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Economia della conoscenza e capitale sociale
ECONOMIA DELLA CONOSCENZA E CAPITALE SOCIALE di Renata Livraghi 1. Introduzione Economia della conoscenza e capitale sociale sono dei termini relativamente nuovi per gli economisti. Sono utilizzati dalla letteratura economica per evidenziare i fattori che determinano la crescita del reddito e l’inclusione sociale nel lungo periodo. La conoscenza è preziosa nei processi di produzione. È un bene che valorizza i tradizionali fattori produttivi (lavoro, capitale, progresso tecnico). È un bene privato1 (Centre for Educational Research and Innovation, 2000, p. 12) che produce innovazione di processo e di prodotto, se utilizzato in gruppo e a livello sociale. È un bene che si accresce tramite i processi di apprendimento individuali e organizzativi. È un bene che favorisce la cooperazione tra gli individui e le organizzazioni (E. Vaciago, G. Vaciago, 2001, p. 55). 1 Tra gli economisti è in corso un ampio dibattito se la conoscenza debba essere considerata un bene privato o un bene pubblico. La questione non è irrilevante perché, come hanno dimostrato R.R. Nelson (1959) e successivamente K.J. Arrow (1962), se la conoscenza prodotta può essere considerata un bene pubblico o semipubblico, il Governo dovrà allora sussidiare in parte o, far propria la produzione della conoscenza, assicurando finanziamenti pubblici alla scuola, alle università e alla ricerca scientifica e tecnologica (Centre for Educational Research and Innovation, 2000). Alcuni economisti sostengono che la conoscenza sia un bene pubblico solo nel lungo periodo e quindi in un’economia basata sulla conoscenza tale distinzione è del tutto irrilevante (E. Vaciago, G. Vaciago, 2001, p. 54). 1 La conoscenza è un bene2 singolare perché è anche un processo relazionale3 (R. Harrison, 2002, p. 383-384). È un bene che unisce chi lo possiede e lo condivide con altri. La conoscenza differenzia pertanto le persone e le organizzazioni che la utilizzano e che l’accrescono con i diversi modi di apprendimento come, ad esempio, con la partecipazione attiva alle diverse comunità di pratica4 e alle organizzazioni intelligenti5. La continua crescita del sapere produce quindi anche disuguaglianze nella distribuzione personale del reddito; separa in maniera netta chi ha conoscenza e la utilizza nei processi produttivi da chi non è provvisto di competenze ed è escluso dai molteplici processi di apprendimento. In altri termini, la conoscenza non crea convergenza, se non è utilizza nei processi produttivi e se il capitale sociale è relativamente basso. Il capitale sociale si fonda essenzialmente sulla fiducia tra gli individui, sulla capacità di cooperare e di comunicare, in modi e forme diverse, tra i vari soggetti e ciò è un importante aspetto della conoscenza. La capacità di cooperare e di comunicare è sostanziale nel reperire informazioni e nell’acquisire i risultati della ricerca scientifica. La capacità di cooperare e di comunicare è fondamentale per apprendere la conoscenza tacita che è soprattutto personale, difficilmente formalizzabile e comunicabile in maniera esplicita (G. Degli Antoni, 2003). Il capitale sociale è quindi un bene prezioso quanto la conoscenza nei processi di produzione. È un bene che accresce la conoscenza degli individui, perché facilita l’apprendimento individuale e, nelle organizzazioni, agevola la condivisione delle esperienze comuni e di quelle intellettive (E. Sicuri, 2003). Se vi è fiducia, sintonia e solidarietà 2 La conoscenza è una “rappresentazione di fatti (includendo la loro generalizzazione) e concetti organizzati per il loro uso futuro, includendo la soluzione dei problemi” (R.L. Gregory, 1998). 3 La conoscenza è data da “modelli mentali espliciti e taciti, convinzioni che influenzano la comprensione e i comportamenti” (I. Nonaka, 1991). 4 L’Institute for Research on Learning di Palo Alto in California sostiene che le comunità di pratica siano costituite da “un gruppo di professionisti, tenuti legati in modo informale dal fatto di voler affrontare lo stesso ordine di problemi e dalla ricerca comune di soluzioni e che quindi incarnano un patrimonio di conoscenze” (T.A. Stewart, 1997, p. 149). 5 Un’organizzazione intelligente “facilita l’apprendimento di tutti i suoi membri e li trasforma continuamente” (M. Pedler, J. Burgoyne, T. Boydell, 1991). I. Nonaka e H. Takeuchi (1995) sostengono che un’organizzazione che apprende amplifica la conoscenza degli individui e la cristallizza come una parte della conoscenza di rete dell’organizzazione. 2 tra i membri di un’organizzazione, ovvero se vi è capitale sociale, i processi di apprendimento e di diffusione della conoscenza si ampliano con ripercussioni positive sull’innovazione e sulla competitività. Conoscenza e capitale sociale si rafforzano a vicenda e producono inclusione sociale, oltre ad assicurare una crescita del reddito di lungo periodo, perché favoriscono l’innovazione e rendono competitive le unità produttive. Questo elaborato s’inserisce nella nuova area di ricerca economica della gestione della conoscenza (knowledge management) e intende analizzare e chiarire il ruolo del capitale sociale nella gestione della conoscenza, in una prospettiva di innovazione e di competitività che non generi esclusione sociale. A tale fine, dopo aver presentato lo schema di analisi di riferimento, si cercherà di chiarire le relazioni esistenti tra conoscenza e apprendimento, di dimostrare la relazione esistente tra apprendimento e innovazione, i legami esistenti tra il capitale sociale e la capacità di apprendimento ed infine si tenterà di evidenziare le connessioni che possono sussistere tra apprendimento, innovazione ed esclusione sociale. Queste relazioni sono molto complesse e non sempre verificate in maniera unidirezionale. Una migliore comprensione può essere utile per tracciare linee di politica economica capaci di accrescere il capitale intellettuale6 senza creare squilibri ed esclusione sociale. 2. Schema dell’analisi 6 Sembra che l’espressione “capitale intellettuale” sia stata utilizzata per la prima volta nel 1958 quando due analisti finanziari, commentando la valutazione di borsa di parecchie piccole imprese che svolgevano attività a elevato contenuto scientifico conclusero che “se prendiamo ciascun fattore singolarmente, per queste imprese il più importante è il capitale intellettuale”, e osservarono che l’alto valore delle loro azioni si sarebbe potuto definire un “premio intellettuale” (M. Kronfeld, A. Rock, 1958, p. 6). Nel 1987, Karl Erik Sveiby coordinò un gruppo di ricerca per scoprire la natura del capitale intellettuale e le relative componenti (asset). Tale gruppo di ricerca mostrò che gli asset legati alla conoscenza potessero trovarsi in tre luoghi: le competenze del personale di un’impresa, la sua struttura interna (brevetti, modelli, sistemi informatici e amministrativi) e la sua struttura esterna (marchi, reputazione, rapporti con i clienti e i fornitori) (K. E. Sveiby, T. Lloyd, 1987). Il modello di Sveiby, con alcune modifiche effettuate da altri autori, è tuttora utilizzato. Le componenti del capitale intellettuale sono ora indicate nel modo seguente: capitale umano, capitale strutturale o organizzativo, capitale clienti o rapporti (T.A. Stewart, 2001, p. 14). 3 Le relazioni economiche e sociali dello schema d’analisi che lega l’economia della conoscenza al capitale sociale, in una prospettiva di crescita economica di lungo periodo e di inclusione sociale, sono complesse, perché implicano scelte e comportamenti (individuali e collettivi) che possono essere diversi nei vari ambiti territoriali a causa della struttura dell’attività produttiva e della dipendenza culturale che si è andata a formare nel corso del tempo (Oecd, 2001). Il capitale sociale è uno degli input fondamentali perché si possa avere come output l’apprendimento (individuale e organizzativo) che a sua volta genera l’accumulazione del capitale intellettuale, innovazione e competitività. Un capitale intellettuale più elevato potrebbe creare maggiori opportunità di lavoro, diminuire i tassi di disoccupazione e quindi favorire l’inclusione sociale. Una maggiore partecipazione attiva dei vari membri della collettività ai processi produttivi ovvero una minore esclusione sociale dovrebbe favorire la formazione di capitale sociale. Lo schema dell’analisi del ciclo virtuoso della gestione della conoscenza a livello macroeconomico è riportato nella figura seguente. Figura 1 – Schema dell’analisi che lega l’economia della conoscenza al capitale sociale in una prospettiva di crescita del reddito di lungo periodo e di inclusione sociale Apprendimento individuale Competenze, Innovazione Apprendimento organizzativo Inclusione sociale Competitività Capitale sociale I processi di gestione della conoscenza, d’innovazione e di competitività delle imprese dovrebbero accrescere il benessere individuale e collettivo, nei sistemi produttivi caratterizzati da un capitale sociale elevato e nei casi in cui il capitale intellettuale sia in grado di dare origine a una inclusione sociale maggiore. Le relazioni economiche e sociali indicate nello schema d’analisi (cfr. la figura 1) sono vere al livello teorico, ma non sempre sono ritrovate nella realtà con gli effetti indicati, perché: 4 - il capitale sociale può manifestarsi con modalità diverse nelle varie realtà territoriali; - la struttura produttiva è differente; - le competenze degli occupati e dei managers possono diversificarsi in maniera rilevante. Vi è poi da rilevare che la cultura, radicata nei diversi territori, influenza i comportamenti individuali e collettivi, si modifica lentamente, nonostante gli effetti notevoli del recente progresso tecnico che ha favorito la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict) e del processo di globalizzazione. Le discrepanze tra le relazioni teoriche e quelle che possono emergere dall’esame dei fatti possono essere meglio comprese cercando di rispondere ai seguenti quesiti: - fino a che punto può essere dimostrata la relazione tra apprendimento individuale, innovazione e risultato economico?; - quale è l’importanza delle competenze individuali per realizzare un’organizzazione aperta e intelligente?; - quale è l’importanza del capitale sociale nel determinare i processi di apprendimento? - vi è una relazione tra i processi di apprendimento e i processi di inclusione e di esclusione sociale?; - fino a che punto la struttura produttiva esistente impedisce i processi di apprendimento? - quale è l’importanza della politica economica per diffondere i processi di apprendimento e favorire la formazione del capitale sociale? 3. Conoscenza, apprendimento, innovazione, competitività La conoscenza è stata al centro degli interessi analitici sin dall’inizio della civiltà (Centre for Educational Research and Innovation, 2000, p. 15) ed è tuttora un concetto difficile da definire in maniera sintetica. Aristotele la distinse in: - epistèmè: conoscenza universale e teorica; - technè: conoscenza strumentale, relativa a contesti specifici e pratici; - phronesis: conoscenza normativa, basata sull’esperienza, relativa a contesti specifici, diffusa e condivisa. 5 Il metodo utilizzato da Aristotele, di classificare la conoscenza in base ai suoi diversi elementi, è tuttora valido e di grande aiuto, per comprendere le interdipendenze che esistono realmente tra conoscenza, ricerca scientifica e sistemi tecnologici, metodi formativi ed esperienza operativa professionalizzante. B. Å. Lundvall e B. Johnson nel 1994 ripresero la classificazione classica della conoscenza attualizzandola. Suddivisero la conoscenza in quattro categorie: - know what. Questo elemento della conoscenza riguarda il possesso delle informazioni ovvero la conoscenza dei “fatti”; è informazione. Può essere trasmessa con i dati e disseminata con l’ausilio delle banche dei dati; - know why. Questo elemento della conoscenza riguarda i principi e le leggi che governano la natura, la mente umana e la società. È la conoscenza teorica che è fattore molto importante per lo sviluppo tecnologico in certe aree del sapere scientifico. L’accesso a questa tipologia della conoscenza permette di procedere con minori difficoltà nei percorsi di innovazione produttiva e di ridurre la frequenza degli errori di procedura; - know how. Questo elemento della conoscenza riguarda le capacità professionali ovvero la capacità di fare qualcosa. Si riferisce alle competenze7 dei lavoratori ed è una conoscenza essenziale nei processi produttivi. Le imprese valutano la forza lavoro in base alle competenze, tenendo conto delle difficoltà che possono sorgere nella loro sostituzione e stimando il valore aggiunto che portano al processo produttivo. La forza lavoro è, pertanto, distinta nel modo seguente: 7 Il concetto di competenza si è sviluppato per meglio rappresentare le capacità produttive accumulate dagli individui. La competenza è data dalla formazione esplicita acquisita (formazione iniziale e continua) e dalla formazione ottenuta sul posto di lavoro (informale o parzialmente formalizzata, certificata o non certificata) e dall’apprendimento sociale. La nozione di competenza vuole migliorare la definizione di capitale umano degli individui, tenendo conto del suo impiego nei posti di lavoro o in posizioni particolari e della sua efficacia nell’attività produttiva (J. Planas, J. F. Giret, G. Sala, J. Vincens, 2000, p. 16). La competenza professionale di un individuo sembra più associata alla sua capacità di risolvere un problema; problema che è generalmente nuovo e che non può essere sempre risolto con gli schemi depositati (L. Legrand-Lafoy, S. Roussillon, 1995, p. 11-13). 6 - facile da sostituire e a basso valore aggiunto. È la manodopera non specializzata e semi-specializzata. Le imprese possono avere bisogno di queste persone, magari anche in gran numero, ma la loro competitività non dipende da queste competenze. Un individuo vale quanto un altro. Il tempo della formazione è generalmente breve. Hanno capacità professionali facilmente reperibili nei mercati del lavoro locali; - difficile da sostituire e a basso valore aggiunto. Sono le persone che hanno appreso mansioni complicate ma non decisive ed essenziali per caratterizzare un’impresa. È manodopera difficile da sostituire che svolge mansioni importanti, ma non decisive, nella catena del valore8; - facile da sostituire e ad alto valore aggiunto. È manodopera che svolge mansioni rilevanti per determinare la customer satisfaction9, tuttavia sono facilmente sostituibili come persone. Le loro abilità professionali 8 Nel 1985, M. Porter delineò “la catena del valore” (M. Porter, 1985). È il percorso degli input e degli output dalle materie prime al consumatore finale, mostrando il valore che è aggiunto in corrispondenza di ciascuna fase. La “catena del valore” lega pertanto insieme l’azionista, l’impresa, i clienti, i dipendenti ed è il punto centrale del modello della competitività (U. Cappucci, a cura, 2000, p. 4348). È uno strumento di analisi molto utile perché evidenzia: a) la relazione di interdipendenza tra i protagonisti delle imprese ovvero tra gli azionisti, i clienti e i dipendenti; b) le relazioni tra i protagonisti delle imprese possono innestare circoli viziosi o circoli virtuosi perché sono di vario tipo; c) le relazioni possono essere integrative producendo quindi valore per ciascun protagonista dell’impresa; si ha uno scambio che produce valore per altri; d) le relazioni di interdipendenza tra i protagonisti dell’impresa possono innescare “una spirale positiva” che apporta sinergia e un progresso al sistema aziendale complessivo, migliorando quindi le condizioni di competitività; e) le relazioni di interdipendenza tra i protagonisti dell’impresa innescano “una spirale positiva” quando nell’impresa si trovano capacità elevate di cooperazione e di comunicazione. In altri termini, le relazioni di interdipendenza generano “una spirale positiva” con la presenza di capitale sociale. 9 Il cliente soddisfatto diventa fedele all’impresa. La fedeltà del cliente è quindi un patrimonio e un valore per l’impresa (U. Cappucci, a cura, 2000, p. 44). 7 producono un “effetto leva”10 per la competitività dell’impresa; - difficili da sostituire e ad alto valore aggiunto. Sono il “capitale umano” di un’impresa perché il loro talento e la loro esperienza portano l’impresa a produrre beni e servizi particolari e unici. I clienti si rivolgono a tale impresa per questo motivo. Questi lavoratori hanno “competenze strategiche” che rientrano nel patrimonio dell’impresa. La “ricchezza”dell’impresa è data da questi lavoratori mentre gli altri rientrano tra i costi, necessari da sostenere, per realizzare la produzione dei beni e dei servizi. Le persone difficili da sostituire e ad alto valore aggiunto sono i cosiddetti lavoratori della conoscenza (knowledge workers). Know what è un elemento della conoscenza legato soprattutto all’esperienza operativa individuale e di gruppo; - know who. Questo elemento della conoscenza sta diventando sempre più rilevante, perché richiede la capacità di reperire informazioni su chi ha le informazioni e su chi sa cosa fare per trovare la soluzione a nuovi problemi e ciò implica un’abilità relazionale di cooperazione e di comunicazione con soggetti diversi e con esperti di aree differenti. Alcune categorie attuali della conoscenza hanno radici che possono essere ricollegate alle tre virtù intellettuali di Aristotele. Know why è simile a epistèmè e know how a technè. La corrispondenza non è perfetta perché, se seguiamo Polanyi, egli argomenta che le attività scientifiche coinvolgono sempre una combinazione di know how e di know why (M. Polanyi, 1978). La terza categoria di Aristotele, phronesis, si riferisce a dimensioni etiche, rispecchia la cultura locale e la sapienza della gente accumulata nel tempo; dà la soluzione ai bisogni sociali di una data collettività, mettendo in evidenza l’importanza della fiducia nei vari processi di apprendimento. Pronesis richiama i vari elementi che compongono il capitale sociale. Le quattro categorie della conoscenza possono essere apprese con modi diversi. Know what e know why si acquisiscono con la lettura di libri, frequentando corsi, lezioni, seminari, procurandosi l’accesso alle banche 10 La competitività si crea con “leve” di vario tipo come quelle di natura strategica, organizzativa e sulla base delle competenze disponibili (U. Cappucci, a cura, 2000, p. 48). 8 dei dati. Gli altri due elementi della conoscenza si apprendono soprattutto con l’esperienza operativa e sono difficilmente trasferibili agli altri con i tradizionali canali dell’informazione, perché sono essenzialmente conoscenza tacita (tacit knowledge), difficile da codificare e da misurare (B. Å. Lundvall, B. Johnson, 1994). Know how è una conoscenza particolare che si acquisisce nella pratica, con l’azione quotidiana nei posti di lavoro e che rende le persone autorevoli nello svolgimento delle proprie mansioni. Know who è una conoscenza che si apprende con la pratica sociale e in ambienti formativi specializzati. Si accresce nel tempo soprattutto trattando con i clienti, con i fornitori e con le istituzioni. Le quattro categorie della conoscenza dimostrano che l’informazione è uno degli elementi ma non si identifica con essa. La conoscenza è qualche cosa di più dell’informazione. La conoscenza differisce dall’informazione perché è in grado di produrre nuova conoscenza e nuova informazione. È capacità di apprendere ed è capacità cognitiva mentre l’informazione è invece un insieme di dati strutturati e resi formali che non possono creare nuova informazione. Se la conoscenza è una capacità intellettuale e interattiva, ne deriva che la riproduzione della conoscenza e quella dell’informazione seguono processi completamente diversi (D. Foray, 2000, p. 9). Nel primo caso, la riproduzione avviene con la pratica, con l’apprendimento e con il coinvolgimento intellettuale ed emotivo mentre nel secondo caso avviene con una semplice duplicazione. La conoscenza e l’apprendimento sono quindi in grado di produrre nuova conoscenza mentre ciò non avviene con l’informazione. L’innovazione è “nuova creazione” che ha valore economico perché è utilizzata da un’organizzazione produttiva; è l’output della conoscenza e dell’apprendimento. Un processo innovativo incorpora quindi forme differenti di conoscenza e di apprendimento. Gli economisti considerano la conoscenza una variabile di stock. L’apprendimento è invece una variabile di flusso (Oecd, 2001, p. 13). Il processo di accumulazione della conoscenza avviene pertanto con l’apprendimento. L’apprendimento è quindi il risultato della disseminazione della conoscenza accumulata nel tempo e la produzione di “nuova conoscenza”. L’apprendimento è un processo di interiorizzazione e di sviluppo di capacità di utilizzo dei saperi codificati; è il riconoscimento e l’acquisizione dei saperi taciti; è il superamento della distinzione tra la conoscenza e l’esperienza (Isfol, 2001, p. 43). L’apprendimento si sviluppa 9 in ambiti sociali, richiede una partecipazione attiva degli individui e ha bisogno di una struttura organizzativa di supporto11. L’output dell’apprendimento sono le competenze professionali sia dei singoli individui sia dell’impresa. Le imprese costruiscono le proprie strategie di innovazione e di competizione sulla base delle proprie competenze.12 È quindi utile distinguere l’apprendimento individuale da quello organizzativo. L’apprendimento individuale è quindi dato dall’educazione (education) e dalla capacità di apprendere (learning). L’educazione comprende l’istruzione che è essenzialmente formazione di base (basic education), ottenuta con la frequenza dei corsi organizzati dalle varie istituzioni scolastiche e la formazione (training) che è l’acquisizione di formazione finalizzata al lavoro di mercato, ottenuta con la frequenza dei corsi organizzati dalle imprese e/o dalle istituzioni appartenenti al sistema della formazione professionale. L’apprendimento individuale è ottenibile anche con l’esperienza operativa professionalizzante, sotto forma di learning by doing (K.J. Arrow, 1962), di learning by using (N. Rosenberg, 1982) e di learning by interacting (B.Å. Lunvall, 1988). L’apprendimento individuale si persegue pertanto con prassi formali e informali. I livelli e la qualità dell’educazione e della formazione sono molto rilevanti ma sono cruciali anche l’esperienza operativa e i rapporti che si instaurano nei processi formativi con i docenti e con i compagni di corso, tra i colleghi di lavoro e i dirigenti dell’impresa e a livello sociale nella famiglia, con gli amici, con le varie istituzioni, associazioni e le “comunità di pratica” (cfr. nota 4). Il bisogno di sapere non può essere soddisfatto con esperienze di apprendimento saltuarie che interrompono per periodi, più o meno lunghi la vita lavorativa13. La formazione deve invece diventare continua e distribuita capillarmente nel tempo di lavoro, 11 “Il processo di apprendimento avviene sempre in un ambito contestuale o sociale, e si sviluppa nella relazione tra le soggettività e le strategie che nei contesti si attivano intenzionalmente per favorirlo, promuoverlo e facilitarlo” (Isfol, 2001, p. 43). 12 “La focalizzazione su ciò che un’impresa sa fare davvero bene, meglio degli altri, è un credo ormai rispettato: in un mondo competitivo è impensabile andare alla ricerca di opportunità che sono al di fuori del campo delle proprie competenze forti, sia di tecnologia che di mercato” (U. Cappucci, a cura, 2000, p. 48). Le competenze forti di un’impresa costituiscono il suo core competence. 13 Ed è per questo motivo che l’attenzione degli economisti si sta spostando dall’istruzione all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita noto come lifelong learning. 10 immersa e vicina, al luogo di produzione, funzionale alla generazione di nuova conoscenza e nuovo sapere, in una prospettiva dinamica di concreazioni di nuovi schemi mentali (M. Costa, 2002, p. 56). L’apprendimento individuale si trasforma in competenza solo se vi è capacità e possibilità di utilizzarlo, solo se il suo fine è sinergico, solo se la conoscenza delle reciproche utilità consente un miglioramento del processo produttivo, solo se genera un vantaggio effettivo all’impresa (U. Cappucci, a cura, 2000, p. 249). Nella teoria economica vi sono contributi che spiegano il legame esistente tra l’apprendimento individuale e il processo di formazione delle competenze professionali. Un apporto rilevante è quello del learning by doing di Arrow (K.J. Arrow, 1962). Egli dimostra che l’efficienza di un’unità produttiva, impegnata nella produzione di sistemi complessi, come quella della costruzione dell’intelaiatura di aerei, cresce con il numero delle unità prodotte. La crescita della produttività è da attribuire, in questo caso, all’apprendimento individuale indotto dall’esperienza operativa accumulata. In seguito, Rosenberg, introdusse nelle analisi economiche il learning by using (N. Rosenberg, 1982). La formazione è un modo di lavorare in cui la produzione di valore non avviene tramite l’applicazione di sapere appreso in precedenza, che ci si limita a replicare e a usare, ma richiede una rielaborazione attiva, una trasformazione generativa di quanto un individuo sa. M. Costa sostiene che “la formazione continua è, insomma, un modo di lavorare in cui il valore viene prodotto più dall’esplorazione che dalla routine, più dalla generazione di nuove conoscenze metodologiche che dall’ottimizzazione di quelle già note e collaudate” (M. Costa, 2002, p. 56). Il concetto di learning by interacting sottolinea che le comunità di pratica e l’apprendimento rappresentano una leva strategica fondamentale per interpretare e per alimentare la spirale cognitiva di un’organizzazione (B.Å. Lunvall, 1988). La collaborazione tra pari nell’apprendimento aiuta a sviluppare abilità e strategie di problem solving, attraverso l’interiorizzazione di processi cognitivi impliciti nell’interazione e nella comunicazione (W. Damon, 1984; L.S. Vygotskij, 1980). I punti di forza del learning by interacting includono la condivisione di prospettive diverse da quelle tradizionali, l’obbligo di esplicitare e comunicare agli altri la propria conoscenza e comprensione attraverso la trasmissione orale e/o scritta e il valore motivante di essere un membro di un gruppo vivace e intelligente. L’educazione formale dovrebbe preparare le persone ad imparare a imparare e a lavorare in gruppo in maniera efficiente ed efficace. I momenti di apprendimento sono invece legati al pensiero pratico, allo svolgimento di attività complesse e 11 agisce per realizzare degli scopi. “Imparare diventa una trattativa continua dell’individuo all’interno della propria comunità di pratiche, si tratta di un apprendimento situato14, in cui la maggior possibilità di formarsi è legata alla condizione di aggirarsi ai bordi della comunità (M. Costa, 2002, p. 9394). L’apprendimento individuale pur essendo essenzialmente un processo di elaborazione individuale è quindi accelerato negli ambienti ricchi di stimoli cognitivi. La conoscenza si costruisce con la volontà e con il coinvolgimento del singolo individuo e con l’interazione con altri; è un processo individuale che richiede la relazione con l’altro. La conoscenza è pertanto condivisa e costruita con altri perché nessuno la possiede interamente. L’apprendimento impostato sulla collaborazione sollecita l’interazione sociale ai massimi livelli ed è quindi fondamentale in un’economia che si basa sulla conoscenza. Si potrebbe quindi dire che il processo della conoscenza è un apprendimento individuale che deriva da un processo di gruppo. Da ciò deriva la necessità di sperimentare e attuare organizzazioni con caratteristiche diverse da quelle utilizzate nel recente passato (R. Livraghi, 2002, p. 42). L’apprendimento individuale interattivo (learning by interacting) si realizza prevalentemente negli ambienti organizzativi creativi nei quali l’individuo ha fiducia nelle sue possibilità e abilità di agire. Tali ambienti favoriscono la crescita delle competenze professionali dei lavoratori, soprattutto quelle dei knowledge workers15, la formazione del capitale 14 L’apprendimento “situato” è: - una pratica sociale; - una conoscenza che è integrata e distribuita nella vita di una comunità; - un atto di appartenenza; - inesistente quando è negata la “partecipazione”; - un coinvolgimento in pratiche; - un coinvolgimento quando è legato alla possibilità di contribuire allo sviluppo della comunità (M. Costa, 2002, p. 93). 15 I knowledge workers sono i lavoratori difficili da sostituire e ad alto valore aggiunto per l’impresa. Sono il “talento” dell’impresa. Il loro valore si misura non in base ai compiti che svolgono ma in base ai risultati che ottengono. Alcuni autori fanno coincidere i knowledge workers con il capitale umano dell’impresa (T.A. Stewart, 2001, p. 33). 12 strutturale16 e di quello relazionale, denominato anche “capitale clienti”17 che formano il capitale intellettuale di una impresa (cfr. la nota 6). La gestione del capitale intellettuale (knowledge management) richiede modelli organizzativi nuovi che includono prassi diverse. Vi è quindi una discontinuità con il passato. “Occorre fare un salto di qualità e rendere permanente la capacità di elaborare risposte nuove a nuovi scenari. Le imprese devono pertanto scegliere di fronteggiare queste nuove esigenze dandosi nuovi criteri con cui rimettere in gioco la propria organizzazione, presidiando nel contempo con nuovi approcci le esigenze future: si delibera così un modello organizzativo, emblematicamente chiamato azienda corta” (E. Auteri, 2001, p. 311). L’azienda corta (lean organization) ha pochi livelli gerarchici ed è funzionale agli obiettivi di sopravvivenza e di successo delle imprese.18 Passare dagli schemi organizzativi razionali chiusi tradizionali, tipici della produzione tayloristica, a schemi organizzativi aperti, tipici dell’economia della conoscenza, vuole dire sapere governare la complessità. Ciò significa: - far emergere dal «disordine» significati e prospettive, opportunità di apprendimento e di iniziativa; - guadagnare accesso a una più ampia varietà di conoscenze ovvero all’intelligenza diffusa tra gli attori; 16 Il capitale strutturale è formato dalle proprietà intellettuali dell’impresa, dalle metodologie, dal software, dai documenti e dagli altri prodotti della conoscenza (T.A. Stewart, 2001, p. 33). 17 Il capitale clienti è il valore dei rapporti di un’organizzazione con le persone con cui fa affari. “Saint-Onge lo definisce «la profondità (penetrazione), la portata (copertura) e l’attaccamento (fedeltà) della nostra rete». Aggiunge Edvinsson: «È la probabilità che i nostri clienti continuino ad avere rapporti di affari con noi». Si potrebbe ampliare il concetto fino a includere il valore dei rapporti con i fornitori, magari chiamandolo «capitale relazionale» ” (T.A. Stewart, 1999, p. 125). 18 Gli obiettivi di sopravvivenza e di successo delle imprese sono: - efficienza: contenere i costi di struttura e indiretti in modo da evitare le duplicazioni del lavoro; - velocità: accelerare il processo di sviluppo del prodotto e del servizio, ridurre i tempi complessivi di produzione e di consegna al cliente, ridurre i tempi decisionali; - flessibilità: migliorare la capacità di rispondere alle esigenze del cliente e di adattare la propria capacità produttiva in funzione del mercato utilizzando anche risorse esterne; - efficacia: finalizzare gli sforzi all’essenziale e al rinnovamento (E. Auteri, 2001, p. 312). 13 - mobilitare risorse, conoscenze, capacità innovative esistenti all’interno e all’esterno delle organizzazioni (M. Costa, 2002, p. 76). Nelle organizzazioni dell’economia della conoscenza, il management deve quindi ripensare le sue strategie d’azione in funzione dei continui spazi generati dalla rete degli ambienti attivati dall’impresa e dai soggetti che interagiscono19; dall’apprendimento all’interno delle comunità di pratica e saperi (valorizzando le loro tacitness); dal confronto comunità diverse (mettendo in gioco la dialettica tra conoscenza tacita ed esplicita); dalla diffusione e combinazione delle conoscenze esplicite che circolano nelle reti, in una logica molto vicina a quella della tradizionale formazione valorizzata dall’impiego delle tecnologie dell’informazione ai fini formativi (e-learning) (M. Costa, 2002, p. 78). In altri termini, si tratta di gestire un processo d’apprendimento organizzativo ovvero una learning organization che genera conoscenza, intesa come action knowledge20. Le competenze professionali dei lavoratori, inserite in un’organizzazione intelligente che permette di agire per creare nuova conoscenza, valorizzano i diversi elementi del capitale intellettuale di un’impresa. La figura 2 evidenza: la composizione del capitale intellettuale delle imprese (prima colonna); la conoscenza accumulata nel tempo (seconda colonna); i possibili processi d’apprendimento e di creazione di nuova conoscenza (terza colonna). In sintesi, la creazione di nuova conoscenza dipende dalla capacità di valorizzare la conoscenza esplicita e tacita degli individui e di generare una struttura organizzativa che favorisce la capacità relazionale e la cooperazione, all’interno e all’esterno, dell’impresa. 19 La comunicazione nelle aziende è da intendere in maniera pragmatica per cui in un processo lavorativo una conversazione è rivolta a un’azione. Nell’economia della conoscenza, le organizzazioni appaiono quindi come reti di conversazione e d’impegno tra i loro membri: la loro struttura cambia continuamente ridefinendo lo spazio di possibilità entro cui essi affrontano gli imprevisti che rompono le routine dei processi di lavoro (M. Costa, 2002, p. 76). 20 L’ action knowledge è la conoscenza che “resides in process of social reality construction. To know is to know how to act” (C. Argyris, D. Schon, 1978). 14 Figura 2 - Capitale intellettuale, apprendimento e creazione di nuova conoscenza Componenti del capitale intellettuale Capitale umano Conoscenza accumulata competenze difficili da sostituire ad alto valore aggiunto: competenze esclusive nel senso che nessuno sa fare di meglio; competenze strategiche nel senso che le capacità dei lavoratori creano valore per i clienti e per gli utenti Capitale strutturale struttura interna all’impresa (brevetti, modelli, sistemi informatici e amministrativi) Capitale clienti struttura esterna all’impresa (marchi, reputazione, rapporti con clienti e fornitori) 15 Creazione di nuova conoscenza tramite i processi di apprendimento i lavoratori apprendono (individual learning) tramite: - learning by doing; - learning by using; - learning by interacting; - comunità di pratica; - rapporti con i clienti e gli utenti i lavoratori e le organizzazioni intelligenti apprendono con l’interazione con le Università e le varie istituzioni di ricerca e di formazione l’organizzazione che apprende (organizational learning) deve amplificare la conoscenza dei lavoratori e dei clienti: accelerare il flusso delle conoscenze all’interno dell’impresa; accumulare le scorte di conoscenza su cui poggia il lavoro giudicato prezioso dai clienti; valorizzare il capitale intangibile; valorizzare la conoscenza tacita; saper individuare le action knowledge i lavoratori e le organizzazioni intelligenti devono creare: effetto comunicazione (aumento dell’ammontare di informazioni che possono essere scambiate a costi ridotti); effetto intermediazione (miglioramento delle possibilità di incontro tra compratori e venditori); effetto integrazione (supporto al coordinamento di tutti gli stadi della catena del valore) La capacità di valorizzare la conoscenza esplicita e tacita degli individui, l’intelligenza di cogliere le abilità relazionali e la disponibilità a cooperare, dei vari soggetti, dipendono pertanto dalle competenze dell’impresa, vale a dire dall’attitudine ad apprendere sia a livello individuale sia a livello organizzativo e dalle caratteristiche del capitale sociale presente nell’ambiente di riferimento. Le competenze dell’impresa, individuali e organizzative, devono essere quindi orientate all’azione che produce innovazione sia del processo produttivo sia dei beni e dei servizi prodotti, interagendo con i fornitori e con i clienti. L’azione e le relazioni, interne ed esterne all’impresa, che producono nuova conoscenza e innovazione sono dei beni intangibili che sono stati finora trascurati dalla letteratura economica. In passato, infatti, l’innovazione di processo e di prodotto erano essenzialmente attribuite al cambiamento tecnologico e alle diverse combinazioni dei fattori produttivi. Si dava rilevanza solo alle risorse materiali e si ignorava il capitale intellettuale delle imprese che contraddistingue l’identità di ogni organizzazione sociale. La ricchezza immateriale di un’impresa, vale a dire il suo saper fare, il suo sapere tacito e interiorizzato, il suo sapere distintivo, in ambienti caratterizzati dall’instabilità e dall’incertezza, possono assicurare la continuità della sua vita perché la rendono capace di rinnovarsi e di adattarsi al proprio ambiente esterno. Le innovazioni di processo e di prodotto dipendono quindi dal progresso tecnologico, dalle competenze individuali e organizzative dell’impresa e dal capitale sociale (cfr. la figura 3). Figura 3 – Fattori determinanti l’innovazione di processo e di prodotto INNOVAZIONI PROCESSO Progresso tecnico Competenze individuali e organizzative PRODOTTO Capitale sociale Beni 16 Servizi L’economia della conoscenza rileva l’importanza di coniugare il cambiamento tecnologico con il cambiamento organizzativo e con la crescita delle competenze professionali dei lavoratori. Il paradosso di Solow aveva, infatti, evidenziato gli effetti del progresso tecnico sulla produttività (R. Solow, 1998), in assenza di un radicale cambiamento organizzativo. La figura 3 indica anche che l’innovazione di processo e di prodotto sono interrelate. Nell’economia della conoscenza non è possibile innovare i beni e i servizi prodotti senza innovare continuamente il processo produttivo. È per questo motivo che la capacità di apprendere a livello individuale e a livello organizzativo, come pure il capitale sociale, sono fattori produttivi decisivi per generare innovazione di processo e di prodotto, esattamente quanto il progresso tecnologico. L’innovazione di prodotto non è più una caratteristica esclusiva delle imprese con tecnologia elevata (high tech industries). La natura del processo di innovazione è quindi eterogenea e incorpora sempre più processi di apprendimento individuale e organizzativo e gli elementi che compongono il capitale sociale. 4. Capitale sociale, apprendimento, inclusione sociale Non vi è un unico concetto di capitale sociale (G. Degli Antoni, 2003). Putnam rileva che quanto è più elevato lo stock di capitale sociale disponibile, in un certo sistema economico, maggiore è la probabilità di sviluppare forme di cooperazione sociale spontanea e di contenere forme di opportunismo e di free rider. Egli definisce il capitale sociale come quell’insieme di caratteristiche dell’organizzazione sociale, quali la fiducia, le norme di reciprocità e le reti di impegno civico che possono aumentare l’efficienza della società, facilitando il coordinamento delle azioni individuali (R.D. Putnam, 1993, p. 196). In modo eguale, Fukuyama collega il capitale sociale alla capacità di cooperare delle persone. Il capitale sociale è “la capacità delle persone di lavorare insieme per scopi comuni in gruppi e organizzazioni” (F. Fukuyama, 1996, p. 23). Egli sostiene che le organizzazioni a rete concentrano i vantaggi delle piccole e delle grandi imprese. Tali organizzazioni funzionano in maniera efficiente, contenendo i costi di transazione, solo se riescono a costruire relazioni fiduciarie e regole di reciprocità tra i vari membri. Ne deriva che gli ambienti, caratterizzati da una bassa fiducia sociale, sono svantaggiati in rapporto alle organizzazioni aperte, qualificate per un alto livello di fiducia 17 sociale. Coleman definisce la fiducia sociale come un insieme di relazioni atte a favorire la capacità di riconoscersi in un gruppo e a intendersi. Il capitale sociale facilita lo scambio delle informazioni, l’aiuto reciproco e la collaborazione; elementi utili e indispensabili per conseguire gli obiettivi di una comunità. Il capitale sociale è dato dalle relazioni di reciprocità, informali o formali, regolate da norme comunemente accettate. Tali relazioni ampliano le capacità d’azione del singolo individuo e del collettivo a cui appartiene (J.S. Coleman, 1990). Nel recente passato, gli economisti hanno utilizzato il capitale sociale per spiegare le differenze territoriali della crescita economica (A. Mutti, 1998) mentre, ora, vi è un filone di ricerca che collega tale nozione ai processi di apprendimento e alla problematica dell’esclusione sociale (L. Frey, R. Livraghi, 1999b). In sintesi, il capitale sociale è formato da elementi strutturali e da elementi culturali e relazionali. Gli elementi strutturali del capitale sociale possono essere individuali e sociali. Sono, ad esempio, le relazioni che una persona può avere con altre persone e i legami che vi possono essere tra un’organizzazione e altre organizzazioni o istituzioni. La partecipazione alle varie comunità di pratica e alle reti organizzative rileva elevati livelli di capitale sociale sia individuale sia collettivo. Gli elementi culturali e relazionali del capitale sociale si riferiscono alle varie norme di reciprocità, di convivenza sociale, la capacità di creare relazioni stabili nel tempo perché costruite sulla fiducia. I due elementi del capitale sociale, gli aspetti strutturali e quelli culturali/relazionali, spesso sono armonizzati e integrati. Gli aspetti strutturali e culturali del capitale sociale sono combinati in maniera evidente nelle comunità di pratica, nelle reti e nelle organizzazioni aperte perché si basano sulla fiducia tra gli individui che compongono tali comunità. La fiducia crea collaborazione e cooperazione per conseguire un obiettivo. In tali comunità si attua un processo di trasferimento della conoscenza accumulata e di creazione di nuova conoscenza. Ne deriva che l’apprendimento individuale e organizzativo è favorito dalla presenza di capitale sociale individuale e collettivo. Alcuni autori sostengono che: “un processo dialettico nel quale il capitale sociale è creato e prolungato attraverso lo scambio e nel quale a sua volta il capitale sociale facilita lo scambio … il capitale sociale facilita lo sviluppo del capitale intellettuale … l’evoluzione di queste due forme di capitale può rafforzare i vantaggi organizzativi” (J. Nahapiet, S. Ghoshal, 1998). Alti livelli di capitale sociale dentro e tra le organizzazioni favoriscono le relazioni e la trasmissione della conoscenza tacita che 18 caratterizza il processo di creazione della conoscenza, evidenziato nel modello di Nonaka e Takeuchi (I. Nonaka, H. Takeuchi, 1995). Le imprese creative, con un elevato stock di capitale intellettuale e una gestione efficiente ed efficace della conoscenza, hanno una potenzialità elevata di innovazione, sono competitive a livello internazionale e quindi conseguono migliori risultati a livello economico. Ne deriva che elevati livelli di capitale sociale individuale e collettivo nelle imprese favoriscono la loro performance. Ciò può essere sostenuto a livello teorico ed è stato argomentato con molti casi d’impresa (T.A. Stewart, 1999 e 2001). Il capitale sociale rafforza le capacità di apprendimento individuale e organizzativo, alimentando anche differenze e disuguaglianze tra i lavoratori che hanno capacità di apprendere e i lavoratori che invece non possiedono tale abilità (L. Frey, R. Livraghi, 1999a). I lavoratori della conoscenza accresceranno quindi notevolmente le loro competenze professionali, e il loro benessere, se opereranno negli ambiti caratterizzati da capitale sociale elevato. In questo caso, il capitale sociale limitato agli aspetti culturali e relazionali dell’impresa può far nascere delle tensioni, favorire il conflitto sociale e generare esclusione sociale. Il capitale sociale non può essere limitato agli aspetti culturali e relazionali dell’impresa nei sistemi economici dove si accetta che la libertà positiva e negativa di ciascun individuo siano interrelate e che costituiscano un impegno per la società. In questo caso, occorre assicurare a ciascun individuo una formazione di base adeguata e quindi, una capacità di imparare a imparare, che è una condizione necessaria ma non sufficiente per le economie che considerano la conoscenza un fattore determinate per la loro crescita economica e per il loro benessere collettivo. A questo proposito vi sono ipotesi interessanti sull’interazione tra capitale sociale e capitale umano nei sistemi formativi. I sistemi educativi sono in continua riforma e riesame perché da un lato devono adattarsi al cambiamento continuo della società, che sta diventando sempre più una società che apprende (learning society) e dall’altro lato sono, per tradizione, strutture che trasmettono e creano conoscenza e che ora devono reggere la competizione con numerose altri organismi che possiedono fonti e capacità di creare nuova conoscenza. L’apprendimento individuale è dato dall’istruzione (education) e dalla capacità di apprendere (learning). L’educazione comprende l’istruzione che è essenzialmente formazione di base (basic education), ottenuta con la frequenza dei corsi organizzati dalle varie istituzioni scolastiche e la formazione (training) che è l’acquisizione di formazione finalizzata al lavoro di mercato, ottenuta con la frequenza dei corsi organizzati dalle 19 imprese e/o dalle istituzioni appartenenti al sistema della formazione professionale. L’apprendimento individuale è ottenibile anche e soprattutto con l’esperienza operativa professionalizzante, sotto forma di learning by doing, di learning by using e di learning by interacting (cfr. ancora il paragrafo 3). Vi è una correlazione tra l’apprendimento individuale/organizzativo e l’inclusione sociale nei sistemi economici con un indice di sviluppo umano elevato e un indice di povertà umana basso perché, in quelle situazioni, la formazione di base è elevata e diffusa e i tassi di inoccupazione sono relativamente bassi. Le persone hanno empowerment e quindi capacità di esercitare la propria libertà positiva, in ambienti caratterizzati da capitale sociale elevato. Nei sistemi economici dove invece i livelli di formazione di base sono bassi e i tassi di inoccupazione sono elevati, la crescita dell’apprendimento individuale e i cambiamenti organizzativi creano disuguaglianze, problematiche di esclusione sociale, minore fiducia e quindi livelli più bassi di capitale sociale. La crescita del capitale sociale, limitato agli aspetti culturali e relazionali dell’impresa, deve essere accompagnato da interventi volti ad ampliare gli aspetti strutturali del capitale sociale e ad assicurare l’esercizio contemporaneo della libertà positiva e di quella negativa per ciascun individuo (A.K. Sen, 1990). Solo in tal caso, i processi di apprendimento potranno assicurare inclusione sociale e accrescere a loro volta il capitale sociale nel suo complesso. A questo proposito, l’Oecd ha sostenuto che: “la personalizzazione del lavoro e l’affievolimento dell’organizzazione sociale basata sul lavoro non è riequilibrata dalle famiglie, comunità e istituzioni pubbliche. L’intero sistema di relazioni su cui s’ innestano i pilastri della nostra società è al palo. Misure dettagliate, destinate ad accrescere gli occupati e la formazione professionale, potranno avviare i processi di cambiamento tecnologico e culturale che stanno alla base della società dell’informazione. Dobbiamo progettare nuove politiche pubbliche, strategie imprenditoriali e progetti personali. Ciò deve avere lo scopo di ricostruire un insieme di relazioni economicamente produttive e soddisfacenti a livello sociale tra lavoro, famiglia e comunità nel nuovo paradigma tecnico e sociale” (Oecd, 1997). I sistemi formativi sono istituzioni importanti che possono promuovere e sostenere il capitale sociale, accrescendo il capitale umano degli individui e impedendo forme di possibile esclusione sociale. Le competenze professionali degli insegnanti e la partecipazione attiva degli studenti, ai sistemi formativi, sono fattori decisivi nella formazione del capitale sociale di una comunità. Le istituzioni pubbliche svolgono un 20 ruolo analogo a quelle dei sistemi formativi nel processo di formazione e di sostegno al capitale sociale perché dovrebbero favorire la coesione sociale, favorendo lo sviluppo umano e cercando di diminuire la povertà umana (L. Frey, R. Livraghi, 1999b). 5. Conclusioni Il ruolo del capitale sociale è quindi rilevante nelle economie che basano la loro crescita economica soprattutto sulla conoscenza perché, da un lato rafforza i processi di apprendimento individuali e organizzativi che danno origine alle competenze professionali e all’innovazione mentre dall’altro lato, se agisce nei sistemi economici dove non si persegue una giustizia sociale, si impoverisce anche quando il reddito pro-capite cresce. L’impoverimento del capitale sociale comporta conflitto sociale ed esclusione sociale. L’empowerment delle persone e la crescita stabile del reddito nel lungo periodo si basano quindi sulla capacità di apprendere, sia a livello individuale sia a livello organizzativo e sull’abilità di cooperare per conseguire obiettivi comuni, in ambienti caratterizzati dalla fiducia, dove il capitale sociale è quindi elevato. La tecnologia non è pertanto l’unico fattore produttivo capace di generare innovazione e competizione. Si genera crescita economica con la ricerca scientifica che produce nuova tecnologia, negli ambiti dove i processi di apprendimento sono elevati e il capitale sociale, inteso come un esteso processo relazionale sociale, è ampiamente diffuso e praticato. Partecipazione attiva, comunicazione, conoscenza e azione sono quindi essenziali nei processi di produzione, come in passato lo era l’accumulazione del capitale. L’empowerment, cioè la capacità di agire con libertà, è dovuto a livelli di sviluppo umano elevato per tutti e ciò si verifica quando i livelli di povertà umana sono bassi. L’analisi empirica mostra che vi è correlazione tra l’apprendimento individuale e la crescita economica e lo stesso vale tra l’apprendimento organizzativo e la crescita del prodotto interno lordo. La relazione tra processi di apprendimento, innovazione e inclusione sociale è invece più complessa. La crescita del reddito, dovuta alla crescita dell’apprendimento e dell’innovazione di processo e di prodotto, non provoca necessariamente inclusione sociale (Centre for Educational Research and Innovation, 2000, p. 12). L’innovazione può dare origine alla perdita di posti di lavoro e l’apprendimento può generare disuguaglianza ed esclusione sociale perché la conoscenza lega chi la possiede e, se non è trasmessa e condivisa, separa 21 da chi non la possiede. La struttura produttiva locale potrebbe spiegare, in parte, tali risultati (Oecd, 2001). La questione più urgente è quindi quella di riesaminare i problemi dell’efficienza sociale e dell’equità, spostando l’attenzione sulle libertà individuali (A.K. Sen, 1999), se si vuole gestire la conoscenza in maniera intelligente a favore di tutti. Riferimenti bibliografici Argyris C., Schon D., 1978, Organizational Learning a Theory of Action Perspective, Addison Wesley, Cambridge (Mass.). Auteri E., 2001, Management delle risorse umane. 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