Comments
Description
Transcript
Conoscenza e impresa
Conoscenza e impresa SALVATORE VICARI* Abstract La conoscenza è un concetto centrale nella teoria economica, in quanto essa è legata ad alcuni suoi problemi chiave: valore, sviluppo, risorse. Essa è stata sottovalutata per un lungo periodo, anche se oggi molti studiosi condividono l’idea che essa giuochi un ruolo molto importante. Sono state elaborate diverse teorie per spiegare la natura dell’impresa in termini di conoscenza. La mia opinione al riguardo è piuttosto radicale: l’impresa altro non è che un sistema cognitivo, in grado di trasformare la conoscenza in valore economico. Essa utilizza una particolare capacità, quella di utilizzare le sue risorse di conoscenza al fine di generare nuove risorse, attraverso un processo di creazione di valore economico. Parole chiave: conoscenza, teoria dell’impresa, sistema cognitivo, risorse, auto-generazione Knowledge is a central issue in economic theory, because it is linked with some key problems: value, development, resources. It has been undervalued a long time but now most scholars agree about its role and importance. Many theories have built up to explain the nature of the firm in terms of knowledge. My opinion is quite radical: the firm is nothing else than a cognitive system, able to transform knowledge in economic value. It uses a peculiar capacity to use its existing knowledge resources to generate new resources, through a process of economic value creation. Keywords: knowledge, theory of the firm, cognitive system, resources, self-generation 1. Conoscenza ed economia Ciò che dà valore a una qualunque attività, merce, intrapresa non è null’altro che la conoscenza. Questo concetto che, quando lo affermai la prima volta negli anni ’80, poteva sembrare apodittico e provocatoriamente esagerato, oggi anche se non pienamente condiviso viene ormai accettato da molti e addirittura è entrato nei templi sacri degli economisti, divenendo uno dei filoni più seguiti dalle teorie emergenti dello sviluppo economico. Alcuni tendono a collocare storicamente la questione della rilevanza della conoscenza alla fine del XX secolo parlando dell’emergere della knowledge society (Drucker, 1992) e della circostanza per cui in futuro la conoscenza avrebbe * Ordinario di Economia e gestione dell’innovazione - Università Bocconi e-mail: [email protected] sinergie n. 76/08 44 CONOSCENZA E IMPRESA rappresentato una risorsa importante per la società nel suo insieme. La terra, il lavoro e il capitale sarebbero diventati fattori produttivi secondari rispetto alla conoscenza. Il ruolo della conoscenza in effetti è divenuto evidente soltanto nel secolo scorso perché, come vedremo, in quell’epoca alcune sue caratteristiche sono diventate particolarmente visibili. In realtà da sempre nella storia dell’umanità la conoscenza è l’elemento fondamentale dello sviluppo della civiltà e della società. In particolare, con riferimento alla dimensione economica, la conoscenza è l’elemento fondamentale per la creazione di valore. Qualunque manufatto possiede un valore che è commisurato alla quantità di conoscenze che incorpora. Prendiamo un qualunque oggetto, una lampada, e domandiamoci cosa dia valore, per quale motivo essa venga comprata e cosa la renda differente rispetto a qualunque altro strumento di illuminazione. La risposta è che ciò che dà valore a quest’oggetto non è null’altro che la conoscenza, quella di chi progetta lo stile, l’apparato di alimentazione, il meccanismo di accensione e spegnimento, poi di chi la costruisce, di chi la vende e anche di chi la utilizza. Questo era vero per una lampada prodotta nel I o nel XV secolo e lo è ancora di più oggi, con le moderne lampade a luce cangiante, gestite da potenti microprocessori. Tale semplice affermazione illustra come il concetto di valore e quello di conoscenza siano intrinsecamente collegati al punto che essi, pur essendo differenti in termini epistemologici e fattuali, sono quasi indistinguibili dal punto di vista economico. 2. Perché la conoscenza ha valore Cerchiamo di capire perché la conoscenza abbia valore economico e perché i processi di creazione di valore dell’impresa altro non siano che processi di utilizzo e creazione della conoscenza. Tentiamo dunque di comprendere quali caratteristiche abbia il concetto di valore connesso a quello di conoscenza. Vorrei dividere il ragionamento in due affermazioni che cercherò di illustrare: 1. il valore di una conoscenza sta nell’utilizzatore; 2. il valore di una conoscenza sta nella sua distribuzione. 2.1 Il valore di una conoscenza sta nell’utilizzatore Intanto il valore di una conoscenza nasce dal tipo di utilizzo che è possibile fare. Questo è facilmente comprensibile: se una conoscenza è utile vale molto. Meno chiaro è forse che questa utilità dipende dall’agente economico. Cerchiamo pertanto di chiarire l’affermazione. Innanzitutto possiamo concordare sul fatto che il valore che un’informazione possiede dipende dalla capacità di un agente economico di utilizzare quell’informazione. E’ necessario ora fare un ulteriore passo: il valore di un’informazione non dipende da essa, ma è funzione della conoscenza di chi la utilizza. SALVATORE VICARI 45 Il valore di una conoscenza pertanto discende non soltanto dalle sue caratteristiche ontologiche, essendo anche funzione delle qualità dell’utilizzatore. Spesso conoscenze ritenute poco proficue o addirittura inutili si sono rivelate poi enormemente utili, al di là della più fervida immaginazione. Si pensi al calcolo binario, che sembrava un divertissement matematico, privo di vera utilità. Potremmo dire che gran parte delle conoscenze matematiche, filosofiche e letterarie sono estremamente utili anche da un punto di vista pratico, solo che la loro utilità non è immediatamente chiara nel momento in cui le conoscenze si formano. Diciamo allora, più propriamente, che il valore della conoscenza dipende necessariamente dall’utilizzatore di quella conoscenza. Il conoscere l’esatta sequenza del codice genetico di un batterio a me è di scarsa utilità (e forse anche al lettore), ma è importantissimo per un genetista e può avere un valore molto alto per un’impresa del comparto biotecnologico. E’ pertanto chiarito che il valore economico della conoscenza non dipende in astratto dalla conoscenza in sé, ma dall’utilizzatore di quella conoscenza. Detto in altri termini, il valore d’uso dipende dalle conoscenze già possedute dall’utilizzatore. 2.2 Il valore di una conoscenza sta nella sua distribuzione Il concetto di valore è sempre stato collegato a quello di scarsità delle risorse, anzi l’economia, si è sempre detto, è la scienza del valore in quanto studia il problema dell’allocazione delle risorse scarse. Ora, la posizione qui sostenuta è che, con riferimento al tema della conoscenza, possiamo parlare di valore non solo quando vi sia poca disponibilità di risorse, ma soprattutto quando vi sia ineguale distribuzione di informazione tra soggetti. Già von Hayek (1988) aveva mostrato come il problema economico della società non possa essere confinato a quello delle risorse disponibili, giacché non vi è nessuno che abbia completa conoscenza dei mezzi disponibili e del sistema di preferenze. Se vi fosse questa conoscenza concentrata in una sola testa, il quesito economico sarebbe una pura questione di calcolo. Il problema consiste, invece, nell’assicurare un efficiente uso delle risorse conosciute da parte dei vari soggetti economici secondo schede di preferenza e secondo obiettivi noti solo ai singoli. In realtà il calcolo economico non è solo una questione di allocazione di risorse scarse; il crederlo nasce da una sottovalutazione del ruolo dell’informazione e della conoscenza. Il problema economico nasce dalla disomogenea distribuzione dell’informazione. La scarsità delle risorse è solo una parte del problema il cui contesto è dato dalla ineguale distribuzione di informazione. Per quanto riguarda la disponibilità il concetto di valore di scambio è strettamente connesso a quello di domanda e offerta: se un bene fosse disponibile, ma solo uno fosse a conoscenza di questa disponibilità, per tutti gli altri si porrebbe il problema della scarsità quando in realtà sarebbe solo un problema di informazione. In questa circostanza, infatti, il prezzo sarebbe alto non per la scarsità del bene, ma solo in quanto mancherebbe l’informazione circa la disponibilità di quel bene. 46 CONOSCENZA E IMPRESA Il prezzo non si formerebbe dunque sulla base della scarsità di quel bene, ma sarebbe invece una misura della distribuzione dell’informazione tra i potenziali acquirenti. Come si vede il prezzo diventa un misuratore della varianza nella distribuzione della conoscenza circa la disponibilità dell’offerta. Il ragionamento vale anche se ci si sposta sull’altro lato del mercato: se vi è offerta di beni, ma non si conosce l’esistenza di una domanda elevata per quei beni, il prezzo sarà basso non perché l’offerta eccede la domanda, ma solo perché questa non è a conoscenza dell’esistenza della domanda. Ancora una volta il prezzo non misura il divario tra domanda e offerta, ma il differenziale di informazione. Così come il prezzo misura tale asimmetria, in modo analogo ciò che assegna valore alla conoscenza non è la quantità della conoscenza che si possiede, ma la sua distribuzione. Essa, a parità di altre condizioni, ha grande valore quando è detenuta da pochi. Se un’impresa trova un procedimento di lavorazione assolutamente nuovo e con questo procedimento riesce ad ottenere una produttività superiore alla concorrenza, “possiede” una conoscenza che ha un alto valore. Nel momento in cui questa informazione diventa disponibile ad altri perde di valore. Se un’impresa produce certe informazioni che altre non possiedono acquisisce un vantaggio competitivo proprio perché le altre imprese non possiedono la stessa conoscenza. 3. La visibilità del valore della conoscenza Ciò che è cambiato radicalmente nel XXI secolo e che ha avuto un’accelerazione enorme rispetto al passato, non è tanto il ruolo della conoscenza nel processo di creazione economica, ma la circostanza che la conoscenza è divenuta trattabile in quanto tale e non più solo attraverso i manufatti in cui era incorporata. La conoscenza non è più solo “inserita” nelle strutture fisiche e chimiche dei manufatti, ma può essere incorporata in quelle strutture logiche che sono i bit. Ciò rende la conoscenza estremamente facile da essere trattata, manipolata, immagazzinata e trasferita. Quando la conoscenza non poteva essere immagazzinata se non in strutture chimiche e molecolari, alla maggiore complessità della conoscenza corrispondeva necessariamente una grande dimensione e complessità delle strutture fisiche e di conseguenza organizzative. Ciò richiedeva investimenti massicci e risorse finanziarie coerenti con la complessità della conoscenza. La rivoluzione industriale e la nascita dell’impresa moderna, come sappiamo, sono state una risposta al bisogno di maggiore complessità dell’attività economica. Ciò che dobbiamo chiederci è se oggi, alla luce delle nuove caratteristiche di utilizzo della conoscenza, siano ancora necessari le enormi quantità di capitale e le strutture organizzative di grandi dimensioni tipiche del XX secolo. Ciò che è certo è che le nostre teorie e le tecniche di gestione si riferiscono a imprese che oggi non esistono più. Faticosamente stiamo cercando di mettere a punto nuove idee, nuovi approcci, nuove teorie. Tuttavia, sfortunatamente, questo compito è oggi più nelle mani dei divulgatori, o comunque delle opere di SALVATORE VICARI 47 divulgazione che degli scienziati, degli studiosi di impresa, i quali sono costretti a occuparsi di particolari spesso irrilevanti. La produzione scientifica a livello internazionale oggi emargina i tentativi di disegnare il quadro di insieme. Le strutture delle imprese, i metodi di governo, la contabilità sono fondati tutti su modelli obsoleti, che non hanno al centro la misura, le modalità di gestione, i modi di accumulazione della conoscenza. Come si classifica? Come si misura? Come si cambia? Come si accresce? Sono domande a cui non esiste risposta operativa, ma solo vaghi modelli astratti di scarsa utilità manageriale. 4. Conoscenza e sviluppo: la rivalità dei beni La principale modalità di trasformazione e di sviluppo economico è stata per millenni originata dal lavoro umano, fino al momento in cui un’altra forma lo ha sostituito utilizzando l’energia sviluppata attraverso diverse fonti, da quella animale, idrica, eolica, da combustione, fino a quella nucleare e alle più recenti da fonti cosiddette “rinnovabili”. Ma ora un’altra modalità di trasformazione sta sostituendo quella originata dall’energia: si tratta dell’informazione, la quale sta divenendo il più importante fattore propulsivo dell’attività produttiva non solo del mondo economico, ma di tutta la società nel suo complesso. Il motivo per cui la conoscenza si sta manifestando come la più importante delle risorse produttive non è tanto da ricercare, come si è detto poc’anzi, nel fatto che l’informazione sia oggi più importante di ieri, ma nella circostanza che essa sia disponibile e immagazzinabile in grandi quantità a costi bassi manipolabile, riproducibile con facilità e trasferibile a costi contenuti, facile da estrarre nella quantità e qualità voluta, facile da elaborare e da finalizzare allo scopo voluto (Vicari, 1989). Anche nelle nuove teorie sulla crescita economica viene dato un crescente spazio al tema della conoscenza, la quale viene tuttavia trattata in modo molto diverso rispetto al passato: il progresso tecnologico non è più visto come forza motrice di tipo esogeno che traina l’economia; esso diviene invece quel tipo di energia capace di conferire valore (Romer, 1990). Ci si serve della conoscenza per dare a beni e servizi una caratteristica, una forma astratta, che abbia un valore maggiore di quella iniziale. La conoscenza ha in termini economici un’ulteriore caratteristica che la rende unica: è un elemento di propulsione che continua a essere applicato allo sviluppo economico. In modo diverso da tutti gli altri beni, infatti, la conoscenza ha la caratteristica di essere intrinsecamente propulsiva: più cose si sanno e più è possibile impararne. Ciò significa che la base dello sviluppo è data dalla conoscenza e più conoscenza si possiede più è possibile crescere. Mentre le teorie economiche prevedevano una diminuzione del tasso di crescita, in realtà dalla fine del ’700 la crescita economica è aumentata e non diminuita, proprio a causa del ruolo che la conoscenza ha esercitato come propulsore di crescita. 48 CONOSCENZA E IMPRESA Questi fatti hanno reso evidente come il sapere sia risorsa centrale nel processo produttivo, nel senso che esso sempre più svolge un ruolo fondamentale nella produzione e nel consumo, divenendo la risorsa critica ai fini della trasformazione economica. In sostanza il valore aggiunto che l’informazione dà ai processi e ai prodotti supera di gran lunga quello apportato dalle trasformazioni chimiche, fisiche o di altra natura possibili con i tradizionali processi di trasformazione. Se per scienza si intende la conoscenza teorica delle leggi che governano la natura e la società, per tecnologia il complesso di mezzi materiali e di conoscenze atte a trasformare entrambe, per produzione il processo di creazione di nuove caratteristiche tecniche e fisiche, il processo di attivazione del potenziale insito nell’attuale fase scientifica e tecnologica risiede prima di tutto nell’unificazione della scienza con la tecnologia, con la produzione e con il management. Ciò implica che il confronto competitivo tra i soggetti economici non dipende più solo dalla proprietà dei fattori produttivi e di risorse materiali di cui essi dispongono, ma anche e soprattutto dal sapere. Il valore aggiunto e il vantaggio competitivo risiedono oggi nella capacità di originare nuova conoscenza, di scambiarla al fine di accrescerne il valore, di appropriarsi del sapere originato da altri. E il sapere, rispetto alle altre risorse che storicamente hanno accompagnato lo sviluppo dell’umanità e dei suoi sistemi di produzione, possiede alcune caratteristiche assolutamente specifiche. L’informazione è input dei processi economici ed essa è anche il risultato dei processi di trasformazione. Il sapere, infatti, in quanto risorsa produttiva, non è “deperibile”, intendendo con questo termine la caratteristica di usurabilità e di riduzione al momento dell’utilizzo. Anzi, ogniqualvolta esso viene utilizzato, “trasformato” in nuova conoscenza, diviene più ricco, si incrementa di nuovi elementi. In passato ho sostenuto che il concetto di valore coincide con quello di potenziale generativo: il motivo sta in questa capacità della conoscenza di generare nuova conoscenza. Una questione di assoluta importanza per capire l’unicità della conoscenza sotto il profilo economico può essere fatto risalire alla distinzione tra beni rivali e non rivali: i primi sono rivali dal punto di vista delle possibilità di utilizzo, mentre i secondi possono essere utilizzati più volte o da più persone in modo non rivale. Ciò significa che a differenza di ogni altra risorsa materiale, l’informazione non ha i vincoli della irriproducibilità. Essa dunque, una volta prodotta, può essere poi duplicata in un numero altissimo di copie in molti casi perfettamente identiche all’originale. La conoscenza quando viene utilizzata può generare un flusso di reddito che può alimentarsi anche grazie alla caratteristica della riproducibilità. Quest’ultima tuttavia ne contiene un’altra, quella di fragilità, in quanto le rendite derivanti dalla conoscenza sono facilmente appropriabili da terzi. Le imprese investono in conoscenza sapendo che per un periodo più o meno limitato di tempo possono contare su un sovrareddito. Quanto più la conoscenza può essere riprodotta da terzi, tanto meno si può contare su una rendita monopolistica: questo è il motivo per cui è diventata così importante la questione della proprietà intellettuale. SALVATORE VICARI 49 Tuttavia vi è un’altra faccia della medaglia che è emersa in tempi relativamente recenti: mettere in comune la conoscenza non necessariamente implica rinunciare alla rendita derivante dal suo possesso. Se infatti si condivide la conoscenza con terzi ma si mantiene una capacità di utilizzo differenziale rispetto agli altri, ci si può appropriare non solo dei vantaggi dei redditi derivanti dalla conoscenza, ma lo si può fare in misura amplificata rispetto alla gestione proprietaria della stessa. Un’altra caratteristica fondamentale del sapere quale risorsa produttiva è infatti quella della forza sinergica connessa al suo scambio. Quanto più alcuni soggetti mettono in comune le proprie conoscenze scambiandosi in sostanza il sapere, tanto più essi generano nuova conoscenza. Scambiare le informazioni, lungi dall’impoverire il sapere, ne accresce sia la quantità che la qualità. La conoscenza che è generata dallo scambio diviene di gran lunga più produttiva di quella originaria. La conoscenza ha pertanto proprietà diverse da quelle di tutte le altre risorse materiali: può essere condivisa senza che per chi la offre vi sia una perdita. In secondo luogo, se messa in comune, genera per solo questo fatto ulteriore sapere. 5. La natura dell’impresa Il tema della conoscenza, pur non essendo stato un argomento centrale nella teoria sull’impresa, è sempre stato trattato in modo indiretto nella questione riguardante la natura dell’impresa. Solo nelle teorie più recenti l’impresa viene vista come struttura di gestione e di valorizzazione della conoscenza. La mia opinione al riguardo è invece ancora più radicale: l’impresa non è altro che un sistema cognitivo. Conviene ripercorrere velocemente le teorie sull’impresa per arrivare a questo tema centrale: l’impresa come sistema cognitivo. Possiamo partire dalla questione più importante, vale a dire il ruolo della conoscenza nella natura dell’impresa, questione che è stata affrontata in modo radicalmente diverso in linea con l’evoluzione delle teorie sull’impresa. La teoria neoclassica vede l’impresa come modalità tecnica per trasformare i prodotti. Si riconosce quindi un ruolo alla conoscenza vista come tecnologia a disposizione dell’impresa, ma non si è in grado di dire nulla sul perché questa conoscenza esista e sui processi di sua acquisizione e sviluppo. Tutte le imprese dispongono della medesima funzione di produzione, possedendo le medesime conoscenze tecnologiche. Coase (1937), con la teoria dei costi di transazione, evidenzia il ruolo dell’organizzazione come modalità di governo più efficiente rispetto alle transazioni di mercato. La maggiore efficienza deriva dalla capacità di governare i processi attraverso la gerarchia, la quale non può che derivare da quella che oggi chiameremmo la conoscenza manageriale. Il tema del governo, approfondito e sviluppato da Williamson (1996), tuttavia non ha portato a un riconoscimento esplicito del ruolo della conoscenza, mentre peso maggiore è stato assegnato ai meccanismi prodotti dalla gerarchia. 50 CONOSCENZA E IMPRESA Il ruolo giocato da una nuova classe, quella manageriale, che si caratterizza rispetto alla proprietà esclusivamente per il tipo di competenze di cui è portatrice, riconosciuto inizialmente da Chandler (1962), viene esplicitamente trattato da Jensen e Meckling (1976), i quali vedono l’impresa come un insieme di contratti, il cui compito è quello di organizzare l’attività attraverso una serie di vincoli che disciplinano le relazioni tra i soggetti. Il problema dell’agenzia nasce in quanto la direzione dell’impresa è portatrice, oltre che di interessi specifici, di un insieme di conoscenze e di informazioni diverse rispetto alla proprietà. Ed è proprio la qualità e l’importanza di questa conoscenza che determina un potere che va in qualche modo controllato e limitato attraverso il sostenimento dei costi di agenzia. Nello stesso periodo in cui Chandler descriveva la nuova impresa manageriale, Penrose (1973) avanzava l’idea che l’impresa potesse essere vista come collection of resources e qualche anno dopo, nello sviluppare ipotesi teoriche sull’espansione dell’impresa, Rubin (1973) definì le risorse come input fissi che consentono l’effettuazione di una certa attività, ove per input fissi si intende una combinazione di capitale umano e di immobilizzazioni tecniche. E’ tuttavia con il lavoro di Nelson e Winter (1982) che viene chiaramente espresso il concetto di routine, vale a dire di comportamenti regolari, che scaturiscono dalle abilità aziendali e sui quali l’impresa basa le proprie scelte. Esse giocano nell’impresa lo stesso ruolo che i geni rivestono negli organismi biologici: sono una caratteristica intrinseca dell’organizzazione e ne determinano il possibile sviluppo. Si tratta ovviamente di conoscenza che viene riprodotta attraverso processi che divengono risposte automatiche a determinati stimoli. Le routine altro non sono che conoscenza che viene proceduralizzata. L’articolo di Wernerfelt del 1984 chiarisce che il vantaggio competitivo dell’impresa dipende da diversi tipi di risorse e capacità dell’impresa, tra cui la conoscenza gioca un ruolo di primo piano. Per la prima volta si riconosce che la capacità di reddito e di sviluppo dell’impresa non risiede nelle scelte che di volta in volta essa compie, ma nelle risorse di cui dispone, che in gran parte vanno fatte risalire alla dotazione iniziale, che si rivelerà appropriata nel tempo in funzione di una grande lungimiranza o della fortuna (Barney, 1991). In seguito si comprende che non tutte le risorse possono essere fonte di un reale vantaggio competitivo, ma solo quelle che non sono negoziabili nel mercato, vale a dire quelle dotate di elevata specificità e che sono il frutto della continua accumulazione all’interno dell’impresa (Dierickx e Cool, 1989). Ci si rende conto che tali risorse debbono essere in qualche modo di natura molto particolare, legate a quello che l’impresa sa e sa fare. Entra quindi prepotentemente il tema della conoscenza come elemento costituente le risorse fondamentali dell’impresa. Uno sviluppo significativo viene dal riconoscimento che ciò che è davvero importante in contesti di cambiamento non è soltanto la quantità e qualità di risorse esistenti, ma anche la capacità evolutiva del patrimonio di assetti iniziali, che è fornita dalle cosiddette dynamic capabilities (Teece, Pisano, Shuen, 1990 e 1997; Iansiti, Clark, 1994, Verona, 1999). Il filone della Resources Based View diviene così il primo che riconosce esplicitamente SALVATORE VICARI 51 all’insieme delle risorse, in cui la conoscenza gioca un ruolo di primo piano, la fonte dell’esistenza e del successo dell’impresa. Ma è soltanto con quella che viene definita The Knowledge-Based Theory of the Firm che viene riconosciuta in modo finalmente pieno l’importanza della conoscenza. Tuttavia ciò che viene definito “teoria” in realtà è un insieme di visioni molto differenti tra loro, provenienti da concezioni epistemologiche estremamente articolate, in cui l’unico elemento realmente unificante è il riconoscimento del ruolo che la conoscenza gioca come elemento costitutivo dell’impresa. Una prima distinzione tra i vari contributi che compongono la Knowledge Theory è data dalla diversa interpretazione filosofica del concetto di conoscenza (Nonaka e Peltokorp I., 2006): da un lato quella positivista secondo cui essa non ha un carattere universale, dotata di univocità e indipendenza dai soggetti e dalle istituzioni, soggetta ad accumulazione basata su una capacità di ricerca e comprensione delle leggi della natura; dall’altro una visione della natura soggettiva della conoscenza, frutto non solo di apprendimento individuale, ma anche di fenomeni di interazione sociale. La distinzione in qualche modo è stata oggetto di un tentativo di sintesi attraverso la concettualizzazione dell’esistenza di due tipi di conoscenza, basata sul lavoro di Michael Polany I. (1967): da un lato quella esplicita, dotata delle caratteristiche dell’articolazione, codificabilità, comunicabilità; dall’altro quella tacita, intimamente connessa all’individuo, intuitiva, non articolabile, difficilmente trasmissibile. Un secondo aspetto che differenzia i diversi filoni è costituito dal rilievo dato al soggetto che conosce. Da un lato vi è una visione dell’impresa come struttura che consente agli individui di avere uno “spazio sociale” entro il quale svolgere la propria attività e dove avere identità condivisa (Kogut e Zander, 1992, 1996). Dall’altro lato l’organizzazione è vista come luogo in cui ogni individuo, avendo una conoscenza limitata, organizza lo scambio di conoscenza con altri individui per accrescere la propria (Conner e Prahalad, 1996). La questione da porsi è se la conoscenza di un’impresa sia la somma di quelle individuali oppure se esista una conoscenza dell’organizzazione diversa da quella degli individui che la compongono. In realtà la posizione prevalente nella KBV è che le imprese sono viste come modalità per la creazione e l’utilizzo della conoscenza (Barney, 1991; Grant, 1996). Le organizzazioni cioè, così come nella Resources Based View, sono viste come modalità attraverso cui gli individui possono scambiare la propria conoscenza e in questo modo accrescere il vantaggio competitivo dell’impresa, il cui compito è coordinare i processi di accumulo e scambio (Teece et al. 1997). L’organizzazione dunque, basandosi sul proprio capitale sociale, vale a dire sul proprio network di relazioni, può facilitare lo sviluppo del capitale intellettuale attraverso le condizioni che crea in termini di linguaggi, codici, meccanismi di comunicazione (Nahapiet e Ghoshal, 1998; von Krogh, 1998). In realtà un’organizzazione non è solo uno strumento degli individui per scambiarsi la conoscenza e non è neanche soltanto un contesto in cui quest’ultima può essere messa in comune tra differenti soggetti. L’impresa, come tutte le 52 CONOSCENZA E IMPRESA organizzazioni sociali, è in realtà un sistema cognitivo, vale a dire un soggetto che ha una propria conoscenza diversa da quella degli individui che la compongono. La conoscenza di un’organizzazione è sì il risultato dell’azione degli individui, ma non è mai soltanto la somma delle conoscenze individuali. È vero che lo sviluppo della conoscenza di un’organizzazione è il frutto dell’interazione tra gli individui e dunque è condizionata dall’esistenza di un capitale relazionale. Ma è altrettanto vero che la conoscenza di un’organizzazione è anche il frutto della capacità di assorbire conoscenza dall’esterno (absorptive capacity)1, della combinazione tra le competenze degli individui che sono all’interno e quelle che sono all’esterno, della capacità di utilizzare concretamente queste conoscenze, delle procedure che si sono accumulate nel tempo e delle routine organizzative che prescindono dalle singole conoscenze, del tipo di attrezzature di cui l’impresa dispone, della conoscenza che è in essa incorporata. La conoscenza dei singoli individui è ovviamente un elemento costitutivo fondamentale di quella dell’organizzazione. Tuttavia la conoscenza di un soggetto ha senso nel contesto dell’impresa, assume cioè un significato e ha un ruolo in quanto opera insieme a quella di altri individui e all’interno di una specifica organizzazione. Quella stessa persona possiede altre conoscenze oltre a quelle che porta all’interno dell’organizzazione, ad esempio ha hobby, attività nel tempo libero, interessi individuali. Ciò che, tuttavia, rende la conoscenza un elemento così rilevante sotto il profilo economico è la sua collocazione in una organizzazione, in un sistema sociale, che in quanto momento della creazione di valore economico non è più solo un concetto ascrivibile al solo individuo, ma un fatto collettivo, che ha cioè rilevanza in quanto operante nel contesto della conoscenza collettiva dell’impresa. 6. Conoscenza e informazione Nonostante la KBV abbia avuto una notevole condivisione e diffusione nel mondo accademico, tuttavia non esiste una definizione unanimemente accettata del concetto di conoscenza, talvolta definita in modo sbrigativo know-how. Ad esempio Von Hippel (1988) avanza la definizione secondo cui il know-how è costituito di quelle abilità che permettono a un individuo di fare qualche cosa in modo semplice ed efficiente. Questa definizione tuttavia sembra molto superficiale e del tutto insoddisfacente. Una modalità molto diffusa è quella di non fornire una vera definizione, ma di riferirsi alle caratteristiche che qualificano i diversi tipi di conoscenza, ne è esempio la definizione utilizzata da Kogut e Zander (1992, 1996), secondo cui una distinzione significativa è quella tra conoscenza non applicata (knowledge-that) e applicata (knowledge-how). Un altro esempio è dato da quella molto diffusa, e già citata di Polany (1967), divulgata da Nonaka (1994), che distingue tra conoscenza 1 Di cui parlano Cohen e Levinthal (1990). SALVATORE VICARI 53 tacita e conoscenza esplicita. La prima è stata collegata al know-how (Conner e Prahalad, 1996; Kogut e Zander, 1992), mentre la seconda alla conoscenza dichiarativa (Hansen, 1999). Un’altra modalità diffusa per definire il concetto di conoscenza è quella di distinguerla dal concetto di informazione e di dato. Tuttavia spesso anche questa modalità è viziata da una non chiarezza circa il significato di questi ulteriori termini. E’ bene pertanto chiarire il significato dei vari concetti poiché, come già detto, non ne esiste una definizione unanimemente accettata. Il dato (dal latino “data”, cioè cose che sono date) in realtà è costituito da fatti, proposizioni e simboli che un certo soggetto raccoglie e utilizza per dare un senso all’ambiente in cui opera. Si tratta dunque di una rappresentazione dei fatti. Quindi non è vero che i dati sono riproduzioni del reale: essi sono invece rappresentazioni mai oggettive, giacché sono formate comunque da un osservatore. I dati sono infatti circostanze che un soggetto seleziona, elementi che cerca, situazioni che percepisce. La selezione dei dati ha luogo con un processo dapprima di ricerca e poi di percezione, che dipende non dall’ambiente ma dall’impresa: viene percepito solo ciò che interessa, che è in grado di essere utile (Bateson, 1984). Possiamo tuttavia ammettere che il livello di soggettività dei dati è limitato, potendo esistere su di essi un consenso, se non unanime, comunque ampiamente diffuso. Una volta raccolti i dati (meglio dire una volta cercati questi dati), l’impresa attribuisce loro un significato organizzandoli in relazione agli obiettivi: si può dire che i dati vengono allora trasformati in informazioni. Le informazioni, come dice il termine, sono dati cui è “conferita forma”, cui cioè è assegnato un significato preciso, uno scopo nell’ambito dell’impresa. Una serie di numeri sulle vendite della settimana sono dati, ma se questi numeri sono organizzati in vista ad esempio del lancio di un prodotto diventano un’informazione. L’organizzazione dei dati in informazioni implica appunto il fatto di mettere in relazione tra loro i dati in modo che essi assumano un senso in vista di uno scopo. Nessuna informazione è pertanto una riproduzione asettica e oggettiva del reale, in quanto comunque essa comporta un processo di “assimilazione” a strutture cognitive precedenti, ove per assimilazione si intende appunto il conferire un significato a ciò che è stato percepito (Piaget, 1983). Questa attività cognitiva consiste nel produrre differenze. L’informazione consiste infatti in una “differenza” che produce una differenza. Combinando due informazioni diverse o provenienti da dati diversi si ottiene un aggregato che è maggiore della somma delle parti. Non si tratta di una semplice addizione, ma piuttosto di una moltiplicazione, di un prodotto logico (Bateson, 1984). La conoscenza è un tipo logico diverso rispetto all’informazione. La questione è rappresentabile con un esempio: il direttore vendite riceve dei dati sull’andamento delle vendite, che rappresentano l’evoluzione di un certo prodotto. Sa che le cose vanno bene o male. Fino a quando non passa al tipo logico superiore ha informazione solo dei fatti particolari, non comprensione della dinamica generale. Se si osservano dei fenomeni si producono informazioni su di essi. Tuttavia, quando si costruiscono le relazioni tra i fenomeni osservati sulla base della conoscenza 54 CONOSCENZA E IMPRESA generale posseduta, allora si ha un nuovo ordine di informazione, si ha quella che è qui definita conoscenza. Il legame che esiste tra conoscenza e informazione è dato dal fatto che attraverso la conoscenza posseduta è possibile organizzare (cioè creare) i fatti nuovi percepiti (i dati), ma la qualità e la quantità della conoscenza dipende a sua volta dall’attività di creazione dell’informazione precedentemente realizzata. La conoscenza consiste nell’integrazione delle informazioni prodotte in passato e quelle oggetto di creazione, in modo da dar luogo a una nuova conoscenza. 7. Il ruolo della conoscenza nell’impresa Dopo avere chiarito il significato dei vari termini è opportuno riprendere la questione del ruolo della conoscenza nell’impresa. Orbene, si è detto che le diverse teorie riconoscono che la conoscenza gioca un ruolo fondamentale nei processi di funzionamento dell’impresa. Ora è possibile fare un ulteriore passo, riconoscendo che l’impresa altro non è che un sistema cognitivo, capace di dare un valore economico alla conoscenza di cui dispone, capace cioè di trasformare in valore economico la conoscenza tramite la propria azione. Un’impresa dunque non funziona “anche” sulla base della conoscenza, la conoscenza non è un elemento che aggiunge valore, non è uno dei componenti, è invece la caratteristica essenziale, l’elemento fondante dell’esistenza dell’impresa e del processo di creazione del valore. Quindi se si vuole davvero capire l’impresa bisogna coglierla nella sua essenza, in quanto sistema cognitivo (Vicari 1991). L’impresa è un sistema cognitivo di tipo particolare, essendo il suo funzionamento basato su un meccanismo a sua volta particolare, cioè sulla continua generazione di valore, attraverso cui l’impresa è in grado di alimentare i meccanismi della propria riproduzione. Essa è pertanto un sistema che utilizza le proprie risorse per produrre ulteriori risorse attraverso la creazione di valore economico. Si tratta di un sistema in grado di funzionare sulla base della sua conoscenza e in grado di alimentare continuamente la conoscenza di cui è dotato. Questa conoscenza è basata su quella delle componenti che ne fanno parte (quelli che vengono comunemente definiti stakeholder) e, in quanto sistema sociale, sui meccanismi di comunicazione tra le componenti stesse. I meccanismi cognitivi che presiedono al funzionamento dell’impresa assumono concretamente la forma di risorse, basate sulla conoscenza e sulla comunicazione, che si compone di fiducia. La conoscenza di cui è costituita l’impresa si qualifica dunque in termini di risorse di competenza e risorse di fiducia. Le capacità dell’impresa basate sul “sapere” sono risorse di competenza, quelle invece basate su modelli cognitivi di altri soggetti sono risorse di fiducia (Vicari, 1992). Tra le due categorie di risorse esistono strette interrelazioni: alla crescita di conoscenza è necessaria l’esistenza della fiducia, e la conoscenza a sua volta alimenta la fiducia. Le risorse si alimentano vicendevolmente. SALVATORE VICARI 55 7.1 Risorse di conoscenza e capacità di trasformazione La nozione di conoscenza e l’atto stesso di conoscere non consistono nel riprodurre o rappresentare la realtà aggiungendo nuove informazioni a quelle esistenti, ma significano agire sulla realtà, trasformarla. Ed è proprio il fatto che il concetto di conoscenza sia legato a quello di azione che rende la conoscenza così importante per l’impresa: essa è ciò che attiva nell’organizzazione i processi di creazione di valore. Attraverso le proprie risorse di conoscenza l’impresa interpreta i segnali provenienti dall’ambiente esterno, li organizza in un insieme di informazioni, decide quali siano le migliori strutture organizzative, predispone le necessarie condizioni operative e attraverso le proprie decisioni crea una serie di opzioni di crescita per il futuro. In questi termini la conoscenza può essere vista come insieme delle condizioni necessarie perché l’impresa disponga di un set di opzioni riguardanti il futuro (Kogut e Zander, 1992, 1996). Per un’impresa la conoscenza è infatti l’insieme delle istruzioni utilizzate per definire cosa produrre, come produrre, a chi vendere, come vendere, e così via. Chi ha le migliori istruzioni produce migliori prodotti e produce a un costo inferiore o con una qualità superiore. Molto semplicemente, molto banalmente, la conoscenza si traduce in estrema sintesi nelle “istruzioni” su cosa fare e come fare, e sul perché di queste istruzioni. Il processo di creazione di valore che rappresenta il senso dell’esistenza dell’impresa, in quanto senza di esso le imprese non avrebbero senso e non esisterebbero, non è null’altro che un processo di creazione di conoscenza. In effetti le imprese possono agire, individuare le migliori fonti di materie, trasformarle in prodotti finiti, venderli e trasferirli ai clienti solo in quanto possiedono un’adeguata conoscenza su come trasformare i prodotti, come trovare nuove soluzioni tecniche, come interpretare i segnali provenienti dal mercato e dall’ambiente, come gestire il fenomeno delle relazioni interne ed esterne, come trovare nuove vie di sviluppo. Le imprese dotate di “migliore” conoscenza sono quelle in grado di affrontare in modo più adeguato la propria esistenza, sono cioè quelle in grado di svolgere correttamente le proprie attività, creando continuo valore economico. E ciò che caratterizza ciascuna impresa rispetto a tutte le altre non è altro che questo insieme di conoscenze e della capacità di apprendere continuamente. Il “materiale” di cui l’impresa è costituita, la materia che viene utilizzata per realizzare i processi dell’impresa stessa è definibile in termini di risorse che essa concretamente utilizza nei suoi processi di funzionamento secondo la prospettiva resource-based. Le risorse fondamentali dell’impresa sono costituite dalla conoscenza, vale a dire dagli schemi cognitivi già formatisi, sufficientemente stabili, che consentono all’intero sistema di funzionare. Gli elementi cognitivi che presiedono al funzionamento dell’impresa, dunque, sono definibili in termini di risorse basate sulla conoscenza. 56 CONOSCENZA E IMPRESA 7.2 Risorse di fiducia e relazioni La conoscenza sistemica non si compone solo di capacità di trasformazione della realtà, ma anche di un particolare tipo di risorsa, che è l’effetto dei processi comunicativi e che possiamo chiamare “fiducia”. Essa consiste di modelli cognitivi che, pur essendo propri di soggetti esterni all’impresa, dal punto di vista di quest’ultima altro non sono che proprie risorse. La fiducia può essere interpretata come uno schema cognitivo di previsione del comportamento di altri soggetti. Questa previsione nasce dalla tendenza a cercare conferme a quanto già sperimentato, in termini di comportamenti altrui. La fiducia si alimenta di informazioni, di conferme o di smentite allo schema cognitivo che un certo individuo ha costruito. Ogniqualvolta che questo schema viene confermato, si crea ulteriore fiducia, mentre ogni volta che l’attesa di un certo comportamento non viene soddisfatta, si distrugge la fiducia. Una volta che un soggetto ha maturato un certo grado di fiducia, tende a confermare il suo schema cognitivo, e quindi ad avere una inerzia comportamentale. Questo significa che non è semplice modificare i comportamenti dei soggetti che hanno fiducia, in quanto essi tendono a rifiutare le informazioni non coerenti con le attese e con la fiducia maturata. Tuttavia, quando il numero o la qualità di informazioni contraddittorie con le attese è tale da costringere a cambiare lo schema cognitivo precedentemente adottato, il cambiamento è radicale, e allora la fiducia è distrutta ed è difficilissimo recuperarla. La fiducia è necessaria per ridurre l’incertezza, il rischio e l’ambiguità (Castaldo, 2007), in modo alternativo alla produzione di informazioni. Ad esempio un consumatore non ha modo di valutare a priori con certezza se ciò che acquisterà sarà realmente rispondente a quanto atteso: per ridurre l’incertezza può ricercare un numero elevatissimo di dati tecnici sul prodotto, oppure può sostituire la produzione di informazioni con un adeguato livello di fiducia nel prodotto o nel produttore, che è ciò che chiamiamo “fedeltà alla marca”. I soggetti economici sono posti di fronte a innumerevoli occasioni di scelta; uno dei modi di diminuire lo sforzo necessario alle scelte è quello di ridurre il numero di dati necessari e di ricorrere a strategie sperimentate in passato (inerzia cognitiva). La fiducia altro non è che uno schema cognitivo, un modello di strutturazione di informazioni, che richiede un minore numero di dati per consentire una interpretazione e dunque un comportamento adeguato ad un certo obiettivo. In ogni negoziazione, in ogni scambio, in ogni rapporto vi è un elemento di fiducia, in mancanza della quale sarebbe necessario possedere tutte le informazioni relative allo scambio (Arrow, 1984). Sotto questo profilo la fiducia è una forma di conoscenza, che consente un minor numero di dati necessari per effettuare una qualunque scelta. In questa circostanza risiede il valore economico delle risorse di fiducia. Perché si generi fiducia è necessario che esista un certo livello di comunicazione, di linguaggio comune, in definitiva che esista una relazione stabile. La relazione è infatti una specie di canale attraverso cui vengono effettuati gli scambi tra soggetti (Bertoli, Busacca e Vicari 2000). SALVATORE VICARI 57 La relazione è un’interazione stabile tra diverse entità. Essa, non essendo composta di materiale fisico, ma di eventi effimeri, per mantenere continuità deve continuamente essere riprodotta a partire dalla fiducia preesistente e avendo come risultato nuova fiducia. Le relazioni sono dunque processi ricorsivi di creazione di fiducia a partire dalla fiducia generata nel precedente processo di interazione. Possiamo dividere le risorse di fiducia di cui un’impresa dispone in due grandi categorie. La prima riguarda la fiducia che è insita nelle relazioni interne, ad esempio tra proprietà e management, tra livelli gerarchici, tra funzioni, tra organi e reparti, tra colleghi, ecc. Una seconda categoria risiede nelle relazioni esterne dell’impresa, quali quelle con la comunità finanziaria e quella sociale, con i partner strategici, con i canali di distribuzione, con la clientela, e così via. Se la conoscenza nelle due dimensioni di risorse ora viste riveste dunque un ruolo critico, addirittura fondante l’impresa, una questione importante è comprendere in quali elementi essa risieda, dove sia cioè “immagazzinata”, e come possa essere accresciuta. Esamineremo il tema affrontando la questione della conoscenza come stock e come flusso. 8. La conoscenza come stock La conoscenza è dunque un sistema organizzato di informazioni messe in relazione tra loro. È stato detto, ed è convinzione diffusa, che l’informazione sia transitoria, passeggera, effimera, mentre la conoscenza sarebbe permanente, duratura, uno stock (Machlup, 1983). La metafora della conoscenza come stock di informazioni ha sempre esercitato un certo fascino, tuttavia questa metafora è fuorviante: la conoscenza non è solo informazione immagazzinata, è soprattutto informazione organizzata in un sistema coerente, determinato dall’impresa stessa, e in un processo di auto-organizzazione: è questa organizzazione che consente di trattare ogni nuova informazione facendola entrare nel sistema. Ciò significa che le nuove informazioni non vengono aggiunte a quelle precedenti, come la nuova merce viene aggiunta a quella esistente in un magazzino, ma ogni nuova informazione modifica necessariamente l’organizzazione del “magazzino”. Si è detto che la conoscenza può essere vista come l’elemento alla base della creazione di valore. Abbiamo già chiarito che è un errore immaginare la conoscenza come il “magazzino” delle informazioni. Tuttavia il fatto che non esista un tale “deposito” non significa che la conoscenza non risieda in alcuni elementi all’interno dell’impresa. La questione da affrontare è pertanto dove questa conoscenza risieda, in quali elementi o attività essa possa essere trovata. Possiamo subito dire che essa risiede fondamentalmente in cinque tipi di “contenitori”: il capitale fisico, le strutture organizzative, le routine, gli individui e, per quanto concerne la fiducia, nel tipo di relazioni di cui essa dispone. CONOSCENZA E IMPRESA 58 Tab. 1: I “contenitori” della conoscenza Capitale Fisico Macchine Sistemi Informativi Strutture Organizzative Architettura organizzativa Organizzazione del lavoro Sistemi di incentivo e valutazione Sistemi di controllo e reporting Software Sistemi di qualità Brevetti Cultura, norme e valori codificati Attrezzature Materiali Routine Individui Relazioni Metodi di management Modalità decisionali Pratiche manageriali Abilità individuali Esperienze personali Conoscenze manageriali Orizzontali, all’interno dell’organizzazione Verticali, con i clienti, i fornitori, i finanziatori Laterali, con partner e concorrenti Procedure operative Conoscenze specifiche tecnologiche Conoscenze specifiche di mercato Conoscenze personali generali Estese, con la comunità locale, nazionale e internazionale Prassi operative Fonte: ns. elaborazione Ovviamente si tratta di classificazioni di carattere generale, potendosi interpretare alcune modalità in una o in altra fattispecie. Il senso di una tale ripartizione non sta nella classificazione ma nell’espressione di un concetto fondamentale: laddove esista vantaggio competitivo, che esso risieda nelle caratteristiche uniche delle macchine, nella qualità dei sistemi informativi, nella cultura aziendale o nelle abilità dei tecnici o dei manager, in ultima analisi troviamo una conoscenza distintiva. Sul tema del trattamento della conoscenza intesa come stock sono rilevanti i problemi di categorizzazione, immagazzinamento, capacità di recupero, rilevazione, misurazione, modalità di utilizzo e soprattutto di modalità di sfruttamento, utilizzo della conoscenza: quella che in letteratura viene definita processo di exploitation. 9. La conoscenza come flusso 9.1 L’incremento dello stock di conoscenza Il tema più importante, tuttavia, non è quello delle modalità di “immagazzinamento” della conoscenza, ma quello, ben più complesso, delle modalità di accrescimento: il tema della conoscenza come flusso, come processo continuo di accumulazione. Concretamente, l’incremento di conoscenza nell’impresa avviene sostanzialmente attraverso sei modalità (Vicari, 1998): SALVATORE VICARI - 59 learning by doing creazione/condivisione di nuova conoscenza investimenti specifici di accrescimento imitazione condivisione con terzi acquisizione dall’esterno Ci sono dei momenti in cui il management utilizza, per affrontare gli eventi che via via si pongono, le routine esistenti. Queste sono procedure basate su schemi cognitivi consolidati, che cioè in passato hanno dato risposte convincenti. In queste circostanze l’impresa non apprende, si limita a fornire una risposta a uno stimolo ricevuto e conosciuto. Ci sono invece momenti ed eventi in cui il management si rende conto che le sue routine disponibili sono inadeguate, in quanto i problemi sono del tutto nuovi rispetto a quanto già sperimentato dall’impresa. Questi eventi sono visti come perturbazioni che producono complessità, disordine: l’impresa si trova di fronte a una situazione nuova e quindi potenzialmente a una crisi che può essere assolutamente lieve o al contrario fortemente minacciosa. In queste circostanze l’impresa non può applicare le routine esistenti, ma deve apprendere, deve cioè creare un set di competenze e di risorse più consone alla nuova realtà. Se l’impresa riesce, utilizzando questa situazione di maggiore o minore difficoltà, a fare fronte alla nuova situazione, il risultato è la produzione di nuova conoscenza che accresce il set di routine disponibili. La crescita del patrimonio di conoscenza avviene, concretamente, utilizzando processi di learning by doing. Il problema della conoscenza va strettamente collegato con il problema dei processi di creazione/condivisione della conoscenza nell’impresa. A questo riguardo è utile la distinzione, ripresa da Nonaka (1994), tra conoscenza esplicita e, conoscenza tacita, che non è trasmissibile facilmente e che è arduo codificare in qualche forma. Una certa conoscenza è più facilmente trasmissibile quanto più sia articolabile, vale a dire comunicabile a terzi in forma esplicita, mentre è tacita quando non è possibile fornire un’utile spiegazione delle leggi o delle regole che la originano. Pur con diverso grado di difficoltà, tuttavia, è sempre possibile trasmettere la conoscenza a terzi anche quando essa è tacita. In questo contesto la creazione di nuova conoscenza è un processo che parte dai singoli e dalle loro conoscenze individuali in interazione tra loro. Questa interazione è esprimibile in termini di “conversione” dell’una, la conoscenza implicita, nell’altra, la conoscenza esplicita, e viceversa. Un modo per accrescere la conoscenza dell’impresa è quello di mettere in atto azioni specifiche per l’aumento tramite appunto un investimento orientato alla produzione di nuova conoscenza, ad esempio attraverso l’attività di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti o gli investimenti in formazione. Si tratta di investimenti volti a creare nuova conoscenza in tempi relativamente brevi, al fine di realizzare strategie e attuare comportamenti basati sulla nuova conoscenza posseduta. 60 CONOSCENZA E IMPRESA Le aziende che operano in mercati caratterizzati da una concorrenza molto intensa e che non dispongono delle capacità e delle competenze delle imprese in grado di effettuare significativi investimenti nella conoscenza, possono imitare i comportamenti delle imprese leader o che comunque costituiscano un punto di riferimento. Tuttavia, in un contesto dove la conoscenza gioca un ruolo chiave, imitare i soli comportamenti può non essere sufficiente ed è importante cercare di percorrere anche la strada della replicazione delle competenze-chiave. L’imitazione più importante non è infatti nei confronti della concorrenza diretta, ma avviene prendendo a riferimento le prassi e le routine in uso presso imprese operanti in contesti diversi. Spesso, anzi, le maggiori innovazioni nei prodotti o nei processi, con la conseguente creazione di nuove capacità, avvengono proprio adottando comportamenti in uso in differenti mercati. Si è detto in precedenza della caratteristica di “non rivalità” della conoscenza. La conoscenza è trasferibile o condivisibile con altri all’esterno dell’organizzazione, senza che ciò provochi una perdita da parte dell’impresa. Ciò implica che, trattandosi di bene non rivale, vi è la possibilità di condivisione con terzi. La conoscenza ha infatti la qualità di accrescersi tramite il processo di scambio in quanto, nell’essere messa a contatto con altre conoscenze, genera apprendimento. I processi di scambio avvengono quando le competenze necessarie non sono acquisibili e non sono producibili in via autonoma all’interno dell’organizzazione, in tempi e a costi adeguati. In queste circostanze i processi di scambio di informazione tramite relazioni con altre imprese consentono di produrre la conoscenza necessaria. L’acquisizione dall’esterno di capacità necessarie per produrre conoscenza è in qualche caso molto più conveniente della creazione interna. In queste situazioni la via è quella dell’acquisto delle capacità critiche per lo sviluppo della conoscenza. Prima di procedere va sgombrato il campo da un’idea di acquisizione di conoscenza che rischia di essere fuorviante (von Foerster, 1987). Infatti noi abbiamo una nozione di acquisizione di nuova conoscenza che assomiglia a quella del volantino di Norimberga del Sedicesimo secolo, il quale mostra uno studente seduto, con la testa scoperchiata, nella quale è inserito un imbuto. Accanto a lui sta il professore, che versa nell’imbuto un secchio pieno di conoscenza, ossia di lettere dell’alfabeto, numeri ed equazioni. Questa idea della trasmissione di conoscenza, diffusa e fuorviante, contraddice le moderne teorie sull’apprendimento. Essa in realtà è un’attività, come ci insegna la moderna scienza cognitiva, che consiste nel creare le condizioni per l’apprendimento, che è ben altra cosa. Il sapere cioè non si può trasmettere, si può solo acquisire. Non si può dunque importare semplicemente conoscenza dall’esterno: essa è sempre il prodotto di un processo di generazione interna. Ciò che si acquisisce sono delle capacità di produzione di conoscenza, non la conoscenza in quanto tale. Ciò detto, l’acquisizione di capacità per produrre conoscenza avviene in più modi, ma fondamentalmente attraverso un continuum di possibili soluzioni che vanno dall’acquisto di servizi di consulenza, alla assunzione di personale, fino ad arrivare all’acquisizione di un’intera impresa. SALVATORE VICARI 61 9.2 Errore e apprendimento L’impresa, come ogni sistema cognitivo, tende a produrre conferme alla situazione esistente. Talvolta è necessario mettere in atto strategie di apprendimento, di cui si è parlato poc’anzi, ma la tendenza naturale è quella al ritorno alla situazione precedente, alla stabilità, all’equilibrio. Soprattutto nei momenti di successo, quando la situazione è positiva, è molto difficile modificare la conoscenza esistente. Il successo, infatti, è il più potente fattore di inibizione al cambiamento e quindi all’apprendimento. Tuttavia è proprio nei momenti di successo che per i sistemi cognitivi è importante porre le condizioni per lo sviluppo futuro e dunque attraverso l’apprendimento creare una nuova conoscenza necessaria per il domani. L’impresa dunque, come ogni altro sistema sociale, ha bisogno di continua destabilizzazione capace di generare la messa in crisi degli schemi cognitivi esistenti e dunque l’apprendimento (Atlan, 1986). Le imprese capaci di apprendere sono quelle in grado di sfruttare le perturbazioni dell’ambiente al fine di mettere in discussione le conoscenze consolidate. Le perturbazioni, cui l’impresa è continuamente soggetta durante la propria vita, sono le condizioni che consentono alle imprese di ampliare e modificare la propria conoscenza. L’impresa capace di apprendere reagisce alle perturbazioni organizzandosi, trovando nuove idee, nuove soluzioni, nuovi prodotti, nuovi approcci al mercato, invece di essere messa in crisi dal cambiamento. Lo strumento concreto che viene utilizzato per modificare gli schemi cognitivi è l’“errore”. Con tale termine intendiamo la distanza tra due schemi cognitivi, la divergenza tra eventi attesi ed eventi percepiti, il differenziale rispetto al sistema di aspettative dell’impresa (Vicari e Troilo, 1998). Tale distanza spinge l’impresa a reperire nuovi dati, a interpretarli e a creare nuovo senso, quindi nuovi schemi cognitivi. Ciò significa che il processo di apprendimento significativo più stabile e duraturo avviene attraverso la produzione di “errori”. Alla base di quelli che abbiamo definito “errori” vi è sempre quella che possiamo chiamare una “perturbazione”. Essa consiste in una grande difficoltà, una situazione fortemente imprevista, una sfida considerata estremamente rischiosa, un pericolo imminente. In queste situazioni spesso si sprigionano energie che consentono un rapido ed efficace apprendimento e che consentono di fronteggiare efficacemente la “perturbazione”. Le crisi, le grandi difficoltà, le sfide drammatiche, possono dunque rappresentare grandi opportunità di apprendimento e di sviluppo, se a partire da quelli che abbiamo chiamato errori, generano l’energia positiva per il cambiamento. Quanto più si riesce a generare la tensione per la sfida alla crisi, per la correzione di quello che viene percepito come errore, tanto più è possibile, attraverso le strategie volte a risolvere il problema, generare apprendimento. Le difficoltà, le perturbazioni, gli errori, sono fattori distruttivi solo se l’impresa non riesce a mettere in atto strategie di apprendimento in modo efficace. Ad esempio, la crisi introdotta da una nuova tecnologia che irrompe nel settore, che rende obsoleto un processo produttivo di cui l’impresa dispone, è una perturbazione 62 CONOSCENZA E IMPRESA che può generare grandi difficoltà; se l’impresa sa dotarsi delle competenze per adottare la nuova tecnologia, il risultato è apprendimento e crescita di competenze dell’impresa che ora ha inglobato, oltre che la vecchia, anche la nuova tecnologia, intraprendendo un processo fortemente innovativo. Se però essa non è in grado di reagire alla crisi, di fronteggiare l’errore derivante dal non aver saputo adottare per prima la nuova tecnologia, ecco che il rumore, il disordine, hanno funzionato da elementi disgregatori e hanno provocato solo una rapida crisi dell’impresa. Il modo attraverso cui l’errore viene affrontato e risolto è ciò che chiamiamo apprendimento. Esso si avvale di un processo di ricerca della soluzione che, essendo difficile da individuare, incerta e costosa, si avvale di un procedimento per tentativi. Si tratta di quello che viene solitamente definito come “processo di exploration”. Vi sono sostanzialmente due diverse modalità con cui vengono messe in atto da tali comportamenti esplorativi: direzionale ed euristica (Nickerson e Zenger, 2004). La ricerca di tipo direzionale è basata sulle conoscenze esistenti che vengono modificate esclusivamente dai feedback che vengono ricevuti a mano a mano che si procede con i diversi tentativi. Di volta in volta vengono modificati quegli elementi della soluzione che sembrano meno appropriati in funzione delle risposte che originano dai tentativi messi in atto (March e Simon, 1958; Cyert e March, 1963). Naturalmente questo approccio può funzionare solo se i problemi sono scomponibili in diversi elementi e ciascuno può essere modificato in modo indipendente dagli altri. Si tratta solitamente di situazioni relativamente semplici, in cui il problema è ben definito, come ad esempio una situazione di ricerca in un laboratorio. La ricerca di tipo cognitivo è quella in cui le azioni sono disegnate sulla base di un modello cognitivo, di una “teoria” a priori, capace di interpretare la situazione e di determinare possibili esiti delle azioni messe in atto. In questo modo ogni feedback produce un ripensamento della teoria, cioè del modello cognitivo alla base del comportamento esplorativo. Tale approccio è più efficace laddove le situazioni affrontate sono di forte complessità, caratterizzate cioè da una significativa interdipendenza delle variabili e da un cambiamento sistematico delle stesse nel tempo (Simon, 1991). 10. La capacità auto-generativa della conoscenza dell’impresa L’impresa si distingue rispetto a ogni altro sistema sociale per la particolare natura del meccanismo di riproduzione delle risorse di cui dispone. Tutti i sistemi sociali, infatti, perseguono un medesimo scopo che è quello del mantenimento della propria capacità di esistenza o, detto in altro modo, della propria capacità di creare le condizioni della propria esistenza, vale a dire della propria “autocreazione”. Tuttavia, se non esistono differenze nella finalità di fondo delle organizzazioni, esistono invece profonde diversità nel modo in cui i diversi sistemi sociali realizzano la propria autocreazione (Vicari, 1991). Ciò comporta che le modalità concrete attraverso cui l’impresa riesce a esistere sono diverse da quelle di qualunque altra organizzazione. SALVATORE VICARI 63 Per la tradizione economica ciò che caratterizzerebbe un’impresa è il profitto o il reddito. Tuttavia, se condividiamo l’impostazione che l’impresa, in quanto sistema cognitivo, è caratterizzata dalla conoscenza di cui dispone, diventa difficile pensare a una finalità che non sia connessa al tema della conoscenza stessa. Tuttavia è a tutti evidente che l’aspetto economico gioca un ruolo fondamentale nell’impresa, a differenza che nelle altre organizzazioni sociali. In realtà il valore economico è la componente centrale dell’autocreazione dell’impresa, è ciò che la distingue dalle altre istituzioni economiche e sociali. La creazione di valore economico è il mezzo attraverso cui vengono generate nuove possibilità di esistenza. Ricollegandoci a quanto detto a proposito dell’impresa come sistema cognitivo, l’impresa produce continuamente conoscenza sotto forma di risorse, attraverso la produzione di valore. Per cui non bisogna considerare l’impresa come insieme di risorse, ma come meccanismo di autoriproduzione delle risorse, spostando l’accento dallo stock alla funzione di trasformazione dello stock in un nuovo stock: “In our view it (the firm) is not only the bundle of resources that matters, but the mechanisms by which firms accumulate and dissipate new skills and capabilities, and the forces that limit the rate and direction of this process” (Teece, Pisano e Shuen, 1990). Se si sposta la prospettiva dal tema delle risorse a quello del processo di autocreazione, si vede come l’aspetto critico non è il livello di conoscenze esistenti, ma di capacità di produrre nuova conoscenza, perché da quest’ultima dipende il successo dell’impresa. Ciò è funzione del modo in cui essa concretamente è capace di mettere in atto i comportamenti tesi non solo a preservare il patrimonio di conoscenza esistente, ma anche ad alimentarlo. Questo modo può essere definito in termini di concezione concretamente operativa, come capacità autocreativa che è unica e irripetibile in ciascuna impresa, una teoria in essere di ogni singola impresa. Ognuna deve dunque scoprire la propria teoria in essere, renderla esplicita, codificarla, trasmetterla e tentare di essere coerente con essa. L’impresa funziona bene quando sa essere coerente con la propria modalità di autocreazione, con la propria teoria in essere. Il principale ingrediente del successo è dunque la conoscenza e la capacità di assecondare il meccanismo di autoalimentazione della conoscenza. L’impresa alimenta in questo modo i suoi processi di produzione di conoscenza, che assume la forma di risorse. Si tratta pertanto di un processo di produzione di risorse che ha come risultato le risorse stesse, che sono dunque contemporaneamente la materia prima e il prodotto del funzionamento dell’impresa. Queste sono caratterizzate dal fatto di possedere valore economico, che è una sorta di catalizzatore in grado di trasformare l’energia contenuta nelle risorse in nuove risorse. Sotto questo profilo si può dunque dire che anche il valore è prodotto del valore stesso, nel senso che la sua generazione avviene a partire dal valore già accumulato nell’impresa. 64 CONOSCENZA E IMPRESA 11. Conclusioni Siamo entrati in un’era nuova caratterizzata da una possibilità di sviluppo data dal riconoscimento pieno del ruolo che la conoscenza gioca nell’economia. Per la prima volta forse nella storia dell’umanità, grazie alle possibilità legate allo sviluppo tecnologico, una risorsa fondamentale per lo sviluppo dell’economia, la conoscenza, è disponibile a basso costo e senza vincoli di scarsità. La produzione dei beni ha il suo perno nella nozione di scarsità, che infatti ha definito la teoria economica. La produzione della conoscenza ruota intorno alla nozione di abbondanza, essendo essa disponibile senza limiti e riproducibile senza costi. L’economia si trasforma: da scienza che tratta dell’allocazione ottimale di risorse scarse diviene scienza della riproduzione e dell’utilizzo di risorse cognitive crescenti. La capacità di operare in questo contesto richiede che l’impresa sia capace di trasformarsi, dando forma alla propria realtà nel contesto in cui opera, quello dell’economia della conoscenza. Solo le imprese capaci non solo di prendere atto di questa nuova situazione, ma di modellare l’offerta, organizzare le strutture, generare le risorse sulla base della capacità autogenerativa della conoscenza, sono in grado di prosperare in questo nuovo mondo. Sappiamo che alcune delle più grandi imprese oggi esistenti sono nate da start up negli ultimi quaranta anni, proprio perché nate all’interno e sulla base del nuovo paradigma dell’economia della conoscenza. Probabilmente i colossi del 2020, imprese capaci di operare facendo leva sulle infinite possibilità offerte dalle reti che connettono la conoscenza in tutto il mondo, stanno nascendo e prosperando in questi giorni. La questione più critica oggi è come accedere alla quantità di conoscenza praticamente illimitata che sta fuori dall’impresa, facendola entrare all’interno di circuiti di riproduzione della conoscenza all’interno delle reti di relazioni, interne ed esterne, che costituiscono la moderna impresa. In futuro le imprese capaci del maggiore sviluppo non saranno quelle dotate della migliore conoscenza, ma quelle capaci di accedere alla conoscenza inserendola nei propri meccanismi riproduttivi nel modo più efficace ed efficiente. L’ingresso in questa economia che rinuncia alla scarsità naturalmente non significa aumento costante della crescita economica, del tenore di vita o mito dell’abbondanza. Sappiamo che lo sviluppo e la crescita economica non sono privi di incoerenza anche nell’economia della conoscenza. L’aumento della popolazione, le contraddizioni nello sviluppo dei paesi emergenti, la progressiva distruzione delle risorse naturali, non necessariamente producono nel breve termine miglioramenti significativi nel tenore di vita della popolazione mondiale, possono anzi produrre sprechi, differenziali di crescita e sviluppo, tensioni, conflitti. Tuttavia ciò non toglie che, alla lunga, la conoscenza divenga il principale motore di sviluppo economico e che affondi la sua capacità propulsiva nella logica di risorse cognitive abbondanti e crescenti. Ciò non implica che l’avvenire dell’uomo in una siffatta economia sia senza problemi, ma sicuramente significa che il futuro della società si libera dai limiti di SALVATORE VICARI 65 una scarsità endemica e sempre più dipendente dalla capacità dell’uomo stesso di utilizzare in modo proficuo le conoscenze di cui dispone. Bibliografia ARROW K.J., The limits of organizations, W.W. Norton & Co., New York, 1974. ATLAN H., Tra il cristallo e il fumo. Saggio sull’organizzazione del vivente, Hopeful Monster, Firenze, ed. orig. del 1979, 1986. BARNEY J.B., “Firm resources and sustained competitive advantage”, Journal of Management, n. 17, 1991. BATESON G., Mente e natura, Adelphi, Milano, ed. orig. del 1979, 1984. BERTOLI G., BUSACCA B., VICARI S., “Il valore delle relazioni di mercato. Nuove prospettive nell’analisi delle performance aziendali”, Finanza, Marketing e Produzione, n. 3, 2000. BRAY D.A., Extending March’s Exploration and Exploitation: Managing Knowledge in Turbulent Environments, Goizueta Business School, Atlanta, 2007. CASTALDO S., Trust in Market relationships, Edward Elgar, Cheltenham, 2007. CHANDLER A.D. JR., Strategy and Structure: Chapters in the History of the American Industrial Enterprise, The MIT Press, Cambridge (Mass.), 1962. COASE R., “The nature of the firm”, Economica, n. 16, 1937. COHEN W.M., LEVINTHAL D.A., “Absorptive capacity: a new perspective on learning and innovation”, Administrative Science Quarterly, n. 3: 128-152, 1990. CONNER K.R., PRAHALAD C.K., “A resource-based theory of the firm: knowledge versus opportunism”, Organization Science, n. 7 (5): 477-501, 1996. CYERT R.M., MARCH J.G., Behavioral theory of the firm, Prentice-Hall: Englewood Cliffs, 1963. DIERICKX I., COOL K., “Asset Stock Accumulation and Sustainability of Competitive Advantage”, Management Science, vol. 35, n. 12: 1504-1511, 1989. DRUCKER P.F., “The new society of organizations”, Harvard Business Review, Vol. 70, n. 5: 95-104, 1992. FOERSTER VON H., Sistemi che osservano, Astrolabio, Roma, 1987. GORGA E., HALBERSTAM M., “Knowledge Inputs, Legal Institutions and Firm Structure: towards a Knowledge Based Theory of the Firm”, Northwestern University Law Review, Vol. 101, n. 3, 2007 GRANT RM., “Towards a knowledge-based theory of the firm”, Strategic Management Journal, n. 17: 109-122, 1996. HANSEN MT., “The search-transfer problem: the role of weak ties in sharing knowledge across organization subunits”, Administrative Science Quarterly, n. 44(1): 82-111, 1999. VON HAYEK F.A., “Economia e conoscenza”, in AA.VV., Conoscenza, mercato, pianificazione, Il Mulino, Bologna, 1988. VON HIPPEL E., The Sources of Innovation, Oxford University Press, New York, 1988. IANSITI M., CLARK K.B., “Integration and Dynamic Capability: Evidence from Product Development in Automobiles and Mainframe Computers”, Industrial and Corporate Change, n. 3, 557-605, 1994. JENSEN M.C., MECKLING W.H., “Theory of the Firm: Managerial Behavior, Agency Cost and Ownership Structure”, Journal of Financial Economics, n. 3, 1976. 66 CONOSCENZA E IMPRESA KOGUT B., ZANDER U., “Knowledge of the firm, combinative capabilities and the replication of technology”, Organization Science, n. 3(3): 383-397, 1992. KOGUT B., ZANDER U., “What firms do? Coordination, identity and learning”, Organization Science, n. 7(5): 502–518, 1996. VON KROGH G., “Care in knowledge creation”, California Management Review, n. 40(3): 133-153, 1998. MACHLUP F., “Semantic Quircks in Studies of Information”, in Machlup F., Mansfield U. (eds.), The Study of Information: Interdisciplinary Messages, Wiley, New York, 1983. MARCH J.G., SIMON H.A., Organizations, Wiley, New York, 1958. NAHAPIET J., GHOSHAL S., “Social capital, intellectual capital, and the organizational advantage”, Academy of Management Review, n. 2, 1998. NELSON R.R., WINTER S.G., An evolutionary Theory of Economic Change, Harvard University Press, Cambridge, Mass, 1982. NICKERSON J.A., ZENGER T.R., “A knowledge-based theory of the firm: the problem solving perspective”, Organization Science, Vol. 15, n. 6: 617-632, 2004. NONAKA I., “A dynamic theory of organizational knowledge creation”, Organization Science, n. 5(1): 14-37, 1994. NONAKA I., PELTOKORPI V., “Objectivity and Subjectivity in Knowledge Management: a Review of 20 Top Articles”, Knowledge and Process Management, Vol. 13, n. 2: 7382, 2006. PENROSE E.T., La teoria dell’espansione dell’impresa, FrancoAngeli, Milano, ed. originale del 1959, 1973. PIAGET J., Biologia e conoscenza, Einaudi, Torino, ed. orig. del 1967, 1983. POLANYI M., The Tacit Dimension, Doubleday, London, 1967. ROMER P., “Endogenus Technological Change”, Journal of Political Economy, 1990. RUBIN P.H., “The expansion of firms”, Journal of political Economy, July-August, 1973. SIMON H.A., “Bounded rationality and organizational learning”, Organization Science, n. 2: 125-134, 1991. TEECE D.J., PISANO G., SHUEN A., “Firm Capabilities, Resources and the Concept of Strategy: Four Paradigms of Strategy”, Draft, December, 1990. TEECE D.J., PISANO G., SHUEN A., “Dynamic capabilities and strategic management”, Strategic Management Journal, n. 18: 509-533, 1997. VERONA G., “A Resource-Based View of Product Development”, The Academy of Management Review, 24 (1), 1999. VICARI S., Nuove dimensioni della concorrenza. Strategie nei mercati senza confini, Egea, Milano, 1989. VICARI S., L’impresa vivente, Etas Libri, Milano, 1991. VICARI S., “Risorse e funzionamento d’impresa”, Finanza Marketing e Produzione, n. 3, 1992. VICARI S., La creatività dell’impresa, Etas Libri, Milano, 1998. VICARI S., TROILO G., “Errors and Learning in Organizations”, in Von Krogh G., Roos J., Kleine D., (eds.), Knowing in Firms. Understanding, Managing and Measuring Knowledge, Sage Publications, London, 1998. WERNERFELT B., “A Resource-Based View of the Firm”, Strategic Management Journal, n. 5, 1984. WILLIAMSON O.E., The Mechanisms of Governance, Oxford University Press, London, 1996.