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Economia della conoscenza e capitale sociale

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Economia della conoscenza e capitale sociale
ECONOMIA DELLA CONOSCENZA E CAPITALE
SOCIALE
di Renata Livraghi
1. Introduzione
Economia della conoscenza e capitale sociale sono dei termini
relativamente nuovi per gli economisti. Sono utilizzati dalla letteratura
economica per evidenziare i fattori che determinano la crescita del reddito
e l’inclusione sociale nel lungo periodo.
La conoscenza è preziosa nei processi di produzione. È un bene che
valorizza i tradizionali fattori produttivi (lavoro, capitale, progresso
tecnico). È un bene privato1 (Centre for Educational Research and
Innovation, 2000, p. 12) che produce innovazione di processo e di
prodotto, se utilizzato in gruppo e a livello sociale. È un bene che si
accresce tramite i processi di apprendimento individuali e organizzativi. È
un bene che favorisce la cooperazione tra gli individui e le organizzazioni
(E. Vaciago, G. Vaciago, 2001, p. 55).
1
Tra gli economisti è in corso un ampio dibattito se la conoscenza debba essere
considerata un bene privato o un bene pubblico. La questione non è irrilevante
perché, come hanno dimostrato R.R. Nelson (1959) e successivamente K.J. Arrow
(1962), se la conoscenza prodotta può essere considerata un bene pubblico o semipubblico, il Governo dovrà allora sussidiare in parte o, far propria la produzione
della conoscenza, assicurando finanziamenti pubblici alla scuola, alle università e
alla ricerca scientifica e tecnologica (Centre for Educational Research and
Innovation, 2000). Alcuni economisti sostengono che la conoscenza sia un bene
pubblico solo nel lungo periodo e quindi in un’economia basata sulla conoscenza
tale distinzione è del tutto irrilevante (E. Vaciago, G. Vaciago, 2001, p. 54).
1
La conoscenza è un bene2 singolare perché è anche un processo
relazionale3 (R. Harrison, 2002, p. 383-384). È un bene che unisce chi lo
possiede e lo condivide con altri. La conoscenza differenzia pertanto le
persone e le organizzazioni che la utilizzano e che l’accrescono con i
diversi modi di apprendimento come, ad esempio, con la partecipazione
attiva alle diverse comunità di pratica4 e alle organizzazioni intelligenti5.
La continua crescita del sapere produce quindi anche disuguaglianze
nella distribuzione personale del reddito; separa in maniera netta chi ha
conoscenza e la utilizza nei processi produttivi da chi non è provvisto di
competenze ed è escluso dai molteplici processi di apprendimento. In altri
termini, la conoscenza non crea convergenza, se non è utilizza nei processi
produttivi e se il capitale sociale è relativamente basso.
Il capitale sociale si fonda essenzialmente sulla fiducia tra gli individui,
sulla capacità di cooperare e di comunicare, in modi e forme diverse, tra i
vari soggetti e ciò è un importante aspetto della conoscenza. La capacità di
cooperare e di comunicare è sostanziale nel reperire informazioni e
nell’acquisire i risultati della ricerca scientifica. La capacità di cooperare e
di comunicare è fondamentale per apprendere la conoscenza tacita che è
soprattutto personale, difficilmente formalizzabile e comunicabile in
maniera esplicita (G. Degli Antoni, 2003).
Il capitale sociale è quindi un bene prezioso quanto la conoscenza nei
processi di produzione. È un bene che accresce la conoscenza degli
individui, perché facilita l’apprendimento individuale e, nelle
organizzazioni, agevola la condivisione delle esperienze comuni e di
quelle intellettive (E. Sicuri, 2003). Se vi è fiducia, sintonia e solidarietà
2 La conoscenza è una “rappresentazione di fatti (includendo la loro
generalizzazione) e concetti organizzati per il loro uso futuro, includendo la
soluzione dei problemi” (R.L. Gregory, 1998).
3 La conoscenza è data da “modelli mentali espliciti e taciti, convinzioni che
influenzano la comprensione e i comportamenti” (I. Nonaka, 1991).
4 L’Institute for Research on Learning di Palo Alto in California sostiene che le
comunità di pratica siano costituite da “un gruppo di professionisti, tenuti legati in
modo informale dal fatto di voler affrontare lo stesso ordine di problemi e dalla
ricerca comune di soluzioni e che quindi incarnano un patrimonio di conoscenze”
(T.A. Stewart, 1997, p. 149).
5 Un’organizzazione intelligente “facilita l’apprendimento di tutti i suoi membri e
li trasforma continuamente” (M. Pedler, J. Burgoyne, T. Boydell, 1991). I.
Nonaka e H. Takeuchi (1995) sostengono che un’organizzazione che apprende
amplifica la conoscenza degli individui e la cristallizza come una parte della
conoscenza di rete dell’organizzazione.
2
tra i membri di un’organizzazione, ovvero se vi è capitale sociale, i
processi di apprendimento e di diffusione della conoscenza si ampliano
con ripercussioni positive sull’innovazione e sulla competitività.
Conoscenza e capitale sociale si rafforzano a vicenda e producono
inclusione sociale, oltre ad assicurare una crescita del reddito di lungo
periodo, perché favoriscono l’innovazione e rendono competitive le unità
produttive.
Questo elaborato s’inserisce nella nuova area di ricerca economica della
gestione della conoscenza (knowledge management) e intende analizzare e
chiarire il ruolo del capitale sociale nella gestione della conoscenza, in una
prospettiva di innovazione e di competitività che non generi esclusione
sociale.
A tale fine, dopo aver presentato lo schema di analisi di riferimento, si
cercherà di chiarire le relazioni esistenti tra conoscenza e apprendimento,
di dimostrare la relazione esistente tra apprendimento e innovazione, i
legami esistenti tra il capitale sociale e la capacità di apprendimento ed
infine si tenterà di evidenziare le connessioni che possono sussistere tra
apprendimento, innovazione ed esclusione sociale. Queste relazioni sono
molto complesse e non sempre verificate in maniera unidirezionale. Una
migliore comprensione può essere utile per tracciare linee di politica
economica capaci di accrescere il capitale intellettuale6 senza creare
squilibri ed esclusione sociale.
2. Schema dell’analisi
6
Sembra che l’espressione “capitale intellettuale” sia stata utilizzata per la prima
volta nel 1958 quando due analisti finanziari, commentando la valutazione di
borsa di parecchie piccole imprese che svolgevano attività a elevato contenuto
scientifico conclusero che “se prendiamo ciascun fattore singolarmente, per queste
imprese il più importante è il capitale intellettuale”, e osservarono che l’alto
valore delle loro azioni si sarebbe potuto definire un “premio intellettuale” (M.
Kronfeld, A. Rock, 1958, p. 6). Nel 1987, Karl Erik Sveiby coordinò un gruppo di
ricerca per scoprire la natura del capitale intellettuale e le relative componenti
(asset). Tale gruppo di ricerca mostrò che gli asset legati alla conoscenza
potessero trovarsi in tre luoghi: le competenze del personale di un’impresa, la sua
struttura interna (brevetti, modelli, sistemi informatici e amministrativi) e la sua
struttura esterna (marchi, reputazione, rapporti con i clienti e i fornitori) (K. E.
Sveiby, T. Lloyd, 1987). Il modello di Sveiby, con alcune modifiche effettuate da
altri autori, è tuttora utilizzato. Le componenti del capitale intellettuale sono ora
indicate nel modo seguente: capitale umano, capitale strutturale o organizzativo,
capitale clienti o rapporti (T.A. Stewart, 2001, p. 14).
3
Le relazioni economiche e sociali dello schema d’analisi che lega
l’economia della conoscenza al capitale sociale, in una prospettiva di
crescita economica di lungo periodo e di inclusione sociale, sono
complesse, perché implicano scelte e comportamenti (individuali e
collettivi) che possono essere diversi nei vari ambiti territoriali a causa
della struttura dell’attività produttiva e della dipendenza culturale che si è
andata a formare nel corso del tempo (Oecd, 2001).
Il capitale sociale è uno degli input fondamentali perché si possa avere
come output l’apprendimento (individuale e organizzativo) che a sua volta
genera l’accumulazione del capitale intellettuale, innovazione e
competitività. Un capitale intellettuale più elevato potrebbe creare
maggiori opportunità di lavoro, diminuire i tassi di disoccupazione e
quindi favorire l’inclusione sociale. Una maggiore partecipazione attiva
dei vari membri della collettività ai processi produttivi ovvero una minore
esclusione sociale dovrebbe favorire la formazione di capitale sociale.
Lo schema dell’analisi del ciclo virtuoso della gestione della
conoscenza a livello macroeconomico è riportato nella figura seguente.
Figura 1 – Schema dell’analisi che lega l’economia della conoscenza al
capitale sociale in una prospettiva di crescita del reddito di lungo
periodo e di inclusione sociale
Apprendimento
individuale
Competenze,
Innovazione
Apprendimento
organizzativo
Inclusione
sociale
Competitività
Capitale
sociale
I processi di gestione della conoscenza, d’innovazione e di
competitività delle imprese dovrebbero accrescere il benessere individuale
e collettivo, nei sistemi produttivi caratterizzati da un capitale sociale
elevato e nei casi in cui il capitale intellettuale sia in grado di dare origine
a una inclusione sociale maggiore.
Le relazioni economiche e sociali indicate nello schema d’analisi (cfr.
la figura 1) sono vere al livello teorico, ma non sempre sono ritrovate nella
realtà con gli effetti indicati, perché:
4
-
il capitale sociale può manifestarsi con modalità diverse nelle varie
realtà territoriali;
- la struttura produttiva è differente;
- le competenze degli occupati e dei managers possono
diversificarsi in maniera rilevante.
Vi è poi da rilevare che la cultura, radicata nei diversi territori,
influenza i comportamenti individuali e collettivi, si modifica lentamente,
nonostante gli effetti notevoli del recente progresso tecnico che ha favorito
la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione
(Ict) e del processo di globalizzazione.
Le discrepanze tra le relazioni teoriche e quelle che possono emergere
dall’esame dei fatti possono essere meglio comprese cercando di
rispondere ai seguenti quesiti:
- fino a che punto può essere dimostrata la relazione tra
apprendimento individuale, innovazione e risultato economico?;
- quale è l’importanza delle competenze individuali per realizzare
un’organizzazione aperta e intelligente?;
- quale è l’importanza del capitale sociale nel determinare i processi
di apprendimento?
- vi è una relazione tra i processi di apprendimento e i processi di
inclusione e di esclusione sociale?;
- fino a che punto la struttura produttiva esistente impedisce i
processi di apprendimento?
- quale è l’importanza della politica economica per diffondere i
processi di apprendimento e favorire la formazione del capitale
sociale?
3. Conoscenza, apprendimento, innovazione, competitività
La conoscenza è stata al centro degli interessi analitici sin dall’inizio
della civiltà (Centre for Educational Research and Innovation, 2000, p. 15)
ed è tuttora un concetto difficile da definire in maniera sintetica. Aristotele
la distinse in:
- epistèmè: conoscenza universale e teorica;
- technè: conoscenza strumentale, relativa a contesti specifici e
pratici;
- phronesis: conoscenza normativa, basata sull’esperienza, relativa a
contesti specifici, diffusa e condivisa.
5
Il metodo utilizzato da Aristotele, di classificare la conoscenza in base
ai suoi diversi elementi, è tuttora valido e di grande aiuto, per comprendere
le interdipendenze che esistono realmente tra conoscenza, ricerca
scientifica e sistemi tecnologici, metodi formativi ed esperienza operativa
professionalizzante.
B. Å. Lundvall e B. Johnson nel 1994 ripresero la classificazione
classica della conoscenza attualizzandola. Suddivisero la conoscenza in
quattro categorie:
- know what. Questo elemento della conoscenza riguarda il
possesso delle informazioni ovvero la conoscenza dei “fatti”; è
informazione. Può essere trasmessa con i dati e disseminata con
l’ausilio delle banche dei dati;
- know why. Questo elemento della conoscenza riguarda i principi e
le leggi che governano la natura, la mente umana e la società. È la
conoscenza teorica che è fattore molto importante per lo sviluppo
tecnologico in certe aree del sapere scientifico. L’accesso a questa
tipologia della conoscenza permette di procedere con minori
difficoltà nei percorsi di innovazione produttiva e di ridurre la
frequenza degli errori di procedura;
- know how. Questo elemento della conoscenza riguarda le capacità
professionali ovvero la capacità di fare qualcosa. Si riferisce alle
competenze7 dei lavoratori ed è una conoscenza essenziale nei
processi produttivi. Le imprese valutano la forza lavoro in base
alle competenze, tenendo conto delle difficoltà che possono
sorgere nella loro sostituzione e stimando il valore aggiunto che
portano al processo produttivo. La forza lavoro è, pertanto, distinta
nel modo seguente:
7
Il concetto di competenza si è sviluppato per meglio rappresentare le capacità
produttive accumulate dagli individui. La competenza è data dalla formazione
esplicita acquisita (formazione iniziale e continua) e dalla formazione ottenuta sul
posto di lavoro (informale o parzialmente formalizzata, certificata o non
certificata) e dall’apprendimento sociale. La nozione di competenza vuole
migliorare la definizione di capitale umano degli individui, tenendo conto del suo
impiego nei posti di lavoro o in posizioni particolari e della sua efficacia
nell’attività produttiva (J. Planas, J. F. Giret, G. Sala, J. Vincens, 2000, p. 16). La
competenza professionale di un individuo sembra più associata alla sua capacità di
risolvere un problema; problema che è generalmente nuovo e che non può essere
sempre risolto con gli schemi depositati (L. Legrand-Lafoy, S. Roussillon, 1995,
p. 11-13).
6
- facile da sostituire e a basso valore aggiunto. È la
manodopera non specializzata e semi-specializzata. Le
imprese possono avere bisogno di queste persone, magari
anche in gran numero, ma la loro competitività non
dipende da queste competenze. Un individuo vale quanto
un altro. Il tempo della formazione è generalmente breve.
Hanno capacità professionali facilmente reperibili nei
mercati del lavoro locali;
- difficile da sostituire e a basso valore aggiunto. Sono le
persone che hanno appreso mansioni complicate ma non
decisive ed essenziali per caratterizzare un’impresa. È
manodopera difficile da sostituire che svolge mansioni
importanti, ma non decisive, nella catena del valore8;
- facile da sostituire e ad alto valore aggiunto. È
manodopera che svolge mansioni rilevanti per determinare
la customer satisfaction9, tuttavia sono facilmente
sostituibili come persone. Le loro abilità professionali
8 Nel 1985, M. Porter delineò “la catena del valore” (M. Porter, 1985). È il
percorso degli input e degli output dalle materie prime al consumatore finale,
mostrando il valore che è aggiunto in corrispondenza di ciascuna fase. La “catena
del valore” lega pertanto insieme l’azionista, l’impresa, i clienti, i dipendenti ed è
il punto centrale del modello della competitività (U. Cappucci, a cura, 2000, p. 4348). È uno strumento di analisi molto utile perché evidenzia:
a) la relazione di interdipendenza tra i protagonisti delle imprese ovvero tra
gli azionisti, i clienti e i dipendenti;
b) le relazioni tra i protagonisti delle imprese possono innestare circoli
viziosi o circoli virtuosi perché sono di vario tipo;
c) le relazioni possono essere integrative producendo quindi valore per
ciascun protagonista dell’impresa; si ha uno scambio che produce valore
per altri;
d) le relazioni di interdipendenza tra i protagonisti dell’impresa possono
innescare “una spirale positiva” che apporta sinergia e un progresso al
sistema aziendale complessivo, migliorando quindi le condizioni di
competitività;
e) le relazioni di interdipendenza tra i protagonisti dell’impresa innescano
“una spirale positiva” quando nell’impresa si trovano capacità elevate di
cooperazione e di comunicazione. In altri termini, le relazioni di
interdipendenza generano “una spirale positiva” con la presenza di
capitale sociale.
9 Il cliente soddisfatto diventa fedele all’impresa. La fedeltà del cliente è quindi
un patrimonio e un valore per l’impresa (U. Cappucci, a cura, 2000, p. 44).
7
producono un “effetto leva”10 per la competitività
dell’impresa;
- difficili da sostituire e ad alto valore aggiunto. Sono il
“capitale umano” di un’impresa perché il loro talento e la
loro esperienza portano l’impresa a produrre beni e servizi
particolari e unici. I clienti si rivolgono a tale impresa per
questo motivo. Questi lavoratori hanno “competenze
strategiche” che rientrano nel patrimonio dell’impresa. La
“ricchezza”dell’impresa è data da questi lavoratori mentre
gli altri rientrano tra i costi, necessari da sostenere, per
realizzare la produzione dei beni e dei servizi. Le persone
difficili da sostituire e ad alto valore aggiunto sono i
cosiddetti lavoratori della conoscenza (knowledge
workers).
Know what è un elemento della conoscenza legato soprattutto
all’esperienza operativa individuale e di gruppo;
- know who. Questo elemento della conoscenza sta diventando
sempre più rilevante, perché richiede la capacità di reperire
informazioni su chi ha le informazioni e su chi sa cosa fare per
trovare la soluzione a nuovi problemi e ciò implica un’abilità
relazionale di cooperazione e di comunicazione con soggetti
diversi e con esperti di aree differenti.
Alcune categorie attuali della conoscenza hanno radici che possono
essere ricollegate alle tre virtù intellettuali di Aristotele. Know why è simile
a epistèmè e know how a technè. La corrispondenza non è perfetta perché,
se seguiamo Polanyi, egli argomenta che le attività scientifiche
coinvolgono sempre una combinazione di know how e di know why (M.
Polanyi, 1978). La terza categoria di Aristotele, phronesis, si riferisce a
dimensioni etiche, rispecchia la cultura locale e la sapienza della gente
accumulata nel tempo; dà la soluzione ai bisogni sociali di una data
collettività, mettendo in evidenza l’importanza della fiducia nei vari
processi di apprendimento. Pronesis richiama i vari elementi che
compongono il capitale sociale.
Le quattro categorie della conoscenza possono essere apprese con modi
diversi. Know what e know why si acquisiscono con la lettura di libri,
frequentando corsi, lezioni, seminari, procurandosi l’accesso alle banche
10
La competitività si crea con “leve” di vario tipo come quelle di natura
strategica, organizzativa e sulla base delle competenze disponibili (U. Cappucci, a
cura, 2000, p. 48).
8
dei dati. Gli altri due elementi della conoscenza si apprendono soprattutto
con l’esperienza operativa e sono difficilmente trasferibili agli altri con i
tradizionali canali dell’informazione, perché sono essenzialmente
conoscenza tacita (tacit knowledge), difficile da codificare e da misurare
(B. Å. Lundvall, B. Johnson, 1994). Know how è una conoscenza
particolare che si acquisisce nella pratica, con l’azione quotidiana nei posti
di lavoro e che rende le persone autorevoli nello svolgimento delle proprie
mansioni. Know who è una conoscenza che si apprende con la pratica
sociale e in ambienti formativi specializzati. Si accresce nel tempo
soprattutto trattando con i clienti, con i fornitori e con le istituzioni.
Le quattro categorie della conoscenza dimostrano che l’informazione è
uno degli elementi ma non si identifica con essa. La conoscenza è qualche
cosa di più dell’informazione. La conoscenza differisce dall’informazione
perché è in grado di produrre nuova conoscenza e nuova informazione. È
capacità di apprendere ed è capacità cognitiva mentre l’informazione è
invece un insieme di dati strutturati e resi formali che non possono creare
nuova informazione. Se la conoscenza è una capacità intellettuale e
interattiva, ne deriva che la riproduzione della conoscenza e quella
dell’informazione seguono processi completamente diversi (D. Foray,
2000, p. 9). Nel primo caso, la riproduzione avviene con la pratica, con
l’apprendimento e con il coinvolgimento intellettuale ed emotivo mentre
nel secondo caso avviene con una semplice duplicazione.
La conoscenza e l’apprendimento sono quindi in grado di produrre
nuova conoscenza mentre ciò non avviene con l’informazione.
L’innovazione è “nuova creazione” che ha valore economico perché è
utilizzata da un’organizzazione produttiva; è l’output della conoscenza e
dell’apprendimento.
Un processo innovativo incorpora quindi forme differenti di
conoscenza e di apprendimento. Gli economisti considerano la conoscenza
una variabile di stock. L’apprendimento è invece una variabile di flusso
(Oecd, 2001, p. 13). Il processo di accumulazione della conoscenza
avviene pertanto con l’apprendimento.
L’apprendimento è quindi il risultato della disseminazione della
conoscenza accumulata nel tempo e la produzione di “nuova conoscenza”.
L’apprendimento è un processo di interiorizzazione e di sviluppo di
capacità di utilizzo dei saperi codificati; è il riconoscimento e
l’acquisizione dei saperi taciti; è il superamento della distinzione tra la
conoscenza e l’esperienza (Isfol, 2001, p. 43). L’apprendimento si sviluppa
9
in ambiti sociali, richiede una partecipazione attiva degli individui e ha
bisogno di una struttura organizzativa di supporto11.
L’output dell’apprendimento sono le competenze professionali sia dei
singoli individui sia dell’impresa. Le imprese costruiscono le proprie
strategie di innovazione e di competizione sulla base delle proprie
competenze.12 È quindi utile distinguere l’apprendimento individuale da
quello organizzativo.
L’apprendimento individuale è quindi dato dall’educazione (education)
e dalla capacità di apprendere (learning). L’educazione comprende
l’istruzione che è essenzialmente formazione di base (basic education),
ottenuta con la frequenza dei corsi organizzati dalle varie istituzioni
scolastiche e la formazione (training) che è l’acquisizione di formazione
finalizzata al lavoro di mercato, ottenuta con la frequenza dei corsi
organizzati dalle imprese e/o dalle istituzioni appartenenti al sistema della
formazione professionale. L’apprendimento individuale è ottenibile anche
con l’esperienza operativa professionalizzante, sotto forma di learning by
doing (K.J. Arrow, 1962), di learning by using (N. Rosenberg, 1982) e di
learning by interacting (B.Å. Lunvall, 1988).
L’apprendimento individuale si persegue pertanto con prassi formali e
informali. I livelli e la qualità dell’educazione e della formazione sono
molto rilevanti ma sono cruciali anche l’esperienza operativa e i rapporti
che si instaurano nei processi formativi con i docenti e con i compagni di
corso, tra i colleghi di lavoro e i dirigenti dell’impresa e a livello sociale
nella famiglia, con gli amici, con le varie istituzioni, associazioni e le
“comunità di pratica” (cfr. nota 4). Il bisogno di sapere non può essere
soddisfatto con esperienze di apprendimento saltuarie che interrompono
per periodi, più o meno lunghi la vita lavorativa13. La formazione deve
invece diventare continua e distribuita capillarmente nel tempo di lavoro,
11
“Il processo di apprendimento avviene sempre in un ambito contestuale o
sociale, e si sviluppa nella relazione tra le soggettività e le strategie che nei
contesti si attivano intenzionalmente per favorirlo, promuoverlo e facilitarlo”
(Isfol, 2001, p. 43).
12 “La focalizzazione su ciò che un’impresa sa fare davvero bene, meglio degli
altri, è un credo ormai rispettato: in un mondo competitivo è impensabile andare
alla ricerca di opportunità che sono al di fuori del campo delle proprie competenze
forti, sia di tecnologia che di mercato” (U. Cappucci, a cura, 2000, p. 48). Le
competenze forti di un’impresa costituiscono il suo core competence.
13 Ed è per questo motivo che l’attenzione degli economisti si sta spostando
dall’istruzione all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita noto come lifelong
learning.
10
immersa e vicina, al luogo di produzione, funzionale alla generazione di
nuova conoscenza e nuovo sapere, in una prospettiva dinamica di
concreazioni di nuovi schemi mentali (M. Costa, 2002, p. 56).
L’apprendimento individuale si trasforma in competenza solo se vi è
capacità e possibilità di utilizzarlo, solo se il suo fine è sinergico, solo se la
conoscenza delle reciproche utilità consente un miglioramento del
processo produttivo, solo se genera un vantaggio effettivo all’impresa (U.
Cappucci, a cura, 2000, p. 249).
Nella teoria economica vi sono contributi che spiegano il legame
esistente tra l’apprendimento individuale e il processo di formazione delle
competenze professionali. Un apporto rilevante è quello del learning by
doing di Arrow (K.J. Arrow, 1962). Egli dimostra che l’efficienza di
un’unità produttiva, impegnata nella produzione di sistemi complessi,
come quella della costruzione dell’intelaiatura di aerei, cresce con il
numero delle unità prodotte. La crescita della produttività è da attribuire, in
questo caso, all’apprendimento individuale indotto dall’esperienza
operativa accumulata. In seguito, Rosenberg, introdusse nelle analisi
economiche il learning by using (N. Rosenberg, 1982). La formazione è un
modo di lavorare in cui la produzione di valore non avviene tramite
l’applicazione di sapere appreso in precedenza, che ci si limita a replicare e
a usare, ma richiede una rielaborazione attiva, una trasformazione
generativa di quanto un individuo sa. M. Costa sostiene che “la formazione
continua è, insomma, un modo di lavorare in cui il valore viene prodotto
più dall’esplorazione che dalla routine, più dalla generazione di nuove
conoscenze metodologiche che dall’ottimizzazione di quelle già note e
collaudate” (M. Costa, 2002, p. 56). Il concetto di learning by interacting
sottolinea che le comunità di pratica e l’apprendimento rappresentano una
leva strategica fondamentale per interpretare e per alimentare la spirale
cognitiva di un’organizzazione (B.Å. Lunvall, 1988). La collaborazione tra
pari nell’apprendimento aiuta a sviluppare abilità e strategie di problem
solving, attraverso l’interiorizzazione di processi cognitivi impliciti
nell’interazione e nella comunicazione (W. Damon, 1984; L.S. Vygotskij,
1980). I punti di forza del learning by interacting includono la
condivisione di prospettive diverse da quelle tradizionali, l’obbligo di
esplicitare e comunicare agli altri la propria conoscenza e comprensione
attraverso la trasmissione orale e/o scritta e il valore motivante di essere un
membro di un gruppo vivace e intelligente. L’educazione formale
dovrebbe preparare le persone ad imparare a imparare e a lavorare in
gruppo in maniera efficiente ed efficace. I momenti di apprendimento sono
invece legati al pensiero pratico, allo svolgimento di attività complesse e
11
agisce per realizzare degli scopi. “Imparare diventa una trattativa continua
dell’individuo all’interno della propria comunità di pratiche, si tratta di un
apprendimento situato14, in cui la maggior possibilità di formarsi è legata
alla condizione di aggirarsi ai bordi della comunità (M. Costa, 2002, p. 9394).
L’apprendimento individuale pur essendo essenzialmente un processo
di elaborazione individuale è quindi accelerato negli ambienti ricchi di
stimoli cognitivi. La conoscenza si costruisce con la volontà e con il
coinvolgimento del singolo individuo e con l’interazione con altri; è un
processo individuale che richiede la relazione con l’altro. La conoscenza è
pertanto condivisa e costruita con altri perché nessuno la possiede
interamente. L’apprendimento impostato sulla collaborazione sollecita
l’interazione sociale ai massimi livelli ed è quindi fondamentale in
un’economia che si basa sulla conoscenza. Si potrebbe quindi dire che il
processo della conoscenza è un apprendimento individuale che deriva da
un processo di gruppo. Da ciò deriva la necessità di sperimentare e attuare
organizzazioni con caratteristiche diverse da quelle utilizzate nel recente
passato (R. Livraghi, 2002, p. 42).
L’apprendimento individuale interattivo (learning by interacting) si
realizza prevalentemente negli ambienti organizzativi creativi nei quali
l’individuo ha fiducia nelle sue possibilità e abilità di agire. Tali ambienti
favoriscono la crescita delle competenze professionali dei lavoratori,
soprattutto quelle dei knowledge workers15, la formazione del capitale
14
L’apprendimento “situato” è:
- una pratica sociale;
- una conoscenza che è integrata e distribuita nella vita di una comunità;
- un atto di appartenenza;
- inesistente quando è negata la “partecipazione”;
- un coinvolgimento in pratiche;
- un coinvolgimento quando è legato alla possibilità di contribuire allo
sviluppo della comunità (M. Costa, 2002, p. 93).
15 I knowledge workers sono i lavoratori difficili da sostituire e ad alto valore
aggiunto per l’impresa. Sono il “talento” dell’impresa. Il loro valore si misura non
in base ai compiti che svolgono ma in base ai risultati che ottengono. Alcuni
autori fanno coincidere i knowledge workers con il capitale umano dell’impresa
(T.A. Stewart, 2001, p. 33).
12
strutturale16 e di quello relazionale, denominato anche “capitale clienti”17
che formano il capitale intellettuale di una impresa (cfr. la nota 6).
La gestione del capitale intellettuale (knowledge management) richiede
modelli organizzativi nuovi che includono prassi diverse. Vi è quindi una
discontinuità con il passato. “Occorre fare un salto di qualità e rendere
permanente la capacità di elaborare risposte nuove a nuovi scenari. Le
imprese devono pertanto scegliere di fronteggiare queste nuove esigenze
dandosi nuovi criteri con cui rimettere in gioco la propria organizzazione,
presidiando nel contempo con nuovi approcci le esigenze future: si
delibera così un modello organizzativo, emblematicamente chiamato
azienda corta” (E. Auteri, 2001, p. 311).
L’azienda corta (lean organization) ha pochi livelli gerarchici ed è
funzionale agli obiettivi di sopravvivenza e di successo delle imprese.18
Passare dagli schemi organizzativi razionali chiusi tradizionali, tipici della
produzione tayloristica, a schemi organizzativi aperti, tipici dell’economia
della conoscenza, vuole dire sapere governare la complessità. Ciò
significa:
- far emergere dal «disordine» significati e prospettive, opportunità
di apprendimento e di iniziativa;
- guadagnare accesso a una più ampia varietà di conoscenze ovvero
all’intelligenza diffusa tra gli attori;
16
Il capitale strutturale è formato dalle proprietà intellettuali dell’impresa, dalle
metodologie, dal software, dai documenti e dagli altri prodotti della conoscenza
(T.A. Stewart, 2001, p. 33).
17 Il capitale clienti è il valore dei rapporti di un’organizzazione con le persone
con cui fa affari. “Saint-Onge lo definisce «la profondità (penetrazione), la portata
(copertura) e l’attaccamento (fedeltà) della nostra rete». Aggiunge Edvinsson: «È
la probabilità che i nostri clienti continuino ad avere rapporti di affari con noi». Si
potrebbe ampliare il concetto fino a includere il valore dei rapporti con i fornitori,
magari chiamandolo «capitale relazionale» ” (T.A. Stewart, 1999, p. 125).
18 Gli obiettivi di sopravvivenza e di successo delle imprese sono:
- efficienza: contenere i costi di struttura e indiretti in modo da evitare le
duplicazioni del lavoro;
- velocità: accelerare il processo di sviluppo del prodotto e del servizio,
ridurre i tempi complessivi di produzione e di consegna al cliente, ridurre
i tempi decisionali;
- flessibilità: migliorare la capacità di rispondere alle esigenze del cliente e
di adattare la propria capacità produttiva in funzione del mercato
utilizzando anche risorse esterne;
- efficacia: finalizzare gli sforzi all’essenziale e al rinnovamento (E.
Auteri, 2001, p. 312).
13
-
mobilitare risorse, conoscenze, capacità innovative esistenti
all’interno e all’esterno delle organizzazioni (M. Costa, 2002, p.
76).
Nelle organizzazioni dell’economia della conoscenza, il management
deve quindi ripensare le sue strategie d’azione in funzione dei continui
spazi generati dalla rete degli ambienti attivati dall’impresa e dai soggetti
che interagiscono19; dall’apprendimento all’interno delle comunità di
pratica e saperi (valorizzando le loro tacitness); dal confronto comunità
diverse (mettendo in gioco la dialettica tra conoscenza tacita ed esplicita);
dalla diffusione e combinazione delle conoscenze esplicite che circolano
nelle reti, in una logica molto vicina a quella della tradizionale formazione
valorizzata dall’impiego delle tecnologie dell’informazione ai fini
formativi (e-learning) (M. Costa, 2002, p. 78). In altri termini, si tratta di
gestire un processo d’apprendimento organizzativo ovvero una learning
organization che genera conoscenza, intesa come action knowledge20.
Le competenze professionali dei lavoratori, inserite in
un’organizzazione intelligente che permette di agire per creare nuova
conoscenza, valorizzano i diversi elementi del capitale intellettuale di
un’impresa. La figura 2 evidenza: la composizione del capitale intellettuale
delle imprese (prima colonna); la conoscenza accumulata nel tempo
(seconda colonna); i possibili processi d’apprendimento e di creazione di
nuova conoscenza (terza colonna).
In sintesi, la creazione di nuova conoscenza dipende dalla capacità di
valorizzare la conoscenza esplicita e tacita degli individui e di generare
una struttura organizzativa che favorisce la capacità relazionale e la
cooperazione, all’interno e all’esterno, dell’impresa.
19 La comunicazione nelle aziende è da intendere in maniera pragmatica per cui in
un processo lavorativo una conversazione è rivolta a un’azione. Nell’economia
della conoscenza, le organizzazioni appaiono quindi come reti di conversazione e
d’impegno tra i loro membri: la loro struttura cambia continuamente ridefinendo
lo spazio di possibilità entro cui essi affrontano gli imprevisti che rompono le
routine dei processi di lavoro (M. Costa, 2002, p. 76).
20 L’ action knowledge è la conoscenza che “resides in process of social reality
construction. To know is to know how to act” (C. Argyris, D. Schon, 1978).
14
Figura 2 - Capitale intellettuale, apprendimento e creazione di nuova
conoscenza
Componenti
del capitale
intellettuale
Capitale
umano
Conoscenza accumulata
competenze difficili da
sostituire ad alto valore
aggiunto:
competenze esclusive nel
senso che nessuno sa fare
di meglio;
competenze
strategiche
nel senso che le capacità
dei lavoratori creano
valore per i clienti e per
gli utenti
Capitale
strutturale
struttura
interna
all’impresa
(brevetti,
modelli,
sistemi
informatici
e
amministrativi)
Capitale
clienti
struttura
esterna
all’impresa
(marchi,
reputazione, rapporti con
clienti e fornitori)
15
Creazione di nuova conoscenza
tramite i processi di
apprendimento
i lavoratori apprendono (individual
learning) tramite:
- learning by doing;
- learning by using;
- learning by interacting;
- comunità di pratica;
- rapporti con i clienti e gli
utenti
i lavoratori e le organizzazioni
intelligenti
apprendono
con
l’interazione con le Università e le
varie istituzioni di ricerca e di
formazione
l’organizzazione
che
apprende
(organizational
learning)
deve
amplificare la conoscenza dei
lavoratori e dei clienti:
accelerare il flusso delle conoscenze
all’interno dell’impresa;
accumulare le scorte di conoscenza
su cui poggia il lavoro giudicato
prezioso dai clienti;
valorizzare il capitale intangibile;
valorizzare la conoscenza tacita;
saper
individuare
le
action
knowledge
i lavoratori e le organizzazioni
intelligenti devono creare:
effetto comunicazione (aumento
dell’ammontare di informazioni che
possono essere scambiate a costi
ridotti);
effetto
intermediazione
(miglioramento delle possibilità di
incontro tra compratori e venditori);
effetto integrazione (supporto al
coordinamento di tutti gli stadi della
catena del valore)
La capacità di valorizzare la conoscenza esplicita e tacita degli
individui, l’intelligenza di cogliere le abilità relazionali e la disponibilità a
cooperare, dei vari soggetti, dipendono pertanto dalle competenze
dell’impresa, vale a dire dall’attitudine ad apprendere sia a livello
individuale sia a livello organizzativo e dalle caratteristiche del capitale
sociale presente nell’ambiente di riferimento.
Le competenze dell’impresa, individuali e organizzative, devono
essere quindi orientate all’azione che produce innovazione sia del processo
produttivo sia dei beni e dei servizi prodotti, interagendo con i fornitori e
con i clienti. L’azione e le relazioni, interne ed esterne all’impresa, che
producono nuova conoscenza e innovazione sono dei beni intangibili che
sono stati finora trascurati dalla letteratura economica.
In passato, infatti, l’innovazione di processo e di prodotto erano
essenzialmente attribuite al cambiamento tecnologico e alle diverse
combinazioni dei fattori produttivi. Si dava rilevanza solo alle risorse
materiali e si ignorava il capitale intellettuale delle imprese che
contraddistingue l’identità di ogni organizzazione sociale. La ricchezza
immateriale di un’impresa, vale a dire il suo saper fare, il suo sapere tacito
e interiorizzato, il suo sapere distintivo, in ambienti caratterizzati
dall’instabilità e dall’incertezza, possono assicurare la continuità della sua
vita perché la rendono capace di rinnovarsi e di adattarsi al proprio
ambiente esterno.
Le innovazioni di processo e di prodotto dipendono quindi dal
progresso tecnologico, dalle competenze individuali e organizzative
dell’impresa e dal capitale sociale (cfr. la figura 3).
Figura 3 – Fattori determinanti l’innovazione di processo e di
prodotto
INNOVAZIONI
PROCESSO
Progresso
tecnico
Competenze
individuali e
organizzative
PRODOTTO
Capitale
sociale
Beni
16
Servizi
L’economia della conoscenza rileva l’importanza di coniugare il
cambiamento tecnologico con il cambiamento organizzativo e con la
crescita delle competenze professionali dei lavoratori. Il paradosso di
Solow aveva, infatti, evidenziato gli effetti del progresso tecnico sulla
produttività (R. Solow, 1998), in assenza di un radicale cambiamento
organizzativo.
La figura 3 indica anche che l’innovazione di processo e di prodotto
sono interrelate. Nell’economia della conoscenza non è possibile innovare
i beni e i servizi prodotti senza innovare continuamente il processo
produttivo. È per questo motivo che la capacità di apprendere a livello
individuale e a livello organizzativo, come pure il capitale sociale, sono
fattori produttivi decisivi per generare innovazione di processo e di
prodotto, esattamente quanto il progresso tecnologico.
L’innovazione di prodotto non è più una caratteristica esclusiva delle
imprese con tecnologia elevata (high tech industries). La natura del
processo di innovazione è quindi eterogenea e incorpora sempre più
processi di apprendimento individuale e organizzativo e gli elementi che
compongono il capitale sociale.
4. Capitale sociale, apprendimento, inclusione sociale
Non vi è un unico concetto di capitale sociale (G. Degli Antoni,
2003). Putnam rileva che quanto è più elevato lo stock di capitale sociale
disponibile, in un certo sistema economico, maggiore è la probabilità di
sviluppare forme di cooperazione sociale spontanea e di contenere forme
di opportunismo e di free rider. Egli definisce il capitale sociale come
quell’insieme di caratteristiche dell’organizzazione sociale, quali la
fiducia, le norme di reciprocità e le reti di impegno civico che possono
aumentare l’efficienza della società, facilitando il coordinamento delle
azioni individuali (R.D. Putnam, 1993, p. 196). In modo eguale, Fukuyama
collega il capitale sociale alla capacità di cooperare delle persone. Il
capitale sociale è “la capacità delle persone di lavorare insieme per scopi
comuni in gruppi e organizzazioni” (F. Fukuyama, 1996, p. 23). Egli
sostiene che le organizzazioni a rete concentrano i vantaggi delle piccole e
delle grandi imprese. Tali organizzazioni funzionano in maniera efficiente,
contenendo i costi di transazione, solo se riescono a costruire relazioni
fiduciarie e regole di reciprocità tra i vari membri. Ne deriva che gli
ambienti, caratterizzati da una bassa fiducia sociale, sono svantaggiati in
rapporto alle organizzazioni aperte, qualificate per un alto livello di fiducia
17
sociale. Coleman definisce la fiducia sociale come un insieme di relazioni
atte a favorire la capacità di riconoscersi in un gruppo e a intendersi. Il
capitale sociale facilita lo scambio delle informazioni, l’aiuto reciproco e
la collaborazione; elementi utili e indispensabili per conseguire gli
obiettivi di una comunità. Il capitale sociale è dato dalle relazioni di
reciprocità, informali o formali, regolate da norme comunemente accettate.
Tali relazioni ampliano le capacità d’azione del singolo individuo e del
collettivo a cui appartiene (J.S. Coleman, 1990).
Nel recente passato, gli economisti hanno utilizzato il capitale sociale
per spiegare le differenze territoriali della crescita economica (A. Mutti,
1998) mentre, ora, vi è un filone di ricerca che collega tale nozione ai
processi di apprendimento e alla problematica dell’esclusione sociale (L.
Frey, R. Livraghi, 1999b).
In sintesi, il capitale sociale è formato da elementi strutturali e da
elementi culturali e relazionali. Gli elementi strutturali del capitale sociale
possono essere individuali e sociali. Sono, ad esempio, le relazioni che una
persona può avere con altre persone e i legami che vi possono essere tra
un’organizzazione e altre organizzazioni o istituzioni. La partecipazione
alle varie comunità di pratica e alle reti organizzative rileva elevati livelli
di capitale sociale sia individuale sia collettivo. Gli elementi culturali e
relazionali del capitale sociale si riferiscono alle varie norme di reciprocità,
di convivenza sociale, la capacità di creare relazioni stabili nel tempo
perché costruite sulla fiducia. I due elementi del capitale sociale, gli aspetti
strutturali e quelli culturali/relazionali, spesso sono armonizzati e integrati.
Gli aspetti strutturali e culturali del capitale sociale sono combinati in
maniera evidente nelle comunità di pratica, nelle reti e nelle organizzazioni
aperte perché si basano sulla fiducia tra gli individui che compongono tali
comunità. La fiducia crea collaborazione e cooperazione per conseguire un
obiettivo. In tali comunità si attua un processo di trasferimento della
conoscenza accumulata e di creazione di nuova conoscenza. Ne deriva che
l’apprendimento individuale e organizzativo è favorito dalla presenza di
capitale sociale individuale e collettivo.
Alcuni autori sostengono che: “un processo dialettico nel quale il
capitale sociale è creato e prolungato attraverso lo scambio e nel quale a
sua volta il capitale sociale facilita lo scambio … il capitale sociale facilita
lo sviluppo del capitale intellettuale … l’evoluzione di queste due forme di
capitale può rafforzare i vantaggi organizzativi” (J. Nahapiet, S. Ghoshal,
1998).
Alti livelli di capitale sociale dentro e tra le organizzazioni
favoriscono le relazioni e la trasmissione della conoscenza tacita che
18
caratterizza il processo di creazione della conoscenza, evidenziato nel
modello di Nonaka e Takeuchi (I. Nonaka, H. Takeuchi, 1995). Le imprese
creative, con un elevato stock di capitale intellettuale e una gestione
efficiente ed efficace della conoscenza, hanno una potenzialità elevata di
innovazione, sono competitive a livello internazionale e quindi
conseguono migliori risultati a livello economico. Ne deriva che elevati
livelli di capitale sociale individuale e collettivo nelle imprese favoriscono
la loro performance. Ciò può essere sostenuto a livello teorico ed è stato
argomentato con molti casi d’impresa (T.A. Stewart, 1999 e 2001).
Il capitale sociale rafforza le capacità di apprendimento individuale e
organizzativo, alimentando anche differenze e disuguaglianze tra i
lavoratori che hanno capacità di apprendere e i lavoratori che invece non
possiedono tale abilità (L. Frey, R. Livraghi, 1999a). I lavoratori della
conoscenza accresceranno quindi notevolmente le loro competenze
professionali, e il loro benessere, se opereranno negli ambiti caratterizzati
da capitale sociale elevato. In questo caso, il capitale sociale limitato agli
aspetti culturali e relazionali dell’impresa può far nascere delle tensioni,
favorire il conflitto sociale e generare esclusione sociale.
Il capitale sociale non può essere limitato agli aspetti culturali e
relazionali dell’impresa nei sistemi economici dove si accetta che la libertà
positiva e negativa di ciascun individuo siano interrelate e che
costituiscano un impegno per la società. In questo caso, occorre assicurare
a ciascun individuo una formazione di base adeguata e quindi, una capacità
di imparare a imparare, che è una condizione necessaria ma non sufficiente
per le economie che considerano la conoscenza un fattore determinate per
la loro crescita economica e per il loro benessere collettivo. A questo
proposito vi sono ipotesi interessanti sull’interazione tra capitale sociale e
capitale umano nei sistemi formativi. I sistemi educativi sono in continua
riforma e riesame perché da un lato devono adattarsi al cambiamento
continuo della società, che sta diventando sempre più una società che
apprende (learning society) e dall’altro lato sono, per tradizione, strutture
che trasmettono e creano conoscenza e che ora devono reggere la
competizione con numerose altri organismi che possiedono fonti e capacità
di creare nuova conoscenza.
L’apprendimento individuale è dato dall’istruzione (education) e dalla
capacità di apprendere (learning). L’educazione comprende l’istruzione
che è essenzialmente formazione di base (basic education), ottenuta con la
frequenza dei corsi organizzati dalle varie istituzioni scolastiche e la
formazione (training) che è l’acquisizione di formazione finalizzata al
lavoro di mercato, ottenuta con la frequenza dei corsi organizzati dalle
19
imprese e/o dalle istituzioni appartenenti al sistema della formazione
professionale. L’apprendimento individuale è ottenibile anche e soprattutto
con l’esperienza operativa professionalizzante, sotto forma di learning by
doing, di learning by using e di learning by interacting (cfr. ancora il
paragrafo 3).
Vi è una correlazione tra l’apprendimento individuale/organizzativo e
l’inclusione sociale nei sistemi economici con un indice di sviluppo umano
elevato e un indice di povertà umana basso perché, in quelle situazioni, la
formazione di base è elevata e diffusa e i tassi di inoccupazione sono
relativamente bassi. Le persone hanno empowerment e quindi capacità di
esercitare la propria libertà positiva, in ambienti caratterizzati da capitale
sociale elevato. Nei sistemi economici dove invece i livelli di formazione
di base sono bassi e i tassi di inoccupazione sono elevati, la crescita
dell’apprendimento individuale e i cambiamenti organizzativi creano
disuguaglianze, problematiche di esclusione sociale, minore fiducia e
quindi livelli più bassi di capitale sociale.
La crescita del capitale sociale, limitato agli aspetti culturali e
relazionali dell’impresa, deve essere accompagnato da interventi volti ad
ampliare gli aspetti strutturali del capitale sociale e ad assicurare
l’esercizio contemporaneo della libertà positiva e di quella negativa per
ciascun individuo (A.K. Sen, 1990). Solo in tal caso, i processi di
apprendimento potranno assicurare inclusione sociale e accrescere a loro
volta il capitale sociale nel suo complesso. A questo proposito, l’Oecd ha
sostenuto che: “la personalizzazione del lavoro e l’affievolimento
dell’organizzazione sociale basata sul lavoro non è riequilibrata dalle
famiglie, comunità e istituzioni pubbliche. L’intero sistema di relazioni su
cui s’ innestano i pilastri della nostra società è al palo. Misure dettagliate,
destinate ad accrescere gli occupati e la formazione professionale,
potranno avviare i processi di cambiamento tecnologico e culturale che
stanno alla base della società dell’informazione. Dobbiamo progettare
nuove politiche pubbliche, strategie imprenditoriali e progetti personali.
Ciò deve avere lo scopo di ricostruire un insieme di relazioni
economicamente produttive e soddisfacenti a livello sociale tra lavoro,
famiglia e comunità nel nuovo paradigma tecnico e sociale” (Oecd, 1997).
I sistemi formativi sono istituzioni importanti che possono
promuovere e sostenere il capitale sociale, accrescendo il capitale umano
degli individui e impedendo forme di possibile esclusione sociale. Le
competenze professionali degli insegnanti e la partecipazione attiva degli
studenti, ai sistemi formativi, sono fattori decisivi nella formazione del
capitale sociale di una comunità. Le istituzioni pubbliche svolgono un
20
ruolo analogo a quelle dei sistemi formativi nel processo di formazione e
di sostegno al capitale sociale perché dovrebbero favorire la coesione
sociale, favorendo lo sviluppo umano e cercando di diminuire la povertà
umana (L. Frey, R. Livraghi, 1999b).
5. Conclusioni
Il ruolo del capitale sociale è quindi rilevante nelle economie che
basano la loro crescita economica soprattutto sulla conoscenza perché, da
un lato rafforza i processi di apprendimento individuali e organizzativi che
danno origine alle competenze professionali e all’innovazione mentre
dall’altro lato, se agisce nei sistemi economici dove non si persegue una
giustizia sociale, si impoverisce anche quando il reddito pro-capite cresce.
L’impoverimento del capitale sociale comporta conflitto sociale ed
esclusione sociale.
L’empowerment delle persone e la crescita stabile del reddito nel
lungo periodo si basano quindi sulla capacità di apprendere, sia a livello
individuale sia a livello organizzativo e sull’abilità di cooperare per
conseguire obiettivi comuni, in ambienti caratterizzati dalla fiducia, dove il
capitale sociale è quindi elevato. La tecnologia non è pertanto l’unico
fattore produttivo capace di generare innovazione e competizione. Si
genera crescita economica con la ricerca scientifica che produce nuova
tecnologia, negli ambiti dove i processi di apprendimento sono elevati e il
capitale sociale, inteso come un esteso processo relazionale sociale, è
ampiamente diffuso e praticato. Partecipazione attiva, comunicazione,
conoscenza e azione sono quindi essenziali nei processi di produzione,
come in passato lo era l’accumulazione del capitale. L’empowerment, cioè
la capacità di agire con libertà, è dovuto a livelli di sviluppo umano elevato
per tutti e ciò si verifica quando i livelli di povertà umana sono bassi.
L’analisi empirica mostra che vi è correlazione tra l’apprendimento
individuale e la crescita economica e lo stesso vale tra l’apprendimento
organizzativo e la crescita del prodotto interno lordo. La relazione tra
processi di apprendimento, innovazione e inclusione sociale è invece più
complessa. La crescita del reddito, dovuta alla crescita dell’apprendimento
e dell’innovazione di processo e di prodotto, non provoca necessariamente
inclusione sociale (Centre for Educational Research and Innovation, 2000,
p. 12). L’innovazione può dare origine alla perdita di posti di lavoro e
l’apprendimento può generare disuguaglianza ed esclusione sociale perché
la conoscenza lega chi la possiede e, se non è trasmessa e condivisa, separa
21
da chi non la possiede. La struttura produttiva locale potrebbe spiegare, in
parte, tali risultati (Oecd, 2001).
La questione più urgente è quindi quella di riesaminare i problemi
dell’efficienza sociale e dell’equità, spostando l’attenzione sulle libertà
individuali (A.K. Sen, 1999), se si vuole gestire la conoscenza in maniera
intelligente a favore di tutti.
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