi sulle deiezioni e sulle attività sessuali di Dupree ridimensionandone i comportamenti a macchietta comica, del tipo che danno fastidio ai benpensanti, ma che possono essere tollerate perché non mettono in discussione nulla. La famiglia ne esce anzi corroborata nei suoi ruoli sessuati: le donne a cucinare e accudire il maschio (poco importa se anche loro hanno un lavoro...), mentre l’autorità e il denaro rimangono veri e propri status symbol (e anche Dupree, alla fine, si normalizza, diventando ricco e famoso). D’altronde basta notare lo spazio (inesistente) che la donna ha nel film per capire subito di trovarci di fronte a una pellicola autocelebrativa per maschietti adolescenti ricchi, diventati adulti loro malgrado, talmente viziati, da sentirsi in diritto di appropriarsi anche di quella sensibilità normalmente percepita come femminile che si autoattribuiscono, nonostante il rischio di venir tacciati per omosessuali (ma che Dupree, in quanto maschio, scriva poesie non mette minimamente in discussione l’equazione sensibilità-omosessualità, la riconferma anzi in tutta la sua valenza reazionaria, essendo il suo essere “poeta” visto come una delle sue tante stranezze). Personaggi maschili del film che continuano a guardare all’ombelico, proprio o degli altri loro pari maschili amici d’infanzia, invece di andare verso l’altro da sé, in questo caso la donna (ma potremmo dire il resto del mondo), la cui unica importanza è quella sessual-gastronomica (che pena il siparietto delle videocassette porno gettate nella spazzatura e poi arditamente recuperate per nuove visioni...). E che a sciorinare il bignami del maschilismo siano attori del calibro di Michael Douglas e Matt Dillon (ci sarebbe anche Kate Hudson relegata però a un ruolino da comparsa...) la dice lunga sullo stato di salute dell’industria cinematografica statunitense. Un film inesistente, che si fa, suo malgrado, testimone di un’epoca vuota, vacua, reazionaria e maschilista come la nostra. Alessandro Paesano UN GIORNO PERFETTO Italia, 2008 Organizzazione generale: Gianluca Leurini Aiuto regista: Barbara Daniele Suono: Fabrizio Quadroli, Marco Grillo Interpreti: Valerio Mastandrea (Antonio), Isabella Ferrari (Emma), Stefania Sandrelli (Adriana), Monica Guerritore (Mara), Nicole Grimaudo (Maja), Valerio Binasco (Elio Fioravanti), Angela Finocchiaro (Silvana), Federico Costantini (Aris), Nicole Murgia (Valentina), Gabriele Paolino (Kevin), Milena Vukotic (professoressa di Aris), Serra Yilmaz (gelataia), Fausto Maria Sciarappa (commissario), Christian Serritiello (turista), Giulia Salerno (Camilla). Durata: 105’ Metri: 2770 Regia: Ferzan Ozpetek Produzione: Domenico Procacci per Fandango. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 5-9-2008; Milano 5-9-2008) Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Melania Mazzucco Sceneggiatura: Ferzan Ozpetek, Sandro Petraglia Direttore della fotografia: Fabio Zamarion Montaggio: Patrizio Marone Musiche: Andrea Guerra Scenografia: Giancarlo Basili Costumi: Alessandro Lai I l film si apre con una dedica a Maria Clara Jacobelli. Roma, oggi. È notte. Mentre fuo- ri piove la mdp indugia lentamente sugli interni di una casa. Il soggiorno vuoto, la cameretta di un bambino, quella di una 36 adolescente, la camera da letto dei genitori. La donna dorme, l’uomo è sveglio, lo sguardo nel vuoto. Stacco. Film Due poliziotti, rispondendo a una segnalazione di una vicina che dice di aver sentito degli spari, arrivano nell’appartamento di Bonocore; uno dei due agenti crede di riconoscere il cognome: è un ex collega... Dall’appartamento nessuno risponde. Uno degli agenti va a chiedere istruzioni. Una didascalia ci fa tornare indietro di 24 ore. Emma, separata dal marito Antonio, vive a casa della madre Adriana con Valentina, la primogenita di 14 anni, e Kevin di 8. Antonio è, come ogni sera, sotto la finestra della casa della suocera. Emma, affacciatasi per spegnere una sigaretta, lo nota e si ritrae, turbata. La mattina Emma è sull’autobus con Kevin e Valentina, che ignora la madre barricandosi dietro le cuffie del suo lettore mp3. Valentina prosegue da sola, mentre Emma accompagna Kevin a scuola, in un Istituto religioso. Lì incontra Maja, la madre di Camilla, una delle compagne di classe di Kevin. Dietro pressioni di Camilla, Maja invita Kevin alla festa di compleanno della figlia, all’ultimo momento, non le aveva mandato l’invito prima; Emma esita, non potrà accompagnarlo alla festa, lavora tutto il giorno. Maja si offre di occuparsene lei. Emma accetta. Intanto il candidato Elio Fioravanti, marito di Maja, cerca invano di contattare il Presidente mentre è seguito nei suoi spostamenti dalla scorta, il cui responsabile è proprio Antonio. Aris, un giovane studente che abbiamo visto rientrare a dormire in una sorta di atelier nei pressi dell’ex mattatoio, prende uno stentato diciotto all’esame di diritto alla facoltà di giurisprudenza. Quando la professoressa legge i cognome sul libretto gli chiede se sia imparentato con l’avvocato Fioravanti. Aris conferma che è il figlio. La donna vede i voti, tutti alti… Poi dice al ragazzo di salutarle il padre ma che da lei avrà solo un diciotto. Maja chiama Aris per telefono e gli chiede di raggiungerla per vedere un appartamento che vuole affittare in centro. Aris la raggiunge ben volentieri. Mentre vedono l’appartamento, proprio di fronte Sant’Andrea della Valle, Maja gli confida di essere incinta e di volersi tenere il bambino. Poi le ricorda la festa di sua sorella Camilla. Aris non ci andrà, passerà a casa prima a salutarla e la invita, alla festa di laurea di una sua amica, quella sera. Emma, al call center dove lavora, scopre di non aver ricevuto il rinnovo del contratto a termine. Quando chiede spiegazioni, il dirigente le dice chiaramente che l’azienda preferisce personale più giovane. All’uscita, trova ad attenderla Antonio, che si è preso il resto della giornata libero. Riluttante sale nella sua macchina. Antonio, visibilmente turbato, si offre di accompa- Tutti i film della stagione gnarla dal generale, uno dei suoi tanti lavori. Durante il tragitto, le chiede di tornare con lui, la implora, le giura di essere cambiato, di prendere delle medicine, le promette di andare dallo psicologo. Ma poi, pensando al generale dal quale Emma lavora, ha un impeto di irrazionale gelosia e le molla un ceffone. Fermando la macchina sotto ponte Milvio, Antonio la trascina per fratte e, tra i cespugli, cerca di fare sesso con lei. Emma si finge arrendevole per cercare di sfuggirgli, ma lui riesce comunque ad approfittarne. Sconvolta, torna in strada e si allontana da Antonio che, resosi conto di ciò che ha fatto, si accascia e piange. A scuola Kevin, paffutello, balbuziente e con l’occhiale col cerotto opaco sulla lente per stimolare un occhio pigro, viene picchiato da tre compagni nei bagni della scuola. Aris incontra il padre nella hall di un hotel, dove partecipa a un seminario e gli annuncia che da lui non vuole più soldi e che ha intenzione di smettere di studiare giurisprudenza e di andarsene da Roma. Il padre sa solo dirgli di aspettare “dopo le elezioni”. L’onorevole è sempre più nervoso, non riuscendo ancora a parlare col Presidente, che si fa negare. A casa, Mara, la professoressa che abbiamo visto in classe di Valentina, riceve un mazzo di fiori e si prepara per un week-end insieme a un uomo col quale la vediamo parlare per telefono. Mentre Emma, preoccupata per il licenziamento al call center, vaga per strada, Antonio telefona a casa della suocera e chiede di parlare con Valentina. Adriana, che stava leggendo le carte a una cliente, lo informa che Valentina è ancora a scuola, alla partita... Valentina è felice di vedere il padre tra il pubblico. Antonio le propone di andare a mangiare una pizza con Kevin. Valentina lo indirizza alla festa dove sa il fratello essere andato. Alla festa, intanto, dove Camilla e Kevin si sono “sposati” in gran segreto (“non devi dirlo a nessuno nemmeno a tuo padre” le dice) Antonio porta via Kevin sul più bello. Maja è contrariata, ma non osa impedire al padre di portare via Kevin. Per strada Mara incrocia Emma e, riconoscendo la madre di Valentina, scambia due parole con lei dicendo che Valentina è molto dotata e intelligente. Poi, prima di accomiatarsi, riceve una telefonata che la lascia delusa e chiede a Emma di farle compagnia perché non ha più l’impegno che pensava di avere e non vuole rimanere da sola. Emma si confida con la donna, le racconta del grande amore per Antonio e della successiva separazione. Rientrata in casa con Mara, Emma apprende dalla madre Adriana che Kevin e Valentina sono con Antonio e, non piacendole la cosa, cerca di riavere i figli con sé. Ma Valentina, che sta già mangiando al ristorante col padre e con Kevin, ha il cellulare staccato. 37 Intanto l’onorevole Fioravanti riesce finalmente a parlare con il Presidente. Gli fa presente che la sua rielezione è indispensabile per sottrarsi a un processo che lo vedrebbe sicuramente condannato. Ma ottiene una risposta non positiva che lo lascia senza forze. Riuaggangiato il telefono l’onorevole si mette le mani tra i capelli e piange come un ragazzino. Emma, intanto, tranquillizzata da Mara, si rassegna all’idea che Valentina e Kevin passino la sera col padre. Intanto Maja si presenta alla festa dell’amica di Aris. Aris la accoglie con un sorriso e poi la conduce nel suo appartamento/atelier per mostrarle un murales nel quale la ha ritratta in un trittico che coglie altrettante espressioni del suo volto. Lì si baciano e Aris le chiede di partirsene con lui; ma Maja ha Camilla come può dirgli di sì? A casa di Antonio, Valentina sta per farsi una doccia mentre Kevin sta guardando La marcia dei pinguini in dvd. Emma, accomiatatasi da Mara, si concede un gelato anche se è a dieta (“Ah ma lo avete anche da 4 euro?!”, chiede imbarazzata dalla sua stessa golosità). Antonio è in camera da letto. Ha in mano la pistola. Se la infila in bocca e sta per premere il grilletto ma non ce la fa. Un attimo dopo, si precipita in salotto e spara a Kevin. Richiamata dagli spari Valentina non ha che il tempo di constatare che Kevin è morto (“Papà! Perché?!?” gli urla terrorizzata) prima che Antonio spari anche a lei diversi colpi di pistola. Poi torna in camera da letto, da dove la mdp non si è mai spostata, e si spara alla tempia. Siamo tornati al presente. La polizia entra nell’appartamento e trova prima il corpo esanime di Kevin, tra il divano e il pavimento, poi quello di Valentina, che ha cercato invano di ripararsi sotto il tavolo, infine quello di Antonio. Sopraggiungono altri poliziotti, affranti non solo per la scena che hanno di fronte, ma anche perché Antonio era un collega. Poi Silvana, la dottoressa, nota qualcosa e si precipita nella stanza. Valentina è ancora viva. La trasportano d’urgenza in ospedale. Intanto qualcuno si incarica di avvisare “la moglie”. Emma passeggia per strada, ignara, godendosi il suo gelato. Poi, all’improvviso, è colta da un presentimento; la vediamo fermarsi, il volto attraversato da un’espressione di inquietudine. In quel momento il suo cellulare si mette a squillare... Il film si chiude con una dedica a Maurizio De Nisi: “sempre e per sempre”. C ominciamo anche stavolta con le dediche. Maria Clara Jacobelli è una manager e dirigente della Film Sip-Telecom, scomparsa nel 2007, che commissionò a Ozpetek la sua prima pubblicità (per BancoPosta), mantenendo con lui un rapporto di stima e affettuosa amicizia. Maurizio De Nisi era titolare di un negozio specializzato in 900 italiano, frequentato, tra gli altri, da Ferzan Ozpetek, morto lo scorso luglio cadendo dalla sua moto a causa di un cordolo, a Roma. Un giorno perfetto parte con un lento movimento di macchina per le stanze della casa di Antonio ed Emma, quando erano ancora una famiglia. Poi presenta le vicende parallele dei suoi personaggi in maniera progressiva, ellittica, senza condurre lo spettatore, chiedendogli anzi attenzione e pazienza nel seguire la storia. Man mano che le vicende si dipanano parallele (fino all’epilogo tragico), lo spettatore, non solo ha colto la cifra esistenziale di ognuno dei personaggi ma, in filigrana, ha a disposizione, anche, l’istantanea della società italiana di oggi. Ipocrisia, solitudine, immaturità affettiva, violenza, mancanza di solidarietà di classe, semplificazioni antropologiche devastanti, l’Italia che ne emerge è la più desolata dei film di Ozpetek. Primo film su commissione, girato dietro insistenza del produttore Procacci (all’inizio ero molto indeciso se accettare di girare il film. (...) tutti mi ripetevano di non farlo. Così, l’ho presa come una sfida personale e ho scelto di girarlo! F. Ozpetek, in “Acchiappafilm” sett 2008, pag 20), Una giornata perfetta spiazza perché, apparentemente, non affronta le tematiche sulle quali Ozpetek, nei film precedenti, ha costruito il suo tocco. Non si tratta di un film corale, nel quale ogni personaggio contribuisce alla costruzione di una storia unica, al contrario ogni personaggio resta chiuso nella propria solitudine e l’impermeabilità esistenziale sembra l’unica caratteristica che li accomuna. Questo scar- Tutti i film della stagione to di stile deriva dall’origine letteraria del film, il romanzo omonimo di Melania Mazzucco, mal scritto, reazionario e paternalistico, dal quale Sandro Petraglia (prima) e Ozpetek (poi), hanno tratto uno script solido, asciutto, privo delle cadute di stile, dei pregiudizi e delle problematiche a tesi di cui il romanzo è infestato (nel quale il narratore è il primo a usare quei luoghi comuni che pretende di trovare snobisticamente nei personaggi che descrive). Al rigore formale del film fa da contraltare il rigore morale con cui Ozpetek guarda ai suoi personaggi, senza giustificarli, ma nemmeno giudicarli, limitandosi a descriverli, lasciando allo spettatore la facoltà di trarre le conclusioni. Un film, per questo suo modo di essere, di impegno civile, in una cinematografia italiana sempre più avviluppata nelle spire di una narrazione semplificata, predigerita, pre-giudicata, dove non c’è posto per le sfumature, figuriamoci per dei personaggi dal carattere complesso. In Un giorno perfetto nulla è semplice. Il rapporto tra Emma e Antonio non è costruito sulle semplificazioni dell’amore maudit di tanta tv di pseudo inchiesta (come in Amore criminale di D’Errico, Ianelli e Palmerino, che fa delle morti, purtroppo davvero accadute, di donne, per mano di mariti e fidanzati, del mero intrattenimento, dove lei è romanticamente vittima dell’amore per lui), è descritto invece con attenzione e intelligenza. Se Emma si è lasciata convincere ad avvicinarsi dall’ex marito una volta di più è perchè gli si è già sottratta e ne ha pietà. Emma è una donna forte non perché sopporta stoicamente le botte in nome della famiglia e del matrimonio, ma perché, in nome di un diritto inalienabile alla non violenza, si è sottratta all’omertà familiare che troppe volte nasconde sopruso e violenza. È per questo che Emma, agli occhi di Antonio, è una poco di buono e la società sembra pensarla come 38 lui. Appena Emma si è sottratta alla violenza, non ha trovato più un posto nella società, che l’ha relegata ai margini (Emma vive con la madre, fra mille lavori precari, mentre la casa è rimasta al marito...). La violenza di Antonio non è l’idiosincrasia privata di un mostro fuori dalla società: è invece frutto di quello stesso ordine di pensiero maschilista e sessista che in Italia è ancora per molti un sentire comune. Quello stesso sentire comune che fa di Emma una puttana perchè, separata, vede altri uomini, fosse anche un generale ottantenne; puttana perchè Emma, sui 40 anni, si permette di vestire come una ragazzina. Se Maja malvede Emma è anche per questa sua insofferenza, innata, inconsapevole, che la fa sottrarre a una assurda consuetudine legata all’età, e la fa continuare a vestire da giovane donna e non da signora. In fondo, Maja è invidiosa di Emma perché Emma è molto più libera di lei dal confomismo di una società sull’orlo della barbarie. Anche Valentina, che vediamo, impacciatissima, parlare con un ragazzo al quale piace e il quale le piace, non sa sottrarsi a un conformismo che si è insinuato in ogni interstizio, per cui i suoi discorsi, per quanto sgrammaticati e naïf, sono artefatti e retorici come quelli dell’Onorevole, o come il lessico da adulta di Camilla, appiattito dalla retorica televisiva che ci accomuna tutti. Quella descritta nel film è una società che non riesce ad andare al di là degli stereotipi sessuati di uomo e di donna che ha saputo produrre, relegando le donne al loro ruolo di madri senza agevolare la lavoratrice, come se la maternità fosse un fardello che devono portare solo loro, perché gli uomini sono sempre altrove, a lavorare o a uccidere, fisicamente o moralmente, la propria prole. E anche l’inopportuno figlio che Maja aspetta, forse da Aris, è segno di questa matrice sessista che suona come una condanna e differenzia gli uomini dalle donne. Solo se rinunciano a una vita affettiva (Mara e la sua storia probabilmente extraconiugale), le donne paiono mantenere una certa lucidità, una certa presa sul mondo (Silvana, il medico che vediamo sempre sola, che si accorge che Valentina è ancora viva); solo se abbracciano una vocazione, la società trova un ruolo, uno spazio, a quelle donne che, invece di fare le mamme, hanno scelto di lavorare, come se le due cose fossero incompatibili. Solo se rinunciano a quello che è il loro supposto tratto saliente, le donne sono equiparate agli uomini e hanno accesso a una carriera. Nessuno si salva da questa etica. Nemmeno Aris che dovrebbe fare il contestatario (in maniera molto più blanda di quanto non sia nel romanzo). E anche la solidarietà femminile che, pure, è ancora testardamennte presente (Emma e Mara, che nel film ha sostituito il professore omoses- Film suale del romanzo) sopravvive in un paesaggio morale sempre più devatstato. E a ben guardare in tutto ciò che il film sceglie di non mostrare, di non spiegare esplicitamente, permettendosi di contare sulla capacità ermeneutica dello spettatore, che ne costituisce la cifra strilistica (come il fuori campo, efficacissimo, del finale, che non mostra l’omicidio di Kevin e Valentina facendocelo immaginare con la sola forza delle voci off ), ritroviamo il senso più profondo dell’autore Ozpetek e dei suoi temi: amicizia, la famiglia, la fragilità umana e, soprattutto, il mondo delle donne (Ozpetek, “Acchiappafilm” sett 2008, pag 21). Un racconto scevro dalla retorica della tragedia perché intellettualmente onesto e che ha il coraggio (e la genialità) di ritirarsi, pudico, un attimo prima che Emma venga informata di quanto accaduto ai suoi figli. E lo spettatore, a quel punto, si chie- Tutti i film della stagione de come Emma possa andare avanti, come possa sopravvivere a una violenza molto più grande di quelle che ha dovuto sopportare fino ad allora. Eppure, in qualche modo, dovrà riuscirci, Valentina non è morta e chissà se cadrà in coma, se il suo essere in vita è una flebile speranza o una condanna ancora più crudele. Bravissima Isabella Ferrari (confrontate la sua Emma con il personaggio che interpreta nel film di Corsicato e capirete quanto sia un’attrice matura e completa), splendidi i camei di cui il film è disseminato (forse un po’ sprecato quello di Stefania Sandrelli), un po’ meno bene per gli attori (a cominciare dal monoespressivo Federico Costantini, che sembra stia recitando ancora il personaggio di Claudio Rizzo della serie tv “I liceali” che lo ha portato al successo, che ha come merito solo l’aspetto avvenente), impacciati e stonati (Mastan- drea in primis) forse al di là delle intenzioni del regista (con l’unica eccezione del piccolo Gabriele Paolino che interpreta Kevin). Ci chiediamo solo a chi si rivolga questo film, a chi giovi. Non certo alle persone che, come quelle rappresentate, sono chiuse nel loro guscio di insensibilità, incapaci di capire il discorso che il film appronta lungo tutta la sua durata. Nemmeno a chi queste cose già le sa, le denuncia da tempo, vive un altro disagio oltre quello personale, quello di sapersi in una società ignorante, sessista e violenta, cui il film può dare solo l’effimero sollievo di scoprirsi non più soli nel notare certe idiosincrasie, certe irrazionalità del vivere comune. Certo è che Una giornata perfetta è un film amarissimo come gli anni che l’Italia sta vivendo: bui, pessimi e miserabili. Alessandro Paesano DOOMSDAY-IL GIORNO DEL GIUDIZIO (Doomsday) Gran Bretagna/Stati Uniti/Sud Africa/Germania, 2008 Regia: Neil Marshall Trucco: Kerry Skelton, Mieke Smith Produzione: Benedict Carver, Steven Paul per Rogue PictuAcconciature: Zanmarie Hanekom res/Intrepid Pictures/Crystal SKy PicturesMoonlighting Films/ Effetti speciali trucco: Axelle Carolyn, Paul Hyett Internationale Filmproduktion Blackbird Dritte. In associazioSupervisori effetti speciali: David Harris, Mickey Kirsten ne con Scion Films Coordinatore effetti speciali: Kevin Adcock Distribuzione: Medusa Supervisori effetti visivi: Mark Michaels (Double Prima: (Roma 29-8-2008; Milano 29-8-2008) V.M.: 14 Negative),Hal Couzens Soggetto e sceneggiatura: Neil Marshall Coordinatori effetti visivi: Kim Phelan (Double Negative), Direttore della fotografia: Sam McCurdy Marie-Eve Bedard-Tremblay Montaggio: Andrew MacRitchie, Neil Marshall Supervisore costumi: Anna Lau Musiche: Tyler Bates Interpreti: Rhona Mitra (Maggiore Eden Sinclair), Bob Hoskins Scenografia: Simon Bowles (Bill Nelson), Malcolm McDowell (Dottor Marcus Kane), Adrian LeCostumi: John Norster ster (Sergente Norton), David O’Hara (Michael Canaris), AlexanProduttori esecutivi: Marc D.Evans, Trevor Macy, Peter McAder Siddig (John Hatcher), Emma Cleasby (Katherine Sinclair), leese, Andrew Rona Jeremy Crutchley (Richter), Vernon Willemse (David), Stephen Direttori di produzione: Karen Richards, Ben Rimmer, Alan Hughes (soldato/Johnson), Tom Fairfoot (John Michaelson), Jon Shearer Falkow (capitano Hendrix), John Carson (George Dutton), NathaCasting: Jeremy Zimmerman lie Boltt (Jane Harris), Rick Wander (Chandler), Nora-Jane Noone Aiuti regista: Jack Ravenscroft, Dale Butler, Emily Hobbs, Bryn (Read), Martin Compston (Joshua), Sean Pertwee (Dottor Talbot), Lawrence, Jacques Terblanche, Susie Lee, David Pinkus, Marci Langley Kirkwood (Bryant), Leslie Simpson (Carpenter), Chris RobTrout son (Steve Miller), Ashley McFarlane (contadino), Jason Cope (Wall Operatore steadicam: John Taylor Centry), Craig Conway (Sol), Caryn Peterson (giovane vagabonSupervisore art direction: Steve Carter da), Christine Tomlinson (Eden Sinclair da giovane), Adeola Ariyo Art directors: Susan Collin, David Doran, Jonathan Hely-Hu(infermiera), Daniel Read (sergente), Paul Hyett (vittima hot dog), tchinson, Margaret Horspool, Rhian Nicholas, Emer O’SulliRyan Kruger (soldato), Karl Thaning (pilota) van, Andy Thomson, John Trafford Durata: 105’ Arredatori: Mark Auret, Zoe Smith Metri: 2850 L ’Inghilterra è ormai uno scenario apocalittico. Un virus incurabile, in grado di deformare corpi e comportamenti, ha reso necessaria la costruzione di un muro di separazione tra Londra e il resto della nazione: dentro gli incolumi, promossi a continuare una vita normale in una città ancora operativa, fuori i contagiati malcapitati, destinati alla morte certa dopo un errabondo supplizio. A distanza di anni, l’area all’interno del perimetro ancora civilizzato è sovrappopolata ed emarginata dal resto dal mondo. Il governo, dedito alla più tenace repressione di ogni indizio residuo del virus, non può ignorare l’inaspettata ricomparsa della piaga e, contestualmente, la presenza di forme umane ancora in vita in alcune zone oltre il muro, costantemente monitorizzate dopo il tracciamento dei nuovi confini. Convinti che l’avvistamento possa spiegarsi con la sco39 perta di una cura al virus da parte di Marcus Kane, uno scienziato rimasto al di là della muraglia, i politici inviano una giovane agente della polizia in perlustrazione, affinché, insieme a un plotone di soldati, rintracci Kane. Un incarico estremo, reso ancor più arduo dall’impossibilità di tornare senza l’oggetto della ricerca. Ma Eden Sinclair, l’agente scelto per la missione, è temprata a ogni tipo di difficoltà e, nonostante un passato doloroso (sua Film madre è rimasta fuori dai confini della città per salvarla da piccola), ostenta un energico sprezzo del pericolo. La prima sosta è in un quartiere periferico infestato da una banda di pirati della strada dediti al cannibalismo. Rapita, Eden conosce il capo della banda, figlio ribelle di Kane, un esaltato sadico e schizoide. Anche sua sorella vive con lui, ma è tenuta sotto chiave perché ancora fedele al padre. Eden riesce a farla evadere strappandole la promessa di portarla al cospetto di Kane. Con la sua task force ormai quasi del tutto massacrata, l’instancabile eroina giunge sulle colline scozzesi, dove Kane si è ritirato con i suoi adepti in una comunità regolata da usi e costumi medievali. Appreso dallo scienziato che non c’è alcuna cura al virus e che la ripopolazione del territorio al di là delle mura cittadine è dovuta soltanto al proliferare degli immuni, la donna viene nuovamente imprigionata. A seguito di un cruento combattimento da cui esce vittoriosa, riesce però a guadagnare una via di fuga a bordo di una potente auto; insieme a lei ancora la figlia di Kane. Sulle strade assolate, ad aspettarla ci sono i pirati. Eden dà fondo alla sua prodezza di guida e arriva sana e salva al rendez-vous con il governatore che le confida le sue bieche mire politiche. Consegnata la figlia di Kane, dalla quale si potrà prelevare il DNA per l’immunità al virus, Eden torna sulle orme della sua infanzia per ricordare la madre. La donna ha comunque in serbo di regolare i conti con il politico di turno: le sue confessioni criminali sono state registrate, pronte ad essere trasmesse per smascherarlo di fronte a tutti. Tutti i film della stagione S i parte con un set-up d’intreccio improntato all’arrembante zombie-movie, debitamente mischiato al plot catastrofico tra apocalittico e futuristico. Poi, l’impostazione principale si snoda su indimenticati cardini di genere border-line, primo tra tutti il carpenteriano 1997: Fuga da New York: l’eroina temprata che, investita di una missione estrema, viene mandata in un’altrove ostile per regolare una questione di interesse politico. Segue la prima di molte digressioni narrative e stilistiche, dove l’avvenire punk e scalcinato di Mad Max guadagna di diritto il ruolo di ascendente principale - almeno fin quando l’estensione temporale che regola lo script non accoglie un’analessi “in fabula”, grondante bizzarrie degne del Raimi di L’armata delle tenebre. Ma a una lettura in tralice, i riferimenti e le citazioni saranno ben più numerosi e non necessariamente così inoltrati nel tempo: il pubblico anagraficamente più giovane vi coglierà saccheggi da Waterworld a Tomb Raider, da Fuga da Absolom a Resident Evil. Così, su questa giostra senza sosta facile al deragliamento da un binario narrativo all’altro, si consuma la terza e da molti attesa prova di Neil Marshall. Eppure Doomsday, che a tratti instilla sensazioni di un cinema letteralmente senza frontiere, come potrebbe essere quello dell’Umberto Lenzi di Incubo sulla città contaminata, ha in cabina una pilota capace di tenere i comandi ben saldi, seppur con piccole discontinuità e qualche cedimento di forma. Se non fosse, infatti, per l’ultimo segmento action a tutta velocità sulle strada assolate – impeccabile in quanto a messa in scena e coreografia registica (almeno secondo gli standard formali postmoderni), ma eccessivamente sbilanciato esteticamente ri- spetto allo sguardo fin prima adottato –, questo viaggio inter-genere potrebbe tranquillamente finire in cima alla lista dei gioielli di transcinema, tanta la coscienza e l’aspirazione cinefila sprizzante dal suo autore in un’installazione tutto sommato coerente, perché mai volenterosa di prendersi sul serio. Forse, l’accostamento con il Raimi del terzo capitolo di La casa è davvero il più adatto; il più prossimo, alle intenzioni di un giovane (almeno professionalmente) eletto immediatamente, dopo l’interesse suscitato con Dog Soldiers (2002) e The Descent (2005), nella nuova ondata dello “splat pack” (insieme al James Wan di Saw e al Rob Zombie di La casa dei 1000 corpi). Le iniezioni splatter e un’innegabile, punteggiante alone gore, d’altronde, sono forse i veri segni definenti dell’hybris rappresentativo di Doomsday: le marche sostanzialmente autenticanti, espressioni di differimento dalla ragnatela tentatrice dei modus da ‘confezione’ industriali. Un bel segnale, considerando che il film viene accolto come la prima prova ufficiale di Marshall nell’ambito hollywoodiano. Una prova che tiene, pur con tutte gli squilibri del caso e qualche ipotizzabile concessione di gusto, al trend produttivo e che non soffoca del tutto gli interessi per il rimosso e l’abbandonato, il reietto deformato dall’assenza del sistema sociale, la deriva naturale del primitivo sommerso dalla tecnocrazia. Le componenti striscianti, insomma, nel precedente e notevolissimo The Descent, a cui Marshall si spera torni a guardare per somministrazione drammaturgica e scandaglio dei caratteri. Ora che la necessaria dimostrazione a 360° del suo talento di fronte al mainstream è stata doverosamente consumata. Giuliano Tomassacci LA FABBRICA DEI TEDESCHI Italia, 2008 Musiche: Riccardo Giagni Scenografia: Alessandro Marrazzo Aiuto regista: Giulia Narcisi Suono: Sandro Zanon, Remo Ugolinelli, Roberto Gambotto Remorino Interpreti: Valeria Golino (Anna), Monica Guerritore (la madre), Silvio Orlando, Luca Lionello, Vincenzo Russo, Rosalia Porcaro, Giuseppe Zeno Durata: 90’ Metri: 2450 Regia: Regia: Mimmo Calopresti Produzione: Mimmo Calopresti, Beppe Calopresti, Simona Banchi e Valerio Terenzio per Gage’ Produzioni/Studio Uno/ Istituto Luce. In collaborazione con Fondazione Rotella Distribuzione: Istituto Luce Prima: (Roma 19-9-2008; Milano 19-9-2008) Soggetto: Mimmo Calopresti Sceneggiatura: Mimmo Calopresti, Cristina Cosentino Direttore della fotografia: Paolo Ferrari Montaggio: Raimondo Ferrari A ttraverso testimonianze e interviste, vengono ripercorsi i tragici eventi della fabbrica della ThyssenKrupp dove, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, hanno perso la vita sette operai. Nel prologo gli attori Valeria Golino, Monica Guerritore, Luca Lionello, Silvio Orlando, Rosalia Porcaro, Vincenzo Russo e Giuseppe Zeno impersonano i parenti delle vittime e rievocano gli ultimi momenti della loro semplice quotidianità (i gesti che caratterizzavano le loro giornate in attesa 40 di andare in fabbrica) prima del dramma. Vengono così alla luce le testimonianze, i ricordi e il dolore dei parenti delle vittime, in cui si parla di quello che è successo quella notte, delle settimane precedenti e dei terribili giorni seguenti. Film Tutti i film della stagione P resentato all’ultimo Festival di Venezia nella sezione “Orizzonti/ Eventi” assieme a ThyssenKrupp Blues di Pietro Balla e Monica Repetto e la versione restaurata del folgorante Yuppi Du di Adriano Celentano, all’interno di una giornata dedicata alla morti sul lavoro, La fabbrica dei tedeschi è un grido autentico che colpisce subito direttamente ed è l’esempio di un cinema politico indignato, oggi strettamente necessario. La fabbrica dei tedeschi appare come un’opera continuamente scissa, deviata, una specie di ‘anima divisa in due’. Da una parte, c’è la descrizione oggettiva dei fatti: la tragedia avvenuta nella sede torinese della ThyssenKrupp la notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, dove hanno perso la vita sette operai: Giuseppe De Masi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola; le condizioni di insicurezza e pericolo della fabbrica emersi da alcune testimonianze, tra cui quella degli estintori che non funzionavano; i turni massacranti degli operai (dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6), che erano costretti a fare anche il turno successivo se si assentava un collega. Quindi, da un punto di vista oggettivo, Calopresti porta sullo schermo i fatti. Dall’altra parte, però, lo stesso regista interviene direttamente, si fa inquadrare mentre intervista partecipando con una complicità sincera al dolore dei parenti delle vittime. Ci sono continui momenti, squarci che sarebbe forse improprio definire di grande cinema. Però sono emotivamente forti e diretti a dar forma a tutti i sentimenti e gli stati d’animo contrastanti, nel momento in cui il suo sguardo si posa sui volti scavati del dolore delle vedove, degli amici, dei fratelli, dei colleghi di lavoro. In uno di questi, c’è un viaggio in macchina con una giovane moglie che ha perso il marito quella notte e vive fuori città con tre figli piccoli da crescere e con una dignità senza pari. Ecco, quei dettagli sugli occhi della donna, discreti e complici, mettono in scena in pochi secondi il cuore di quest’opera. Che oltre all’indignazione, giustamente incontrollata, è anche una sorta di ‘camera verde’ che potrebbe prolungarsi all’infinito, ben oltre la durata dello stesso film. Sembra infatti che la macchina da presa di Calopresti, nei suoi nervosi spostamenti, appare, ogni volta, catturata da un posto nei pressi della ‘fabbrica della morte’ dove ci sono i fiori con le foto dei sette operai deceduti. Ci sono più ritorni in quello spazio de/limitato. Come se ci sia un effetto-calamita che attira ogni volta lì, in quel preciso punto. Ed è proprio nell’ac- cumulo di questa immagine che prende quasi forma lo straordinario respiro irregolare di un’opera che, per quanto cerchi di mantenere una sua distanza emotiva, alla fine non ce la fa. La fabbrica dei tedeschi poi, nella sua dichiarata conformazione disomogenea, è composta da differenti formati: la pellicola, il bianco e nero, l’alta definizione, youtube. L’inizio del film è l’unico momento ‘ricostruito’. Nelle immagini in b/n si vedono infatti attori (Valeria Golino, Silvio Orlando, Monica Guerritore, Luca Lionello, Rosalia Porcaro, Vincenzo Russo, Giuseppe Zeno) che interpretano fratelli, mogli, ma- dri, padri nel momento della sveglia e del quotidiano saluto che poi si rivelerà quello dell’addio. Sono piccoli gesti banali, apparentemente insignificanti, perché continuamente ripetuti (la sveglia, il caffè), che però, rivisti a posteriori, possiedono un’intensità e una dimensione intima, la quale riporta alle opere migliori del cineasta calabrese come La seconda volta e La parola amore esiste. Altro segno, questo, di un film, di un’anima continuamente scissa, che potrebbe essere ancora più importante negli anni a venire. Simone Emiliani IL SEME DELLA DISCORDIA Italia, 2008 Regia: Pappi Corsicato Produzione: Marco Poccioni e Marco Valsania per Rodeo Drive. In collaborazione con Medusa Film, Sky Cinema Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 5-9-2008; Milano 5-9-2008) Soggetto: Pappi Corsicato liberamente tratto da La marchesa von O… di Heinrich von Kleist Sceneggiatura: Pappi Corsicato. Con la collaborazione di Massimo Gaudioso Direttore della fotografia: Ennio Guranieri Montaggio: Giogiò Franchini Scenografia: Antonio Farina Costumi: Grazia Colombini Casting: Pino Pellegrino Aiuto regista: Davide Bretoni Suono: Silvia Moraes Interpreti: Caterina Murino (Veronica), Alessandro Gassman (Mario), Michele Venitucci (Gabriele), Martina Stella (Nike), Valeria Fabrizi (madre di Veronica), Isabella Ferrari (Monica), Angelo Infanti (padre di Veronica), Monica Guerritore (androloga), Iaia Forte (amante), Rosalia Porcaro (amante), Eleonora Pedron (ragazza di Gabriele), Lucilla Agosti (ballerina) Durata: 85’ Metri: 2295 41 Film N ella Napoli astratta e lunare del Centro Direzionale, seguiamo le vicende di un ristretto numero di personaggi, tutti legati tra loro. Veronica è proprietaria di un negozio di abbigliamento, nel quale lavora anche sua madre Luciana, donna ossessionata – e ossessionante – dall’idea di diventare nonna al più presto, e la giovane commessa Nike, personaggio un po’ surreale, talvolta con la testa altrove; Veronica è sposata con Mario, rappresentante di fertilizzanti, spesso e a lungo fuori casa per lavoro. A completare il quadro dei personaggi troviamo la single convinta Monique-Monica, migliore amica di Veronica, che gestisce con disinvoltura un bar, quattro figli avuti da quattro diversi uomini e la premurosa guardia giurata del Centro, Gabriele, sempre disponibile quando si tratta di aiutare Veronica. Mario non disdegna il sistematico tradimento della bella moglie con ogni cliente donna che incontra sul lavoro, mentre Veronica si accontenta del potere esercitato dal proprio fascino, che al massimo usa per risolvere al meglio e con rapidità contratti di lavoro, ma nulla più. Nonostante i numerosi impegni lavorativi (lei sta per aprire un nuovissimo concept store, lui è alle prese con le vendite di un portentoso fertilizzante di ultima generazione), la coppia Veronica-Mario inizia ad accarezzare l’idea di avere un figlio. Una sera, tornando a casa dal negozio, Veronica viene aggredita da due balordi dal volto mascherato; lei si difende come può, poi un colpo in testa le provoca uno svenimento. Al suo risveglio, trova accanto a sé Gabriele, che ha messo in fuga i due aggressori e impedito che le venisse rubato l’incasso del negozio. Dopo esser- Tutti i film della stagione si assicurata il silenzio della guardia, Veronica torna alla vita di sempre; pressata dalla madre, sottopone se stessa e il riluttante marito a una serie di esami clinici per appurare la fertilità di entrambi. Intanto, fervono i preparativi per l’inaugurazione del negozio, e Veronica non ha un attimo libero tra l’organizzazione del catering, affidato alla fedele Monique, e dell’intrattenimento degli ospiti, che saranno allietati dall’esibizione di Nike e delle sue amiche ballerine; così, quando Veronica sviene, nessuno dubita che si tratti soltanto di stanchezza. Fra l’altro, i risultati delle analisi confermano l’ottimo stato della sua salute, nonché la sua capacità di “rimanere incinta anche soltanto con uno sguardo”, tanto è fertile. Una fugace occhiata del calendario rivela inoltre che la donna ha un ritardo con le mestruazioni, e un rapido test casalingo conferma la tanto agognata maternità. Anche Mario è al settimo cielo, ma quando va a ritirare i risultati dei suoi esami, l’androloga non ha dubbi: l’uomo purtroppo è sterile, e il bambino che aspetta la moglie è escluso che sia suo. Certo del tradimento della moglie, nonostante i proclami di fedeltà di Veronica, Mario abbandona il tetto coniugale senza troppi giri di parole. Veronica, a questo punto, resta sola con i suoi dubbi: come è possibile che sia incinta senza aver avuto altri rapporti oltre a quelli con lo sterile marito? Ricostruendo gli eventi, calendario alla mano, capisce che qualcuno ha abusato di lei mentre giaceva priva di sensi per l’aggressione notturna del mese precedente. Interpella Gabriele, l’unico che può ricordare qualcosa, ma non ha visto altro che due ombre in fuga. La sua personalissima indagine la porta poi a sospettare addirittura del fi- 42 glio maggiore di Monique e del suo inseparabile amico, per poi concentrarsi sui due giovani aiutanti del falegname che le ha costruito i mobili per il negozio. I giovani, sotto la minaccia di una grossa vanga dorata brandita con fare minaccioso dalla donna, ammettono il tentativo di rapina, ma non la violenza: qualcuno è sopraggiunto mettendoli in fuga. Ormai è chiaro, il colpevole è l’apparentemente mite Gabriele, peraltro in attesa del primo figlio dalla fidanzata. Per Veronica l’unica soluzione che si profila all’orizzonte pare essere l’interruzione volontaria di gravidanza, ma un fortuito incontro con il marito, con repentino rappacificamento tra i due, la convince a tenere il bambino. Il finale è spostato temporalmente a tre anni dopo, quando in un affollato centro commerciale, durante le festività natalizie, un bambino e una bambina della stessa età si incontrano nel baby parking: i due si somigliano molto e hanno un neo molto particolare sulla guancia, proprio come la guardia Gabriele. P appi Corsicato torna al cinema a sette anni da Chimera (sonoro flop al botteghino) con un film che occhieggia pesantemente, nella storia come nella messa in scena, al primissimo Pedro Almodóvar. Nulla di che stupirsi, visto che Corsicato è stato, a inizio carriera, aiuto-regista dell’autore spagnolo, ma forse, a distanza di qualche anno, sarebbe stato opportuno distaccarsene un po’. Anche perché Almodóvar è soltanto la più visibile e costante tra le fonti di ispirazione del regista napoletano, che pesca a piene mani dalla commedia leggera italiana anni Settanta e Sessanta, dal poliziottesco ante litteram di Fernando Di Leo (si guardi soltanto il balletto in due pezzi dorato interpretato da Lucilla Agosti, copia quasi conforme dell’esibizione di Barbara Bouchet in Milano Calibro 9) e perfino dai balletti televisivi di Victoria Cabello, senza contare le tantissime altre citazioni che costellano il film, dalla variazione sul tema “Francamente me ne infischio”, pronunciata da Gassman prima di abbandonare il tetto coniugale, all’omaggio all’altro nume tutelare Tarantino, con una declinazione in tutina rossa della Sposa di Kill Bill (armata di vanga dorata, però), fino ad arrivare – addirittura! – alla celebre scena della scalinata di La corazzata Potemkin. Le musiche, pertinentemente, sono state scelte dal ricco campionario delle colonne sonore di film degli anni Settanta (c’è Bacvalov e anche Morricone). E poi ancora la “scena della doccia”, appuntamento immancabile per quel cine- Film ma scollacciato che credevamo ormai caduto in prescrizione e tante, troppe scene e dialoghi già visti e sentiti altrove - come l’uso metaforico di un guasto alla lavatrice - serviti un po’ furbescamente senza troppe pretese (speriamo) di originalità. È però lecito domandarsi dove sia andato a finire il film; fosse opera di esordiente, si rimarrebbe senz’altro piacevolmente colpiti, sorvolando qualche manierismo, dall’indubbio talento visivo di alcune sequenze e dal brio di qualche scena (veder prendere a pugni un gruppo di suore fa sempre un certo effetto). Ma le cose non stanno proprio così e non resta che apprezzare un film scorrevole, non particolarmente ambizioso che è chiaramente nelle corde del regista, abile nel dirigere un cast di etero- Tutti i film della stagione genea bravura e che ha l’indubbio merito di mostrarci tanta femminea bellezza; in testa una Caterina Murino quasi accessibile, una Isabella Ferrari un po’ materna e un po’ maliarda, una Martina Stella lunare e simpatica. Tanti anni Sessanta e Settanta anche nei costumi e nelle scenografie, per un già visto che è subito vintage. Su tutto, però, aleggia un iper-citazionismo che lascia poco spazio a idee più personali, che avrebbero dato al tutto quel guizzo che probabilmente manca. Si può essere poi d’accordo o meno con il modo di affrontare temi piuttosto impegnativi con leggerezza e ironia: da una commedia non ci si aspetta certo rigore morale e serietà, ma, violenza sessuale, interruzione di gravidanza, tradi- menti vari, crisi di coppia, accenni alla fecondazione assistita sono un campionario (troppo?) ben nutrito. Se l’intento era quello di offrire una visione del quotidiano diversa dal solito – potremmo tranquillamente definirla pop –, l’esperimento si può dire riuscito, altrimenti non sapremmo davvero come giustificare la totale assenza di un qualunque giudizio, discorso politico e/ o filosofico nei confronti di temi tanto delicati. Il soggetto di Il seme della discordia è liberamente ispirato al racconto di Heinrich Von Kleist, “La marchesa von O”; anche Rohmer ne ha tratto un film, nel 1976, ma con esiti ben diversi. Manuela Pinetti ROGUE IL SOLITARIO (War) Stati Uniti, 2007 Regia: Philip G.Atwell Produzione: Steve Chasman, Christopher Petzel, Jim Thompson per Current Entertainment/Fierce Entertainment/Lions Gate Films/Mosaic Media Group/Rogue Films Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 18-7-2008; Milano 18-7-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Lee Anthony Smith, Gregory J.Bradley Direttore della fotografia: Pierre Morel Montaggio: Scott Richter Musiche: Brian Tyler Scenografia: Chris August Costumi: Cynthia Ann Summers Produttori esecutivo: Peter Block, Mike Elliott, Michael Paseornek, John Thompson Co-produttori: Stephanie Denton, Joseph P.Genier Direttori di produzione: Simon Abbott, Chris Foss, Jon Kuyper Casting: Thomas L.Carter, Colleen Rogers, Maureen Webb Aiuti regista: William Paul Clark, Carl Lawrence Ludwig, Carl Mason, Tracey Poirier, Andrew Poole, Trevor McWhinney, Paula S. Kyan, David Heimbecker, Larissa Ballstadt Operatori: Jeffrey M. Hoffman, Ryan McMaster, Neil Seale, Christopher Tammaro, Gordon Verheul, Gary Viola Operatore steadicam: Cliff Hokanson Art director: Catherine Ircha Arredatore: Louise Roper Trucco: Beth Boxall, Jill Bailey, Faye von Schroeder S an Francisco. Gli agenti dell’FBI John Crawford e Tom Lone sono sulle tracce di Rogue, uno spietato killer che lavora al soldo della Yakuza, la mafia giapponese. Durante un agguato, Rogue, conosciuto come ‘il solitario’, riesce di nuovo a fuggire. John rivela a Tom che nell’FBI c’è una spia che lavora per la Yakuza. Qualche giorno dopo, ‘il solitario’ compie una strage a casa di Tom, uccidendo l’agente, sua moglie e sua figlia. Giunto sul posto, John giura vendetta e la caccia al ‘so- Acconciature: Tammy Brown, Anne Carroll, Forest Sala Coordinatore effetti trucco: Jason Ward Suono: William Unrau Coordinatori effetti speciali: Darren Marcoux, Clay Scheirer, Joel Whist Supervisori effetti visivi: Ray McIntyre Jr. (Pixel Magic), Dottie Starling (CIS Hollywood), Mike Uguccioni (XY&Z Visual Effects) Coordinatore effetti visivi: Heather Elisa Hill (CIS Hollywood) Supervisore musiche: Jay Faires Interpreti: Jet Li (Rogue), Jason Statham (Crawford), John Lone (Chang), Devon Aoki (Kira), Luis Guzman (Benny), Saul Rubinek (dott. Sherman), Ryo Ishibashi (Shiro), Sung Kang (Goi), Mathew St.Patrick (Wick), Nadine Velazquez (Maria), Andrea Roth (Jenny Crawford), Mark Cheng (Wu Ti), Kane Kosugi (guerriero del tempio), Kennedy Montano (Ana), Terry Chen (Tom Lone), Steph Song (Diane Lone), Annika Foo (Amy Lone), Nicholas Elia (Daniel Crawford), Ken Choi (Takata), Eric Keenleyside (Leevie), Paul Jarrett (Gleason), Johnson Phan (Joey Ti), Jung-Yul Kim (Yuzo), Hiro Kanagawa (Yoshido), Wilken Yam (Wong), Aaron Au (Eddie), Mark Louie (Lau), John Novak (capitano Andrews), Don Lew (guerriero yakuza), Warren Takahaci (tenente), Nels Lennarson (agente di polizia), Jennifer Chung, Lucy Lu, Randy Lee, Derek Lowe Durata: 103’ Metri: 2678 litario’ diventa la sua unica ragione di vita. Tre anni dopo, ‘il solitario’ torna sulla scena e viene assoldato dal potente Chang, boss della mafia cinese rivale del clan di Shiro, capo della Yakuza giapponese. Chang vive a San Francisco in una grande villa con la moglie e la figlia, mentre Shiro vive in Giappone con la figlia Kira, suo braccio armato. John vuole a tutti i costi catturare ‘il solitario’ che, nel frattempo, ha cambiato volto grazie alla chirurgia plastica. Intanto la faida tra i clan di Shiro e Chang si fa sempre 43 più sanguinosa: le due famiglie si contendono il possesso di due preziosi cavalli d’oro. Shiro manda la figlia a San Francisco a controllare la vendita dei cavalli. Durante l’operazione della vendita dei due preziosi oggetti, interviene ‘il solitario’ che uccide gli uomini di Shiro e porta i cavalli a Chang. John arriva sul luogo della sparatoria e capisce che nella faida tra le due famiglie la posta in gioco è alta. ‘Il solitario’ telefona a John e gli dà un appuntamento. Quando i due sono faccia a faccia, John dice al ‘solitario’ che Film lo riconosce dagli occhi; l’unica cosa che la chirurgia plastica non può cambiare, poi chiede al killer se si ricorda del suo collega Tom, di sua moglie e di sua figlia che ha ucciso brutalmente. Ma al momento non ci sono prove a carico del ‘solitario’ e la polizia non può arrestarlo. In realtà, ‘il solitario’ è un doppiogiochista: lavora al soldo di Chang, ma, in segreto, prende ordini da Shiro che vuole le teste della moglie e della figlia di Chang. ‘Il solitario’ elimina Chang e finge di uccidere la moglie e la figlia del boss. Subito dopo, il killer fa fuori anche gli uomini di Shiro e fa mettere in salvo la moglie e la figlia di Chang. Intanto Shiro arriva negli Stati Uniti e incontra Rogue che gli consegna i cavalli. In quel momento, irrompono gli uomini di Shiro che riferiscono al boss che ‘il solitario’ non ha ucciso la moglie e la figlia di Chang: è un traditore. Ora Shiro vuole che Rogue confessi dove sono le due donne. Ma Shiro ha subito un altro inganno: i cavalli sono dei falsi. ‘Il solitario’ fa fuori gli uomini di Shiro e affronta il boss. Durante lo scontro viene a galla la verità: ‘il solitario’ è in realtà Tom che, sopravvissuto alla strage della sua famiglia, si era sottoposto a operazioni di plastica facciale assumendo le sembianze dello spietato killer. Shiro dice a Tom che in realtà è stato per colpa del suo collega John che la sua famiglia è morta: John lavorava per Shiro e avrebbe tradito il suo collega. Shiro viene ucciso. ‘Il solitario’ e John si trovano faccia a faccia. ‘Il solitario’ svela di essere Tom e invita l’ex collega Tutti i film della stagione a guardarlo bene negli occhi. Tom accusa John di averlo venduto a Shiro e di essere il responsabile della strage della sua famiglia. John confessa che voleva smettere di lavorare per Shiro, che voleva solo far fuori “il solitario” e chiede perdono al suo vecchio amico. Tom dice di essere morto, ora lui è ‘il solitario’: spara a John e si allontana. Q uanti killer spietati e rigorosamente solitari abbiamo visto sul grande schermo? Tanti, tantissimi, forse troppi. Il protagonista di questo film si chiama Rogue, detto ‘il solitario’, e come tutti i killer che si rispettino è infallibile, sfuggente, invincibile e misterioso (in seguito si scoprirà anche doppiogiochista). Parla poco, per lui parlano le sue pistole, e giù cadaveri su cadaveri, tanto che da un certo punto in poi non si contano più. Il fuoco incrociato sotto i cui colpi si trova invischiato lo spettatore è per di più quello di due clan malavitosi tosti, quello della mafia giapponese Yakuza e quello della mafia cinese. Si parla poco e quando si parla, gli argomenti sono la vendetta e il fuoco nemico. I temi sono resi credibili perché svolti da due maestri del genere, il duro-a-morire dall’espressione monolitica e dal fisico possente, Jason Statham (lo ricordate nei film d’azione della serie Transporter?) e il campione di arti marziali e stella del cinema asiatico più invincibile che c’è che risponde al nome di Jet Li. A rendere più appetibile il finale, si aggiunge al piatto uno scambio di identità che piace tanto allo spettatore medio (vi ricordate che successone fece Face-off di John Woo?). Bene, qui si tira fuori il buon pretesto narrativo della chirurgia plastica, capace di sostituire un volto con un altro e si serve il bel finale a suon di adrenalina e spari. Estetica high-tech e arti marziali ‘made in Hong Kong’, più azione frenetica tipica degli action a stelle e strisce. Sceneggiatura prevedibile e montaggio al cardiopalma, iperviolenza a go-go dispensata a piene mani dai due protagonisti, qui bravi solo a sparare. Niente di più. Certo dispiace che si sia usato l’interessante tema delle ‘fisiognomiche incerte’ per scopi così bassi. Qui non c’è nulla di simbolico nello scambio delle facce, davvero nulla che rimandi a qualcosa di più profondo. Non stupiamoci troppo, però; dietro la macchina da presa c’è Philip G. Atwell, un regista specialista in videoclip (ha lavorato con icone della musica rap come Eminem e 50 Cent) supportato per le coreografie delle scene d’azione dal famoso Corey Yuen, uno dei migliori stunt coroegrapher del mondo. Resta un’unica domanda: che ci fa qui il grande attore di Hong Kong ex ultimo imperatore ‘made in Bertolucci’ John Lone, nei panni di un inespressivo boss della mafia cinese con immancabile grande villa e moglie bellissima? Possiamo solo sperare che si sia goduto la vacanza. Se è così, buon per lui. Elena Bartoni SEX LIST - OMICIDIO A TRE (Deception) Stati Uniti, 2008 Trucco: Allen Weisinger, Linda Grimes Acconciature: Anita Roganovic, Donna Marie Fischetto Supervisore effetti visivi: Geoff McAuliffe Supervisori costumi: Deirdre N. Williams, Cristina Sopeña Supervisore musiche: Chris Douridas Interpreti: Hugh Jackman (Wyatt Bose), Ewan McGregor (Jonathan McQuarry), Michelle Williams (S), Lisa Gay Hamilton (detective Russo), Maggie Q (Tina), Natasha Henstridge (Simone Wilkinson), Lynn Cohen (donna), Danny Burstein (controllore), Malcolm Goodwin (Cabbie), Charlotte Rampling (‘lady’ di Wall Street), Bruce Altman, Andrew Ginsburg (avvocati), Stephanie Roth Haberle (assistente controllore), Christine Kan (tennista), Dante Spinotti (Herr Kleiner/Mr. Moretti), Karolina Muller (cameriera), Agnete Oernsholt (donna al Waldorf Astoria), Melissa Rae Mahon, Rachel Montez Collins, Holly Cruikshank (ballerine del Velvet), Deborah Yates (ballerina di tango), Bill Camp (controllore Clancey), Zoe Perry, Aya Cash (segretarie), Frank Girardeau (Norbert Lewman), Sally Leung Bayer (anziana donna), Kenneth G. Yong (impiegato Lotus Hotel), Paul Sparks (detective Ed Burke), James Mazzola (receptionist), Margaret Colin (Ms. Pomerantz) Durata: 108’ Metri: 2950 Regia: Marcel Langenegger Produzione: Robbie Brenner, David L. Bushell, Christopher Eberts, Hugh Jackman, Jhon Palermo, Arnold Rifkin, Marjorie Shik, Vitality Versace per Seed Productions/Rifkin-Eberts/ Media Rights Capital Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 29-8-2008; Milano 29-8-2008) Soggetto e sceneggiatura: Mark Bomback Direttore della fotografia: Dante Spinotti Montaggio: Douglas Crise, Christian Wagner Musiche: Ramin Djawadi Scenografia: Patrizia von Brandenstein Costumi: Sue Gandy Produttori esecutivo: Monica Mal, Marjorie Shik, Vitality Versace Produttore associato: Phil Eisen Direttore di produzione: Cristina Ecija Casting: Bonnie Timmermann Aiuti regista: Ethan Anderson, Francisco Barrionuevo, Luis Casacuberta, Sarah Rae Garrett Operatore steadicam: Duane Manwiller Art director: Jhon Kasarda Arredatore: Diane Lederman 44 Film J onhatan McQuarry è un triste e annoiato revisore contabile che lavora per grandi società a New York. Non appena conosce Wyatt Bose, giovane avvocato di successo, la sua vita cambia irrimediabilmente. Infatti, tramite Wyatt, Jonhatan verrà introdotto in una lista di appuntamenti rivolti al sesso facile, anonimo e senza complicazioni sentimentali. Incontra però una biondina che lo fa innamorare, infrangendo le regole della “lista”. Inizia così una relazione segreta fra i due, fin quando lei non viene rapita da Wyatt. Quest’ultimo, infatti, non è chi dice di essere, ma un abile impostore che ricatta McQuarry, perché rubi dei soldi a una società a cui doveva revisionare i conti. Per amore della donna, di cui sa solo l’iniziale del nome S, Johnatan cede al ricatto e compie il crimine. Capisce però di essere stato ingannato e che S era d’accordo con Wyatt. Johnatan, creduto morto dopo un incendio nella sua casa acceso dallo stesso Bose, raggiunge i due a Madrid dove Wyatt Tutti i film della stagione pensa di poter ritirare i soldi rubati informaticamente. Per prenderli però c’è bisogno anche della firma di Johnatan che, a questo punto, prende in mano la situazione e chiede la metà del bottino. Wyatt accetta e ritirano i soldi. S, nel frattempo, non sa dell’arrivo a Madrid di Johnatan, perché è scappata da Wyatt, troppo violento egocentrico e cattivo. Quest’ultimo porta il giovane e ingenuo contabile in un parco deserto e tenta di ucciderlo, ma S gli spara e Wyatt muore. Johnatan e S si guardano intensamente e si può pensare che continueranno la loro vita insieme, finalmente liberi da inganni. N on ci sono sfumature nel prevedibile thriller diretto dall’esordiente Marcel Langenegger e, nonostante una buona interpretazione di Ewan McGregor, Hugh Jackman e Michelle Williams, il film rimane privo di pathos e di emozioni per lasciare spazio a una banalità disarmante. La fotografia è dell’italiano Dante Spinotti (L.A confidential, Insider- dentro la verità), unica nota veramente positiva di tutto il film. L’errore della trama è che, sin dall’inizio, si capiscono immediatamente troppe cose che il protagonista coglie solo in seguito, facendo la figura dell’ingenuo un po’ scemotto. L’idea di partenza invece sarebbe davvero buona e originale, ma lo sviluppo appiattisce la storia che non colpisce, in quanto impoverita dall’effetto sorpresa, elemento importante in un thriller, di cui si sente molto la mancanza. Langenegger accompagna i protagonisti in un ambiente perverso, ma che rivela anche una profonda solitudine che attanaglia uomini e donne in carriera; non possono permettersi complicazioni sentimentali, ma non riescono a rinunciare al contatto fisico, attraverso il quale sfogare le proprie frustrazioni. E forse questa parte cosi scabrosa e, allo stesso modo, affascinante della natura umana poteva essere ancora più approfondita, anche per mantenere l’erotismo annunciato dal titolo. Maria Luisa Molinari IL PAPÀ DI GIOVANNA Italia, 2008 Interpreti: Silvio Orlando (Michele Casali), Alba Rohrwacher (Giovanna Casali), Francesca Neri (Delia Casali), Ezio Greggio (Sergio Ghia), Serena Grandi (Lella Ghia), Paolo Graziosi (Andrea Traxler), Sandro Dori (Belletti), Edoardo Romano (Pradelli), Chiara Sani (Amabile), Valeria Bilello (Marcella Traxler), Manuela Morabito (Elide Traxler), Gianfranco Jannuzzo (Preside Apolloni), Rita Carlini (Lia), Antonio Pisu (Cicci Dalmastri), Lorena Miller (cassiera del cinema), Dalia Lahav (proprietaria trattoria), Gennaro Diana (funzionario di polizia), Eleonora Vallone (donna in carcere), Gaia Zoppi (partoriente), Gisella Marengo (professoressa), Ada Perotti (donna con bambino), Paolo Fiorino (Sainati) Durata: 104’ Metri: 2865 Regia: Pupi Avati Produzione: Antonio Avati per Duea Film. In collaborazione con Medusa Film e Sky Film Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 12-9-2008; Milano 12-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Pupi Avati Direttore della fotografia: Pasquale Rachini Montaggio: Amedeo Salfa Musiche: Riz Ortolani Scenografia: Giuliano Pannuti Costumi: Francesco Crivellini, Mario Carlini Direttori di produzione: Gianfranco Misiu, Tomaso Pessina Effetti: Just Eleven Suono: Piero Parisi N ella Bologna del ventennio fascista, Michele Casali insegna disegno in un liceo (il Galvani) frequentato anche dall’unica figlia, Giovanna, all’inizio dei fatti narrati diciassettenne. Padre e figlia sono molto legati e Michele non fa che stimolare la figlia verso il mondo, elogiandone pregi anche inesistenti come soltanto un padre può fare. In realtà, Giovanna è piuttosto bruttina d’aspetto e soffre molto di questa situazione: alla sua età nessun ragazzo, ancora, l’ha degnata di uno sguardo. La frustrazione, d’altro canto, è di famiglia: Michele, compagno di studi del grande pittore Moran- di, da tempo tenta – invano – di contattare il maestro per scrivere una biografia su di lui; l’attesa di tempi migliori è una costante anche in altri personaggi, seppure con modalità diverse. Al momento degli scrutini di fine anno, Michele si trova ad avere un ruolo importante: spetta a lui decidere se promuovere o bocciare gli studenti con l’insufficienza in due materie. Uno dei ragazzi in questa situazione è Dalmastri, che ha dimostrato un certo interesse – ricambiato – per Giovanna; Michele coglie la palla al balzo e promuove il ragazzo, assicurandosi prima, però, che si comporterà bene con la figlia, 45 non facendola soffrire. A vedere le cose come realmente come stanno è sua moglie, Delia, una bella donna visibilmente insoddisfatta della situazione economica e della posizione sociale di Michele, che spesso riprende il marito per il suo mettere in testa alla figlia strane idee: Delia definisce Giovanna “una poverina, un’infelice”, senza troppi giri di parole. I vicini di casa dei Casali, invece, sembrano incarnare agli occhi di Delia quel benessere che la donna vorrebbe per la sua famiglia. Capofamiglia ne è l’ispettore di polizia Sergio Ghia, legato a Michele da un’amicizia di lunga data, che si offre spes- Film so e volentieri in piccoli e grandi favori, come fare entrare senza pagare la coppia al cinema, o portarli all’annuale ballo della polizia. Intanto Giovanna inizia una timida vita sociale e partecipa alla sua prima festa, per il compleanno di Marcella Taxler, la sua più cara amica e compagna di banco. Irritata perché Dalmastri non balla soltanto con lei, Giovanna dà di matto e il padre è costretto a riportarsela a casa tra urla e lacrime. Qualche giorno dopo, Marcella è trovata assassinata nella palestra della scuola e, dopo una breve indagine, Giovanna viene arrestata con l’accusa di omicidio. Michele persiste nel rifiutare la realtà, ma il ritrovamento del rasoio insanguinato in casa e la confessione – senz’ombra di pentimento – della giovane lo annientano. L’Italia entra in guerra, Michele perde il lavoro, e Delia inizia a lavorare come cassiera in un bar; al processo Giovanna è ritenuta colpevole ma incapace di intendere e di volere; così per lei si spalancano le porte del manicomio criminale di Reggio Emilia. Delia, da sempre particolarmente ostile nei confronti della figlia, non si recherà mai a farle visita, mentre Michele fa della ragazza ancora di più il centro della sua vita. Dal suo mondo di follia Giovanna dice al padre che la mamma e Sergio si amano di nascosto da sempre: l’uomo li affronta con pacatezza, e dà loro la sua benedizione per una vita migliore insieme, mentre lui si trasferisce a Reggio Emilia, vivendo di ripetizioni e dell’amore per Giovanna. Alla fine del conflitto, Sergio, che non aveva mai nascosto la sua fede fascista, viene giustiziato da un gruppo di partigiani, Giovanna ha finito di scontare una pena di Tutti i film della stagione quasi dieci anni e Michele la può finalmente riportare a Bologna, a casa. Gli anni trascorrono e siamo ormai nel 1953: una sera, al cinema, padre e figlia incontrano un’elegante Delia, sempre bellissima e in compagnia di un uomo. La donna inizialmente li ignora, poi decide di abbandonare la sala e raggiungerli sorridente nell’atrio: tornerà a casa con loro. U na toccante storia di amore paterno, ambientata principalmente nell’Italia che sta per precipitare nella seconda guerra mondiale. Pupi Avati, anche sceneggiatore (con il fratello Antonio), costruisce in questo film un mondo imperfetto e crudele, dove la bontà d’animo stenta a trovare la giusta ricompensa e la grande Storia è rappresentata come un tutt’uno con le piccole, non meno tragiche, storie dei tanti personaggi. Non è un caso, dunque, che in una vicenda che si sviluppa nel ventennio fascista, l’episodio che si accompagna a una minore importanza narrativa sia proprio la guerra, di cui è mostrata brevemente soltanto qualche conseguenza diretta – i bombardamenti sulla città e i suoi morti – e indiretta –, la fine del fascismo e la fucilazione dei fedeli di Mussolini. Al centro di tutto c’è Michele Casali, insegnante, marito e, soprattutto, padre; una figura senza dubbio tragica, un perdente che vive nella Speranza di un futuro migliore, se non per sé, almeno per l’unica figlia: su di lei l’uomo riversa tutto l’amore possibile. È fragile, Giovanna, così esposta alla cattiveria del mondo che per Michele non c’è altro modo di rapportarsi a lei se non proteggendola da tutto e da tutti, chiudendola in un guscio che diventa l’unico mondo possibile della ragazza. Il legame padre-figlia è così forte, e la barriera che separa la gio- 46 vane dalla realtà così resistente, che neanche Delia, sua madre, può accedervi. La donna ripete spesso al marito di essere stanca dei loro segreti e del loro rapporto, che da sempre le ha impedito di avvicinarsi alla figlia, ma la verità, forse, è altrove. “I genitori che si amano fanno i figli belli, quelli che non si amano fanno i figli brutti” dice al padre, in un raro momento di lucidità, la stessa Giovanna, rinchiusa nel giardino del manicomio. Apparentemente del tutto fuori dalla realtà, la giovane dimostra un grado di consapevolezza che spiazza l’uomo, senza contare che, immediatamente dopo, arriva la rivelazione che lo porta a riconsiderare la sua situazione personale: Delia e Sergio si amano – castamente e segretamente –, Giovanna se n’è accorta, ed è possibile ricondurre molti dei suoi malesseri nel subire la leggerezza della madre verso l’amatissimo padre. La figura della madre, relegata finora ai margini della vicenda narrata, si staglia vibrante nella mente dello spettatore, incuriosito da questa donna bella e insoddisfatta, sposatasi soltanto per avere la certezza di qualcosa da mangiare e incapace di dare amore. Una madre che rifiuta la sua stessa figlia è un’immagine forte e dolente, corrispondente a una negazione di una parte di sé e giustificare (quasi) tutto su precetti estetici, seppure motivabili psicologicamente (Delia non si riconosce in Giovanna perché troppo diversa da se stessa) talvolta non basta. Un vero peccato, perché la vera figura sospesa tra bene e male avrebbe potuto essere proprio lei, che invece permane, sì come prima causa scatenante dell’odio puerile e ferocissimo nato in Giovanna, ma, come personaggio, non si sposta dallo stato di ruolo secondario. Qualche semplificazione di troppo accompagna anche il personaggio di Sergio, che esercita trasgressivamente il suo potere di ispettore facendo entrare gli amici al cinema senza pagare, o pretendendo forti sconti in un negozio d’abbigliamento: certamente funzionale alla storia, ma sappiamo che i soprusi di alcuni poliziotti nel periodo fascista erano di ben altro livello. Qualcosa da ridire ci sarebbe anche sulla scena della fucilazione operata dai partigiani, al limite del credibile, e risolta con sbrigativa sommarietà, come forse non meritava. Grande invece l’attenzione ai dettagli minimi della vita quotidiana dell’epoca, in cui confluiscono molti ricordi d’infanzia dello stesso regista e che regalano una patina di storicità alla pellicola, più di quanto non faccia la scelta cromatica delle immagini, virate in un color seppia polveroso e spento, evocativo ma ormai già visto troppe volte. Film Cast di altalenante bravura: se Silvio Orlando si conferma ancora una volta ottimo nella parte del tragico perdente e Alba Rohrwacher raggiunge il giusto equilibrio tra la fisicità sgraziata e la follia interiore – spesso le basta uno sguardo per riassu- Tutti i film della stagione mere una mutevolezza d’animo –, un po’ meno convincente appare Francesca Neri, che paga la non totale completezza del proprio personaggio con qualche sguardo smarrito di troppo, mentre di Ezio Greggio, comico televisivo non nuovo al cine- ma ma, per la prima volta alle prese con un ruolo drammatico, diremo soltanto che si esprime meglio quando le sue battute sono brevi. Manuela Pinetti POSTAL (Postal) Stati Uniti/Canada/Germania, 2007 Regia: Uwe Boll Produzione: Uwe Boll, Dan Clarke, Shawn Williamson per Running With Scissors/Boll Kino Beteiligungs GmbH & Co. KG/ Brightlight Pictures Distribuzione: One Movie Prima: (Roma 29-8-2008; Milano 29-8-2008) V.M.: 14 Soggetto: ispirato all’omonimo videogame Sceneggiatura: Uwe Boll, Bryan C.Knight Direttore della fotografia: Mathias Neumann Montaggio: Julian Clarke Musiche: Jessica de Rooij Scenografia: Tink Costumi: Maria Livingstone Produttori esecutivi: Vince Desiderio, Steve Wik Produttore associato: Jonathan Shore, Matthias Triebel Direttore di produzione: Aisla Webster Casting: Sunday Boling, Meg Morman, Maureen Webb Aiuti regista: Bryan C.Knight, Chris Lamb, Kevin Leeson, Dan Miller Art director: John Alvarez Arredatore: Joanne Leblanc P ostal Dude, uomo timido e insicuro, vive in una roulotte nella città di Paradise, con una moglie obesa che lo tradisce con tutti. Licenziato, senza un soldo e dopo un colloquio andato male, decide di rivolgersi allo zio Dave. Quest’ultimo è un truffatore che ha messo in piedi una setta religiosa con lo scopo di rubare soldi agli adepti e godere della compagnia di belle ragazze. Dave, che deve allo stato una cifra considerevole, e Postal decidono di mettersi in affari insieme e rubare l’ultima partita presente in America delle bambole Inguinal, che tanto vanno a ruba fra i bambini, e rivenderla su Ebay. Ad aiutarli, il braccio destro di Dave, Richard. Su quelle bambole hanno messo gli occhi anche i Talebani, che, dietro ordine di Bin Laden, continuano la loro lotta contro gli U.S.A.; anche se in realtà, Bin Laden e Bush sono grandi amici e organizzano insieme tutti gli attentati. Postal e Dave riescono nell’intento, senza sapere che nelle bambole i Talebani avevano inserito delle fialette con il virus di aviaria. Talebani e polizia inseguono Postal, che, sempre più consapevole della sua forza, inizia a usare la violenza per i suoi scopi. Richard, ormai invasato, e convinto che la sua setta sia nel giusto, uccide Dave, per Effetti speciali trucco: Joel Echallier Coordinatore effetti speciali: JaK Osmond Supervisori effetti visivi: Jean-Luc Dinsdale Interpreti: Zack Ward (Postal Dude), Dave Foley (zio Dave), Chris Coppola (Richard), Jackie Tohn (Faith), J.K.Simmons (candidato Wells), Ralf Moeller (agente John), Verne Troyer (se stesso/voce di Krotchy), Chris Scpencer (agente Greg), Larry Thomas (Osama Bin Laden), Michael Parè (Panhandler), Erick Avari (Habib), Brent Mendenhall (George W. Bush), Rick Hoffman (Blither), Michael Benyaer (Mohammed), David Huddleston (Peter), Seymour Cassel (Paul), Uwe Boll, Vince Desiderio (se stessi), Michaela Mann (Jenny), Holly Eglington (Karen), Lucie Guest (Cindy), Jonathan Bruce (Harry), Carrie Genzel (reporter Gayle Robinson), Geoff Gustafson (conduttore dello show del mattino Bob), SAmir El Sharkawi (Tariq), Jason Emanuel (Boback), Melanie Papalia (Nassira), Derek Anderson (Abdul il talibano ritardato), Michael Robinson (speaker), Bill Mondy (Paul), Heather Feeney (cassiera banca) Durata: 100’ Metri: 3000 prenderne il comando con lo scopo di estendere l’aviaria a tutto il mondo. Postal, aiutato da una avvenente barista, si vendica della moglie facendo scoppiare una bomba nella roulotte e ferma i Talebani. Postal e la barista se ne vanno insieme. Bush dà la notizia che gli utlimi accadimenti avvenuti a Paradise sono stati rivendicati dai Cinesi e Indiani che sono stati subito attaccati; la Cina sta per rispondere con delle testate nucleari. In realtà, è solo una copertura ideata da Bush per proteggere Osama, col quale passeggia mano, nella mano mentre attorno esplodono le testate nucleari. P ostal si può inserire nel filone dei film demenziali. E come tale andrebbe visto. Il problema è che, a differenza di altri film di genere, persino le parodie di Scary Movie che almeno avevano una logica per chi ama il cinema horror, in questo un senso è proprio difficile da trovare. L’idea parte dall’omonimo videogioco, con cui in comune ha soltanto l’idea di follia e strage incondizionata verso poveri innocenti; nel videogioco il protagonista è un postino psicopatico, nel film un uomo che non ha ancora trovato la sua strada. Un minimo di storia, di filo narrativo si- 47 curamente c’è, ma è troppo circondata dalla demenzialità dei personaggi, fra l’altro poco delineati; tanto per compensare si sono inseriti inutili nudi integrali e brani senza logica. Viene da chiedersi cosa abbiano pensato gli americani della sequenza iniziale, in cui si scimmiotta l’attentato dell’11settembre: i terroristi al comando dell’aereo hanno deciso di andare alle Bahamas, anziché compiere il sacrificio perché le vergini che troverebbero nell’aldilà sarebbero solo 20 e non più 100; i turisti riescono a sfondare la porta dell’aereo e, nel cercare di fermare i terroristi, porteranno l’aereo a schiantarsi sul World Trade Center. L’amicizia fra Bin Laden e Bush, potrebbe essere un vago tentativo del regista Uwe Boll di affermare la forte idea che il loro Presidente ben conosceva gli intenti dei talebani. Un sorriso per la citazione di Casablanca nel finale, dove è Bush ha dire che “è l’inizio di una bella amicizia”. Boll, che dopo la sua prima prova col film Alone in the Dark (2005) era stato definito il peggior regista esistente, ci prova ancora una volta a girare un buon film. Ma non riesce. Elena Mandolini Film Tutti i film della stagione VALUTAZIONI PASTORALI Animanera – inaccettabile / negativo Black House – n.c. Burn After Reading – A prova di spia – accettabile-riserve / brillante Cavaliere oscuro (Il) – discutibile / crudezze Cronache di Narnia (Le) – Il Principe Caspian – accettabile / poetico Doomsday – Il giorno del giudizio – n.c. Fabbrica dei tedeschi (La) – n.c. Giorno perfetto (Un) – discubile / ambiguità Io vi troverò – discutibile / crudezze Love Guru (The) – n.c. Machan – accettabile / semplice Matrimonio di Lorna (Il) – accettabile-problematico / dibattiti Nella rete del Serial Killer – n.c. Ombre dal passato – n.c. Padroni della notte (I) – accettabileriserve / crudezze Papà di Giovanna (Il) – accettabile / poetico Pa-ra-da – accettabile-problematico / dibattiti Per uno solo dei miei due occhi – n.c. Piacere Dave – accettabile / semplice Postal – n.c. Pranzo di ferragosto – accettabile / semplice Rocker (The) – Il batterista nudo – n.c. Rogue il solitario – n.c. Sanguepazzo – discutibile-problematico / dibattiti Seme della discordia (Il) – inconsistente / superficialità Serenity – accettabile / semplicistico Setta delle tenebre (La) – inaccettabile / farneticante Sex List – Omicidio a tre – n.c. Shorooms – Trip senza ritorno – n.c. Shortbus – inaccettabile / malsano Solo un bacio per favore – discutibile / ambiguità Terra degli uomini rossi (La) Birdwatcherd – accettabile / problematico Tre scimmie (Le) – discutibile-problematico / dibattiti Tu, io e Dupree – accettabile / semplicistico IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 25,00 - periodicità bimestrale. SCRI VERE di Cinema direttore Carlo Tagliabue SCRIVERI DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected] 48