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Come costruire conoscenza in rete?
a cura di Manuela Delfino, Stefania Manca, Donatella Persico, Luigi Sarti Come costruire conoscenza in rete? Edizioni MENABÒ DIDATTICA fdfdfdfdfdfdfdfdfd Come costruire conoscenza in rete? Atti del Workshop - Genova, 28 ottobre 2004 a cura di Manuela Delfino, Stefania Manca, Donatella Persico, Luigi Sarti Edizioni MENABÒ DIDATTICA Manuela Delfino Stefania Manca Donatella Persico Luigi Sarti Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per le Tecnologie Didattiche, Genova volume edito da MENABÒ s.r.l. Via F.P. Cespa 102 66026 Ortona/Italy tel. 085.9062001 direttore editoriale Gaetano Basti progetto grafico e impaginazione MobyDick, Ortona/Italy immagine di copertina Manuela Delfino ISBN 88-86396-64-3 Copyright © Menabò edizioni, 2005 Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione non autorizzata, anche parziale o ad uso interno o didattico, effettuata con qualsiasi mezzo. Indice Prefazione 7 E-LEARNING NELL’UNIVERSITÀ E NELL’IMPRESA Paolo Orefice Conoscenza e formazione superiore on line: costruire sistemi di qualità 17 Guido Martinotti e Antonina Melis Sviluppo urbano e domanda di istruzione. E-learning, propinquità e mobilità 39 Davide Diamantini e Alessandra Floris Esigenze formative nelle professioni dellʼinnovazione e nuove tecnologie informatiche 55 Filippo Dal Fiore e Marco Gui Student-Centered e-Learning: una sperimentazione sul cronotopo della Bicocca 67 PRESUPPOSTI TEORICI DELL’E-LEARNING Maura Striano Apprendimento mediato e apprendimento negoziato. Ipotesi per lo sviluppo di comunità di apprendimento nei contesti della formazione continua 83 Flavia Santoianni e Claudia Sabatano Sistemi percettivi e ambienti virtuali. Prospettive embodied per lʼe-learning? 91 MODELLI DI RETI DI RELAZIONE Elvis Mazzoni, Antonio Calvani, Antonio Fini e Giovanni Bonaiuti Rappresentare le interazioni nei gruppi collaborativi in rete con la Social Network Analysis: punti di forza e criticità 101 Donatella Persico e Luigi Sarti Considerazioni sulle configurazioni delle strutture sociali dei corsi in rete 113 Umberto Giani, Genoveffa Brascio, Dario Bruzzese e Angela Romano Reti dinamiche di apprendimento ed epistemologia evolutiva 131 LA DIMENSIONE LINGUISTICA DELLE INTERAZIONI Maria Beatrice Ligorio “Alberi e fili”: la costruzione di conoscenza nel forum 147 Manuela Delfino e Stefania Manca Vecchie 500, tartarughine e città che si popolano: quando il linguaggio figurato esprime la presenza sociale 161 Emanuela Magno Caldognetto, Isabella Poggi, Piero Cosi e Federica Cavicchio Aspetti dellʼinterazione mediata da computer nellʼe-learning: dallʼanalisi di chat e forum alla sintesi della Faccia Parlante 177 PROPOSTE TECNOLOGICHE Antonio Calvani, Antonio Fini, Maria Chiara Pettenati e Luigi Sarti Teorie CSCL e piattaforme Open Source per lʼe-learning: verso unʼintegrazione 195 Raffaele Nicolussi, Daniela DʼAloisi, Cristina Delogu e Susanna Ragazzini E-learning per tutti: lʼaccessibilità dei corsi online 209 Prefazione Il workshop Come costruire conoscenza in rete? si inserisce tra le iniziative scientifiche proposte nell’ambito del progetto di ricerca triennale “Nuove tecnologie per la formazione permanente e reti nel sistema socioeconomico italiano” (2003-2006)1. Il progetto focalizza l’attenzione sui fattori cruciali che agevolano e incentivano la comunicazione e l’interfacciamento tra sistemi formativi diversi, nell’ottica di favorire, con interventi concreti, l’instaurarsi di modelli di formazione permanente flessibile, integrata e contestualmente significativa. Il consorzio, coordinato dal professor Paolo Orefice dell’Università di Firenze, è composto dai seguenti partner di ricerca: l’Università degli Studi di Firenze; l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”; l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, Padova; l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; la Fondazione “Ugo Bordoni”, Roma; l’Università degli Studi “Bicocca” di Milano; la Fondazione “Rosselli”, Milano; l’Istituto per le Tecnologie Didattiche del CNR, Genova. Durante l’incontro pubblico, tenutosi a Genova il 28 ottobre 2004, le diverse unità di ricerca hanno presentato lo stato d’avanzamento dei lavori sui temi dell’e-learning e sulle tematiche connesse con la costruzione collaborativa della conoscenza. Gli interventi dei partecipanti al progetto si sono arricchiti della presenza di Maria Beatrice Ligorio dell’Università degli Studi di Bari, relatrice invitata in qualità di esperto dei temi relativi alla costruzione di conoscenza in rete. La molteplicità e la differenziazione degli interessi caratterizzanti le ricerche di ciascuna unità di ricerca si ripercuotono nella varietà di proposte tematiche presentate nella giornata di studio. Per questo motivo i contributi sono stati organizzati in cinque sezioni tematiche. La prima, dal titolo E-learning nell’università e nell’impresa, offre, con livelli di granularità diversi, alcune interessanti riflessioni sull’ampio mondo della formazione superiore e della formazione in impresa. Come opportunamente sottolineato, i due ambiti, seppur caratterizzati da esigenze e da peculiarità proprie, sono tuttavia accomunati da un dialogo di interesse reciproco che, lungi dall’essere una realtà consolidata, potrebbe arricchirsi di suggestioni e contaminazioni trasversali. L’ambito della ricerca e della didattica universitaria è, infatti, depositario di un sapere che cerca di coniugare le nuove esigenze formative con la ricerca di nuove soluzioni anche tecnologicamente orientate. Quello dell’impresa, da parte sua, si trova sempre più a guardare con interesse a quel sapere e alla gestione della conoscenza (knowledge mana7 1 MIUR - Dipartimento per la Programmazione, il Coordinamento e gli Affari Economici. Servizio per lo sviluppo e il Potenziamento delle Attività di ricerca (SSPAR). PNR 20012003 (FIRB art.8) D.M. 199 Ric. dell’8 marzo 2001. Il progetto “Nuove tecnologie per la formazione permanente e reti nel sistema socioeconomico italiano” si inscrive all’interno del Macro-obiettivo “Le civiltà mediterranee nel sistema globale”, in cui si colloca il Programma Strategico “Scienza e Tecnologia nella Società della Conoscenza”. gement) che trova alcune importanti premesse anche nel contesto accademico. Un interessante trait d’union potrebbe essere offerto proprio dalle metodologie e dalle tecnologie dell’e-learning. Il primo dei quattro contributi, di Paolo Orefice, è dedicato a fare il punto sulla situazione universitaria, ambito in cui continuano a coesistere atteggiamenti ambivalenti nei confronti del ruolo che le moderne tecnologie informatiche e telematiche possono svolgere nel garantire un sistema formativo superiore di qualità. Secondo Orefice, diverse sono le variabili in gioco di cui occorre tenere debitamente conto perché l’integrazione tra esigenze formative di qualità e soluzioni tecnologicamente avanzate possa esplicare appieno i suoi effetti produttivi: un livello tecnologico, all’altezza delle nuove soluzioni proposte; un livello didattico, che possa conciliarsi con i nuovi modelli della formazione a distanza; un livello di fattibilità, che assicuri le risorse umane, tecnologiche ed economiche adeguate; un livello normativo, in grado di conferire al sistema stabilità e funzionalità; infine, un livello di management, che regoli l’architettura gestionale dell’Ateneo e dei suoi specifici Corsi di studio. Guido Martinotti e Antonina Melis rivolgono l’attenzione alle variabili culturali ed economiche che incidono nell’affermarsi di modelli educativi e formativi basati sui metodi dell’e-learning. La crescente metropolizzazione che sta interessando il nostro paese (specie il nord della penisola) vede, infatti, mettere in discussione l’analisi classica che stabilisce una stretta relazione tra crescita economica e crescita dell’istruzione. Più precisamente i due autori, attraverso l’analisi basata su alcuni censimenti italiani degli ultimi cinquant’anni, criticano l’equazione secondo cui ad un aumento del livello di istruzione corrisponderebbe un aumento dell’uguaglianza e delle opportunità educative. Il terzo contributo, di Davide Diamantini e Alessandra Floris, analizza le caratteristiche che un buon manager del trasferimento scientificotecnologico dovrebbe possedere per poter essere un reale motore di trasformazione e innovazione nel contesto della sempre più stretta relazione tra impresa e mondo della ricerca. Sulla base di uno studio effettuato in alcune università californiane, i due autori ricostruiscono il profilo e le esigenze formative di questa nuova figura professionale, esigenze a cui può essere data risposta anche facendo ricorso alle metodologie informatiche della formazione a distanza. In conclusione vengono, infatti, riportati i termini di una proposta formativa elaborata nel contesto italiano che si avvale dell’approccio basato sul blended learning. Infine, Filippo Dal Fiore e Marco Gui presentano un progetto pilota realizzato presso la Facoltà di Sociologia dell’Università “Bicocca” di Milano, che vede la sperimentazione di una metodologia formativa basata su Portfolio elettronico e una prima sperimentazione basata sull’utilizzo di terminali mobili che si avvalgono del sistema di localizzazione GPS. Mentre la metodologia del Portfolio si prefigge di incoraggiare negli studenti la riflessione sistematica e strutturata sul proprio percorso di apprendimento (attraverso la produzione di documenti di riflessione, valutazione, autovalutazione, ecc.), l’uso di stru8 menti informatici mobili è finalizzato alla rilevazione in contesto di dati sociologici sul territorio. Si tratta, come si può vedere, di due tecniche di e-learning che, opportunamente integrate, possono costituire un forte valore aggiunto nell’offerta di metodi e tecnologie innovative nel campo della formazione superiore. La seconda sezione, dal titolo Presupposti teorici dell’e-learning, si occupa di delineare l’orizzonte teorico in cui collocare gli approcci dell’e-learning più in sintonia con gli orientamenti pedagogici di matrice socio-costruttivista. In una fase “storica” dell’e-learning caratterizzata da una molteplicità di proposte metodologiche e tecnologiche molto eterogenee tra di loro, il problema di far chiarezza concettuale si pone, infatti, come una necessità imprescindibile. Il paradigma pedagogico dominante continua, infatti, a guardare alla conoscenza come a un’entità trasmissibile, decontestualizzabile, scomponibile in sottounità di informazione, separata da ogni ricaduta di tipo applicativo2. Da questo punto di vista, apprendere significa essere in grado di esibire conoscenze e capacità oggettivamente misurabili, aventi valore di verità oggettive e universalmente confrontabili. Al contrario, diventa prioritaria l’esigenza di valorizzare gli aspetti dialogici, sociali e culturali, di creazione ed elaborazione congiunta di significati, in cui il singolo, in quanto facente parte di un gruppo, riceve sostegno e motivazione all’interno della sua “zona di sviluppo prossimale”. Il contributo di Maura Striano si pone proprio l’obiettivo di tratteggiare l’apprendimento come un insieme di processi situati e distribuiti all’interno di contesti socio-cognitivi altamente significativi. Le comunità di apprendimento, di ricerca e di pratica si pongono come quei luoghi dell’apprendere in cui poter coniugare l’idea costruttivista dell’apprendimento come elaborazione di concetti e azioni viabili con quello dell’interazione sociale attraverso cui gruppi di individui intrattengono rapporti di natura collaborativa finalizzati alla costruzione di conoscenze comuni e condivise. Da questo punto di vista, un ruolo centrale assume il concetto di “pratica”, quel fare che trae il proprio significato e struttura dall’essere situato in un determinato contesto storico e sociale e che comprende aspetti espliciti e taciti, che possono rimanere inespressi, ma che senza dubbio rendono ragione dell’appartenenza a una comunità. Flavia Santoianni e Claudia Sabatano affrontano il tema del recupero della componente percettiva e sensoriale nell’apprendimento in rete. La conoscenza in quanto situata e contestualizzata viene coniugata con l’esperienza incarnata, cioè fisicamente vissuta e interpretata. Come può conciliarsi la prospettiva embodied con l’immaterialità degli ambienti virtuali di e-learning? Le due autrici pongono l’accento sulla necessità di progettare e configurare ambienti di apprendimento che rispondano ai requisiti di plasticità, adattività, dinamicità, dove al soggetto che apprende è consentito di modificare e definire, seppur parzialmente, la struttura dell’ambiente, e di costruire i propri percorsi di apprendimento secondo un’ottica di innesco evolutivo. 9 2 Come riferimento critico nei confronti di questo modello e della filosofia dei learning objects in cui spesso si traduce, si veda Jonassen D., Churchill D. (2004). Is There a Learning Orientation in Learning Objects? International Journal on E-Learning, n. 2, April-June 2004, pp. 32-41. Per meglio comprendere i processi di apprendimento collaborativo che si sviluppano in rete e, in particolare, le modalità con cui è possibile sostenerli e favorirli, la terza sezione Modelli di reti di relazione affronta il tema della struttura delle reti sociali costituite dagli individui che interagiscono online. I tre lavori sono accomunati da un’ipotesi di base: lo studio della dinamica delle interazioni tra i partecipanti ad un evento formativo online e tra questi e l’ambiente di apprendimento è foriero di informazioni utili a comprendere meglio come si apprende in rete e come è possibile progettare gli ambienti di apprendimento in modo tale da favorire il processo formativo tenendo conto delle caratteristiche dei contenuti da apprendere, di quelle del contesto formativo e degli stili di apprendimento dei singoli partecipanti. Nel loro contributo Elvis Mazzoni, Antonio Calvani, Antonio Fini e Giovanni Bonaiuti presentano un metodo noto come Social Network Analysis (SNA). Si tratta di un insieme di metodi e di tecniche, sviluppate in ambito sociologico ed etnografico, che consentono di studiare le interazioni esistenti tra entità capaci di rappresentare o processare informazioni come individui, gruppi, organizzazioni, computer, pagine o siti web, ecc. Nel contesto della comunicazione mediata da computer, la SNA consente di studiare i flussi comunicativi tra i vari attori di una comunità online, al fine di trarre informazioni di carattere globale sulla rete di comunicazione (densità, direzione e struttura dei flussi comunicativi, frequenza ed evoluzione della comunicazione) e di carattere individuale sui singoli partecipanti (ruolo e collocazione all’interno della rete). La ricerca descritta da Mazzoni e colleghi è finalizzata a valutare l’applicabilità del metodo e l’adeguatezza di alcuni classici indici della SNA in un contesto specifico. Lo studio, peraltro ancora in corso, potrebbe evidenziare interessanti relazioni tra i ruoli assunti (per incarico o per predisposizione) dai diversi individui nel contesto formativo e la rispettiva posizione all’interno del grafo che rappresenta la rete delle interazioni. Il contributo di Donatella Persico e Luigi Sarti affronta il tema da un punto di vista complementare a quello appena esposto. In questo articolo, infatti, ci si pone il problema di individuare alcuni dei criteri che guidano chi progetta interventi di formazione in rete nelle decisioni relative alle strategie didattiche adottabili e, conseguentemente, alla struttura, alla dimensione e alla composizione dei gruppi costituiti dai partecipanti. Molto spesso, l’assetto dei gruppi è deciso, in tutto o in parte, da chi ha progettato il corso, a monte dell’intervento formativo. Esso può variare durante il corso stesso, per mettere in atto strategie differenti e per consentire a ciascun partecipante una proficua interazione con l’intera comunità, anche nel caso essa sia numerosa. I criteri che guidano un instructional designer in questo tipo di decisioni sono, tuttavia, per lo più di natura euristica: in questo ambito non esistono algoritmi né procedure che possano essere esplicitati né, tanto meno, codificati. Malgrado ciò, attraverso l’analisi di una variegata casistica, gli autori estrapolano un nucleo di considerazioni preliminari che consentono di affrontare alcune problematiche frequenti, descrit10 te in termini di caratteristiche del contesto formativo, della natura dei contenuti e degli obiettivi dell’apprendimento. L’ultimo contributo di questa sezione, a cura di Umberto Giani, Genoveffa Brascio, Dario Bruzzese e Angela Romano, riporta i risultati di alcuni studi effettuati sulle interazioni di diverse comunità di apprendimento con la piattaforma Dynamic Virtual Learning Networks (DVLN), sviluppata presso l’Ateneo “Federico II” di Napoli. La ricerca evidenzia come sia possibile studiare, da un punto di vista statistico, i comportamenti degli studenti di un corso online al fine di categorizzare le modalità di utilizzo della piattaforma e, in ultima analisi, di individuare gli stili cognitivi più diffusi tra la popolazione obiettivo. Per citare solo alcuni dei comportamenti analizzati, si può menzionare la rapidità nell’adottare la piattaforma tecnologica, le preferenze in merito alle attività da svolgere, la percezione stessa del software usato come strumento formativo per organizzare il proprio apprendimento, interagire col docente, lavorare in gruppo con dei pari, accedere a materiale didattico di vario tipo, ecc. Giani e colleghi studiano, inoltre, la correlazione tra le tipologie di comportamento e altri fattori, come le attitudini al pensiero scientifico/tecnico o a quello umanistico. La quarta sezione, dedicata alla Dimensione linguistica delle interazioni, cerca di fare il punto su alcuni approcci emergenti nell’ambito della cosiddetta Computer-Mediated Discourse Analysis (CMDA)3. Le metodologie di analisi della comunicazione mediata da computer nei contesti di apprendimento costituiscono oggi, infatti, un interessante ambito di ricerca, sia teorica che sperimentale, finalizzato a indagare le specificità linguistiche che emergono in un contesto comunicativo che si avvale quasi esclusivamente della comunicazione scritta, sia essa di tipo sincrono che asincrono. I diversi approcci coinvolgono l’analisi del contenuto (content analysis), che rintraccia la presenza di certe parole o concetti all’interno di un testo o di un insieme di testi per poter fare deduzioni o creare inferenze tra il testo analizzato e il contesto comunicativo; l’analisi conversazionale (conversation analysis), che si occupa delle strutture di comprensione del discorso che si producono nelle concrete condizioni d’uso del linguaggio; l’analisi sequenziale (sequential analysis), che focalizza l’attenzione sull’elemento temporale del processo interattivo; l’analisi critica del discorso (critical discourse analysis), più orientata ad un approccio retorico/discorsivo; fino ad approcci di tipo quantitativo quali il tracciamento delle attività tramite log-file4. In tutti gli approcci qui accennati, assume importanza cruciale l’analisi delle relazioni tra la dimensione più propriamente cognitiva e quella socio-relazionale che si intrecciano nei processi di apprendimento. La dimensione socio-emotiva ed identitaria, infatti, trova sempre più credito nel contesto dell’e-learning, specie in quello più vicino agli orientamenti teorici di matrice socio-costruttivista. In particolare, il contributo di Maria Beatrice Ligorio analizza la costruzione di conoscenza che avviene all’interno dei forum attraverso la ramificazione in “alberi e fili” che compongono la struttura di discus11 3 Herring S.C. (ed.). (in press). Computer-Mediated Conversation. Cresskill, NJ: Hampton Press. 4 Per un esempio di ricognizione di alcuni di questi approcci, si veda: Form@re, n. 27, maggio 2004. http://formare.erickson.it/ archivio/maggio_04/ editoriale.html sione. Attraverso il ricorso all’osservazione partecipata di tipo etnografico, le sequenze dialogiche elaborate nell’ambito del Collaborative Knoweldge Building Group (CKBG), di cui l’autrice fa parte, vengono analizzate sulla base dell’intreccio tra la loro funzione relazionale di costruzione dell’intersoggettività e quella cognitiva di co-costruzione della conoscenza. L’autoreferenzialità e il riferimento all’altro sono, infatti, indicatori linguistici importanti del processo di costruzione dell’intersoggettività collettiva; analogamente, gli indicatori di contenuto segnalano la presenza di nuovi elementi cognitivi in termini di domande e riflessioni problematiche che costituiscono lo spunto per ulteriori elaborazioni teoriche. Nel contributo di Manuela Delfino e Stefania Manca l’invenzione linguistica espressa tramite il linguaggio figurato viene messa in relazione con la presenza sociale, ossia con la capacità da parte dei partecipanti di un corso in rete di essere percepiti e riferiti come persone reali nonostante l’immaterialità del contesto comunicativo in cui agiscono. Il linguaggio figurato è stato, infatti, la modalità creativa e originale con cui i partecipanti hanno espresso il proprio orizzonte identitario ed emotivo; ma, al contempo, ha costituito un’importante risorsa linguistica finalizzata alla creazione di una nuova realtà collaborativa, oltre che dal punto di vista sociale anche da quello didattico-formativo. Il metodo usato, che si è basato sull’analisi del contenuto testuale dei messaggi scambiati, si pone inoltre l’obiettivo di suggerire il ricorso al linguaggio figurato nelle fasi di progettazione e conduzione di corsi di apprendimento online, come uno stimolo a manifestare le emozioni e gli stati d’animo che entrano in gioco nell’esperienza in atto. Il contributo di Emanuela Magno Caldognetto, Isabella Poggi, Piero Cosi e Federica Cavicchio si pone l’obiettivo di rintracciare le principali costanti linguistiche che intervengono nella comunicazione emotiva affidata ai canali dell’interazione sincrona (chat). Nel corpus di esempi analizzato gli elementi più frequentemente usati per simulare gli aspetti prosodici e intonativi del parlato sono risultati la punteggiatura, l’uso di maiuscole e gli allungamenti di vocali. Speciale attenzione è stata prestata all’uso delle formule conclusive espresse dai saluti e dalle emoticon, di cui è stata evidenziata la polisemia. La ricerca effettuata si avvale anche di una forte componente sperimentale che si è tradotta nella progettazione e realizzazione di una Faccia Parlante (Lucia) in grado di esprimere emozioni e atteggiamenti sia verbalmente che tramite la mimica facciale associata alle parole: Lucia, infatti, visualizza in tempo reale i corrispondenti segnali vocali forniti dal sistema di sintesi da testo. Infine, la quinta sezione, Proposte tecnologiche, ospita due contributi che affrontano, da prospettive diverse, alcuni particolari aspetti connessi con le tecnologie dell’e-learning: la relazione con il mondo dell’open source e le problematiche legate all’accessibilità. Il software open source, o a “codice sorgente aperto”, attraverso la disponibilità del codice sorgente consente sia la sua libera circolazione, 12 sia processi di modifica, produzione, ridistribuzione, evoluzione e riuso. Il CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) ha recentemente pubblicato un rapporto5 che fotografa lo scenario del software libero in vari paesi (europei e non) e propone una metodologia di attuazione della direttiva del Ministero per l’Innovazione e la Tecnologia emanata alla fine del 2003, in cui si invitano espressamente le Amministrazioni a tener conto del fatto che tra le possibili soluzioni tecnologiche utilizzabili esistono anche quelle open source. Il fatto che perfino a livello istituzionale si siano recepiti i vantaggi (non solo economici) delle architetture open source ha implicazioni che trascendono la mera applicazione delle tecnologie, e investono aspetti anche “filosofici”6. Con l’intento di avvicinare il mondo dell’open source alle proposte teoriche del Computer Supported Collaborative Learning (CSCL), il lavoro di Antonio Calvani, Antonio Fini, Maria Chiara Pettenati e Luigi Sarti parte dall’esigenza di andare oltre la filosofia di progettazione di molti prodotti attuali per l’e-learning che si basano su modelli pedagogici di stampo tradizionale, in cui l’approccio all’apprendimento è tipicamente trasmissivo e si affida in prevalenza alla distribuzione di materiali autoistruzionali. Il contributo dei quattro autori descrive un sistema e-learning libero che sostenga processi di costruzione negoziale dei significati, di riflessione e metacognizione, in un’ottica marcatamente costruttivista. Moodle7 è la piattaforma open source usata come base per la realizzazione di moduli funzionali di supporto all’apprendimento collaborativo. Sulla base della nuova normativa che identifica i requisiti tecnici e le linee guida8 per la realizzazione di siti Internet accessibili, cioè che non pongano vincoli sulla tipologia del computer, delle periferiche e del software usato dal visitatore, il contributo di Raffaele Nicolussi, Daniela D’Aloisi, Cristina Delogu e Susanna Ragazzini formula un insieme linee guida per l’accessibilità del web-learning. Se il legislatore si è preoccupato, infatti, di stabilire le norme per l’accessibilità dei siti web in generale, ponendo l’Italia in posizione avanzata rispetto alla media delle altre nazioni, poco è stato fatto per affrontare questi aspetti nell’ambito specifico dell’e-learning: le piattaforme per l’apprendimento a distanza sono, a tutt’oggi, ancora scarsamente accessibili. Il contributo descrive, inoltre, un portale per l’apprendimento progettato con attenzione prioritaria alle problematiche di accessibilità e riporta alcuni risultati della sperimentazione, che ha coinvolto un gruppo di utenti non vedenti in due corsi pilota. Per concludere, vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla giornata di studio del 28 ottobre 2004. Un ringraziamento particolare a Gianna Anselmi, Giovanna Caviglione, Paola Parodi e Sonia Schenone per il prezioso aiuto fornito alla riuscita organizzativa dell’iniziativa. Manuela Delfino, Stefania Manca, Donatella Persico, Luigi Sarti 13 5 http://www.cnipa.gov.it/site/_ files/Rapporto%20conclusivo_ OSS.pdf 6 Per citare il rapporto CNIPA, la visione del software “può assimilarsi a quella che ciascuno di noi ha dell’acqua, dell’aria, delle più elementari esigenze umane: il software viene visto come bene comune, gestito in modo totalmente trasparente, nella certezza che qualsiasi utile contributo porti vantaggio alla comunità umana”. 7 http://moodle.org/ 8 http://www.pubbliaccesso. gov.it/notizie/2004/studio_ siti_web_pubblici2.htm. La legge 4/2004 stabilisce, infatti, che i siti resi disponibili dalla Pubblica Amministrazione (e, in generale, i siti di pubblica utilità) siano resi accessibili secondo le indicazioni fornite dal CNIPA. Ciò richiede, ad esempio, che le immagini contenute in pagine web siano integrate con descrizioni testuali fruibili da un non vedente mediante un display braille o un sintetizzatore vocale; che le informazioni presentate in formato tabulare siano corredate da indicazioni per la loro presentazione sequenziale; che il colore non sia veicolo esclusivo di informazioni di conseguenza inaccessibili a ipovedenti e daltonici. Analoghe prescrizioni trattano l’accessibilità nella prospettiva dei non udenti, dei disabili motori e, in qualche misura, dei disabili cognitivi. e-learning nell’università e nell’impresa Paolo Orefice Conoscenza e formazione superiore on line: costruire sistemi di qualità IL SOGGETTO E LA MACCHINA: SISTEMI A CONFRONTO Per realizzare la formazione on line, nel nostro caso quella universitaria, bisogna costruire un sistema operativo complesso con variabili interconnesse che si situano a più livelli di competenza e di intervento. Possono essere così riepilogate: soluzioni e servizi tecnologici; metodi e tecniche di insegnamento e di apprendimento; organizzazione e gestione dell’intero sistema, dall’amministrazione centrale al Corso di studio; risorse umane tecniche ed economiche, normazione dei percorsi e dei prodotti. La complessità è un requisito del fare formazione, ma nel caso del farla a distanza diventa molto più sofisticata: l’innovazione della Tecnologia dell’Informazione e della Comunicazione pone ulteriori e inediti problemi da risolvere. D’altra parte, per creare conoscenza personale, nel nostro caso conoscenza superiore, bisogna considerare che il soggetto mette in moto un complesso e articolato sistema di costruzione di significati, che nella dimensione adulta, giovane e meno giovane, dell’apprendere segue processi più strutturati che nelle età precedenti: si tratta di contesti, domini, strutture, dinamiche, prodotti di conoscenza. Siamo di fronte a due sistemi distinti e diversi di complessità, l’uno della tecnologia e l’altro della conoscenza personale: è legittimo allora metterli a confronto e trattarli insieme? Non si corre il rischio di generare confusioni ed estrapolazioni poco fondate ragionando su logiche sistemiche così diverse, come la costruzione di un sistema operativo a forte componente tecnologica e la costruzione di conoscenze da parte della mente che segue suoi specifici percorsi interni? In definitiva, si ripropone un dilemma che nella storia dell’educazione è sempre esistito e che le teorie e le pratiche di turno, anche se non sempre in accordo, hanno via via risolto: è l’antico problema del rapporto tra l’uomo e la macchina, che per altro egli stesso ha inventato. Esso rimanda al più generale problema del rapporto tra gli umanisti e i tecnologici, che da ciascuno dei due schieramenti ha visto nel corso dei secoli immancabili detrattori della parte opposta, e che con l’invasione delle contemporanee tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nel campo della formazione si ripropone in forme e modi ulteriori e più sofisticati. Nel dibattito e nelle scelte della formazione, quando a prevalere sono i fautori della macchina o, all’opposto, i difensori della soggettività il risultato è stato, e rimane a tutt’oggi, di dialogo impossibile e di soluzioni 17 Paolo Orefice Università degli Studi di Firenze orefice@unifi.it inconciliabili. E poiché della formazione comunque non si può fare a meno, la casistica si muove all’interno di questi due estremi: per un verso, si considera che la vera formazione passa attraverso l’immaterialità del rapporto che nell’aula va dal docente allo studente, per cui gli strumenti tecnici nella loro particolarità contingente sono fuorvianti; per un altro verso, si sostiene che la macchina per la sua capacità operazionale è la variabile indipendente e formidabile del fare formazione. Nel caso della formazione on line i due opposti schieramenti continuano a darsi battaglia, riproponendo in versione aggiornata ideologie e mode risapute: per gli uni la tecnologia è in grado di realizzare la formazione migliore e più innovativa; per gli altri è riduttiva e, se proprio non se ne può fare a meno, va confinata al ruolo di mero sussidio esterno al processo di formazione. La conseguenza è che nell’attuale dibattito sulla formazione superiore on line, ma anche nelle politiche e nelle pratiche più diffuse, il problema non poche volte viene risolto attraverso i rapporti di forza, in cui i tecnocrati puri risultano vincenti, e non attraverso una disamina a tutto campo dei fattori in gioco, a danno quindi del fattore emancipativo ed inclusivo proprio della formazione critica, sia essa realizzata come sviluppo della cultura generale o come specializzazione professionale. Al di là dell’opzione dualistica di turno, di fatto nella formazione a distanza i due mondi sono comunque presenti: non possiamo parlare di tecnologie dell’insegnamento e dell’apprendimento senza considerare il soggetto che le usa per creare suoi saperi e, nello stesso tempo, non possiamo domandarci come la mente costruisce significati personali a prescindere dal sistema tecnologico con cui interagisce. Il problema, allora, non è quello della legittimità o meno di trattare insieme l’uno e l’altro sistema: non solo è legittimo, ma è necessario mettere a confronto la variabile della costruzione della conoscenza personale e la variabile della costruzione del sistema di formazione attraverso la rete tecnologica. Il problema sta piuttosto nel come mettere in relazione due architetture di sistema così diverse senza assorbire l’una nell’altra, ma coniugando la complessità della costruzione del sistema dei saperi del soggetto con la complessità della costruzione del sistema di formazione in rete. Per poterle coniugare in modo da stabilire connessioni utili occorre, però, stabilire preliminarmente qual è il posto dell’una rispetto all’altra: in altri termini, in quale posizione rapportare soggetto e macchina, che nel nostro caso diventa rapporto tra conoscenza e tecnologia. Se ci si colloca dalla prospettiva teorica della formazione come teoria dello sviluppo del capitale umano e, dunque, del suo potenziale di conoscenza, la tipologia del rapporto è fin troppo evidente da dovere essere dimostrata: di rapporto tra fine e mezzo si tratta, senza alcun dubbio. Lo sviluppo delle conoscenze del soggetto costituisce la ragion d’essere di ogni formazione e la strumentazione tecnologica deve dimostrare di essere il canale operativo per ottenerlo. Se un sistema tecnologico della formazione, per quanto avanzato possa essere, non riesce o riesce con difficoltà a veicolare successo formativo perde la sua funzione di mezzo e scopre di essere offerta formativa autoreferenziale. Analogamente, se il risultato atteso di arricchimento del si18 stema delle conoscenze del soggetto non viene raggiunto, o viene raggiunto con forti limitazioni, può dipendere anche da un’insufficiente assunzione della struttura e della dinamica della costruzione delle conoscenze personali all’interno dell’architettura del sistema tecnologico. La nuova domanda da porre ed a cui dare risposta allora diventa la seguente: come la costruzione del sistema della formazione on line può consentire al meglio la costruzione delle conoscenze del soggetto? Per continuare nell’analisi occorre introdurre un altro punto di vista. Non si tratta di realizzare qualunque tipo di connessione strumentale tra sistema tecnologico e sistema dei saperi del soggetto. Certamente, è aver fatto già un passo importante lo stabilire e realizzare un’architettura di formazione a distanza come offerta formativa funzionale agli apprendimenti del soggetto. Ma non basta: rimane da chiarire se si tratta di forme di apprendimento a qualunque titolo, oppure se la funzionalità del sistema tecnologico è in grado di orientare e facilitare avanzate forme di apprendimento. In sostanza: la formazione on line abbassa o innalza i livelli di apprendimento? Attraverso essa si possono raggiungere conoscenze personali di qualità? Ma allora, non può essere dato per valido qualunque sistema tecnologico di formazione: deve essere sottoposto ad analisi critica per capire quali dinamiche apprenditive e conoscitive è in grado di attivare. Nello specifico, occorre verificare se l’architettura del sistema di formazione a distanza dispone di standard minimi di qualità e se questi sono in grado di veicolare apprendimenti e conoscenze di qualità in chi se ne serve come studente, e prima ancora come docente e tutor. La questione centrale alla fine di questa breve introduzione diventa la seguente: come la costruzione di qualità del sistema della formazione on line può consentire la costruzione di qualità del sistema delle conoscenze del soggetto. L’ARCHITETTURA DI SISTEMA DELLA FORMAZIONE ON LINE La formazione on line intesa come sistema operativo complesso presenta una serie di variabili che, come è stato anticipato, si integrano a livelli di competenza e di intervento diversi. Per dare qualità al sistema ciascuna di esse deve garantire il soddisfacimento di determinati requisiti per la parte che le compete: una buona architettura di formazione in rete deve dunque sviluppare al suo interno tutte le variabili ed in ciascuna di esse realizzare standard di qualità. Riferite in particolare alla formazione superiore all’interno di un ateneo, le variabili richiedono azioni di sistema a diversi livelli (le medesime variabili potranno avere applicazioni diverse se riferite ad altre tipologie di formazione, come l’istruzione scolastica o la formazione professionale): • livello tecnologico: adottare soluzioni e servizi basati sulle TIC; • livello didattico: adottare metodi e tecniche di insegnamento e di apprendimento dei contenuti a distanza; • livello della fattibilità: assicurare le risorse umane, tecnologiche ed economiche per il funzionamento di tutte le componenti del sistema; 19 • livello della normazione: adottare regolamenti che permettano al sistema di essere stabile e funzionale nei percorsi e nei prodotti; • livello gestionale: adottare forme di organizzazione e di management dell’intera architettura di sistema, dall’amministrazione di ateneo allo svolgimento del Corso di studio. Perché poi il sistema sia di qualità è necessario che ognuno dei precedenti livelli di intervento possegga i requisiti richiesti dai modelli certificati sul piano nazionale ed internazionale. Non si entra in questa sede nella presentazione dei modelli, ivi compreso quello adottato dal Ministero dell’Università italiano, che richiederebbe ben altro spazio di analisi. Nella presente indagine ci si limita a riportare una serie di indicatori per ogni livello di operatività del sistema, tenendo comunque presente il D.M. 98/2003 dell’accreditamento dei Corsi di laurea on line, al fine di poterne coniugare la relazione con la qualità delle conoscenze attese negli utilizzatori. Le soluzioni ed i servizi tecnologici Per realizzare un Corso di studio on line la struttura universitaria deve poter disporre di un sistema integrato di accesso alla piattaforma di erogazione e gestione dei contenuti e delle attività didattiche e di supporto. Questo vincolo tecnologico comporta che la piattaforma debba possedere determinati requisiti nello svolgimento delle citate funzioni: (1) per l’erogazione dei contenuti didattici deve disporre di adeguate performance di accesso e fruizione dei servizi da parte di più utenti contemporanei, comprese le categorie deboli; (2) per la gestione dei contenuti didattici deve realizzare l’ottimizzazione del processo di progettazione e produzione dei Corsi on line; (3) per la gestione delle attività la piattaforma deve veicolare attività didattiche e di supporto sincrone, di cui l’interattività e l’aula virtuale sono due espressioni irrinunciabili, insieme alle attività asincrone, che vengono gestite comunque all’interno del progetto didattico del Corso di studio. D’altra parte, gli standard delle soluzioni tecnologiche per consentire lo svolgimento del percorso di insegnamento e di apprendimento on line devono assicurare l’attivazione di una serie di servizi tecnologici, i quali a loro volta devono garantire l’articolazione dell’offerta di formazione secondo precise modalità di attuazione. Queste si riferiscono allo svolgimento delle seguenti funzioni, rientranti anche esse nei più generali criteri della didattica on line: (I) modalità di erogazione e di fruizione; (II) modalità di identificazione e di verifica; (III) modalità di tutoraggio. Per le prime (I) la soluzione tecnologica deve garantire forme diversificate di assistenza e tutoraggio, qualità e completezza dell’informazione e della formazione, adeguatezza e aggiornamento delle fonti documentarie e bibliografiche, fruizione dei materiali in modo flessibile e senza criticità tecnologica, supporto all’apprendimento degli studenti (motivazioni, caratteristiche personali, cooperative learning, organizzazione in gruppi, programmazione temporale dell’impegno, …), sistemi di comunicazione a tecnologia avanzata. Per le seconde (II), che non sono di tipo soltanto quantitativo ma an20 che qualitativo, il sistema deve assicurare il tracciamento automatico delle attività e il reporting sui dati tracciati, il monitoraggio didattico e tecnico e il feedback continuo dei tutor, le verifiche formative in itinere anche per l’autovalutazione, l’esame finale a distanza o in presenza con la valutazione del processo e dei prodotti. Per le terze (III), il servizio tecnologico deve realizzare l’interattività studenti-tutor (guida/consulenza, monitoraggio, coordinamento) e gli spazi virtuali di comunicazione sincroni/asincroni (uno a uno, uno a molti). I metodi e le tecniche di insegnamento e di apprendimento a distanza Per riconoscere se un Corso di studio ha i requisiti minimi della “didattica a distanza” secondo i modelli di ultima generazione della “formazione attraverso la rete”, come viene descritta dalla letteratura nazionale e internazionale, è indispensabile la presenza delle seguenti condizioni: • la connessione in rete: i materiali didattici e le attività didattiche vengono veicolati attraverso Internet, garantendo un lavoro didattico interattivo tra docenti, tutor e studenti e realizzando in tal modo un buon livello di comunicazione didattica diretta, non sempre possibile a tale livello nell’insegnamento in presenza; • il percorso di apprendimento via PC: ogni studente, attraverso la connessione in rete, scarica i materiali didattici sul PC, che poi viene utilizzato per lo svolgimento delle diverse attività di apprendimento attraverso dispositivi ed interfacce che integrano e facilitano il lavoro studente-tutor-docente; • l’informazione e la comunicazione a distanza: il sistema di lavoro didattico garantisce un alto grado di indipendenza dalla presenza in aula e dai vincoli degli orari di frequenza, prevedendo comunque possibili momenti significativi di incontri presso la sede universitaria, tra i quali le prove di esame; • il trattamento dei contenuti didattici: gli oggetti di studio non sono lasciati all’estemporaneità ed alla soggettività di chi li offre e di chi li apprende, ma sono codificati e standardizzati (come, per altro, si richiede ad un insegnamento e ad un apprendimento su base scientifica), organizzati pertanto in soluzioni didattiche modulari e, nello stesso tempo, interoperabili attraverso l’interattività docente-tutorstudente e, dunque, personalizzabili sui ritmi e sulle modalità di apprendimento dello studente; • il monitoraggio dell’apprendimento: attraverso la rete il percorso didattico è tracciato non solo per verificare la quantità dei contatti dello studente, ma soprattutto per realizzare attraverso l’interattività la valutazione e l’auto-valutazione periodica dell’apprendimento, con le evidenti retroazioni sulla valutazione dello stesso insegnamento. Alle precedenti condizioni vanno aggiunti i requisiti specifici delle possibilità metodologiche e tecniche della TIC, identificabili nei seguenti criteri operazionali: • la multimedialità: i diversi media utilizzati attraverso la rete sono integrati e resi funzionali al lavoro didattico; 21 • l’interattività con i materiali didattici: la strumentazione tecnologica con i relativi servizi di supporto consente di fare interagire i prodotti didattici dell’offerta formativa dei docenti e dei tutor con i prodotti didattici elaborati dallo studente, garantendo in tal modo la personalizzazione dei percorsi di studio e l’ottimizzazione dell’apprendimento; • l’interattività umana: strumentazione e servizi tecnologici assicurano la comunicazione tra gli attori del processo didattico attraverso la creazione di contesti virtuali di apprendimento (e-learning Community), ma anche di insegnamento multidisciplinare e interdisciplinare (e-teaching Community); • l’adattività dei percorsi didattici: dalla duplice interattività precedente scaturisce l’ulteriore condizione di personalizzare le reti concettuali dei contenuti didattici, dal momento che nel processo didattico entrano in gioco intelligenze multiple, e, dunque, di realizzare il circolo virtuoso delle interazioni tra le performance individuali e i contenuti on line; • l’interoperabilità dei sottosistemi: le diverse componenti attive del sistema tecnologico e dei relativi servizi consentono l’ottimizzazione di tutte le risorse impiegate, materiali e immateriali, che quindi adeguandosi agli aggiustamenti del percorso didattico in corso di svolgimento vengono riutilizzate e integrate ulteriormente. Le risorse umane, tecnologiche ed economiche La variabile della fattibilità chiama in causa le risorse umane, tecniche ed economiche necessarie per il funzionamento di tutte le componenti del sistema. È un ordine di problemi non sempre valutato adeguatamente nei programmi della formazione in presenza, ma che diventa ineludibile nella formazione in rete: si tratta di assicurare la copertura di costi non indifferenti per l’utilizzazione delle tecnologie in termini di soluzioni e di servizi, ma anche di disporre di figure professionali specifiche della formazione on line. Infatti, data la sua specificità innovativa, la programmazione delle risorse introduce elementi nuovi che solitamente non sono presenti nei Corsi di studio in presenza: pertanto, se è vero che ogni attività di formazione non può reggersi se non è supportata da risorse che ne assicurino il funzionamento, questo è tanto più vero per un Corso di e-learning che senza determinate risorse, richieste dalla sua particolare struttura, non può essere realizzato o, al massimo, viene svolto male snaturandone la peculiarità e, dunque, risulta impossibile la sua messa in qualità. Al fine di disporre di tutte le risorse da utilizzare in maniera programmata e distribuita ai vari livelli di operatività (dall’Ateneo al Corso di studio) i costi di impianto e di avviamento ed a regime, da coprire come spese dirette (o indirette, se determinate voci del budget sono già assicurate dalla struttura di ateneo), possono essere ricondotti alla seguente tipologia: spese di personale (Amministrativi, Tecnici, Docenti, Telemanager didattici, Teletutor), di spazi e servizi (Sede, Struttura tecnologica, Struttura didattica con Laboratori multimediali, Strumentazione tecnologica). 22 Relativamente alle risorse umane, oltre la presenza di tecnici delle TIC, vengono introdotte due nuove aree professionali nella filiera delle competenze didattiche: la gestione dei servizi didattici a distanza e la gestione dello studente “remoto” per guida/consulenza, monitoraggio, coordinamento. Le due funzioni che normalmente rispondono a due figure professionali ben distinte, il Telemanager didattico o Gestore dei servizi tecnologici della didattica e il Teletutor, nel Corso di studio possono essere attribuite ad Teletutor, che in questo caso ovviamente dovrà garantire la padronanza anche delle altre competenze. Tali requisiti rimandano all’“architettura di sistema” nel quadro complessivo dell’Ateneo, non avendo il singolo Corso di studio da solo la possibilità di soddisfare tutte le condizioni indispensabili per realizzare un insegnamento ed un apprendimento di qualità. Questa variabile, come le successive, pur impegnando il Corso di studio e la sua unità amministrativa di riferimento, sia essa la Facoltà o anche il Dipartimento, investono soprattutto la struttura centrale dell’Ateneo nelle sue funzioni di strategia politica e di amministrazione che le spettano. La normativa Anche questa variabile è importante non meno delle altre: essa costituisce il passaggio obbligato che dà coerenza, certezza e stabilità all’“architettura di sistema” della formazione on line dei Corsi di studi universitari. Il Regolamento didattico di Ateneo ne recepisce le istanze e le traduce in norme che ne disciplinano il funzionamento secondo i criteri e i requisiti di qualità: in base ad esso viene realizzato anche il Regolamento didattico del Corso di studio a distanza. Nello specifico la regolamentazione delle attività di formazione on line, rispondendo alla necessità di formalizzare le procedure che assicurino gli standard minimi di qualità, deve prevedere una serie di garanzie per lo studente, ma anche per l’Ateneo nella fruizione come nell’erogazione dell’offerta formativa. Le garanzie sono date da una serie di atti ufficiali: • la Carta dei servizi: è il documento di programmazione e di gestione didattica del Corso di studi on line. In esso vengono definiti il piano di studi e la relativa metodologia didattica, le modalità e le regole dei servizi tecnologici, precisandone i livelli operazionali e gli standard di funzionamento; • il Contratto con lo studente: è la carta dei diritti e dei doveri dello studente “remoto”, in cui ciascun iscritto al Corso on line sottoscrive la sua adesione alle attività ed ai servizi didattici e di accompagnamento in massima parte a distanza e, a sua volta, il presidente del Corso, a nome e per conto del Consiglio del Corso di studi, sottoscrive le garanzie date allo studente di potere seguire e portare a termine il suo percorso formativo universitario; • la Commissione di certificazione: è l’organismo incaricato dal Consiglio del Corso di studi di riconoscere la validità scientifica e didattica del materiale tecnologico erogato e dei servizi offerti a distanza; la Commissione, composta interamente da docenti universitari, nell’esercizio delle sue funzioni può avere una delega maggiore o mi23 nore a discrezione del Consiglio del Corso di studi, salvaguardando comunque l’autonomia didattica di ciascun docente del Corso (nel caso dell’Università telematica, che è promossa da soggetti pubblici e privati, la presenza della Commissione acquista un rilievo tutto particolare come organismo di garanzia del livello universitario di formazione); • la garanzia di tutela dei dati personali: il Corso di studio è tenuto a dimostrare, con il supporto dei servizi tecnologici dell’Ateneo, quali misure di sicurezza secondo le norme vigenti adotta relativamente alla privacy dello studente; • la flessibilità di fruizione degli insegnamenti: a differenza dei Corsi di studio in presenza che hanno il vincolo di 60 Crediti Formativi Universitari annuali, il Corso a distanza può avere una maggiore flessibilità al riguardo potendo assecondare maggiormente i tempi e i ritmi di apprendimento dello studente “remoto”; pertanto, deve deliberare qual è il numero massimo dei CFU che egli può guadagnare in un anno e, per altro verso, qual è la diluizione pluriennale massima dei CFU. La gestione Perché l’intera architettura di sistema possa funzionare adeguatamente nei suoi snodi operativi, occorre adottare forme di organizzazione e di management funzionali all’atipicità della formazione on line. Il sistema di gestione, dall’amministrazione di Ateneo allo svolgimento del Corso di studio, deve dimostrare, per la parte che lo riguarda, come traduce operativamente quei requisiti e quelle specifiche in un Programma di fattibilità e come le distribuisce all’interno del sistema organizzativo adottato, dove ruoli e funzioni sono chiaramente e tecnicamente definiti. Il sistema organizzativo rientra nell’“architettura di sistema” della formazione on line, analogamente alle altre componenti descritte finora. Tale architettura, per la sua peculiarità innovativa, si differenzia dall’abituale e consolidato sistema di Ateneo. Non a caso, le Università telematiche in Europa hanno statuti, apparati, organizzazioni e servizi che, pur all’interno della cornice normativa comune a tutta la formazione superiore del Paese, hanno loro distinti caratteri. Certamente, non è semplice in una struttura universitaria con insegnamento in presenza inserire un’“architettura di sistema” che per una serie di variabili fondamentali si discosta da quella. I rischi maggiori, tra gli altri possibili, sono due: o minimizzare la differenza strutturale di tale architettura per cui la si assorbe in quella preesistente; oppure, esasperarne a tal punto la differenza da delegare al Corso di studio l’intera responsabilità di attuazione del sistema di e-learning. Nell’uno e nell’altro caso, anche se da opposti versanti, si generano grossi problemi di gestibilità dei Corsi on line, con il rischio di realizzare un’offerta formativa di bassa qualità, asfittica e di non portare a buon fine gli impegni presi nella Carta dei servizi e nel Contratto con lo studente. In conclusione, il sistema complessivo e analitico di gestione della formazione on line assume la sua visibilità e la sua sostenibilità, e dunque 24 la sua accreditabilità, nella misura in cui risponde ad uno specifico Piano esecutivo di Ateneo, da una parte, e ad un dettagliato Progetto didattico del Corso di studio, dall’altro. LA COSTRUZIONE DELLA CONOSCENZA PERSONALE Se dall’architettura di sistema dell’offerta formativa in rete passiamo all’architettura della costruzione del sistema dei saperi personali ci spostiamo su un altro terreno di analisi. In tal modo possiamo poi procedere alla definizione delle zone di contatto tra le due architetture ed individuare alcuni snodi problematici della connessione tra la dimensione della macchina e la dimensione del soggetto nei termini discussi prima. Analizziamo allora, anche se in termini strutturali, le componenti costitutive del sistema della conoscenza personale. Anche in questo caso, seppure su un altro campo e livello di studio, abbiamo di fronte una realtà complessa ed articolata. È importante riconoscere questa peculiarità della conoscenza umana, che ci permette di evitare di cadere in una sua nozione riduttiva e separata. È il rischio di ogni approccio specialistico all’esplorazione della dimensione umana il quale non tenga aperte le sue “finestre” sugli inevitabili intrecci di cui essa è costituita e grazie a cui si esprime e si sviluppa. Nello studio della conoscenza umana, che di quella dimensione è certamente una zona fondamentale e molto delicata, questo rischio di autoreferenzialità specialistica è particolarmente forte e, dunque, carico di effetti negativi anche in sede formativa. Per il carattere introduttivo del presente studio si procede per aspetti strutturali del sistema di costruzione dei saperi del soggetto, rimandando alla letteratura per i dovuti approfondimenti. Possiamo riconoscere come aspetti costitutivi le seguenti variabili, che a livelli diversi concorrono alla formazione ed allo sviluppo del sistema: i contesti entro cui le conoscenze personali nascono e si evolvono; i domini cognitivi che definiscono la natura e le espressioni dei saperi umani; l’organizzazione del processo di conoscenza che segue un andamento, al tempo stesso, strutturale e dinamico; la produzione del conoscere che si manifesta nelle diverse forme e contenuti dei saperi individuali e collettivi. Contesto e conoscenza: il sistema tecnologico come ambiente Il conoscere umano, come la ricerca interdisciplinare contemporanea ha abbondantemente dimostrato, non è né l’adeguamento della mente ad un’oggettività costituita al suo esterno, come gli idealismi di ogni epoca a vario titolo e in diversi modi hanno sostenuto attraverso procedimenti deduttivi, e non è nemmeno una realizzazione tutta interna alla mente che inventa una sua realtà soggettiva, come i molteplici relativismi storici hanno cercato di sostenere attraverso procedimenti induttivi. È piuttosto il lavoro di mediazione della mente tra il soggetto e il mondo in cui è immerso: in questa prospettiva la conoscenza non è data se non c’è il soggetto che conosce, ma ugualmente se non c’è il contesto da conoscere. In questo lavoro la mente elabora i significati del cono25 scere muovendo dai segni che seleziona dall’ambiente e questi sono conosciuti soltanto se pervengono allo stadio mentale di significati. Nella conoscenza umana possono cambiare i significati delle tracce del mondo, così come l’esperienza umana può incontrare via via tracce inedite a cui dare il nome; ma gli ingredienti del sistema conoscitivo non cambiano: il soggetto e il contesto e, a legarli, la mente che offre al primo le elaborazioni interpretative del secondo. La conoscenza personale non è dunque data a priori, ma viene costruita dal soggetto attraverso le relazioni che stabilisce con l’altro da sé. Di costruzione mentale si tratta che serve al soggetto per riconoscersi nel contesto, relazionarsi ad esso e piegarlo in qualche modo ai bisogni di vita, individuali e collettivi. Di qui nasce, prende forma e si sviluppa la storia dei saperi dei soggetti come individui e come gruppi organizzati in società e culture: nel primo caso, essa finisce con il fondersi con la loro esperienza personale di vita; nel secondo, con le esperienze di antropizzazione dei territori attraverso gli artefatti prodotti dalla medesima conoscenza nella manipolazione della natura. Le attuali TIC costituiscono nel nostro tempo la forma di contesto più elaborato con il quale gli uomini e le donne del Villaggio globale si trovano sempre più a fare i conti: tra gli artefatti realizzati sin dalle origini nei processi di antropizzazione, le TIC assumono sempre più ed in maniera irreversibile il carattere di ambiente imprescindibile di cui esplorarne i segni e di cui elaborare significati. In altri termini, le TIC, prima ancora di essere veicolo di saperi, sono di per se stesse ambiente di conoscenza: affermare che “il media è il messaggio” vuol dire che, come ogni artefatto umano, anche questo basato sull’elettronica condiziona e orienta la stessa costruzione dei significati che la mente elabora. Il contesto, tecnologico nel caso in esame, non è indifferente nei processi di elaborazione dei significati; in questo senso, come si è detto prima, esso svolge una funzione fondamentale nella mediazione conoscitiva. È un alfabeto da leggere: e come tutti gli alfabeti dell’ambiente naturale e antropizzato è un insieme di segni con i quali la mente deve fare i conti e che la condizionano nell’elaborazione dei significati. È un aspetto questo che va preso seriamente in considerazione nella programmazione e nella gestione della formazione on line. A questo proposito, va precisato che il problema non si riduce semplicemente all’alfabetizzazione informatica, intesa come conoscenza della macchina e del funzionamento dei programmi, certamente necessaria per utilizzare la formazione via PC. Come ambiente che media l’apprendimento, il sistema tecnologico induce determinate strutturazioni mentali, senza le quali o viene sottoutilizzato o viene utilizzato con difficoltà ed errori oppure addirittura viene rifiutato: dove il suo rifiuto parziale o totale compromette anche l’apprendimento utile dei contenuti che veicola. Non è una novità nei processi di formazione: come si può ridurre o perdere l’acquisizione di capacità disciplinari, ad esempio matematiche o storiche o letterarie, se il contesto dell’insegnamento in presenza blocca in qualche modo la mediazione conoscitiva, così un ambiente tecnologico - ad esempio, nell’organizzazione dello spazio o nelle forme di visualizzazione o ancora nell’articolazione reticolare dei conte26 nuti - può esso stesso essere di ostacolo all’apprendimento se non riesce a stabilire una connessione mentale positiva ed attivante con il soggetto che deve usarlo. Gli esempi al riguardo possono essere molti: si pensi alla difficoltà di accesso al PC e ad Internet di generazioni di adulti i cui schemi mentali sono fortemente strutturati sulle sequenze logiche lineari delle pagine di libro e che si perdono di fronte a pagine elettroniche costruite con la logica reticolare. Oppure, si pensi alle difficoltà di utilizzazione dei programmi di e-learning nelle comunità indigene del terzo mondo, dove il Digital Divide, prima che tecnologico è mentale, nel senso che la strutturazione dei processi cognitivi nelle culture orali segue andamenti e dinamiche lontane dall’asetticità razionale della cultura e della tecnologia elettronica. Sono problemi di rapporto tra forme di linguaggio e conoscenze da costruire che si ripropongono regolarmente ad ogni passaggio storico di cambiamenti strutturali degli ambienti in cui sviluppare apprendimento. È accaduto ed accade tuttora nell’educazione degli adulti nel passaggio dagli alfabeti orali a nuovi alfabeti scritti, in cui la mediazione cognitiva tra segni dell’ambiente e significati per interpretarli ha registrato insuccessi di apprendimento scambiati dagli insegnanti per incapacità di apprendimento. Dalla presente analisi, per quanto sintetica, emerge che il sistema della formazione on line, per altro nuovo e complesso rispetto a quello in presenza, non va dato né per scontato né per neutrale nella costruzione dei saperi personali, ma va visto come ambiente che condiziona l’apprendimento, in qualunque senso e, come tale, va monitorato e preso in esame nella programmazione dell’e-learning. I domini cognitivi: le forme di conoscenza Un’altra variabile fondamentale dell’approccio allo sviluppo della conoscenza personale come sistema ed alle sue implicazioni nel rapporto con il sistema della formazione on line è la concezione stessa che si assume di conoscenza, dal momento che è essa ad essere veicolata attraverso i canali tecnologici. Qui occorre subito fare una precisazione per sgombrare il terreno da equivoci interpretativi. Si sa bene che nella nostra cultura occidentale, soprattutto dalla nascita in poi della conoscenza scientifica moderna, si attribuisce valore conoscitivo solo o preminentemente al pensiero razionale fino ad assumere, nella nozione stessa di razionalità, il concetto di vero e di giusto. Per tale via la razionalità, cartesianamente intesa, non solo viene identificata nel pensiero occidentale come il più oggettivo e, dunque, il migliore possibile per il mondo intero, ma svuota di ogni dignità conoscitiva qualunque altra forma di costruzione umana di significati e, pertanto, considera fuorvianti se non dannosi i movimenti del sentire, per cui ogni buona formazione li deve tenere fuori campo, anzi ignorarli o, meglio ancora, eliminarli. Nel secolo scorso è stata questa stessa razionalità asettica e neutrale che si è dimostrata dannosa per sé e per il mondo stesso quando è venuta scoprendo che la sua mitizzazione, iniziata in epoca moderna con il primato assoluto dell’uomo sulla natura e continuata con l’esaltazione 27 dei lumi della ragione e della scienza positiva, che avrebbe dovuto realizzare uno sviluppo lineare, progressivo e diffuso, è stata sconfessata pesantemente dalle involuzioni delle grandi guerre planetarie, dagli sfruttamenti enormi dei Paesi del sud ai danni delle popolazioni colonizzate fino ai grandi e preoccupanti squilibri ecologici del sistema pianeta indotti da una razionalità tecnologica senza anima. Questa razionalità impassibile ed autoreferenziale si è scoperta nuda, insicura e separata ed ha cominciato ad esplorare le zone dell’umano a cui meno aveva prestato attenzione: le scienze sociali e la psicologia in primo piano hanno portato all’ordine del giorno dell’agenda scientifica internazionale le zone non razionali e inconsapevoli della struttura dell’uomo, delle società e delle culture. Le stesse scienze della vita si sono applicate allo studio dei processi biochimici più profondi e la ricerca interdisciplinare degli ultimi decenni ha superato ogni lettura rigidamente riduzionistica della realtà, umana innanzi tutto, evidenziando logiche e dinamiche complesse e interconnesse a base dello sviluppo della natura come dell’uomo e delle culture. Questa rivoluzione di paradigmi storici ed epistemologici del secolo scorso ha portato profondi rivolgimenti nel modo stesso di intendere la natura della conoscenza umana, della sua struttura dinamica e delle sue forme espressive. La cognizione ha perso la sua esclusività di pensiero razionale, che costituisce comunque il dominio cognitivo arrivato a maturazione nella specie umana, e la si è riconosciuta presente anche nelle forme dell’intelligenza emozionale e sensomotoria, che esprimono i domini cognitivi ereditati dalle specie precedenti attraverso la loro evoluzione filogenetica e, particolarmente, quella del loro sistema nervoso. In questa apertura di inediti e affascinanti scenari di esplorazione della conoscenza umana e dei suoi domini cognitivi sensomotorio, emozionale e razionale, la sua costruzione appare basata su una struttura ed una dinamica molto più complesse; ma soprattutto diventa sempre più chiara l’inadeguatezza di una conoscenza personale alimentata solo di pensiero senza coinvolgere le zone del sentire, con tutti i guasti che ne derivano alla personalità dimezzata ed all’agire nel mondo attraverso i saperi di una razionalità asettica e separata (comunque, anche negandola, vincolata al sentire). Nelle scienze della formazione e nella pedagogia scientifica questa prospettiva impone un riesame delle teorie e delle pratiche didattiche. La didattica on line ne è particolarmente coinvolta: essendo la tecnologia informatica e telematica il risultato di una razionalità particolarmente avanzata, il rischio di una didattica tutta razionalizzante è reale. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: le sue grandi potenzialità di informazione e comunicazione sono una grande risorsa per veicolare la complessa articolazione del potenziale conoscitivo umano. Dinamica della conoscenza personale: l’organizzazione del processo tra ordine e piacere Se la conoscenza è costruzione di significati a partire dai segni distribuiti nell’ambiente, ci si domanda quale dinamica presiede alla sua strutturazione. 28 La cognizione razionale è guidata dalla regola dell’ordine logico, per contrastare il suo opposto, il dis-ordine: i significati elaborati sono le idee espresse dal pensiero, che attraverso la grammatica del linguaggio dà nome ai segni. Il nominare è la spiegazione razionale del segno che viene restituito alla mente attraverso l’interpretazione; questa, a sua volta, ne situa in un posto della realtà le parti costitutive e lo esprime nelle forme chiarificatrici della parola, che porta a termine il processo di concettualizzazione del segno, trasferendolo nell’ordine astratto e simbolico della ragione. La cognizione emozionale e, prima ancora, sensomotoria è guidata invece dalla regola del piacere. Anche questa obbedisce ad una logica ben precisa, ma non è quella della razionalità consapevole. Essendo i domini cognitivi del sentire legati inizialmente a forme di vita meno evolute di quella umana, la loro logica di costruzione dei significati è più direttamente connessa alle ragioni della sopravvivenza, in termini di conservazione della vita sia dell’individuo che della specie. Tale forma di conoscenza, pertanto, è mossa dalla logica dei bisogni primari dell’esistenza, che non hanno alcuna mediazione razionale e generano, quindi, significati interpretativi del reale che presentano originariamente i caratteri dell’immediatezza e dell’inconsapevolezza. I significati del sentire non hanno pertanto né la lucidità né la compiutezza del pensiero e non si esprimono nel linguaggio della parola che formalizza il concetto astratto, ma adottano il linguaggio dei sensi e delle emozioni, guidato dalla logica dell’avvicinamento e dell’allontanamento, nei primi, e dell’attrazione e della fuga, nei secondi: ambedue espressioni cognitive evolutesi nelle trasformazioni filogenetiche del sistema nervoso degli invertebrati e dei vertebrati. In questa accezione originaria la logica del piacere, con il suo antagonismo del dis-piacere, presiede alla costruzione dei significati delle sensazioni e delle emozioni come forme interpretative dei segni dell’ambiente in quanto potenziali generatori di soddisfazione o meno dei bisogni primari della vita e, quindi, fonti di desiderio o di avversione. Nella specie umana, essendo presenti i domini cognitivi sia del pensare che del sentire, le due logiche dell’ordine vs. dis-ordine e del piacere vs. dis-piacere convivono all’interno del medesimo potenziale conoscitivo: sarà la storia della formazione, cioè del prendere forma di ciascun soggetto, considerato nella sua individualità irripetibile e nella sua appartenenza a determinati gruppi umani, che dirà se questo potenziale originario si è poi sviluppato nella direzione del predominio relativo o assoluto della conoscenza del sentire o della conoscenza del pensare, con la conseguenza di ridurne le capacità interpretative del reale e, dunque, di una collocazione “virtuosa” del soggetto nell’ambiente; o se invece si è sviluppato nella direzione della modulazione tra conoscenza del sentire e conoscenza del pensare, con l’effetto benefico di migliorarne le capacità interpretative e trasformative del mondo. Il dibattito sulla formazione degli ultimi decenni ha introdotto la problematica su quale tipo di conoscenza essa accoglie al suo interno: gli studi che si vanno sempre più diffondendo sull’intelligenza emozionale, alimentata dal cervello emotivo, mentre pongono al centro del processo formativo la molteplicità e la complessità del lavoro mentale, ri29 chiedono il superamento dell’approccio alla razionalità pura attraverso l’approccio basato sulla razionalità patica o emotività razionale, in nome di una più avanzata coerenza scientifica che rimanda ad una visione meno occidentalocentrica e più transculturale e planetaria dei processi di sviluppo umano. Il sistema della formazione on line non può evadere essa stessa da questa sfida, sia per il suo carattere profondamente innovativo sia per la sua capacità di erranza oltre i confini delle società e delle culture. La produzione della conoscenza: i saperi del soggetto Per completare questa breve presentazione del sistema della conoscenza personale, rimane da chiarire cosa esso produce. In termini generali, come è risaputo, la conoscenza umana è all’origine della storia, delle sue culture e società. Senza il potere di costruire significati per interpretare il mondo e per trasformarlo non sarebbe stata possibile l’antropizzazione del pianeta, che ora si sta espandendo allo spazio che l’avvolge. Ma al di là di questi esiti finali, ci si chiede qual è il prodotto specifico del potenziale cognitivo: sono i saperi che ciascun essere umano costruisce per sé e spende nel corso dell’esistenza per vivere con gli altri nel suo ambiente storico. Di questa produzione di saperi, iniziata sin dalle origini della preistoria e diversificatasi nel tempo all’interno dei territori abitati dagli uomini, parte è scomparsa con coloro stessi che l’hanno generata e utilizzata, parte è rimasta visibile attraverso le innumerevoli testimonianze dell’antropizzazione: dalle tradizioni orali ai testi scritti, dalle rappresentazioni iconografiche agli artefatti, dalle opere della tecnica alle produzioni ideologiche. Nel tempo ogni società e cultura tra i saperi stratificati della storia e tra i nuovi saperi emergenti ha selezionato, non senza conflitti e lotte interne, quelli maggiormente funzionali alla loro conservazione e sviluppo: questi di volta in volta sono stati investiti di legittimità e fatti acquisire dalle diverse generazioni attraverso le molteplici forme della socializzazione e dell’inculturazione. Nella nostra cultura razionale degli ultimi secoli la codificazione dei saperi accreditati è stata formalizzata nel corpus delle discipline alimentate dalla ricerca scientifica e tecnologica, oltre che dalle ideologie maggiormente presenti negli ultimi secoli in occidente: questo processo di razionalizzazione della conoscenza ha portato a trattare tutti i saperi, anche quelli maggiormente intrisi dei domini del sentire - come i saperi dell’arte e della letteratura, oppure quelli storici e sociali -, in termini di intellettualismo integrale, al punto di identificare la conoscenza nella razionalità incontaminata, come è stato spiegato prima. La formazione ha fatto sua questa assunzione di panrazionalismo dei saperi, rinchiudendoli in una strutturazione logica tanto ordinativa quanto spoglia da ogni implicazione dei sensi e delle emozioni. La conseguenza è stata duplice: da una parte, i saperi delle discipline sono stati tradotti in contenuti di concetto a sé stanti, validi nella loro formulazione asettica di costrutti astratti; dall’altra, i soggetti in apprendimento sono stati considerati come altrettante menti fatte di pura razionalità e, quindi, idonee ad incamerare idee valide in sé e per sé. 30 Le metodologie didattiche che si ispirano a tale impostazione non prendono in considerazione, dunque, la soggettività di colui che apprende come portatrice di saperi costruiti con i materiali del pensare e del sentire: i saperi pregressi del soggetto in formazione o non entrano nella gestione del processo formativo oppure, se sono presi in esame attraverso le varie ricognizioni e bilanci di conoscenze di ingresso, sono assunti soltanto come concetti preesistenti nel soggetto medesimo. Del resto, si sa, lo scotto di questa istituzionalizzazione delle conoscenze esclusivamente come concetti/contenuti/informazioni è il ritardo o l’espulsione dai percorsi formativi di chi dispone di un’altra costruzione di saperi, soprattutto se basata sul senso comune che è a forte carica patica; un altro scotto è l’allineamento su quel tipo di sviluppo intellettuale, carico di concetti ma non educato alla gestione dei linguaggi dei sensi e delle emozioni, destinato a riprodurre l’intellettualità autoreferenziale e separata del passato, oggi quanto mai inadeguata a comprendere e ad intervenire nei complessi e delicati processi interculturali e transculturali della società planetaria della conoscenza. LA QUALITÀ DELLA CONOSCENZA PERSONALE: IL CONTRIBUTO DELLA RICERCA PARTECIPATIVA La sfida della formazione in epoca di globalizzazione, che paradossalmente fa venire alla ribalta radicati e, non poche volte, radicali saperi locali a fianco di saperi egemoni su scala mondiale, è quella di recuperare certamente la dimensione della soggettività e del suo corredo di saperi, ma anche il più ricco patrimonio dei saperi dell’umanità dalle molteplici forme e contenuti. Il sistema della formazione on line, più ancora della formazione in presenza, ha notevoli possibilità innovative e creative di far costruire attraverso la rete conoscenze di qualità nei termini esposti della piena valorizzazione del potenziale cognitivo. Per poterlo realizzare ha bisogno di utilizzare metodologie di formazione in grado di lavorare sulle dinamiche dei diversi domini conoscitivi: una di queste è la ricerca partecipativa (RP). La Participatory Action Research è una metodologia di apprendimento, ricerca e intervento, sviluppatasi nella seconda metà del secolo scorso come reazione ed alternativa agli approcci lineari e quantitativi delle scienze sociali e dell’educazione, attraverso le reti di operatori dell’educazione in età adulta distribuite nei diversi continenti per realizzare l’inclusione delle popolazioni più svantaggiate nei processi di formazione e di sviluppo endogeno. La sua fecondità innovativa e scientifica le ha permesso di adattarsi agli altri fronti della formazione e dello sviluppo, arricchendosi anch’essa attraverso ricerche e sperimentazioni nell’alveo della “ricerca azione” e della “ricerca intervento”. Non è questa la sede per approfondirne gli aspetti teorici ed applicativi, per i quali si rimanda alla bibliografia italiana e più ancora internazionale: per esigenze redazionali, qui ci si limita alle due componenti “ricerca” e “partecipazione”. La ricerca partecipativa non ha ancora varcato in maniera sistematica e controllata la frontiera della formazione on line. Le note che seguono vogliono essere soltanto un contributo iniziale al superamento di que31 sto varco attraverso specifici approfondimenti sperimentali: le sue strette affinità con la teoria del potenziale cognitivo sopra descritta la rendono viabile anche con la formazione in rete, per la particolare flessibilità e adattatività delle stesse TIC. La ricerca partecipativa traduce sul piano metodologico del fare formazione le componenti costitutive del lavoro mentale del pensare e del sentire. Il metodo della ricerca segue l’arco logico “problema/analisi/ipotesi/verifica/valutazione/soluzione del problema”: questa, infatti, è la modalità dei procedimenti analitici attraverso cui il pensiero costruisce i significati razionali, di cui servirsi per rapportarsi al mondo. Il metodo della partecipazione, a sua volta, segue l’arco patico “sensibilizzazione/coinvolgimento/affezione/soddisfazione/presa a carico”: questa, infatti, è la modalità processuale di costruzione dei significati di natura sensomotoria ed emozionale. Come il processo di indagine della ragione esplora la realtà per trasferirla nell’astratta simbologia ordinativa dei costrutti riflessivi, così il processo partecipativo del sentire esplora la medesima realtà per colmarla dei significati vitali della corporeità, immediati e irriducibili. Poiché poi ricerca razionale e partecipazione patica sono coniugate insieme nell’applicazione del metodo, le probabilità per il potenziale cognitivo di sviluppare in maniera integrata le sue componenti costitutive sono molto alte, con il risultato importante di sbloccare le resistenze dell’apprendere, di fluidificarne il processo e di realizzare il successo formativo, ma più ancora di raggiungerlo in termini di saperi arricchiti, con un maggiore gradiente di esplorazione e di rapporto con la realtà. Sul piano operazionale la ricerca partecipativa produce conoscenza creativa stabilendo una comunicazione sistematica e continua tra i saperi del soggetto ed i saperi delle discipline impegnati nel medesimo lavoro di indagine sentita dal soggetto perché riferita a problemi che lo coinvolgono direttamente. Questo, in breve, il flusso operazionale della ricerca partecipativa come metodologia di costruzione dei saperi del soggetto, la quale utilizza l’intero potenziale cognitivo del sentire e del pensare (tabella 1). LA COSTRUZIONE DELLA CONOSCENZA ATTRAVERSO LA RICERCA PARTECIPATIVA IN RETE Il trasferimento della ricerca partecipativa alla formazione on line comporta una serie di focalizzazioni che incidono direttamente sull’articolazione del suo sistema operativo. Questo, infatti, presenta una noteTABELLA 1. Ricerca (logica del pensare) Partecipativa (logica del sentire) Saperi del soggetto (ingresso/uscita) problema analisi ipotesi verifica valutazione sensibilizzazione coinvolgimento affezione soddisfazione presa a carico saperi pregressi saperi pregressi —> saperi disciplinari saperi disciplinari + saperi pregressi nuovi saperi disciplinari del soggetto saperi integrati del soggetto 32 vole flessibilità e adattabilità della sua architettura tecnologica, che può essere curvata verso molteplici soluzioni metodologiche di formazione in rete: può essere tarata su modelli di semplice e pura acquisizione di contenuti uniformi, non aggiungendo nulla di nuovo alle tradizionali teorie della formazione generatrici di didattica separata, trasmissiva e selettiva; ma può anche essere adattata a modelli di didattica partecipativa, in cui la comunicazione dei saperi dei soggetti in apprendimento e dei saperi disciplinari e - diciamo più opportunamente - dei saperi interdisciplinari è basata sul medesimo metodo di indagine. Non va dimenticato, infatti, che le TIC impiegate nella formazione non sono un fine a sé stante, autoreferenziale secondo la ben consolidata tradizione della razionalità asettica occidentale, ma sono soltanto una strumentazione, quanto si voglia complessa nella sua dimensione di sistema tecnologico da allestire e gestire: come tale vanno concepite e trattate perché restino una macchina al servizio dello sviluppo umano, e non viceversa. Passando brevemente in rassegna le componenti del sistema della formazione on line, riportate all’inizio, se ne indicano qui di seguito, anche se necessariamente in forma schematica, “le curvature” nella direzione della ricerca partecipativa come metodologia di liberazione dell’intero potenziale cognitivo umano. Il livello tecnologico delle soluzioni e servizi basati sulle TIC La prima condizione dell’utilizzo della RP, come di ogni altra didattica interattiva, è l’impiego di soluzioni tecnologiche in grado di sostenere e facilitare al massimo non solo l’erogazione (1) e la gestione (2) dei contenuti prodotti precedentemente, ma anche la loro rimodulazione nello svolgimento del Corso sulla base dei feedback che, nell’esplorazione partecipativa del problema, vanno dai contenuti espressi dai saperi pregressi del soggetto ai contenuti disciplinari, e viceversa. In tale direzione va intesa e assicurata anche la gestione delle attività (3) da parte della piattaforma. Anche nei servizi tecnologici, le modalità di erogazione e di fruizione (I), di identificazione e di verifica (II) e di tutoraggio (III) si arricchiscono di una qualità pedagogica specifica: salve restando tutte le funzioni dei servizi prima descritte, il valore aggiunto è dato dall’utilizzazione dei saperi dei soggetti come parte integrante della costruzione delle nuove conoscenze. Il supporto all’apprendimento dello studente, il monitoraggio didattico, le verifiche formative e, più in generale, il tutoraggio didattico per citare alcune delle modalità più importanti sono guidati dalla prospettiva dell’incremento dei saperi del soggetto in apprendimento: dal loro versante, i servizi tecnologici devono essere strutturati in modo da rendere visibile e sostenere questa prospettiva. Il livello didattico dei metodi e tecniche di insegnamento e di apprendimento a distanza Questo livello del sistema risente maggiormente dell’apporto della RP il cui indirizzo, orientando in maniera ben precisa il metodo didattico, incide direttamente sulla sua traduzione tecnologica. • La facilità tecnologica dell’interattività è condizione indispensabile 33 per veicolare l’informazione, la comunicazione e la gestione dei diversi saperi che vengono elaborati ed espressi tra studente-tutor-docente nel corso della didattica partecipativa centrata sulla risoluzione di problemi posti dal soggetto. • Il PC e la rete diventano fattori enormemente facilitatori del percorso personale di apprendimento dello studente, che si avvale dei loro dispositivi ed interfacce per lavorare sui propri saperi e su quelli disciplinari seguendo i suoi ritmi di apprendimento e utilizzando al meglio tutti i supporti remoti di insegnamento e di accompagnamento. • Questa ultima possibilità evidenzia come l’informazione e la comunicazione a distanza, essendo garantite sul versante tecnologico e didattico, utilizzate secondo la metodologie della RP possono consentire un buono smontaggio dei saperi dello studente sul quale docente e tutor possono con più facilità inserirsi con i saperi ulteriori e, viceversa, i nuovi saperi disciplinari possono essere maggiormente integrati dallo studente stesso nei propri. Grazie a questa comunicazione a distanza, anche gli incontri in presenza poi possono essere più facilitati, dal momento che dispongono già di conoscenze reciproche sui medesimi contenuti. • Nel trattamento dei contenuti didattici, la RP introduce una sua precisa modalità di lavoro: nel condividere la codificazione e l’interoperabilità dei contenuti, alle quali indubbiamente le TIC offrono un’occasione preziosa che può costituire un indubbio miglioramento didattico rispetto alla stessa formazione in presenza, considera il lavoro sui saperi del soggetto alimentati dai domini del pensare e del sentire come il fine e il mezzo dell’apprendimento significativo. Pertanto, la standardizzazione dei contenuti non deve avvenire a monte in maniera completamente avulsa dal sistema cognitivo di chi apprende, con il rischio di riproporre nuove distanze - questa volta ancora più radicali trattandosi di connessione remota -, nuove selezioni e nuovi allontanamenti dalla formazione perché le forme ed i contenuti dei saperi proposti sono sentiti estranei e meno accessibili; oppure, acquisiti secondo l’abitudine intellettualizzante di pratiche di istruzione governate dal solo dominio razionale, i contenuti standardizzati ripropongono schemi mentali e approcci al reale che si allontanano dalla complessità del reale, segmentato e chiuso in scatole tecnologiche dalla geometria tanto ordinata quanto incapace di cogliere i segni del disordine creativo. Di standardizzazione aperta, flessibile e progressiva si tratta invece, perché dialoghi con la mente in formazione su contenuti che, per quanto oggettivati dal lavoro scientifico, non possono essere trattati alla stregua di una conferenza tra esperti, ma come materiali di conoscenza da fare scoprire ed esplorare con la passione di un mondo che poi ci appartiene e con il quale imparare a stare bene insieme. La codificazione, da questa angolatura, segue il percorso proprio dell’indagine e della partecipazione: dal problema sensibile all’assunzione della sua soluzione. L’interoperabilità, quindi, va portata al massimo grado: va fortemente personalizzata in modo da garantire un buon lavoro di interfaccia tra i saperi degli attori che entrano in gioco nella didattica. La 34 tecnologia consente questo alto grado di comunicazione tra i saperi da mettere in circolo nella formazione a distanza ed in questa direzione va impiegata. L’interoperabilità, se da un versante porta alla codificazione dei contenuti, dall’altra è chiamata a non trascurare, ma a mettere in campo ed a gestire non solo il versante razionale dei saperi, ma anche quello emozionale: è un aspetto da mettere in agenda nel trattamento dei contenuti sia nelle fasi iniziali di progettazione sia in quelle successive di gestione, sia in quelle finali di formalizzazione e valutazione degli apprendimenti. • Il monitoraggio dell’apprendimento attraverso la rete, al di là del tracciamento quantitativo dei contatti dello studente, diventa strumento fondamentale per osservare durante il percorso didattico dove e perché la comunicazione dei saperi studente-docente-tutor consente o meno la costruzione di saperi personalizzati e come superare disturbi e realizzare facilitazioni di integrazione dei saperi, a qualunque parte del sistema si riferiscano: studente, risorse umane, tecnologia. In definitiva, tra RP e sistema della formazione in rete si viene a stabilire un circolo virtuoso di influenze reciproche: l’approccio metodologico della RP esalta le possibilità delle TIC di realizzare forme indagative e partecipative; queste, a loro volta, rinforzano e adattano quell’approccio al sistema tecnologico, generando un ulteriore soluzione di RP, che diventa a tutti gli effetti la nuova ricerca partecipativa in rete. Questo non facile incontro tra sistema della conoscenza integrata e della RP e sistema delle TIC applicata alla formazione è reso possibile dalla reciproca adozione di criteri operazionali compatibili tra i due sistemi e trasferibili dall’uno all’altro, come si può facilmente rilevare dalla seguente tabella di congruenza (tabella 2). Il livello di fattibilità delle risorse umane, tecnologiche ed economiche I costi del sistema della formazione on line non hanno una valenza soltanto quantitativa, ma anche qualitativa: la produttività delle risorse a vario titolo impiegate non sta nella loro capacità soltanto di far funzionare il sistema, ma di farlo funzionare in rapporto agli obiettivi dell’insegnamento e dell’apprendimento assunti. In altri termini, un sistema di formazione a distanza può raggiungere risultati positivi con un costo troppo alto e, dunque, economicamente insostenibile; può anche ottenere risultati non adeguati in termini di successi formativi TABELLA 2. RP TIC Le diverse forme espressive dei saperi Le diverse forme di interazione dei prodotti del conoscere Le diverse forme di comunicazione intersoggettiva Le diverse forme di relazione tra conoscenze personali e contenuti didattici Le diverse forme di utilizzazione dei saperi Multimedialità Interattività con i materiali didattici Interattività umana Adattività dei percorsi didattici Interoperabilità dei sottosistemi 35 realizzati in rapporto ai costi assunti; inoltre, può anche avere risultati insufficienti con costi inadeguati. Sono esempi diversi del medesimo problema di economia della formazione: considerato che qualunque sistema di formazione ha un costo e che quello in rete ha un costo più elevato, almeno nelle fasi di impianto e di avviamento, diventa allora cruciale l’opzione strategica degli investimenti, siano riferiti al capitale umano o alle tecnologie o al budget. È un’opzione fondamentale nelle attuali strategie di riforma per la realizzazione di un’architettura europea della formazione superiore che sia competitiva nella “Società planetaria della conoscenza”: a questo scopo la formazione universitaria, come del resto ogni altro tipo di formazione, deve essere centrata sul successo formativo dei suoi studenti, che vuol dire finalizzare l’insegnamento e tutte le altre parti del sistema ad un apprendimento di qualità. In caso contrario, il rapporto costo-benefici rimane comunque di segno negativo. L’adozione di metodologie didattiche funzionali al successo formativo ed integrate nel sistema tecnologico diventa dunque una priorità strategica: la ricerca partecipativa, come si è discusso fin qui, non soltanto risponde a tale requisito, ma per di più lo indirizza alla costruzione di saperi integrati, secondo una teoria della formazione tesa alla piena espansione del potenziale cognitivo, di cui la società della conoscenza ha oggi sempre più bisogno per la convivenza pacifica ed equa della specie umana in un mondo sostenibile. La dimensione della fattibilità investe quindi la qualità e l’innovazione delle tecnologie e delle metodologie impiegate, degli spazi, dei servizi e del personale: costi maggiori per assolvere a tali condizioni sono sicuramente più economici paragonati a costi minori per raggiungere gli stessi obiettivi. In quest’ultimo caso, non soltanto non sono garantiti pari risultati, ma per raggiungerli bisogna poi spendere molto di più in manutenzione e in riparazioni per ovviare alle carenze del sistema. Nella logica di garantire la fattibilità di qualità diventa ancora più importante l’investimento economico sulle competenze del personale che presiede al funzionamento del sistema. Particolare attenzione va data alle professionalità direttamente coinvolte nella didattica on line, come il Telemanager didattico o Gestore dei servizi tecnologici della didattica, il Teletutor o Tutor della gestione didattica dello studente “remoto”, ma anche il Teledocente per le indispensabili competenze richiestegli sui processi di apprendimento e di conoscenza, che dovrebbero essere presenti comunque in qualunque funzione docente. La ricerca partecipativa, al riguardo, costituisce un modello di riferimento per la formazione in servizio di tali figure professionali. Il livello della normazione del funzionamento del sistema Vale anche per questa variabile quanto si è appena finito di discutere: la ratio della necessità di una regolamentazione del sistema della formazione in rete non è finalizzata soltanto a garantire al sistema di essere stabile e funzionale nelle sue diverse componenti, ma ad esserlo in maniera qualitativamente efficace. In questa prospettiva i regolamenti di Ateneo e di Corso di studio introducono nuove norme, come la Carta dei servizi, il Contratto dello studente, la Commissione di certi36 ficazione dei servizi e dei prodotti ed ogni altra misura atta a dare le dovute garanzie allo studente “remoto” ed al sistema di formazione in rete. Ma queste nuove norme, oltre a permettere il buon funzionamento del sistema, devono assumere al loro interno la legittimazione ed il sostegno della qualità dell’apprendimento e dell’insegnamento: questa assunzione avviene se i requisiti di qualità del sistema, necessari ai vari livelli discussi fino ad ora, vengono incorporati nei vari documenti che ne disciplinano l’operatività. Tra una regolamentazione troppo tarata su linee generali ed una troppo articolata nei particolari, vi è una via di mezzo che recepisce gli indicatori di qualità delle varie parti del sistema e li traduce in criteri operazionali vincolanti. È una condizione indispensabile per l’adozione della ricerca partecipativa in rete, come, del resto, di ogni altra metodologia centrata sul guadagno formativo di qualità. Il livello gestionale dell’architettura di sistema L’impianto della gestione dell’intero sistema evidentemente discende da tutte le variabili fin qui discusse. Al pari di esse, da una parte deve garantire il funzionamento del sistema della formazione in rete e, dall’altra, deve accompagnarne e migliorarne i processi di qualità. Le forme di organizzazione e di management, pertanto, dall’amministrazione centrale alla conduzione del Corso di studio dovranno dare spazio alle figure professionali prima descritte ed alle relative competenze: il rischio è che il sistema di gestione, non tenendo presente l’atipicità della formazione on line e delle condizioni operazionali vincolanti, sia ricondotto a forme tradizionali della didattica universitaria, frontale e separata. Al contrario, competenze di management didattico, dal livello di ateneo a quello di Corso di laurea, sono indispensabili, come l’esperienza del Progetto CampusOne delle Università italiane ha abbondantemente dimostrato negli ultimi tre anni: esse vanno orientate verso modelli non solo di efficacia e di efficienza, ma anche di innovazione didattica, condividendo e facilitando la gestione di approcci di qualità, come quello della ricerca partecipativa. In questa direzione va realizzato il Piano esecutivo di Ateneo, comprensivo del Progetto didattico del Corso di studio: sarà la riprova che è possibile coniugare qualità dell’architettura del sistema della formazione universitaria in rete in funzione della qualità delle conoscenze e delle competenze degli studenti. In tal caso, riprendendo le riflessioni iniziali, la macchina viene messa al servizio del capitale umano: un principio troppo facilmente dichiarato, ma non ugualmente sostenuto e realizzato nella pratica. 37 Guido Martinotti e Antonina Melis Sviluppo urbano e domanda di istruzione. E-learning, propinquità e mobilità Sommario Lʼeconomia italiana non è diversa da quella di altri paesi industriali per tasso di industrializzazione. I dati culturali situano lʼItalia in una posizione di coda su tutto lo spettro degli indicatori legati alla scuola e allʼistruzione superiore. Per analizzare la relazione tra sviluppo economico e istruzione abbiamo innanzitutto ricostruito un data base dal dopoguerra ad oggi a livello comunale. Successivamente abbiamo applicato una modellistica di Johan Galtung che esamina le relazioni tra crescita economica o sviluppo e crescita dellʼistruzione. Non è sicuro infatti che allʼaumento del livello di istruzione corrisponda un aumento dellʼeguaglianza, come si assume acriticamente nel discorso pubblico. IL PROBLEMA Due insiemi di fattori o sindromi caratterizzano la società italiana in modo fortemente eccentrico rispetto a società comparabili. Da un lato, l’economia italiana non è diversa da quella di altri paesi industriali per tasso di industrializzazione, che è più o meno quello della media dei paesi OCSE. Quello che è stato chiamato il “paradosso strutturale” riguarda, invece, la composizione dell’economia industriale di questo paese che in primo luogo è basata su produzioni a bassa intensità di capitale e a basso contenuto tecnologico. Per esempio, il settore tessile e abbigliamento è molto superiore alla media, quello dell’industria meccanica inferiore, con una quota (crescente) del settore tessile nelle esportazioni, da tre a cinque volte superiore di quella che si registra in paesi comparabili. La dimensione delle imprese è il secondo aspetto: quasi un quarto della occupazione manifatturiera è concentrata in imprese con meno di dieci addetti e due terzi in imprese con meno di cento, quota da due a tre volte superiore che in paesi come Germania, UK, USA: un’economia simile a quella del Terzo Mondo in un paese altamente industrializzato. Non vi sono ragioni strettamente economiche perché ciò sia così e si è fatto ricorso a spiegazioni antropologiche, quali il “familismo amorale” di Banfield [1976]. Questo tipo di economia riesce a fiorire e a essere competitiva perché si sviluppa in “distretti industriali” dove giocano fattori di contesto che si basano su un concetto di competizione cooperativa. Tuttavia, le ricerche e le teorizzazioni su queste entità non hanno fornito spiegazioni pienamente convincenti, nonostante esse siano state meta di pellegrinaggio e oggetto di interesse da parte dei migliori studiosi dell’economia mondiale. L’economia italiana rimane un puzzle, ma anche un problema, per i timori sulle prospettive di un sistema di questo genere. 39 Guido Martinotti Università degli Studi di Milano - Bicocca [email protected] Antonina Melis Università degli Studi di Cagliari [email protected] D’altro lato, il sistema italiano è eccentrico rispetto ai sistemi con sviluppo comparabile e in effetti rispetto all’insieme dei paesi europei, e in molti casi anche rispetto ai paesi OCSE, per ciò che riguarda i dati culturali, che situano l’Italia in una posizione di coda, su tutto lo spettro degli indicatori legati alla scuola, all’istruzione superiore, alla ricerca, alla lettura di giornali e libri e così via. Esiste una relazione, e di che natura, tra questi due ordini di fenomeni? È possibile che la particolare composizione del sistema economico ponga dei vincoli al sistema formativo e della ricerca? Che prospettive e che policies si possono immaginare in un quadro di questo genere? IL DISEGNO DELLA RICERCA Per verificare le relazioni, abbiamo costruito un data base a livello comunale con i dati dei censimenti generali della popolazione e della industria. In particolare sono stati utilizzati i seguenti censimenti: • Censimento dell’industria e dei servizi: 2000 (8°), 1990 (7°), 1980 (6°), 1970 (5°), 1960 (4°), 1950 (3°); • 14° Censimento della popolazione e delle abitazioni 2001 (14°), 1991 (13°), 1981 (12°), 1971 (11°), 1961 (10°), 1951 (9°). I dati dei censimenti dal 1960 in poi sono stati presi dall’Archivio DATALOC del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi Milano-Bicocca e dalla banca dati “METRONON METRO” curata da Antonina Melis presso l’Università degli Studi di Cagliari. I dati del censimento 1951 hanno invece dovuto essere ricodificati ex novo dai documenti cartacei originari. Il data base ha poi dovuto essere rielaborato per creare diverse aggregazioni territoriali. ISTRUZIONE: CRESCITA E DISUGUAGLIANZA Mentre è nota ed è data per scontata la relazione tra sviluppo economico e aumento della quantità di capitale umano, assai meno indagato è l’effetto dello sviluppo economico sulla disparità educativa, come proxy della disuguaglianza sociale. Per analizzare la relazione tra sviluppo economico e istruzione abbiamo innanzitutto ricostruito l’andamento dei livelli di istruzione dal dopoguerra ad oggi a livello comunale e aggregato i comuni sia per aree metropolitane che per distretti industriali. Successivamente, abbiamo cercato di applicare una modellistica di Johan Galtung che esamina le relazioni tra crescita economica o sviluppo, aumento del “livello” di istruzione e andamento della disparità educativa. Non è sicuro, infatti, che all’aumento del livello di istruzione corrisponda un aumento dell’eguaglianza, come si assume acriticamente nel discorso pubblico. Varie situazioni finali possono darsi. Lo sviluppo economico in generale aumenta la quantità di capitale umano, che può essere misurata con la mediana (P50) di una scala di istruzione che utilizza le classi di scolarità dei censimenti. Seguendo i suggerimenti di Galtung, che ha esaminato questa relazione nelle nazioni, abbiamo utilizzato tre misure di disuguaglianza calcolate sulla base delle posizioni percentili, e cioè livello di istruzione bassa, livello di istruzione media e livello di istruzione alta. Il problema di misurare 40 la “crescita educativa” si riduce al problema di trovare una misura di tendenza centrale, mentre il problema della disparità educativa si riduce a trovare una misura della dispersione. Sono stati usati come misura di crescita educativa i percentili mediani e come misura di disparità educativa la differenza percentile fra P75 e P25. CARATTERISTICHE DEL MODELLO PER L’ANALISI DEI DATI Il modello di analisi applicato da Galtung nella ricerca condotta sulle Nazioni facenti parte dell’UNESCO nel 1971 sottende un puntuale ragionamento teorico volto alla chiarificazione di concetti che Galtung pone a fondamento della sua teoria sulla relazione tra crescita economica e disparità educativa. Queste chiarificazioni, deducibili da diversi paper di Galtung che risalgono agli anni ‘70, sono necessarie per eliminare le ambiguità nell’uso che di questi concetti viene fatto nel linguaggio comune, ma che spesso si ripercuote negli studi che vengono fatti sul sistema scolastico. Galtung ai fini dell’analisi raggruppa questi concetti in due insiemi. Il primo insieme comprende i concetti di imparare, istruire, educare (o anche apprendimento, istruzione, insegnamento); il secondo insieme comprende i concetti di uguali/diseguali opportunità, giustizia/ingiustizia sociale e uguaglianza/disuguaglianza. I concetti del primo insieme vengono fusi nel concetto di educazione e quelli del secondo insieme nel concetto di disuguaglianza/uguaglianza. Anche le parole istruzione e insegnamento vengono usate, dice Galtung, col significato di numero di anni e tipi di scuola completati con successo. Galtung sottolinea che occorre considerare apprendimento come una nuova modificazione dell’attitudine e/o del comportamento nel significato più ampio possibile; educazione come una relazione sociale rivolta a produrre apprendimento e insegnamento come processo istituzionalizzato, finalizzato a produrre educazione, ma anche posizione sociale nella forma di istruzione alta. L’educazione può realizzarsi attraverso una relazione tra persone e anche in una relazione dell’individuo con se stesso, nel significato di auto-apprendimento. Nella relazione tra due o più, essa può essere orizzontale (cioè imparare insieme) o verticale (relazione insegnante-alunno, professore-studente). Il concetto unificatore dei concetti imparare, istruire, educare, da mettere in relazione con il concetto uguaglianza/disuguaglianza di opportunità, Galtung lo individua nel concetto di insegnamento. Infatti parlare di uguaglianza di apprendimento è senza senso, mentre è molto più reale parlare di uguaglianza di insegnamento. Infatti, mentre è facile immaginare una società dove tutti hanno la stessa quantità di insegnamento, una società dove tutti hanno la stessa quantità di apprendimento o di istruzione è persino disgustoso immaginarla, e sarebbe una sfida all’immaginazione [Galtung, Beck e Jaastad 1973; Galtung e Wiese, 1974], perché non soltanto l’ambiente dovrebbe essere uguale, ma anche la formazione genetica. Galtung si chiede se l’eguaglianza educativa è una meta da raggiungere; l’ideologia di giustizia educativa è quella che prevale, per essa non dovrebbe esserci discriminazione in base a variabili esterne quali clas41 se, sesso, nazione, razza, età, però potrebbe esserci discriminazione per caratteristiche interne, riferite all’“abilità”, all’intelligenza, a ciò che Galtung definisce “abilità di manipolazione simbolica”: abilità molto alta nei matematici, nei compositori sinfonici e in tutti coloro che maneggiano sistemi astratti, complessi, aventi regole di funzionamento complesso. Ogni società che vuole svilupparsi deve non solo scoprire i più capaci, ma anche dar loro più istruzione di quanta ne dia agli altri [Galtung, Beck e Jaastad, 1973]. Teoria di abilità e ideologie educative Galtung specifica un numero di ideologie di istruzione, ma per chiarire il suo punto di vista considera quelle agli estremi: 1) da un lato, ci sarebbe la tesi che l’abilità in generale e l’intelligenza in particolare è basata sull’eredità essa, è costante nel tempo in un individuo, ma differente fra gli individui (posizione di Binet-Simon); 2) dall’altro, la tesi che l’abilità in generale e l’intelligenza in particolare è in stretta connessione con l’ambiente, cambia nel tempo per un dato individuo e quasi in maniera eguale per tutti gli individui o per la maggior parte di essi. Se queste due ideologie vengono considerate agli estremi di una scala, fra di loro ne sussistono delle altre. Galtung ne considera tre: a) eredità/ambiente b) costante/cambiamento c) differente/uguale. Vi è l’idea che l’abilità sia essenzialmente ereditata come potenzialità, pur considerando che il potenziale sia lo stesso in ogni individuo, e il grado di abilità manifesta può evidenziare variazioni nel tempo. Vi è l’idea che l’abilità possa essere formata dall’ambiente. Vi è però anche l’idea che benché l’abilità sia basata sull’ambiente; l’“ambiente” è un tale tessuto di fattori da non poter essere fatto abbastanza simile per gli individui, in modo che essi risultino sufficientemente simili in abilità [Galtung, Beck e Jaastad, 1973]. L’aspetto problematico della questione è l’individuazione del punto di vista corretto. Tre ordini sociali, molto grossolanamente distinti, sono quello “conservatore”, quello “liberale”, quello “comunale o comunitario”, tre ordini che rimandano a tre tipi di società: conservatrice (verticale), con posizione sociale basata sulla nascita (tale padre tale figlio); “liberale” (verticale), con posizione sociale basata su un certo grado di acquisizione; “comunale” (più orizzontale che verticale), più egualitaria. L’ideologia culturale si sviluppa in modo da adattarsi all’ideologia sociale in generale. In una società conservatrice il punto di partenza nella vita di ognuno è largamente determinato dalla nascita. L’ipotesi dovrebbe essere che genitori di alta posizione sociale siano anche di alta abilità. Una società liberale è basata su maggiore mobilità su posizioni di status acquisite, ma è anche verticale. L’assunzione basilare è che gli individui differiscono in abilità, questa assunzione deve essere mantenuta come razionale, dietro ad una verticalità sociale, per cui si dovrebbe investire più istruzione in alcuni individui piuttosto che in altri (e dar 42 loro più status, più reddito, più potere). L’ideologia sociale richiede, però, che la correlazione fra le generazioni venga abbassata. L’idea che l’eredità ponga un tetto per le potenzialità è utile e specialmente quando è in contrasto con il potenziale di volontà differente negli individui per sviluppare le loro potenzialità. L’idea di ambiente come un determinante basilare nella prima fanciullezza è pericolosa, per ciò che accadrebbe se si procedesse nel rendere uguale l’ambiente (incluso il prenatale) con mezzi di un certo tipo di ingegneria ambientale (presumendo che ciò sia più facile dell’ingegneria genetica). L’idea di una società comunale è, più o meno, questa: vogliamo che la gente sia eguale, non solo in ciò che ha (il lato consumistico), ma in ciò che fa (il lato produttivo), accettando l’ideologia educativa che li oppone come eguali a ciò che sono (in termini di abilità). L’ideologia culturale dovrebbe essere ambientale, ma orientata verso un cambiamento e fondamentalmente orientata in modo similare. Ne consegue che ciascuna forma sociale tende a generare la sua propria “verità” e la scelta fra queste “verità” non può essere sulla base dell’ideologia sociale. È opportuno distinguere tra uguale opportunità, cioè uguale accesso all’istituzione della scuola; giustizia sociale, cioè il grado di istruzione di una persona indipendente dall’identità della persona stessa (per esempio come il caso di molti maschi e femmine con un dottorato di ricerca; in generale i rapporti nella popolazione si riflettono nei rapporti tra vari livelli di insegnamento); e uguaglianza, cioè uguale grado di istruzione. L’uguaglianza implica giustizia sociale, poiché se tutti hanno lo stesso livello di istruzione non può esistere nessuna differenza tra gruppi sociali. Ma non è vero il contrario: può esserci giustizia sociale e tuttavia maggiore differenza tra livello alto e basso in termini di istruzione. Nel pensiero di Galtung riscontriamo che un’uguale opportunità non è garanzia di uguaglianza (anche la partenza in condizione di uguaglianza non garantisce l’arrivo contemporaneo [Galtung e Wiese, 1974]). Poiché il rapporto tra questi concetti non è chiaro, questi concetti devono essere tenuti separati per individuare i tipi di strategia di uguaglianza, all’interno dei tre campi presi ora in esame. Strategie di uguali opportunità, di giustizia sociale, di uguaglianza sociale Galtung individua strategie di uguaglianza all’interno di ciascuno dei tre campi e successivamente anche le loro possibili interrelazioni. Per quanto riguarda la strategia per un aumento delle uguali opportunità, Galtung sostiene che l’uguale opportunità è una questione d’accesso, scopo che può essere raggiunto stabilendo dei rapporti tra le scuole e i loro potenziali studenti, cioè collegare le scuole agli studenti o gli studenti alla scuola (o entrambi). Nello spazio geografico, la prima è una questione di concentrazione di scuole, così densa perché l’accesso a queste ultime sia consentito a tutti, l’ultima è una questione di mobilità geografica sussidiaria, che consiste nel trasportare gli studenti nelle scuole centrali, anche quelli provenienti da quartieri residenziali. 43 Ovviamente, la prima, secondo Galtung, è più compatibile con uno status quo nella distribuzione dell’habitat; l’ultima inevitabilmente avrà effetti di spopolamento dei distretti periferici e per questa ragione questo mezzo è spesso usato come strumento non di uguale opportunità, ma per determinare questi effetti. La strategia opposta sarebbe quella di basare l’istruzione su reti già esistenti che sono sufficientemente dense, per esempio, applicando in maniera più forte l’intera idea di istruzione al mondo del lavoro. Gli alunni/studenti vivono dove o loro stessi o le loro famiglie lavorano, l’istruzione in senso formale e informale li coinvolge, e potrebbe coinvolgerli nella forma di insegnanti mobili, cioè studenti ad un livello più alto di istruzione che aiutano altre persone con livelli più bassi, costituendo associazioni di “alfabetizzazione” o con insegnamento a distanza, tramite radio o televisione, potremmo aggiungere utilizzando l’opportunità di Internet. La moderna tecnologia (inclusa la tecnologia dell’insegnamento) oggi tende ad essere fondamentale ed intensivamente presente nelle città dei contesti metropolitani, in misura sia pure minore, è presente nei contesti delle aree urbane e delle aree urbane minori. L’apprendimento in rete di cui oggi disponiamo è più efficace dell’“insegnante mobile” di cui parla Galtung, con la possibilità di offerta di istruzione per l’allievo sia in situazioni di apprendimento formale che informale e in situazione di apprendimento più ricca per l’allievo anche in situazione di uguale opportunità in termini geografici. Lo spazio geografico è di solito in correlazione con lo spazio sociale. Un programma finalizzato a raggiungere un’uguale opportunità nello spazio geografico, può non essere valido nello spazio sociale: da ciascun punto dello spazio geografico si possono ricavare gli stessi tipi di esseri umani (giovani, in maggioranza maschi, ecc.) e presentare un’immagine illusoria di uguaglianza, perché i fattori che variano geograficamente sono stati eguagliati, almeno a livello d’accesso. Nel pensiero di Galtung abbiamo riscontrato un’interessante affermazione: “Quando un’intera famiglia potrà sedere insieme a scuola e partecipare all’istruzione, questo sarà un importante passo in avanti nella direzione dell’uguale opportunità”. Infatti, non è solo una questione di una densa rete o di buoni mezzi di trasporto e di comunicazione, ma è una questione di penetrazione di istruzione in ogni categoria dello spazio sociale. Poiché queste politiche sono normalmente applicate partendo da una categoria (maschi, di età media, con istruzione universitaria), altre categorie possono essere solo visibili in maniera imperfetta e non facilmente definibili. Di conseguenza, è difficile credere che questo tipo di cambiamento avvenga senza conflitti. Inoltre, ci si dovrebbe ricordare che le scuole sono normalmente amministrate da un ministero, che è parte della macchina governativa dello stato, potente organizzazione in ogni paese. Lo spazio geografico dello stato è, normalmente, per Galtung, il modo dominante dell’amministrazione, di conseguenza un’uguale opportunità nello spazio geografico sarà più facilmente amministrata della corrispondente uguaglianza nello spazio sociale, perché gli ammini44 stratori di tutte le unità territoriali possono avere gli stessi pregiudizi, per esempio, pregiudizi contro le persone anziane, senza dubbio spinti dalla tendenza a considerare l’istruzione un investimento nelle “risorse umane”. La strategia per la crescita della giustizia sociale è il problema di come tutti i gruppi nella società possano beneficiare in modo uguale delle risorse educative della società, è perciò una questione di uguale accesso, prima di tutto, all’insegnamento. Come per l’uguale opportunità è richiesta un’azione politica e, come per tutte le azioni politiche, questo diventa una questione di formazione cosciente, di mobilitazione e organizzazione, di confronto e lotta reale. Il prezzo per un uguale accesso è quello di sottoporsi all’istruzione e poi, se il risultato raggiunto è ineguale, essere soggetti al giudizio finale del tipo “ti ho dato l’opportunità, ma non ne hai colto i frutti”. In realtà l’opportunità data era quella di giocare secondo le regole imposte da altri, sotto il pretesto di universalità. Non è troppo azzardato affermare, dice Galtung, che la strategia è usata per co-optare e integrare. Un’opposta strategia potrebbe essere quella di insistere su un concetto pluralistico di istruzione, delineando differenti tipi di scuole per differenti gruppi, costruendo una società in modo tale che tutti i differenti tipi siano quasi egualmente validi. Ciò può essere raggiunto in una società pluralistica: un esempio ovvio può essere quello di un paese pluralistico dal punto di vista linguistico. Ci si potrebbe aspettare che i nomadi, ad esempio, abbiano bisogno di differenti tipi di istruzione da quelli richiesti da persone più sedentarie. Il problema circa questo approccio è noto: persino nella società più pluralistica alcuni gruppi sono più eguali di altri, quindi tendono ad esserci suddivisioni centro-periferiche, la periferia tende a gravitare sul centro e ad essere suddivisa all’interno, in due o più parti, come se si istruissero per una vita migliore all’interno della loro personale matrice socio-culturale o a prepararsi per una vita “centrale”, includendo la totale socializzazione nell’idioma centrale. Una risposta strategica, secondo Galtung, potrebbe consistere nel fatto che non c’è bisogno di alcun punto di equilibrio, che le contraddizioni sono di un tale tipo da non permettere nessuna soluzione stabile. Un altro approccio che secondo Galtung potrebbe essere tentato, potrebbe essere quello di richiedere al gruppo potente di apprendere l’idioma di coloro che non hanno potere o che hanno meno potere, così da rendere entrambi i gruppi comunicanti attraverso i due idiomi, per esempio due dialetti; questa strategia è per noi utopica se non ci sono elementi costrittivi per simili comportamenti. Una teoria di struttura economica Una struttura può essere definita come un insieme di elementi con un insieme di relazioni. Se si considerano solo gli elementi si può parlare di un “sistema”, le relazioni si definiscono per gli elementi. Nelle scienze sociali gli elementi sono di solito gli attori, e le relazioni che più interessano sono le relazioni dell’interazione. È in virtù delle relazioni che la realtà sociale si sviluppa e progredisce. Nel territorio i bacini di interscambio e di moltiplicazione delle conoscenze sono in pri45 mo luogo le aree metropolitane, per la pluralità delle funzioni. Anche i distretti dovrebbero avere questa stessa funzione. Già dagli anni ’70 Galtung riconosceva la necessità di una rete di relazioni tra gli individui che consenta di stabilire relazioni moltiplicative delle conoscenze sia per il sistema educativo che per il sistema economico [Galtung, Beck e Jaastad, 1973]. Oggi questa necessità è ancora maggiore. L’idea di crescita economica era, convenzionalmente, legata all’idea di lavorazione, cioè dare un qualche tipo di forma culturale a ciò che abbiamo per natura [Galtung e Wiese, 1974], e grado di lavorazione e grado di commercializzazione sono stati, infatti, sempre considerati due importanti indicatori di crescita economica: più alto il livello di “lavorazione”, più alta sarà la crescita economica. I lavori di Galtung confermano che la crescita economica non ha mai generato uguaglianza economica, anzi, la crescita economica è stata accompagnata sempre da una disuguaglianza economica, sia tra le nazioni sia tra le aree territoriali all’interno delle stesse nazioni [Galtung e Wiese, 1974] e si è constatato che crescita economica implica maggiore disuguaglianza economica e un rimedio, suggerito per lungo tempo, è stata la “crescita educativa”. Idea sorretta dalla convinzione che il processo produttivo in sé non potrà generare uguaglianza economica, perché per incrementare la produzione sarà necessario che ci sia qualcuno capace di svolgere compiti più difficili rispetto a qualcun altro. Con la “crescita educativa” le persone avranno raggiunto livelli di istruzione alti, conseguentemente saranno in grado di svolgere i compiti meglio remunerati che il processo produttivo potrà loro offrire. La crescita educativa non implica però uguaglianza educativa, per la stretta correlazione tra sistema economico e sistema educativo. Infatti, anche nell’analisi fatta da Galtung sulle nazioni appartenenti all’UNESCO nel 1971, la corrispondenza tra settori di attività e livelli dell’istruzione è confermata. Galtung sottolinea una differenza nei prodotti: nella produzione economica le merci sono semi-lavorate, l’output agli stadi inferiori, molto spesso, non ha valore, a meno che possano servire come input per stadi più elevati, mentre nella produzione educativa ogni istituzione ha una doppia funzione, da un lato offre il suo output come input per l’istituzione successiva, dall’altro produce anche un prodotto finito [Galtung, Beck e Jaastad, 1973; Galtung e Wiese, 1974]. Mettendo in parallelo i due processi, educativo ed economico, si vede come siano sintonizzati tra di loro. L’istruzione primaria produce persone che possano lavorare nel settore primario dell’attività economica o in settori economici a livelli in cui è sufficiente una bassa scolarizzazione; l’istruzione secondaria produce persone per il settore secondario e così via. Se la crescita economica viene vista in termini di lavorazione e la lavorazione è effettuata tramite la divisione del lavoro, che comprende lavoro generico, lavoro specializzato, scienziati e altri “professionisti”, allora il sistema educativo deve fornire persone grosso modo nelle proporzioni richieste da questa divisione del lavoro. Abbiamo appena detto che la crescita economica genera inevitabilmente disuguaglianza e uno dei rimedi suggeriti, per lungo tempo, è stata la “crescita educati46 va”, idea sorretta dalla convinzione che il processo produttivo in sé non potrà generare uguaglianza economica. Crescita educativa vista anche come un modo per attenuare le tensioni che nascono a causa della disuguaglianza economica. Un aumento della crescita educativa implica squilibri strutturali, a meno che non si faccia qualcosa nel sistema produttivo, e inoltre, per la corrispondenza tra i due sistemi, la disparità educativa non scomparirà, perché le persone arrivate al livello terzo di istruzione vorranno lavorare nel settore terziario dell’attività economica o nei livelli terziari del settore secondario. Galtung riscontra questa relazione nell’analisi empirica condotta. Se questi settori non si espanderanno, dice Galtung, il risultato sarà una “intellighenzia” disoccupata, o che accetta occupazioni inferiori al suo livello di istruzione, oppure dovranno emigrare da un luogo ad un altro nella propria nazione o emigrare verso altre nazioni, per fare il lavoro in cui ci si è specializzati e dove questo lavoro è disponibile (fenomeno noto come “migrazione dei cervelli”). Un’altra possibilità ancora è quella di entrare nel sistema politico, anziché in quello economico, spesso impegnandosi in attività rivoluzionarie. Conseguenze queste indesiderate, afferma Galtung, sia per coloro che progettano i sistemi economici sia per coloro che progettano i sistemi educativi. È anche vero, sostiene Galtung, che saranno necessari degli sforzi per cambiare il sistema economico, in modo da bilanciarlo meglio con un nuovo sistema educativo. Il suggerimento che dà Galtung è rendere il processo produttivo meno dipendente dal lavoro, e dipendente in maggior misura dai capitali e dalla ricerca, anche se ciò farà emergere il problema di gestione di tutti i lavori che non possono, in conseguenza dei cambiamenti, essere automatizzati, nello specifico, il sistema educativo dovrà cambiare obiettivo. L’obiettivo, dice Galtung, è l’uguaglianza educativa, che trova il suo fondamento nella teoria ambientale, che potrebbe essere chiamata teoria dell’ape regina: l’idea è che qualsiasi ape “comune”, se stimolata in modo adeguato, possa sviluppare capacità straordinarie [Galtung, Beck e Jaastad, 1973; Galtung e Wiese, 1974]. Inoltre, l’idea generale sarebbe che qualsiasi capacità si sviluppa con l’uso, particolarmente se questa capacità è usata insieme agli altri, in un dialogo continuo fatto di parole e azioni. Secondo Galtung, potremmo anche non concordare, il fattore principale di sviluppo della capacità sarebbe il grado di sfida, che costituirebbe uno stimolo per la persona al cambiamento. Uguali nel punto di partenza e differenti in arrivo? Anche i paesi ricchi, afferma Galtung, si pongono come obiettivo l’uguaglianza educativa, perché la disparità educativa è un elemento decisivo nella competizione tra nazioni, di conseguenza questo problema è cruciale nella politica mondiale e anche a livello nazionale per la politica locale, perché la disparità educativa favorirà l’emigrazione all’interno della nazione e all’estero, l’eguaglianza educativa diventa indispensabile, anzi è una necessità. Occorre perciò individuare, nel contesto nazionale, il grado di dispa47 rità educativa, intendendo per disparità educativa semplicemente quanta differenza c’è tra coloro che sono alla sommità e quelli che sono alla base della scala educativa, cioè i livelli di scolarità. L’indice GRIS, un indice da noi costruito per controllare l’indice DISE (indice di disparità educativa, utilizzando i percentili, vedasi la sezione “Generazione dei dati di base”) conferma che crescita e disparità vanno di pari passo (vedi allegati 1-4). La disparità educativa, o disuguaglianza, non è la stessa cosa di ingiustizia educativa, così come disuguaglianza educativa non significa disuguaglianza di opportunità educative, e, come precedentemente abbiamo visto, l’uguaglianza educativa può essere raggiunta proprio attraverso la disuguaglianza di opportunità, per esempio garantendo più insegnamento a chi è svantaggiato. Inoltre l’uguaglianza educativa deve costituire un obiettivo indispensabile, per la perdita di capitale umano che si registra nelle aree più svantaggiate, a vantaggio di aree in cui non solo la presenza di capitale umano è più forte, ma è anche maggiore la presenza di capitale sociale, condizione questa di sviluppo maggiore per queste aree non svantaggiate. RETI DI DOMANDA E DI CONOSCENZA La domanda di istruzione e il capitale umano non si distribuiscono equamente sul territorio italiano. Come appena detto, per osservare la concentrazione di capitale umano, cioè le aree in cui complessivamente si concentra il capitale umano nel nostro paese, abbiamo innanzitutto creato l’indice GRIS ponderando ogni livello di scolarità con un peso e sommando le quantità totali per ogni comune. Il risultato di questo indice è rappresentato in due mappe che raffigurano la situazione nel contesto nazionale italiano in due punti temporali: il 1951 e il 1991 (vedi allegati, per ragioni di spazio possiamo inserire i punti temporali limite del trend). Inoltre, abbiamo creato numerose aggregazioni territoriali partendo dalle delimitazioni amministrative (Comuni, Province, Regioni, Grandi Aree; aree metropolitane; distretti industriali; poli nelle attività produttive di beni e servizi secondo Martini [2003], aree produttive secondo Del Colle [1997]) per poter individuare le reti di domanda di conoscenze, in funzione di diversi parametri definitori che riguardano sia la popolazione che le attività produttive. Abbiamo preso in considerazione le aree metropolitane, perché in esse progressivamente si è concentrata una forte presenza di capitale umano, che si localizza nella città e nell’interland e che troviamo in reti di interscambio. Questo fatto ha aspetti di negatività in quanto produce gravi distorsioni a livello di distribuzione territoriale della popolazione con gravi conseguenze ambientali e sociali. Abbiamo incluso anche le delimitazioni territoriali dei distretti, perché generalmente composti da aziende a forte tradizione artigianale e di dimensioni medio-piccole [Signorini, 2000]. L’azienda del distretto è infatti quasi sempre a gestione familiare, e spesso gli stessi impianti sono fisicamente localizzati nelle vicinanze della residenza dell’“imprenditore capo-famiglia”. Lo sviluppo del distretto è garantito soprattutto grazie ad una fitta rete di rapporti, sia a 48 livello istituzionale che a livello informale. Il nucleo di questa rete di relazioni è costituito dai rapporti personali fra i gestori delle istituzioni locali, pubbliche e private, e delle imprese che si confrontano e coordinano al fine di assicurare l’attuazione delle politiche produttive, funzionali allo sviluppo del distretto. Abbiamo preso in considerazione anche i poli di aree omogenee sotto il profilo economico, individuati da Martini [2003], che ha utilizzato tutte le attività, ad esclusione dei servizi, a destinazione collettiva e le aree individuate da Del Colle [1997], che nel procedimento di definizione ha introdotto una variabile che misura le migrazioni tra comuni (interscambi tra comuni), anche perché l’identificazione delle aree non è avvenuta per loro determinazione a priori, ma sulla base della loro vocazione concreta, cioè della loro predisposizione “ad agire e a crearsi in maniera spontanea”, frutto cioè dei processi sociali e produttivi locali. A questo livello di analisi non sono state effettuate correlazioni quantitative tra struttura economica e scolarità. L’approfondimento su alcune aree verrà effettuato prossimamente. CONCLUSIONI. TERRITORIO, MOBILITÀ, CONOSCENZE Il territorio italiano è stato investito a fondo dai processi di metropolizzazione che hanno trasformato la mobilità in stato permanente del sistema. Cercheremo di approfondire alcuni aspetti relativi alle conseguenze della diffusione delle ICT per i problemi di trasmissione delle conoscenze e in particolare per l’e-learning. NOTA METODOLOGICA. LAVORARE CON I CENSIMENTI In questa nota vengono brevemente indicati i problemi tecnici che vanno risolti per affrontare un’analisi longitudinale a livello ecologico (dati comunali), in cui l’unità di analisi è il Comune e il tipo di dato in esame è, perciò, un dato aggregato. Abbiamo considerato l’arco di tempo che va dal 1951 al 1991 (i dati del 2001 non sono ancora disponibili), un arco ampio in cui diversi comuni hanno subìto processi di cambiamento economico e sociale e reso necessarie scelte amministrative sia di accorpamento che di sdoppiamento dei comuni. Dal 1951 al 1991 i comuni italiani da 7810 sono diventati 8100. Alcuni comuni hanno cambiato anche denominazione, o sono scomparsi per accorpamento ad altri comuni, per cui le variazioni sono state molte di più. Queste variazioni hanno avuto ripercussione anche sulle variazioni dei codici identificativi dei comuni, rendendo ancora più numerosi i problemi da risolvere per poter fare un’analisi di trend. Alcuni tipi di variazione cui sono soggetti i comuni, cioè divisione o accorpamento, comportano delle variazioni anche nei dati che li rendono non confrontabili tra un censimento e l’altro; occorre infatti, prima di procedere nell’analisi, accorpare i comuni soggetti a variazione in un unico elemento che viene considerato come nuova unità di analisi. A livello di organizzazione del dato primario, cioè nella trasformazio49 ne del supporto del dato da dato cartaceo in dato informatico, è stato necessario risolvere diversi problemi connessi al tipo di carattere tipografico adottato nel 1951, che ha reso problematica l’interpretazione delle immagini in formato informatico fatta via scanner. Per i dati sulle Unità locali e addetti per rami di attività economica (censimento industria), ai problemi connessi alla interpretazione delle immagini introdotte nel PC via scanner, si è aggiunto quello di ristrutturazione del formato della matrice inserendo i casi nelle righe (comuni) e le variabili (rami di attività) nelle colonne. Nel materiale cartaceo nelle righe sono i rami, nelle colonne le unità locali e gli addetti, il nome del comune sovrasta le variabili di censimento, e si è reso necessario attribuire, a ciascun comune, un codice identificativo, inesistente nel materiale cartaceo. I codici attribuiti sono stati quelli del censimento popolazione del 1951, anche questi dati in formato cartaceo e da noi informatizzati. Il lavoro fin qui descritto è stato un lavoro preliminare, noioso, problematico, ma indispensabile per poter generare i dati di base per l’analisi. Qui di seguito, in forma schematica ed esemplificativa, descriviamo, in modo abbreviato, i problemi che si pongono nell’uso di dati aggregati e le operazioni necessarie sia per la costruzione della matrice (trend 1951-1991), sia per l’analisi delle caratteristiche sociologiche degli abitanti del comune. Le fasi di questo processo possono essere distinte in due: la prima è la “Generazione dei dati di base”, la seconda è “L’elaborazione dei dati di base”. All’interno di ciascuna di queste due fasi distinguiamo i passaggi indispensabili. Generazione dei dati di base 1. Per prima cosa sono state estratte dagli archivi censuari 1951-1961, 1971, 1981, 1991 le variabili che identificano i livelli di istruzione. I livelli individuati sono stati: Livello 0 = Analfabeti Livello 1 = Alfabeti senza titolo Livello 2 = Licenza elementare Livello 3 = Licenza media Livello 4 = Diploma Livello 5 = Laurea 2. Nella parte documentaria relativa a ciascun censimento è stata verificata la confrontabilità delle variabili per il trend 1951-1991. 3. Per poter applicare il modello di analisi seguito da Galtung, i dati relativi ai livelli di istruzione sono stati filtrati con quelli relativi alle fasce di età della popolazione. Infatti, è necessario depurare il dato dagli influssi delle variazioni demografiche, eliminare la fascia di età al di sotto dei 25 anni per ottenere, come dice Galtung, un insieme di individui in cui il grado di istruzione si è stabilizzato. Infatti, tenuto conto che la fascia di età da 0 a 6 anni è già esclusa dai dati censuari, occorre escludere la fascia di età da 6 a 25 anni ripartendola sui livelli di istruzione secondo un criterio logico che si avvicini il più possibile alla realtà. Tale criterio logico l’abbiamo fondato su considerazioni quali: - tenere conto della relazione tra età anagrafica ed età minima per il conseguimento dei diversi livelli di istruzione. Ad esempio, gli indi50 vidui di età compresa tra 6 e 10 anni vanno sottratti dalle frequenze relative al 1° e al 2° livello; quelli di età compresa fra 10 e 13 vanno sottratti dai livelli inferiori alla licenza media (1°, 2° e 3°); quelli fra 13 e 18 anni dai livelli inferiori al diploma (1°, 2°, 3° e 4°); quelli fra 18 e 25 anni dai livelli inferiori alla laurea (1°, 2°, 3°, 4° e 5°); - dove si è reso necessario distribuire delle frequenze tra più livelli, è stato utilizzato il criterio di ripartizione proporzionale: a) considerando la fascia di età da 6 a 10 anni; b) calcolando la proporzione tra il 1° e il 2° livello di istruzione; c) dividendo la quantità di appartenenti alla fascia 6-10 secondo la proporzione di cui al punto b); d) sottraendo le quantità individuate al punto c) da ciascun livello; e) ripetendo i passi precedenti considerando progressivamente le fasce di età 10-13, 13-18, 18-25, avendo cura di ricalcolare la proporzione di cui al punto b) in base ai valori via via aggiornati. Questo lavoro è stato indispensabile per gli anni 1951 e 1961. Per gli anni 1971, 1981 e 1991 l’acquisizione dei dati per classi di età, per ciascun livello di istruzione considerato (ottenuti con una specifica elaborazione dai dati censuari individuali), ci ha risparmiato il lavoro di “aggiustamento” del dato sopra descritto; abbiamo preferito affrontare un maggior lavoro per ristrutturare la matrice dei dati che presentava nelle righe i livelli di istruzione per classe di età, perché il dato è “più vero”. È stato un lavoro di un certo impegno anche se è stato possibile utilizzare lo stesso modello di ristrutturazione della matrice per i tre anni. Ad esempio, la matrice dei dati relativa al censimento del 1991, che originariamente aveva oltre 170 mila casi, è stata ristrutturata in modo che nelle righe ci fossero i codici degli 8100 comuni e nelle colonne i livelli di istruzione, ripartiti per classi di età. 4. Successivamente i comuni soggetti a variazione nel periodo 19511991 sono stati accorpati in un unico elemento che è stato considerato come nuova unità di analisi. Il tipo di variazioni a cui sono soggetti i comuni, come precedentemente accennato (soprattutto divisione o accorpamento, cioè comuni che “nascono” e comuni che “muoiono”) comporta infatti delle variazioni nei dati che li rendono non confrontabili passando da un censimento all’altro. 5. I dati di ogni singolo censimento sono stati aggregati in base alle nuove unità di analisi individuate per il periodo dal 1951 al 1991. 6. Prodotto finale di questo processo di ristrutturazione dei dati è stata una matrice per l’analisi avente casi non direttamente corrispondenti ai casi della matrice dati di ciascun censimento considerato, ma esprimente il numero di casi, per ciascun livello di istruzione, perfettamente comparabili per gli anni ‘51, ‘61, ‘71, ‘81, ‘91. Elaborazione dei dati di base Problema = costruzione di due parametri: indice GRIS e posizione percentile 1. Calcolo di un unico indice del grado di istruzione. 2. Per calcolare questo indice è stato attribuito un peso ai diversi livelli di istruzione, corrispondente al numero di anni necessari, in media, 51 a conseguire il titolo per ciascun livello, considerando cioè un criterio oggettivo per la determinazione del peso: Livello 0 = 0 anni = peso 0 (Analfabeti) Livello 1 = 1 anni = peso 1 (Alfabeti senza titolo) Livello 2 = 5 anni = peso 5 (Licenza elementare) Livello 3 = 3 anni = peso 3 (Licenza media) Livello 4 = 5 anni = peso 5 (Diploma) Livello 5 = 5 anni = peso 5 (Laurea). Ne consegue che i diversi gradi di istruzione hanno avuto i seguenti pesi: Livello 0 = peso 0 (Analfabeti) Livello 1 = peso 1 (Alfabeti senza titolo) Livello 2 = peso 5 (Licenza elementare) Livello 3 = peso 8 (Licenza media) Livello 4 = peso 13 (Diploma) Livello 5 = peso 18 (Laurea). 3. È stato calcolato il grado di istruzione per ciascuna unità di analisi (comune o aggregato di comuni) come sommatoria delle frequenze dei singoli livelli moltiplicate per i rispettivi pesi. 4. Analisi delle posizioni percentili Con questo secondo parametro abbiamo misurato la disparità nell’istruzione facendo riferimento ad una scala comune e assoluta del livello di istruzione raggiunto, in un continuum, attraverso una trasformazione lineare dei dati relativi ai diversi livelli di istruzione: analfabeti (0), alfabeti senza titolo (1), licenza elementare (2), licenza media inferiore (3), diploma (4), laurea (5), individuando successivamente le posizioni percentili di interesse rilevante. Cioè, a partire dai seguenti dati: Livello Range Frequenza Frequenza cumulata 0 L0 L1 = 0 0 f0 F0=f0 1 L1 L2 = 0 1 f1 F1=f0+f1 2 L2 L3 = 1 2 f2 F1=f0+f1+f2 3 L3 L5 = 2 3 f3 F1=f0+f1+f2+f3 4 L4 L5 = 3 4 f4 F1=f0+f1+f2+f3+f4 5 L5 L6 = 4 5 f5 F1=f0+f1+f2+f3+f4+f5 = N* N* = popolazione totale Riferimenti bibliografici Banfield E. C. (1976), Le basi morali di una società arretrata, Bologna, Il Mulino. Del Colle E. (1997), Le aree produttive, Milano, Franco Angeli. Galtung J., Beck C., Jaastad J. (1973), Educational growth and educational disparity, Papers no. 1., University of Oslo. 52 Galtung J., Wiese V., (1974), Measuring Non-formal Education, Papers No.14, University of Oslo. Martini M. (2003), Scritti scelti di Marco Martini, Milano, Giuffrè. Signorini L.F. (2000), Lo sviluppo locale. Unʼindagine della Banca dʼItalia sui Distretti Industriali, Roma, Donzelli-Meridiana. allegato 1 P75-P25 P95-P50 P95-P10 1951 0,98 0,92 2,06 1961 0,89 1,05 2,13 1971 1,29 1,90 3,05 1981 1,29 1,90 3,05 1991 1,48 1,83 3,08 Disparità dei livelli di istruzione in Italia g 76,5 65,5 54,5 43,5 32,5 21951 1961 1971 1981 1991 Lʼandamento dellʼindice del grado di istruzione (GRIS) dal 1951 al 1991 1951 1961 1971 1981 1991 Nord/Ovest 4,64 4,88 4,78 5,80 6,93 Nord/Est 4,38 4,63 4,71 5,71 6,89 Centro 3,69 4,13 4,03 5,34 6,54 Sud 2,91 3,52 3,59 4,92 6,05 Isole 2,93 3,55 3,59 4,88 6,01 Nazionale 3,93 4,32 4,30 5,45 6,59 Distribuzione dellʼindice del grado di istruzione per grandi ripartizioni territoriali (1951-1991) 53 allegati 2-3 meno di 3 da 3 a 5 da 5 a 6 da 6 a 7 oltre 7 Fig. 2 - Grado di istruzione in Italia nel 1951 (indice GRIS) meno di 3 da 3 a 5 da 5 a 6 da 6 a 7 oltre 7 Fig. 3 - Grado di istruzione in Italia nel 1991 (indice GRIS) allegato 4 meno di 3 da 3 a 4 da 4 a 5 da 5 a 6 da 6 a 7 oltre 7 meno di 3 da 3 a 4 da 4 a 5 da 5 a 6 da 6 a 7 oltre 7 Fig. 4 - Grado di istruzione 1951 (indice GRIS) Fig. 5 - Grado di istruzione 1991 (indice GRIS) 54 Davide Diamantini e Alessandra Floris Esigenze formative nelle professioni dell’innovazione e nuove tecnologie informatiche Sommario Questo articolo intende presentare i risultati di una ricerca empirica svolta presso le strutture dedicate al trasferimento scientifico-tecnologico dellʼUniversità della California, avente come obiettivo di ricostruire i profili professionali e le esigenze formative degli operatori di questo settore. I dati raccolti sono serviti ad orientare una specifica proposta formativa articolata in diversi piani di intervento che si incentrano nellʼuso di metodologie informatiche di formazione a distanza. INTRODUZIONE Come è noto, la diffusione pervasiva di Internet e il suo utilizzo quotidiano da parte di un numero sempre crescente di soggetti di ogni strato sociale ha provocato numerosi mutamenti e ricadute in ogni sfera della vita economica, sociale e di gestione delle imprese e organizzazioni pubbliche e private: l’aspetto che questo articolo si propone di studiare si collega alla problematica dello sviluppo e formazione delle risorse umane all’interno dei sistemi di innovazione. L’importanza della qualificazione del capitale umano nei processi di innovazione è sempre di più riconosciuta come uno dei fattore chiave dell’intero successo di un processo di trasferimento scientifico-tecnologico. In generale, si intende con trasferimento scientifico-tecnologico la capacità di un centro di ricerca di diffondere e di tradurre in beni, con un mercato concreto e con una reale diffusione/disseminazione, le proprie scoperte scientifiche o innovazioni tecnologiche. Questa connessione pone una serie di problemi di ordine diverso: il primo è ovviamente connesso all’adeguatezza del livello della ricerca; il secondo concerne l’istituzione delle strutture fisiche, quali i parchi scientifici e gli incubatori, in grado di attuare il processo di trasferimento; il terzo riguarda i fondi necessari per rendere operativi i due momenti precedenti; infine, un quarto è relativo alla necessità di far dialogare e interagire soggetti con estrazioni completamente differenti, quali i ricercatori, gli imprenditori o i funzionari delle istituzioni di governo che fanno parte di questo sistema. Nonostante l’interesse per questo tema sia oggi sempre più diffuso, è ancora difficile trovare lavori che riguardino le figure professionali necessarie alla realizzazione di questa connessione tra ricerca e impresa. In pochi si sono occupati delle concrete persone che devono innescare, sostenere e realizzare questi processi. La figura chiave delle complesse articolazioni di diffusione e impiego della ricerca è quella del manager del trasferimento scientifico-tecnologico. Con questo termine si intende una figura professionale presente, e necessaria, nel mondo 55 Davide Diamantini Università degli Studi di Milano - Bicocca [email protected] Alessandra Floris Università degli Studi di Milano - Bicocca alessandra.fl[email protected] 1 Le considerazioni di questo paragrafo si basano sui dati di una ricerca empirica condotta su base internazionale e presentati in [Diamantini, 2004]. dell’Università e della Ricerca, in quello dell’Impresa e delle varie istanze di Governo centrale e locale, che ha il compito prevalente di indirizzare le funzioni-obiettivo del mondo della ricerca verso le domande dell’industria e del governo e di facilitare il trasferimento di conoscenza dal mondo della ricerca a quello dell’impresa. La formazione e la diffusione della figura del manager del trasferimento tecnologico (TT) appare, sempre più, di vitale importanza; da una parte, per contesti nei quali non sia possibile realizzare attività di ricerca e, dall’altra, nel caso in cui si attuino programmi di ricerca, per trovare sempre nuove modalità di finanziamento o partenariato. Infatti, la figura del manager del trasferimento, dotata di conoscenze a vasto raggio e in grado di gestire in un’ottica generale i processi di trasferimento tecnologico e la ricerca delle fonti di finanziamento, si deve occupare di introdurre gli elementi di innovazione tecnologica, le politiche dell’innovazione e i cambiamenti organizzativi in imprese o contesti che perseguano comportamenti innovativi nella competizione dei mercati internazionali. Le competenze necessarie e richieste ai manager del trasferimento scientifico-tecnologico non sono inferiori a quelle del seguente elenco1: 1. gestione dei canali di finanziamento dedicati alle attività di ricerca; 2. organizzazione manageriale delle attività di ricerca di laboratorio interne all’organizzazione; 3. selezione delle informazioni disponibili sullo stato della ricerca; 4. scouting per nuove applicazioni; 5. instaurazione e organizzazione di partnership e/o network specifici; 6. gestione dei rapporti formali/informali con la comunità scientifica; 7. gestione dei rapporti con Università e imprese; 8. gestione dei canali comunicativi con gli altri enti; 9. formazione e gestione delle risorse umane; 10. gestione di problematiche relative alla proprietà intellettuale e ai brevetti; 11. applicazione e gestione di politiche innovative all’attività di ricerca; 12. negoziazione normativa/legale; 13. negoziazione riguardo le fonti di finanziamento; 14. valorizzazione dei risultati della ricerca; 15. valutazione del rischio; 16. valutazione di modelli di politiche della ricerca; 17. problem solving; 18. creazione di nuova conoscenza; 19. applicazione e trasferimento di conoscenza. In merito all’offerta formativa si possono distinguere due categorie principali: la prima è quella promossa per lo più da Università e organizzata in percorsi formativi di tipo accademico, strutturati intorno a programmi didattici precisi e diretta a giovani neolaureati. La seconda è rappresentata da corsi post-universitari e iniziative di formazione di varia tipologia e promosse da strutture non accademiche, quali società 56 di consulenza o organizzazioni miste pubblico/private. Sebbene le due tipologie propongano contenuti abbastanza omogenei e si rivolgano principalmente ad un target in ingresso nel settore professionale del trasferimento tecnologico, sembrano non soddisfare la richiesta formativa delle professioni legate al trasferimento di tecnologia e conoscenze. I limiti che presentano sono diversi: innanzitutto la modalità con cui le lezioni e i moduli vengono erogati al target sono quelli tradizionali della lezione in aula, e quindi molta discussione teorica e poco work in group o esperienze dirette di stage. Inoltre, occorre tener conto del fattore tempo, che gioca un ruolo non indifferente. Nel caso in cui si tratti di corsi brevi, per individui che in qualche modo svolgano già attività lavorative, la modalità principale è rappresentata da workshop di uno o due giorni con interventi mirati a specifiche problematiche, con tutti i limiti degli interventi formativi troppo concentrati o settoriali. Il caso di studio di cui questo articolo propone i risultati è tratto dall’osservazione del sistema di formazione e trasferimento tecnologico delle Università della California. In particolare è stato osservato il caso dell’UCSB (Università di Santa Barbara), le cui attività di trasferimento tecnologico prendono avvio all’interno del Research Office, quale esempio di un sistema particolarmente avanzato nella gestione dei processi di trasferimento tecnologico. L’osservazione di queste esperienze è stata decisiva per orientare una proposta formativa per i manager del trasferimento basata sull’applicazione di metodologie didattiche a distanza. IL CASO DI STUDIO DELLA CALIFORNIA L’obiettivo della ricerca era ricostruire le singole esperienze professionali degli operatori del settore del trasferimento tecnologico per confrontarle sulla base di indicatori qualitativi e di rilievi quantitativi, e per costruire dei prototipi di aree di competenza. Gli indicatori di tipo quantitativo considerati sono stati l’età, la composizione dei gruppi di lavoro, i curricula di studio e le eventuali specializzazioni post laurea, le competenze necessarie e le funzioni svolte per settore o area di competenza. Lo strumento di rilevazione è stato un questionario-guida per interviste semi-strutturate, integrato da altre interviste in profondità. Il campione rilevato era distribuito nella Santa Barbara County e nell’Orange County, entrambe in California. Le strutture per le quali i soggetti campionati lavorano sono l’Università di Santa Barbara (UCSB), l’Università di Irvine (UCI) e l’Università di San Francisco (UCSF), oltre ad altri uffici che lavorano nel sistema di trasferimento tecnologico dello stesso territorio e qualche impresa sviluppatasi attorno all’attività di ricerca delle stesse Università. Il campione è composto da 28 persone di ambo i sessi e di età variabile: l’età media è 36,6 anni. La composizione media degli uffici e dei gruppi di lavoro è di quattro persone. La prima caratteristica emergente è che, oltre la laurea, la maggior parte dei soggetti è in possesso di master e alcuni anche del titolo di dottorato. L’analisi delle caratteristiche del campione è stata divisa in due variabili: Formazione e Ambiente di lavoro. Per quanto riguarda la Formazione tutti hanno seguito un percorso 57 formativo primariamente accademico che, solo in secondo luogo, hanno completato tramite stage e tirocini, considerati un momento fondamentale di arricchimento delle proprie competenze, secondo il modello del learning by doing. Pochi tra loro, una percentuale del 28% sul totale, hanno dichiarato di avere preso parte a corsi specifici di formazione sul trasferimento tecnologico solo dopo avere intrapreso la professione corrente. Peraltro, questi corsi erano principalmente di mantenimento o sviluppo delle conoscenze/competenze già acquisite nel percorso formativo accademico. I restanti hanno dichiarato di non aver seguito percorsi formativi intesi come corsi di aggiornamento delle specifiche capacità già possedute, e hanno ammesso di averle migliorate nel corso del tempo. Il miglioramento di prestazioni, secondo i parametri considerati internamente all’ufficio/impresa, è misurato in tempi impiegati nello svolgere le mansioni e nel mantenimento e arricchimento dei rapporti con i partner esterni. Inoltre, un altro parametro considerato è quello del crescente numero di richieste di consulenze esterne e della maggiore flessibilità (multitasking work) dello stesso operatore in grado di occuparsi non solo degli aspetti, ad esempio, economico-finanziari, ma anche di quelli burocratico-amministrativi. Proprio in riferimento al multitasking work, i meccanismi di job rotation e job variety [Takeuchi e Nonaka, 1986; Nonaka, 1990], cioè la rotazione tra diverse funzioni e la presenza di job multi task, con sostanziali differenze in termini di abilità, risultano legate alla capacità di innovare con continuità. Internamente agli uffici osservati queste caratteristiche sono presenti in diverse sfumature: legate a questi meccanismi sono state infatti osservate anche le capacità di general management (cfr. in proposito su diversi studi [Leonard e Swap, 1999]), che si rivelano un punto di forza per garantire l’integrazione intra-organizzativa. Le persone che hanno una visione del problema innovativo-trasversale, proprio in virtù del fatto che hanno sperimentato job rotation e job variety, rappresentano un utile riferimento nel corso dell’innovazione e nel rendere possibile ai nuovi professionisti non ancora esperti l’apprendimento tramite la loro esperienza. L’altra dimensione di analisi interessante emerge quando si considera l’ambiente di lavoro, inteso sia come spazio fisico che spazio culturale e professionale. Un dato importante a livello professionale che si presenta in tutta la sua evidenza dalle diverse interviste riguarda la formazione delle reti di apprendimento. Generalmente permettono lo sviluppo delle imprese e perché abbiano successo è necessario che si basino su una pianificazione sistematica ben strutturata, un’attività di ricerca sostenuta da analisi adeguate, strategie formulate esplicitamente e piattaforme solide che fungano da catalizzatori. Il primo passo da compiere è quello di costruire un dialogo che apra la strada a forme di collaborazione knowledge sharing. Per favorire le forme di cooperazione e collaborazione knowledge sharing, un ruolo chiave è giocato dalla struttura organizzativa interna agli uffici e alle imprese, ma anche all’università, basata sulla stretta collaborazione tra i diversi attori che sono chiamati a cooperare allo stesso progetto e a condividere informazioni con altri operatori esterni al loro ambiente di lavoro. Ciò che 58 contraddistingue i manager di TT negli ambienti analizzati è che essi lavorano in totale sinergia e conoscenza reciproca dei diversi progetti e strumenti e metodologie di lavoro. Molti tra i soggetti intervistati hanno enfatizzato il ruolo della condivisione di idee, progetti e dello scambio diretto di informazioni come i momenti chiave per l’acquisizione di nuove competenze. Lavorare a progetti in cui partecipano più persone con diverse competenze e creare un team di lavoro è identificato come il momento di maggior crescita professionale. Anche la disposizione degli uffici favorisce queste interazioni, in quanto gli spazi sono generalmente ampi e aperti, ed è così più semplice entrare in contatto diretto, scambiare informazioni sui programmi di ricerca e acquisire la flessibilità che permette loro di svolgere più mansioni entro uno stesso progetto. Le soluzioni strutturali di uffici più ampi e della loro rilocalizzazione presentano infatti l’opportunità di accrescere la comunicazione tra le parti coinvolte [Griffin e Hauser, 1996]. I due autori americani hanno evidenziato attraverso studi empirici, come la presenza di open space, o addirittura il water cooler e la macchina del caffè, aiutino la combinazione di competenze sostanzialmente differenti grazie all’incontro e al dialogo che spesso si viene a creare tra detentori di skill eterogenee. In tutti gli uffici osservati erano presenti water cooler e sono state osservate persone che scambiavano idee o battute su progetti o mansioni diverse. LE INTERVISTE IN PROFONDITÀ La letteratura riconosce l’importanza di quattro categorie di competenze nel campo professionale del management e dell’organizzazione di impresa che sono state individuate anche nel corso di questa ricerca. Nell’ambito di un lavoro sul Technology Management [Tushman e Anderson, 1986] è stato posto in luce il ruolo fondamentale svolto dalle competenze tecnologiche per la gestione dei processi innovativi. Quando la base di conoscenza relativa a una certa tecnologia a supporto dell’attività economica di un settore presenta cambiamenti, le competenze tecnologiche sviluppate dal trasferitore e dall’azienda permettono di preservare la propria posizione competitiva. Le competenze tecnologiche risultano tanto più critiche nel caso di un mutamento nella base della conoscenza tecnologica esistente. Dal momento in cui esse superano il patrimonio di conoscenza già esistente e ne compromettono la sua esistenza, l’aggiornamento della base di conoscenza tecnologica risulta inevitabilmente necessario. Si possono ascrivere alle competenze tecnologiche le conoscenze individuate nei profili del campione relative alle opportunità di introdurre nuove tecnologie, agli indici di valutazione delle tecnologie alternative, al management dei network di comunicazione e computer information. Sono state rilevate inoltre capacità di tipo strettamente informatico in chi ha compiuto studi di ingegneria e computer science e che allo stato attuale non svolge mansioni in cui siano richieste competenze di tipo tecnologico. In secondo luogo hanno importanza le competenze di marketing e finanza, come un fattore critico in un ambiente in grado di sviluppare 59 valore. Tali competenze di mercato possono far fronte a disavanzi e ritardi cumulati nel campo delle competenze tecnologiche [Teece, 1987] o possono introdurre in maniera proattiva importanti innovazioni customer-led [Von Hippel, 1988]. Le competenze di marketing e finanza rilevate in quattro soggetti del campione sono rappresentabili in: metodi per l’analisi delle decisioni, capital budgeting, strategie per mercati competitivi, capacità di convertire i bisogni sociali generali in bisogni di tipo economico, valutazione del rischio e business plan in condizioni di incertezza, leggi regionali e federali per i finanziamenti alla ricerca, modelli economici di innovazione, aspetti normativi della regolamentazione della ricerca e attività innovative, modelli decisionali e management aziendale, cooperazione internazionale con partnership per progetti innovativi, marketing delle tecnologie. A queste due tipologie di competenze si aggiungono, anche in seguito agli studi di Vicari [1991] e Rullani [1992], le competenze relazionali. La conoscenza profonda tipica del know how fornisce il sapere su cui l’operatore basa la sua attività, ma di fatto perché ci sia coesione nel funzionamento dell’impresa e quindi capacità di assorbire nuova conoscenza dall’esterno è necessario sviluppare un alto livello di fiducia che funga da collante per le relazioni con soggetti esterni all’impresa. All’interno del campione sono state rilevate le seguenti competenze relazionali: nuove forme di cooperazione tra industria e istituti di ricerca, valutazione dell’impatto sociale della ricerca accademica, modelli istituzionali di ricerca. Al di sopra di queste tipologie semplici di competenze si pongono le competenze integrative [Grant, 1999], che hanno l’obiettivo di far funzionare insieme i vari tipi di risorse e competenze e assumono rilevanza nei processi gestionali. Obiettivo delle competenze integrative è riunire in modo armonico la conoscenza specialistica contenuta nelle risorse e nella competenza tecnologica e di mercato. Di fatto le competenze integrative sono individuate in: gestione delle risorse umane, gestione dei sistemi di comunicazione, pianificazione delle attività e di programmazione e controllo, definizione dei valori e norme aziendali. Nel campione le competenze integrative sono state rilevate in diverse persone, che in pratica assumono il ruolo di leader e quindi integrano le diverse competenze di gestione dell’azienda sotto diversi punti di vista e dirigono le attività dell’ufficio o impresa. Se dalle interviste svolte con ognuna delle persone del campione è stato possibile tracciare il percorso formativo seguito, solo per alcuni di esse è stato possibile indicare un’area di competenza specifica. La maggior parte, dopo aver seguito un percorso formativo fortemente specializzante, svolge ora delle mansioni che non possono essere ricondotte ad una singola area di competenze. C’è un frapporsi di competenze che indica la pervasività di forme di conoscenze specifiche accessibili a tutti. Qui di seguito si riporta il contenuto di un’intervista che secondo l’analisi fatta rappresenta una figura-prototipo del manager del trasferimento tecnologico. Tutte le interviste prevedevano una prima parte generale e comune guidata da un questionario, ed una seconda libera 60 riservata a domande più specifiche in relazione alle competenze richieste e alle funzioni svolte. L’intervista che segue percorre il percorso formativo piuttosto dinamico di una manager del settore ICT. L’intervistata ha completato i suoi studi conseguendo una laurea in Computer Science, seguendo un corso di specializzazione in Computer Design e prendendo, da ultimo, un PhD in Ingegneria Elettronica. Subito dopo ha iniziato a lavorare presso un’azienda ITC (la ITP) dove ha svolto per 4 anni la mansione di ricercatrice. In quel periodo operava come web designer e al contempo affiancava altri due ingegneri e un informatico nello studio di soluzioni informatiche per piccole imprese che lavorano su Internet e via Internet nell’ambito dell’e-commerce. Avendo una formazione di livello piuttosto alto ha perfezionato l’acquisizione di nuove competenze attraverso l’esperienza sul campo e afferma di non aver mai seguito sino al momento attuale corsi di perfezionamento o mantenimento delle competenze. Ha lavorato, inoltre, per breve tempo presso i laboratori di Computer Science dell’UCSB come ricercatrice. Qui ha seguito l’implementazione di nuove tecnologie e ha lavorato per lo più da sola, seguendo altri due collaboratori più giovani, due neolaureati che facevano tirocinio. Dopo un altro anno è stata assunta alla Techno System, in qualità di manager responsabile nello sviluppo di nuovi sistemi software per applicazioni integrate. Qui, oltre a svolgere funzioni in cui impegna le sue competenze tecnologiche, riveste una carica più strettamente manageriale. Infatti, coordina le attività di ricerca tra Università e imprese e si occupa della valutazione dei risultati della ricerca applicata. Nel fare questo è chiamata a prendere decisioni sulle risorse umane da coordinare e sui capitali necessari da investire o eventualmente trovare tramite normative federali. Con lei lavorano nel suo ufficio due persone, una cura i rapporti con imprese e Università, la seconda invece si occupa degli aspetti tecnici nello sviluppo dei software. L’ufficio è compreso all’interno dell’azienda, che si compone di quattro uffici, ognuno dei quali si occupa della gestione di sistemi software integrati e applicati a diversi campi. Gli altri uffici sono strutturati in modo simile, un responsabile decide e struttura le attività e opera in collaborazione con altri manager. Il carico di lavoro dell’intervistata è variabile e non ha orari fissi. Questa intervista ha messo in luce l’esempio di un percorso formativo attento e curato, in partenza specializzata su un’unica area, ma che in seguito si è arricchito di competenze più ampie di tipo integrativo, senza che ci sia job rotation o job variety. Il percorso formativo di questo soggetto rispecchia il percorso di molti degli intervistati, ma diventa un caso rappresentativo perché propone insieme la formazione accademica e la specializzazione learning by doing e inoltre perché abbraccia più competenze, da quelle tecnologiche si passa a quelle integrative e relazionali. Le competenze per area sono state raccolte nel seguente schema (tabella 1) secondo le risposte date dagli intervistati e indicano da quante persone sono possedute nei casi in cui emerge con chiarezza. Alcuni che possiedono più competenze a cavallo tra diverse aree sono stati ricondotti all’area di cui hanno dichiarato di avere più conoscenze. 61 Tabella 1. Competenze dei manager del trasferimento scientifico-tecnologico californiani Competenze tecnologiche 3 persone Elaborazione di nuovi software e applicazione integrata degli stessi, implementazione e valutazione dei risultati delle nuove tecnologie Competenze finanziarie e di marketing 4 persone Capital budgeting, modelli di decisione in situazione di rischio e incertezza, modelli di innovazione e di finanziamento alla ricerca, aspetti normativi sul finanziamento alla ricerca, brevettazione e copyright Competenze relazionali 10 persone Cooperazione tra impresa e mondo della ricerca ed enti federali e governativi Competenze integrative 14 persone Business plan, valutazione dell’impatto della ricerca, negoziazione dei risultati di ricerca, organizzazione dei modelli di ricerca e diffusione delle tecnologie LE ESIGENZE FORMATIVE RILEVATE Con la somministrazione di un questionario strutturato sono state, anche, rilevate le esigenze di formazione che i manager avvertono. Il primo punto che emerge è un’esigenza di flessibilità in termini di contenuti e di tempo. I soggetti hanno dei margini di tempo ristretti e necessitano perciò di corsi formativi che offrano la migliore ottimizzazione del tempo disponibile. Tramite i questionari molti manager hanno dichiarato di preferire moduli formativi erogati in “pillole” cioè ben strutturati e ad hoc, facilmente reperibili e accessibili sempre. Questa loro esigenza viene indicata in un termine solo: disponibilità di erogazione e recupero dei materiali. Inoltre, di fronte alle limitazioni nel tempo da dedicare alle attività formative, anche l’eterogeneità delle conoscenze necessarie costituisce un serio ostacolo a percorsi formativi di tipo tradizionale. Poiché il manager di TT deve avere una conoscenza di ampio raggio su varie tematiche e problematiche, e questa deve essere anche particolarmente dettagliata e approfondita, si pone l’esigenza di trovare dei corsi che offrano tematiche specifiche senza incorrere nel rischio di presentare nozioni che poi non vengono interiorizzate e quindi non possono essere utilizzate di fronte ai casi concreti. L’attività del trasferitore tecnologico è poi customer oriented, per cui frequentemente è avvertita l’esigenza di conoscenze dirette sullo stato delle attività in corso e su come poterne beneficiare nel breve termine. Allo stato attuale sono estremamente rare in Italia le strutture in grado di garantire una formazione che tenga conto di queste esigenze, contrariamente a quanto succede in California, dove, come è stato osservato, già molti programmi scolastici delle high school affrontano temi di innovazione, management e business plan, strategie di mercato e marketing della ricerca e delle tecnologie. Ciò che si avverte nei centri di ricerca e nelle imprese californiane che fanno trasferimento tecnologico è che la formazione si fa sul posto di lavoro, le competenze acquisite dai percorsi tradizionali con cui si iniziano le attività sono poi arricchite e implementate solo al momento di lavorare. Pochi sono infatti i corsi disponibili relativi a fondamenti del trasferimento tecnologico. In Italia è invece evidente che sono poche sia le iniziative formative di tipo scolastico accademico che quelle slegate da questi contesti. 62 NUOVE TECNOLOGIE PER LA FORMAZIONE NELLE PROFESSIONI DELL’INNOVAZIONE Poiché nel corso dello studio sulle tematiche della formazione per il manager del TT [Lam, 1998a e 1998b] sono emerse in modo abbastanza critico diverse problematiche che con i corsi di formazione tradizionale in aula non si possono fronteggiare e a cui non si può venire incontro nemmeno con i seminari o i workshop a carattere generale, una soluzione che si presenta adatta a superare questi ostacoli è quella di utilizzare lo strumento dell’e-learning combinato con la modalità in aula. I modelli di formazione e-learning o processi di formazione in rete hanno le caratteristiche innovative date da ambienti tecnologici in cui si sviluppano, che permettono la flessibilizzazione di tempi e spazi. Come è noto, una prima caratteristica è, infatti, la multimedialità, cioè la possibilità di organizzare e presentare informazioni di diversa natura come testi, immagini, file audio, che vengono poi erogati dallo stesso canale. Una seconda caratteristica è la connettività, cioè la disponibilità dell’integrazione tra tecnologie di telecomunicazione e tecnologie informatiche che permette il trattamento indifferenziato di testi, suoni e immagini fruibili in rete. Segue l’interattività, cioè la possibilità di controllare e dirigere la fruizione del programma. L’ipertestualità poi consente di costruire database interrelati in cui i nodi testuali sono accessibili secondo diversi percorsi scelti dall’attore. Queste caratteristiche rendono lo strumento di formazione e-learning particolarmente appropriato per curare i processi di formazione del manager di TT. Si rende possibile, infatti, il libero accesso a tutti e secondo le esigenze e i tempi di acquisizione di competenze [Dean et al., 2001]. È evidente che in un panorama mutevole e articolato come quello del TT un percorso formativo di tipo tradizionale-accademico non può coprire tutte le esigenze: primo per la dimensione temporale lunga che spesso entra in contrasto con i tempi del lavoro e secondo perché proprio l’alta eterogeneità contenutistica richiede degli “insegnamenti” non ancora presenti nelle strutture formative istituzionali. Sino ad oggi, infatti, la maggior parte delle conoscenze degli operatori del settore sono state introdotte con processi di formazione naturale, come è evidenziato dal caso di studio realizzato, senza che vi fosse un’offerta formativa strutturata da parte delle istituzioni pubbliche o private. La modalità di erogazione blended e-learning, che unisce l’interazione on line a quella in aula, specifica meglio ulteriori esigenze del settore considerato. In questo caso, a partire dalla semplice interazione interna alla comunità di apprendimento, si arriva a costruire gruppi di lavoro del tutto autonomi rispetto all’interazione in presenza [Dickelman, 2003]. L’apprendimento si costruisce tramite lo scambio di materiali, la presentazione di scenari di apprendimento, la simulazione di casi concreti di attività, la creazione di archivi e documenti di studio [Rossett, 2002]. La possibilità che viene offerta è quella di poter accedere sempre ai materiali, e da qualsiasi postazione. Inoltre, lo strumento blended permette una maggiore interattività rispetto al normale corso e-learning, che inizia infatti in rete e prosegue poi in aula con discussione e confronto tra i percorsi individualmente seguiti on line. 63 Tabella 2. fonte: [Valiathan, 2002] Live face-to-face (formal) • Instructor-led classroom • Workshops • Coaching/mentoring • On-the-job (OTJ) training Live face-to-face (informal) • Collegial connections • Work teams • Role modelling Virtual collaboration/synchronous • Live e-learning classes • E-mentoring Virtual collaboration/asynchronous • Email • Online bulletin boards • Listservs • Online communities Self-paced learning • Web learning modules • Online resource links • Simulations • Scenarios • Video and audio CD/DVDs • Online self-assessments • Workbooks Performance support • Help systems • Print job aids • Knowledge databases • Documentation • Performance/decision support tools UNA PROPOSTA FORMATIVA Sulla base di queste indicazioni raccolte dalla letteratura e dalla ricerca empirica, riferiamo brevemente in questa sede di un modello sperimentale di formazione che è stato proposto al Parco Scientifico e Tecnologico di Cagliari. Dopo un percorso di analisi dei fabbisogni di formazione e delle esigenze necessarie e richieste, è stato formulata una proposta articolata in due fasi, fase on line e fase in presenza, e caratterizzata dalle seguenti dimensioni: 1) Metodologia e-learning. Come introdotto nel paragrafo precedente, la metodologia didattica blended e-learning prevede l’erogazione di materiali via web da acquisire in modalità autonoma. I documenti disponibili su web sono posti su una piattaforma, il cui accesso è fornito all’inizio del corso, presso la quale l’utente si registra e provvede a definire il proprio percorso. I materiali su web vengono posti sotto forma di learning objects, cioè ogni argomento trattato è scomposto in unità minime di apprendimento, col fine precipuo di facilitare la costruzione di un processo di apprendimento che rispecchi le proprie esigenze e necessità formative e logistiche. Al termine di un modulo di lavoro individuale della durata di due settimane è previsto un seminario in presenza della durata di un giorno per l’approfondimento e la discussione del lavoro svolto. 2) Metodo Portfolio. Per venire incontro alle esigenze conoscitive diverse degli operatori del settore è parso opportuno avvalersi della metodologia didattica Portfolio. Il corso proposto è strutturato secondo percorsi formativi interattivi e altamente personalizzabili. I diversi moduli sono strutturati in modo tale che l’utente possa accedervi in qualsiasi momento della propria giornata e possa seguire l’ordine di apprendimento degli stessi secondo le proprie esigenze formative. Inoltre, sia la parte del corso su web che quella in presenza sono pensate per favorire la massima forma di interattività tra l’utenza e i docenti, così da poter discutere su eventuali problematiche durante la fase di formazione e non solo al suo termine. 64 Nello specifico, Portfolio è un processo strutturato e organizzato in modo che ogni individuo possa riflettere sul proprio apprendimento e grado di maturazione rispetto agli obiettivi prefissati, nonché sul proprio sviluppo personale e di carriera. Portfolio consente all’utente di avere un monitoraggio costante dei propri progressi nell’apprendimento, attraverso l’archiviazione ragionata dei documenti e tramite l’interazione selettiva con i tutor e il personale docente. La piattaforma telematica Digital Portfolio permette, infatti, di gestire il proprio archivio all’interno di uno spazio web dedicato al quale si accede tramite registrazione e password. 3) Metodologia dei moduli formativi. Al fine di rendere efficace l’apprendimento dei moduli formativi, si è studiata la soluzione dell’erogazione di un modello formativo blended learning organizzato in una serie di moduli bisettimanali. Tale modello si presenta come lo strumento più efficace per definire il percorso individuale del trasferitore tecnologico in relazione alle esigenze di interfaccia del distretto in cui lavora. Inoltre, il modello blended learning offre la possibilità di fare formazione sia di ingresso nel settore sia di mantenimento e consolidamento delle conoscenze già acquisite in modo continuato e veloce e autonomo e personalizzato secondo le esigenze lavorative. La struttura del corso prevede, per ogni modulo: 1. una lezione introduttiva nella quale vengono presentati gli argomenti e la metodologia del corso, stabiliti gli obiettivi formativi comuni e realizzate le operazioni di personalizzazione dei percorsi e delle disponibilità di lavoro di ciascun partecipante; 2. due settimane di lavoro individuale organizzate tramite la lettura di alcuni materiali erogati via web e l’interazione telematica con docenti e tutor; 3. un seminario conclusivo della durata di un giorno, durante il quale il docente affronta tutti gli argomenti, interagisce con i partecipanti al corso e valuta il raggiungimento individuale degli obiettivi formativi concordati all’inizio del modulo. Riferimenti bibliografici Dean P., Stahl M., Sylwester D., Pear R. J. (2001), Effectiveness of Combined Delivery Modalities for Distance Learning and Resident Learning. Quarterly Review of Distance Education, 2 (3), pp. 247-254. Diamantini D. 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Oxford, Oxford University Press. 65 Filippo Dal Fiore e Marco Gui Student-Centered e-Learning: una sperimentazione sul cronotopo della Bicocca Sommario Con lʼavvio del presente anno accademico ha avuto inizio nella Facoltà di Sociologia dellʼUniversità Bicocca un progetto pilota per la sperimentazione di un modello di e-learning centrato sulle esigenze formative dello studente (Portfolio), contestualmente alla sperimentazione dellʼutilizzo di terminali mobili - tablet PC dotati di sistema di localizzazione GPS - per la rilevazione in contesto di dati sociologici sul territorio. Portfolio è una metodologia formativa attraverso cui il discente riflette e programma il proprio percorso di apprendimento, maturazione e raggiungimento degli obiettivi accademici, nel contesto di uno sviluppo personale integrato, educativo e di carriera. INTRODUZIONE L’ateneo della Bicocca da tempo sta volgendo la sua attenzione in modo critico all’uso didattico delle nuove tecnologie. Da subito, la riflessione interna si è allargata per capire quali elementi nuovi potevano apportare le tecnologie al processo di cambiamento in atto da tempo nell’Università. Era chiaro, infatti, che l’adozione di un qualsivoglia modello di eLearning, e più in generale l’impiego delle ICT nel processo educativo, sarebbero avvenuti nel quadro della trasformazione che investe i sistemi educativi nella società dell’informazione. In tutto il mondo questi sistemi, e le università in particolare, vivono una profonda crisi dovuta essenzialmente allo spostamento radicale di assetto reciproco dei sistemi di produzione e trasmissione delle conoscenze. L’Università non detiene più il monopolio del sapere. Oggi essa agisce invece in un contesto ricco di informazioni in cui la conoscenza si va espandendo in modo esplosivo, e si trova in concorrenza con un sapere multiforme e sovrabbondante che viene reso accessibile grazie alle ICT. Guardando al mercato dell’e-learning, inoltre, l’Ateneo considerava le tecnologie e i modelli organizzativi proposti più adatti a strutture come quelle aziendali, in cui il contenuto è tendenzialmente circoscritto, standardizzabile e relativamente stabile nel tempo, con buone possibilità di controllo su tempi e luoghi delle risorse umane coinvolte. Nell’università esistono invece condizioni spesso diametralmente opposte, circostanza che suggerisce cautela nell’adozione di un prodotto disponibile sul mercato, anche se una scelta del genere è vista come un obiettivo irrinunciabile sul lungo periodo, per garantire l’efficienza organizzativa. La Commissione e-learning di Ateneo ha poi prestato particolare inte67 Filippo Dal Fiore Università degli Studi di Milano - Bicocca filippo.dalfi[email protected] Marco Gui Università degli Studi di Milano - Bicocca [email protected] 1 Il WI-FI è una tecnologia che permette di connettersi ad Internet senza fili, collegando il proprio computer ad un punto di accesso (hotspot), generalmente disponibile presso aeroporti, hotel, centri congressi, locali pubblici, ecc. resse a tutte le innovazioni tecnologiche che introducono fattori di mobilità e di flessibilità nei punti di accesso alle basi di conoscenza e nei luoghi fisici dell’apprendimento, dello studio e del lavoro scientifico. L’uso di terminali mobili, così come le tecnologie WI-FI (Wireless Fidelity)1 per collegarli in rete, sembrano in grado di promuovere un forte potenziale di riorganizzazione del lavoro universitario. Questa considerazione è strettamente collegata a uno dei principi fondamentali che la Commissione ha fatto propri, ovvero l’impostazione delle attività di e-learning a partire dall’utilizzatore (demand-driven). Normalmente, anche dal punto di vista tecnologico, l’eLearning è concepito come un insieme di strumenti che facilitano l’offerta didattica, partendo dal punto di vista del docente o del formatore (supplydriven). Gli utilizzatori sono visti come i destinatari di un processo comunicativo la cui efficacia è accresciuta grazie all’impiego delle ICT. La Commissione ha maturato invece la convinzione che l’e-learning sia un’occasione per innovare profondamente il rapporto pedagogico, mettendo l’utilizzatore al centro di un processo collaborativo e creativo di cui le ICT diventano i potenti strumenti. In questo quadro di cambiamenti tecnologici veloci e di metodologie non ancora mature, l’Ateneo ha ritenuto opportuno incoraggiare la sperimentazione di diversi sistemi anche locali. Lasciando un’ampia libertà di sperimentazione, la Bicocca aumenta così la possibilità di rompere i binari tradizionali su cui ha viaggiato finora l’e-learning in Italia, riservandosi di trarre a breve una sintesi che possa tradursi nella scelta di politiche unitarie per l’Ateneo. Il contatto con la Vrije Universiteit di Amsterdam, lo scorso anno, ha aperto una finestra su un’esperienza internazionale che presentava per la Bicocca aspetti molto interessanti. La Facoltà di Sociologia ha invitato lo scorso Febbraio una delegazione della V.U. a presentare in Ateneo la propria esperienza nel campo dell’e-learning. L’esperienza della Vrije risultava particolarmente interessante nel contesto descritto sopra, soprattutto per l’uso consolidato di Portfolio, una metodologia di e-learning student-centered, che si affianca ai normali corsi e laboratori e ne costituisce il quadro integrativo. Portfolio ha subito destato interesse per la sua focalizzazione sull’auto-riflessione dello studente, fornendo un esempio di e-learning demand-driven, invece che supply-driven. L’università olandese presentava un’esperienza già matura, dove Portfolio era diventato una forma mentis formativa, oltre che uno specifico strumento didattico. La Vrije Universiteit presentava anche alcuni progetti di rilievo nel mobile-Learning, che ha cominciato a sperimentare in alcuni corsi, convinta del valore strategico di un tale investimento per un ateneo con sovra-rappresentazione di pendolari. Successivamente, il nostro Ateneo ha firmato una convenzione con la Vrije Universiteit, che prevede in primo luogo collaborazioni e consulenza sull’utilizzo di Portfolio. Una delegazione della Bicocca si è recata lo scorso Luglio ad Amsterdam, prendendo parte a seminari e laboratori sul tema. Insieme ai colleghi di Amsterdam, sono state discusse le possibili modalità di organizzazione di una sperimentazione pilota di Portfolio nella facoltà di Sociologia per il prossimo anno ac68 cademico. Ne è risultato un progetto che contestualizza Portfolio in maniera originale in un corso di laurea specialistica italiano. All’interno di questa cornice, della durata di un anno accademico, si è inserita un’altra innovazione, questa volta all’interno di un corso specifico. Si tratta della sperimentazione dell’uso didattico di strumenti informatici mobili. Gli aspetti innovativi di queste tecnologie sono sperimentati per quanto concerne la familiarizzazione degli studenti al lavoro scientifico con la rilevazione di dati sul campo tramite palmari. Riteniamo che la metodologia Portfolio sia ottimale per gestire in modo critico l’innovazione tecnologica nella didattica e la complessità crescente nel mondo dell’Università. Per questo abbiamo combinato un’innovazione didattica rilevante – come è l’uso di strumenti mobili per la ricerca – con una metodologia formativa che portasse lo studente a riflettere globalmente sul suo percorso. Il paper descrive innanzitutto nel dettaglio la metodologia Portfolio e la progettazione della sua implementazione in Bicocca. Successivamente viene spiegato come si intende organizzare la sperimentazione degli strumenti mobili in un Laboratorio. Infine, viene descritta l’integrazione tra le due esperienze e il potenziale di Portolio di portare un valore aggiunto di consapevolezza nei confronti di specifici stimoli formativi. Come si vedrà, le due innovazioni sono state concepite e implementate in modo complementare, dove l’una – la metodologia Portfolio – rappresenta la cornice di auto-riflessione che dà consapevolezza alle innovazioni portate dall’altra – l’uso degli strumenti informatici mobili nella rilevazione di dati sociologici. La sperimentazione rappresenta in sé un’innovazione formativa molto rilevante per un corso di laurea, ma, ancor di più, apre scenari di riflessione sul cambiamento del ruolo stesso dell’Università, fornendo alcune possibili risposte. PORTFOLIO: DESCRIZIONE DELLA METODOLOGIA FORMATIVA Portfolio è un processo di riflessione strutturato e supportato, che si affianca ai normali corsi e moduli di un curriculum di studi, costituendone una sorta di filo rosso. La riflessione si esplica nella produzione di documenti di riflessione, valutazioni e autovalutazioni, ricerca e selezione di materiale. Tutto questo contribuisce alla creazione di un archivio che attesta il percorso svolto dallo studente e imposta quello futuro. Tramite Portfolio un individuo riflette sul proprio apprendimento, maturazione e raggiungimento degli obiettivi, nel contesto di uno sviluppo personale, educativo e di carriera integrati. Portfolio permette allo studente di rendere conto, attraverso un’archiviazione ragionata di documenti, dello “stato dell’arte” del proprio lavoro e percorso, consentendone selettivamente l’accesso a esterni, quali tutor, docenti o altri studenti, per riceverne consigli o valutazioni. L’innovazione metodologica di Portfolio nasce indipendentemente dalla tecnologia (con alcune limitazioni si può implementare anche in forma cartacea). Quest’ultima ne rappresenta tuttavia un arricchimen69 2 http://www.digitaalportfolio.nl/ to sostanziale nell’efficacia, efficienza e integrazione dei processi. Nello specifico, la piattaforma telematica “Digitaal Portfolio”2, utilizzata nella sperimentazione e-learning/Portfolio alla Bicocca, permette allo studente di costruire in modo efficiente il proprio portfolio all’interno di uno spazio web dedicato, gestito con modalità simili a quelle di un blog. Scendendo nello specifico delle attività e dei contenuti che danno forma al portfolio di ogni studente, si distinguono le seguenti categorie: • PDP (Personal Development Plan). È un documento scritto di solito all’inizio del percorso formativo, in cui lo studente esplicita i propri obiettivi di apprendimento/sviluppo, partendo non solo dall’acquisizione di conoscenze disciplinari e interdisciplinari, ma anche da una riflessione intorno ai propri interessi e dalle opportunità di personalizzazione curricolare. La stesura del PDP avviene con la supervisione del tutor che può lasciarlo in forma aperta o predeterminarne una struttura più o meno rigida. • SRR (Self Reflection Report). È un documento svolto normalmente al termine di un percorso di studi. In esso lo studente riflette sul grado in cui sono stati raggiunti gli obiettivi che si è posto nel PDP e sulle eventuali modifiche da apportare al suo percorso di sviluppo. • STESURA DI REPORT/ESSAY. Durante il percorso curricolare gli studenti producono vari documenti come attività relative ai vari corsi che frequentano e alle attività specifiche di Portfolio. Su questi lavori altri compagni o i tutor stessi possono essere invitati selettivamente a fornire una valutazione o un feedback. I lavori degli studenti rappresentano la materia prima di Portfolio, sulla base del PDP e in vista del SRR. • FEEDBACK. Sono richiesti dallo studente (che è obbligato a riceverne almeno 2 all’anno) e forniti dagli altri studenti, docenti e tutor, rispetto a lavori o attività di tipo curricolare (es. stesura di un report, presentazione in classe). I feedback sono forniti in parte secondo una griglia prefissata e confrontabile con le riflessioni che lo studente ha fatto su di sé nel PDP. Questo rende il giudizio degli altri direttamente confrontabile con il proprio, e si crea così una interessante occasione per migliorare la propria capacità di auto-valutazione. Come viene descritto in seguito, specifici accorgimenti metodologici fanno sì che gli studenti si sentano liberi di dare e ricevere feedback anche critici. • ASPETTATIVA/RISCONTRO. Si tratta di brevi documenti che gli studenti compilano prima di intraprendere un’azione formativa determinata (es. un modulo o un laboratorio) cercando di esplicitare i propri obiettivi e il contributo potenziale del corso alla loro crescita. Ad azione conclusa, sono tenuti a valutare criticamente i risultati conseguiti e il riscontro con le proprie aspettative. Si comprende bene come la metodologia Portfolio non sia praticabile in modo efficace se, a fronte di un’accresciuta centralità del percorso formativo esplicitato dallo studente, non evolve di pari passo anche la struttura dell’offerta formativa. Per trarre il massimo beneficio da questa impostazione, risulta necessario ripensare l’intera progettazione didattica (curricolare e corsuale), in particolare per quel che concerne: • la determinazione di un modello di competenze, che lungi dall’essere 70 esclusivamente di tipo disciplinare, sarà piuttosto di natura skill-based e trasversale (es. capacità di fare una presentazione, capacità di stendere un report di ricerca, capacità di riflettere sui propri obiettivi, ecc.); • la determinazione di opportunità (anche se minime) di personalizzazione curricolare e/o delle attività formative/testing, su cui lo studente possa fare delle scelte ragionate sulla base dei propri obiettivi; • la messa in campo di uno staff di tutor, esperti di Portfolio ma soprattutto del curricolo e della disciplina, che siano in grado di affiancare gli studenti nel giusto utilizzo di Portfolio, in particolare per quel che riguarda la stesura di PDP e SRR (attività particolarmente complesse, specie per gli studenti dei primi anni) e la socializzazione con la filosofia di fondo; • l’istituzionalizzazione di meccanismi di ricompensa, volti a incentivare lo studente nell’utilizzo appropriato del proprio Portfolio, quale l’assegnazione di crediti formativi. Alla luce di tali premesse e della cultura centrata sulla disciplina e sull’insegnamento (e sull’insegnante) ancora predominante nel panorama dell’università italiana, si comprende come il rischio più grande nell’utilizzo di un tale tipo di strumento sia che esso venga impoverito, utilizzandolo solamente per la trasmissione e l’assessment di conoscenze di natura disciplinare. PORTFOLIO: VALENZA FORMATIVA E DIDATTICA Obiettivo ultimo dell’implementazione di Portfolio all’interno di un corso di laurea triennale, o (a maggior ragione) di un corso di laurea specialistica o di un master, è quello di responsabilizzare gli studenti rispetto alla riflessione sistematica e alla presa di consapevolezza del percorso di sviluppo che hanno intrapreso e a cui ambiscono. La metodologia di Portfolio è finalizzata a innescare un processo per cui gli studenti traggono benefici a livello di apprendimento su molteplici livelli: • riflessione (rivisitazione e valutazione delle proprie scelte); • tracciamento (archiviazione dei propri lavori); • pianificazione dell’azione (emersione e messa a sistema delle intenzioni di azione e apprendimento curricolare ed extra-curriculare); • allineamento (ricerca della coerenza tra le azioni intraprese, e tra queste e il proprio piano di sviluppo). Le idee di meta-cognizione e auto-consapevolezza (Come l’ho fatto? Perché l’ho fatto? Come lo farò?) rappresentano il cuore di questo approccio didattico e formativo, che sposta il baricentro didattico dalla trasmissione delle conoscenze alla personalizzazione di un percorso di apprendimento significativo. Gli studenti vengono incoraggiati a essere dei soggetti in apprendimento più attivi, riflessivi e innovativi. Da questo punto di vista, il nostro utilizzo di Portfolio si inserisce in pieno all’interno della vasta matrice teorica rappresentata dalle teorie del costruttivismo [Jonassen, Peck e Wilson, 1999]. Al posto di una visione dicotomica di teoria e pratica, si favorisce una concezione della conoscenza come processo attivo di riflessione critica sulla pratica. Il percorso di Portfolio è costituito di cicli attività-riflessione, che il filone teorico dell’activity-based learning descrive come uno strumento 71 per mettere in connessione diversi livelli di apprendimento: contenuti e processi, pensiero e azione, processi formativi formali e contesto sociale [Richards, 2002]. L’approccio metodologico innovativo che ne sta alla base consente allo studente di mettere in stretta relazione interessi individuali, performance desiderata e consapevolezza del contesto sociale. In sintesi, Portfolio inquadra l’apprendimento in un processo a tre fasi: 1. opportunità di sperimentarsi in una competenza (fase di familiarizzazione); 2. riflessione sulla propria performance attraverso valutazioni e autovalutazioni (fase critica); 3. maggiore dominio sulla competenza (fase dialogica, trasformativa). Il pensiero viene a essere radicato nell’azione e i contenuti (informazioni o competenze) sono collegati ai processi. In questo modo la “pratica riflessiva” diventa la base della costruzione della conoscenza, unificando l’apprendimento di natura concettuale con quello di natura tecnica. Il progetto pilota alla Facoltà di Sociologia dell’Università Bicocca Nell’ambito dell’accordo quadro tra l’Università di Milano Bicocca e la Vrije Universiteit di Amsterdam, nel corso del presente anno accademico - 2004/2005 - è stato dato avvio a un progetto pilota di implementazione del Portfolio per gli studenti della laurea specialistica in Sociologia. Un panel selezionato di 10 studenti del primo anno si appresta a prendere parte alla sperimentazione, che durerà un anno accademico. Gli studenti utilizzeranno Portfolio per pianificare il proprio percorso di maturazione a partire dal curriculum formativo e per mettersi alla prova su specifiche attività corsuali previste dai moduli formativi dell’area disciplinare della Sociologia Urbana. Normalmente le attività di Portfolio sono in parte indipendenti, in parte svolte all’interno di moduli e laboratori. A regime, ognuno di essi fornisce materiale per il portfolio dello studente. Tuttavia, per esigenze organizzative del progetto pilota si è pensato di coinvolgere solo il corso e il modulo del prof. Martinotti, che sono stati progettati in modo da rientrare direttamente nel percorso di Portfolio (si tratta del modulo “Sistemi urbani comparati” e del laboratorio “Sperimentazione di eLearning con strumenti mobili per l’osservazione dei fenomeni sociali nello spazio”). Quanto agli altri moduli dell’a.a., essi non rientrano direttamente sotto l’ombrello di Portfolio, anche se alcune attività svolte dagli studenti li riguarderanno indirettamente. Nella tabella 1 sono messe a sistema le attività che rientreranno all’interno della sperimentazione e su cui gli studenti avranno l’opportunità di avviare processi di confronto, testing e auto-riflessione. Ad ogni attività corrispondono una o più competenze. Queste sono state raggruppate in tre principali ambiti, sulla scorta della griglia delle competenze usata ad Amsterdam: attitudine accademica, conoscenze specialistiche, competenze professionali. È in corso la riflessione che porterà i tutor, insieme ai responsabili didattici della Facoltà di Sociologia, a enucleare le singole competenze per le tre macroaree. Come si vede, il punto di partenza è l’elaborazione di un Personal De72 velopment Plan, in cui gli studenti si avvalgono dell’aiuto di un tutor per fare il punto delle conoscenze e esperienze che rappresentano il loro punto di partenza e del percorso strategico di apprendimento e di crescita che intendono mettere in atto nel corso della laurea specialistica (nel nostro caso soprattutto attraverso i moduli sperimentali). Inoltre nel PDP lo studente si valuta sulle competenze e conoscenze dei tre ambiti. Successivamente, se, ad esempio, si è data una certa valutazione nel PDP a proposito delle competenze che riguardano l’attitudine accademica, avrà modo di dimostrarlo nelle attività che interessano quelle competenze. Inoltre, attraverso i feedback, potrà confrontare il proprio giudizio con quello degli altri. Nella tabella 1, sono evidenziate le attività afferenti al laboratorio tecnologico, il cui inserimento in Portfolio viene trattato nel dettaglio nel prossimo capitolo. Nel periodo Gennaio-Aprile, che non contiene moduli direttamente legati a Portfolio, gli studenti stenderanno brevi documenti su due moduli a loro scelta, discutendone il contributo al loro piano di sviluppo. Tabella 1. Piano delle attività previste dal progetto pilota di sperimentazione di Portfolio, previsto alla Facoltà di Sociologia dellʼUniversità di Milano Bicocca, 2004 ATTIVITÀ in Portfolio Stesura PDP Modulo 1 Corso Sistemi Urbani Comparati Stesura tesina individuale Richiesta/fornitura di feedback su tesina individuale Modulo 2 Laboratorio tecnologico Stesura report individuale su rilevazione sul campo Feedback del tutor su report individuale Richiesta/fornitura di feedback su contributo al lavoro di gruppo Richiesta/fornitura di feedback su presentazione individuale del report Moduli vari Gennaio-Aprile 2005 Stesura documento/-i aspettative/rispondenze modulo 1 Stesura documento/-i aspettative/rispondenze modulo 2 Maggio-Giugno 2005 Stesura SRR AMBITI DI COMPETENZA testabili attraverso le attività ATTITUDINE CONOSCENZE E COMPETENZE ACCADEMICA COMPETENZE PROFESSIONALI SPECIALISTICHE • • • • • • • • • • 73 Il laboratorio con strumenti mobili nel quadro di Portfolio In uno dei laboratori dell’anno accademico coperto da Portfolio, gli studenti della sperimentazione apprenderanno e metteranno alla prova una metodologia emergente per la raccolta di dati sociologici, che comporta l’uso di tecnologie complesse. Si tratta della raccolta di dati georeferenziati tramite palmari dotati di sistemi di localizzazione GPS, e del conseguente utilizzo di software GIS (Geographic Information System) per il loro processamento. Portfolio permetterà di contestualizzare gli stimoli di questa importante esperienza nel quadro del percorso di crescita personale e professionale di ogni studente. Descriviamo qui come funzionerà l’integrazione del laboratorio con Portfolio, come un buon esempio del modo in cui una metodologia formativa student-centered può portare allo studente una diversa consapevolezza rispetto all’offerta formativa che riceve. L’utilizzo di strumentazione informatica mobile, come i computer palmari, di sistemi di localizzazione, come il GPS, e il conseguente utilizzo di GIS sono ormai un ausilio importante alla ricerca sociale e nell’ambito degli studi sul territorio. Attraverso queste tecnologie, un ricercatore è in grado di verificare istantaneamente la propria posizione fisica nel territorio e di associare ad essa i dati quantitatitivi o qualitativi che va raccogliendo. Inoltre, può essere guidato durante la rilevazione da mappe che visualizzano graficamente dati georeferenziati già rilevati. Il rilevatore trasferisce poi i dati che ha raccolto in una base dati centralizzata, dove vengono processati da software GIS. L’output è un database che permette, attraverso delle query, di visualizzare sulla mappa i dati raccolti, e di stabilire così relazioni complesse tra luoghi, popolazioni, eventi, e calendari. La Facoltà di Sociologia della Bicocca ha un’esperienza ormai pluriennale nella ricerca sociale supportata da questa metodologia, grazie soprattutto ai lavori dei proff. Boffi e Martinotti. Si è pensato perciò di cominciare a estendere questa rilevante esperienza all’offerta didattica del Dipartimento, perché diventi parte della formazione degli studenti di Sociologia. Peraltro, l’uso innovativo di queste metodologie rappresenta la frontiera dell’avanzamento tecnologico e didattico di molti atenei europei, oltre ad essere un crescente obiettivo di grandi investimenti da parte di aziende di servizi. Il laboratorio è una delle prime esperienze di questo tipo in Ateneo. Esso è stato pensato per fornire le conoscenze teoriche, metodologiche e pratiche per la realizzazione di una ricerca sul campo con l’ausilio di strumenti mobili. Nel corso del laboratorio gli studenti studieranno i flussi di mobilità intorno alla Bicocca, un’area urbana in grande trasformazione, dove gli abitanti convivono con Università, Centri di ricerca, aziende e un grande punto di ritrovo culturale come il “Teatro degli Arcimboldi”. Il framework teorico della rilevazione sarà il concetto di “cronotopo”, cioè un luogo o un’area urbana che attrae popolazioni specifiche in diversi momenti del tempo. Il concetto di Cronotopo permette di costruire aree temporali nella città e quindi di distribuire nel tempo le attrazioni per diversi flussi di mobilità [Bonfiglioli e Mareggi, 1997]. Questa idea, che viene affrontata dagli studenti in corsi precedenti il laboratorio, fornisce lo spunto unificante per sperimentare le osserva74 zioni nell’area Bicocca che contiene diversi cronotopi, cioè fonti di attrazione distribuite nel tempo. Gli studenti, attraverso la tecnica dello shadowing (che consiste nel seguire con il GPS il soggetto da studiare), tracceranno i percorsi di un campione di persone nell’area Bicocca durante la giornata. Oltre alla mappatura della mobilità raccoglieranno dati sulle persone studiate, in modo da poterli incrociare con il loro tipo di percorsi. La rilevazione sarà svolta in gruppi capeggiati da un tutor. I gruppi si occuperanno poi di riversare i dati nel database centrale. Una volta costruito il database, ogni studente sarà in grado di interrogarlo, elaborare gli incroci di dati che ritiene più interessanti e scrivere individualmente una tesina finale, interpretando e mettendo in discussione l’informazione prodotta da tutti. Nella tabella 2 sono messe in relazione le attività svolte dagli studenti nel laboratorio con le ricadute sulla costruzione del Portfolio. Gli studenti della sperimentazione arriveranno al laboratorio avendo alle spalle la stesura del PDP. In esso avranno esplicitato i loro obiettivi di sviluppo e si saranno valutati in modo dettagliato su ciascuna delle competenze previste. Durante il laboratorio avranno la possibilità di Tabella 2. Piano delle attività del Laboratorio tecnologico e delle ricadute su Portfolio ATTIVITÀ LABORATORIO - PORTFOLIO Stesura PDP - 1. incontro introduzione - 2. rilevazione sul campo Test della competenza “lavoro di gruppo” 3. rilevazione sul campo (poi lavoro di gruppo) Test della competenza “lavoro di gruppo” 4. discussione risultati (poi lavoro di gruppo scrittura report) Test della competenza “lavoro di gruppo” 5. scrittura report individuale Test della competenza “scrivere un report” Feedback1 Il tutor fornisce una valutazione del report dello studente (feedback sulla competenza “scrivere un report”) Archiviazione report in Portfolio 6. presentazione dei report individuali (poi scrittura due feedback: 1, fatto da compagno di gruppo su contributo di ognuno al gruppo; 2, fatto da esterno sulla presentazione) Test della competenza “parlare in pubblico” Feedback2 Lo studente chiede a un compagno di gruppo di fornirgli un feedback sul suo contributo al lavoro di gruppo (feedback sulla competenza “lavoro di gruppo”) Feedback3 Lo studente chiede a un compagno esterno al suo gruppo di fornirgli un feedback sulla sua presentazione (feedback sulla competenza “parlare in pubblico”) - Modifiche al PDP Inserimento materiali aggiuntivi Stesura SRR 75 testarne alcune nella pratica, come il lavoro di gruppo, parlare in pubblico, scrivere un report. Per ogni competenza su cui lo studente è messo alla prova, c’è un corrispondente feedback, dei compagni o del tutor. È interessante notare, come si diceva nel primo capitolo, che le auto-valutazioni fornite nel PDP sono direttamente confrontabili con le valutazioni che lo studente riceve dai compagni e dai tutor durante le attività del laboratorio. Tuttavia i feedback, sebbene debbano essere visti dai tutor che garantiscono lo svolgimento delle attività, saranno mostrati al professore solo per scelta dello studente. Egli infatti li inserirà nel SRR qualora essi possano validare un suo percorso di miglioramento in qualcuna delle competenze o conoscenze. Lo studente è infatti obbligato a mostrare al professore solo un certo numero di feedback, che attestano il completamento di Portfolio (nel nostro caso probabilmente due). Questo fatto lascia una certa libertà sia nel valutare gli altri in modo critico, sia nell’accettare in modo costruttivo le eventuali critiche che arrivano. I feedback, appunto per la loro confrontabilità con quanto scritto nel PDP, costituiscono un importantissimo strumento di confronto tra la propria visione di se stessi e quella degli altri. I benefici reciproci che ci aspettiamo tra Portfolio e il laboratorio riguardano in sintesi principalmente tre livelli: • L’inclusione delle attività del laboratorio nello schema dello sviluppo individuale, che porta lo studente a sapere come vuole crescere e a utilizzare conseguentemente gli stimoli di ogni esperienza specifica. • Il test e l’accrescimento delle competenze che lo studente ha descritto nel PDP. Questa operazione viene svolta, come detto sopra, in un interessante confronto tra l’auto-valuzione e il giudizio degli altri. • L’utilizzo degli stimoli del laboratorio come punto di partenza per la riconfigurazione del PDP e l’emersione di nuove aree di interesse per lo studente. Attraverso Portfolio, queste ultime possono essere subito inscritte e contestualizzate in un percorso di lungo periodo. CONCLUSIONI Il progetto e-learning/Portfolio rappresenta un esperimento di innovazione formativa che coinvolge le tecnologie in maniera originale. In esso le specifiche didattiche offerte, come quella del laboratorio tecnologico, vengono inserite grazie a Portfolio in una riflessione di lungo periodo con la quale lo studente costruisce il suo percorso di crescita. Il progetto coinvolge altresì alcune tematiche di frontiera nella ricerca sociologica, psicologica, pedagogica e tecnologica. E-learning/Portfolio è la prima esperienza di questo tipo in Italia. L’integrazione del laboratorio con la cornice di Portfolio crea un ambiente formativo originale. Il progetto ci permette di enucleare, sviluppare e testare le tematiche seguenti. • Didattica student-centered. Il concetto chiave dell’impostazione di Portfolio è la responsabilizzazione dello studente sul proprio percorso di sviluppo. La metodologia di Portfolio è finalizzata a innescare benefici a livello di apprendimento su molteplici livelli: i) riflessione (rivisitazione e valutazione delle proprie scelte); ii) tracciamento (archiviazione dei propri lavori); iii) pianificazione dell’azio76 ne (emersione e sistematizzazione delle intenzioni di azione, apprendimento curricolare ed extra-curricolare); iv) allineamento (delle azioni intraprese con il piano di sviluppo). Le idee di meta-cognizione e auto-consapevolezza rappresentano il cuore di questo approccio formativo, che sposta il baricentro didattico dalla trasmissione delle conoscenze alla personalizzazione supportata di un percorso di apprendimento significativo. • Lo sfruttamento delle ICT in senso integrativo più che sostitutivo dell’aula. Quest’ultima continua a ricoprire il ruolo centrale nella trasmissione delle conoscenze ex-cathedra. L’utilizzo delle tecnologie avviene invece per i momenti di riflessione e di confronto con la rilevazione empirica. Seguendo la definizione allargata di e-learning della CRUI3, che lascia ampio spazio all’utilizzo delle ICT in momenti e modalità diverse del processo di apprendimento, le tecnologie verranno utilizzate per attività complementari all’aula, in particolare di autoriflessione e supporto alla ricerca. Dal punto di vista tecnologico, la mancanza di una piattaforma tradizionale pone il progetto al di fuori di una concezione supply-driven, basata cioè sull’offerta didattica, ma sperimenta una forma di demand-driven e-learning, dove il ruolo degli studenti è fondamentale nella crescita delle competenze e delle conoscenze. Ci si aspetta che parte delle stesse conoscenze necessarie al completamento dei moduli siano ricercate e organizzate dagli studenti nei loro portfolio. Si tratta di un approccio che privilegia un utilizzo delle tecnologie nel loro potenziale di arricchimento piuttosto che in quello di sostituzione al ruolo della lezione in classe. • Life-long learning. Il progetto mira a fornire allo studente una cornice in cui progettare, conseguire e riflettere sui propri avanzamenti in conoscenze e competenze. Sarà obiettivo primario dei tutor che questa impostazione sia interiorizzata dagli studenti e costituisca una base per la guida al loro sviluppo personale anche dopo la fine del progetto pilota. Dato che la piattaforma Digitaal Portfolio, utilizzata nella sperimentazione, permette di conservare i propri archivi a tempo indeterminato, potenzialmente il portfolio di ogni studente diventa la base per i percorsi di apprendimento e crescita durante tutta la vita. Il metodo Portfolio prevede che gli studenti abbiano accesso al proprio archivio anche dopo il completamento degli studi. Portfolio è infatti una base per la crescita delle conoscenze e competenze personali e il suo utilizzo nel corso di un curriculum di studi può costituire un punto di partenza organizzato sul quale poter contare durante la propria carriera professionale o di ricerca. Alla Vrije Universiteit di Amsterdam lo studente paga una trascurabile cifra annuale per continuare a gestire il suo spazio. Un tale utilizzo di Portfolio, in ottica di life-long learning, sarà esplicitamente ricercata e costituirà uno degli indicatori primari del successo del progetto. È probabile che la Società dell’informazione chieda sempre più all’Università, oltre al tradizionale trasferimento di conoscenza, anche di socializzare gli studenti a un apprendimento critico continuativo life-long. • mLearning (mobility learning). Anche in questo caso la sperimentazione non è finalizzata a trovare soluzioni alternative alla formazione tradizionale o a quella on-line ma un supporto e un arricchimen77 3 Il documento della Crui “Quale e-learning per quale università? Spunti di riflessione”, di Dino Pedreschi e Emanuela Stefani, diffuso il 3 maggio 2004, propone 2 definizioni di eLearning: Definizione 1. e-learning = formazione (apprendimento) a distanza attraverso Internet. Definizione 2. e-learning = apprendimento sostenuto dalle ICT, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione – ovvero sistema organizzativo per l’apprendimento, finalizzato alla massimizzazione dell’efficacia e dell’efficienza delle esperienze di apprendimento attraverso l’uso delle ICT. to dell’aula. L’investimento in ricerca e sperimentazione sull’mLearning rappresenta per l’Ateneo un’occasione per inserirsi tra i pionieri dell’innovazione didattica con le ICT, oltre che essere una scelta che può rivelarsi strategica dato l’alto numero di pendolari tra gli studenti. La sperimentazione delle tecnologie mobili in contesto con finalità di fruizione, rilevazione e gestione di dati georeferenziati assume valenza didattica per molteplici aspetti. A livello metodologico, essa risiede nell’opportunità di familiarizzare lo studente con strumenti innovativi di gestione dati in contesto, un ambito oggetto di crescenti investimenti da parte di aziende e organizzazioni di ricerca. A livello di contenuti, invece, lo studente avrà l’opportunità di calare il proprio bagaglio teorico nell’osservazione empirica con le più avanzate tecnologie. Sul piano della gestione del dato, infine, lo studente sarà chiamato a misurarsi con la valorizzazione di un insieme composto di informazione di natura qualitativa e quantitativa, attraverso un unico sistema di processamento. Gli obiettivi del progetto pilota hanno rilevanza sia didattica che scientifica. I seguenti sono ritenuti obiettivi primari: • Sperimentazione dell’utilizzo di modelli didattici innovativi centrati sullo studente, nei quali quest’ultimo è chiamato a prendersi carico della costruzione del proprio percorso originale di maturazione accademica e professionale, basato sullo sviluppo di conoscenze e competenze. • Sperimentazione dell’utilizzo di strumenti mobili in contesti di ricerca e di studio, individuando le aree a maggiore potenzialità applicativa e didattica. • Sviluppo di nuove aree di produzione e ricerca scientifica sulle tematiche oggetto di sperimentazione. • Raccolta di indicazioni importanti circa l’estensione del progetto pilota ad altri programmi formativi dell’Ateneo. • Contributo significativo al processo di decision making dell’Ateneo a livello di politiche per l’applicazione dell’eLearning. La rilevazione di tutti i dati sensibili per la valutazione del successo e dell’applicabilità futura dei modelli didattici testati costituirà una priorità dell’intero progetto pilota. Questionari di valutazione saranno somministrati agli studenti che aderiranno all’iniziativa successivamente a ogni fase critica del progetto (PDP, Feedback, Laboratorio Tecnologico, SRR). In particolare si punterà a raccogliere informazione relativamente a: • la frequentazione di Portfolio, rilevata tramite indicatori quantitativi e qualitativi; • l’analisi della produzione che sarà archiviata nei portfolio, dei PDP, dei feedback di valutazione tra studenti e tutor, e degli altri documenti; • l’utilizzo di Portfolio anche dopo la fine della sperimentazione, che risulterà una cartina di tornasole dell’interiorizzazione della metodologia da parte degli studenti. Al termine del progetto sarà elaborato un dettagliato report di ricerca, in cui verranno presentati i principali risultati e si proporranno alcune indicazioni rilevanti per l’estensione del progetto al di fuori dei confini della laurea specialistica in sociologia. All’inizio dell’a.a. 2005/2006, infine, sarà inoltre organizzato un in78 tervento di follow up, comprensivo di interviste agli studenti sull’utilità percepita nell’uso di Portfolio per il proseguimento della propria carriera professionale o di ricerca. Riteniamo importante che questa esperienza acquisti un senso e dia un contributo alla luce dei cambiamenti dei processi di creazione e fruizione della conoscenza attraverso i nuovi media, e nel contesto più ampio del ruolo dell’Università nella Società dell’informazione. Il cambiamento delle situazioni della produzione e dell’accesso alla conoscenza scuote le forme della tradizionale gestione sociale del sapere. I cambiamenti riguardano in primo luogo la sua accresciuta disponibilità, la disorganicità delle forme del suo reperimento in rete, le capacità necessarie alla selezione efficiente dell’informazione. In secondo luogo riguardano le modalità della codificazione, presentazione, archiviazione della conoscenza. L’insegnamento universitario ha svolto tradizionalmente un ruolo di monopolista della trasmissione del “sapere organizzato” [Martinotti, 1992]. Al suo interno sono nate e cresciute le divisioni disciplinari, la codificazione del sapere e i modelli della sua trasmissione. È per questo che oggi l’insegnamento superiore vive l’urgenza di gestire il cambiamento nelle tecnologie della comunicazione, sia per sfruttarne le potenzialità, sia soprattutto per riconfigurare con successo il proprio ruolo in un ambiente ad informazione diffusa e disorganica. Le reti digitali pongono dei quesiti profondi che riguardano l’organizzazione del lavoro di ricerca e di insegnamento superiore, ma anche le nuove competenze necessarie a produrre valore dalla nuova distribuzione e organizzazione del sapere. Comincia perciò a manifestarsi l’esigenza che l’insegnamento superiore diventi un momento di socializzazione degli studenti all’utilizzo avanzato dei nuovi media, una scuola di produzione di valore dalla materia prima informazione. È interessante capire in che modo questa nuova funzione si affianchi al tradizionale ruolo trasmissivo del sapere, che l’Università ha tradizionalmente detenuto. All’Università sempre di più viene richiesto di formare studenti capaci di selezionare e creare la propria conoscenza, più che trasferire conoscenza già sistematizzata, suo compito tradizionale. In ultima analisi, il progetto e-learning/Portfolio ci pone di fronte a una definizione originale di e-learning, in cui la tecnologia è il mezzo con cui uno studente i) organizza e seleziona con scelte personali le conoscenze e le competenze, in modo ii) strategico per il proprio sviluppo. Riteniamo che questa concezione dell’e-learning emergerà sempre più mano a mano che ci si renderà conto che le capacità di organizzazione strategica della conoscenza, più che il contenuto fornito da una istituzione formativa, sono centrali per lo sviluppo della persona nella Società dell’informazione. Riferimenti bibliografici Bonfiglioli S., Mareggi M. (1997), Il tempo e la città tra natura e storia. Quaderni di Urbanistica, Roma, INU. Jonassen D., Peck K., Wilson B. (1999), Learning with Technology: A Constructivist Perspective, Upper Saddle River, NJ, Merrill. Martinotti G. (1992), Informazione e sapere, Milano, Anabasi. Richards C. (2002), Ict integration, e-portfolios, and learning as an activity-reflection cycle, in Proceedings of the International Education Research Conference, Brisbane, Australia. 79 presupposti teorici dell’e-learning Maura Striano Apprendimento mediato e apprendimento negoziato. Ipotesi per lo sviluppo di comunità di apprendimento nei contesti della Sommario Negli attuali scenari della formazione continua i processi di apprendimento si configurano come processi situati e distribuiti allʼinterno di contesti sociocognitivi intesi come comunità di apprendimento, di pratica, di ricerca. In essi le interazioni sociali, i dispositivi di comunicazione, interazione, mediazione, negoziazione, le trame di significato culturalmente condivise e socializzate giocano ruoli essenziali. La costruzione, lʼimplementazione e lo sviluppo di comunità di apprendimento, di pratica, di ricerca nella formazione continua dovranno agire su: contesti, scenari, configurazioni ambientali, significati, apprendimenti e strutture di conoscenza, traiettorie di partecipazione dei diversi attori sociali attraverso adeguati dispositivi di monitoraggio e controllo di tutti gli elementi in gioco. PREMESSA Quali modelli teorici e metodologici dell’apprendimento possono offrire spunti applicativi per il disegno e l’implementazione di comunità di apprendimento on line? Su quali costrutti si può lavorare? Questi interrogativi rappresentano, a nostro avviso, un fondamentale punto di partenza per una riflessione che intenda mettere a fuoco le teorie e le metodologie più adeguate allo sviluppo di ipotesi di progettazione di ambienti di apprendimento comunitario nei contesti e negli scenari della formazione continua attraverso l’uso delle ICT. Procederemo in modo analitico, scegliendo di approfondire, all’interno di un generale modello di riferimento di matrice socio-costruttivista - che ci sembra il più pertinente ad un lavoro formativo orientato ad utilizzare un dispositivo interattivo e dinamico - alcuni concetti e costrutti che rappresentano gli elementi di riferimento essenziali per il disegno, lo sviluppo e l’implementazione di processi apprenditivi socialmente costruiti, condivisi, negoziati. IL QUADRO TEORICO Negli scenari di ricerca e formazione che caratterizzano le cosiddette knowledge societies i più accreditati orientamenti di studio sui processi conoscitivi fanno riferimento a modelli della conoscenza delineatisi all’interno di un paradigma costruttivista sulla base di istanze presenti nell’epistemologia genetica piagetiana [Piaget, 1952, 1973]. La conoscenza viene quindi studiata come costruzione realizzata da individui e gruppi sociali in risposta ai propri bisogni esplorativi [Ceruti, 1992; Von 83 Maura Striano Università degli Studi di Firenze maura.striano@unifi.it Glasersfeld, 1998]. Essa si configura come dispositivo funzionale alla manipolazione ed alla trasformazione della realtà, sulla scorta di specifiche ipotesi interpretative della stessa. Si ha dunque a che fare con una sorta di “mappatura” di azioni e di operazioni concettuali, dimostratesi viabili nell’esperienza cognitiva dei soggetti individuali e collettivi, che si presenta non come immagine riflessa del mondo reale, ma come costruzione prodotta dall’attività cognitiva umana in relazione ad esso. Le strutture di conoscenza e le teorie cui i soggetti individuali e collettivi fanno riferimento non sono altro che strumenti di adattamento ai contesti ambientali con i quali essi si trovano ad interagire: nella misura in cui risponde adeguatamente ed efficacemente alle esigenze adattive dei singoli e delle comunità sociali, la conoscenza viene conservata, rinforzata e “reificata”, rappresentando un prezioso bagaglio cui attingere in diverse forme e modi; quando le strutture di conoscenza alle quali si fa riferimento si rivelano fallimentari ed inadeguate al confronto con nuove esperienze viene ad attivarsi un nuovo processo “costruttivo”, finalizzato alla riorganizzazione e ristrutturazione della conoscenza preesistente. Su queste basi, bisogna mettere bene a fuoco come apprendere e costruire conoscenza nei contesti di formazione non siano processi che conducono ad assumere informazioni precodificate e saperi organizzati nell’ambito di specifici contesti socio-culturali, ma piuttosto processi individuali e collettivi che consentono di costruire e/o decostruire particolari strutture di conoscenza sulla base di peculiari ipotesi interpretative della realtà [Von Glasersfeld, 1998]. Il lavoro formativo consiste, quindi, nell’operare in funzione della trasformazione di precedenti strutture di conoscenza prodotta nell’ambito dell’agire e del conoscere individuali e collettivi, facendo leva sul riconoscimento auto-riflessivo dell’inadeguatezza di tali strutture di fronte a nuove sollecitazioni ambientali. La conoscenza sorge, così, insieme, dalle azioni e dalle riflessioni dei soggetti su di esse, ed ogni nuova struttura di conoscenza viene, pertanto, necessariamente sviluppata e costruita sulla base di strutture preesistenti, che vengono ad essere consolidate, complessificate, destrutturate e ristrutturate; se la conoscenza ha un valore strumentale ai bisogni adattivi dei singoli e delle comunità, deve trattarsi, inoltre, di una conoscenza pratica, esperienziale, non formale, che si configura come dispositivo di orientamento e guida per le azioni umane in diversi campi e contesti [Fosnot Twomey, 1996; Larochelle, Bednarz e Garrison, 1998]. Ogni conoscenza è contestualmente situata e socio-culturalmente mediata: di significativa utilità negli studi sui processi di costruzione della conoscenza è quindi il riferimento ad un quadro teorico in cui si incontrano approcci costruttivisti, contestualisti, culturalismi, secondo cui i processi di costruzione della conoscenza sono da interpretarsi come esperienze contestualmente e culturalmente situate, attraverso cui un “soggetto epistemico”, facendo uso di strumenti cognitivi culturalmente mediati, “partecipa” ad un patrimonio di saperi, tradizioni, pratiche essendo attivamente implicato nella loro incessante rielaborazione [Lave e Wenger, 1991; Bruner, 1996]. Il contesto risulta, pertanto, essere intrinsecamente legato sia alle diverse individualità soggettive in essi situati [Coulter, 1985] sia ai processi conoscitivi che vi si generano [Ceci, Bronfenbrenner e Baker, 1988; Petit e McDowell, 1986]. È in questo modo 84 che tali processi possono “distribuirsi” tra il soggetto e le risorse (in termini di strategie cognitive, idee, oggetti, sistemi simbolici, strumenti di varia natura, dispositivi di codifica/decodifica/sistematizzazione, ecc.) che contesto e cultura gli offrono in quanto parte integrante del suo conoscere [Salomon, 1993], realizzandosi come efficaci funzioni di formazione. La costruzione e la modifica delle strutture della conoscenza sono, pertanto, contestualmente determinate e non possono realizzarsi se non in relazione ad uno specifico contesto, le cui trasformazioni incidono in modo significativo sui processi e sui prodotti conoscitivi in essi implicati. È inoltre utile mettere evidenza che in ogni contesto sono in gioco sia conoscenze “di senso comune”, “tacite”, “implicite”, “personali” costruite sulla scorta di esperienze individuali e collettive, sia strutture di conoscenza formalizzate e sistematizzate attraverso procedure scientificamente riconosciute. Sia le prime che le seconde sono inscritte in un tessuto di credenze, nozioni, significati, tradizioni, visioni del mondo socio-culturalmente condivise: si tratta di agglomerati concettuali, sistemi di rappresentazioni complesse di proprietà fisiche e culturali attribuite ad oggetti e stati e costruiti all’interno di specifici contesti che sono sempre legati a valori e ad ideologie, ad esperienze vissute ed a credenze, a norme sociali e si accompagnano ad immagini mentali, “script”, “copioni”; aggregandosi e sistematizzandosi in strutture via via più complesse danno quindi luogo a vere e proprie “teorie” che consentono di inquadrare ed interpretare nuovi fenomeni ed esperienze all’interno di un sistema organizzato di ipotesi interpretative, attese, previsioni, spiegazioni. Ne deriva la necessità di assumere come oggetto di ricerca educativa tutte quelle forme di conoscenza empiricamente costruite e culturalmente mediate che costituiscono la struttura di base dei sistemi conoscitivi individuali e collettivi, dalle quali è imprescindibile partire per costruire nuove strutture di conoscenza. È a questo punto anche utile chiarire che i processi apprenditivi che producono le strutture conoscitive condivise all’interno di una comunità sociale sono un’esperienza che si realizza sia a livello individuale che a livello collettivo. Gli studi sviluppati in una prospettiva socio-costruttivista di matrice vygotskiana hanno evidenziato come gran parte dell’apprendimento individuale sia “mediato” da expertise, contesti, interazioni sociali [Feuerstein, 1980] e che una sostanziosa parte dei processi apprenditivi e meta-apprenditivi si realizzino sulla scorta di interazioni intersoggettive che determinano l’emergenza di situazioni apprenditive [Doise, Mugny e Perret-Clermont, 1975; Rogoff, 1990]. Alcuni specifici contesti formativi possono così venire a configurarsi come “comunità di apprendimento” [Brown e Campione, 1990] in cui l’apprendere si determina come processo interindividuale e si costruisce attraverso specifiche forme di interazione cognitiva. Gli studi sugli apprendimenti realizzati in contesti di vita quotidiana [Rogoff e Lave, 1984] ovvero in contesti di pratica professionale [Pontecorvo, Ajello e Zucchermaglio, 1995], con particolare attenzione a quei contesti in cui si sviluppano “comunità di pratica” [Lave e Wenger, 1991; Wenger, 1998], hanno messo a fuoco come i processi apprenditivi siano rappresentabili in termini di processi sempre “situati” in uno specifico contesto situazionale e “distribui85 ti” tra soggetti, artefatti, strumenti [Salomon, 1993]. Ciò rende possibile individuare come unità di analisi non solo i singoli individui, ma le organizzazioni in cui questi individui realizzano le loro pratiche, organizzazioni che vengono rappresentate come veri e propri organismi che apprendono e costruiscono conoscenza [Brown e Duguid, 1991; Allee, 1997]. Gran parte degli apprendimenti individuali - interagendo con gli apprendimenti collettivi - vanno quindi a comporre una complessa architettura, sia integrandosi in essi e contribuendo al loro sviluppo, sia determinando dissonanze, conflitti, chiusure nei sistemi apprenditivi organizzazionali. È dunque estremamente interessante mettere a fuoco gli elementi di congruenza ed incongruenza nell’incontro tra apprendimenti individuali e collettivi e assumere come focus della modellizzazione formativa la definizione di spazi di negoziazione-mediazione tra apprendimenti individuali ed apprendimenti collettivi. D’altra parte nei processi formativi individuali il sistema degli apprendimenti del soggetto si costruisce attraverso una costante integrazione tra apprendimenti realizzati sulla scorta di esperienze individuali ed apprendimenti realizzati sulla scorta di esperienze intersoggettive nell’ambito di contesti sociali. È, pertanto, indispensabile che a livello di formazione individuale tra le due tipologie di esperienze apprenditive esistano sostanziali continuità ed integrazione, che possono essere garantite dall’uso di modelli formativi in cui esistano: a) passerelle e ponti tra gli apprendimenti realizzati in contesti di vita quotidiana ed in contesti professionali e gli apprendimenti realizzati nell’ambito di specifiche situazioni formative; b) una sostanziale integrazione tra esperienze apprenditive realizzate attraverso situazioni di interazione sociale ed esperienze realizzate attraverso situazioni apprenditive in cui il soggetto sia coinvolto individualmente. L’ANALISI CONCETTUALE All’interno di questo quadro teorico complessivo risulta particolarmente funzionale al nostro discorso mettere a fuoco e chiarire alcuni concetti chiave che costituiscono un essenziale punto di riferimento teorico e metodologico per il lavoro formativo. Il primo concetto è quello di comunità. Una comunità è un sottosistema sociale che implica forme di mutua implicazione (i soggetti stabiliscono relazioni reciproche e sono implicati in pratiche di cui negoziano costantemente i significati) e la condivisione di bisogni, obiettivi, orientamenti che fanno delle pratiche che vi si realizzano un’impresa comune (risultato di un processo collettivo di negoziazione definita dai partecipanti mentre lo perseguono; non si tratta di un obiettivo astratto ma concreto, che crea relazioni di mutua affidabilità). Ogni comunità dispone di un repertorio condiviso di attività, relazioni, oggetti che riflettono la storia di mutua implicazione e negoziazioni ed implicano nuove e diverse negoziazioni di significati e che costituisce la piattaforma su cui vengono a costruirsi apprendimenti, conoscenze, saperi, corsi d’azione, pratiche. Quando si progetta un ambiente di apprendimento utilizzando un modello socio-costruttivista si deve pertanto avere ben presente che si ha a 86 che fare con una struttura sociale caratterizzata in modo specifico e peculiare, la quale rappresenta la condizione di possibilità dei processi di apprendimento e di costruzione della conoscenza che in essa si realizzano. Il secondo concetto è quello di apprendimento: in una prospettiva sociocostuttivista l’apprendere si configura come un’esperienza situata [Lave e Wenger, 1991] e distribuita [Salomon, 1993] ma anche culturalmente mediata, socialmente condivisa e partecipata; che nasce dalla negoziazione di nuovi significati e che porta alla creazione di strutture di conoscenza emergenti, alla costruzione di “traiettorie” di partecipazione specifiche e peculiari per i soggetti che vi partecipano [Wenger, 1998], a profonde trasformazioni di assetti conoscitivi, di identità [Wenger, 1998] e di “strutture di significato” [Mezirow, 2003]. Per questo motivo nei contesti di formazione l’apprendimento deve necessariamente essere inteso come esperienza parzialmente osservabile, documentabile, registrabile attraverso dispositivi osservativi e valutativi sulla base di criteri di presenza/assenza, ma nondimeno adeguatamente interpretabile attraverso dispositivi ermeneutici, che ne colgano la dinamicità, la processualità, la pregnanza, la significatività. Il terzo concetto, strettamente correlato ai primi due, è quello di comunità di apprendimento che rinvia all’identificazione di un sottosistema sociale implicante: condivisione e socializzazione di apprendimenti, processi conoscitivi, pratiche sostenute da linguaggi, copioni, script, orientamenti e “filosofie”, teorie più o meno implicite, valori; co-costruzione di processi di apprendimento [Brown e Campione, 1990] e di “storie di apprendimento condivise” [Wenger, 1998]. In una comunità di apprendimento sono in atto forme di mutua implicazione che consentono di identificare il lavoro apprenditivo e di costruzione della conoscenza come “impresa” comune; orientata a sviluppare e costruire nuove teorie, nuove forme di discorso, nuovi stili apprenditivi e cognitivi, nuovi repertori operativi negoziati e condivisi. Per questo motivo, l’unità di analisi e di osservazione non saranno i singoli soggetti, ma le loro “traiettorie di partecipazione” ai processi apprenditivi che si realizzano all’interno di una comunità. In una prospettiva socio-costruttivista la conoscenza (il quarto concetto oggetto di analisi) viene ad essere intesa come un prodotto costruito sulla base di specifici interessi conoscitivi emergenti all’interno di un contesto e condivisi da una comunità; essa è frutto dell’interazione di più soggetti epistemici con un mondo di stati di fatto riconosciuto come tale da una comunità che con esso interagisce. In questo senso, i prodotti conoscitivi (che nascono da progressive destrutturazioni e ristrutturazioni di strutture) devono risultare “viabili” [Von Glasersfeld, 1998], condivisibili (attraverso diverse forme) e trasferibili. Per questo motivo, il prodotto conoscitivo di una comunità di apprendimento avrà senso e valore nella misura in cui andrà a rappresentare e a soddisfare gli interessi conoscitivi della comunità in oggetto ed in questi termini andrà analizzato e valutato in un contesto formativo. I processi apprenditivi e conoscitivi danno luogo a prodotti che si traducono sempre su un piano empirico e che sostengono le azioni e le pratiche in essere all’interno dei contesti sociali in cui sono prodotti. Per questo motivo il concetto di pratica risulta necessariamente implicato nella 87 nostra disamina. Per “pratica” intendiamo, in una prospettiva socio-costruttivista, un “fare situato” in contesti storici e sociali che conferiscono struttura e significato a ciò che facciamo [Wenger, 1998: 47] Ogni pratica implica: elementi espliciti (linguaggi, strumenti, documenti, immagini, simboli, ruoli stabiliti, criteri specificati, procedure codificate, regolamenti e contratti) ed elementi impliciti (relazioni implicite, convenzioni tacite, indizi sottesi, regole non dette, intuizioni, percezioni, sensazioni, comprensioni, assunzioni sottese, visioni del mondo condivise). La pratica è situata in/nelle comunità di persone in relazioni di mutua implicazione, sulla base delle quali i soggetti fanno ciò che fanno ed evolve in termini di “storie di apprendimento condivise” tra i partecipanti alla comunità. Vale a dire che, se è vero che gli apprendimenti e le conoscenze sostengono la pratica, è vero anche che la pratica produce a sua volta apprendimenti e conoscenze le quali rappresentano un patrimonio condiviso e partecipato nella storia della comunità. In questi termini, ogni apprendimento non viene inteso come un’esperienza isolata, ma come un evento all’interno di una sequenza a cui, a diverso titolo e in diverse forme e modi, diversi attori partecipano svolgendo ciascuno un proprio ruolo. Ciò che conta, quindi, non è tanto e non è solo il prodotto del processo apprenditivo, ma piuttosto la sua evoluzione, la sua storia così come viene documentata e testimoniata (attraverso aneddoti, storie, reperti, ricordi) dalla comunità stessa. Diventa pertanto estremamente importante poter far uso, all’interno dei contesti di formazione, di dispositivi di tracciamento e di ricostruzione delle storie di apprendimento che vi si sono prodotte, del ruolo che nei processi apprenditivi è stato giocato da diversi soggetti ma anche da artefatti, materiali, strategie, strumenti. I contesti formativi in cui si realizzano processi di apprendimento comunitario richiedono, pertanto, una molteplicità di livelli di analisi e di approcci: • analisi di contesto (con la realizzazione di mappe contestuali). Richiede un focus su attori, intenzioni, memorie, relazioni, dispositivi di mediazione, comunicazione, negoziazione e socializzazione in gioco nei processi apprenditivi condivisi e negoziati; • analisi di scenario (analisi dei copioni e dei repertori in atto) nei processi di apprendimento e di costruzione della conoscenza; • analisi di configurazione ambientale (analisi delle configurazioni strutturali dell’ambiente di apprendimento che consentano di rilevare dispositivi, risorse, strumenti); • analisi dei significati (messa a fuoco dei significati in campo e dei processi di negoziazione degli stessi, nonché delle strutture e delle prospettive di significato in gioco e dei processi di trasformazione che le interessano); • analisi degli apprendimenti e delle strutture di conoscenza (analisi dei processi di apprendimento intesi come processi adattivi e trasformativi di strutture di conoscenza “viabili” all’interno di una comunità di attori sociali; messa a fuoco dei processi di destrutturazione/ristrutturazione di sistemi di conoscenze nonché dei repertori e delle strategie cognitive messe in campo dai diversi attori all’interno di una comunità di apprendimento); • analisi delle traiettorie di partecipazione (costruzione di dispositivi che 88 consentano di mettere a fuoco e rilevare le traiettorie di partecipazione implicate nei processi di apprendimento mediati e negoziati e le loro trasformazione all’interno delle comunità di apprendimento); • analisi delle pratiche realizzate, condivise, riconosciute come patrimonio comune (anche i processi conoscitivi, intesi come processi messi in atto all’interno di una comunità, si intendono come pratiche). LE IMPLICAZIONI TEORICHE E METODOLOGICHE Dai riferimenti teorici e metodologici che abbiamo scelto e dagli elementi concettuali da noi analizzati scaturiscono, a nostro avviso, alcune significative implicazioni di ordine teorico e metodologico da cui è imprescindibile partire laddove si intenda realizzare una modellizzazione di dispositivi formativi che fanno leva su processi di apprendimento comunitario. La prima implicazione è che l’apprendimento in comunità è un processo costruttivo di ipotesi conoscitive, di strutture di conoscenza e di significati in cui giocano un ruolo essenziale le interazioni sociali, i dispositivi di comunicazione, interazione, mediazione, negoziazione, le trame di significato culturalmente condivise e socializzate. La costruzione e l’implementazione di ambienti di apprendimento comunitario deve pertanto tener conto di tutti questi fattori e delle loro relazioni allo scopo di poter realizzare modelli efficaci, validi e trasferibili nei diversi contesti della formazione continua. La seconda implicazione, strettamente correlata alla prima, è che ogni progetto pedagogico orientato a sostenere la costruzione, l’implementazione e lo sviluppo di comunità di apprendimento dovrà essere giocato, simultaneamente: • sui contesti; • sugli scenari; • sulle configurazioni ambientali; • sui significati; • sugli apprendimenti e sulle strutture di conoscenza; • sulle traiettorie di partecipazione dei diversi attori sociali in essi implicati. Esso dovrà inoltre essere dotato di adeguati dispositivi di monitoraggio e controllo di tutti gli elementi in gioco allo scopo di restituire un quadro il più possibile completo ed esaustivo degli apprendimenti e delle conoscenze realizzati, riconoscendo come in essi abbiano giocato un ruolo ugualmente significativo sia i soggetti, sia elementi ambientali, contestuali, culturali e sociali di cui è sempre necessario dar conto in modo chiaro ed esplicito sia in sede di progettazione formativa, sia in sede di valutazione di processo e di valutazione terminale. 89 Riferimenti bibliografici Allee V. (1997), The Knowledge Evolution: Expanding Organizational Intelligence, Boston, ButterworthHeinemann. Brown A. L., Campione J. C. (1990), Communities of learning and thinking, or a context by any other name, Human Development, 21, pp. 108-126. Brown J. S., Duguid P. 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Negli ambienti virtuali sopravvivono le caratteristiche essenziali dei sistemi percettivi e della loro interna processualità, individuando la presenza di apprendimenti incarnati, attivi e costruttivi. Lʼinterazione da considerare, infatti, non è solo tra il sistema cognitivo e lʼambiente/macchina, ma è lʼinterazione del sistema cognitivo con se stesso, mediata da contesti virtuali. The embodiment of a system is synonymous with competence in its environment. A. Riegler PROSPETTIVE EMBODIED PER L’E-LEARNING? Quando si parla di embodied cognition, cognizione “incarnata”, in senso generale, si allude a un filone della ricerca sui processi di apprendimento, e sulla strutturazione della conoscenza, per il quale le funzioni cognitive si svilupperebbero sempre nell’ambito di contesti specifici e di ambienti complessi - esterni e interni all’organismo - nei quali avvengono azioni interattive e trasformative della realtà circostante da parte del sistema adattivo. Il sistema cognitivo individuale e collettivo, infatti, sembra agire in questi ambiti con finalità adattive funzionali alla propria evoluzione; finalità che si esprimono, appunto, nell’incarnamento e nella situatività della conoscenza e nelle attività che gli individui svolgono all’interno dei contesti sistemici nei quali evolvono. Il filone di ricerca della embodied cognition, in particolare, seppure evidentemente interconnesso con il filone di ricerca della cognizione situata, può rappresentare un campo a sé stante, con peculiari coordinate interpretative, che si è sviluppato a partire dagli anni ottanta [Cantwell Smith, 1999] come reazione alla componente computazionale della scienza cognitiva - la GOFAI (Good Old Fashioned Artificial Intelligence), per intendersi - per la quale la mente è un sistema di organizzazione di simboli in relazione a regole esplicite. Contro i dogmi del cognitivismo computazionale - la rappresentazione mentale, il formalismo e la trasformazione basata su regole - e contro l’idea che sia la forma di un simbolo, e non invece il suo si91 Flavia Santoianni Università degli Studi di Napoli “Federico II” [email protected] Claudia Sabatano Università degli Studi di Napoli “Federico II” [email protected] gnificato, contestuale, a fare evolvere i sistemi modificandone le regole, la embodied cognition riprende il discorso sulla “fondazione” dei simboli attraverso lo studio dei loro possibili significati reali e lo complessifica chiedendosi come i contenuti della cognizione possano trovare il loro fondamento non soltanto nella realtà ma anche, e soprattutto, nell’esperienza “incarnata”, fisicamente vissuta e interpretata [Anderson, 2003]. Questa argomentazione può mettere in discussione l’impianto stesso di una cognizione e-learning, che si basa su esperienze virtuali implementate - da sistemi cognitivi viventi - in sistemi cognitivi non viventi. L’embodied cognition può minare alla base le tesi dell’apprendimento on-line? Cosa rende embodied un sistema cognitivo vivente? Può dirsi embodied un sistema cognitivo non vivente? L’avere disconnesso la forma di un simbolo dal proprio significato ha fatto sì che la scienza cognitiva, di conseguenza, abbia spesso considerato l’elaborazione cognitiva avulsa dalla dinamicità degli ambienti e dei contesti e non sensibile al mutare di essi. La fondatività delle rappresentazioni di conoscenza è, infatti, un problema che, se non affrontato, può portare all’elaborazione di simboli, o di sistemi di simboli, irreversibilmente slegati dalla realtà che li ha prodotti; in questo senso, per evitare che la capacità umana, individuale e collettiva, di attribuire significati sia soltanto una modalità interpretativa che funge “da intermediario” tra l’individuo e la realtà, la ricerca sulla embodied cognition tende a scegliere approcci epistemologici bottom up; approcci nei quali, cioè, i simboli di riferimento e le modalità elaborative del pensiero non sono fondati in modo autonomo dagli individui ma sono, invece, costruiti dagli individui nell’interazione con specifici ambienti e contesti; sono, cioè, il prodotto di percezioni, e di azioni, attivatesi in concrete situazioni spazialmente e temporalmente definite. La strutturazione degli schemi concettuali nascerebbe, dunque, da criteri pratici, da azioni, da esperienze, perché è proprio attraverso le esperienze che gli individui si adattano alla realtà circostante e trovano il proprio modo di interagire con l’ambiente e di affrontarne il continuo modificarsi, a livello ontogenetico e filogenetico [Frauenfelder e Santoianni, 2002; Frauenfelder, Santoianni e Striano, 2004]. Pertanto, uno dei nuclei di significato della cognizione “incarnata” può essere identificato proprio nel rapporto di trasformazione interattiva e adattiva che si viene a creare tra l’individuo e l’ambiente e nella funzione che, al suo interno, possono svolgere i processi della cognizione. Una delle caratteristiche dei sistemi viventi è, infatti, quella di essere adattivi - di cercare, cioè, continuamente, strategie di sopravvivenza che si rivelino essere sempre migliori rispetto a quelle già adoperate [Orefice, 2001, 2003]. In questo senso, il concetto di embodiment sta a indicare proprio l’insieme dei modi attraverso i quali i sistemi adattivi entrano in relazione con l’ambiente. Da questo punto di vista, il concetto di embodiment si differenzia da quello di situatività, e la cognizione incarnata si differenzia dalla cognizione situata. Il concetto di situatività implica, infatti, l’idea che il mondo fisico possa influenzare il comportamento di un individuo, e le sue attività, quasi come se questi emergessero “di ri92 flesso” rispetto a una data struttura ambientale con la quale il soggetto interagisce. La funzionalità cognitiva sarebbe, dunque, un riflesso dell’ambiente; conoscere significa, in questo modo, interpretare i significati e decodificarne la complessità. Il concetto di embodiment va al di là di questo nodo interpretativo e attesta, invece, che la fondazione dei significati si trovi, come si è detto, nella fisicità; una fisicità che non vuol dire, soltanto, essere in un ambiente e ricevere da esso ma significa, anche, agire in un ambiente, interagire con esso in modo attivo e, soprattutto, interdipendente. L’interdipendenza tra l’individuo e l’ambiente è il punto focale del concetto di “incarnamento” della conoscenza, perché presuppone un accoppiamento strutturale tra di essi - l’individuo è un agente autonomo ed è, tuttavia, imprescindibilmente legato all’ambiente [Riegler, 2002]. Il concetto di embodiment, dunque - se interpretato in questo senso può essere la chiave interpretativa per giustificare approcci embodied nei sistemi cognitivi viventi e non viventi, nelle situazioni di interazione fisica e nelle situazioni di interazione virtuale. Perché un sistema sia embodied, si è detto, occorre che esso sia “strutturalmente accoppiato” con il proprio ambiente. Ciò non significa, soltanto, che un sistema possa essere suscettibile di modificare la propria struttura, se non la propria organizzazione, in relazione alle perturbazioni che provengono dall’ambiente [Maturana e Varela, 1985]; significa, invece, che esiste una mutua interattività tra il sistema e l’ambiente, di una tale complessità che ogni individuo - per essere considerato “strutturalmente accoppiato” con il proprio ambiente e, quindi, embodied - dovrebbe mostrare di poter gestire. In altre parole, nel concetto di “incarnamento” della conoscenza non vi è, soltanto, l’idea che un dato ambiente possa influire su un dato individuo; vi è, piuttosto, sottesa l’idea che il rapporto sia reciproco e che, di conseguenza, un dato individuo possa influire su un dato ambiente. Da questo punto di vista, i processi di rappresentazione e di comprensione vanno reinterpretati e non si configurano più, soltanto, come contestualmente dipendenti; si possono configurare, invece, come sistemadipendenti, cioè dipendenti dalle esperienze che ogni individuo agisce e mette in relazione con le precedenti esperienze [Riegler, 2002]. Questo modo di vedere il concetto di embodiment supera una visione epistemologica esclusivamente bottom up e si apre alla considerazione di e alla mediazione con una visione epistemologica top down. In questo senso, ci si avvicina ad un’idea costruttivista dello sviluppo dei processi di conoscenza per la quale, in senso piagetiano [Piaget, 1967], l’“incarnamento” di un soggetto sta proprio nelle dinamiche di assimilazione e accomodamento che riesce ad attivare nella ricerca, continua, di relativi momenti di equilibrio con il proprio ambiente. Questa posizione di pensiero, in linea generale, può portare a ciò che viene definita [Riegler, 2002] un’interazione percettiva on demand; se i processi della cognizione non possono essere separati dalla dimensione ambientale, nello stesso tempo la dimensione ambientale e i processi di “incarnamento” della conoscenza non possono essere separati dall’autonoma sistematicità della cognizione; pertanto, si può attribuire al concetto di embodiment una qualità di interazione dell’individuo 93 con l’ambiente che coinvolge in modo dinamico entrambi i poli della relazione e dipende in larga misura dalle modalità adattive che gli individui attivano producendo sempre nuove strategie organizzative e di approccio ai contesti. Qui si legge, anche, la situatività della conoscenza [Borghi e Iachini, 2002]: il punto di vista dell’osservatore è dentro la situazione di apprendimento ed evolve con essa; non si possono stabilire a priori né regole né previsioni di fasi di svolgimento; le interazioni cognitive dei sistemi viventi si realizzano nella dinamicità dell’ontogenesi e dipendono dalla domanda dell’ambiente e dalle domande che i sistemi cognitivi si pongono per adattarsi all’ambiente nel corso del proprio sviluppo. Embodiment significherà, allora, approccio competente, rilevante ai fini adattivi, che il sistema-individuo costruisce nel tempo, in modo dinamico ed evolutivo, attraverso il quale si “accoppia strutturalmente” con il proprio ambiente. Pertanto, se si vuole ascoltare la lezione della embodied cognition e trasporla nella strutturazione di un ambiente di apprendimento virtuale, ideato per la gestione e l’integrazione della conoscenza, non si può non considerare che l’ambiente di apprendimento non deve essere del tutto prestrutturato, predefinito, e deve avere un innesco evolutivo. Si evita, così, la cosiddetta Pac Man syndrome, la sindrome legata all’estrema progettazione e definizione dei sistemi interattivi, sindrome che ricorda la nozione bruneriana di well formedness [Bruner, 1996] nel paradigma computazionale. Un ambiente di apprendimento virtuale, per essere “incarnato”, deve, dunque, essere parzialmente aperto e riproduttivo, autogenerantesi; dinamico ed evolutivo; lasciare che i soggetti interagiscano e che, nell’interagire, divengano sempre più competenti nel costruire, di volta in volta, i propri obiettivi “situati” di sviluppo. Deve lasciare, ancora, il punto di vista dell’osservatore all’interno della situazione di apprendimento e permettere che evolva con essa. Se si adotta questo punto di vista, il concetto di embodiment non sembra più una categoria correlabile soltanto agli esseri viventi. Anche un ambiente di apprendimento artificiale può essere “incarnato” - se permette ai soggetti di interagire, al suo interno, in modo autonomo, adattivo, storicamente orientato e dinamicamente evolutivo; se permette ai soggetti di costruire il proprio percorso, lasciando che siano essi ad “accoppiarsi strutturalmente” con l’ambiente (reale o artificiale) senza che l’ambiente stesso prenda, in alcun modo, il sopravvento sulla gestione individuale dei processi della conoscenza. SISTEMI PERCETTIVI E AMBIENTI VIRTUALI Se gli ambienti virtuali possono, in un certo senso, definirsi embodied, come si può intendere in essi il funzionamento dei processi percettivi? Come agiscono i sistemi percettivi negli ambienti di apprendimento artificiale? Se l’embodiment è fatto salvo nei luoghi artificiali dell’apprendere, perché si può pensare che la percezione possa venire in qualche modo modificata dall’agire all’interno di una realtà virtuale? Confermare la presenza negli ambienti virtuali di processi di apprendimento situati, incarnati, attivi e costruttivi, dovrebbe poter significare 94 far valere queste stesse caratteristiche anche all’interno dei processi di percezione che gli ambienti virtuali, esattamente così come ogni altro ambiente di apprendimento, richiedono. La virtualizzazione delle percezioni – e del corpo che percepisce – non può significare che le percezioni non sono più reali o attive o costruttive, ma semplicemente che esse si riferiscono ad ambienti di apprendimento altri rispetto a quelli tradizionali, ad ambienti e spazi slegati dal qui ed ora [Levy, 1995] che permettono di sperimentare l’integrazione dinamica di modalità percettive differenti [Fencott, 2004]. Pur sembrando necessario tenere in considerazione la differenza del percepire in ambienti reali o artificiali, rimane importante evidenziare la centralità in ogni sistema percettivo non tanto del percetto fornito dall’ambiente – reale o virtuale che sia – ma del percipiente [Bruner e Minturn, 1955]. Ciò che fa la percezione, infatti, non è soltanto la ricezione dello stimolo in sé ma il processo attivo e costruttivo di rielaborazione e organizzazione che il soggetto costruisce a partire da esso. L’idoneità della percezione – come fra i primi Bruner sosteneva [1976] - non sta negli stimoli, ma nella predisposizione o, meglio, nella prontezza (readiness) di colui che percepisce, nella disponibilità e nell’accessibilità di sistemi di categorie entro i quali si possono collocare i nuovi stimoli. Il percepire, in tal senso, è un processo di natura inferenziale attraverso il quale un evento stimolante viene riferito a una classe di oggetti o eventi in base agli attributi salienti che lo caratterizzano. Il percepire, perciò, è l’andare oltre lo stimolo, costruendo processi di interpolazione, estrapolazione e previsione dei dati, è un processo attivo [Bruner, 1973, 1974] che riflette non solo la struttura dello stimolo nella ridondanza delle sue caratteristiche, ma anche la probabilità del verificarsi di determinati eventi in un determinato contesto. L’idea bruneriana - costruttivista e contestualista - dei sistemi percettivi solo negli ultimi anni è stata confortata da alcune scoperte di ambito neuroscientifico, le quali stanno via via dimostrando come la sfera percettiva e sensoriale non sarebbe solo il primo posto dove arrivano le informazioni, ma potrebbe essere considerata zona cerebrale capace, essa stessa, di svolgere funzioni elaborative complesse. Per lungo tempo, infatti, la ricerca pedagogica ha risentito di una concezione scientifica “tradizionale” della percezione, secondo la quale la sfera sensoriale e percettiva sarebbe collocata sul gradino più basso del percorso evolutivo del pensiero, come base dell’apprendimento. Il complesso di studi e di ricerche dal quale si origina la visione “tradizionale” del sistema cognitivo definisce tale sistema come gerarchicamente organizzato in senso ascensionale, dai processi sensoriali di primo livello – che elaborano l’input finché direttamente presente – ai processi mentali superiori che, utilizzando i resoconti offerti dalle zone corticali sensoriali, procedono all’elaborazione, alla codifica e alla conservazione dello stimolo. Secondo queste teorie, le prime tappe del trattamento percettivo sono immutabili, nel senso che forniscono un resoconto “costante e statico – quasi meccanico” [Diamond, 2002: 193] degli input esterni, dando ai sensi carattere di stabilità e sicurezza. 95 La teoria neuroscientifica tradizionale di tipo gerarchico sequenziale sull’organizzazione che presiede la strutturazione neurocognitiva del soggetto ha trovato lungo riscontro in una visione pedagogica del processo di sviluppo e maturazione cognitiva di tipo diacronico e cumulativo, visione nella quale, cioè, la crescita individuale viene considerata in senso stadiale come processo di incremento e sofisticazione progressiva dei processi cognitivi, in un percorso formativo bottom-up che parte dai sensi per arrivare alla conoscenza. Alcuni recenti filoni di ricerca nelle neuroscienze cognitive [Harris et al., 2002; Panzeri et al., 2003] sembrano, invece, incoraggiare prospettive di formazione sincroniche e trasversali, tese cioè a considerare lo sviluppo come percorso complessivo nel quale interagiscono in modo circolare i sensi, le percezioni, le rappresentazioni, i concetti, ecc., come forme diverse, e in parte compresenti, di approccio alla realtà esterna. Queste ricerche sembrano incoraggiare l’idea che possano esistere dinamiche di circolarità, di compresenza, di interazione sinergica che consentono di pensare allo sviluppo cognitivo non tanto e non solo in prospettiva lineare – sia essa di tipo bottom up o top down - ma anche in dimensione multipla e parallela, dimostrando che la corteccia sensoriale - dove ha sede l’apprendimento percettivo - ha una sua plasticità, non è una struttura invariante e statica, ma si modifica in relazione all’ambiente e alle esperienze individuali e non è identica in tutti gli individui di una stessa specie, ma varia in base all’apprendimento e ai differenti contesti ambientali. Negli ultimi sei o sette anni, altre scoperte neuroscientifiche hanno aggiunto ancora alcuni interessanti elementi, utili a suggerire l’ipotesi che l’apprendimento percettivo si organizzi in relazione a una specifica forma di intelligenza, definita intelligenza percettuale [Diamond, 2003]. Di fronte a questi risultati, la posizione che generalmente le teorie dello sviluppo cognitivo assegnano alla dimensione percettiva sembra avere bisogno di una ridefinizione pedagogica, indirizzata verso una visione sincronica della funzionalità cognitiva che consideri l’azione convergente, parallela e trasversale delle modalità elaborative e che riconosca alla dimensione sensoriale e percettiva una qualità cognitiva – elaborativa, discriminativa e mnestica – che può essere espressione di una specifica forma d’intelligenza, l’intelligenza percettuale, appunto. Da questa intelligenza, infatti, scaturirebbero precise modalità di apprendimento di tipo percettivo capaci di garantire non solo percorsi di codifica primaria delle informazioni, ma anche codifiche elaborative complesse. Ciò significa, dunque, che i sistemi percettivi sono espressione di un processo topologico – perché relativo a specifiche sedi di elaborazione – e dinamico – nel quale, cioè, le differenti zone e funzioni interagiscono fra loro – che si verifica seguendo vie gerarchiche, interconnesse alle molteplici rappresentazioni dell’oggetto percettivo, e vie parallele e simultanee [Fahle, 1994] che, unendosi trasversalmente, consentono di attivare processi di analisi e sintesi dell’input sensoriale, assicurando una percezione globale dello stimolo. 96 Per quanto diverso possa essere l’ambiente virtuale da quello reale [Burbules, 2004], per quanto negli ambienti virtuali la percezione si svolga senza riferirsi alla dimensione spazio-temporale cartesiana o allo spazio-tempo biofisico, sembra difficile poter pensare che in contesti artificiali questa identità dei sistemi percettivi possa venir meno. Anche in questi ambienti, infatti, sopravvivono le caratteristiche essenziali dei sistemi percettivi e della loro interna processualità e funzionalità. Nel virtuale, cioè, il sistema percettivo e cognitivo può muoversi sempre utilizzando quella natura attiva, costruttiva, adattiva ed autoregolativa che lo distingue. La percezione negli ambienti di apprendimento virtuale, pur essendo ridistribuita e disseminata in reti informatiche e spostata verso contesti artificiali, si costruisce in base ai processi on demand [Riegler, 2002] che il sistema cognitivo adattivamente ed evolutivamente esprime nei confronti del mondo esterno. Qui, pertanto, l’interazione da considerare non è tanto sistema cognitivo-ambiente o sistema cognitivo-macchina, ma è l’interazione del sistema cognitivo con se stesso, mediata da contesti virtuali. Tale interazione è il centro dell’apprendimento e il cardine intorno al quale ruotano tout court i processi percettivi e cognitivi. 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Il contributo, in particolare, si interroga sullʼutilizzabilità dei dati ricavati dalla SNA per rappresentare e favorire in itinere le interazioni allʼinterno di piccoli gruppi di apprendimento collaborativo in rete. Elvis Mazzoni LA SNA APPLICATA AI GRUPPI COLLABORATIVI IN RETE Uno degli indiscussi vantaggi degli attuali ambienti di comunicazione, collaborazione e cooperazione virtuali in rete (siano essi piattaforme o singoli strumenti, come un sito Web, una chat, un Web forum o una videoconferenza) è la possibilità di raccogliere ed elaborare in maniera automatizzata i dati provenienti dall’utilizzo di tali tecnologie da parte degli utenti. A partire da questi dati, è possibile indagare l’interazione in rete in base a due differenti prospettive: interazione dell’utente con lo strumento (ad esempio, i classici studi di ambito Human Computer Interaction) ed interazione all’interno di un gruppo di soggetti che utilizzano lo strumento per comunicare (Computer Mediated Communication). Nella seconda accezione l’analisi si focalizza sullo scambio di informazioni e/o materiali fra i vari soggetti che compongono il gruppo collaborativo, per cui può risultare particolarmente efficace analizzare questi dati secondo l’approccio della Social Network Analysis [Mazzoni, 2004]. La Social Network Analysis (SNA) è un ambito di indagine della sociologia e dell’etnografia che, partendo dalle relazioni esistenti fra le singole unità di un determinato gruppo, ne analizza la struttura (rete di relazioni) nonché l’influenza che su di esso hanno le singole unità [Reffay e Chanier, 2002]. I dati analizzati tramite SNA sono detti relazionali e rappresentano collegamenti, contatti o legami esistenti fra determinate entità, siano esse persone oppure organizzazioni più o meno grandi (gruppi, famiglie, società, organizzazioni, nazioni, popoli). Le relazioni considerate possono essere rappresentate da “scambi” di vario genere (ad esempio, amicizia, denaro, flussi di materiali o di informa- Antonio Fini 101 Università degli Studi di Bologna [email protected] Antonio Calvani Università degli Studi di Firenze [email protected] Università degli Studi di Firenze anto@fininformatica.it Giovanni Bonaiuti Università degli Studi di Firenze g.bonaiuti@unifi.it zioni, valutazioni che un individuo fa su di un altro, ecc.) e costituiscono delle proprietà delle coppie in gioco e non delle singole entità. L’analisi delle reti sociali può essere effettuata a due differenti livelli: 1. la Ego-centered Analysis, che si focalizza sui singoli attori e sulle loro relazioni all’interno della rete; 2. la Whole Network o Full Network Analysis, invece, che concentra l’attenzione sull’intera rete e sulle sue caratteristiche strutturali [Garton, Haythortnthwaite e Wellman, 1997]. La Ego-centered Analysis offre una rappresentazione della rete “locale” o “vicinato” che caratterizza un singolo attore, fornendo utili informazioni per comprendere come la rete influisce sul “comportamento” del singolo. La Whole Network Analysis analizza la struttura dell’intera rete sociale, nonché le sotto-componenti che la caratterizzano, per cui richiede che si raccolgano dati circa i legami che connettono tutti gli attori di un determinato gruppo, comunità o popolazione. Già da qualche tempo, fra l’altro, sono disponibili vari software (per fare qualche esempio, Ucinet, Multinet, Negopy, Krackplot, Gradap, NetMiner) che elaborano i dati relazionali contenuti nelle matrici ed offrono una rappresentazione grafica (grafo o sociogramma) della rete di relazioni che caratterizza un determinato gruppo (fig. 1). A A B C D E F G 10 42 5.0 2.0 6.0 6.0 B 9 51 2 4 9 7 C 40 57 9 13 21 19 D 2 1 21 0 0 2 E 3 1 21 0 2 2 F 6 2 26 0 3 3 G 4 2 29 0 1 1 A 5 D 2 21 1 2 6 42 10 9 9 57 2 9 B Matrice dei dati relazionali di NetMiner e rappresentazione grafica delle relazioni (grafo o sociogramma). 4 G 13 1 21 E 3 1 20 2 C 40 2 21 1 2 6 7 4 9 Figura 1 2 8 26 F 3 2 Ambiti di applicazione Gli ambiti di applicazione della SNA sono molteplici e vanno dai macrosistemi economici e politici (come le nazioni) caratterizzati da relazioni di scambio, ai sistemi commerciali di varia grandezza, sino ai piccoli gruppi di persone caratterizzati, ad esempio, da relazioni di amicizia, supporto e parentela. Per quanto riguarda i macrosistemi mondiali della politica e dell’economia, ricordiamo, ad esempio, gli studi di Snyder e Kick [1979], Breiger [1981] e Nemeth e Smith [1985] sull’influenza che la posizione occupata da una nazione all’interno di una rete di scambi può avere sul suo tasso di sviluppo ed industrializzazione. Un’analisi di sistemi più locali è rintracciabile in Galaskiewicz [1985] e in Galaskiewicz e Wasserman [1989], i quali hanno analizzato il livello ed il tipo di supporto economico dato da corporazioni, banche ed assicurazioni alle organizzazioni non-profit e di beneficenza dell’area metropolitana di Minneapolis/St. Paul. Restringendo ulteriormente i confini dell’analisi, Krackhardt [1987] ha utilizzato la prospettiva delle reti sociali per studiare la percezione della rete di relazioni che caratterizzano il supporto informale e l’amicizia all’interno 102 di una piccola organizzazione manifatturiera, mentre Padgett e Ansell [1993] hanno utilizzato in modo originale la SNA per analizzare le relazioni di potere (basate su matrimoni ed affari) che legavano le famiglie fiorentine del XV secolo e che hanno portato all’egemonia della famiglia Medici. Ultimamente i campi di applicazione della SNA si sono ulteriormente ampliati abbracciando Internet e le comunità virtuali. Per quanto concerne Internet, Park e Thelwall [2003] presentano una recensione di varie ricerche basate sulla Hyperlink Network Analysis, ovvero la SNA applicata alle relazioni che caratterizzano determinati siti o pagine Web. Per quanto riguarda le comunità virtuali, l’interesse dei ricercatori si è focalizzato principalmente sull’applicazione della SNA ai gruppi di persone che interagiscono in rete per raggiungere determinati obiettivi, in particolare i gruppi che cooperano e collaborano in rete con fini lavorativi o per l’acquisizione di conoscenze e competenze (Computer Supported Cooperative Work, Computer Supported Collaborative Learning). Freeman, uno dei più eminenti studiosi di reti sociali, già sul finire degli anni ’70 si è cimentato con questo nuovo ambito di applicazione della SNA, analizzando la rete di interazioni creatasi all’interno di una comunità virtuale caratterizzata da ricercatori provenienti da varie discipline scientifiche [Freeman e Freeman, 1979; Freeman e Freeman, 1980; Freeman, 1986]. A partire da questi studi iniziali effettuati ancor prima della nascita di Internet, recentemente sono comparsi altri studi che hanno applicato la SNA ai gruppi virtuali. Un importantissimo contributo è una disamina di Garton, Haythornthwaite e Wellman [1997] nella quale, oltre alle caratteristiche principali della SNA, sono presentati alcuni strumenti che la rendono un’utile prospettiva per analizzare le situazioni di comunicazione mediata da computer (CMC). Sulla stessa scia si colloca lo studio di Cho, Stefanone e Gay [2002], nel quale la SNA è utilizzata per analizzare le navigazioni e gli scambi via e-mail di un gruppo di studenti. Applicando la SNA alle interazioni in gruppi virtuali per l’acquisizione e la costruzione di conoscenze, alcuni autori hanno sottolineato l’importante ruolo che può avere questo tipo di analisi per rilevare, in itinere, un problema o un decadimento nelle interazioni del gruppo e, quindi, apportare gli opportuni accorgimenti perché l’acquisizione di conoscenze abbia luogo [Reffay e Chanier, 2002; Sha e van Aalst, 2003]. L’analisi di questi gruppi spesso si è avvalsa anche di tecniche miste, che combinano cioè la SNA ad altre tecniche di analisi, principalmente l’analisi dei contenuti dei messaggi scambiati [Aviv et al., 2003; Martinez et al., 2002, 2003; Palonen e Hakkarainen, 2000]. GLI INDICI DI CUI SI AVVALE LA SNA La SNA si avvale in particolare di alcuni indici di cui fornisce una rappresentazione grafica. Tra i più comunemente utilizzati ricordiamo gli indici di densità, di connettività e di centralità, nonché l’analisi della coesione e dell’equivalenza strutturale: a) Indice di densità. L’indice di densità può essere calcolato considerando la sola presenza/assenza di un legame fra i punti del grafo 103 a Figura 2 Gruppo a bassa connettività. Eliminando il punto “a” o il punto “b”, oppure la linea che li unisce, restano due sottogruppi non comunicanti. 1 Il grafo in cui ogni punto è collegato ad ogni altro punto presente. 2 Per un approfondimento si rimanda il lettore ai contributi di Wasserman e Faust [1994] e di Scott [1997]. (dati dicotomizzati), dunque indipendentemente dall’ammontare dei messaggi scambiati, oppure basandosi sull’ammontare complessivo degli scambi realizzati ovvero l’intensità. Nel primo caso, l’indice è un valore che oscilla fra 0 e 1 e descrive quanto la distribuzione globale delle linee del grafo si distanzia dalla configurazione di grafo completo1 [Wasserman e Faust, 1994; Scott, 1997]. Nel secondo caso, l’indice di densità descrive la concentrazione (strength) media dei legami all’interno di un grafo dotato di valore ovvero di cui si considera l’intensità dei legami [Wasserman e Faust, 1994]. Un indice di densità elevato indica che ogni soggetto del gruppo ha interagito con quasi tutti o tutti gli altri soggetti, mentre un indice di densità piuttosto basso indica che alcuni soggetti hanno interagito selettivamente con determinati soggetti, ma non con altri. L’indice di densità si basa su di un altro parametro importante cioè l’inclusività, ovvero la percentuale di soggetti che partecipano alle interazioni. Il valore massimo di questo parametro è del 100% ed indica che tutti i soggetti hanno partecipato alle interazioni e, conseguentemente, non vi sono soggetti isolati. b) Connettività. La Connectivity Analysis analizza la vulnerabilità di una rete di relazioni ed è funzione di quanto un grafo rimane coeso allorché vengano eliminati alcuni punti e/o alcune linee. Un indice di connettività elevato indica che le interazioni all’interno del gruppo non si sfaldano neppure qualora alcuni soggetti siano impossibilitati a partecipare oppure qualora si interrompano determinati scambi fra alcuni dei soggetti. Un indice di connettività basso indica che le b interazioni fra i soggetti sono deboli ed è sufficiente rimuovere uno o alcuni soggetti, o interrompere alcuni scambi fra di essi, per disconnettere il gruppo e creare dei sottogruppi o componenti non comunicanti (fig. 2). c) Centralità. L’indice di centralità descrive gli attori “più centrali”, “più importanti” o “preminenti” all’interno di una rete sociale [Wasserman e Faust, 1994] e risulta tanto più elevato quanto più l’attore ha un ruolo centrale nelle interazioni del gruppo. Mentre la centralità è una caratteristica dei singoli attori, l’indice di centralizzazione descrive quanto un determinato grafo è centralizzato intorno ad uno o più punti che lo caratterizzano e, secondo Wasserman e Faust [1994], è una misura della dispersione delle misure di centralità dei singoli attori. Fra i vari indici di centralità e di centralizzazione2, di particolare interesse per i gruppi collaborativi è la betweenness centrality [Freeman, 1979]. Questo approccio si basa sul concetto di “dipendenza locale”: un punto si dice dipendente da un altro punto se le sue connessioni con gli altri punti del grafo passano attraverso questo secondo punto. Questo indice esprime, dunque, “la misura in cui un attore può giocare la parte del ‘mediatore’ o ‘guardiano’ con un potenziale di controllo nei confronti degli altri” [Scott, 1997: 128]. d) Coesione. L’analisi della coesione è volta ad individuare i sottogruppi coesi (cliques) in cui una rete può essere suddivisa. Le cliques rappresentano sottografi completi di tre o più punti in cui ogni punto 104 Figura 3 mdamore Cliques del gruppo collaborativo di figura 1. afatai vincenzog Izunino mscardino isulli Ifaraldi G1 G2 è connesso a tutti gli altri [Wasserman e Faust, 1994; Scott, 1997]. Potremmo definire le cliques come sottogruppi di soggetti che hanno interagito preferenzialmente fra di essi e poco o per nulla con altri soggetti (isolati o appartenenti ad altre cliques). In figura 3 è rappresentato un gruppo composto da 2 cliques (G1 e G2). I 4 soggetti posti al centro del sociogramma (afatai, isulli, ifaraldi e vincenzog) sono parte di entrambe le cliques e, perciò, potrebbero essere descritti come gli attori principalmente coinvolti nelle relazioni dell’intero gruppo. e) Equivalenza strutturale. Gli indici considerati sinora riguardano e “descrivono” la struttura d’insieme delle interazioni fra gli attori di una determinata rete sociale. L’equivalenza strutturale, al contrario, analizza le posizioni che i singoli attori occupano all’interno della rete di relazioni. L’analisi dell’equivalenza strutturale si basa sul concetto di ruolo introdotto da Lorrain e White [1971]. Secondo gli autori, due pun- 1,6 -1,29 -0,98 -0,67 -0,37 -0,06 0,25 0,56 0,87 1,18 Ifaraldi – 0,81 – 0,66 – 0,5 – 0,34 – 0,18 – 0,02 – 0,14 – 0,29 – 0,45 – 0,61 Izunino mdamore vincenzog mscardino afatai isulli Proportion Explained: 0,705 105 Figura 4 Analisi dell’equivalenza strutturale regolare effettuata con NetMiner. ti strutturalmente equivalenti, caratterizzati cioè dalle stesse relazioni con gli altri punti, hanno una stessa parte (ruolo) all’interno della rete e perciò possono considerarsi fra loro interscambiabili. All’interno dei software per la SNA, la rappresentazione dell’equivalenza strutturale avviene normalmente tramite Multi Dimensional Scaling (fig. 4) o dendogramma. Questo tipo di analisi potrebbe risultare particolarmente importante per individuare quegli attori che hanno partecipato e/o sorretto in maniera simile l’interazione all’interno del gruppo. 3 NetMiner II. Ver. 2.5.0., 2004. Seoul: Cyram Co., Ltd. L’INDAGINE Sulla scia degli studi precedentemente descritti, abbiamo applicato l’analisi delle reti sociali a 24 Web forum caratterizzati da piccoli gruppi di adulti in formazione che collaboravano per raggiungere un obiettivo finale. Questa ricerca è stata condotta seguendo due obiettivi distinti, ma conseguenti: analizzare la struttura delle interazioni nei gruppi analizzati e, quindi, valutare se e quali informazioni ed indici della SNA possano essere maggiormente adeguate ed interessanti per descrivere/comprendere la collaborazione in rete all’interno di piccoli gruppi. Nel corso delle nostre attività di ricerca, come Laboratorio di Tecnologie dell’Educazione dell’Università di Firenze, abbiamo deciso di adottare dall’anno accademico 2003-2004 Synergeia c ome ambiente CSCL a supporto delle attività collaborative su Web. In questo contesto applicativo uno strumento come Synergeia [Stahl, 2004] è in grado di offrire una vasta gamma di accessori e di strumenti capaci di guidare e supportare i gruppi nel corso dei processi formativi. In particolare è disponibile una notevole quantità di indicatori capaci di informare gli utenti sulla collocazione delle risorse e sull’uso che ne è stato fatto all’interno del gruppo. Come molti strumenti gratuiti, anche Synergeia pecca però di incompletezza su alcuni versanti: in questo caso il monitoraggio e l’analisi delle informazioni tracciate. Il fatto, poi, che Synergeia sia il prodotto di un progetto europeo oramai concluso non consente di auspicare l’integrazione delle funzioni mancanti in un futuro prossimo. Il primo interrogativo al quale dare una risposta è stato, dunque, su quali dati basarci per analizzare la struttura delle interazioni dei 24 gruppi collaborativi che hanno utilizzato Synergeia. Per ricavare i dati necessari ad analizzare le interazioni all’interno dei forum di discussioni in rete, abbiamo proceduto alla “decodifica” delle informazioni contenute all’interno del file di log e alla loro conversione in formato tale da essere utilizzate tramite un software appositamente predisposto per “filtrare” tali informazioni e recuperare i dati utili per l’analisi delle interazioni. Grazie a questo strumento, è stato relativamente semplice procedere all’estrazione dei messaggi dei Web forum appartenenti ad un determinato gruppo ed ottenerne l’esportazione totale su foglio elettronico, nonché ottenere l’esportazione automatica della matrice SNA con il computo dei messaggi e delle risposte che ogni soggetto ha inviato a tutti gli altri. Varie sono le dimensioni strutturali di una rete di relazioni analizzabili tramite la SNA. Relativamente agli ambienti collaborativi che interagiscono in contesti virtuali quali un Web forum, gli indici che assumo106 no particolare rilievo sono la densità, la centralità e l’analisi della coesione [Cho, Stefanone e Gay, 2002; Reffay e Chanier, 2002; Aviv et al., 2003; Sha e van Aalst, 2003]. A queste dimensioni, che abbiamo calcolato per ognuno dei gruppi analizzati, abbiamo aggiunto l’analisi della connettività e l’analisi dell’equivalenza strutturale. Nei paragrafi successivi, avvalendoci di alcuni esempi tratti dall’analisi di uno dei 24 Web forum ed utilizzando il software NetMiner3, sono descritte le caratteristiche principali delle analisi effettuate sui piccoli gruppi collaborativi che hanno utilizzato Synergeia. SNA E STRUTTURE DI INTERAZIONE soggetto5 Nel corso dell’anno abbiamo recuperato i dati 20 soggetto2 26 relazionali sui vari gruppi tramite il sistema pre1 22 sentato e, su ognuno dei gruppi, abbiamo ap38 6 plicato un’analisi delle reti sociali in base agli in23 23 31 9 dici precedentemente descritti. L’intento prinsoggetto3 15 cipale è stato quello di confrontare fra loro i va29 3 20 ri gruppi ed individuare le “strutture” di intesoggetto1 26 6 razione prototipiche che hanno caratterizzato la collaborazione fra i loro membri. Sebbene 31 35 12 l’applicazione e la valutazione siano ancora in 20 33 1 18 corso, abbiamo già alcune indicazioni interes11 soggetto4 santi provenienti dalle prime analisi effettuate. 11 12 Una prima struttura prototipica individuata è soggetto6 29 specifica dei gruppi in cui ogni attore ha inteG1 ragito con tutti gli altri. Gli indici di questi gruppi evidenziano un’altissima densità, bassa vul- Figura 5 nerabilità, bassa centralità e nessun sottogruppo (clique). Ancora, gli Gruppo paritario a collaboindici evidenziano che le interazioni fra i soggetti sono reciproche, che razione completa. il loro ruolo nelle interazioni è molto simile e che non vi è nessun soggetto in posizione centrale rispetto agli altri. Il fatto che non vi siano clique indica, inoltre, che non si sono formati sottogruppi in cui gli Figura 6 scambi sono avvenuti preferenzialmente fra i soli soggetti che ne fan- Gruppo centralizzato a colno parte. Possiamo descrivere i gruppi che rientrano all’interno di que- laborazione subalterna. sti parametri come gruppi paritari a collaborasoggetto5 zione completa caratterizzati, dal punto di vi- soggetto3 sta delle interazioni, da un’influenza ed un ruolo simili dei soggetti all’interno del gruppo 7 3 7 5 (non vi sono figure centrali o leader) ed una collaborazione fra tutti i partecipanti. Una seconda struttura prototipica è caratteriz1 4 6 soggetto2 soggetto4 zata da una densità relativamente bassa, da 21 2 un’elevata vulnerabilità, da una spiccata centraG3 G1 lità e da vari sottogruppi (l’esempio di fig. 6 ne 2 1 2 presenta quattro). Questi indici sottolineano che alcuni soggetti hanno interagito preferenzialmente con certi 7 7 3 membri del gruppo e non con altri e che il pe- soggetto1 soggetto6 so ed il ruolo dei singoli nelle interazioni è alG2 G4 quanto differente. Nell’esempio, si può notare 107 soggetto6 soggetto4 28 4 7 soggetto1 1 30 9 3 6 20 6 2 1 30 soggetto3 6 3 2 40 29 Figura 7 1 soggetto5 2 Gruppo a collaborazione alternata con nucleo centrale molto coeso. 10 2 soggetto2 6 G2 7 G1 l’importante ruolo dei due attori centrali, gli unici ad avere interagito con tutti gli altri, e la dipendenza degli altri soggetti da essi per lo scambio di informazioni all’interno del gruppo. Togliendo i due attori centrali, infatti, il gruppo diverrebbe completamente sconnesso. I gruppi caratterizzati da questi parametri possono essere descritti come gruppi centralizzati a collaborazione subalterna, in cui alcuni soggetti (due al massimo) hanno avuto il ruolo di figure di riferimento per organizzare e gestire le attività. Un’ultima struttura prototipica (fig. 7) si situa in una posizione intermedia rispetto alle precedenti. È tipica, infatti, dei gruppi aventi una densità piuttosto elevata, una vulnerabilità relativamente bassa, una centralità intermedia rispetto ai gruppi precedenti e pochi sottogruppi. Questi indici evidenziano un gruppo nel quale vi sono vari soggetti che hanno reciprocamente sorretto le interazioni ed alcuni soggetti che, invece, si sono posizionati perifericamente, privilegiando l’interazione con i soli soggetti più centrali. Potremmo descrivere questi gruppi come gruppi a collaborazione alternata caratterizzati da un nucleo centrale molto coeso. DISCUSSIONE CRITICA SULL’USO DELLA SNA NEI GRUPPI COLLABORATIVI IN RETE Quali sono dunque le considerazioni che possiamo trarre da questa indagine esplorativa? Dal nostro lavoro di analisi, ancorché in fase iniziale, emerge che la SNA può dare un contributo per la comprensione delle dinamiche relazionali in rete, ma con alcune specifiche limitazioni. Gli indici che abbiamo presentato permettono di mostrare la partecipazione dei soggetti agli scambi ed evidenziare gli eventuali sottogruppi in cui si suddivide il gruppo principale. Interessante si presenta in particolare la possibilità di studiare l’efficacia dei soggetti ai quali è stato assegnato un ruolo predefinito (ad esempio, il coordinatore o il moderatore). Questi, o altri ruoli previsti dalla progettazione formativa, si correlano con una maggiore centralità e densità? Da questo punto di vista, la 108 SNA può offrire ipotesi o aspettative di partenza circa l’andamento delle interazioni, ma anche un utile mezzo per analizzare quali ruoli spontaneamente un gruppo definisce per i suoi partecipanti. L’interesse per questo tipo di analisi non si ferma ai soli scopi di ricerca, effettuabili post quem. Il coordinatore o il tutor di un gruppo virtuale, ad esempio, potrebbero utilizzare i dati e le visualizzazioni offerti dalla SNA per monitorare l’evolversi delle relazioni fra i soggetti, ovvero acquisire un feedback immediato sulla struttura del gruppo e sulle relazioni che lo caratterizzano. In tal senso, la SNA risulta uno strumento di supporto nella fase attiva del processo formativo, per evidenziare – in itinere - possibili disfunzioni o comportamenti anomali nel gruppo (ad esempio, l’isolamento di uno o più soggetti) ed intervenire di conseguenza. In un’ottica di valutazione longitudinale, può risultare particolarmente utile rappresentare il processo attraverso delle analisi parziali in momenti successivi, svolte come tante “fotografie”. Applicare la SNA alle varie fasi dell’attività del gruppo consentirebbe di effettuare anche delle analisi comparative dello sviluppo delle interazioni del gruppo attraverso il confronto degli indici delle diverse rappresentazioni nel tempo. Il vantaggio è particolarmente evidente nelle situazioni in cui i gruppi da seguire siano numerosi e le figure di coordinamento e tutorship siano poche. Assieme ai vantaggi ci sono, tuttavia, anche alcune criticità che richiedono particolare attenzione, soprattutto nel caso in cui la SNA venga applicata a piccoli gruppi di collaborazione che, similmente a quelli da noi analizzati, interagiscano tramite Web forum. Un primo elemento di riflessione generale concerne l’affidabilità dei dati quando si lavori con i piccoli gruppi. I risultati di questo tipo di indagine sono tanto più interessanti e significativi quanto più si lavori con gruppi di ampie dimensioni. Per gruppi di piccole dimensioni è, per contro, possibile che gli indici della SNA non risultino particolarmente indicativi: la densità, ad esempio, raggiunge spesso i valori massimi, in molti casi non vi sono cliques, l’inclusività è quasi sempre totale e così via. Un secondo elemento più specifico riguarda il modo di codificare i dati e dipende dalla peculiarità dello strumento comunicativo: all’interno di un Web forum gli utenti non “inviano un messaggio a qualcuno”, bensì lo “postano” (ovvero lo inseriscono) affinché chiunque della comunità possa leggerlo. È molto importante comprendere che questa situazione è differente dalla situazione riscontrabile, ad esempio, nella comunicazione tramite e-mail. Con la posta elettronica l’intenzione comunicativa è esplicitata e il messaggio è effettivamente inviato ad personam: il mittente che inserisce quattro indirizzi di posta elettronica fra i destinatari del messaggio intenzionalmente desidera che tutti e quattro ricevano la comunicazione che sta per inviare. Questa differenza ha delle conseguenze pratiche nell’attribuzione dei dati. Come codificare un messaggio in un Web forum? Una soluzione può essere quella di considerare le risposte, anche se rivolte al gruppo, come indirizzate all’autore del messaggio sovrastante, soluzione sicuramente “ragionevole” sul piano operativo, ma che tuttavia non riflette 109 perfettamente, come abbiamo sopra detto, la natura effettiva della comunicazione in rete. Al di là di ciò, ancora più opinabile rimane il problema specifico relativo a come codificare un messaggio che apre un nuovo filo (thread). Come trattare questi specifici messaggi di apertura? Considerarli come risposta ad un generico messaggio ipotetico “consegne di lavoro”? Considerarli inviati a coloro i quali “risponderanno successivamente al messaggio stesso” (individuando i destinatari post quem, con una sorta di inversione temporale)? Escluderli dal trattamento? Oltre ai problemi di codifica, un terzo elemento di natura più propriamente concettuale deriva dalla natura stessa della relazione che si genera nella produzione collaborativa di Web forum. La SNA è uno strumento idoneo per rappresentare relazioni interpersonali, tipicamente dipendenti da stati emotivi e forze di attrazione-repulsione tra persone4, come nel caso della scelta di un partner, un amico o nella formazione di gruppi per una qualche attività comune. I Web forum collaborativi non sono certo immuni dalle dinamiche di simpatia-antipatia; è tuttavia vero che uno dei presupposti del lavoro collaborativo non è (o almeno non “dovrebbe essere”) la scelta del partner a cui rivolgere uno specifico messaggio, ma la costruzione di un prodotto comune. Nel momento in cui il gruppo si è formato, i partner sono tutti potenzialmente attivi, dunque l’intervento (e il suo posizionamento) sarà non tanto/non solo guidato dall’attrazione della persona, quanto/ma anche dall’interesse-pertinenza dei concetti che sono stati esposti, ovvero sarà per lo più conceptually driven. Non si risponde solo seguendo il principio della sintonia interpersonale, ma secondo quello della pertinenza concettuale con il proprio pensiero e il proprio modo di vedere i problemi ed affrontare le questioni aperte. 4 Problemi solitamente affrontati nell’ambito delle ricerche di psicologia sociale. CONCLUSIONI Questa esperienza, pur trattandosi di un lavoro esplorativo, ci ha consentito di sperimentare le opportunità ed i limiti offerti dalle metodiche di indagine fornite dalla SNA sui gruppi di lavoro impegnati in esperienze di apprendimento collaborativo in rete. Questi strumenti, in particolare quelli capaci di restituire informazioni attraverso sistemi di rappresentazione visuale delle interazioni, hanno senz’altro il vantaggio di poter riassumere ed evidenziare in maniera sintetica alcune dimensioni empiriche dell’evento studiato. In particolare, se ignoriamo i problemi di cui abbiamo parlato e dovuti alla difficoltà di codificare in maniera affidabile l’intenzionalità e la direzionalità delle comunicazioni inserite nei Web forum, attraverso la SNA vengono evidenziati i tratti caratteristici di un gruppo quali la coesione, la connettività e la centralità. Tali informazioni non sono però capaci, da sole, di fornire risposte sulla qualità del risultato raggiunto. Al più possono evidenziare eventuali marginalizzazioni di individui o problematiche di accaparramento o free riding riguardanti alcuni soggetti. Un gruppo potrebbe raggiungere gli obiettivi prefissati (come, ad esempio, la risoluzione di un problema, la redazione di un elaborato o la progettazione di un artefatto) pur mostrando un lavoro attivo di pochi e la scomposizione in piccoli sottogruppi marginali e poco connessi tra lo110 ro. Viceversa un gruppo potrebbe mostrare forme armoniche di coesione ed equilibrate di lavoro, per poi scoprire – attraverso analisi dei testi – che si è molto conversato ed è comunque stato solo il lavoro di alcuni a permettere il raggiungimento dell’obiettivo finale. Una delle prime conclusioni è quindi quella che suggerisce di accompagnare alle rappresentazioni della SNA altre modalità di indagine e di lettura dei fenomeni intercorsi. Per gruppi simili a quelli da noi analizzati in questo contributo può risultare utile applicare un’analisi non sull’intera struttura della rete di relazioni, ma sulla struttura delle relazioni che caratterizzano i singoli soggetti (egonet analysis) ed il loro ruolo all’interno del gruppo. Il software da noi utilizzato (NetMiner) offre, infatti, la possibilità di focalizzare l’attenzione sul singolo soggetto del gruppo o su uno dei sottogruppi individuati e di descrivere le dimensioni e gli indici che caratterizzano questa componente del gruppo principale. Anche in questo caso è però necessario confrontare gli indicatori della SNA con altre informazioni, come ad esempio le ipotesi iniziali circa il ruolo che le varie figure avrebbero dovuto svolgere all’interno del progetto. L’efficacia dei modelli offerti dalla SNA è probabilmente massima se il loro utilizzo avviene in corso d’opera. Analizzare un’intera esperienza con la SNA ex post, ovvero alla fine, significa infatti imporre una stratificazione artificiosa alle interazioni intercorse ed ottenere una visualizzazione poco significativa dell’intero evento formativo. L’obiettivo di un gruppo di apprendimento collaborativo è anche quello di promuovere una partecipazione democratica ed attiva da parte di ogni componente del gruppo. Per questo l’utilizzo di strumenti ed indicatori capaci di evidenziare in itinere l’adeguata corrispondenza con il disegno progettuale (come, ad esempio, la centralità dei ruoli di coloro che in certe fasi del lavoro sono chiamati ad essere il fulcro delle interazioni) rappresentano un elemento non trascurabile offerto da queste metodiche. 111 Riferimenti bibliografici Aviv R., Zippy E., Ravid G., Geva A. (2003), Network Analysis of Knowledge Construction in Asynchronous Learning Networks. Journal of Asynchronous Learning Networks (JALN), vol. 7, 3, pp. 1-23. Breiger R. L. 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Donatella Persico e Luigi Sarti Considerazioni sulle configurazioni delle strutture sociali dei corsi in rete Sommario La progettazione di corsi online richiede, tra gli altri elementi, di delineare la struttura sociale della comunità di apprendimento che si andrà a costituire, ossia la natura e le dimensioni dei gruppi di lavoro, nonché i relativi flussi di comunicazione e i ruoli dei partecipanti. Scopo principale di questo lavoro è identificare alcuni criteri progettuali utili ad individuare strutture sociali adeguate agli obiettivi di apprendimento desiderati. Al variare delle condizioni al contorno, saranno necessarie strutture sociali differenti, che potranno anche variare nel tempo. Lʼarticolo propone alcuni modelli di strutture sociali e ne discute le condizioni di applicabilità sulla base di una analisi retrospettiva dei corsi in cui sono stati impiegati. INTRODUZIONE La dimensione sociale dell’apprendimento è uno dei principali ambiti di interesse della ricerca didattica. Benché le radici del cosiddetto costruttivismo sociale risalgano alle teorie sviluppate da Vygotskij agli inizi del secolo scorso [Vygotskij, 1980; Palincsar, 1998], un nuovo impulso agli studi sull’apprendimento collaborativo è stato impresso dai più recenti sviluppi delle tecnologie della comunicazione che hanno reso possibile il superamento delle barriere spazio-temporali che ostacolavano e talvolta impedivano la realizzazione di comunità di apprendimento più ampie della classe tradizionale. Anche il settore della formazione a distanza, che tradizionalmente centrava la propria attenzione sulla realizzazione di un canale di comunicazione tutor-studente e investiva nella realizzazione di materiali didattici completi e il più possibile auto-consistenti, trae oggi enormi vantaggi dalla possibilità di utilizzare ambienti in cui l’interazione sociale e la realizzazione collaborativa di artefatti costituiscono il motore principale dell’apprendimento. Ambienti di questo tipo sono particolarmente interessanti quando i destinatari della formazione sono professionisti o comunque individui adulti, come per esempio gli insegnanti, che possiedono un ricco bagaglio di competenze individuali dalla cui condivisione una comunità (virtuale o meno) può sicuramente trarre considerevole vantaggio. Non a caso, la realizzazione di comunità virtuali finalizzate all’apprendimento costituisce oggi una delle strade maggiormente battute sia nel campo della formazione universitaria sia in quello della formazione continua e dello sviluppo professionale. Alcuni studiosi [Godwin, 1994; Kollok, 1996] hanno affrontato il problema di definire alcune regole d’oro per l’organizzazione e la facilitazione delle attività di una comunità virtuale, senza particolare attenzione agli apprendimenti, mentre altri [Roth, 2002; Midoro, 2002; Manca e Sarti, 113 Donatella Persico Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per le Tecnologie Didattiche, Genova [email protected] Luigi Sarti Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per le Tecnologie Didattiche, Genova [email protected] 2002] hanno analizzato più in particolare le dinamiche delle comunità virtuali il cui obiettivo principale è l’apprendimento di contenuti, metodi o abilità specifiche. Tale analisi ha portato tra l’altro all’individuazione dei ruoli chiave e dei compiti dei vari attori coinvolti nel processo di apprendimento, con particolare riferimento ai tutor e agli studenti di corsi online. L’esperienza personale degli autori e l’analisi di numerosi corsi online ad oggi sviluppati [Persico, 1999; Delfino, Persico e Sarti, 2004] suggeriscono, tuttavia, che spesso la progettazione e la conduzione di un corso impone di strutturare in qualche maniera la comunità virtuale coinvolta, al fine di facilitare il compito dei partecipanti, siano essi tutor o studenti, creando gruppi di lavoro e offrendo ad essi opportunità di interazione privilegiata sia all’interno sia all’esterno della comunità. La struttura così creata viene determinata a monte del percorso formativo in base a numerose variabili quali gli obiettivi e contenuti del corso, le strategie didattiche adottate, le caratteristiche della popolazione obiettivo, i vincoli del contesto, e deve rispondere a precise esigenze didattiche, proprio come avviene nell’apprendimento collaborativo in presenza. È per questo motivo che corsi diversi utilizzano “strutture sociali” differenti, che prevedono aggregazioni talvolta mutevoli nel tempo degli individui componenti la comunità e che assegnano ruoli distinti agli attori del processo di apprendimento. In questo articolo, in primo luogo si analizzeranno alcuni corsi considerati emblematici da questo punto di vista e si cercherà di estrapolare da tali esperienze un certo numero di modelli possibili capaci di descrivere la struttura utilizzata per le comunità di apprendimento. Le considerazioni che seguono questa galleria di esempi mirano ad analizzare la relazione esistente tra le variabili che hanno influenzato le scelte di coloro che hanno progettato tali corsi e i modelli adottati. I casi analizzati non hanno la pretesa di esaurire il panorama, teoricamente infinito, delle strutture adottabili, ma dovrebbero essere sufficienti a mettere in luce le caratteristiche di alcuni approcci frequentemente adottati e a porre le basi per formulare alcuni criteri progettuali di riferimento. CHE COSA INTENDIAMO PER “STRUTTURE SOCIALI” Questo lavoro esplora le strutture dei gruppi che si formano e interagiscono in una comunità di apprendimento. L’idea di base è che il progettista di un corso che utilizzi le tecnologie della comunicazione in maniera intensiva per mettere in atto processi di apprendimento collaborativo si trovi spesso nella posizione di dover decidere a priori, ossia prima dell’inizio di una attività di formazione, quali tipologie di gruppi potranno essere congeniali allo svolgimento dell’attività che intende proporre. In altre parole, a seconda del numero totale di partecipanti al corso, del numero di tutor a disposizione, del tipo di attività da svolgere e delle competenze dei partecipanti, il progettista dovrà stabilire dei criteri guida più o meno rigidi per la formazione dei gruppi di lavoro, in termini di dimensione, composizione, compiti dei partecipanti. Per brevità, in questo articolo, useremo il termine “struttura sociale” per indicare appunto la configurazione dei gruppi espressa nei termini suddetti. Nella maggior parte dei casi, le decisioni sulle strutture sociali si riflettono poi nelle scelte relative alla configurazione dell’ambiente di comunicazione 114 utilizzato (creazione di sotto-ambienti comunicativi, ecc.) per favorire lo sviluppo delle interazioni nella direzione desiderata. Lo studio dei criteri utilizzabili per la definizione delle strutture sociali si interseca, in qualche misura, con gli studi relativi alla cosiddetta Social Network Analysis (SNA), ma si differenzia da essa in quanto pone l’accento sugli aspetti predittivi e progettuali dell’interazione mentre, al contrario, la SNA viene prevalentemente utilizzata per lo studio a posteriori delle dinamiche dell’interazione. Nel seguito di questo capitolo, approfondiamo la differenza tra i due approcci nella misura necessaria ai fini di questo articolo. L’idea che sta alla base della SNA è che le interazioni e i flussi di comunicazione sono elementi costitutivi dei gruppi sociali [Mazzoni et al., 2005]. La SNA studia quindi gli schemi di relazione che interconnettono un insieme di attori [Freeman, 2000]. Nel contesto della comunicazione mediata da computer, e in particolare dei corsi online, la SNA viene usata per determinare: chi comunica con chi; quanto si comunica; che cosa si comunica. L’analisi fa uso della teoria dei grafi per rappresentare la rete delle relazioni ed evidenziare: 1. indicatori generali, ad esempio: - una misura della densità1 come indicatore del numero di legami tra i diversi nodi, rapportato al numero di legami possibili; - il livello globale di partecipazione, in genere identificato dal numero totale di messaggi scambiati in un forum; - il livello di partecipazione attiva dei singoli studenti, dato dal rapporto tra il numero di messaggi prodotti da tutti gli studenti e quello dei messaggi prodotti dai tutor e dai docenti; - la dinamica temporale della partecipazione, identificata dal numero di messaggi prodotti in diversi archi temporali; - la dinamica del livello di interesse, commisurata alla lunghezza dei messaggi prodotti in diversi archi temporali; 2. indicatori specifici sul grado e l’intensità dei singoli legami, dove le stesse misure descritte nell’elenco precedente vengono applicate ai particolari nodi della rete, giungendo così a determinare, ad esempio, quali studenti siano più attivi o ricoprano un ruolo centrale nell’ambito della comunità di apprendimento o quali coppie di studenti abbiano un rapporto più intenso e quali lo abbiano più debole (l’intensità può essere rappresentata graficamente con tratti più o meno spessi o attraverso etichette numeriche). Oltre ai metodi quantitativi sopra citati, l’analisi può essere estesa in termini qualitativi, indagando sulla natura dei contenuti delle interazioni per determinarne le caratteristiche cognitive, emotive, sociali, comunicative, ecc. In generale, la SNA fornisce informazioni utili per capire se e come sta funzionando la comunità virtuale, e per individuare modalità di comunicazione efficaci dal punto di vista della qualità dei processi di apprendimento che si verificano nella comunità. La SNA è senza dubbio uno strumento molto utile per studiare le dinamiche delle interazioni in un corso online, anche se rimane un dubbio di fondo: essa si basa su un modello comunicativo uno-a-uno, in cui ogni messaggio ha un preciso mittente e un (solo) destinatario; un forum di discussione mira invece a favorire una modalità di comunicazione molti115 1 La densità è definita come il numero delle connessioni effettive nella rete rapportato al numero massimo possibile di connessioni. Se, come accade facendo riferimento agli scambi di messaggi in un forum, il grafo è orientato, si ha: dove di è il grado del nodo i, cioè il numero di connessioni che afferiscono (in ingresso o uscita) al nodo i, e n è il numero di nodi nella rete, cioè il numero di partecipanti al forum [Morbidoni, 2002]. La misura della densità varia tra 0 e 1; in pratica, in una rete con densità 1 tutti i partecipanti comunicano con tutti. 2 http://www.jigsaw.org/ Figura 1 Una catena chiusa. a-molti, in cui si deve intendere che ogni messaggio è rivolto all’intera comunità, e anche l’individualità dell’autore tende a sfumare in un processo di produzione fortemente basato su modalità collaborative. In ogni caso il destinatario di un messaggio inoltrato ad un forum è spesso implicito; anche quando si risponde ad una richiesta specifica si è consapevoli che l’intera comunità leggerà la nostra comunicazione, e potrà interagire di conseguenza. Com’è possibile rappresentare questo in un grafo in cui ogni nodo rappresenta un individuo e ogni arco un messaggio? Se, quindi, l’obiettivo della SNA è analizzare a posteriori, o a runtime, le dinamiche comunicative effettivamente verificatesi, l’obiettivo di questo articolo è analizzare le strutture sociali in una logica predittiva e più statica che mira a descrivere: - la struttura dei gruppi collaborativi; - la tipologia della loro composizione; - i criteri che sovrintendono alla loro costituzione; - le metodiche di interazione e collaborazione sia all’interno del gruppo che tra i gruppi. Ad esempio, la descrizione di un’attività collaborativa basata sul metodo jigsaw2 contiene in sé vari aspetti connessi con le dimensioni sociale ed organizzativa: in una prima fase vengono costituiti vari gruppi connotati tematicamente, in una fase successiva vengono costituiti nuovi gruppi in cui vengono distribuite le competenze tematiche sviluppate nella prima fase. Anche in questa logica il grafo può rivelarsi una notazione preziosa per descrivere una struttura sociale. Ci differenziamo tuttavia dall’approccio tipico della SNA sotto i seguenti aspetti: - nella rete possono essere rappresentati sia individui che gruppi; - i nodi, che rappresentano tipicamente individui, possono essere tipati, cioè connotati rispetto al ruolo dell’individuo rappresentato (studente, tutor, esperto, ecc.); - le connessioni tra i nodi indicano relazioni di collaborazione o di interazione, ma non corrispondono, nei fatti, a eventi riscontrati e riscontrabili, né tanto meno quantificabili, ma a legami potenziali, attesi dal progettista e pertanto facilitati attraverso la configurazione dell’ambiente di apprendimento. Benché la logica qui adottata sia indubbiamente più statica e meno legata alle dinamiche determinate dai processi comunicativi, anche in questo approccio è necessario tener conto dell’evoluzione dei processi di apprendimento: in un corso in rete, ad esempio, si possono spesso distinguere varie fasi in cui i partecipanti lavorano in gruppi diversi con modalità e finalità distinte. Nel nostro approccio, quindi, una stesP1 Partecipante Tutor Pn P14 Tn P13 116 P2 P3 P4 T1 P12 P5 T2 P11 P10 P9 P6 P7 P8 sa comunità online può essere descritta da una pluralità di strutture che rappresentano vari stadi della sua evoluzione. In conclusione, lo studio delle strutture sociali si differenzia dalla SNA in quanto quest’ultima è in genere effettuata a posteriori, descrive un processo già concluso (o in corso) in una prospettiva “storiografica”. Il nostro approccio può al contrario rivelarsi utile sia in fase di validazione di un processo formativo, sia in fase di progetto, come strumento descrittivo delle strutture sociali che si pianifica di sviluppare nel corso online. STRUTTURE SOCIALI: ALCUNI ESEMPI Il corso TD-SSIS online 2003/04 Sin dall’A.A. 1999/2000, l’ITD-CNR è stato incaricato di organizzare e condurre il corso di Tecnologie Didattiche della Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (SSIS) della Liguria. Il corso in esame si rivolge ogni anno a circa 150 specializzandi con background, aspettative e competenze tecnologiche molto differenti [Persico, Manca e Sarti, 2003]. Inizialmente erogato con modalità in presenza, il corso è stato successivamente proposto anche con modalità online. Ai fini di questo articolo, sarà presa in considerazione soltanto l’edizione online dell’A.A. 2003/2004, che ha visto la partecipazione di 14 specializzandi per un arco di tempo di dieci settimane. Non è possibile, in questo contesto, scendere nel dettaglio degli obiettivi e dei contenuti del corso, per i quali si rimanda a [Persico e Delfino, 2004]. Vale tuttavia la pena sottolineare l’impostazione fortemente esperienziale e collaborativa che ha permeato la progettazione delle attività didattiche. Nonostante il numero limitato di partecipanti, questo corso appare particolarmente interessante dal punto di vista preso in esame in questo articolo in quanto la varietà di attività svolte ha imposto, di volta in volta, l’adozione di soluzioni piuttosto differenti dal punto di vista delle strutture sociali adottate. Il seguente schema rappresenta il tipo di attività svolte e le scelte effettuate dai progettisti del corso in merito alla struttura dei gruppi nelle varie attività (tab. 1). Si noti che alcune attività (nella fattispecie, la terza e la quarta) si sono articolate, a loro volta, in due fasi caratterizzate da strutture sociali diverse. In altre parole, alcune tipologie di attività prevedono un certo grado di dinamicità dei gruppi di lavoro. Un esempio classico di questo fenomeno è il già citato metodo jigsaw, nato per la gestione di gruppi in presenza, ma utilizzabile anche in ambito online con alcuni accorgimenti [Hinze, Bischoff e Blakowski, 2002]. Tabella 1. Schema delle attività del corso TD-SSIS online 2003/04 Titolo attività, durata e struttura sociale Tipo di attività Motivi della scelta Ruolo dei tutor Socializzazione (5 gg.) Un unico gruppo di 14 persone in cui l’interazione si sviluppa “a catena chiusa” (fig.1): ogni partecipante si rapporta in particolar modo con altri due nella catena. Accorgimenti: fare le coppie con individui che non si conoscono ancora. Ciascun partecipante è incaricato di scoprire che cosa ha in comune col proprio successore nella catena e di aiutare il proprio predecessore a fare altrettanto rispondendo alle sue domande. Facilitare e motivare la socializzazione favorendo l’interazione con persone che ancora non si conoscono e limitando il senso di disorientamento dovuto ad un numero eccessivo di interlocutori. I tutor comunicano la struttura e le consegne, poi assistono senza interferire nel processo, se non per incoraggiare la partecipazione o chiarire le regole e gli scopi. 117 Tabella 1. Schema delle attività del corso TD-SSIS online 2003/04 Titolo attività, durata e struttura sociale Tipo di attività Motivi della scelta Introduzione alle Tecnologie Didattiche (9 gg.) 3 gruppi multidisciplinari di 4-5 persone ciascuno. Accorgimenti: massimizzare l’interdisciplinarità e rompere eventuali gruppi precostituiti (fig. 2). Lettura di materiale a stampa e discussione tra i componenti del gruppo; l’attività degli altri gruppi è visibile, ma non è richiesta interazione. Scopo dell’attività è acquisi- Moderatori della discussiore competenze generali in ne ed esperti dei contenuti tema di Tecnologie Didattiche e familiarizzare con la terminologia di base. In questa fase sembrava prematuro pretendere un approccio basato sulla produzione di elaborati, ma piuttosto si intendeva promuovere la comprensione e la riflessione sui materiali forniti. La natura interdisciplinare dei contenuti suggeriva di favorire l’interazione tra individui con background differenti. Teorie dell’apprendimento (14 gg.). Fase 1: 3 gruppi multidisciplinari di 4-5 persone. Fase 2: 2 gruppi monodisciplinari di 7 persone (fig. 3). Jigsaw: nella prima fase ciascun gruppo approfondisce una diversa teoria (comportamentismo, cognitivismo, costruttivismo) e compila la rispettiva colonna di una tabella che mette a confronto le tre teorie. Nella seconda fase i nuovi gruppi, contenenti esperti delle tre teorie, individuano una serie di esempi di prassi didattica e li associano alle rispettive teorie. Le tre teorie considerate sono quelle che hanno maggiormente influenzato il settore delle TD. Il metodo adottato (jigsaw) si presta particolarmente allo studio di un fenomeno caratterizzato da più aspetti complementari che possono essere approfonditi separatamente per poi confluire in un’impresa comune. Moderatori della discussione ed esperti dei contenuti (prima fase). Facilitatori della condivisione di competenze (seconda fase). Analisi di software didattico (12 gg.). Fase 1: 6 gruppi monodisciplinari di dimensione variabile da 1 a 5. Fase 2: 3 coppie di gruppi di discipline simili (fig. 4). Nella prima fase ciascun gruppo analizza un software didattico e compila una scheda di analisi. Nella seconda fase (peer review) ciascun gruppo legge e fornisce un feedback relativo alla scheda di un altro gruppo. Si voleva fare in modo che ciascun partecipante visionasse almeno due diversi software per la propria disciplina, incoraggiando la riflessione critica sulle caratteristiche di entrambi. Supporto logistico all’attività di analisi; counselling nella compilazione della scheda, esperti dei contenuti. Uso didattico del web (13 gg.). 2 gruppi interdisciplinari di 7 persone. Role play-webquest: l’attività è stata liberamente tratta da Dodge [2001]. Ciascun partecipante si mette nei panni di un tipo di docente ed esprime una valutazione su alcune webquest selezionate dai tutor. Il gruppo di docenti deve esprimere un giudizio comune e condiviso costruito sulla base dei pareri espressi dai vari componenti. Obiettivo dell’attività era lo studio di una modalità di utilizzo didattico del web sempre più popolare: la webquest. Il role play appariva come la strategia ideale per analizzare criticamente questo tipo di strategia da diversi punti di vista. Difficilmente praticabile in gruppi numerosi, si è scelto di effettuarlo in gruppi di dimensione contenuta (7 ruoli/persone). Interessante il fatto che il tutor, in questa fase, è fortemente coadiuvato da un partecipante (il dirigente scolastico). In termini di apprendimento cooperativo, possiamo parlare di una fase di “fading” rispetto allo scaffolding precedente. In termini di “self-regulated learning”, potremmo dire che i partecipanti, al termine del corso, danno prova di aver acquisito capacità di autoregolazione. 118 Ruolo dei tutor Tabella 1. Schema delle attività del corso TD-SSIS online 2003/04 Titolo attività, durata e struttura sociale Tipo di attività Motivi della scelta Ruolo dei tutor Studio di un caso o di un tema a scelta tra: visita guidata a due comunità di pratica di insegnanti (Webheads e Tapped-in); socialità e apprendimento in rete; docenti e competenze sulle ICT (25 gg.). 3 gruppi di formazione spontanea (4-6-4 persone) (fig. 5). Dopo una fase di documentazione sul tema, si è proceduto ad un’attività di reificazione (realizzazione di un artefatto) da condividere con gli altri partecipanti (ciascun gruppo ha deciso autonomamente che tipo di artefatto intendeva produrre). Si voleva consentire ai partecipanti di scegliere in base agli interessi individuali un tema da approfondire. I temi sono stati scelti tenendo presenti gli spunti emersi nella discussione precedente. Il tutor ha fatto da guida nella visita guidata alle CoP, da esperto dei contenuti nelle altre due. Sono intervenuti esperti esterni. Riflessioni conclusive (5 gg.). Un unico gruppo di 14 persone. Discussione e metarifles- Sembrava importante avere I tutor hanno fornito spunti sioni a ruota libera, a parti- un momento di discussione di riflessione e hanno parre da spunti forniti dai tutor. collegiale “trasversale” ri- tecipato alla discussione. spetto a tutti i gruppi precedentemente formatisi. Figura 2 S2 S1 U14 U3 U2 T1 U4 Gruppo 2 Sn Partecipante di indirizzo scientifico FASE 1 FASE 2 Partecipante di indirizzo umanistico Tn Tutor Figura 3 Il metodo Jigsaw. S3 U1 U2 S5 U5 Gruppo 1 Un S6 U7 U6 S3 Gruppi interdisciplinari separati ma reciprocamente visibili. S7 S4 T2 S2 T1 S1 U1 U4 U6 U2 Gruppo 1 U3 U5 T1 U7 U6 U7 S6 Gruppo 1 S7 T2 S2 S4 Gruppo 2 S5 S3 S1 U5 S6 U3 T2 S7 S4 U4 T3 Gruppo 2 S5 Gruppo 3 Un Partecipante di indirizzo umanistico Sn Partecipante di indirizzo scientifico Tn Tutor 119 Figura 4 Peer review. M1 FASE 1 M2 FASE 2 T1 M1 S4 S2 S1 T1 M2 S3 Gruppo 1 Gruppo 1 S5 S2 T1 A2 A1 S1 Gruppo 2 S4 S5 S3 T2 A1 Gruppo 3 H1 H2 T2 A2 Gruppo 2 H2 H1 T2 Gruppo 4 L1 T3 Gruppo 5 L1 I1 I2 T3 I2 I1 Gruppo 3 T3 Gruppo 6 Mn Partecipante di Matematica Sn Partecipante di Scienze An Partecipante di Arte Hn Partecipante di Storia Ln Partecipante di Lingue In Partecipante di Italiano Tn Tutor Figura 5 Tre gruppi di formazione spontanea. T1 E3 P4 T3 P3 P2 P11 P1 P6 P8 Gruppo 1 P14 E2 P13 P7 P5 P10 E1 P12 T2 Gruppo 3 P9 Gruppo 2 En Esperto esterno Pn Partecipante Tn Tutor Due esempi dal progetto T3 (Telematics for Teacher Training) Durante il IV Programma Quadro, l’ITD-CNR ha partecipato ad un progetto europeo denominato T3 (Telematics for Teacher Training), che si poneva l’obiettivo di promuovere l’uso della telematica nella formazione docenti in vari ambiti disciplinari e interdisciplinari [Persico, 1999]. I partner del progetto, per lo più università e istituzioni preposte alla formazione iniziale dei docenti nei rispettivi paesi, hanno progettato e condotto iniziative di formazione a livello transnazionale (le prime in Europa, a conoscenza degli autori) a cui partecipavano docenti in formazione e in servizio dei vari paesi coinvolti nel progetto. Molto spesso, le comunità costituite dai partecipanti a questi corsi era120 no piuttosto numerose e decisamente eterogenee (si pensi alle differenze culturali e linguistiche che possono esistere tra futuri docenti finlandesi e insegnati in servizio italiani). La gestione di questo tipo di comunità e le caratteristiche degli obiettivi e delle attività didattiche proposte hanno imposto ai progettisti dei vari corsi la ricerca di soluzioni efficaci ed efficienti, compatibili con le limitate risorse disponibili. Le scelte effettuate dai vari partner sono state spesso radicalmente differenti. In questo articolo riteniamo interessante descriverne due, che consideriamo significative per la discussione dei criteri adottati dai rispettivi progettisti: il corso “Design and Technology” condotto dall’università di Oulu e il corso “EuMEDEA” condotto dall’ITD-CNR. Il corso Design and Technology Il corso in esame verteva sull’uso didattico di LegoLogo, un kit per la costruzione di robot comprendente normali pezzi da costruzione Lego combinabili con sensori e motori programmabili. Il corso ha coinvolto 150 partecipanti da 4 diversi paesi europei (Finlandia, Italia, Gran Bretagna, Olanda), un tutor remoto del corso, due esperti dei contenuti e un tutor locale per ciascun paese coinvolto. I progettisti del corso avevano messo a punto un laboratorio LegoLogo virtuale, realizzando un trenino di Lego dotato di sensori e controllabile a distanza grazie a brevi programmi che consentivano di far muovere il treno, aprire o chiudere le sbarre di un passaggio a livello, fermare il treno di fronte a un semaforo. I partecipanti al corso (quasi tutti docenti di educazione tecnica) potevano farsi un’idea del funzionamento del toolkit LegoLogo scrivendo, con il supporto in linea degli esperti, semplici programmi che facessero muovere il treno nel laboratorio situato presso l’Università di Oulu. Gli effetti dell’esecuzione dei programmi erano visibili in tempo (quasi) reale grazie ad una telecamera che riprendeva gli spostamenti del treno [Ruotsalainen et al., 1997]. Ciascun partecipante aveva il compito di elaborare una proposta didattica che integrasse l’uso del LegoLogo nel contesto scolastico del proprio paese e della propria disciplina. Questo compito poteva essere svolto individualmente o in gruppo. Dato l’elevato numero di partecipanti, non era possibile proporre compiti fortemente collaborativi che li coinvolgessero tutti in una discussione molti-a-molti. I progettisti del corso hanno utilizzato quindi una struttura sociale (fig. 6) in cui ciascun individuo poteva scegliere se lavorare da solo o in gruppo, al fine di produrre il proprio elaborato. Ciascun individuo o gruppo, inoltre, era tenuto a identificare un peer, ossia un altro individuo o gruppo, con cui scambiarsi un feedback sul documento prodotto. In altre parole, la struttura sociale suggeriva alcuni rapporti privilegiati: quello con i compagni di gruppo e quello con i peer. Erano consentiti (ma poco praticati) gruppi di lavoro costituiti da individui di diverse nazionalità. Caldamente raccomandata (e frequentemente effettuata) era invece la scelta di peer di differente nazionalità. Un tutor (nonché progettista del corso) coordinava il tutto; i tutor nazionali si occupavano di facilitare i partecipanti del proprio paese, gli esperti rispondevano a domande relative al merito del dominio di contenuti (rispetto ai quali i tutor possedevano competenze limitate). I contenuti comprendevano tematiche di natura strettamente tecnologica, per quanto 121 riguarda gli aspetti di programmazione, e aspetti metodologici/educativi, attinenti alla attività di progettazione didattica anche aspetti di natura metodologica. La struttura della comunità virtuale fu decisa all’inizio del corso e rimase la stessa per tutta la sua durata (la costituzione dei gruppi e la scelta dei peer, affidata ai partecipanti stessi, era stata lunga e laboriosa, e non avrebbe avuto senso tentare una nuova riaggregazione in tempi brevi). Una schematica rappresentazione della struttura sociale del corso “Design and Technology” è riportata in figura 6. Il corso EuMEDEA Il corso EuMEDEA [Midoro e Persico, 1998] verteva su tematiche di educazione ambientale e si rivolgeva a una trentina di insegnanti in servizio o in formazione di diverse discipline e di quattro paesi differenti. La comunità di apprendimento si articolava in otto gruppi di lavoro locali, ossia gruppi di partecipanti che si incontravano di persona per lavorare insieme (comunicando nella loro lingua) e interagivano con gli altri gruppi per via telematica (in inglese). La struttura sociale del corso è rimasta invariata per tutta la sua durata, ossia per tre mesi. Le attività erano coordinate da tre “remote tutor” (ricercatori dell’ITD coinvolti a vari livelli nella progettazione del corso), due tutor tecnologici, due esperti dei contenuti, alcuni tutor locali (incaricati di facilitare l’organizzazione a livello nazionale nei singoli paesi), e da numerosi osservatori di vari paesi con ruoli di monitoraggio. La scelta di questa struttura sociale era dettata, principalmente, da due ordini di motivazioni. In primis, si trattava di considerazioni legate alla natura dei contenuti: le tematiche ambientali stimolano e richiedono riflessioni di carattere sia locale che globale e devono essere affrontate con un approccio interdisciplinare. In particolare, il compito assegnato a ciascun gruppo di insegnanti era quello di progettare un intervento di educazione ambientale che prendesse spunto da problematiche locali (quindi potenzialmente motivanti e sentite dai ragazzi) utilizzando una metodologia comune, proposta dai tutor remoti, e confrontandosi con gli altri gruppi sia su problematiche di metodo sia ai fini di ricomporre e ricondurre a temi di rilevanza globale i singoli progetti locali. Figura 6 Peer review nel corso “Design and Technology”. P2 P1 E1 P3 P8 P7 TR TR 122 P9 TL3 P13 P18 P14 Tutor remoto TL2 P6 P5 P10 P11 E3 TL1 P4 P12 E2 P16 P20 P17 P15 TL4 P19 TLn Tutor locale En Esperto esterno Pn Partecipante Un secondo ordine di motivazioni per le scelte effettuate era derivato da considerazioni di natura logistico-organizzativa: l’identificazione di tutor locali, in particolare, è risultata fondamentale ai fini di fornire supporto locale ai corsisti e lasciare ai tutor remoti soltanto l’onere della conduzione del corso dal punto di vista didattico-metodologico. Si noti, tra l’altro, che tale soluzione è stata adottata anche nel precedente corso “Design and Technology”. Una rappresentazione schematica della struttura sociale adottata in questo corso è riportata in figura 7. LE VARIABILI CHE INFLUENZANO LE SCELTE PROGETTUALI Nel seguito, sulla base degli esempi paradigmatici sopra citati3, si cercheranno di analizzare alcune delle variabili che incidono sulle scelte in tema di strutture sociali da parte di chi progetta iniziative di formazione online. A grandi linee, è possibile distinguere tra due classi di variabili: 1. quelle che potremmo considerare, in senso lato, di natura logistico/economica, in quanto legate al rapporto tra le risorse disponibili per affrontare il problema formativo e le caratteristiche della popolazione obiettivo; 2. quelle che dipendono prevalentemente dalle caratteristiche didattiche del problema, in quanto hanno a che vedere con le tipologie di obiettivi, i contenuti, le strategie adottabili per risolvere il problema formativo in esame. Figura 7 I4 I1 TL1 I2 F3 Oulu Gorizia N15 N8 TR N9 TT TL2 N17 TL7 F2 I3 Genova Sotto-gruppi locali e gruppo transnazionale in EuMEDEA. F4 F1 TL8 I2 I3 N16 I4 I1 TL6 N10 N18 N11 Utrecht Rotterdam 3 N1 N4 N5 N6 TL3 N2 N13 TL4 N3 N7 Amsterdam Amsterdam 2 In TL1 Tutor locale TT Partecipante Tutor tecnologico italiano N14 N12 TL5 Eindhover Fn Nn Partecipante finlandese Partecipante olandesse 123 Gli autori sono pienamente consapevoli del fatto che gli esempi citati non esauriscono certo la molteplicità delle problematiche e delle soluzioni che caratterizzano la formazione online. Tuttavia, essi costituiscono un primo punto di partenza per poter ragionare su tali problemi e tali soluzioni, concentrando l’attenzione sul tema delle strutture sociali utilizzabili. Per quanto, a rigor di logica, si sia portati a ritenere che queste ultime debbano svolgere la parte del leone nelle scelte progettuali operate, nella realtà dei fatti capita spesso che siano le prime che, presentandosi sotto forma di vincoli almeno apparentemente inamovibili, condizionano maggiormente l’operato dei progettisti. Si noti, inoltre, che la distinzione proposta è tutt’altro che netta. Nel seguito, si cercherà di rispettarla per semplificare la trattazione, ma risulterà evidente che variabili di tipo differente concorrono a definire i termini del problema esercitando la loro influenza, talvolta in maniera inestricabile, sui risultati del processo decisionale. Variabili legate alle caratteristiche della popolazione obiettivo e alle risorse disponibili Nel seguito cerchiamo di formulare alcune ipotesi circa il rapporto tra le variabili individuate e le modalità con cui esse possono influenzare le scelte di chi progetta un intervento di formazione online. Dimensione della popolazione obiettivo Le problematiche relative al numero di persone da formare sono spesso legate all’obiettivo di raggiungere un equilibrio accettabile nel rapporto costi/benefici (dove i benefici includono una sufficiente qualità del risultato). In situazioni in cui la formazione a distanza si basi pesantemente sulla fruizione individuale di materiali didattici, una considerevole dimensione della popolazione obiettivo è di fatto un requisito necessario affinché i costi di sviluppo e riproduzione dei materiali uniti ai costi di gestione del sistema possano arrivare a essere controbilanciati efficacemente da un ritorno di investimento che, se pur espresso in termini non puramente economici, deve comunque giustificare gli investimenti iniziali [Rumble, 1997]. Si ricorre quindi a questo tipo di formazione a distanza solo in caso di popolazioni obiettivo numerose che consentano di superare il cosiddetto break-even point, ossia il punto di pareggio tra la curva dei costi della formazione a distanza e quella dei costi della formazione tradizionale. Le tecnologie della comunicazione intervengono, in questi casi, soltanto in un’ottica di distribuzione rapida ed economica di materiali, o comunicazione rapida tra studente e tutor. Questo approccio ha goduto in passato di vasta diffusione ed è oggi tutt’altro che tramontato: sono numerosi i corsi online basati su un ambiente di apprendimento che, di fatto, altro non è che un archivio organizzato di materiali a cui gli studenti possono accedere per scaricare documenti ed esercitazioni prevalentemente pensati per studio individuale. Negli ultimi anni, tuttavia, si è andato diffondendo un approccio che si basa fortemente su metodiche di apprendimento collaborativo che sfruttano a fondo le potenzialità della telematica. Le prime esperienze di questo tipo, tuttavia, si sono andate sviluppando con piccoli numeri. Alcuni autori [Mulholland et al., 2004] si sono spinti fino a teorizzare un rapporto ideale tra tutor e partecipanti ad un corso online che si aggirerebbe intorno a 1:15-20. Esperienze più recenti, anche nel nostro paese, hanno invece fronteggiato numeri estremamente elevati (basti pensare alle decine di migliaia del progetto FORTIC), utilizzando tecniche molto varie. La più semplice, e più banale, consiste nel 124 suddividere la popolazione obiettivo in tanti sottogruppi più piccoli fino a raggiungere il rapporto tutor/partecipanti. Questa soluzione consente, tuttavia, di raggiungere adeguate economie di scala soltanto rispetto ai costi di progettazione del corso e di realizzazione dei materiali e non consente di sfruttare appieno la ricchezza derivante da una popolazione obiettivo varia e numerosa. Esistono però strategie di apprendimento collaborativo che consentono di affrontare il problema sfruttando meccanismi di reciprocal teaching che si possono mettere in atto soprattutto quando si parla di adulti e di individui con livelli e tipi di esperienza fortemente differenziati, come nel caso della formazione docenti. Nei corsi EuMEDEA e Design and Technology, ad esempio, esistevano due livelli di interazione: uno interno ai singoli gruppi, l’altro tra i gruppi. I tutor potevano vedere e anche partecipare alle interazioni interne ai gruppi, ma dedicavano la loro attenzione soprattutto alle interazioni tra gruppi. Se le entità che interagiscono, invece di essere singoli individui, sono gruppi di individui, allora il tutor può mantenere più facilmente il controllo del processo di apprendimento di una popolazione numerosa. Per chi apprende, poi, esistono due livelli di riflessione e confronto, uno più diretto e informale, generalmente non sottoposto a controllo o valutazione, e un altro più visibile e soggetto al giudizio del tutor, che si estrinseca nella comunicazione tra il gruppo e gli altri gruppi. Per tutti, comunque, il livello di complessità del flusso del discorso da seguire viene considerevolmente ridimensionato e diviene più controllabile. Un’altra tecnica che offre analoghi vantaggi, e non esclude di essere utilizzata in combinazione con la precedente, è quella che richiede di stabilire dei rapporti privilegiati tra alcuni partecipanti, come nei casi illustrati in figura 1 o in figura 6. Bisogno di guidance vs. autonomia nell’apprendimento Le considerazioni appena svolte circa le tecniche che consentono di gestire gruppi numerosi di partecipanti non autorizzano a sottovalutare l’impegno comunque richiesto ai tutor di un corso online, né l’importanza che la qualità del loro lavoro riveste in questo tipo di formazione. Inoltre, occorre ricordare che l’impegno e il carico di lavoro dei tutor online non è legato soltanto alla dimensione della popolazione obiettivo, e comunque non sembra essere linearmente dipendente da essa [Caspi, Gorsky e Chajut, 2003], almeno in gruppi costituiti da individui liberi di partecipare o meno alla discussione. Il ruolo dei tutor e il tipo di controllo che essi esercitano sul processo di apprendimento può variare moltissimo, fino a determinare figure molto diverse tra loro: dal tutor moderatore della discussione a cui non sono richieste particolari competenze sui contenuti del corso all’esperto dei contenuti che si limita a rispondere alle domande degli studenti; dal tutor che ha partecipato alla progettazione del corso e alla realizzazione o scelta dei materiali al tutor tecnologico, che fornisce supporto tecnico circa l’uso della piattaforma hardware e software utilizzata. In ogni caso, popolazioni obiettivo differenti potranno richiedere un differente livello di assistenza, e persino la stessa popolazione potrà esibire, nel tempo, diversi gradi di autonomia. A questo proposito, le ben 125 note tecniche di scaffolding and fading [Collins, Brown e Newman, 1989] utilizzate anche nella formazione in presenza possono aiutare a ridurre, anche nell’arco di poche settimane, il grado di assistenza richiesto ai tutor da parte di un gruppo di partecipanti che abbia raggiunto un buon livello di autoregolazione dell’apprendimento, realizzando una sorta di apprendistato meta-cognitivo [Jackson, 2004]. Eterogeneità della popolazione obiettivo Molto spesso è necessario scegliere se costituire gruppi omogenei (per età, background, nazionalità, livello di competenze) oppure eterogenei. A questo proposito, come per altri aspetti trattati in questo articolo, è possibile fare delle considerazioni analoghe a quelle che potrebbero applicarsi a contesti di apprendimento non basati su tecnologia. Un primo punto abbastanza generale è che le differenze, nei contesti educativi, tendono a portare ricchezza (di punti di vista, di opportunità di apprendimento, di spunti di riflessione, ecc.). Detto questo, si potrebbe assumere che sia sempre meglio formare gruppi eterogenei, costituiti da individui culturalmente molto lontani gli uni dagli altri, con diversi gradi di esperienza, acquisita in settori differenti. Anche se questa regola può essere considerata valida pure nel contesto dell’online, non bisogna dimenticare che le tecnologie della comunicazione consentono di superare confini geografici e culturali con una semplicità e una rapidità senza precedenti. Potrebbero quindi verificarsi situazioni in cui problemi linguistici, e più in generale culturali, oppure la stessa natura dei contenuti, o ancora considerazioni logistico-organizzative, suggeriscano una certa cautela nella formazione dei gruppi. Se, per esempio, in fase di socializzazione, può essere opportuno inventare dei meccanismi che forzino i partecipanti ad accostarsi e comunicare proprio con coloro che meno conoscono, in altre occasioni, come nel corso EuMEDEA, la costituzione di gruppi culturalmente omogenei può semplificare le cose ed essere al tempo stesso più consona alla natura del compito da svolgere (ad esempio, come individuare una problematica ambientale locale che possa fornire lo spunto per una attività motivante e contestualizzata con i ragazzi). Un caso degno di particolare interesse, parlando di eterogeneità della popolazione obiettivo, è quello di iniziative di formazione di portata transnazionale. Non vi è dubbio che la possibilità di coinvolgere istituzioni e partecipanti di più paesi conferisca interesse e valore globale ad un corso: le comunità di pratica [Wenger, 1998], da cui la formazione online attinge numerose idee nel tentativo di costituire piccole o grandi comunità votate all’apprendimento di contenuti pianificati, non hanno limiti né confini di sorta. Tuttavia, è anche vero che quando la popolazione obiettivo di un corso si estende oltre i confini di un paese (o di un continente) i problemi si moltiplicano: i fusi orari ostacolano le attività sincrone, le differenze linguistiche inficiano la qualità della comunicazione, le differenze culturali e di contesto istituzionale impediscono una comprensione reciproca profonda e non facilitano una reale collaborazione, per non parlare del fatto che le distanze geografiche impediscono (o rendono molto costosi) eventuali e generalmente auspicabili incontri in presenza. Ciononostante, alcune tipologie di contenuti traggono un tale vantaggio intrinseco dall’essere trat126 tati in seno ad una comunità internazionale da giustificare gli sforzi necessari a superare tutti questi problemi. Esempi di questi contenuti sono le lingue straniere, la geografia, l’ecologia, le tematiche di natura politica o etica. Una modalità abbastanza diffusa per gestire comunità di apprendimento a livello internazionale si basa sull’adozione di una struttura a due livelli: dei gruppi locali, coordinati a livello nazionale da un tutor capace di “oliare gli ingranaggi” a livello di istituzioni e partecipanti di un dato paese, e una sovrastruttura che abbracci i vari gruppi locali fungendo da raccordo e garantendo quindi un buon livello di valore aggiunto dovuto alla interazione a distanza di gruppi nazionali differenti. L’interazione a livello di gruppi locali può avvenire in presenza, come nel corso EuMEDEA, o per via telematica, come nel corso Design and Technology. Variabili legate alla natura del compito cognitivo Come citato in precedenza, la natura dei contenuti e degli obiettivi didattici di un percorso formativo dovrebbe, a rigore, essere il principale fattore d’influenza delle scelte in merito alle strategie didattiche e quindi anche alle strutture sociali. Nei fatti, tuttavia, i vincoli del contesto tendono a prevalere, in parte perché oggettivamente difficili da rimuovere e in parte perché le tecniche e gli strumenti che consentono di ammorbidirli sono ad oggi poco sviluppate e poco diffuse. In un certo senso, l’adozione di un approccio collaborativo nella formazione online è di per sé indice di obiettivi didattici che, nella tassonomia di Bloom, si collocherebbero a livello medio alto: interagire, collaborare e cooperare per produrre artefatti cognitivi non significa soltanto comprendere, ma soprattutto applicare, analizzare, sintetizzare e valutare quanto si è appreso. Come si vede dagli esempi considerati in precedenza, la natura degli obiettivi e dei contenuti suggerisce spesso le strategie didattiche e queste, a loro volta, vanno a braccetto con le scelte in merito alle strutture sociali. Chi progetta corsi online pianifica le attività da svolgere sulla base della propria esperienza, che normalmente non è codificata né organizzata in maniera sistematica. “The art of teaching” è fortemente basata anche sulla creatività del progettista e talvolta la soluzione del problema sta proprio nell’invenzione di un’attività appropriata, realisticamente concretizzabile nei tempi e nei modi pianificati, che sfrutti adeguatamente e sia compatibile con le competenze possedute dalla popolazione obiettivo in esame. Senza voler sostenere che sia possibile identificare delle ricette, o un algoritmo, per imbrigliare la creatività e l’esperienza di chi progetta interventi formativi online, intendiamo qui suggerire che vale la pena di cercare di sistematizzare il bagaglio di competenze fin qui acquisito, nel corso di anni in cui si è scritto, lavorato e sperimentato nel campo dell’e-learning e, più in generale, dell’apprendimento collaborativo. Kanuka e Anderson [1999] hanno cercato di fare ordine nel dominio delle competenze euristiche sviluppate in merito alla progettazione didattica, identificando un insieme non esaustivo di tecniche e formulando per ciascuna di esse delle linee guida per la pianificazione e l’u127 so nell’ambito di ambienti di apprendimento basati su sistemi CMC. Le tecniche analizzate da questi autori sono il dibattito, lo studio di casi e il brainstorming. Ciascuna di esse è associata a configurazioni sociali definite in termini di dimensione dei gruppi, ruoli dei partecipanti, durata dell’attività. Parallelamente, per le stesse strutture, i due studiosi specificano le condizioni di applicabilità, ossia le caratteristiche cognitive dei problemi formativi che esse consentono di affrontare. Il dibattito, ad esempio, serve ad approfondire aspetti problematici caratterizzati da punti di vista contrapposti, lo studio di casi consente di analizzare problematiche concrete e reali che richiedano l’applicazione delle competenze obiettivo dell’apprendimento, il brainstorming viene usato per affrontare in maniera creativa un processo di problemsolving. Analogamente a quanto sostenuto dai due studiosi canadesi, è possibile analizzare altri approcci come, ad esempio, la produzione collaborativa di artefatti (tecnologici e non), l’uso del jigsaw, del reciprocal teaching e del peer reviewing o di altre strategie di gestione dell’apprendimento collaborativo. La produzione collaborativa di artefatti (ad esempio, nella scuola italiana, è fin troppo frequente il caso della produzione di ipertesti) consente di affrontare domini strutturati e complessi, tipicamente non procedurali, che possono essere sviscerati con un approccio al tempo stesso collaborativo (tutti i partecipanti contribuiscono alle decisioni progettuali di alto livello) e cooperativo (suddivisione di compiti per le attività di livello più basso). Il jigsaw nasce per dominare la complessità di contenuti molto estesi che possano essere affrontati da diversi punti di vista: i gruppi nella prima fase approfondiscono un aspetto specifico, su cui diventano “esperti”; i gruppi misti nella seconda fase ricompongono i tasselli oggetto di approfondimento come in un mosaico, per ottenere il quadro completo. Reciprocal teaching e peer reviewing sono tecniche che sfruttano al massimo le risorse della popolazione obiettivo e possono aiutare a risolvere il problema di un elevato rapporto tra il numero degli studenti e quello dei tutor. Richiedono un buon livello di maturità e consapevolezza da parte dei partecipanti e sono favoriti da competenze iniziali abbastanza differenziate. Più in generale, domini vasti e obiettivi cognitivi con basso livello di approfondimento (sapere, comprendere, applicare) sembrano più difficili da affrontare con un approccio prevalentemente esperienziale. Le tecniche citate danno, infatti, risultati migliori quando si cerchi di risolvere un problema reale o di riflettere, analizzare ed sviluppare un senso critico nei confronti di un dato tema. Non a caso capita spesso che nelle fasi iniziali di un corso, volendo affrontare una nuova tematica a partire da una visione di insieme, si ricorra a letture o presentazioni frontali piuttosto che ad attività di taglio più strettamente costruttivista. 128 CONCLUSIONI È ovvio che la progettazione di un corso in rete non può essere ricondotta all’applicazione meccanica di algoritmi predefiniti: la quantità e la diversificazione delle variabili in gioco richiedono che il metodo e la sistematicità siano affiancati da fantasia, creatività e una considerevole dose di esperienza. Tuttavia, lo studio e la descrizione semi-formale delle strutture sociali possono giocare un significativo ruolo di supporto al progettista di interventi formativi online, consentendo, almeno in parte, la portabilità e il riuso di modelli, metodiche e pratiche sviluppate, fino ad oggi, prevalentemente in situazioni di apprendimento in presenza. Per definire le strutture sociali di un corso online occorre affrontare problematiche legate alla dimensione della popolazione obiettivo, alle eventuali differenze culturali e di background, alla necessità di individuare le strategie più idonee al conseguimento di diverse tipologie di obiettivi e compiti cognitivi, ecc. Questo articolo costituisce un punto di partenza per attività di ricerca che potranno svilupparsi in svariate direzioni, quali ad esempio: - allargare lo spettro dei corsi analizzati con gli strumenti proposti; - verificarne l’adottabilità nella progettazione di nuovi interventi formativi online; - approfondire la valutazione della portabilità al contesto online di metodiche e pratiche adottate in presenza; - verificare il contributo che l’approccio proposto può apportare allo studio di aspetti oggi considerati critici nella formazione online, quali la relazione tra presenza sociale, cognitiva e di teaching [Garrison, Anderson e Archer, 2000]; la dinamica dello scaffolding e del fading; il bilanciamento tra esigenze di self regulatedness [Torrano Montalvo e Gonzáles Torres, 2004] e il pericolo di lack of guidance; - approfondire la dimensione connessa con le modalità di comunicazione sincrona e asincrona e con l’adozione di tecnologie multimediali di supporto alla comunicazione; - estendere lo studio delle strutture sociali alla validazione di un corso in rete, ad esempio verificando se le scelte fatte dai progettisti incontrano il favore degli studenti. Tutte queste opportunità di ricerca condividono, in vario modo, uno scopo principale: fornire indicazioni e linee guida di supporto alla progettazione di corsi in rete, trasformando i criteri euristici che i progettisti esperti hanno consolidato con l’esperienza in patrimonio comune esportabile e riutilizzabile in contesti differenti. 129 Riferimenti bibliografici Caspi A., Gorsky P., Chajut E. (2003), The influence of group size on nonmandatory asynchronous instructional discussion groups, The Internet and Higher Education, 6 , 3, pp. 227-240. Collins A., Brown J. S., Newman S. E. (1989), Cognitive Appprenticeship: Teaching the Crafts of Reading, Writing, and Mathematics. In L. B. Resnick (ed.), Knowning, Learning, and Instruction: Essays in honor of Robert Glaser, Mahwah, NJ, Lawrence Erlbaum Associates, pp. 453-494. Delfino M., Persico D., Sarti L. 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In particolare si cerca di capire se lʼanalisi della traccia delle interazioni degli studenti con una piattaforma di e-learning possa contribuire a comprendere il modo in cui la dinamica di una rete di soggetti, strutturata in sottoreti, influenzi la costruzione di reti di concetti individuali e collettive. Nel capitolo vengono descritti i risultati dellʼapplicazione di alcuni modelli per lo studio delle reti semantiche collettive che potrebbero dischiudere nuovi orizzonti alla ricerca sullʼapprendimento. ECOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO A DISTANZA Dynamic Virtual Learning Network (DVLN) è un sistema di formazione e di analisi dei processi di apprendimento online basato sul paradigma dell’epistemologia evolutiva. Secondo tale paradigma la conoscenza è costituita di unità elementari, i memi, che, in analogia con i geni, si diffondono e si trasmettono alle generazioni successive con meccanismi simili a quelli della genetica: allo stesso modo in cui i geni utilizzano gli organismi pluricellulari come macchine per la loro sopravvivenza, anche le idee prendono, per così dire, possesso della mente degli esseri umani, i quali attraverso il meccanismo del proselitismo culturale le trasmettono ad altri esseri umani e ad altre generazioni [Cavalli-Sforza e Feldman, 1981; Gabora, 1995]. Gli essere umani sono le macchine per la sopravvivenza delle idee. La memetica ha lo scopo di studiare i modelli di diffusione delle unità di conoscenza elementari [Aaron, 1996; Adler, 1989; Baum e Sigh, 1994]. Secondo il modello dell’epistemologia evolutiva affinché un’idea sopravviva essa deve essere propagata attraverso le generazioni e la probabilità che ciò avvenga è direttamente collegata alla sua diffusione tra i membri di una determinata comunità [Giani, 2004a; Radnitzky e Bartley, 1987]. Si verificano altresì fenomeni di competizione tra idee: alcuni individui vengono per così dire “catturati” da un determinato complesso di idee ed altri da un complesso di idee ad esso in opposizione. Gli individui che condividono un certo sistema (rete) di idee si aggregano tra loro in club, associazioni scientifiche, centri culturali e così via, che costituiscono reti di individui connessi tra loro da relazioni di diverso genere (leadership, amicizia, contro-leadership, sudditanza, dominanza e così via)1. Le reti delle idee e quelle degli individui sono processi dina131 Umberto Giani Università degli Studi di Napoli “Federico II” [email protected] Genoveffa Brascio Università degli Studi di Napoli “Federico II” [email protected] Dario Bruzzese Università degli Studi di Napoli “Federico II” [email protected] Angela Romano Università degli Studi di Napoli “Federico II” [email protected] 1 La Social Network Analysis (SNA), trattata in un altro capitolo di questo volume, è volta allo studio della struttura delle reti sociali e della loro evoluzione temporale. 2 Una descrizione più dettagliata di DVLN si può trovare nel volume “Reti dinamiche di apprendimento a distanza” [Giani, 2004a]. mici interdipendenti che si influenzano a vicenda e vanno pertanto incontro ad un processo evolutivo di continuo rimaneggiamento. È ragionevole supporre, dunque, che in una classe di allievi, virtuale o no, siano presenti gruppi di studenti affini tra loro perché condividono un medesimo sistema di idee, di valori e così via. DVLN è basato su un modello evolutivo della ecologia della cultura e può essere considerato come una sorta di sistema ecologico nel quale vivono, si sviluppano e muoiono diverse specie di “organismi” tra i quali si possono generare interazioni di cooperazione, competizione e così via. Il modello di apprendimento sotteso a DVLN è basato sulla nozione di meme-DVLN. Ciascun oggetto-DVLN (Forum, Siti Web, Glossario, Brainstorming e così via) è un meme-DVLN, che non è un’entità passiva, bensì un agente che possiede alcune strategie elementari tendenti ad assicurare la propria sopravvivenza. Così, una volta che un meme-DVLN è stato creato, inizia a svolgere spontaneamente un insieme di attività volte, per così dire, ad attirare l’attenzione degli attori del processo formativo (APF). Ad esempio, allorquando viene registrato un termine del glossario dinamico, il corrispondente meme-Glossario seleziona alcuni APF invitandoli a prendere visione del nuovo concetto introdotto e ad individuare connessioni con altri termini oppure con altri memi-DVLN, come ad esempio un modulo didattico o un argomento di un forum di discussione e così via. La selezione dei destinatari dipende da diverse variabili tra le quali assume un ruolo fondamentale lo stile di apprendimento o di navigazione. Quindi, DVLN implementa in una prospettiva evoluzionistica un modello fondato su un principio di costruttivismo sociale online nel quale i meccanismi della esplorazione, importazione, produzione, connessione e diffusione delle idee sono processi che interagiscono secondo dinamiche complesse e poco note che conducono alla formazione di una rete dinamica di idee e di individui. Da un altro punto di vista, DVLN è anche un sistema che apprende: gli utenti sono inconsapevoli docenti di DVLN perché il comportamento dei memi-DVLN non è prevedibile a priori, dato che esso dipende dal modo in cui gli APF interagiscono con il sistema2. La domanda cui s’intende rispondere nel presente capitolo è se l’analisi della traccia delle interazioni degli APF con la piattaforma DVLN possa contribuire a far comprendere il modo in cui la dinamica delle interazioni possa generare reti cognitive individuali e collettive. In questa sede descriveremo dapprima l’applicazione di un modello per analizzare la diffusione della conoscenza all’interno di una classe virtuale. I risultati condurranno ad ipotizzare che la classe è in realtà composta da sottoclassi di allievi che hanno un comune atteggiamento verso lo studio, la conoscenza e l’attitudine alla innovazione. Un secondo studio metterà in relazione le modalità di fruizione delle diverse sezioni di DVLN con l’assetto culturale degli studenti e i risultati degli esami finali. L’analisi confermerà con una maggiore dovizia di dettagli l’assunto che le classi sono costituite da sottoclassi (sottoreti) di soggetti simili tra loro. Infine, saranno descritti i risultati preliminari dell’applicazione di alcu132 ni metodi per generare reti cognitive collettive mediante una trasformazione del software Dynamic Knowledge Networks (DKN) [Giani, Ascione e Martone, 1996; Giani e Martone, 1997, 1998]. La metodologia può essere considerata come un’applicazione della teoria dei grafi e della Social Network Analysis (SNA) alle reti di concetti. Si tratta di risultati preliminari di uno studio più complesso che è ancora in fase di attuazione. Alcuni di questi risultati sono già stati oggetto di pubblicazione o sono in corso di stampa. IL CONTAGIO DELLE IDEE Uno dei modelli di diffusione della cultura e della conoscenza è basato sull’idea che tale diffusione sia una sorta di epidemia. I modelli epidemici del contagio delle idee sono usualmente basati sull’analisi dell’evoluzione del numero di persone che adottano un certo modello di comportamento che viene denotato usualmente con il termine di “innovazione”. I modelli tradizionali sono basati su equazioni non lineari del tipo: dove I rappresenta il numero di Innovatori a ciascun istante t ed N è la numerosità della popolazione. La soluzione di questa equazione è una curva sigmoide: La dinamica della diffusione dell’innovazione dipende dal numero iniziale degli innovatori, I(0), e dal tasso di contatto tra i membri del gruppo o della popolazione. Nel modello che descriveremo l’adesione volontaria a DVLN da parte degli studenti del Corso di Statistica e Informatica Medica è stata considerata come “adozione di un’innovazione” [Giani, Romano e Bruzzese, in stampa]. Per analizzare la dinamica della diffusione dell’innovazione è stato ipotizzato che l’insieme degli studenti sia composto all’inizio da due sottopopolazioni: 1. il sottoinsieme di coloro che hanno esperienza con i computer e con Internet e/o hanno una propensione ad accettare l’innovazione (Potenziali Innovatori); 2. il sottoinsieme di coloro che hanno scarsa dimestichezza con Internet e/o sono meno propensi ad accettare innovazioni (Potenziali Imitatori). Si è supposto che la diffusione dell’adozione dell’innovazione avvenga in modo diverso nei due gruppi. Nel gruppo dei Potenziali Innovatori l’adozione dell’innovazione non dipenderebbe da comunicazioni o influenze da parte di altri studenti, ma solo dall’attivazione di un’attitudine personale e da una genuina curiosità determinata semplicemente dalla stimolazione proveniente dal docente a partecipare alla formazione a distanza. I membri del secondo gruppo, i Potenziali Imitatori, sono invece coloro che adottano l’innovazione per imitazione degli innovatori attraverso un meccanismo di “contagio”. Si tratterebbe di studenti che ri133 spondono con maggiore lentezza alla sollecitazione del docente e che agiscono maggiormente in base all’adeguamento ad una norma sociale e/o a considerazioni di utilità. È stato così formulato il seguente modello: dove: x(t)= Proporzione dei Potenziali Innovatori z(t)= Proporzione di Innovatori y(t)= Proporzione di Potenziali Imitatori w(t)= Proporzione di Imitatori N(t)= Proporzione di adesioni α = coefficiente di innovazione tra i potenziali Innovatori β = tasso di comunicazione o di contatto tra Innovatori e Potentiali Imitatori Figura 1 Distribuzione cumulativa delle adesioni nel tempo (quadratini) e previsione in base al modello (curva interpolata). I valori dei coefficienti e la numerosità iniziale dei due gruppi sono stati stimati interpolando la percentuale cumulativa di adesioni a DVLN. La soluzione è stata ottenuta utilizzando il metodo dello steepest descent, minimizzando i quadrati delle differenze tra frequenze osservate e frequenze calcolate. La stima delle condizioni iniziali è stata la seguente: α = 0,1265286 β = 0,076668 x(0) = 0,5976564 y(0) = 0,3690075 z(0) = 0 w(0) = 0 In figura 1 è mostrata la dinamica della frequenza cumulativa di adesioni settimanali alla piattaforma DVLN interpolata con la soluzione ottenuta in base alle condizioni iniziali stimate. Nella figura 2 è mostrato l’andamento temporale delle diverse sottopopolazioni ipotizzate dal modello. Si può notare che i potenziali innovatori si trasformano in innovatori abbastanza rapidamente: praticamente già alla terza settimana del corso hanno tutti aderito al sistema. Invece, i potenziali imitatori conti- 1,2 1 0,8 Imi & Inn Isc. 2004 0,6 0,4 0,2 0 0 2 4 6 134 8 10 12 14 16 18 1,2 1 0,8 Pot Inn 0,6 Inn Pot Imit 0,4 Imi Imi & Inn 0,2 Figura 2 0 5 10 Stima dell’evoluzione delle sottopopolazioni di studenti nel tempo. 20 15 - 0,2 nuano lentamente ad aderire fino a stabilizzarsi intorno alla decima settimana. La proporzione stimata degli innovatori è di circa il 60%, mentre quella degli imitatori si aggira intorno al 40%. Allo scopo di chiarire almeno in parte le motivazioni che inducono gli allievi ad aderire alla piattaforma, gli studenti sono stati classificati in funzione della prontezza con la quale essi si sono iscritti al sistema DVLN. Gli studenti al di sotto del primo percentile della curva cumulativa sono stati considerati come Early adopters e quelli al di sopra del 97° percentile sono stati considerati Late adopters. Le interazioni con DVLN sono state classificate in tre grandi categorie sulla base delle abilità cognitive che ciascuna di esse verosimilmente presuppone. Le azioni socializzanti (definizione di nuovi termini, registrazione di nuovi siti web e così via) sono quelle che tendono a mettere in comune conoscenze; le azioni di lurking consistono in una generica navigazione (ad esempio, dare uno sguardo al forum di discussione, leggere i termini proposti da altri studenti e così via); le azioni opportunistiche (scaricare materiali didattici, rispondere ai quiz, porre domande al docente e così via) sono quelle orientate principalmente allo studio e all’esame finale. Nella tabella 1 sono mostrate le percentuali di ciascun tipo di azione nei due gruppi e la significatività statistica della differenza. Tabella 1. Differenze delle percentuali dei tipi di azioni tra Early adopters e Late adopters Azioni Gruppo Media p Socializzanti % Early Adopters Late Adopters 7,9481 3,0993 0,000 Opportunistiche % Early Adopters Late Adopters 6,6615 9,1262 0,055 Lurking % Early Adopters Late Adopters 85,3904 87,7746 0,141 Azioni/Accessi Early Adopters Late Adopters 3,39 3,34 0,86 135 Si può notare che le azioni di tipo socializzante sono più frequenti tra gli Early Adopters, le azioni opportunistiche sono al limite della significatività statistica, mentre le azioni di Lurking sono simili nei due gruppi. Non c’è invece differenza statistica nel numero medio di azioni per ciascun accesso a DVLN. Tabella 2. Distribuzione degli stili di navigazione tra Early e Late adopters e rischi relativi Stile Early adopters Late Adopters Rischio relativo (Limiti di confidenza, p) Socializzatori Lurkers Opportunisti 0,30 0,55 0,16 0,10 0,52 0,38 2,96 (CL95%: 5,33, 2,15; p<0,05) 1,05 (CL95%:1,08, 1,04; NS) 0,41(CL95%: 0,26, 0,54; p<0,05) 3 È in corso uno studio anche sul processo di abbandono dell’adesione al sistema di formazione online. Attraverso la k-means cluster sono stati individuati tre stili di navigazione: Socializzatori (23%), Lurkers (53,8% ), Opportunisti (23,4%). La distribuzione degli stili di navigazione (tabella 2) mostra che la probabilità che un Early adopter appartenga al gruppo dei socializzatori è quasi tre volte più alta rispetto a quella dei Late adopters. Si può notare che i socializzatori sono preferenzialmente gli Early adopters, gli “Opportunisti” sono preferenzialmente Late adopters, i “Lurkers” si distribuiscono equamente tra i due gruppi. Questi risultati confortano l’ipotesi che la prontezza della adesione a DVLN e la appartenenza ad una delle sottoclassi possano essere considerate indicatori indiretti di un atteggiamento verso l’apprendimento e lo studio3. LA SEGMENTAZIONE L’analisi precedente sembra confermare l’idea che una classe è composta da diversi sottoinsiemi di studenti con diversi atteggiamenti verso l’e-learning o più in generale verso lo studio. La segmentazione dell’audience, lungi da essere un fenomeno negatiFigura 3 Analisi in componenti vo, probabilmente introduce elementi di dialettica tra gli studenti e tra principali dei voti della docenti e studenti, elementi che possono influenzare l’adattamento reprova di ingresso alla Fa- ciproco tra gli APF. I modelli di contagio mostrati in precedenza hancoltà di Medicina. no tuttavia un difetto: la curva può essere calcolata quando tutto il tragitto si è realizzato. Si può tentare di individuare a “run time” lo stile di apprendimento di ciascuno studente e 0,8 Physics e Matematics valutare la sua evoluzione nel tempo. A questo scopo DVLN è dotato di un algoritmo che fornisce in tempo reale la “diagnosi” dello stile di 0,4 apprendimento dei singoli studenti (socializzatore, opportunista, lurker). Alcuni studi preli0 minari hanno mostrato che nelle quindici settimane del corso gli spostamenti numerici da General Culture uno stile ad un altro sono abbastanza piccoli. Chemistry -0,4 Sembrerebbe dunque che lo stile di navigazione, che probabilmente è la manifestazione di Biology uno stile cognitivo e/o di apprendimento, sia -0,8 una caratteristica relativamente invariante e che solo in una piccola percentuale di casi esso -0,8 -0,4 0 0,4 0,8 si modifica con l’insegnamento. 136 Allo scopo di individuare sottoclassi di studenti con attitudini culturali differenti è stata effettuata una prima analisi dei punteggi al concorso di ingresso alla Facoltà di Medicina. Una classica analisi fattoriale ha mostrato due assi principali che spiegano l’83% della varianza totale [Giani e Bruzzese, 2004]. Dalla figura 3 si può notare che il primo asse (orizzontale) descrive una propensione verso le materie umanistiche, mentre il secondo asse descrive la propensione verso il pensiero tecnico-scientifico. La medesima analisi è stata effettuata sui punteggi degli esami di ammissioni dei tre anni precedenti l’anno accademico 2003-2004. Il risultato è stato sempre il medesimo: la divaricazione tra i punteggi di cultura generale e quelli delle altre discipline sembra una caratteristica tipica degli studenti che si iscrivono al Corso di Laurea in Medicina. Il primo asse fattoriale è stato interpretato come “pensiero umanistico”. Il secondo asse è stato interpretato come “pensiero tecnico” perché le domande di matematica e fisica sono semplici problemi che possono essere risolti attraverso l’applicazione di una formula. Ci siamo allora interrogati sulle relazioni tra queste due fattori e i risultati degli esami finali, da una parte, e le modalità di fruizione della piattaforma DVLN, dall’altra. Gli esami finali del corso di Statistica e Informatica Medica sono composti da tre prove: un colloquio sulla parte clinica (PBL), un lavoro collaborativo di applicazione della statistica ai problemi della medicina (Collaborative Project) e l’esame scritto (Test). La prima prova è condotta da sei docenti clinici diversi; la valutazione del lavoro collaborativo è effettuata separatamente da un clinico e da uno statistico. I risultati in trentesimi sono stati dicotomizzati in “above” e “below” prendendo come separatore il valore medio di ciascuna prova. Figura 4 Analisi delle corrispondenze multiple: primo piano fattoriale. Test Below 1,2 Collaborative Projects Below 0,8 Oral Examination Below 0,4 Active Glossary PBL Above Active Virtual Library Passive FAQ Passive Forum Passive BrainStorming Passive Virtual Library 0 Active Critical Thinking Passive Web Sites Passive Critical Failed Passive Glossary Active BrainStorming PBL Below Active Forum Test Above Active FAQ -0,4 Active Web Sites Oral Examination Above Collaborative Project Above -0,5 0 0,5 1,0 1,5 137 Una simile dicotomizzazione è stata effettuata sulle frequenze di uso delle singole sezioni della piattaforma (FAQ, siti web e così via). Valori superiori alla media sono stati etichettati come “Active” e valori inferiori come “Passive”. Il risultato delle analisi delle corrispondenze multiple è mostrato nella figura 4. Il primo asse è stato interpretato come “partecipazione attiva-passiva”. Il semiasse positivo dell’asse verticale descrive una cattiva performance agli esami, mentre il semiasse negativo descrive una buona performance associata ad una partecipazione attiva a quelle sezioni di DVLN che implicano una maggiore propensione ad interagire con la classe virtuale (Brainstorming, Forum, Web sites, FAQ). Dunque, l’analisi delle corrispondenze multiple conferma che vi sono diverse modalità di fruizione della piattaforma DVLN e dunque diverse tipologie di studenti. Inoltre, nell’ambito della partecipazione attiva si possono distinguere due diversi agglomerati di modalità: le interazioni virtuali con altri membri della classe virtuale (Interattività, in basso a destra) e la partecipazione alla costruzione della libreria virtuale, del glossario e al critical thinking. Per quanto concerne le valutazioni finali, il secondo asse (semiasse negativo) evidenzia una relazione tra interattività online e buona performance al lavoro collaborativo e all’esame orale. Nella figura 5 i risultati dell’analisi fattoriale sono proiettati in supplementare sul piano delle corrispondenze multiple. Si può notare che il “pensiero umanistico” punta verso la “partecipazione attiva” ed una buona performance all’esame finale, mentre il “pensiero tecnico” punta verso la “partecipazione passiva”, ma non è correlato alla performance all’esame. Questi risultati sembra confermare l’esistenza di stili cognitivi o stili di apprendimento differenti che si manifestano anche nelle modalità di fruizione di una piattaforma di formazione a distanza. Figura 5 Rappresentazione congiunta. Pensiero Tecnico 0,1 0 Partecipazione attiva Pensiero Umanistico -0,1 -0,2 Buona Performance e Interattività -0,2 138 -0,1 0 0,1 0,2 0,3 DALLE RETI SOCIALI ALLE SOCIETÀ DEI CONCETTI Pertanto, bisogna guardare la classe virtuale come un organismo complesso, cioè una rete sociale costituita a sua volta da sottoreti di allievi probabilmente simili tra loro per caratteristiche culturali e per l’atteggiamento verso lo studio e l’innovazione didattica. Allo scopo di modellizzare la rappresentazione mentale di un certo argomento posseduta da un collettivo di persone e di comprendere se e come le reti sociali influenzano tale rappresentazione è stata sviluppata una metodologia basata sull’applicazione della SNA alle reti concettuali. Le società di concetti La soluzione sperimentata è basata sull’uso combinato di DKN e DVLN. Il modello DKN (Dynamic Knowledge Networks) può essere considerato come una generalizzazione multimediale ed interattiva delle mappe cognitive visivo-relazionali e consente non solo di rappresentare visivamente i concetti e le loro relazioni reciproche, ma anche di costruire una rete di “oggetti multimediali” entro cui è possibile navigare4. Dal punto di vista di questo saggio, una DKN può essere concepita come una società o rete di concetti alla quale è possibile applicare le metodologie scaturite dall’analisi strutturale tipiche dell’analisi dei grafi e della SNA. Nella figura 6 è mostrato il grafo del modo in cui gli studenti del corso di Psicologia delle Comunicazioni tenuto dal prof. Smiraglia presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Napoli Federico II percepi- Sintesi di testi Tesine di ricerca Utilità Prove Intercorso IV 4 Per una descrizione più dettagliata si rimanda al volume “Reti dinamiche di apprendimento a distanza [Giani, 2004a]. Figura 6 Mappa collettiva della percezione di DVLN. Materiale docente Consultare la bacheca Gruppo piacevole III Forum V Usare Internet Lavoro di gruppo Laboratorio Consultare contributi Ricerche bibliografiche Studiare con colleghi Utilizzare le e-mail Spirito di collaborazione Consultazione in biblioteca Lavoro aggiuntivo Comunicazione Organizzare studio I Esercitazioni pratiche II VI Dialogo col docente Socializzare argomenti Aggiornato Contributi colleghi Intervenire nella didattica Spiegazioni approfondite Domande Testo esame Appunti del corso VII Citazioni Glossario Siti Web Biblioteca 139 Figura 7 Mappa semantica del dolore del parto. scono la piattaforma DVLN. Le domande sono state poste agli studenti sotto forma di item misurati su una scala di Likert. La matrice delle adiacenze è stata ottenuta dicotomizzando la matrice di correlazione ad un livello di significatività pari a 0,01. La costellazione I indica un’attitudine a percepire DVLN come uno strumento formativo che permette di rimanere aggiornati, di accedere ai contributi degli altri studenti ed organizzare meglio lo studio; la costellazione II evidenzia una propensione ad usare DVLN come strumento per una migliore interazione e collaborazione con il docente; la costellazione III è centrata sul lavoro di gruppo; la diade IV indica un atteggiamento teso ad utilizzare il materiale registrato online dal docente e a consultare gli avvisi disponibili in bacheca; la costellazione V descrive una percezione di DVLN come uno strumento per ricercare nuove informazioni attraverso il web; la diade VI, “esercitazioni pratiche-appunti del corso”, indica un atteggiamento opportunistico; la costellazione VII descrive l’utilizzazione di DVLN per mettere nuove informazioni a disposizione della classe virtuale. I fattori emersi dall’analisi fattoriale classica ottenuta ruotando la soluzione con il metodo Varimax sono risultati praticamente sovrapponibili a quelli della mappa cognitiva collettiva, come era da attendersi, dato che l’analisi fattoriale modellizza la matrice delle correlazioni. Tuttavia, nell’analisi fattoriale classica è difficile comprendere il ruolo di ciascun concetto all’interno della rete. Ad esempio, dalla rete cognitiva collettiva è possibile comprendere il ruolo di keyplayer svolto dal “dialogo con il docente” o dal “lavoro di gruppo” e più in geneattesa preoccupazione aiuto impazienza respirazione dio contrazione lacrime mamma dolore felicità spinta lettino stress III I insopportabile incoraggiamento rabbie ostetrica bambino medici sopportazione sala parto sforzo amore sofferenza gioia ferri ansia sudore pianto stanchezza paura II emozione sangue 140 urla rale la struttura topologica delle relazioni tra i concetti. Inoltre la rappresentazione in termini di mappe è più intuitiva e naturale. In un primo esperimento è stato chiesto alle allieve del corso di laurea per Ostetrica di esplicitare i termini elicitati dalla parola stimolo “dolore del parto” [Giani e Bruzzese, in stampa). La somiglianza tra due termini è stata calcolata utilizzando l’indice di Jaccard. Un test di permutazione casuale è stato utilizzato per scegliere il valore soglia al di sopra del quale due concetti o termini potessero essere considerati simili tra loro. Il risultato è mostrato in figura 7. Si possono notare diverse costellazioni percettive principali: una legata all’ambiente del parto (I), una legata al travaglio del parto (II), una relativa agli aspetti emotivi e una centrata sul termine “bambino” (III) che funge da elemento di connessione (keyplayer) tra la costellazione del travaglio, la maternità ed il contesto. Si possono infine riconoscere tre diadi isolate. Un secondo esperimento è stato basato sulla analisi di un questionario sui fattori che nella percezione collettiva influenzano il dolore del parto misurati su una scala di Likert. La matrice delle correlazioni è stata dicotomizzata al livello di significatività di 0,01. Il risultato è mostrato in figura 8. Si possono notare diverse costellazioni percettive: l’età e le precedenti esperienze, l’atteggiamento verso la gravidanza e l’ansia del partner (I); l’autostima, il grado di informazione ed il livello socioculturale (II); la percezione del personale sanitario, in particolare per quanto attiene alla preparazione percepita, alla sua umanità e alla possibilità di Mappa cognitiva collettiva dei fattori che influenzano il dolore del parto. parità pauramorte stato di ansia Figura 8 cesarei ansiaPartner pauradolore V abortività preocEsito età I accettazione desiderabilità pregresper VI posizione fiduciaSé clinica autostima stato civile minaccia ospedaliero disinformazione sessoginec superstizione paurasterilità socioculturale II domicilio nonfiduciaStaff pauranonaiuto insicurdurata preparpercepita colpa IV III insicurprogress umanità partecipare insicurqualità 141 partecipare attivamente alle varie fasi del parto (III); l’insicurezza su come evolverà il parto (IV); la paura relativa all’esito finale e la paura della morte (V); il contesto del parto, ospedaliero o in clinica (VI). Si può notare il ruolo fondamentale (keyplayer) è giocato dalla autostima che connette tre costellazioni percettive. La medesima metodologia è stata utilizzata per valutare l’atteggiamento verso il cibo. Circa 1800 adulti senza apparenti problemi di soprappeso o di sottopeso hanno compilato online il test di Garfinkel [Garner e Garfinkel, 1979] sull’atteggiamento verso il cibo (EAT 26). In figura 9 è riportata la DKN collettiva comune ai maschi e alle femmine. Si può notare una triade (I) relativa ad aspetti “anoressici” ed una costellazione centrata intorno alle preoccupazioni per il cibo (II). Vi è poi una diade (III) di disagio rispetto ai dolci e pensieri relativi al cibo. I risultati complessivi sono riportati e discussi nel volume “Complessità, salute e malattia: Medicina centrata sulla persona” in corso di stampa [Giani e Brascio, in stampa]. Figura 9 Intersezione delle mappe dei maschi e delle femmine. Penso che gli altri vorrebbero che io mangiassi di più Gli altri pensano che io sia troppo magro I Sento che gli altri vorrebbero costringermi a mangiare Mi sento estremamente in colpa dopo aver mangiato Sono ossessionato dall'idea di essere più magro II Sono terrorizzato dall'idea di essere soprappeso Sono ossessionato dal pensiero del grasso che è nel mio corpo Mi sento a disagio, agitato, quando penso ai dolci Cerco di stare a dieta III IV Dedico sempre troppo tempo e troppi pensieri al cibo 142 Sono costantemente preoccupato per il cibo Quando faccio esercizio fisico PROSPETTIVE FUTURE I problemi che rimangono da risolvere sono diversi e di diversa complessità. Quello principale è di trovare una metodologia per comprendere la relazione tra le interazioni sociali e la costruzione di rappresentazioni cognitive di gruppo. Infatti, dagli studi sulle reti sociali si evidenzia che le persone tendono ad aggregarsi in gruppi sulla base di affinità psico-sociali e culturali. Teoricamente quindi le persone appartenenti ad un medesimo gruppo dovrebbero sviluppare rappresentazioni mentali di un certo problema, argomento o disciplina più simili di quanto non lo siano rispetto a quelle di soggetti appartenenti ad altri gruppi. Il gruppo di ricerca sta dotando DVLN di una serie di strumenti volti a mettere in relazione i gruppi sociali con le loro rappresentazioni mentali. Questi saranno sperimentati nell’anno accademico 20042005. In tal modo, DVLN integrato non sarà una semplice piattaforma di formazione online, bensì un vero e proprio strumento di conoscenza dei processi di apprendimento5. 5 L’uso di DVLN (http://umberto.policlinico.unina.it/) e di DKN è gratuito per le istituzioni pubbliche senza fini di lucro. Riferimenti bibliografici Aaron L. (1996), Thought Contagion. How Belief Spreads through Society. New York, NY, Basic Books. Adler E. (1989), Cognitive Evolution: A dynamic approach for the study of international relations and their progress. 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Giani U., Ascione R., Martone P. (1996), Dynamic knowledge networks and Intelligent Tutoring. In J. Brender et al. (eds.), Proceedings of the International Congress on Medical Informatics Europe MIEʼ96, IOS Press, pp. 818-822. Giani U., Brascio G. (in stampa), Rappresentazione mentale del cibo e organizzazioni cognitive, in U. Giani (ed.), Complessità, salute e malattia: La Medicina centrata sulla persona. Giani U., Bruzzese D. (2004), Metodologie per lʼanalisi multidimensionale della partecipazione a DVLN. In U. Giani (ed.), Reti dinamiche di apprendimento a distanza, Napoli, Liguori, pp. 259-276. Giani U., Bruzzese D. (in stampa), Rappresentazioni mentali del dolore e mappe cognitive a distanza, in U. Giani (ed.), Complessità, salute e malattia: La Medicina centrata sulla persona. Giani U., Martone P. (1997), Distance learning, PBL and Dynamic Knowledge Networks in Medicine. In H. F. Eitel, W. Gijselaers (eds.), Problem-Based learning. Theory, Practice and Research. 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Si tratta di un approccio, e quindi di una metafora, estremamente sensibile agli elementi contestuali e situazionali; pertanto la riflessione sul come si costruisce conoscenza in un forum deve tener conto delle specifiche risorse e delle costrizioni di tale ambiente. In questo contributo si presenterà uno studio che mette in luce lʼintenso e complesso intreccio tra aspetti cognitivi e identitari che può ritenersi specifico dei forum, evidenziando anche la stretta dipendenza con i temi di discussione e le finalità e le pratiche della comunità virtuale. SE COSTRUIRE È UNA METAFORA, QUALI SONO I MATERIALI E GLI STRUMENTI? Costruire conoscenza è uno degli obiettivi più attraenti che la moderna psico-pedagogia si pone e sicuramente la costruzione di conoscenza è la nuova metafora dei processi di apprendimento, che va a sostituire la metafora della trasmissione delle informazioni da una fonte esperta ad un ricevente novizio, adottata dal Comportamentismo. Superata, almeno teoricamente, una visione riduzionista e positivista, i nuovi orientamenti psico-pedagogici tendono a definire l’apprendimento come l’abilità di “costruire” conoscenza, sulla base di elaborazioni personali e a seguito dell’interazione con gli altri e con i vari strumenti che natura e cultura ci mettono a disposizione [Ligorio, 2003]. Ma, seguendo le suggestioni di questa metafora, il termine “costruire” sembra essere suscettibile di varie interpretazioni: può essere un modellamento plastico, come se la conoscenza fosse un “das”; oppure una costruzione a “mattoncini” tutti uguali e regolari posti uno su l’altro; ma anche un puzzle con pezzi diversi e irregolari per dimensioni e forma; o ancora può evocare una rete di fili che formano un tessuto più o meno elastico secondo la natura del loro intreccio. Dipende dal “materiale” che si usa, dalle tecniche di costruzione, ma anche dagli obiettivi di chi costruisce e dalle risorse contestuali. Se la costruzione avviene in un ambiente di comunicazione virtuale, come quello dei forum, allora è lecito chiedersi quanto il processo di costruzione dipenda dallo strumento di mediazione usato, quanto le peculiarità del forum (asincronia, prevalenza del testo scritto, dimensioni consentite per ciascun intervento, strumenti eventualmente disponibili per sostenere la discussione) possano essere influenti. Ovviamente, questi aspetti si combineranno, in vari modi continuamente rinegoziati, con le caratteristiche, gli specifici interessi, le motivazioni, le aspettative e gli 147 Maria Beatrice Ligorio Università degli Studi di Bari [email protected] obiettivi, più o meno espliciti, degli utenti del forum, della comunità che avvia e sostiene la discussione all’interno del forum. In questo intervento proverò a mostrare come costruire conoscenza in un forum sia un processo sofisticato, analizzabile solo attraverso una procedura complessa. IL FORUM I forum sono particolarmente attraenti per i contesti educativi finalizzati alla costruzione di conoscenza per diverse ragioni: • supportano un tipo di pensiero argomentativo e scientifico, basato sulla formulazione di domande e risposte, discussione di problemi e messa a punto di ipotesi [Hakkarainen, 1999]; • l’essere asincrono ben si confà con i tempi della scuola e degli istituti di formazione [Ligorio, 2002]; • la possibilità di leggere e rileggere le note, di rivedere il proprio scritto prima di renderlo pubblico, di strutturare le note con scaffold (spiegati meglio di seguito) di vario tipo, sostiene il pensiero metacognitivo [Cacciamani, 2003]. Un software particolarmente interessante è Knowledge Forum (KF), versione rivista e rielaborata del Computer-Supported Intentional Learning Environment (CSILE), sviluppato presso il Centro per le Applicazioni delle Scienze Cognitive dell’Università di Toronto [Scardamalia e Bereiter, 1994]. KF è stato costruito con l’esplicito tentativo di attualizzare, nelle opzioni e nella grafica del software, i principi socio-costruttivisti condivisi a livello teorico e si configura, pertanto, come uno spazio virtuale capace di attivare processi di apprendimento collettivi ed individuali, in linea con quei principi. Una delle modalità con cui KF attualizza i principi socio-costruttivi dell’apprendimento è attraverso l’uso degli scaffold. Si tratta di etichette da inserire nel testo della nota, allo scopo di rendere evidente il tipo di contributo che si sta Figura 1 Gli scaffold di Knowledge Forum. 148 dando alla discussione e di forzare la riflessione sulla scrittura. In KF ci sono due diversi tipi di scaffold: uno a supporto della costruzione di teorie e l’altro per l’esplicitazione delle opinioni. La figura 1 mostra come si attivano e si selezionano gli scaffold. Al centro di KF vi è una banca dati condivisa in cui gli utenti possono generare delle note (testi scritti, grafici o immagini), accessibili a tutti gli utenti registrati. Gli argomenti di discussione inseriti nella banca dati vengono organizzati in views (delle sorte di contenitori rappresentati da quadratini cliccabili), il cui titolo sintetizza e guida la discussione. Cliccando sul quadratino della view si accede alle note contenute nel loro interno: qui ciascuna nota è a sua volta rappresentata da altri quadratini accompagnati dal titolo della nota e cliccando su di esse apparirà l’intero testo della nota. Ogni utente può collegarsi alla banca dati, leggere le note altrui e può inserire nuove note oppure note collegate a quelle già presenti. Quest’ultimo tipo di note è chiamato build-on, ovvero una nota costruita a partire da un’altra nota. I build-on generano automaticamente una struttura della discussione, definita albero. La figura 2 presenta la visualizzazione di un albero di discussione. L’albero di discussione è composto da fili, ovvero da tutte quelle note generate a partire da una nota di avvio e che sono visivamente distinguibili perché rientrate rispetto alla nota iniziale. Nel suo insieme, la discussione in una view è quindi composta da diversi fili o rami di profondità variabile che compongono l’albero di discussione. LA COSTRUZIONE DI CONOSCENZA NEI FILI E NEGLI ALBERI Capire come si dipana il processo di costruzione di conoscenza all’interno dei fili che compongono la tipica struttura ad albero dei forum è uno degli obiettivi principali del Collaborative Knoweldge Building Figura 2 Visualizzazione dell’albero delle note in Knowledge Forum. 149 Group (CKBG), di cui faccio parte [Cacciamani et al., in stampa]. Il CKBG è gruppo di ricercatori e formatori che si incontra sistematicamente in KF ormai da un paio di anni e ha già delineato diverse linee di ricerca, alcune delle quali qui elencate: • le modalità di partecipazione e la formazione di reti sociali [Tateo, 2004]; • l’evoluzione dei contenuti e delle capacità argomentative dei partecipanti [Cesareni, Ligorio e Pontecorvo, 2001; Ligorio e Mancini, in stampa]; • il processo di indagine progressiva [Cesareni e Martini, in stampa]; • le strategie comunicative e l’analisi delle interazioni [Mancini e Maroni, 2004]; • il ruolo della metacognizione [Cacciamani, 2003]; • la relazione tra identità e conoscenza e le modalità di costruzione dell’intersoggettività in rete [Ligorio, Pugliese e Spadaro, 2004; Spadaro, Ligorio e Pugliese, 2004]. La varietà dei temi che emerge da questo elenco fa facilmente intravedere la ricchezza delle modalità di comunicazione all’interno degli ambienti forum; inoltre, la riflessione metodologica che caratterizza il CKBG ha generato piste di analisi originali e innovative. In ogni caso, l’approccio utilizzato ha, in prima battuta, una base squisitamente qualitativa, mentre la dimensione quantitativa è funzionale ad una descrizione più generalizzata dei fenomeni osservati. Inoltre, il lavoro del CKBG è caratterizzato dall’osservazione partecipata di tipo etnografico [Have, 2002] che incoraggia la comprensione dei fenomeni “dal di dentro”, pertanto spesso ricercatore e partecipante coincidono. L’analisi che vogliamo qui proporre si articola su due diversi piani, entrambi utili per comprendere come avviene la costruzione di conoscenza. Innanzitutto, ci sembra necessario individuare una metodologia che ci faccia capire di cosa si parla nei forum: individuare l’argomento di discussione ci permetterà poi di formulare delle ipotesi più circostanziate sul “come” si costruisce conoscenza [Spadaro e Ligorio, 2004]. Infatti, la nostra seconda tappa sarà quella di individuare delle modalità di costruzione di conoscenza che possano essere considerate specifiche della discussione via forum. DI COSA SI PARLA NEI FORUM Questa prima tappa è stata realizzata selezionando 46 note, organizzate in 4 fili (rispettivamente da 9, 18, 14 e 5 note), che componevano la view “Un forum per cosa?” contenuta all’interno del KF usato dal CKBG. A questa view hanno contributo 8 partecipanti e ciascun filo ha visto la partecipazione mediamente di 5 autori. L’individuazione degli argomenti di discussione è avvenuta tramite l’uso di alcune schede, ispirate all’analisi del contenuto [Losito, 1993; Rositi, 1970]. Le schede costruite sono due e si differenziano tra loro per il livello di analisi: la prima riguarda un singolo filo discorsivo, ovvero una sequenza dialogica di note tra di loro connesse (informazioni circa l’insieme delle note che compongono una sequenza); la seconda scheda riguarda invece le singole note. La prima scheda, che definiamo della sequenza, ha lo scopo di descri150 vere le caratteristiche generali di un filo, ovvero di una sequenza dialogica. La scheda è finalizzata a raccogliere informazioni circa il numero di partecipanti ad una sequenza, il totale di note che compongono la sequenza, l’autore e il contenuto della nota dalla quale si origina una sequenza (nota madre) (fig. 3). Codice sequenza numero n. 1 2 3 4 Numero partecipanti Numero note Autore (specificare se tutor) nota madre Tipo nota madre a. richiesta b. riflessione c. citazione d. condivisione esperienze personali La seconda scheda (detta scheda della nota) ha lo scopo di valutare le singole note sotto diversi aspetti, in particolare rispetto al suo contenuto e alle sue caratteristiche linguistiche. Vista nella sequenza dialogica di cui fa parte, viene poi valutata la relazione esplicita di ciascuna nota con le note precedenti (fig. 4). 5 Tipo di nota a. nota madre b. build on c. nota isolata Caratteristiche di contenuto 6 Emoticon a. non presente b. presente 7 Onomatopee a. non presente b. presente 8 Tipo di nota a. problema b. la mia teoria c. approfondimento teorico d. commento e. metacommento f. sommario g. aiuto h. organizzazione i. relazioni sociali 9 Relazione con la nota precedente (se è un build on) a. accordo b. disaccordo c. neutro d. richiesta chiarimenti e. dare chiarimenti f. dare aiuto g. altro Aspetti linguistici e relazionali 10 Uso di deissi spaziali a. non presente b. presente (specificare) 11 Uso di deissi temporali a. non presente b. presente (specificare) 12 Riferimento implicito a persona (tu, lui ecc) a. non presente b. presente (specificare) 13 Valutazione esplicita della nota precedente a. presente b. non presente Figura 3 Scheda di analisi relativa alla sequenza. Figura 4 Scheda di analisi relativa alle note. 14 Interlocutore implicito a. soggetto singolo b. comunità 15 Riferimento alla propria identità a. non presente b. presente Relazione con altre note 16 Risposta semplice a. non presente b. presente 17 Risposta complessa a. non presente b. presente 18 Feedback a. non presente b. presente 19 Domanda di avvio a. non presente b. presente 20 Domanda build-on a. non presente b. presente Approssimativamente il 40% delle note è stato analizzato da due ricercatori che, dopo aver discusso i casi ambigui, hanno raggiunto un completo accordo sulle modalità di analisi. I dati di questa analisi sono stati anche discussi altrove [Spadaro e Ligorio, in stampa]. Con la prima scheda è stato possibile individuare il tipico discorso che si realizza nelle view. Nella view “Forum per cosa?” solo la prima nota-madre, quella che dà l’avvio alla view, è stata scritta da un tutor, 151 mentre le altre sequenze sono state originate da note-madri postate da partecipanti semplici. I contenuti delle note-madre sono soprattutto richieste, domande rivolte generalmente a tutti i partecipanti, in un solo caso (la terza sequenza) si tratta di una riflessione dell’autore sui contributi letti. La seconda scheda ci fornisce informazioni circa il contenuto delle note. Il 43,5% delle note è costituito da commenti ad altri interventi o teorie, in altre note gli autori espongono una propria teoria (35%) o evidenziano dei problemi relativi all’argomento trattato (24%). La relazione con le note direttamente collegate viene esplicitata, nei buildon, più spesso con l’accordo (46%) che con il disaccordo (7,15%). Ha un valore neutro, invece, il 14,3% dei build-on. Una riflessione sulla distribuzione delle frequenze delle diverse dimensioni incluse nella seconda scheda ci ha permesso di ipotizzare due funzioni fondamentali svolte dal discorso analizzato: a) una funzione cognitiva finalizzata alla co-costruzione di conoscenza; b) una funzione relazionale finalizzata alla costruzione di una intersoggettività condivisa. La funzione cognitiva: co-costruzione della conoscenza Questa funzione è stata valutata attraverso degli indicatori di contenuto, quali la presenza di nuovi elementi rispetto alle altre note collegate, la problematizzazione e l’uso di risposte complesse. Le note che danno avvio ad una sequenza dialogica e quelle dalle quali si originano diramazioni sono solitamente rivolte a tutta la comunità (57% delle note) ed aprono nuovi problemi in forma di domande o di riflessioni problematiche [“Scrivo questa nota di avvio proponendo di discutere (…) Invito tutti a produrre proposte (…)”]. Le note di snodo somigliano alle note madri nel contenuto problematizzante e nel riferimento ad un interlocutore generico. In molte note (48%) viene aggiunto un elemento teorico nuovo da cui partono evoluzioni della discussione e che spesso si manifesta all’interno di una risposta complessa ad una nota precedente (50% del totale). In questo tipo di interventi si tende sia a commentare la domanda sia a spiegare la risposta [“La domanda di Antonella è molto stimolante e mi viene da generalizzarla in tre direzioni (…)”]. Nello svolgersi della sequenza a volte succede di modificare il tema di discussione, spesso attraverso note che traggono, dalle note di origine, degli spunti per altre riflessioni [“A proposito delle tue idee (…) mi viene in mente una proposta”]. La co-costruzione della conoscenza è uno degli obiettivi specifici sia del forum (progettato seguendo una logica intesa a sostenere la produzione di conoscenza collaborativa) sia della comunità. Aver rilevato questo tipo di funzione nel discorso ci permette di sostenere che gli obiettivi perseguiti sono stati raggiunti. La funzione relazionale: la costruzione dell’intersoggettività L’autoreferenzialità e il riferimento all’altro possono essere considerati come indicatori importanti del tentativo di costruire un’intersoggettività collettiva, ovvero un senso di condivisione degli stessi significati e conoscenze [Rommetveit, 1979]. Questi due aspetti sono pre152 senti nella view rispettivamente nel 59% e nel 61% dei casi e sono quasi sempre contemporaneamente presenti nelle singole note. Le sequenze dialogiche tendono a cominciare con una problematizzazione generale (3 su 4 note-madri cominciano con una richiesta o domanda) spesso in riferimento a proprie esperienze personali [“Io sto cercando di inserire la pratica dei forum nella didattica universitaria (…) vorrei capire quali altre possono essere le ricette per impostare bene il mio corso”]. Il filo poi procede con l’alternanza di riferimenti al TU (in media nel 60% delle note di ogni sequenza) e all’IO (60%). Successivamente si riscontra una maggiore presenza dell’accoglimento delle note altrui a cui si aggiungono, contemporaneamente, commenti basati su esperienze personali o proprie idee [“mi associo all’idea di un’adeguata formazione degli insegnanti sebbene un problema grosso che vedo è quello del tempo”]. La deissi è considerata un indice di condivisione parziale del contesto. Nelle note analizzate questa forma linguistica è usata nel 32% dei casi analizzati ed è soprattutto riferita al contesto prossimo del forum (87,5%) in qualità di strumento [“questo che usiamo qui presenta una grafica tipo mappe concettuali”], di luogo [“sono felice di leggerti qui dentro!”] o di contenuti [“un insegnante riesce certo a tutorare queste attività, se ha una pregressa pratica di tutta ’sta roba” ]. COGNITIVO E RELAZIONALE: COME SI INTRECCIANO? L’analisi fin qui condotta ci ha permesso di individuare due funzioni del discorso via forum: l’elaborazione e lo sviluppo di idee, problemi, concetti, e la funzione relazionale attraverso cui i partecipanti parlano di sé e si relazionano agli altri. Ma come si intrecciano queste due funzioni? Che tipo di rapporto intrattengono l’uno con l’altro? Per rispondere a queste domande siamo ricorsi a due ulteriori suggestioni teoriche che sembrano offrire costrutti utili ai nostri scopi: la teoria dell’Identità Dialogica [Hermans, 1996] e la teoria circa le Comunità di pratiche [Wenger, 1998]. La teoria dialogica di Hermans [1996] trae spunto dal nesso tra interazione e costruzione dell’identità, già individuato da Bachtin [1986] e Harrè [Harré e Van Langenhove, 1991]. Nella sua teoria linguistica, Bachtin ipotizza l’esistenza di più voci intervenienti nella scrittura di una narrazione: la voce dello scrittore, del destinatario supposto, dei personaggi del racconto e del contesto sia storico sia attuale in cui avviene la scrittura. Nella narrazione le voci dialogano tra loro in modo fluido, creando relazioni tra loro o tra le parti del testo. In questa teoria, dunque, l’atto dello scrivere è considerato come l’espressione evidente della presenza di un processo dialogico interno allo scrittore: la presenza di un sé multivocale. Nella teoria dei posizionamenti [Harré e Van Langenhove, 1991] si suggerisce l’esistenza di una dimensione spaziale del sé: i vari aspetti del sé possono occupare posizioni specifiche dello spazio, muovendosi tra collocazioni diverse, più o meno emergenti. Tali movimenti sono opportunamente scelti in base al contesto interazionale e alla dinamica discorsiva. Successivamente, la teoria del Sé dialogico distingue posizionamenti interni ed esterni: i primi riguardano ciò che l’individuo sente di essere relativamente ad un con153 testo o ad un rapporto interpersonale (io come figlio, io come studente); i secondi riguardano i corrispettivi, nel mondo esterno, dei primi (mia madre, il mio professore). I posizionamenti, lungi dall’essere scissioni di un intero, dialogano tra loro posizionandosi l’uno sull’altro oppure aggregandosi. Il dialogo fluido tra i posizionamenti del sé è indice, dunque, di un’identità stabile e flessibile, in altri termini sana. Nell’incontro con l’altro i dialoghi interni si intersecano con il dialogo interpersonale generando nuove forme di posizionamento sul sé, nuovi modi di essere nella relazione e nel contesto. L’identità è quindi costruita attraverso i dialoghi con l’altro e si rinnova continuamente in base alle interazioni, ai contesti, alla condivisione reciproca delle identità. Gli ambienti virtuali rappresentano contesti con specifiche risorse testuali capaci di attivare nuovi posizionamenti e nuovi dialoghi. Wenger [1998] mette a punto un modello teorico-pratico in grado di spiegare il funzionamento dei gruppi, dando conto sia della dimensione individuale che delle dinamiche di interazione intorno alle pratiche che caratterizzano il gruppo. In particolare, per i nostri obiettivi, è interessante il modello partecipativo basato sulla legittimazione della “partecipazione periferica”. Questo modello descrive la partecipazione ai gruppi in termini di traiettorie dal “centro” alla “periferia” della pratica, lungo le quali si articolano diversi percorsi di partecipazione. Quindi, nel cercare di capire come la dimensione cognitiva s’intreccia con quella relazionale useremo i concetti proposti dalla psicologia del sé dialogico e dal modello partecipativo all’interno delle comunità di pratica. IL FILO DI “ARIANNA”: LE PARTECIPAZIONI INDIVIDUALI ALLA COSTRUZIONE COLLABORATIVA All’interno delle comunità i partecipanti trovano sempre delle modalità individuali di partecipazione. Pensando alle comunità virtuali come a dei labirinti con diversi percorsi, ciascun partecipante dipana il suo filo dal centro verso la periferia o viceversa, usando risorse diverse. Analizzando due nuove view del CKBG, abbiamo osservato specifiche dinamiche di partecipazione dove aspetti cognitivi e relazionali si intrecciano in modi specifici. Le view analizzate sono: • “I partecipanti”: è il luogo in cui i partecipanti approdano la prima volta che entrano nel Forum e in cui si presentano agli altri descrivendosi liberamente. Al momento dell’analisi c’erano stati 25 scrittori, tra ricercatori ed insegnanti, ed erano state postate 105 note. • “Seminario Metodologico”: creata allo scopo di organizzare un seminario scientifico in cui poter discutere delle tecniche di analisi utilizzabili per studiare le interazioni nei forum virtuali. Al momento dell’analisi la view era chiusa e conteneva 104 note postate da 11 scrittori, soprattutto ricercatori. Dalla periferia al centro: effetti della partecipazione emotiva Alcuni partecipanti, al momento di presentarsi, si pongono spontaneamente alla periferia della pratica. In seguito lo spostamento verso il centro sembra spesso dovuto al porre l’accento su aspetti emotivi e personali, come nel caso dell’estratto 1 qui riportato. 154 Estratto 1 - Buongiorno cari amici, mi chiamo L. 2003, May 26 by L. T. Cari amici del CKBG, mi chiamo L. T. e sono felice che B. mi abbia messo al corrente dellʼesistenza di questa piccola community. Sono un laureato in Scienze della comunicazione a Salerno e sto completando il dottorato in Psicologia della Comunicazione a Bari. I miei interessi di ricerca riguardano la CMC, le relazioni intergruppo, il pregiudizio e il digital divide. […] Ora che ho adempiuto ai doveri accademici, mi piacerebbe raccontarvi qualcosa di più serio. Sono un appassionato di tango argentino, belle donne (shhh, mia moglie non deve sentire) buoni vini e buona cucina. Sto attraversando la tipica fase in cui un dottorando è stanco di studiare e di fare cioʼ che gli viene richiesto e vorrebbe invece iniziare a dire qualcosa di suo e magari essere anche ascoltato! Prometto solennemente di partecipare alla community e spero di aggiungere una cellula piuttosto attiva. L. T. L. parla di sé, della propria vita privata e negozia la partecipazione alla discussione mettendo in gioco aspetti emotivi: partecipo a costo che mi stiate a sentire e affinché mi stiate a sentire sono disposto anche a raccontarvi qualcosa di privato di me. L. si auto-posiziona ai margini della comunità in quanto newcomer, ma si impegna a spostarsi al centro contribuendo alla costruzione di conoscenza utilizzando strategicamente anche aspetti emotivi di sé. Dal centro alla periferia: effetti della partecipazione critica S. entra nel forum in qualità di esperto della CMC e si descrive come “ovviamente” interessato al forum (estratto 2); parte quindi da una forte assunzione su quali siano gli interessi del gruppo di discussione e, da esperto, si propone automaticamente come un partecipante capace di posizionarsi al centro della discussione e della costruzione di conoscenza. Presto S. esplicita le ragioni della sua partecipazione e propone un contributo critico al processo di costruzione di conoscenza: Estratto 2 - Se ti interessa davvero… 2004, February 24 by S. […] trovo gradevole la struttura e lʼestetica ma poco indirizzata la gestione del forum stesso. […] mi sembra dispersivo il carico di perlustrazione necessario per vedere se ci sono novità (nuovi interventi, materiali, opinioni, ecc.). Non dico questo per pura critica ma una delle ragioni fondamentali per cui mi sono iscritto è approfondire organizzazione, funzioni e stili di gestione dei forum. Per dirla tutta: i miei forum sono la parte meno soddisfacente dellʼesperienza sin qui maturata. […] Le reazioni a questa modalità di partecipazione non si fanno aspettare (estratto 3): Estratto 3 - Saluto e rispondo 2004, February 27 by P. Ciao S. e benvenuto! Sai, concordo con te sul fatto che a volte KF risulta poco usabile, mi riferisco soprattutto al fatto che la presenza di nuove note non è segnalata già fuori dalla view. Concordo meno con la questione dellʼindirizzamento infatti credo che molte note siano necessariamente trasversali agli argomenti delle view; per esempio ora io sto discutendo, nella view dedicata alle presentazioni, dellʼusabilità di KF (argomento forse da Informazioni su KF) ma siccome la mia nota origina dalla tua presentazione allora può essere anche considerata una modalità di presentazione della mia identità per differenza dalla tua! È un poʼ contorto ma... io sono in effetti un poʼ confusionaria! ;) 155 P. usa strategicamente una definizione di sé come confusionaria sottintendendo che questo suo modo di essere è simile a quello del forum (che quindi sì, ha dei limiti!). In altre parole, la partecipazione legittimata è quella basata su di una tolleranza ai limiti tecnici del software e che punta invece ad una comprensione empatica e flessibile della discussione. L’atteggiamento critico sposta la partecipazione di S. dal centro alla periferia. Il discorso che produce artefatti Nella view “Seminario metodologico” il discorso è esplicitamente finalizzato alla produzione di artefatti culturali: il programma del seminario, i vari interventi e il seminario in sé. Nell’analizzare il discorso in questa view si rintracciano alcuni momenti critici e l’analisi di questi momenti ci permette di percorrere il filo della partecipazione. La legittimazione esterna I proponenti legittimano la loro idea attraverso ancoraggi esterni alla comunità (estratto 4): Estratto 4 - Una proposta di seminario 2003, October 06 by B. L. Carissimi come vi sembra lʼidea di proporre un seminario metodologico sul come studiare i forum? Lʼidea nasce a seguito del simposio AIP (dove Felice Carrugati - il nostro discussant- ci ha ispirati!). […] Gli ancoraggi esterni costituiscono i riferimenti a partire dai quali sviluppare la partecipazione individuale. Contributi individuali Da partecipante periferico, concentrato sulle esperienze esterne alla comunità, ogni scrittore si può “spingere” verso il centro, mettendo in evidenza il proprio contributo al discorso comune (estratto 5): Estratto 5 - Interessante e stimolante 2003, October 07 by E. M. Trovo questa iniziativa molto interessante e stimolante. Vorrei però sapere se dobbiamo (individualmente) aggiungere un titolo circa il contributo che possiamo dare allʼiniziativa e proposizioni circa date, orari e luoghi del seminario, oppure se intendiamo invitare “esperti” che già da tempo trattano le questioni sulle quali anche noi ci stiamo focalizzando. Ciò che posso dire personalmente è che mi sono occupato e mi sto tuttora occupando della network analysis (tramite il software NetMiner che è uscito in una nuova versione) per lʼanalisi delle interazioni allʼinterno di comunità di studenti universitari. Dunque lʼapporto che potrei dare dallʼiniziativa ha a che fare questo tipo di analisi, nonchè con lʼanalisi quantitativa delle interazioni avvenute tramite la raccolta di dati effettuata con uno strumento classicamente utilizzato in ambito informatico: il Log File del Server. Attendo ulteriori informazioni circa ciò che ci si attende nello specifico da ognuno di noi per un successivo contributo. Ciao a tutti e a presto. Competenze mancanti Alcuni scrittori evidenziano anche delle aree di competenza mancanti nella comunità individuando così limiti e, contemporaneamente, percorsi di ampliamento del discorso (estratto 6): 156 Estratto 6 - Gli esperti siamo noi ;-) 2003, October 07 by B. L. […] Io in particolare sono interessata anche ai log-lineari, ma non ho idea chi li sappia usare! 1 Qualche suggerimento?? Forse qualcuno del gruppo romano? Ovviamente altri suggerimenti - sia sulle tecniche che sulle persone - sono ben accolte. La formazione di sottogruppi specializzati Man mano che la discussione prosegue, gli ancoraggi esterni tendono a divenire sempre più interni alla comunità. Questa fase passa attraverso la costituzione di sottogruppi di persone che condividono lo stesso stato di partecipazione e che, a loro volta, propongono nuovi ancoraggi esterni. Un artefatto per esistere Questa fase è caratterizzata dalla costruzione di un programma preliminare per il seminario (estratto 7). Si tratta di un artefatto secondario [Cole, 1996], in quanto costruito attraverso l’elaborazione collettiva di alcuni strumenti primari (ancoraggi, contributi individuali, ecc.) e la sua funzione è di fornire l’elemento di base su cui edificare un artefatto terziario (nel nostro caso il seminario): 1 Il “Gruppo romano” è un gruppo di membri della comunità che afferisce all’Università La Sapienza di Roma. Estratto 7 - Programma provvisorio 2003, October 27 by P. S. Potete trovare in fondo alla pagina un programma provvisorio per il seminario. Si tratta di una sistematizzazione degli interventi di questa view, spero che i “nominati” vogliano dare al più presto le loro disponibilità. I titoli ovviamente saranno modificati dai relatori ma credo che almeno sugli argomenti dovremmo essere daccordo. Mi scuso per aver forzato la mano su alcuni di voi (es. Alessandra) ma mi sembrano molto interessanti gli interventi che avete fatto, perciò spero che siate comunque disposti a discuterne più approfonditamente durante il seminario. Prego Ilaria di passare il programma a Barbara Maroni e farci sapere se sarà dei nostri. Ciao ciao Reazioni individuali La costruzione del “programma provvisorio” è un evento molto importante per la comunità perché offre l’occasione per negoziare il significato dell’essere una collettività. Esso rappresenta un’occasione per essere visibili al mondo esterno. Può essere considerato come una specie di oggetto transazionale, una sorta di cerniera tra il mondo pubblico e il mondo privato del forum. Questo costringe i partecipanti a riflettere sui propri contributi condivisi durante la discussione e genera anche reazioni di scetticismo (estratto 8): Estratto 8 - Era solo unʼIDEA 2003, October 28 by F. M. In cosa consisterebbe nello specifico il nostro intervento? Mi spiego: lʼidea della generatività che ho condiviso con voi in questo forum, è soltanto unʼIDEA! Non credo di essere in grado di esporre ad altri una cosa così vaga (come è adesso nella mia testa!). Dovrei documentarmi a proposito....quale sarebbe la scadenza ipotizzata? La comunità reagisce supportando i timori di F. fino al punto di generare una nuova negoziazione dello scopo del seminario (estratti 9 e 10). 157 Estratto 9 - Riflessioni sulla tua IDEA 2003, October 28 by P. S. Lo so Francesca, e capisco di averti messa un poʼ a disagio ma ho pensato due cose che mi hanno subito convinta ad inserire nel programma anche la tua IDEA: 1. «… Che bella IDEA! Certo che ad approfondirla potrebbe venirne fuori qualcosa di sicuro interesse!!…» 2. «… se Francesca ne ha parlato con i tutor di dottorato vuol dire che vorrà pensarci seriamente…» Insomma scusami se ho calcato la mano ma lʼidea mi sembra buona e poi si può riportare proprio in termini di “idea non ancora strutturata”. In fondo il seminario ci serve per definire le potenzialità metodologiche del nostro campo di studi, è un terreno tutto da esplorare, credo che siano ben accetti tutti i livelli di elaborazione delle nuove idee. Sono stata convincente? Al massimo puoi punirmi corporalmente durante il seminario per evidenziare cosa hanno GENERATO queste ultime note! ;-) Estratto 10 - Niente panico 2003, October 29 by B. L. Francesca non spaventarti .. non devi fare una lezione magistrale! Anzi, potrebbe essere unʼoccasione per chiarire dubbi e aiutarti per la tesi. Tanto ne sappiamo tutti meno di te. La mia proposta sarebbe quella di provare a selezionare dei dati e vedere come funziona la tua ipotesi di analisi La data ancora non si sa, dobbiamo stabilirla insieme sperando che ci finanziano la cosa Una data comoda per me potrebbe essere il 16 0 17 dicembre visto che sono già a Roma, ma chissà se va bene anche agli altri Il gruppo rassicura F. riassumendo tutte le fasi percorse dalla comunità fino al momento della produzione dell’artefatto. Dalla condivisione delle singole individualità alla formazione di un’identità collettiva, viene chiarito tutto il percorso, precedentemente implicito, di negoziazione degli scopi e delle funzioni dell’essere in collettività e, a maggior ragione, della partecipazione dei membri. La ridefinizione della comunità Le reazioni di F. hanno provocato una ridefinizione degli scopi per cui si stanno costruendo gli artefatti e, conseguentemente, si assiste anche ad una ridefinizione della comunità (estratto 11): Estratto 11 - Apprezzo e rilancio Last modified: 2003, October 31 by E. M. […]. Ciò fuoriesce dallʼambito del seminario, ma comunque anche noi stiamo toccando, sperimentando e proponendo tecniche “classiche” e “nuove” in ambienti “differenti”, per cui ogni riflessione che possiamo proporre e portare mi sembra opportuna e necessaria. […] Grazie e a presto. Le riflessioni sul seminario inducono una rielaborazione delle finalità stesse della comunità: non un gruppo di esperti che racconta ciò che sa, ma un gruppo intento a sperimentare nuove modalità di lavoro e di ricerca. 158 CONCLUSIONI I risultati dello studio qui presentato indicano che la costruzione di conoscenza segue percorsi complessi, che si nutrono di molti elementi contestuali e situazionali. Indubbio è l’intreccio tra elementi cognitivi, che riguardano lo sviluppo di concetti ed idee insieme alle capacità argomentative e riflessive, con gli elementi identitari. Difatti l’identità è uno degli elementi costruiti durante il processo di costruzione della conoscenza in rete, e si avvale soprattutto delle risorse testuali messe a disposizione dal forum, intrecciandole con riferimenti puntuali alla realtà off-line. Inoltre, abbiano visto come la costruzione di un artefatto collettivo fa modificare posizionamenti individuali per creare identità collettive. Infatti, anche l’identità collettiva è uno degli oggetti costruiti e si rivela un elemento necessario per superare conflitti e tensioni. In conclusione, vogliamo sottolineare come nonostante KF si prefiguri come uno strumento costruito sulla base dei principi socio-costruttivisti, i risultati qui discussi evidenziano il bisogno di una maggiore e più sofisticata aderenza tra il modello teorico e le opzioni del software. Ad esempio, la costruzione collaborativa della conoscenza necessiterebbe di authoring multipli, che invece non sono consentiti; l’importanza della dimensione emotiva emersa da questo e da altri studi giustificherebbe la presenza di specifici tool per l’espressione emotiva (che invece non sono disponibili); la relazione tra identità e apprendimento, ormai ampiamente accertata, sembra contraddetta dalla mancanza di strumenti specifici per potersi descrivere in modo dinamico e fluido; l’importanza della dimensione di comunità non trova conferma a causa della mancanza di spazi collettivi per la definizione degli obiettivi e delle pratiche. Pertanto ci auguriamo che questo contributo possa essere da stimolo per la progettazione futura di ambienti virtuali che sostengano adeguatamente la complessità e la ricchezza della costruzione di conoscenza in rete. Ringraziamenti I dati qui presentati sono stati elaborati in collaborazione con Paola Spadaro, studentessa di Dottorato presso l’Università di Bari, e costituiscono parte del suo lavoro di tesi. Colgo l’occasione per ringraziarla del suo prezioso contributo. Ringrazio anche tutti i membri del Collaborative Knowledge Building Group, il cui impegno ed entusiasmo hanno permesso la realizzazione delle esperienze qui raccontate. 159 Riferimenti bibliografici Bachtin M. (1986), Speech genres and other late essays. Austin, TX, University of Texas Press. Cacciamani S. (2003), Riflessione metacognitiva e comunità di apprendimento on line, in O. Albanese (ed.), Percorsi metacognitivi, Milano, Franco Angeli, pp. 199-214. Cacciamani S., Cesareni D., Ligorio M. B., Martini F. (in stampa), Il Collaborative Knowledge Building Group: una comunità di ricerca italiana su ambienti di apprendimento e di lavoro supportati dal computer, in M. B. 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Le occorrenze di linguaggio figurato individuate sono state classificate nelle due categorie di Identità e Contesto e, quindi, di Travestimento, Orientamento e Corporizzazione/Anima-zione, riferimenti spazio-temporali in grado di dar conto dei processi di (auto)-identificazione e orientamento logico-spaziale nel contesto immateriale della rete. Manuela Delfino INTRODUZIONE Tra le variabili socio-cognitive maggiormente coinvolte nei processi di apprendimento in rete quella della presenza sociale sta rivestendo sempre più interesse. Il riconoscimento dell’importanza delle dinamiche sociali, relazionali ed affettive sta diventando, infatti, sempre più ampio, coniugato all’idea secondo cui i processi cognitivi sono da intendersi come inestricabilmente connessi ad esse. Una sorta di co-originarietà oggi sempre più accreditata anche dagli studi delle neuroscienze [Damasio, 1995; LeDoux, 1998], dell’Intelligenza Artificiale [Picard, 1997; Dautenhahn et al., 2002; Trappl, Petta e Payr, 2003] e della psicologia cognitiva [Forgas, 2000; Frijda, Manstead e Bem, 2000], che ha avuto ripercussioni significative anche in ambito educativo [Gardner, 1987; Goleman, 1996]. Anche nel contesto dell’e-learning, specie di quello più sensibile alle problematiche di apprendimento collaborativo, comincia ad emergere un’attenzione particolare verso la natura sociale ed affettiva delle interazioni comunicative e collaborative che i membri di un gruppo online si scambiano, in rapporto alla qualità degli apprendimenti maturati. Quali relazioni si sviluppano tra la dimensione sociale ed affettiva e quella più squisitamente cognitiva? In che termini la presenza sociale promuove ed incoraggia un apprendimento di qualità? Quali sono le emozioni maggiormente in gioco in un’esperienza di apprendimento online? Che relazione esiste tra un buon livello di presenza sociale e la soddisfazione dei membri del gruppo? Queste sono alcune delle domande a cui la ricerca del settore sta fornendo le prime risposte, non prive di risultati talvolta contrapposti e in discussione tra loro, giustificati dalla disomogeneità degli orientamenti teorici e dal recente interesse che la problematica sta suscitando. Il tema del presente studio è quello di indagare le caratteristiche che la Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per le Tecnologie Didattiche, Genova 161 Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per le Tecnologie Didattiche, Genova delfi[email protected] Stefania Manca [email protected] presenza sociale assume quando viene espressa attraverso l’uso del linguaggio figurato, con l’obiettivo di rintracciare le specificità linguistiche legate alla proiezione di se stessi e del gruppo di appartenenza nel contesto immateriale della rete. Per linguaggio figurato intendiamo qualunque uso iconico della lingua finalizzato ad esprimere un significato non letterale, cioè un significato che vada oltre la denotazione standard delle espressioni linguistiche: non solo, quindi, metafore o altre figure retoriche in senso proprio. Il linguaggio figurato può configurarsi, infatti, come una delle possibili dimensioni che la lingua scritta può assumere per esprimere, attraverso modalità nuove e creative, l’orizzonte emotivo di chi si trova a vivere un’esperienza di apprendimento in rete. Il contesto della ricerca in cui è stata condotta l’analisi è stato un corso di 10 settimane, rivolto a specializzandi della Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (SSIS) ligure nell’anno accademico 2002-2003. L’approccio adottato si è basato sull’analisi del contenuto dei messaggi che i partecipanti si sono scambiati nelle aree deputate alla socializzazione e alla metariflessione, ed è stato ricondotto ad alcune categorie di analisi. FRAMEWORK TEORICO Presenza sociale e apprendimento in rete Originariamente introdotto da Short, Williams e Christie [1976], il termine “presenza sociale” è stato reso come “la salienza [salience] dell’altro in una comunicazione mediata e la conseguente salienza delle interazioni interpersonali con l’altro”. Agli stessi autori si deve anche un’altra caratterizzazione della presenza sociale nei termini di “qualità del mezzo di comunicazione stesso”, ad indicare che la presenza sociale è affidata soprattutto alla larghezza di banda dello strumento e alla molteplicità di canali comunicativi in grado di convogliare il maggior numero di indici sociali: voce, espressioni del viso, gestualità, vicinanza spaziale (prossemica), ecc. I media comunicativi sarebbero così classificati secondo la quantità di presenza sociale che sarebbero in grado di trasmettere, a seconda che supportino la trasmissione di audio e video (alta presenza sociale) o di solo testo (bassa presenza sociale) [Rice, 1993]. La comunicazione mediata da computer (CMC) sarebbe, da questo punto di vista, una comunicazione impoverita in quanto precluderebbe agli interessati la possibilità di ricavare informazioni essenziali sul contesto e sulle norme di comportamento comunemente accettate, in grado di orientare lo sviluppo della comunicazione stessa, con conseguente tendenza verso linguaggio e comportamenti disinibiti (ad esempio, di tipo flaming) [Sproull e Kiesler, 1986]. Inoltre, proprio perché l’anonimato riduce la presenza di indicatori di controllo, la comunicazione sarebbe così più incline alla de-individuazione e alla spersonalizzazione, con conseguenze diverse secondo il contesto comunicativo in cui hanno luogo [Spears e Lea, 1994]. Essendo priva di indicatori non verbali, la CMC sarebbe caratterizzata da un livello di presenza sociale molto basso, in quanto priva di tutti quegli elementi non verbali caratteristici della comunicazione faccia-a-faccia, e vedrebbe addirittura inficiata la sua validità a scopi di apprendimento [cfr. Leh, 2001]. 162 Tuttavia, un certo numero di studi ha evidenziato come anche la sola comunicazione scritta, tipicamente usata in contesti di chat, e-mail, ecc., purché non soggetta a vincoli temporali troppo stretti, sia perfettamente in grado di sviluppare un clima di presenza sociale ed affettiva tra quanti vi sono coinvolti [Parks e Floyd, 1996; Jacobson, 1999]. In aggiunta a queste considerazioni altri studiosi [Walther, 1996] hanno sottolineato che, nonostante abbiano bisogno di più tempo per svilupparsi, le relazioni interpersonali in un contesto online si instaurano in maniera analoga a quelle delle situazioni in presenza, arrivando ad essere anche più socialmente orientate di quelle cosiddette tradizionali. Gli utenti sopperirebbero alle carenze comunicative intrinseche dell’interazione scritta attraverso il ricorso a invenzioni e adattamenti linguistici in grado di esprimere, mediante opportune strategie ortografiche, anche alcuni degli aspetti metacomunicativi tipici della comunicazione non verbale (si veda l’uso ormai codificato delle emoticon) [Murphy e Collins, 1997]. Non si tratterebbe, tuttavia, di solo adattamento linguistico in grado di incorporare registri di colloquialità ed informalità, ma di (ri)trovare un equilibrio tra le caratteristiche del mezzo di cui si dispone (nella fattispecie la comunicazione scritta) e un livello accettabile di immediatezza, facendo ricorso ad una maggiore familiarità ed intimità con il contenuto, lo stile, la struttura e la tempistica dei messaggi scambiati [Danchak, Walther e Swan, 2001]. Di recente alcuni autori hanno ripreso e sviluppato le specificità della presenza sociale nel contesto dell’apprendimento online. La presenza sociale è stata definita come “la capacità di concepire se stessi socialmente ed emotivamente come persone ‘reali’ in una comunità di apprendimento” [Garrison, Anderson e Archer, 2000]. Essa è in grado di incoraggiare il raggiungimento di obiettivi di tipo cognitivo sostenendo e incoraggiando lo sviluppo del “pensiero critico” (critical thinking) e della collaborazione, creando quel clima di sostegno adatto a discutere, approfondire e argomentare le idee che collettivamente emergono. Allo stesso tempo, supporta gli obiettivi affettivi dei partecipanti in quanto rende le interazioni interne al gruppo accattivanti, coinvolgenti, e, quindi, intrinsecamente gratificanti [Rourke et al., 1999]. Ulteriori studi hanno rilevato come la presenza sociale sia in grado di assicurare la soddisfazione generale dei partecipanti di un corso online [Gunawardena e Zittle, 1997; Richardson e Swan, 2003], e come sia garanzia di successo e di qualità di un’esperienza di apprendimento in rete [Stacey, 2002; Shin, 2003]. Anche lo studio delle emozioni nell’apprendimento in rete è stato oggetto di indagine attraverso l’individuazione di un certo numero di indicatori: gli effetti dello stress [Allan e Lawless, 2003] e le caratteristiche dell’ansia [Hara e Kling, 2000], le principali emozioni coinvolte in un’esperienza di studio online [Conrad, 2002; O’Regan, 2003]. Altre ricerche (ad esempio, [MacFadden et al., 2005]) mirano ad individuare modelli costruttivistici di apprendimento in rete basati sulla consapevolezza che la dovuta enfasi conferita al ruolo che giocano le emozioni possa incoraggiare e sostenere il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento. La maggior parte degli studi volti ad indagare l’espressione della presenza sociale in rete si basa sulla somministrazione di scale graduate 163 [Gunawardena e Zittle, 1997], di questionari [Tu, 2002], o di interviste semi-strutturate [Wegerif, 1998]. L’obiettivo è quello di sondare e rilevare in che termini la presenza dell’altro sia stata percepita (o non percepita) al punto da sentirsi “assieme” nell’ambiente virtuale (per una rassegna di strumenti, si veda [van Baren e IJsslsteijn, 2004]). Un altro approccio, radicalmente diverso dai precedenti, si basa sul metodo dell’analisi del contenuto conversazionale. La presenza sociale viene principalmente rintracciata nei testi delle conversazioni che i membri del gruppo si scambiano, attraverso la classificazione delle unità testuali significative alla luce degli indicatori individuati. La più celebre di queste categorizzazioni [Rourke et al., 1999] distingue tra indicatori “affettivi”, finalizzati a rintracciare la presenza di espressioni legate alle emozioni, al senso dell’umorismo e ai momenti di autorivelazione, “interattivi”, che rilevano i riferimenti espliciti ai messaggi altrui (ad esempio, attraverso l’uso del meccanismo della concatenazione o quoting) e “coesivi”, che mettono in evidenza tutte quelle forme linguistiche legate al passaggio dalla dimensione individuale a quella collettiva e l’uso di espressioni informali per rivolgersi alle persone, quali i nomi di battesimo, o le forme di saluto colloquiali, tutti da rintracciare nei testi delle interazioni comunicative. Emozioni e linguaggio figurato La metafora e il linguaggio figurato rivestono un ruolo centrale nella lingua di tutti i giorni, contribuendo a modellare il modo in cui pensiamo e a tracciare un ponte tra il dominio dell’astrazione e dell’esperienza percettiva [Katz et al., 1998]. Molti autori hanno anche indagato le funzioni affettive ad emotive della produzione linguistica metaforica originale. In particolare, nell’ambito del filone della linguistica cognitiva, secondo Lakoff e Johnson [1982], le metafore sono schemi concettuali primitivi, in quanto agiscono sin dal momento in cui si passa dall’esperienza percettiva a quella concettuale. I concetti associati all’espressione delle emozioni emergono spesso in quanto strutture concettuali costituite da metafore, diventando a tutti gli effetti costrutti socio-cognitivi [Kövecses, 2002]. Ortony e Fainsilber [1989] hanno evidenziato come la ricchezza e la concretezza siano le principali caratteristiche della metafora e del linguaggio figurato nell’espressione delle emozioni. In base a questo assunto, una funzione molto importante del linguaggio figurato è di consentire l’espressione di ciò che è difficile da esprimere ricorrendo esclusivamente al linguaggio letterale. I loro risultati sembrano indicare, inoltre, che più un’emozione è intensa, più le metafore ad essa associate tendono ad essere forti. Da un punto di vista più generale sul linguaggio figurato, alcuni studiosi [Gibbs, Leggitt e Turner, 2002] hanno sostenuto che il linguaggio figurato è così importante nella comunicazione emotiva perché riflette con precisione il modo con cui le persone concettualizzano la complessità emotiva. A ciò si aggiunga che si tratta di uno strumento comunicativo speciale, perché in grado di creare un maggior senso di intimità e vicinanza tra gli interlocutori di quanto non riesca a fare il linguaggio letterale. Sembra, infatti, che le persone, avendo la possibi164 lità di esprimere le proprie emozioni senza esplicitarle, preferiscano ricorrere all’uso di metafore e di espressioni metaforiche per descrivere la propria esperienza delle emozioni, più che per descrivere le azioni correlate alle esperienze emotive [Fussell e Moss, 1998]. Fussell e Moss sottolineano anche che la metafora è in grado di creare questo clima di vicinanza e intimità solo all’interno di situazioni sociali altamente significative per i parlanti. CONTESTO E OBIETTIVI DELLA RICERCA Il contesto e i partecipanti Lo studio è stato condotto nell’ambito della versione online del corso “Tecnologie Didattiche” che l’Istituto Tecnologie Didattiche gestisce per la SSIS ligure [Persico, Manca e Sarti, 2003]. L’edizione del 20022003 ha visto la partecipazione di 57 specializzandi (su un totale di 156) e di 7 tutor, e si è avvalsa del contributo, in qualità di esperti, di 10 insegnanti supervisori del tirocinio (ISV) della stessa SSIS. L’impostazione del corso, fortemente orientata ad un approccio esperienziale, ha voluto creare le condizioni per favorire quei meccanismi di apprendimento collaborativo che costituiscono il cuore di una comunità di apprendimento. Ai partecipanti sono state proposte varie attività da condurre in piccoli gruppi (quali l’analisi di software didattico, la progettazione di brevi percorsi didattici a componente tecnologica, ecc.), con la supervisione di un tutor. Ad eccezione dei tre incontri in presenza (iniziale, intermedio e finale), le attività formative si sono quindi svolte prevalentemente attraverso l’uso di una piattaforma di CMC (Centrinity FirstClass®) e sono state distribuite nell’arco temporale di 10 settimane. Oltre alle tematiche sopra riportate, ulteriori attività erano finalizzate a promuovere la riflessione sul metodo utilizzato nel corso e, più in generale, sul potenziale della telematica nella formazione dei docenti. In particolare, grande attenzione è stata riposta sulla metariflessione nei processi d’apprendimento in atto, per i quali erano state predisposte delle apposite aree di discussione. Il gruppo dei partecipanti che ha contribuito con propri messaggi nelle aree oggetto di analisi (socializzazione e metariflessione) era costituito da 55 studenti (con età media pari a 32,43 anni, di cui 48 femmine e 7 maschi) su 57 totali, da 6 tutor su 7 e da 5 ISV su 10. Obiettivi e metodo Gli obiettivi della ricerca sono stati individuati dopo la conclusione del corso, quando ci siamo trovati di fronte alla grande produzione di linguaggio figurato da parte degli studenti e dei tutor1. Questa constatazione è stata particolarmente significativa perché l’uso del linguaggio figurato non era stato incoraggiato dai tutor, ma è stato prodotto in maniera spontanea dai partecipanti. In linea con alcuni modelli che rilevano la presenza sociale sulla base dell’analisi del contenuto dei transcript dei messaggi [ad esempio, Rourke et al., 1999], si è deciso di focalizzare l’analisi sull’espressione delle emozioni e dei processi di self-disclosure, visti come importanti indicatori della presenza sociale rilevabili nelle aree deputate alla socializzazione e alla metariflessione, in quanto le più coinvolte nell’espressio165 1 Il numero di messaggi con linguaggio figurato è risultato pari a 86 sugli 843 messaggi esaminati, in misura cioè del 10,20%. ne e manifestazione della presenza sociale. Si è inoltre deciso di esaminare l’intero corpus di messaggi di queste aree, e non un campione, per poter valutare lo sviluppo cronologico-longitudinale dell’uso del linguaggio figurato durante le 10 settimane del corso2. Come progettisti e tutor del corso, è stato possibile mettere in gioco la membership knowledge [Have, 2002] maturata in quanto osservatori coinvolti dei processi in atto, che ci ha consentito di avere una conoscenza profonda delle interazioni linguistiche nel loro svolgersi. Questa interpretazione non neutrale dei fenomeni linguistici è, a nostro avviso, particolarmente rilevante quando l’oggetto di studio è costituito dall’interpretazione di usi linguistici di tipo non letterale. In linea con le indicazioni provenienti dalla letteratura sulla computer-mediated discourse analysis (si vedano, ad esempio, [Rourke et al., 2001; Herring, 2004]), l’unità di analisi prescelta è stato il singolo messaggio, riconosciuto come l’unità di significato più piccola e al tempo stesso dotata di caratteristiche quali l’autoconsistenza interpretativa e temporale, l’unica quindi a consentire la segmentazione significativa di partecipazione durante la durata complessiva del corso. Dato che ogni messaggio poteva contenere più di un’occorrenza di linguaggio figurato, sono stati quindi considerati, a fini di micro-analisi, anche segmenti di messaggio. Ciascuna occorrenza è stata classificata secondo due categorie, quelle dell’Identità e del Contesto, dal momento che tutte le espressioni metaforiche analizzate erano riconducibili o all’espressione dell’Identità “virtuale” dei partecipanti, oppure all’espressione dei loro sentimenti e idee verso il Contesto comunicativo in cui aveva luogo il corso. Infine, le due categorie sono state analizzate secondo i concetti di Travestimento, Orientamento e Corporizzazione/Anima-zione, riferimenti spazio-temporali in grado di dar conto dei processi di (auto)-identificazione e orientamento logico-spaziale nel contesto immateriale della rete. 2 Per un’analisi di natura quantitativa si rimanda a [Delfino e Manca, u.c.]. 3 A tal proposito, cfr. C. Perelman e L. Olbrechts-Tyteka [1966: 427]: «Un pericolo per le metafore è l’usura: la metafora non viene più sentita come una fusione, un collegare termini presi da campi diversi, ma come applicazione di un vocabolo a ciò che esso designa normalmente: la metafora non è più attiva, è ‘assopita’, espressione caratteristica che sottolinea meglio di altri aggettivi (misconosciuta, dimenticata, appassita) che questo stato può essere solo transitorio, che queste metafore possono venir svegliate e tornare in azione». Indici di affidabilità Ogni messaggio è stato analizzato da due codificatori, autori del presente scritto, il cui compito era di stabilire: (a) se il messaggio in esame contenesse linguaggio figurato e, in tal caso, (b) quante fossero le occorrenze. Per la codifica ci si è basati sulla seguente definizione di occorrenza di linguaggio figurato: “qualunque uso iconico della lingua finalizzato ad esprimere un significato non letterale, cioè un significato che vada oltre la denotazione standard delle espressioni linguistiche”. Di conseguenza sono state accettate solo le figure che Ricoeur [1981], in ambito filosofico, definirebbe vive, quelle che cioè consentono di ricavare e far emergere significati e aspetti nuovi della realtà grazie all’innovazione semantica. Coerentemente con questa scelta non sono state accettate tutte le espressioni entrate nel vocabolario e nell’uso quotidiano della lingua o prive di originalità e usurate3. Ad una seduta di prova in cui i codificatori hanno analizzato insieme alcuni messaggi con l’obiettivo di individuare problemi di codifica e di far emergere i motivi di disaccordo sull’interpretazione dei dati, ha fatto seguito l’analisi individuale di ogni messaggio: in questa fase i codificatori hanno lavorato separatamente, applicando le stesse regole di analisi precedentemente concordate. 166 Dal calcolo di differenti indici di affidabilità, sono emersi risultati soddisfacenti: mentre la percentuale di accordo (percent agreement) è stata di 0,97, l’alfa di Krippendorff [Krippendorff, 2003 e 2004] e il kappa di Cohen [Capozzoli, McSweeney e Sinha, 1999] sono risultati pari a 0,84. Il disaccordo sull’interpretazione dei messaggi è stato risolto tramite la discussione tra i codificatori fino al raggiungimento di un consenso. È risultato che un singolo messaggio non conteneva più di tre occorrenze di linguaggio figurato. In questa fase è emerso che tutte le occorrenze potevano essere ricondotte alle due categorie dell’Identità e del Contesto. Si è, quindi, ripetuto il processo di codifica sul nuovo corpus di occorrenze figurate e si sono ottenuti indici di affidabilità soddisfacenti (percentuale di accordo = 0,90; alfa di Krippendorff e kappa di Cohen = 0,89). Infine, la natura iconica e concettuale delle immagini individuate (secondo i temi del Travestimento, Orientamento e Corporizzazione/Animazione) è stata oggetto di analisi congiunta da parte dei due codificatori. LA PROIEZIONE SPAZIO-TEMPORALE DEL SÈ NELL’IMMATERIALITÀ DELLA RETE Il cyberspazio è un habitat dell’immaginazione e per l’immaginazione; è il luogo in cui i sogni consci incontrano i sogni del subconscio, un terreno di magia razionale, di ragioni mistiche; il luogo e il trionfo della poesia sulla povertà di idee, del “può-essere-così” sul “deve-essere-così”. Novak, 1993 citato in [Tagliagambe, 1997] Se partiamo dall’idea che la realtà immateriale della rete (fatta di parole affidate ad uno schermo, di luoghi privi di spazialità, di incontri che si concretizzano solo tramite il messaggio scritto) non sia una realtà simulata o riprodotta, bensì una realtà costruita e continuamente ricostruita, allora diventa centrale indagare il ruolo che i processi di categorizzazione svolgono nella costruzione attiva del sé individuale e collettivo. Secondo Tagliagambe [1997], “proprio per il fatto che il cyberspazio esalta la capacità costruttiva e ricostruttiva del soggetto, più che la sua semplice disponibilità alla ricezione e assimilazione di dati, una delle caratteristiche fondamentali del rapporto tra percipiente e percepito, quale si delinea e impone all’interno di esso, è la continua e rapida mutevolezza del sistema di categorizzazioni che viene attivato da chi si trova ad operare al suo interno”. La ripartizione delle occorrenze di linguaggio figurato secondo le categorie dell’Identità e del Contesto si era posta l’obiettivo di indagare come i partecipanti al corso abbiano sfidato l’immaterialità della rete conferendole materialità e concretezza. Come ci si proietta nella rete? Che immagini di sé si costruiscono? Quali immagini di sé si propongono agli altri? Le occorrenze dell’Identità, che potremmo sintetizzare nella formula “qualcuno vede se stesso o qualcun altro come...”, possono essere ricondotte alla categoria più generale del travestimento, della rappresentazione attraverso cui le persone conferiscono un’identità corporea al proprio e all’altrui sé, facendo ricorso ad immagini di animali, oggetti o a qualità umane che danno un corpo all’immaterialità che caratterizza gli ambienti CMC. 167 In questa occasione presenteremo queste occorrenze del travestimento accorpate con le immagini dell’orientamento, dello spazio da percorrere e da indagare. Distinguere tra questi due tipi di occorrenze è stato complesso: i personaggi che si muovono nell’ambiente CMC creano implicitamente uno spazio, alludono ad uno sfondo più o meno preciso. Lo sfondo di questo agire, che nell’ambiente CMC è esclusivamente frutto del carattere performativo della parola [Austin, 1987], si adatta ai personaggi o li determina. Così il partecipante che si descrive come un marinaio fa pensare immediatamente a un ambiente marino, un’automobile ad una strada, un coatto ad una caserma. E, viceversa, è possibile a partire dal cenno ad un ambiente vuoto, popolarlo di persone e oggetti. 4 Negli esempi che seguono, i nomi degli studenti sono stati modificati per preservare l’anonimità dei partecipanti. Inoltre, eventuali errori morfosintattici, di ortografia o battitura non sono stati corretti. 5 Per amor di brevità non abbiamo inseirito in questa sezione tutte le occorrenze in cui i partecipanti, parlando di se stessi, si definiscono naviganti, navigatori, marinai, etc. Il travestimento e l’orientamento È stato soprattutto nelle prime settimane di corso che gli specializzandi hanno proposto alcune immagini per esprimere la percezione del proprio apprendimento online, delegando, in particolare al campo semantico della navigazione, il compito di rappresentare le sensazioni legate al proprio percorso nel nuovo ambiente di apprendimento . È così che una barchetta diventa, a tutti gli effetti, un veicolo, utile anche per comunicare ai partecipanti un modo di visualizzare il proprio percorso e di pensare all’esperienza che si sta vivendo: Per ora la mia barchetta non ha subito troppi intoppi ... (II settimana) L’incipit della frase appena citata (“per ora”), tradisce un qualche timore verso il cammino ancora da percorrere, giustificato anche dal fatto che la barchetta di certo ha subito qualche intoppo (“non... troppi”). Questo esempio di apertura agli altri, viene colto da un’altra partecipante che, consapevolmente, fa propria l’immagine della barchetta e della navigazione per esprimere il paradosso e l’anomalia nel sentirsi a proprio agio nell’affrontare le attività, malgrado la debolezza nelle proprie conoscenze e competenze informatiche: Riprendendo la metafora della navigazione di Irene4, io durante queste attività online mi sento un po’ in una condizione paradossale, perché da un lato navigo sulla barchetta di carta delle mie competenze informatiche, che sono “empiriche” e improvvisate, d’altro canto, però mi sembra di veleggiare sicura in quest’ambiente e le attività proposte mi interessano molto. (II settimana) Il mare, di cui l’ambiente CMC assume frequentemente i connotati, è vissuto in modi molto diversi dai naviganti5, in alcuni casi portatori di esperienze alquanto negative: Ieri mi sarei servito volentieri di una virtuale scialuppa di salvataggio; mi sono sentito un pò naufrago. (II settimana), o solo previste come tali: per ora continuo a navigare, con la speranza che il mio naufragar in questo mar non giunga troppo presto! (II settimana) Dal mare alla strada il percorso è breve: alla barchetta, al naufrago e al veliero si sostituiscono ben presto immagini diverse, focalizzate sul ritmo e sulla velocità di movimento, più che sul mezzo di locomozione. 168 Per spiegare la propria sensazione di lentezza, ad una partecipante che confida di sentirsi una piccola tartarughina: Ok in questo tipo di attività del tutto nuova mi sento un pò un tartarughina che va piano, piano... (IV settimana), fa eco un’immagine suggestiva (soprattutto tra gli italiani): Lo dico con una certa soddisfazione: vado piano, in salita, ma come una vecchia 500 vado convinta, a piccoli passi, cercando di imparare sempre qualcosa di nuovo e stupefacente; ho superato almeno in parte l’ostilità di fronte alla tecnologia (e sono sempre stata orribilmante ANTI-TECNOLOGICA)... (VII settimana) La risposta del tutor è incoraggiante: da un lato mette in dubbio la lentezza di chi si sente come una piccola macchina in salita, dall’altro sostenendo l’immagine, in un qualche modo la conclude, promettendo un bel panorama alla fine del viaggio: Ritengo, infatti, che capire l’emozione altrui di fronte alla scoperta sia importante per gestire i tempi e far sì che le piccole 500 (o quelle che sono convinte di esserlo) arrivino in cima alla salita e si godano il panorama! (VII settimana) Una rappresentazione più intimistica, con lo sguardo rivolto più alla quiete serale del nucleo familiare, prima che all’ambiente CMC, è proposto da una partecipante entusiasta: ma quanto mi piacciono i corsi on line. La giornata sta per finire ( mi sento molto Marzullo) e nella riconquistata quiete notturna, mentre i figli dormono e i mariti leggono il giornale, ecco si compie il miracolo: il ssissino6 raccoglie la sua anima e scopre che ha ancora la capacità di riflettere! non lo tiene per sè, ma lo invia, come moderno piccione viaggiatore, via email al suo gruppo di riflessione!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! (II settimana) C’è chi si sente piccione e chi, pensando a se stesso come a dottor Jekyll, propone una metariflessione sul doppio, tipico del nostro tempo: Io stesso adopero un nick sia nella posta che in ambienti di chat, newsgroup, etc. e ho spesso provato la sensazione del ‘dottor Jackill’, calandomi nel mio personaggio nelle lunghe notti trascorse in rete. L’esigenza di ‘sdoppiamento’, questa pulsione a ‘calarsi nel personaggio’, è fortemente radicata nel nostro tempo. (VIII settimana) Se nella seconda settimana la descrizione del movimento, tramite la proiezione in spazi esterni ai campi percettivi dei partecipanti, avviene in termini generici, che tradiscono il bisogno di girare nell’ambiente, senza scopi precisi: Per ora la curiosità di scoprire le potenzialità del programma mi ha portato a “girovagare” qua e là, a fare tentativi, a provare nuovi bottoni. (II settimana), a corso avviato il movimento privo di meta determinata è giustificato dalla molteplicità di interessi individuati nelle varie aree del corso: cerco di zampettare un po’ in tutte le conferenze, sto collegata a oltranza (e non me ne accorgo nemmeno), mi sento molto stimolata in molte direzioni...a volte la stanchezza indubbiamente incombe, ma ammetto che se potessi mi collegherei ogni 169 6 Sissino è riferimento gergale per “specializzando della SSIS”. sera: questo corso si è rivelato 1 graditissima sorpresa!!! (IV settimana) Malgrado la sorpresa sia stata gradita, non sempre il corso è stato facile e positivo. I disagi vissuti sono stati espressi in molte circostanze ricorrendo a battute scherzose e ammiccamenti ironici, volti ad attenuare la difficoltà a scoprirsi in polemica con gli organizzatori del corso o verso le modalità collaborative predisposte. Uno dei disagi più diffusi è riconducibile alla difficoltà ad affrontare quotidianamente l’ingente numero dei contributi inviati dal gruppo dei partecipanti: Siete diventati anche voi dei DROGATI di corso on-line? io, ormai, ho bisogno della mia dose di “bandierine7 quotidiane” o quasi... (X settimana) E con la speranza che non si trattasse di un’allucinazione da abuso di bandierine rosse, chiudiamo questa breve presentazione di occorrenze relative al tema del travestimento con l’esternazione soddisfatta di una partecipante che, alla conclusione del corso, ha dichiarato: È come se in queste settimane avessimo popolato una città vuota e deserta che ora pulsa di vita e di traffico! (VIII settimana) 7 In FirstClass la bandierina rossa è il segno che identifica i messagi non ancora letti dall’utente. 8 Il messaggio è rivolto ad una partecipante che aveva espresso soddisfazione per il perfetto funzionamento del proprio computer. La corporizzazione e l’anima-zione L’ambiente CMC può essere visto come “un cyberspazio distribuito modellato sugli oggetti che compaiono nel mondo della nostra quotidianità, e in particolare su quelli che interessano ambiti di attività che esigono una costante integrazione del soggetto nel contesto spaziotemporale in cui opera” [Tagliagambe, 1997]. Questa architettura del cyberspazio è stata, in effetti, costruita dai nostri studenti che non solo hanno scelto immagini per rappresentare la propria persona e lo spazio di azione, ma si sono anche preoccupati di offrire uno statuto di esistenza ad alcuni oggetti essenziali per lo svolgimento delle attività online e materialità all’immateriale. Nell’ambiente CMC, il computer è il mezzo attraverso il quale si realizza la comunicazione tra le persone. Per quanto trasparente possa apparire, ci sono stati momenti in cui i partecipanti del corso hanno manifestato la consapevolezza per la presenza di uno schermo e l’indispensabilità dei vari componenti hardware e software. In un messaggio scherzoso, l’invito è a compiere un gesto apotropaico, non manifestando troppo apertamente la gioia per l’affidabilità del proprio computer: PAZZA8! Ma non sai che questi aggeggi hanno occhi, orecchie e lingua? Non sai che amano fare i dispettosi e sentirsi al centro dell’attenzione (quando tutti dicono “non capisco come mai, eppure...”)? Ovviamente scherzo (il PC mi ha contagiata!). (II settimana), invito che non cade nel vuoto, ma anzi, viene colto e rilanciato: Lo so benissimo che questi aggeggi hanno un’anima - alquanto perversa - tuttavia, ho notato che il loro lato oscuro si esalta generalmente dopo un anno di vita. (II settimana) Non sappiamo se il computer della specializzanda autrice della seguente citazione avesse raggiunto o no l’anno di vita, ma quel che è certo è che le sue disfunzioni hanno spinto la studentessa a chiedere una benedizione. Fatalista e criptica la risposta: 170 Per le benedizioni non saprei proprio, se vuoi posso provare a guardare il fondo della tazzina del caffè e vedere se c’è un mouse che fa l’occhiolino... (VIII settimana) Il corso di Tecnologie Didattiche, così come i messaggi ricevuti e i momenti di comunicazione sincrona (realizzati tramite chat), sono stati spesso oggetti di paragoni e similitudini. Un singolo messaggio può diventare fonte di gratitudine e segno di speranza: sono molto grata per questo ultimo messaggio di giovanna.. in questo mondo di ansie un messaggio tranquillizzante è come rugiada nel deserto. Grazie (II settimana) E ancora: Vorrei anche ringraziare la cara e simpaticissima Irene per il suo apprezzamento al mio contributo: non sai quanto m’ha fatto piacere leggere che hai sentito profumo di “vita” (è quello che io cerco in ogni tipo di scrittura, è per quello che ho così difficoltà nelle ud, moduli ecc... ecc.... eccc... ma ssstttt!!!! ciao!) (IX settimana) Dalle immagini che descrivono i messaggi come portatori di vita, la similitudine si amplia all’intero corso, per una considerazione retrospettiva sul modo in cui lo si è inteso e vissuto: Può essere che in questo corso abbiamo visto all’inizio quasi un’oasi in cui rilassarci un momento, salvo poi accorgerci che è una cosa seria e come tale va affrontata. (VI settimana) Il campo semantico dell’acqua, opposto a quello del deserto, può diventare preambolo al seguente messaggio, un appassionato e sarcastico commento sull’aridità, caratteristica tipica del mondo dei cavi contrapposto a quello della natura: massì...... simuliamo le stelle..... pixel dopo pixel....... con un bel rumore gaussiano di fondo.... non è incantevole? Scegliere lo sparpagliamento della gaussiana, fissare persino la look up table con cui descrivere il cielo stellato: ci sono applet che ti permettono di avere look up table equatoriali, altre antartiche, altre solo artiche... L’aridità è una dote in fondo: l’umidità nuoce gravemente ai cablaggi ed anche nel caso delle fibre ottiche... quel certo mismatch sulle pareti può creare frange, sparpagliamento dell’impulso.... richiedere dleicati allineamenti in aria.... (IX settimana) Il metodo adottato ha richiesto agli studenti una dose elevata di coinvolgimento e partecipazione, sia in termini di compiti collaborativi da svolgere, sia nel conseguente rispetto dei tempi e delle scadenze: Anche qui come al militare? no di certo...però una bella dose di addestramento ce la siamo fatta anche noi, no? (X settimana) Inoltre, l’impegno richiesto è stato, in molte occasioni, oggetto di critiche, lamentele e proteste, ma anche spunto di riflessione per le considerazioni inerenti la necessità di un tale approccio, a garanzia della qualità e della riuscita dell’esperienza didattica. Eppure: tutto sommato, credo che questa “seconda scrivania” mancherà anche a me, anche per un fatto di abitudine! (X settimana) Alla conclusione del corso, uno dei fattori più coinvolgenti e apprezzati si è rivelata essere la comunicazione sincrona, sia come momento 171 organizzato di gruppo che come bisogno estemporaneo di alcune persone. Come considerazione generale è stato affermato: Insomma, la chat è stata a mio avviso un potente fattore di esplicitazione della presenza sociale, una sorta di “collante” tra le persone, oltre che un’altra finestra attraverso cui guardarsi e provare a “riconoscersi”. (IX settimana) Ad un livello sottostante, nel tentativo di indagare il fenomeno più da vicino, sono emerse la poliedricità e i fattori che rendono la chat un’esperienza di qualità: i duelli, le espulsioni, le attese: anche queste rendono vera e viva la chat... I tempi rapidi e ravvicinati, o lenti ed estremamente dilatati, i dialoghi a due o i cori polifonici più o meni dissonanti, i monologhi abusati: che tipo di emozioni passano, traspaiono, si intuiscono, si condividono, si nascondono? Che empatia siamo in grado di intessere con l’altro/gli altri? (X settimana) Non è facile rispondere a queste domande: gli strumenti di indagine, come vedremo, vanno raffinati e perfezionati, e potenziato l’ancora debole colloquio interdisciplinare. Un partecipante ha scritto: Per me questo corso è stata la scoperta di un ‘nuovo mondo’. (VI settimana) Come dire, l’esplorazione è ancora in atto. CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI Il forte coinvolgimento emotivo e sociale vissuto dai partecipanti è testimoniato anche da alcuni messaggi inviati dopo la fine del corso, che sottolineano un’esperienza di grande intensità. In una comunicazione privata uno studente, in riferimento ad una visita nel portale del corso, ha scritto: ho avuto l’impressione di far visita ad una balera, un locale dopo una festa: lattine ovunque, vuoti a perdere (o rendere?) ovunque, avanzi, brandelli, scritte...... persino qualche capo di abbigliamento che lascia intuire come la vita lì dentro si sia consumata in ogni suo aspetto, sino in fondo... Numerosi sono stati anche i messaggi contenenti la sensazione di spaesamento che ha colto alcuni partecipanti dopo dieci settimane di assidua partecipazione: Ne approfitto anche per comunicarvi un pò delle mie sensazioni post-corso: quando apro FC ho un pò di nostalgia di tutte quelle bandierine rosse che ci tormentavano. Mi aggiro tra le conferenze e mi sento sicuramente un pò più sola! Effettivamente la sensazione di “smarrimento” da dopo corso ha colpito anche me! come dite voi mi manca l’idea di sapere che “c’è posta per me”, il tormentone del corso, che a me non dispiaceva poi + di tanto; mi mancano il SILENZIO che accompagnava la lettura di alcuni msg, quella concentrazione tutta particolare, assieme a una buona dose di curiosità e di divertimento tutto cerebrale… Il linguaggio figurato è stato, come si può vedere, una delle risorse linguistiche utilizzate per creare una nuova realtà collaborativa, sia dal 172 punto di vista sociale che da quello didattico-formativo. Come già sottolineato da Lakoff e Johnson [1982], “le metafore contribuiscono a creare la realtà, specialmente la realtà sociale. La metafora può essere vista quindi come una guida per un’azione futura. Tali azioni si conformano alle metafore usate. Queste, a loro volta, rinforzano il potere della metafora rendendo coerente l’esperienza correlata. Da questo punto di vista le metafore sono profezie che si autodeterminano”. Per la maggior parte dei nostri partecipanti, trattandosi della loro prima esperienza di apprendimento online, è stato necessario fronteggiare nuovi problemi: imparare a comunicare con un gruppo di persone tramite discorso scritto e asincrono, familiarizzare con le tecnologie della comunicazione, ma anche far pratica della collaborazione e dell’apprendimento in gruppo. Il linguaggio figurato è stato un valido supporto nell’affrontare alcuni di questi problemi, poiché ha consentito di esprimere un nuovo dominio dell’esperienza nei termini del noto e familiare. Parafrasando Ricoeur [1981], il linguaggio figurato è stato quel processo retorico attraverso cui il discorso ha liberato il potere che alcune immagini hanno di ridescrivere la realtà o di crearne una nuova. La scelta di adottare uno strumento di analisi testuale delle interazioni scritte che hanno fatto uso di linguaggio figurato per esprimere la presenza sociale si pone in linea con quei tentativi di classificazione delle caratteristiche del testo [Rourke at al., 1999; Job-Sluder e Barab, 2004], che viene analizzato secondo categorie e indicatori testuali in grado di catturare i nuovi stili della comunicazione affidati al discorso asincrono scritto, profondamente diverso dalla scrittura tradizionale e dalla comunicazione orale. Da questo punto di vista, la nostra ipotesi è che l’uso del linguaggio figurato possa diventare uno degli indicatori testuali della presenza sociale negli ambienti di apprendimento basati sull’uso del computer, come segnale delle emozioni e dei sentimenti coinvolti nell’esperienza online. Quelli che sono considerati i limiti della comunicazione scritta, per lo più correlati alla mancanza di segnali non verbali, potrebbero essere superati attraverso l’attenzione verso le costruzioni e le invenzioni linguistiche condivise dai partecipanti. In questo modo, l’uso del linguaggio figurato potrebbe essere adottato nelle fasi di progettazione e conduzione di corsi di apprendimento online, come uno stimolo a manifestare le emozioni e gli stati d’animo che entrano in gioco nell’esperienza in atto. I pochi esempi offerti dalla letteratura [De Simone, Lou e Schmid, 2001; Yeoman, 1995] sembrano supportare l’idea che l’adozione di linguaggio figurato da parte dei tutor, per esempio, possa accrescere il senso di appartenenza degli studenti a una comunità e fornire, al contempo, la base per la distribuzione dei ruoli, la creazione di identità e la consapevolezza delle proprie responsabilità. Nell’ambito dei propri compiti di facilitazione della comunicazione e della collaborazione, il tutor potrebbe quindi disporre, nel proprio repertorio di risorse, anche del linguaggio figurato, quale stimolo linguistico-discorsivo per favorire quelle trasformazioni concettuali legate, oltre che alla proiezione del sè e alla costruzione dell’identità individuale e collettiva in rete, anche alla comprensione dei processi di apprendimento in atto. 173 Roschelle [1996] sottolinea, infatti, come gli aspetti tradizionali dell’analisi delle scoperte concettuali individuali siano da reinterpretare come fatto contemporaneamente sociale e cognitivo. Da questa prospettiva, la convergenza del cambiamento concettuale è possibile solo tramite un linguaggio figurato, ambiguo e impreciso. La sua funzione consiste proprio nel “descrivere qualcosa di cui non si ha esperienza, e che viene quindi rapportato a campi più conosciuti” [Bazzanella, 1999]. Uno degli sforzi futuri potrebbe essere quello di analizzare come abbiano luogo le contaminazioni tra la sfera sociale e quella più propriamente cognitiva, proprio attraverso l’analisi della produzione di linguaggio figurato, in grado di dare concretezza e tangibilità ai nuovi processi mentali che si sviluppano. Ringraziamenti Ringraziamo Donatella Persico (responsabile del corso) e Luigi Sarti, co-progettisti e tutor del corso Tecnologie Didattiche della SSIS. Riferimenti bibliografici Allan J., Lawless N. (2003), Stress caused by on-line collaboration in e-learning: a developing model, Education + Training, 45 (8/9), pp. 564-572. Austin J.L. (1987), Come fare cose con le parole. Genova, Marietti. Bazzanella C. (1999), La metafora tra mente e discorso: alcuni cenni. Lingua e Stile, 34 (2), Numero speciale su “Prospettive sulla metafora”, pp. 150-158. Capozzoli M., McSweeney L., Sinha D. (1999), Beyond kappa: a review of interrater agreement measures. 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Dal punto di vista quantitativo, in linea generale, è interessante notare come molti elementi della scrittura, quali ad esempio la punteggiatura, l’uso di maiuscole e gli allungamenti di vocali siano di frequente usati per simulare aspetti prosodici e intonativi del parlato, quelli cioè che più tipicamente veicolano le informazioni di carattere emotivo. Inoltre si è osservato che la frequenza d’uso e il significato in contesto degli elementi “emotivi” considerati varia specialmente in dipendenza da variabili sociolinguistiche quali il ruolo del parlante (es. tutor o studente) e il tipo di interazione (simmetrica o asimmetrica), ma anche a seconda del fatto che si tratti di comunicazione sincrona o asincrona. Dal punto di vista dell’analisi qualitativa, partendo dal modello della comunicazione emotiva [Poggi, 1981; Magno Caldognetto e Poggi, 2004], sono stati analizzati due tipi di segnali comunicativi: emoticon e saluti. In particolare per gli emoticon è stata condotta un’analisi semantica: di ognuno, dopo avere specificato per ogni occorrenza il significato assunto nel contesto, si è individuato il nucleo di significato comune a tutti i contesti e la gamma di polisemia, cioè le letture corrispondenti a diverse classi di contesti, distinguendo le letture “emotive”, cioè che comunicano uno specifico o generico stato emotivo, da quelle non emotive, ad esempio di intensificazione o di grado di certezza. INTRODUZIONE In una situazione comunicativa di e-learning è di fondamentale utilizzo l’uso di strumenti che favoriscono la collaborazione e lo scambio di informazione tra i discenti e tra i discenti e i docenti. In particolare nella didattica online la rete è utilizzata essenzialmente per l’erogazione di materiale didattico multimediale sia da parte del docente che da parte degli studenti (apprendimento collaborativo) e per la comunicazione nelle comunità di apprendimento. L’interazione dialogica può essere asincrona (e-mail, forum, newsletter) o sincrona (chat, audioconferenza, videoconferenza) e può variare inoltre nel contenuto e nella forma in base alla tipologia degli utenti: la comunicazione può infatti essere tra studente-docente, studente-tutor, tutordocente, studente-studente. In questo lavoro ci soffermeremo sull’analisi dell’espressione di emozioni in chat e forum didattici. L’espres177 Emanuela Magno Caldognetto Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, Padova [email protected] Isabella Poggi Università degli Studi Roma Tre [email protected] Piero Cosi Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, Padova [email protected] Federica Cavicchio Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, Padova [email protected] sione in ambienti virtuali di emozioni, sentimenti e stati d’animo è componente principale della social presence [Garrison, Anderson e Archer, 2000]. Ma la capacità di espressione di comunicazione socioemotiva è ridotta quando si passa da condizione di comunicazione multimodale, faccia a faccia, a condizioni di comunicazione mediata da computer, basata sulla video scrittura, dove gli aspetti comunicativi interpersonali vengono scaricati su emoticon e altri usi più o meno creativi e idiosincratici della scrittura [Baracco, 2002; Riva, 2002], con lo scopo di esprimere gli aspetti non verbali, assenti a causa del mezzo. Ad esempio, l’uso dell’umorismo è stato studiato come un fattore contributivo all’apprendimento tanto da essere considerato un invito ad interagire, fattore di diminuzione della distanza sociale e indicatore della social presence [Eggins e Slade, 1997; Anderson e Ciliberti, 2002]. Per quel che riguarda la trasmissione delle emozioni, nelle interazioni mediate da computer è necessario distinguere due casi. Quando l’emozione è propositivamente comunicata, in maniera diretta o indiretta dai casi in cui la scrittura ha lo scopo di fare provare emozioni all’interlocutore, distinguiamo l’induzione e la comunicazione di emozioni; si ha comunicazione quando un agente A produce un segnale comunicativo allo scopo di far sapere a B che sta provando un’emozione. Possiamo invece parlare di induzione di un’emozione quando un agente B viene a provare una certa emozione a causa del fatto che un certo agente A ha compiuto qualche azione o ha prodotto qualche atto comunicativo che finisce per far provare questa emozione a B (induzione come effetto). Poiché questo può avvenire sia come effetto non desiderato da A sia come scopo di A, diciamo che A ha lo scopo di indurre un’emozione in B quando A compie un’azione o produce un atto comunicativo proprio per fare sì che B provi quella certa emozione. In alcuni di questi casi l’induzione in B di emozioni può avvenire, in particolare, a causa di una comunicazione di emozioni da parte di A. Nei casi di chat e forum quello che ci interessa rilevare sono: 1. casi in cui A comunica una sua emozione a B per indurre in lui un’emozione. Fra gli esempi del nostro corpus citiamo Sono curiosa di conoscervi, che esprime curiosità dello scrivente ma sembra avere anche lo scopo di far sentire lusingati gli interlocutori. In questo caso A comunica un’emozione e lo fa per suscitare l’emozione di far sentire l’altro importante; 2. casi in cui A ha lo scopo di indurre un’emozione in B, ma non attraverso la comunicazione di una propria emozione. Fra i casi più tipici vi sono alcuni saluti, come Buongiorno!, saluti a tutti, ciao! che per il proprio essere saluti, mirano a indurre una buona disposizione nell’altro [Eibl-Eibesfeldt, 1974; Goffman, 1971] pur non esprimendo all’altro nessuna emozione; 3. casi in cui A comunica un’emozione, ma non allo scopo di indurre un’emozione in B. Ad esempio il punto esclamativo che non necessariamente vuole indurre un’emozione nell’altro. Nell’interazione quotidiana faccia a faccia ciò avviene nei casi di pura espressione delle emozioni, finalizzata allo scopo di allentare la tensione emotiva, come ad esempio quando siamo arrabbiati e sbattiamo la porta. 178 EMOZIONI E COMUNICAZIONE NELL’E-LEARNING. UNA RICERCA EMPIRICA Partendo dai presupposti teorici esposti, abbiamo analizzato una serie di interazioni in chat e forum didattici. Le chat e i forum analizzati sono stati forniti dalle unità Firb di Genova, Firenze, Milano e Padova1 e provengono da master, corsi di specializzazione e corsi universitari. Sono state analizzate 4 interazioni in chat tra discenti e tutor e tra discenti e docenti, e 14 interazioni (thread) in forum, contenenti dialoghi tra discenti, tra tutor e discenti e tra discenti e tutor. Metodologia Il materiale raccolto nelle interazioni in rete è stato catalogato tenendo conto del tipo di comunicazione mediata da computer, sia dal punto di vista temporale (comunicazione sincrona o asincrona), sia da un punto di vista sociolinguistico (comunicazione simmetrica o asimmetrica). In questa prima ricerca ci siamo concentrati in particolar modo sui saluti e sulle emoticon. Per quanto riguarda il saluto, ne è stata indagata la tipologia espressiva (saluto semplice, con emoticon o con uno o più punti esclamativi), l’intensità (in base al fatto che il saluto sia accompagnato o meno da punti esclamativi, emoticon, forme di superlativi, uso del maiuscoletto), la fase di interazione in cui era inserito (apertura o commiato), la prevedibilità o meno di future interazioni sulla base del saluto stesso (es. arrivederci), se si riferisse o meno a un determinato segmento temporale (giorno, pomeriggio o notte), e il rapporto sociale tra gli interagenti indicato dal saluto (formalità, familiarità, intimità/confidenza), la presenza o meno di emozioni, la tipologia delle emozioni (individuali, sociali, cognitive o di immagine) e se l’interagente volesse comunicare, indurre o trasmettere emozioni. Per quanto riguarda le emoticon, le abbiamo classificate sulla base del loro utilizzo come sinonimo del verbale o autonome, il significato primario (es. ridere, sorridere, ammiccare, arrabbiato, ecc.), le emozioni trasmesse (sociali, cognitive, di immagine). Comunicare e indurre emozioni nell’e-learning In un precedente lavoro [Magno Caldognetto e Poggi, 2004] ci si è chiesti se esistano, e quali siano, i segnali che per loro natura comunicano emozioni e si è concluso che esistono segnali di tipo lessicale (ad esempio, aggettivi come pauroso, verbi come arrabbiarsi), morfologico (suffissi vezzeggiativi o dispregiativi), sintattico (frasi esclamative). Tuttavia a volte ci sembra che una frase indichi animosità o contentezza, anche se non troviamo al suo interno indizi linguistici cui attribuire questa impressione. Non è sufficiente dunque fermarsi alla comunicazione diretta ed esplicita di emozioni (quella che traspare da parole o parti di parole), ma andare oltre: saper individuare anche i modi in cui le emozioni possono essere comunicate in maniera indiretta. In questo lavoro dunque ci siamo posti l’obiettivo di analizzare il significato di singoli segnali o classi di segnali che comunicano sempre (o possono comunicare) uno stato emotivo: ad esempio il significato del punto esclamativo (!), delle emoticon, dei saluti. 179 1 Ringraziamo Giovanni Bonaiuti, Antonio Calvani, Manuela Delfino, Stefania Manca, Guido Martinotti e Luigi Sarti per il materiale che ci hanno gentilmente fornito. L’analisi semantica di singoli segnali emotivi mira a individuare, per ogni segnale, il nucleo di significato comune a tutti i suoi usi. Per fare ciò, procediamo in questo modo: 1. si elencano tutti i casi in cui quel segnale occorre; 2. per ogni occorrenza, si determina il significato assunto in quel contesto; 3. infine si cerca di trovare un nucleo di significato che sia contenuto in, o collegato inferenzialmente a, tutti i significati individuati. ANALISI DELLA COMUNICAZIONE DI EMOZIONI NELL’E-LEARNING Analisi dei saluti (cfr. tabelle 1.1, 1.2, 1.3) Per quel che riguarda i saluti, nelle interazioni sincrone tra pari abbiamo riscontrato un ugual numero di espressioni accompagnate o meno di punto esclamativo. Quelle che sono associate ad un punto esclamativo sono usate in casi di rapporto di familiarità tra gli interagenti, esprimendo emozioni individuali (felicità) e con lo scopo di comunicare emozioni. Nelle interazioni sincrone tra tutor e specializzandi riscontriamo un solo saluto accompagnato da punto esclamativo e uno accompagnato da emoticon. Il primo esprime un rapporto di familiarità tra gli interagenti, l’emozione coinvolta è individuale (felicità) ed è comunicata all’interagente. Nel caso invece di saluto accompagnato da emoticon, il rapporto tra gli interagenti è di intimità mentre l’emozione coinvolta è sociale e il tutor vuole trasmettere emozioni. Nelle comunicazioni tra docente e specializzandi si sono riscontrati un egual numero di saluti semplici, esprimenti familiarità tra gli interagenti (ciao), e con il punto esclamativo (ciao!), espressione anch’essi di familiarità, che esprimono emozioni individuali (felicità) e comunicano emozioni. Infine nella chat tenuta in lingua inglese i saluti sono indice di rapporti formali e sono espresse solamente emozioni di immagine dell’altro (stima, rispetto), con lo scopo di indurre emozioni nell’interagente. Nel forum del Corso di Audiologia e Audiometria dell’Università di Padova si è riscontrato il più alto numero di interazioni tra tutor e studenti, in relazione alla finalità prettamente didattica delle interazioni stesse. Sono state rilevate tre modalità di saluto utilizzate dal tutor: semplice, con punto esclamativo e con emoticon. Il tutor nel saluto stabilisce rapporti uno a molti (es. salve a tutti) stabilendo rapporti di tipo informale, utilizzando prevalentemente emozioni individuali (felicità) e sociali (cordialità, simpatia) per comunicare e indurre emozioni nell’interagente. La comunicazione tra studente e tutor segnala un rapporto formale e fa uso di saluti volti ad attivare emozioni di immagine per indurre emozioni, unica eccezione un saluto che coinvolge però sia il tutor che gli altri studenti (ciao a tutti!) che esprime una emozione sociale e comunica emozioni. Infine gli studenti comunicano tra di loro utilizzando saluti sempre accompagnati da emoticon o punti esclamativi, tranne in un caso (buon lavoro a tutti), che comunque contiene un aggettivo di grado positivo, esprimendo familiarità nei rapporti interni al gruppo e utilizzando emozioni sociali di simpatia e cordialità per comunicare e indurre emozioni nella stessa misura. Si riscontra quindi una asimmetria di rappor180 to tra tutor, che stabilisce rapporti di familiarità con gli studenti, e questi ultimi che invece stabiliscono rapporti formali con il tutor. Nei forum del master dell’Università di Firenze il tutor partecipa molto marginalmente, perché si tratta di forum di ambientazione pensati perché gli specializzandi prendano confidenza con il mezzo. La comunicazione è quindi prevalentemente tra pari e i saluti di apertura e di commiato sono di carattere informale e familiare (tranne in due casi in cui emerge un rapporto più formale) con una prevalenza di emozioni sociali e di trasmissione delle emozioni. Per quel che riguarda invece l’interazione tra studente e tutor è stato riscontrato un solo saluto di carattere informale ma senza emozioni. Non sono stati invece riscontrati saluti del tutor, anche perché la funzione dei forum analizzati era dichiaratamente quella di far prendere confidenza con il mezzo agli specializzandi. Tabella 1.1 - Analisi dei saluti nelle interazioni sincrone Tipo Saluto di CMC Tipologia Intensità di saluto Fase Future Seg. Inter. inter. temp. apertura si/no …giorno commiato …notte entrambi Rapporto sociale tra A e B Sinc. tra pari Ciao semplice no entrambi no no familiarità no Sinc. tra pari Ciao! + un punto esclamativo si entrambi no no familiarità si Sinc. tutorspec. ciao semplice no entrambi no no familiarità no Sinc. tutorspec. Ciao ;-) + emoti con si entrambi no no Intimità (confidenza) si Sociali Trasmet(simpatia) tere Emozioni 1 Sinc. tutorspec. Ciao! + un punto esclamativo si entrambi no no familiarità si Individuali Comu(felicità) nicare emozioni 1 Sinc. docente Spec. SISS Ciao semplice no entrambi no no familiarità no + un punto esclamativo si entrambi no no familiarità si Individuali Comu(felicità) nicare emozioni 14 Sinc. Ciao! docente Spec. SISS Emozioni Quali A si/no Emozioni vuole: Individuali Sociali Cognitive Immagine Tot 9 Individuali Comu(felicità) nicare emozioni 9 2 14 Sinc. Chat inglese Good after semplice no apertura no ..afternoon formalità si Immagine Indurre dell’altro emo(stima, zione rispetto) 2 Sinc. Chat Inglese Very welc. + superlativo si apertura no formalità si Immagine Indurre dell’altro emo(stima, zione rispetto) 1 no 181 Tabella 1.2 Analisi dei saluti nelle interazioni asincrone del Corso dellʼUniversità di Padova Tipo di CMC Saluto Tipologia Intensità Fase di saluto Interazione apertura commiato entrambi Asinc. tutor stud. Ciao Semplice no entrambi no no familiarità no Asinc. tutor stud. Ciao! + esclamativo si entrambi no no familiarità si Individuali (felicità) Comunicare emozioni 2 Asinc. tutor stud. Salve a tutti! + esclamativo si apertura no no familiarità si Sociali (simpatia) Comunicare emozioni 3 Asinc tutor stud. Ciao :-) + emoticon si entrambi no no intimità (confidenza) si Sociali Trasmettere 2 (simpatia) emozioni Asinc. Salve + esclatutor a tutti!!! mativo stud. :-) + emoticon si apertura no no familiarità si Individuali (felicità) Comunicare emozioni 1 Asinc. A presto Semplice tutor studenti no commiato si no familiarità si Sociali (cordialità) Indurre emozioni 1 Asinc. A presto! + esclatutor mativo studenti si commiato si no familiarità si Sociali (cordialità) Indurre emozioni Asinc. A presto! + escla tutor :-) mativo studenti + emoticon si commiato si no familiarità si Sociali Indurre (cordialità) emozione Asinc. Ciao :-) + emoticon studente tutor si commiato no no Intimità (confidenza) si Sociali Trasmettere 1 (simpatia) emozioni Asinc. Buon studente giorno! tutor + esclamativo si apertura no si formalità (…giorno) si Sociali (cordialità) Asinc Buon studente giorno tutor Semplice no apertura no si formalità (…giorno) no 1 Asinc Salve studente tutor Semplice no apertura no no formalità no 1 Asinc. A presto Semplice studente tutor no commiato si no informalità no 1 Asinc Arrivestudente derci tutor Semplice no commiato si no formalità no 1 Asin. Ciao a studente tutti! studente tutor + esclamativo si commiato no no informalità si 182 Previ- Segmento Rapporto Emozioni Quali A vuole: Tot sione temposociale si/no emozioni Comunicare future rale tra A e B individuali Indurre o intera …giorno sociali Trasmettere zioni …notte cognitive Emozioni si/no immagine 2 Sociali (simpatia) Indurre emozione Indurre emozioni 2 1 1 1 Tabella 1.2 Analisi dei saluti nelle interazioni asincrone del Corso dellʼUniversità di Padova Tipo di CMC Saluto Tipologia Intensità Fase di saluto Interazione apertura commiato entrambi Previ- Segmento Rapporto Emozioni Quali A vuole: Tot sione temporale sociale si/no emozioni Comunicare future …giorno tra A e B individuali Indurre o intera …notte sociali Trasmettere zioni cognitive Emozioni si/no immagine Asinc Cordiali Semplice studente saluti tutor no commiato no no formalità si Immagine dell’altro (stima, rispetto) Indurre emozione 1 Asinc. La studente saluto tutor no commiato no no formalità si Immagine dell’altro (stima, rispetto) Indurre emozione 1 Asinc. Buona + esclatra pari domenica mativo a tutti!! + emoticon ;-) si commiato no giorno familiarità della settimana si Sociali Comunicare 1 (simpatia) emozioni Asinc. Buona + esclapari domenica mativo a tutti!!! + emoticon :-D si commiato no giorno familiarità della settimana si Sociali Comunicare 1 (simpatia) emozioni Asinc. pari si commiato no no informalità no 2 Asinc. Un saluto + esclaparia tutti! mativo tutor + emoticon si apertura no no familiarità si Sociali (cordialità) Indurre emozioni 1 Asinc. Tra pari si commiato no no familiarità si Sociali (cordialità) Indurre emozioni 1 buon lavoro a tutti Semplice Semplice Buon + emoticon lavoro :-) 183 Tabella 1.3 Analisi dei saluti nelle interazioni asincrone del Master dellʼUniversità di Firenze Tipo di CMC Saluto Asinc. tra pari Ciao semplice no entrambi no no familiarità no 8 Asinc. tra pari Ciao! + punto esclamativo si commiato no no familiarità si Individuali Comunicare 1 (felicità) emozioni Asinc. tra pari Ciao + punto ben esclamativo ritrovata! si apertura no no intimità si Sociali Trasmettere 1 (simpatia) emozioni Asinc. tra pari Al 7 + punto allora! esclamativo si commiato si no familiarità si Sociali Trasmettere 1 (simpatia) emozioni Asinc. tra pari Salve a tutti no apertura no no familiarità no 1 Asinc. Un + aggettivo tra pari caloroso saluto si entrambi no no familiarità si Sociali Trasmettere 2 (simpatia) emozioni Asinc. Un semplice tra pari abbraccio no commiato no no familiarità si Sociali Trasmettere 1 (tenerezza) emozioni Asinc. tra pari semplice no commiato no no familiarità no 1 Asinc. Ci semplice tra pari vediamo no commiato si no informalità no 2 Asinc. a presto semplice tra pari no commiato si no familiarità no 3 Asinc. tra pari si commiato no no familiarità si Sociali Trasmettere 1 (simpatia) emozioni Asinc. Spero di semplice tra pari conoscervi presto no commiato si no familiarità si Sociali Trasmettere 1 (simpatia) emozioni Asinc. Saluto i tra pari partecipanti semplice no apertura no no formalità no 2 Asinc. Auguro a semplice tra pari tutti buon corso no apertura no no formalità si Sociali (simpatia) Asinc. Buon + emoticon tra pari corso :) sì commiato no no familiarità si Individuali Comunicare 1 (felicità) emozioni no apertura no no formalità no 1 no commiato no no familiarità no 2 Asinc. Un buon + punto tra pari giorno a esclamativo tutti i corsisti!!! si apertura no no familiarità si Sociali Trasmettere 1 (simpatia) emozioni Asinc. studtutor no apertura no no informalità no 1 Buon lavoro Cari saluti Tipologia Intensità Fase di saluto Interazione apertura commiato entrambi semplice + aggettivo Asinc. A tutti semplice tra pari i corsisti Asinc. tra pari Un saluto Salve professore semplice semplice 184 Previ- Segmento Rapporto Emozioni Quali A vuole: Tot sione temporale sociale si/no emozioni Comunicare future …giorno tra A e B individuali Indurre o intera …notte sociali Trasmettere zioni cognitive Emozioni si/no immagine Indurre emozioni 1 Tabella 2.1 Analisi delle emoticon nelle interazioni sincrone Tipo di CMC Emoticon Utilizzo (sinonimo del verbale o autonomo) Significato Emoticon (primo significato) Emozioni trasmesse Intensità Tot (secondo significato) Sincrona Tra Pari :- ))) Autonomo Riso Sociali (simpatia) si 1 Sincrona Tra Pari ;- ) Autonomo Sorriso ammiccante, occhiolino Cognitive (segnale di intesa) si 1 Sincrona Tra Pari :- O Autonomo Urlo oppure Sbadiglio Cognitive (noia) si 1 Sincrona Tra Pari :- ) Autonomo Sorriso Sociali (simpatia) si 1 Sincrona Tutor Specializzando ;- ) Sinonimo del verbale Sorriso ammiccante, occhiolino Sociali (simpatia) si 1 Sincrona Tutor Specializzando ;- ) Autonomo Sorriso ammiccante, occhiolino Sociali (simpatia) si 3 Sincrona Tutor Specializzando :- S Sinonimo del verbale Confuso Autoimmagine (insoddisfazione) si 1 Sincrona Tutor Specializzando :- D Sinonimo del verbale Sorriso aperto Sociali (riconoscenza) si 1 Sincrona tra docente Partecipanti SISS :- ) Sinonimo del verbale Sorriso Sociali (simpatia) no 1 Sincrona tra docente Partecipanti corso SISS :- ) Autonomo Sorriso Sociali (simpatia) si 4 Analisi delle emoticon (cfr. tabelle 2.1, 2.2, 2.3) Nella nostra analisi le emoticon sono state inventariate analizzando il loro uso rispetto al verbale (sinonimiche oppure sostitutive del verbale), il significato “primo” dell’emoticon come ricavato da dizionari in rete e le emozioni trasmesse. Nella comunicazione sincrona tra pari prevale un uso dell’emoticon autonomo rispetto al verbale e le emozioni trasmesse sono nella stessa misura cognitive (noia, intesa) e sociali (simpatia). Nelle interazioni sincrone tra tutor e specializzandi le emoticon sono utilizzate nella stessa misura sia come sostitutive sia come sinonimo del verbale e le emozioni trasmesse sono prevalentemente sociali (simpatia), mentre nelle comunicazioni sincrone tra docenti e specializzandi riscontriamo una prevalenza dell’uso autonomo dell’emoticon rispetto al verbale, che trasmettono nella loro totalità emozioni sociali. Nei forum del Corso dell’Università di Padova nella comunicazione tra tutor e studenti emerge un uso dell’emoticon prevalentemente come sinonimo del verbale, le quali esprimono in larga parte emozioni sociali e, più marginalmente, emozioni cognitive e di autoimmagine. Nella comunicazione asincrona tra studente e tutor la maggioranza dell’emoticon è ancora utilizzata come sinonimo del verbale e con prevalenza di espressione di emozioni sociali, ma sono numerose anche le espressioni di emozioni cognitive (stupore e rabbia) e di autoimmagine (insoddisfazione, insicurezza). Infine nei forum del Master dell’Università di Firenze si riscontra una prevalenza dell’uso dell’emoticon come sinonimo del verbale e la trasmissione di emozioni sociali (simpatia, intesa) mentre riscontriamo un’unica produzione di emoticon da parte del tutor, utilizzata come sinonimo del verbale e che trasmette un’emozione sociale (simpatia). 185 Tabella 2.2 Analisi delle emoticon nelle interazioni asincrone del Corso dellʼUniversità di Padova Tipo di CMC Emoticon Utilizzo (sinonimo del verbale o autonomo) Significato Emoticon (primo significato) Emozioni trasmesse Intensità Tot (secondo significato) Asinc. tutor-studente :-) Sinonimo del verbale Sorridere Sociale (simpatiapredisposizione alla comunicazione) si 10 Asinc. tutor-studente ;-) Autonomo Sorriso ammiccante, occhiolino Sociale (simpatiapredisposizione alla comunicazione) si 3 Asinc. tutor-studente :-( Sinonimo del verbale Dispiaciuto Sociale (empatia) no 1 Asinc. tutor-studente :-S Sinonimo del verbale Insoddisfatto Autoimmagine (insoddisfazione) si 1 Asinc. tutor-studente :-/ Sinonimo del verbale Disappunto Cognitive (delusione) no 1 Asinc. studente-tutor :-S Sinonimo del verbale Insoddisfatto-confuso Autoimmagine (insoddisfazione) si 2 Asinc.studente-tutor :-( Sinonimo del verbale Triste-sofferente Autoimmagine (insicurezza-bisogno di aiuto/conforto) no 4 Asinc. studente-tutor :-) Sinonimo di verbale Sorriso Sociale (simpatia) si 5 Asinc. studente-tutor :-) Autonomo Sorriso Sociale (simpatia) si 3 Asinc. studente-tutor ;-) Autonomo Segnale di intesa Sociale (intesa, complicità) Asinc. studente-tutor :-@ Sinonimo del verbale Arrabbiato Cognitive (rabbia) si 1 Asinc. studente-tutor :-D Sinonimo del verbale Sorriso aperto Sociale (simpatia) si 2 Tabella 2.3 Analisi delle emoticon nelle interazioni asincrone dellʼUniversità di Firenze Tipo di CMC Emoticon Utilizzo (sinonimo del verbale o autonomo) Significato Emoticon (primo significato) Emozioni trasmesse Intensità Tot (secondo significato) Asinc. tutor-studente :-) Sinonimo del verbale Sorriso Sociale (simpatia) si 1 Asinc. tra pari :-))) [:-))] Sinonimo del verbale Riso Sociale (simpatia) si 3 Asinc. tra pari :-) Sinonimo di verbale Sorridere Sociale (simpatia) si 2 Asinc. tra pari :-))) Autonomo Ridere Sociale (simpatia) si 1 Asinc. tra pari ;-) Sinonimo del verbale Segnale di intesa Sociale (intesa, complicità) si 1 Asinc. tra pari ;-)) Sinonimo del verbale Segnale d’intesa Sociale (intesa, complicità) si 2 ALTRI SEGNALI EMOTIVI Oltre al significato semantico di saluti ed emoticon e al tipo di emozioni comunicate, indotte o trasmesse è da approfondire quale sia il significato della ripetizione di uno stesso segnale (ad esempio salve a tutti!!!) che intensifica l’espressione dell’emozione, la combinazione dei segnali (ad esempio l’uso contemporaneo di emoticon e segni di in186 terpunzione quali punti esclamativi) che potrebbe assumere una funzione intensificativa. Potrebbe anche voler dare una chiave di lettura alternativa allo stesso segnale. Caso particolare è quello dei puntini di sospensione che sono stati trovati sia in casi di espressione di emozioni negative, come intensificatori di incertezza o insoddisfazione (es. ho paura di non riuscire a risp in tempo…), in espressioni di emozioni sociali positive di complicità (es. accorrete numerosi…), ad indicare che, vista la confidenza tra gli interagenti, qualcosa poteva anche essere sottinteso, ed infine anche in espressioni ironiche, come ad esempio non è molto rilassante questa materia… Infine è da valutare anche il rapporto dell’ordine diverso degli stessi segnali, nel caso per esempio dell’emoticon, che abbiamo trovato utilizzato sia prima che dopo la frase. In particolare quando l’emoticon si trova prima della frase riteniamo che possa essere una chiave di lettura bimodale dell’enunciato verbale, mentre se si trova in fine di frase sembra voler ribadire ciò che viene espresso nella frase se concorda con essa. Se l’emoticon invece è in contraddizione con l’enunciato verbale sembra essere espressione di ironia. È però necessaria una ulteriore raccolta di chat e forum per poter disporre di un corpus più vasto di tali fenomeni e per superare le idiosincrasie comunicative dei singoli tutor e studenti. Da questa prima indagine emerge come gli utenti di chat e forum abbiano bisogni espressivi che vengono espressi attraverso l’uso di segni grafici, i quali sono però spesso di difficile interpretazione univoca. L’individuazione dei fenomeni linguistici e grafici che coinvolgono le emozioni è importante per indagare quali siano le espressioni emotive più frequenti che dovranno essere riprodotte dalla Faccia Parlante [Poggi e Pelachaud, 2000]. Tali analisi ci permetteranno di individuare le espressioni vocali e facciali più frequenti, necessarie per una sintesi vocale corretta e di pianificare l’implementazione delle espressioni facciali più frequenti, relative a emozioni o atteggiamenti. LA “FACCIA PARLANTE” LUCIA ED IL SOFTWARE XML_PLAYER Presso l’ISTC sez. di Padova si sta sviluppando Lucia [Cosi, Fusaro e Tisato, 2003], una Faccia Parlante in italiano (fig.1), basata su un sistema di sintesi bimodale da testo (fig. 2). Lucia parla in italiano mediante la versione italiana di FESTIVAL [Cosi et al., 2002], la cui architettura è schematicamente illustrata in Figura 2. La Faccia Parlante è basata sullo standard MPEG-4 [MPEG www page] e su uno specifico modello di coarticolazione [Cohen e Massaro, 1993] appositamente sviluppato per rendere più fluidi e naturali i movimenti delle labbra. La Faccia Parlante Lucia è visualizzata in tempo reale sullo schermo e sincronizzata con il corrispondente segnale vocale fornito dal sistema di sintesi da testo. La sua animazione risulta molto 187 Figura 1 La Faccia Parlante LUCIA. FESTIVAL Italian TTS informazione segmentale e lessicale/semantica Input Text LUCIA Animazione Facciale Figura 2 LUCIA Animazione Lip-Sync Diagramma a blocchi dell’architettura di LUCIA. fluida grazie ad una distribuzione ottimale dei poligoni e prevede la possibilità di essere utilizzata in remoto in applicazioni di tipo chat. XML Software È in corso d’implementazione il software XML_PLAYER che permette sia di interagire con Lucia per la creazione di singole espressioni facciali rappresentanti le 6 emozioni di base (gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto, sorpresa) sia di generare un parlato emotivo coprodotto con movimenti facciali e labiali, rendendo così l’interazione più naturale, robusta ed amichevole. Il software si compone principalmente di due moduli: 1. L’interfaccia messa a punto all’ISTC sez. di Padova per realizzare un file di testo in linguaggio APML (Affective Presentation Markup Language) che permette di rappresentare le funzioni comunicative potenzialmente incluse in conversazioni naturali focalizzandosi sulla struttura della comunicazione e in particolare sul ruolo dei performativi come unità di base [De Carolis et al., 2002]. 2. L’Emotion Disk [Ruttkay , Nott e Tem Hagen 2003] dove sono rappresentate le 6 emozioni di base con tre diversi livelli d’intensità (low, medium, high) per un totale di 18 stati emotivi. L’utente, seFigura 3 Schermata del software XML_Player. 188 lezionando un particolare livello d’intensità, otterrà l’animazione della Faccia Parlante sul computer remoto il cui indirizzo IP (Internet Protocol) è specificato nella finestra “IP Remote Connection”. In MPEG-4 due set di parametri descrivono ed animano un modello facciale 3D: i FAP (parametri di animazione facciale) e gli FDP (parametri di definizione facciale). Gli FDP definiscono la struttura del modello mentre i FAP le azioni facciali. Quando il modello è stato definito tramite gli FDP, l’animazione si ottiene specificando il valore dei FAP per ogni frame. Il modello Lucia utilizza un approccio pseudo-muscolare nel quale la contrazione del muscolo è ottenuta attraverso la deformazione del reticolo (mesh) poligonale attorno a punti particolari (feature points) che corrispondono all’attaccatura dei muscoli facciali. Ai FAP corrispondono delle minime azioni facciali. Ogni feature point segue le specifiche dello standard MPEG-4. Quando un FAP è attivo (cioè la sua intensità è non nulla) il feature point a cui è collegato si muove nella direzione indicata dal FAP stesso. Nel nostro sistema ogni espressione facciale di base è caratterizzata da un particolare set di FAP (che coinvolge parti diverse della faccia). Ciascuno dei tre livelli d’intensità è poi ottenuto moltiplicando il set di FAP che caratterizza l’emozione di base per una costante reale. Il file d’informazione così creato contenente l’emozione da riprodurre viene inviato tramite protocollo TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol) alla Faccia Parlante posta su un pc remoto. Figura 4 Esempi di utilizzo dell’Emotion Disk. emozione gioia alta IP: xxx xxx xx.xx IP: xxx xxx xx.xx emozione paura alta XML_Player XML_Player si basa sul linguaggio APML, il quale permette di rappresentare le funzioni comunicative potenzialmente incluse in conversazioni naturali [De Carolis et al., 2002] e si focalizza in particolare sulla struttura dei performativi in funzione dell’implementazione di un Agente Virtuale. Le funzioni comunicative esprimibili con questo linguaggio si possono dividere in alcuni gruppi principali che forniscono informazioni su: • le convinzioni della faccia; 189 • le sue intenzioni; • il suo stato affettivo; • lo stato metacognitivo sulle sue azioni mentali. Il primo gruppo rappresenta il grado di certezza che la Faccia Parlante possiede su ciò che sta dicendo (tag certainty). Il secondo gruppo include tutte quelle espressioni facciali che sottintendono uno scopo (tag performative, comment, belief relation e turn allocation). Il terzo gruppo rappresenta le emozioni (tag affective) mentre l’ultimo gruppo racchiude le espressioni facciali connesse all’attività mentale [De Carolis et al., 2002]. In figura 5 è rappresentato un esempio di animazione conseguente all’utilizzo del tag affective con alcuni relativi attributi (happy-for, satisfaction, joy, distress, fear). Il programma xml_player fornisce la possibilità all’utente di selezionare i tag APML e i relativi attributi per inserirli in un unico file di testo che opportunamente compilato permetterà di generare l’animazione richiesta sulla Faccia Parlante posta in un computer remoto. Figura 5 Esempio di animazione corrispondente al testo xml desiderato. 190 CONCLUSIONI Abbiamo visto come il testo scritto e i segni grafici esprimano nelle interazioni in chat e forum didattici numerosi stati emotivi. Dal punto di vista del produttore, il solo testo scritto può però non essere sempre soddisfacente in quanto non univoco nel significato, per cui si ricorre a segni grafici quali gli emoticon o i punti esclamativi. Dal punto di vista del ricevente la comunicazione, proprio per l’ambiguità della CMC, non è recepibile sempre in maniera univoca. Per questi motivi è utile l’uso di interfacce uomo-macchina bimodali come Lucia che implichino sistemi di sintesi di emozioni o atteggiamenti da testo che possono rendere più veloce l’interazione e la comprensione. Riferimenti bibliografici Anderson L., Ciliberti A. (2002). Monologicità e di(a)logicità nella comunicazione accademica. In C. Bazzanella (ed.), Sul Dialogo. Contesti e forme di interazione verbale, Milano, Angelo Guerini e Ass., pp. 91105. Baracco A. (2002). La comunicazione mediata dal computer. In C. Bazzanella (ed.), Sul Dialogo. Contesti e forme di interazione verbale. Milano, Angelo Guerini e Ass., pp. 253-267. Cohen M., Massaro D. (1993). Modeling Coarticulation in Synthetic Visual Speech. In Magnenat-Thalmann N., Thalmann D. (eds.), Models and Techniques in Computer Animation, Tokyo, Springer Verlag, pp. 139-156. Cosi P., Magno Caldognetto E., Perin G., Zmarich C. (2002). Labial Coarticulation Modeling for Realistic Facial Animation. 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Le proposte teoriche del Computer Supported Collaborative Learning si rivelano spesso strumenti potenti e sofisticati per la progettazione di sistemi che consentano la condivisione di artefatti, la collaborazione, lʼassistenza reciproca, la riflessione e la gestione dei processi relativi. Lʼefficacia, la diffusione e lʼutilizzabilità di tali approcci teorici avrebbe molto da guadagnare dalla cooperazione con iniziative open source. Oltre ad affrontare alcune delle problematiche connesse con la realizzazione di una piattaforma tecnologica, questo lavoro si propone di indicare una direzione di ricerca e di stimolare la collaborazione tra progettisti di interventi formativi e ricercatori nel campo dellʼopen source. INTRODUZIONE Il progetto “Nuove tecnologie per la formazione permanente e reti nel sistema socioeconomico italiano” si propone di individuare elementi progettuali strategici nell’ambito dell’e-learning partendo dal presupposto che piste perseguibili possano essere trovate nell’integrazione tra aree tecnologiche diverse, agevolando in particolare forme di collaborazione tra mondo accademico e mondo open source, nell’ottica di favorire la produzione di strumenti più flessibili, aperti e centrati sull’utente. In particolare, uno degli obiettivi perseguiti nel progetto è la definizione delle caratteristiche di base di un ambiente open source per l’e-learning, allo scopo di soddisfare i requisiti di efficacia suggeriti nell’ambito del Computer Supported Collaborative Learning (CSCL). In questo articolo proponiamo un modello di base per un ambiente di apprendimento e di lavoro collaborativo realizzato in modalità open source e dotato di funzioni di sostegno ai processi di riflessione, di metacognizione e di gestione dell’interazione. La natura di queste funzioni deriva da alcune teorie ed esperienze maturate, oltre che nel campo del CSCL, anche in quelli del Computer Supported Collaborative Work (CSCW) e del Knowledge Management (KM). L’intento dell’analisi che segue è di gettare le basi di un modello che consenta l’avvicinamento graduale tra le piattafome e-learning open source e le teorie e le pratiche dell’apprendimento collaborativo. 195 Antonio Calvani Università degli Studi di Firenze [email protected] Antonio Fini Università degli Studi di Firenze anto@finiformatica.it Maria Chiara Pettenati Università degli Studi di Firenze [email protected]fi.it Luigi Sarti Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per le Tecnologie Didattiche, Genova [email protected] 1 Un LMS ha come obiettivo primario la gestione degli studenti, tenendo traccia dell’evoluzione dei processi d’apprendimento. Un LCMS gestisce invece contenuti (learning objects) da somministrare al singolo studente in modo personalizzato. Per approfondire la distinzione dei due acronimi si veda http://www.brandonhall.com /public/resources/lms_lcms/ Giacomantonio [2004] distingue tra LMS (piattaforma asincrona in grado di erogare i contenuti, ma anche di garantire servizi di comunità virtuale), LCMS (piattaforma di supporto alla generazione del courseware) e AVS (Aula Virtuale Sincrona, un sistema di videoconferenza, audio e chat che garantisca la possibilità di collegarsi in tempo reale in immagine e voce). Chi, in contesti tipicamente interdisciplinari, si occupi di e-learning, non può fare a meno di chiedersi quale sarà l’evoluzione delle tecnologie, e in quali direzioni convenga indirizzare la ricerca e la sperimentazione. Nell’attuale panorama d’uso delle tecnologie nella formazione noi ipotizziamo due direzioni principali: 1. l’uso della rete come canale per la distribuzione di informazioni, in conformità con un modello che riflette sostanzialmente la didattica tradizionale. Questa è la pratica di e-learning più diffusa, attuata usando sistemi di comunicazione sia sincroni (audio- e video-conferenza) sia asincroni (sistemi per la gestione dell’apprendimento dei contenuti – Learning Management Systems – LMS; Learning Content Management Systems – LCMS1). Gli stessi principi sono alla base delle applicazioni T-learning [Bates, 2003a, 2003b; Lytras et al., 2002], dove la differenza è solo nel canale di comunicazione (la televisione); 2. l’uso della rete come un nuovo ambiente relazionale per la costruzione collaborativa di conoscenza. Questo approccio considera l’individuo un creatore attivo di conoscenza attraverso processi di negoziazione ed enfatizza il concetto di comunità virtuale per l’apprendimento. Gli studi filosofici sulle nuove forme di intelligenza collettiva [Levy, 1994] trovano terreno fertile nella seconda direzione, dove l’interrogativo di ricerca cruciale è: “come può la rete favorire lo sviluppo di conoscenza distribuita?” Mentre gli sviluppi futuri della prima direzione, a cui ci riferiamo con il termine “e-learning tradizionale”, sono facilmente predicibili, la seconda direzione solleva alcune interessanti questioni di ricerca connesse con: • la trasformazione della comunità virtuale in comunità di apprendimento; • l’integrazione delle comunità di apprendimento in comunità reali, comunità di pratica e reti di conoscenza; • l’auto-sostentamento della comunità oltre gli orizzonti temporali di uno specifico intervento formativo; • l’adozione di metodi efficaci per la costruzione sociale di conoscenza. Queste problematiche appaiono cruciali per il futuro dell’apprendimento formale e informale. Gli ambienti collaborativi assumeranno un ruolo strategico nella formazione universitaria, post-universitaria e lungo tutto l’arco della vita, come pure nel supporto al lavoro collaborativo, flessibile e a distanza. Partendo da tale considerazione, abbiamo dato inizio a una riflessione su come sia possibile ridurre le distanze tra le teorie e le pratiche del CSCL/W e le iniziative open source. Lo scopo principale, al di là dello sviluppo tecnologico, consiste nell’identificare alcune linee di ricerca e nello stimolare una stretta collaborazione tra i progettisti di interventi formativi, da una parte, e ricercatori e sviluppatori attivi nel campo dell’open source, dall’altra. Nel perseguire tale scopo, ciò che riportiamo in questo lavoro ha un duplice obiettivo: in primo luogo, quello di confrontare sinteticamen196 te le funzionalità tipicamente disponibili (o attese) in ambienti CSCL/W con quelle riscontrabili in Moodle2 (una piattaforma e-learning open source assai nota e di ampia diffusione), per evidenziare possibili interventi di modifica e integrazione che migliorerebbero la conformità dell’ambiente ai requisiti delle teorie dell’apprendimento collaborativo. Secondariamente, cercheremo di elaborare indicazioni utili per un avvicinamento della comunità degli sviluppatori Moodle alle problematiche dell’apprendimento collaborativo, suggerendo la realizzazione di funzioni (con le relative priorità) su cui investire tempo e sforzi per aumentare le potenzialità della piattaforma. La relazione tra collaborazione e strumenti open source Uno dei concetti più articolati che emerge dallo studio delle comunità virtuali per l’apprendimento è la collaborazione [Dillenbourg, 1999]. La collaborazione attraverso la rete è un tema cruciale del nostro tempo; la scuola e l’università affrontano la nuova problematica dell’insegnamento su come creare, far crescere, potenziare e rendere autonomi gruppi collaborativi che interagiscono a distanza. Quali elementi condizionano od ostacolano un gruppo collaborativo nella costruzione collaborativa di conoscenza? E quali misure possono favorire tale processo? Un’analisi della letteratura nel campo dell’apprendimento collaborativo [Salomon, 1992; Dillenbourg et al., 1996; Salomon e Perkins, 1998] e in quello delle comunità di pratica [Wenger, 1998] evidenzia alcuni punti di forza dovuti alle enormi potenzialità che si intravedono, ma anche parecchie debolezze e difficoltà: reciproche incomprensioni e conflitti verbali anche violenti nell’interazione mediata [Katsh e Rifkin, 2001], sovraccarico, dispersività, marginalizzazione, ecc. [Banks et al., 2002; McConnell, 2004]. Nell’analizzare le piattaforme e-learning open source, anche quelle che si dichiarano “collaborative” (per esempio Fle33), ci si rende conto della debolezza sostanziale delle funzionalità offerte a supporto dell’apprendimento e del lavoro collaborativi, e, più in generale, dell’assenza di servizi indirizzati alla gestione della collaborazione e di strumenti a sostegno dei processi di riflessione e metacognizione. La ricerca nei campi del CSCL e del CSCW [Winograd e Flores, 1986; Koschmann, 1996; Palloff e Pratt, 1999] si è occupata dello sviluppo di numerosi strumenti finalizzati al monitoraggio della collaborazione e a favorire la riflessione e la metacognizione. Sono stati realizzati numerosi sistemi che dichiarano di poter sostenere l’apprendimento collaborativo, e che spesso derivano da ambienti CSCW e groupware4. La maggior parte dei sistemi CSCL include un nucleo base di funzionalità, tra cui: • aree condivise per organizzare i materiali e i documenti sviluppati collaborativamente; • aree di costruzione della conoscenza (tipicamente forum di discussione) dove i partecipanti possono confrontarsi sugli argomenti oggetto dell’intervento formativo. Questi ambienti sono molto rilevanti dal punto di vista dei processi di negoziazione della conoscenza; 197 2 http://moodle.org/ 3 http://fle3.uiah.fi/ 4 I software per il supporto al lavoro collaborativo (CSCW) sono costituiti principalmente da sistemi denominati workflow management, dedicati all’organizzazione e alla gestione del flusso documentale in un’organizzazione, e da sistemi detti più genericamente groupware, progettati per l’organizzazione di team di lavoro, con funzionalità che vanno dalla condivisione di cartelle e file all’agenda condivisa, a spazi di discussione. Una breve panoramica è riportata in [Jermann, Soller e Muehlenbrock, 2001] e un elenco, seppur incompleto, è disponibile nel sito web di Shadow netWorkspaces, http://sns.internetschools.org/ ~ischools/objects/index.cgi? obj=research/similarsystems .html 5 I thinking types sono etichette assegnate ai messaggi per facilitare la strutturazione del discorso. Esempi di thinking type includono: “informazione contestuale”, “contestazione”, “proposta progettuale”, “nuova informazione”, “valutazione dell’idea”, “organizzazione del processo”, “sommario”, ecc. 6 http://www. knowledgeforum.com 7 http://bscw.fit.fraunhofer.de, http://www.orbiteam.de • modalità di classificazione dei contributi per mezzo di thinking types5 o di scaffolds, assimilabili ad etichette usate per sostenere i processi metacognitivi. Queste funzionalità costituiscono la principale differenza tra i sistemi CSCL e i sistemi CSCW, in quanto solo i primi sono orientati all’apprendimento e alle implicazioni metacognitive; • possibilità di rendere visibile e riconoscibile al partecipante il processo di costruzione di conoscenza e le interazioni su cui questo si basa; • strumenti sincroni per lo sviluppo collaborativo di mappe concettuali o di altre rappresentazioni diagrammatiche (ad esempio mediante lavagne condivise); • calendari condivisi dotati di un insieme di funzioni orientate all’organizzazione del lavoro individuale e di gruppo. Naturalmente ogni funzionalità può essere realizzata con varie possibilità ulteriori, quali ad esempio la gestione delle versioni dei documenti, la possibilità di visualizzazioni multiple nei forum, la modificabilità dell’insieme dei thinking types da parte dei tutor, ecc. Al fine di mostrare alcuni esempi delle funzionalità messe a disposizione da piattaforme di questo tipo, riportiamo nel seguito le caratteristiche principali di tre ambienti assai noti nel campo del CSCL: Knowledge Forum, Synergeia e Fle3. • Knowledge Forum6 [Scardamalia, 2003], noto precedentemente con i nomi CSILE - Computer Supported Intentional Learning Environment - e WebCSILE, ha una storia molto ricca: basato sul primo e più citato progetto di ricerca in quest’area, fu progettato da Marlene Scardamalia e Carl Bereiter nel 1986 all’Ontario Institute for Studies in Education. Da allora sono state sviluppate numerose versioni della piattaforma, che è ora diventata un prodotto commerciale col nome di Knowledge Forum. Il sistema include solo strumenti asincroni. • Synergeia7 [Citro e Ligorio, 2003; Ligorio, 2004] è un sistema sviluppato nell’ambito del progetto di ricerca ITCOLE (Innovative Technologies for Collaborative Learning) finanziato dall’Unione Europea dal 2001 al 2003. È stato progettato per favorire l’apprendimento collaborativo nella scuola e include un ambiente di comunicazione asincrono per la condivisione di documenti (cartelle condivise) e di idee (forum), oltre che due strumenti sincroni per la chat e la stesura cooperativa di mappe concettuali. Sebbene non si tratti di un software open source, l’uso di Synergeia è libero per istituzioni accademiche e scolastiche. • Fle3 [Leinonen et al., 2002] è un progetto open source rilasciato sotto la licenza GNU, sviluppato anch’esso nell’ambito di ITCOLE. Le sue caratteristiche lo rendono molto simile a Synergeia. La tabella 1 riporta le caratteristiche principali dei tre ambienti sopra menzionati, con l’indicazione degli aspetti peculiari di ognuno. Oltre ai tre sistemi sopra descritti, varie altre piattaforme e-learning possono essere usate in ambito CSCL, anche se – come nel caso di ambienti LMS e LCMS – non sono esplicitamente progettate per tale scopo. Funzionalità come i forum, il calendario e le aree condivise sono 198 Tabella 1. Tre ambienti CSCL a confronto Knowledge Forum Synergeia Fle3 area di condivisione dei materiali Knowledge Base BSCW based system Webtop tool costruzione di conoscenza, forum Knowledge Forum BSCW/BSCL system Knowledge Buiding tool classificazione dei contributi “scaffold” “thinking types” “knowledge types” strumenti sincroni assenti MapTool, Instant Messenger assenti calendario assente presente presente requisiti tecnici del server Macintosh / Windows NT-2000 / Red Hat Linux 7.2 Il server BSCW funziona su: - Unix (Solaris, SunOS, Linux, DEC OSF, HP-UX, Irix, BSD/OS e AIX) - Windows NT e 2000 Fle3 è un prodotto Zope, scritto in Python. Zope e Fle3 funzionano su quasi tutti i sistemi operativi attualmente in uso: GNU/Linux, MacOS X, *BSD, Windows NT/2000 requisiti tecnici del client PC o Macintosh con un browser PC o Macintosh con un browser PC o Macintosh con un browser licenza prodotto commerciale prodotto liberamente usabile da istituzioni accademiche o scolastiche, ma non open source open source (licenza GNU) particolarità - ispirato al primo progetto CSCL (CSILE) - l’insieme dei tipi di messaggio (“scaffolds”) è modificabile - Analityc Toolkit: uno strumento potente per l’analisi statistica - gestione di una serie di “ruoli” per l’utente (docente, studente, ecc.) - strumenti sincroni - gestione delle versioni delle interazioni dei documenti -open source - interfaccia utente molto amichevole, usabile nelle scuole elementari e medie - strumenti per la manipolazione di multimedia (Jamming tool) con gestione delle versioni facilmente disponibili in tali piattaforme, mentre altri servizi, quali la possibilità di connotare ogni contributo con un appropriato thinking type, sono pressoché assenti. Di recente, la panoramica delle piattaforme e-learning si è arricchita con un numero crescente di sistemi specializzati e sempre più omnicomprensivi, a fronte di costi molto variabili, dai sistemi ad uso libero e open source fino a prodotti il cui costo eccede parecchie migliaia di Euro. È oggi sempre più difficile orientarsi in questo mercato, e numerosi studi comparativi sono apparsi in letteratura e nel Web. Per i nostri scopi, ci siamo orientati nella direzione dei prodotti open source. A parte gli aspetti direttamente connessi con i costi economici, molte piattaforme commerciali correntemente in uso sono spesso orientate a specifici obiettivi formativi e si rivelano all’atto pratico scarsamente riusabili, adattabili o personalizzabili: ne risultano di conse199 guenza penalizzati i benefici potenziali che la loro adozione comporterebbe in vari contesti educativi o lavorativi8. 8 Oltre ai già citati Synergeia e Knowledge Forum, possiamo includere nella categoria dei prodotti commerciali non open source anche Groove v3 (http://www.groove.net/ home/). 9 http://www.gnu.org/ copyleft/gpl.html Figura 1 Lo spazio delle attività in una comunità virtuale. interaction sharing participation La scelta di una piattaforma open source La piattaforma open source selezionata per gli scopi di questo lavoro è Moodle. I progettisti di Moodle definiscono di volta in volta l’ambiente come un Course Management System (CMS), un Learning Management System (LMS) o un Virtual Learning Environment (VLE). Sebbene lo sviluppo di Moodle affondi le proprie radici nelle teorie della pedagogia socio-costruttivista, l’ambiente punta chiaramente alla gestione dei contenuti e dei processi piuttosto che a favorire la collaborazione e la riflessione. Per varie ragioni Moodle è la piattaforma adottata in numerose iniziative di formazione in tutto il mondo: è flessibile, facile da usare e da personalizzare, disponibile in molti linguaggi, ed è indipendente dal sistema operativo che lo ospita. Trattandosi di un software open source, il codice Moodle può essere liberamente scaricato, usato, modificato e ridistribuito nel rispetto della General Public License (GNU)9. Riteniamo che, rispetto all’adozione di un ambiente CSCL proprietario, contribuire al progetto di una versione Moodle realmente orientata al CSCL offra migliori possibilità di sviluppo, di diffusione e di ricerca nell’affinamento degli aspetti teorici del CSCL. ASPETTI METODOLOGICI In primo luogo abbiamo avvertito la necessità di definire una cornice di riferimento nell’ambito delle virtual learning communities che potesse orientare nell’individuazione di aree più specifiche e di eventuali settori di interesse strategico per future implementazioni. Espressioni come networked learning, informal e-learning, online learning communities, knowledge building communities sono frequentemente usate. Anche se in molti casi s’intersecano, coprendo diffusamente una fascia larga di tipologie affini, la “comunità virtuale di apprendimento” - con le sue peculiarità, fasi, cicli e forme di costruzione - costituisce ormai un vero e proprio settore di ricerca [Harasim et al., 1995; Palloff e Pratt, 1999; Hill, 2001; Brook e Oliver, 2003; McConnell, 2004; Harris e Muirhead, 2004]. Sotteso all’intero corpo di questa vasta letteratura ci sembra, comunque, il concetto secondo cui interazione e partecipazione vengono considerati agenti di base nell’apprendimento e nella produzione di conoscenza e che tra questi quattro concetti si generino dinamiche e integrazioni significative. Perché questi agenti possano operare occorre che si producano due condiziolearning ni che diversi autori individuano nei concetti di sharing e di trust. Ogni attività si svolge secondo gradi diversi di trust condivisione tra i membri della comunità e presuppone in qualche modo una knowing certa dose di trust, che mette in condizione di superare il senso di estraneità e di diffidenza conseguenti all’impossibi200 lità di percepire direttamente l’interlocutore. Sharing e trust costituiscono anche un collante tra i mondi dell’e-learning e del knowledge management [Mason e Lefrere, 2003; Norris et al., 2003]. Possiamo allora immaginare uno spazio contrassegnato nel modo mostrato nella figura1. Quali ambienti (tecnologici e organizzativi) concreti, volti a consentire forme di apprendimento virtuale, emergono in questo spazio astratto? Quelli più significativi sembrano essere: • quello più generale, che possiamo indicare con la dizione generica di networking, intesa in senso astratto come “area per lo scambio di informazioni di mutua utilità” [Himmelman, 1993] e caratterizzata da variegate forme di condivisione della conoscenza, che si attuano in forma non necessariamente continuativa e strutturata; • un secondo che riguarda il mondo dell’e-learning formale (web based training, supported online learning) ed è caratterizzato essenzialmente da metodiche istruzionali e dall’offerta di strumentazioni all’interno di specifiche “piattaforme e-learning”; • un terzo, riguardante contesti in grado di predisporre e gestire le interazioni secondo modalità più strutturate, finalizzate alla creazione collaborativa di conoscenza. Si tratta di un’area di crescente interesse strategico, che si sta sempre più aprendo ai mondi del knowledge management, dell’e-knowledge e dell’organisational development e che si avvale di strumentazioni più specifiche (tipicamente web forum attrezzati, strumenti di condivisione e di presa di decisione più evoluti, ecc.). Per garantire la propria sussistenza, una comunità virtuale di apprendimento deve inevitabilmente affrontare fasi specifiche, per le quali sono necessarie strumentazioni diversificate, più o meno peculiari dei diversi ambienti, che rendano conto di molteplici aspetti (interoperabilità, basso costo, flessibilità, centralità dell’utente). Per quanto i momenti principali in cui può articolarsi la vita di una comunità virtuale siano variamente indicati [Schwier, 2002; Misanchuk e Anderson, 2000; Salomon, 1992], nel nostro caso preferiamo una descrizione che appare più funzionale alla definizione di specifici kit tecnologici connessi ai vari momenti evolutivi di una comunità virtuale. Una descrizione ragionevole è, a nostro avviso, quella che mette in evidenza i seguenti momenti: accoglienza, familiarizzazione, socializzazione, teaching, valutazione, costruzione collaborativa di conoscenza, pianificazione, riflessione. Le relazioni tra ambienti, comunità virtuale e attività sono sinteticamente riportate in figura 2. Più precisamente: • l’accoglienza: gestisce i processi di ingresso del partecipante ed è intesa come una funzione continua che sostiene il passaggio dalla periferia al centro della comunità [Wenger, 1998]. Le necessità tipiche di questa fase sono l’orientamento, l’esplorazione dell’ambiente (tour guidati), l’osservazione del comportamento degli altri, gli stimoli di motivazione, ecc.; • la familiarizzazione: mira a superare la disomogeneità nelle competenze relative al dominio dei contenuti, alla tecnologia, alle 201 interacting learning e-learning formale networking teaching valutazione accoglienza negazione familiarizzazione pianificazione sharing comunità virtuale di apprendimento socializzazione riflessione trust produzione collaborativa di conoscenza knowing participating Figura 2 Spazi e attività tipiche di una comunità virtuale di apprendimento. • • • • • modalità di comunicazione che si evidenzia all’inizio delle diverse attività. Le necessità tipiche di questa fase sono l’offerta di strumenti informativi e di percorsi individualizzati, la ricognizione preliminare sulla materia, l’esplorazione di funzionalità tecniche, l’accesso a risorse esterne (raccolte di materiali, di link web, ecc.); la socializzazione: ha la funzione di attenuare l’ansia e l’imbarazzo legati al senso di estraneità interpersonale, aumentando la fiducia in sé e negli altri. Le necessità tipiche di questa fase sono la presentazione di sé, il bisogno di farsi riconoscere e accettare, lo scambio libero, la conversazione informale (tipicamente realizzata in aree deputate allo svago); il teaching: concerne i metodi di istruzione tipici degli ambienti di e-learning tradizionali e si svolge nella classe virtuale. Le necessità tipiche di questa fase sono la presentazione di informazioni, di problemi, l’assegnazione di compiti e di strategie per il loro svolgimento, ecc.; la valutazione: concerne la presentazione di feed-back sui comportamenti del partecipante o del gruppo, sia in itinere (valutazione formativa) che al termine dell’attività (valutazione sommativa). Le necessità tipiche di questa fase sono la somministrazione di prove (test, questionari), la differenziazione di valutazioni qualitative da parte di tutor, esperti, pari revisori, ecc.; la pianificazione: riguarda l’assunzione di impegni, la pianificazione di interventi e la loro calendarizzazione a livello di gruppo. Le necessità tipiche di questa fase sono la presa di decisioni, la presentazione di scadenze, e il controllo del numero e delle tipologie di interventi, la definizione di regole di collaborazione e l’identificazione dei ruoli dei partecipanti; la negoziazione: è un aspetto specifico dell’attività di produzione collaborativa [Dillenbourg et al., 1996]. Concerne essenzialmente 202 le attività che regolano la realizzazione di progetti e di prodotti comuni. Le necessità tipiche di questa fase sono la presentazione di possibilità, la valutazione di somiglianze e differenze, la necessità di compiere scelte o favorire accordi. Per questo è utile poter usufruire di web forum particolarmente attrezzati; • la riflessione: concerne la dimensione metacognitiva e la consapevolezza - individuale e di gruppo - sull’andamento dell’apprendimento e sulle dinamiche relazionali, sociali e affettive che si producono. La necessità tipica di questa fase è il riesame del comportamento individuale e di gruppo attraverso forme di monitoraggio. Si impiegano strumenti atti a rappresentare dati quantitativi relativi alla partecipazione, quali sociogrammi, mappe concettuali, e-feedback, e-votation, e-portfolio, blog, ecc. Nel seguito di questo lavoro ci soffermeremo sulle tecnologie deputate alla costruzione collaborativa di conoscenza e all’avvicinamento tra queste tecnologie e le piattaforme e-learning emergenti nel mondo open source. Alla luce delle considerazioni sopra riportate, e al fine di definire le funzioni collaborative desiderate per la piattaforma e di identificare un ordine di priorità per la loro realizzazione, sono state effettuate le seguenti attività: 1. l’analisi di alcuni ambienti CSCL commerciali. Gli ambienti analizzati a questo scopo sono stati Knowledge Forum e Synergeia. Sebbene le motivazioni dettagliate di questa scelta esulino dagli scopi di questo contributo, dobbiamo sottolineare che questi ambienti sono stati scelti per la loro rilevanza nell’ambito della letteratura sulle teorie della collaborazione in rete; 2. la definizione del modello teorico di un ambiente per l’apprendimento collaborativo completo. Per motivi di spazio i risultati di questa fase, tuttavia, non saranno analizzati in dettaglio in questa sede; 3. la specifica dettagliata delle funzioni di supporto alla gestione della collaborazione, alla riflessione e alla meta-cognizione. Ciò deriva da un raffinamento dei risultati della fase 2; 4. l’identificazione delle priorità di realizzazione delle funzioni dettagliate nella fase 3. Tutte le funzioni sono state classificate su una scala di tre valori: essenziale – molto utile – utile; 5. la corrispondenza tra le funzioni desiderate e quelle già disponibili in Moodle. Sono state così identificate le componenti funzionali di Moodle che richiedono modifiche, e le funzioni del tutto assenti che devono essere realizzate ex-novo; 6. la stima dei costi per la realizzazione o la modifica del codice. INTEGRAZIONE DI FUNZIONALITA CSCL NELLA PIATTAFORMA OPEN SOURCE In conformità con i risultati dell’analisi fin qui condotta, descriviamo ora le funzioni principali che consideriamo rilevanti in un ambiente collaborativo rispettoso dei dettami delle teorie dell’apprendimento socio-costruttivista. Tra i servizi offerti da un ambiente CSCL ideale consideriamo le tre tipologie che seguono: 1. le funzionalità CSCL di base. In particolare le funzioni di un usua203 le forum di discussione, con lo scopo di selezionare quelle essenziali e curarne l’ergonomia e l’efficacia; 2. le funzionalità di gestione. In questa categoria ricadono, ad esempio, quei sistemi di regole per l’attivazione automatica di azioni specifiche e strumenti per il monitoraggio dell’interazione e per la valutazione della coerenza dei contributi, con lo scopo di evitare (o quanto meno diagnosticare), attraverso attività dialogiche maggiormente strutturate, l’emergenza di rischi potenziali quali dispersività, sovraccarico, mancato rispetto delle scadenze; 3. le funzionalità di supporto alla riflessione e alla meta-cognizione10, con lo scopo di sostenere la comunità nella definizione dei propri percorsi di costruzione di conoscenza. Questi elementi, di rado presenti insieme in uno stesso ambiente, consentono di affrontare coerentemente la relazione circolare tra decisione, visualizzazione e riflessione: grazie a queste funzionalità, un gruppo alle prese con un progetto collaborativo può efficacemente definire i compiti, i ruoli, la tempistica del progetto e visualizzarne le fasi di sviluppo in relazione agli impegni contratti. Forum di discussione I processi di interazione molti-a-molti sono fondamentali per la costituzione e la crescita di una comunità di apprendimento, e le caratteristiche funzionali dell’ambiente tecnologico che li ospita possono significativamente influenzarne l’efficacia. Il forum deve essere un ambiente di discussione dinamico dove la cooperazione si struttura su una molteplicità di prospettive: argomenti, fasi progettuali, obiettivi educativi, ecc. Le funzionalità che dovrebbe offrire un forum orientato alla collaborazione includono: - il supporto alla comunicazione; - la struttura della presentazione; - la condivisione di documenti; - il supporto alla presenza sociale; - il supporto alla meta-comunicazione; - la strutturazione del discorso; - la registrazione dei dati. Per ognuna delle categorie sopra elencate, le funzioni desiderate e le loro proprietà sono descritte in dettaglio nella tabella 2. 10 Specialmente e-feedback e il barometro come illustrati in [Smith e Coenders, 2002], e i thinking types, etichette che possono essere usate per connotare i messaggi, realizzate ad esempio in Synergeia. Reflection board La Reflection Board è un’area dedicata alla riflessione e alla metacognizione. Raccoglie e visualizza sinteticamente le seguenti informazioni: • i dati statistici sull’interazione: il numero totale di messaggi inoltrati, il numero di messaggi letti, le medie e gli altri indicatori statistici sia generali che specifici del singolo utente; • l’e-feedback: la percezione del gruppo su se stesso, ottenuta ad esempio mediante sondaggi (polls) proposti periodicamente nella stessa reflection board (il barometro); • il giornale di bordo: le risposte fornite dai partecipanti a domande aperte relative ai problemi emersi di recente; • il percorso: la rappresentazione su un asse temporale degli eventi 204 principali (milestones) che hanno inciso (o si prevede che influiranno) sui processi d’apprendimento; ad esempio, la data di scadenza di una specifica attività, o il rilascio di un messaggio particolarmente significativo, o di un elaborato, che rappresenti un momento saliente nella storia della comunità di apprendimento. E-poll È l’area dedicata agli apprezzamenti che il gruppo esprime circa eventi, risultati, ecc., o anche la percezione di se stesso, l’autovalutazione (e-feedback e barometro). Lo strumento consente al coordinatore di inserire una serie di brevi affermazioni a cui può essere fatto corrispondere un “voto” (rating scale) o un breve commento aperto da parte dei partecipanti. I dati risultanti, sia quelli in forma quantitativa (frequenze e medie), sia quelli qualitativi (elenco dei commenti) appaiono anonimi nella Reflection Board. Action planner In questo ambiente vengono definite le azioni automatiche che la piattaforma deve mettere in atto e gli eventi che le innescano. Il planner consente la definizione di regole costituite da una condizione (antecedente) e da un’azione (conseguente). La condizione viene rappresentata da un’espressione logica AND/OR dei valori che seguono: • è trascorsa una determinata scadenza; • un partecipante (o un gruppo di partecipanti identificato da uno specifico ruolo, per esempio gli studenti) ha scritto o letto un dato numero di messaggi di un determinato thinking type; • altre possibili condizioni sulla sequenza o sulle date di messaggi etichettati con un determinato thinking type. L’azione messa in atto dalla regola può consistere nell’inoltro di una comunicazione a uno o più partecipanti o nella visualizzazione di un messaggio nella reflection board. Definizione delle priorità di realizzazione e analisi dei costi Date le funzioni descritte nella sezione precedente, riportiamo nel seguito una valutazione della rilevanza relativa di ogni funzione (priorità) rispetto agli obiettivi generali che intendiamo perseguire: facilitare la riflessione, la metacognizione e la gestione della collaborazione. Ogni funzione è stata quindi confrontata con quelle offerte da Moodle e, con il supporto di specialisti software, è stata elaborata una stima dei costi della sua eventuale introduzione nella piattaforma. Il dato riportato nell’ultima colonna della tabella 2 fa riferimento alla complessità prevista per la realizzazione di ogni singola funzione; il livello di complessità è stato determinato sulla base di discussioni tra utenti e sviluppatori di Moodle, in cui sono state dibattute l’utilità e la fattibilità delle nuove funzioni proposte. La valutazione delle funzionalità attualmente disponibili in Moodle fa riferimento alla versione 1.3.1 del prodotto11; pertanto l’ultima colonna della tabella è suscettibile di cambiamenti in corrispondenza di nuove versioni del software. L’approccio valutativo presentato rimane tuttavia valido nei suoi aspetti metodologici. 205 11 Rilasciata il 25 maggio 2004 (versione del modulo forum: 2005050300). Tabella 2. Sintesi delle funzioni desiderate, delle priorità a fronte della loro eventuale disponibilità di Moodle, e costi stimati di realizzazione Priorità 1 = essenziale 2 = molto utile 3 = utile Supporto alla comunicazione Piattaforma Moodle e = già presente m = da sviluppare /costo medio h = da sviluppare/ costo elevato Insieme minimo di funzioni che garantiscano lo scambio comunicativo (creare un nuovo thread, rispondere) 1 e Quoting di un messaggio (o di parte di esso) nella costruzione di una risposta 2 m Formattazione del testo con un editor WYSIWYG 2 e Integrazione di immagini ed altri oggetti multimediali nel testo di un messaggio 2 e Possibilità di usare emoticon 1 e Thread gerarchici con visualizzazione ad albero (su un solo argomento di discussione) 1 e Visualizzazione ad albero simultanea di tutti gli argomenti di discussione 2 m Contrazione ed espansione dei thread 2 m Opzioni multiple di ordinamento dei messaggi (per mittente, data, oggetto, ecc.) 2 m Possibilità di (de)selezionare e visualizzare su una pagina separata solo i messaggi selezionati 2 m Funzioni interne di ricerca sui messaggi (per autore, data, oggetto, parole chiave nell’oggetto e nel testo, thinking type, ecc.) 3 m Condivisione di documenti File allegati ai messaggi 1 e Inserimento di link (URL) nel testo dei messaggi 2 e Supporto alla presenza sociale Collegamento automatico alla pagina/scheda personale del mittente del messaggio 3 e Cronologia (chi ha letto il messaggio e quando, chi ha scaricato gli allegati, ecc.) 2 m Rappresentazione esplicita della presenza online di altri partecipanti 2 e Chat room privata 2 m Chat room pubblica (pianificata o “aperta”) 3 e Thinking type; la possibilità di creare nuovi thinking type e di associarli ai vari forum 1 m Struttura della presentazione Supporto alla metacomunicazione 206 Tabella 2. Sintesi delle funzioni desiderate, delle priorità a fronte della loro eventuale disponibilità di Moodle, e costi stimati di realizzazione Priorità Piattaforma Moodle La possibilità di strutturare l’ambiente in forum diversi e di configurare ciascuno separatamente, in funzione dei suoi obiettivi specifici 2 m Supporto alla strutturazione del discorso12 1 m Registrazione dei dati Tutti i dati relativi ai messaggi devono risiedere su un database e devono essere disponibili metodi per accedervi a scopi statistici, di monitoraggio o altro 1 e Reflection board Informazioni quantitative derivate dall’analisi dei dati dei forum 1 m E-feedback (“barometro”) 1 e-m* Giornale di bordo 1 e-m* Percorso in cui vengono rappresentate le tappe fondamentali del processo 2 h E-poll Input e-feedback 1 e-m* Action planner Definizione delle regole e delle azioni 1 m Notifica delle azioni via Reflection Board o messaggi 1 m Supporto alla metacomunicazione * questa funzione potrebbe essere realizzata con modesti cambiamenti del codice già disponibile CONCLUSIONI In questo lavoro sono state evidenziate le funzionalità di un ambiente CSCL ideale ancora mancanti nelle piattaforme e-learning open source, con particolare riferimento a Moodle, una piattaforma di riferimento scelta per le sue doti di flessibilità e per la sua diffusione. L’analisi condotta in questo lavoro è stata ispirata da una riflessione sulla distanza che intercorre tra il dominio del CSCL e quello delle piattaforme e-learning open source. È nostra convinzione che una riduzione di tale distanza costituirebbe una mossa strategica con benefici significativi sia per chi opera nel campo dell’e-learning, sia per chi studia l’apprendimento nella prospettiva del costruttivismo sociale, in quanto consentirebbe nuove possibilità di sperimentazione in iniziative di formazione basate sull’apprendimento collaborativo, e il perfezionamento delle teorie e delle pratiche relative. Una più stretta sinergia tra il mondo della ricerca istituzionale e la comunità di sviluppatori open source è uno delle finalità principali di questa iniziativa. 12 Ringraziamenti Gli autori desiderano ringraziare i colleghi che partecipano al progetto FIRB, e che hanno fornito supporto ed informazioni essenziali nelle varie fasi del lavoro: Giovanni Bonaiuti, Davide Capperucci, Manuela Delfino, Cristina Delogu, Emanuela Caldognetto Magno, Stefania Manca, Maurizio Masseti, Donatella Persico, Giuseppe Tortora, Maria Ranieri, Luca Vanni. 207 Ad esempio, dopo un messaggio etichettato col thinking type “richiesta di spiegazioni”, messaggi di tipo “chiarificazione” dovrebbero essere automaticamente proposti a chi scelga di rispondere. Riferimenti bibliografici Banks S., Goodyear P., Hodgson V., McConnell D. (eds.) 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Raffaele Nicolussi, Daniela D’Aloisi, Cristina Delogu e Susanna Ragazzini E-learning per tutti: l’accessibilità dei corsi online Sommario Si parla di accessibilità del web da diverso tempo e grazie anche alla legge sullʼaccessibilità, “Disposizioni per favorire lʼaccesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, approvata dal Senato il 9 gennaio 2004, i siti di Pubblica Amministrazione e in genere di Pubblica Utilità saranno al più presto accessibili. I corsi online, invece, sono ancora scarsamente accessibili. Lʼarticolo presenta il lavoro svolto dalla Fondazione Ugo Bordoni, da tempo impegnata nellʼaccessibilità del web con lʼiniziativa Webxtutti, e in particolare alcune linee guida per lʼaccessibilità dellʼe-learning e il Campus @ccessibile, un sistema di formazione a distanza, costituito da un portale e da alcuni corsi pilota, fruibili completamente e facilmente dagli utenti disabili con particolare attenzione per i non vedenti. Raffaele Nicolussi Fondazione Ugo Bordoni, Roma [email protected] Daniela DʼAloisi Fondazione Ugo Bordoni, Roma [email protected] Cristina Delogu Fondazione Ugo Bordoni, Roma INTRODUZIONE Così come il web deve essere una risorsa per tutti, allo stesso modo [email protected] l’e-learning, che ne rappresenta una sua recente applicazione, deve Susanna Ragazzini risultare accessibile senza alcuna forma di discriminazione tecnologica o fisica a chi faccia uso di browser non di ultima generazione o Fondazione Ugo Bordoni, particolari, come quelli testuali, a chi usi dispositivi alternativi, come Roma i cellulari o i palmari, a chi possegga hardware non aggiornato o po- [email protected] co potente e, soprattutto, a chi, possedendo una qualche forma di di- Figura 1 sabilità, debba obbligatoriamente sfruttare apparecchiature o softwaDifferenze lavorative tra i re assistivi per poter fruire il web. disabili e i non disabili Per dare un’idea delle dimensioni del problema, si pensi che i disabili in (fonte ISTAT). Italia sono il 5% della popolazione, cioè 2,5 % milioni, e che circa 100 500 mila di questi so90 no utenti Internet. È Non disabili 80 importante notare Disabili 70 che l’uso di Internet per i disabili non è so60 lo limitato alla comu50 nicazione e all’intrat40 tenimento. Moltissi30 mi altri usi legati alla 20 rete sono nati, soprattutto, nel campo 10 del lavoro, in tempi 0Occupati Non occupati recenti (figure 1-3). 209 Non disabili 50 60 % 0 10 20 30 40 Disabili Di rig Di Op La In In Ca St Ri I Al tre tira nab ud c sa i e rca erca l t l co i i is nti n a t i, Q ti, g o nd l la Ap ul di di he ri i Im izi u l v p a u p n ad or re pr vo on na rim pr o nd en ri, r i o o a n p i dit uo Im sti o r i c o or v p c ao ieg ec up i, L az c ati oa ibe ion , In diu cup ri p a e t v zio er ro an me fes ne ti di sio nis ti en re ttiv Figura 2 Distribuzione delle professioni tra disabili e non (fonte ISTAT). Figura 3 Distribuzione del livello di istruzione raggiunto tra i disabili e i non disabili (fonte ISTAT). % 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0Laurea e diploma di scuola media superiore er ai, vo ra ce Nuove professioni si sono affacciate sul panorama degli impieghi disponibili come nel caso dei vecchi centralini telefonici, tradizionale rifugio dei lavoratori ciechi, che si stanno trasformando in “call center” e “help desk” con una polivalenza di funzioni e di servizi tali da portarli ad assomigliare a vere e proprie “aziende on-line”. Stanno anche nascendo nuove figure come quella dello “sperimentatore ufficiale di software” oppure del “surfer”, cioè colui che sa come navigare in Internet, fornendo recensioni e segnalando gli aggiornamenti. Non va trascurato l’aspetto sociale e formativo della questione. Proprio in questa ottica l’istruzione via web costituisce un’altra grande opportunità per i disabili. Molti di loro debbono rinunciare a frequentare scuole o corsi perché non in grado di accedere alle strutture nelle quali questi vengono erogati; altre difficoltà possono essere legate ai costi del materiale che deve essere appoNon disabili sitamente preparato per le loro esigenze Disabili (libri in braille, contenuti video sottotitolati, ecc.) o alla difficoltà di interpretazione dei libri di testo, come nel caso dei sordi che hanno problemi semantici e Licenza scuola Licenza scuola lessicali perché hanmedia inferiore elementare e nessun titolo no appreso il linguaggio senza feed210 back acustici. Come esempio basti pensare alla stampa di un libro in formato braille. Questa operazione, oltre che richiedere un certo tempo, possiede un costo che può aggirarsi anche intorno a qualche migliaio di euro. ACCESSIBILITÀ L’accessibilità del web è divenuta, col tempo, sempre più seguita attirando l’interesse, tra l’altro, di grosse associazioni internazionali tra le quali il W3C (World Wide Web Consortium) con l’iniziativa WAI (Web Accessibility Initiative). Il W3C ha definito nel 1999 una prima versione delle linee guida di accessibilità del web, le WCAG 1.0 (Web Content Accessibility Guidelines), poi in corso di miglioramento con la versione 2 ancora nel suo stato di Working Draft. Le linee guida del W3C costituiscono una serie di indicazioni utili alla realizzazione di pagine Internet accessibili [Chisholm, Vanderheiden e Jacobs, 1999]. Per sito web accessibile si intende un sito che possa essere visitato da qualsiasi utente indipendentemente dal computer usato, dalla velocità del collegamento, dal browser, dall’interfaccia utente, dalle periferiche alternative utilizzate (tastiera braille, joystick speciali, ecc.), e dove il contenuto dell’informazione e la sua presentazione siano sempre indipendenti l’uno dall’altra. L’accessibilità deve essere, quindi, progettata tenendo bene in mente le caratteristiche degli utenti del sito, i loro obiettivi e le loro particolari difficoltà o disabilità [Delogu, D’Aloisi e Ragazzini, 2002]. Così come esistono diverse categorie di disabili, esistono problemi diversi legati alla fruizione dell’informazione a seconda della disabilità considerata. I diversi profili di disabilità comprendono le disabilità percettive (visiva e uditiva), la disabilità motoria e le diverse disabilità cognitive. All’interno di ognuna di queste categorie ci sono poi ulteriori differenze. La disabilità visiva per esempio, comprende tre classi di utenti che hanno problemi piuttosto diversi di accesso al computer: gli ipovedenti, i daltonici e i non vedenti. Gli ipovedenti non possono fruire delle informazioni presentate senza un opportuno contrasto tra testo e sfondo, né di quelle in cui il testo sia troppo piccolo e non ridimensionabile. I daltonici non possono fruire delle informazioni presentate mediante il solo uso del colore: la loro abilità di discriminare i colori in base ai tre attributi - colore, luminosità e saturazione - è molto ridotta. A differenza di ipovedenti e daltonici, i non vedenti non possono usare lo schermo del computer, ma devono ricorrere a dispositivi di output basati su un’uscita tattile, come il display braille (un dispositivo che, connesso al computer, consente di leggere con il tatto il testo che compare sul video, automaticamente convertito in codice braille), o su un’uscita audio, come il sintetizzatore vocale (che consente di leggere qualunque testo per mezzo di un altoparlante o di una cuffia) [Ferrando e Volpon, 2002]. Anche per quanto riguarda i non udenti ci sono comprensibili differenze tra sordi congeniti e non, con ricadute importanti nell’accessibilità. I problemi più ovvi riguardano la possibilità di ricevere le emissioni sonore in forma di voce, sintetizzata e registrata, musica, rumori e segnalazioni varie. Questa difficoltà è proporzionale all’entità del defi211 cit. I problemi di accessibilità sono quindi legati alla parte audio delle presentazioni multimediali, dai file audio ai filmati con colonna sonora. Per i sordi congeniti, come vedremo in seguito, si aggiungono problemi legati alla comprensione dell’informazione. I sordi hanno infatti difficoltà di comprensione del testo scritto, dovuta ai problemi di apprendimento della sintassi e della morfologia del linguaggio in assenza di feedback uditivo [Bianchi, 2004]. I disabili motori hanno, invece, problemi di accesso più per quanto riguarda i dispositivi di ingresso dei comandi che per quanto riguarda l’output prodotto dal sistema. L’uso della tastiera, in presenza di movimenti limitati degli arti (es. miodistrofia) o di problemi rispetto a movimenti ampi e imprecisi (es. spasticità) o di impossibilità parziale o totale di utilizzare movimenti residui degli arti inferiori, superiori o entrambi, costituisce un ostacolo. Il campo della disabilità cognitiva è molto ampio e comprende disturbi dell’attenzione, disturbi del linguaggio (come la dislessia o la discalcolia) e disturbi neurologici. Gli utenti con disturbi dell’attenzione e del linguaggio non possono navigare nei siti in cui l’informazione è male organizzata sia nel complesso generale del sito sia all’interno delle singole pagine. Gli utenti con disturbi neurologici possono essere molto sensibili ad animazioni con effetti a forte intermittenza o con pulsazioni dell’immagine in certi intervalli di frequenza. Le linee guida sull’accessibilità si ispirano a due principi generali: la trasformabilità coerente delle pagine web e la loro organizzazione in una struttura comprensibile e facilmente navigabile. Il primo principio esprime il concetto che l’informazione deve rimanere completamente comprensibile qualsiasi sia il terminale, il dispositivo, il browser utilizzato dall’utente. Il secondo richiama la necessità di un facile orientamento all’interno della struttura del documento. L’applicazione delle linee guida prevede l’utilizzo di checkpoint (punti di verifica) suddivisi in tre livelli di priorità (indispensabili, utili e consigliabili), la cui verifica determina il livello di conformità di un sito con tali raccomandazioni, contrassegnato da una, due o tre A, a seconda di quali livelli di priorità sono stati rispettati. In conclusione l’accessibilità ruota attorno a due obiettivi fondamentali: 1. realizzare documenti universalmente leggibili rendendoli capaci di trasformarsi in base alle caratteristiche proprie del sistema di navigazione e risultare, così, accessibili a qualsiasi utente; 2. scrivere pagine che siano dotate di un certo grado di semplicità tale da consentire all’utente di orientarsi senza difficoltà e metterlo nella condizione di individuare facilmente le informazioni di interesse. L’ACCESSIBILITÀ DELL’E-LEARNING Un corso di e-learning su web deve soddisfare tutte le regole di accessibilità proprie del web unitamente a quelle pensate specificatamente per l’e-learning. Un corso, nella sua accezione più generale, può essere pensato come una serie di contenuti presentati allo studente attraverso un mezzo 212 preferenziale scelto per la comunicazione. Nel caso dell’e-learning lo strumento di comunicazione è la rete Internet e il supporto che più di frequente viene usato in questo contesto è rappresentato dalle pagine html. L’accessibilità di un sistema di e-learning comprende l’accessibilità della piattaforma e degli strumenti utilizzati, e l’accessibilità del layout e dei corsi. Per tutti questi aspetti è importante dividere ulteriormente il discorso parlando di accessibilità tecnologica e semantica. Per quanto riguarda quella tecnologica, vanno affrontate tutte quelle problematiche che possono rendere difficile la fruizione di un corso non realizzato seguendo le linee guida relative alla particolare tecnologia adottata, mentre l’analisi dell’aspetto semantico va a toccare questioni legate alle tecniche di apprendimento più idonee e fruttuose per le diverse tipologie di disabilità. Il cuore di un sistema di e-learning è costituito dalla piattaforma di gestione dei corsi. Tramite questa lo studente può consultare l’elenco delle attività disponibili, iscriversi ad un corso e sostenerne le prove. Un insegnante può verificare il rendimento degli iscritti, discutere con loro tramite uno dei vari sistemi di comunicazione messi a disposizione dalla piattaforma, presentare altri contenuti o modificarne di esistenti. L’accessibilità tecnologica di una piattaforma di e-learning è un obiettivo critico che va soddisfatto obbligatoriamente affinché il sistema di insegnamento a distanza risulti fruibile da qualsiasi categoria di utente e attraverso una qualunque tecnologia. Questo traguardo deve essere raggiunto in eguale modo sia dal portale di e-learning che dai corsi che esso ospita. Da un punto di vista tecnologico questa caratteristica viene soddisfatta facilmente imponendo che le pagine html generate dal portale soddisfino le linee guida di accessibilità del W3C. Assicurare l’accessibilità dei corsi appare essere lo sforzo maggiore poiché questi vengono realizzati spesso in modo inadeguato rispetto ai criteri che l’accessibilità impone. La mancanza di un controllo di qualità centralizzato, come spesso avviene per il portale, fa sì che la loro realizzazione venga totalmente affidata alle capacità del content manager con conseguenze, spesso, imprevedibili. È stato possibile osservare come spesso i corsi vengano realizzati sfruttando tecnologie poco accessibili o, anche, tecnologie accessibili, ma senza gli accorgimenti necessari affinché esse risultino interamente usabili e quindi facilmente fruibili. Questo è dovuto spesso al fatto che la tendenza generale è quella di fornire corsi ad elevato impatto sensoriale (filmati, audio, animazioni) tali da rendere il corso piacevole da fruire ma senza tenere conto dell’accessibilità da parte di particolari tipi di utenza o tecnologia. La soluzione migliore potrebbe essere quella di suddividere ulteriormente le competenze lasciando al docente il compito esclusivo di produrre i contenuti e ad un tecnico specializzato, e dotato delle giuste conoscenze nel campo delle tecnologie dell’accessibilità, quello di organizzarli. Tornando a parlare della piattaforma osserviamo come il suo layout 213 grafico sia essenziale per garantirne l’accessibilità da dispositivi diversi dal computer (palmari, cellulari, ecc.), per sistemi di vecchia generazione (che non supportino le nuove tecnologie) e per i disabili in generale. Una regola importante da seguire, per aiutare il discente a non smarrirsi all’interno del sistema, è quella di tentare di dare una struttura ricorrente alle pagine mettendo, in questo modo, il fruitore nella condizione di individuare, facilmente, la posizione degli elementi di interesse, barra di navigazione, testo, ecc., all’interno della pagina. Una tecnica comoda, potrebbe essere quella di far uso di template. Questi sono modelli, o scheletri, privi di contenuti ma che forniscono un rigido contenitore da riempire con i dati che si desidera. Facendone un uso sistematico è possibile dare una struttura ricorrente alle pagine e favorirne, così, la familiarizzazione da parte dell’utente e quindi la sua la navigazione. Con quanto detto possiamo vedere, per iniziare, cosa dovrebbe contenere la parte superiore della pagina: • il logo o testo che identifichi il tema del corso o il logo della società che lo eroga; • il titolo o l’argomento trattato nella pagina, il capitolo, o paragrafo, nel quale ci si trova; • una barra dei link, il più possibile contenuta, che permetta la navigazione verso le eventuali altre sezioni del sito; • un indice interno alla pagina stessa (quando necessario); • un testo che indichi la posizione della pagina attuale all’interno del sito. Questo testo dovrebbe riportare i passi, o link, necessari per arrivare nuovamente, partendo dalla home page, alla pagina attuale. Queste informazioni devono essere quanto più chiare, leggibili e pulite; tramite queste l’utente deve essere in grado di farsi un’idea di cosa l’aspetti nel resto della pagina. A fondo pagina sarebbe comodo disporre di: • un sistema per tornare ad inizio pagina; • informazioni “redazionali” come il numero di pagina attuale, le pagine mancanti alla fine della sezione, o capitolo, ecc. La pagina iniziale di un corso dovrebbe contenere solo informazioni fondamentali e non già i contenuti del corso stesso. Dovrebbero essere presenti informazioni come: • l’autore del corso, informazioni cronologiche sulla data di creazione e dell’ultima modifica, riferimenti per contattare il docente, ecc.; • l’indice del corso; • eventualmente una “bacheca”: una sezione di brevi messaggi che i visitatori o fruitori del corso possono scambiarsi e che può favorire l’interscambio di informazioni tra discenti. Esperimenti con utenti disabili ci hanno consentito di individuare alcune linee guida: • Pagine lunghe Problemi: difficoltà nella lettura e nella loro navigazione, allungamento dei tempi di caricamento, visualizzazione problematica soprattutto su dispositivi aventi display dalle dimensioni limitate, scarsa riusabilità dei contenuti. 214 Soluzioni: spezzettamento della pagina, inserimento di sistemi di indicizzazione interna per favorirne la navigabilità. • Troppa grafica Problemi: “orientamento” non semplice dovuto alla presenza di troppi elementi “decorativi”, difficoltà nel mantenere un certo grado di attenzione, possibile confusione, problemi di navigazione qualora la grafica venga usata per generare menù, mappe cliccabili, ecc. Soluzioni: usare la grafica solo quando serve e, comunque, prevedere una versione alternativa delle informazioni veicolate ad essa. • Barre di navigazione Problemi: se poste lateralmente al testo riducono la porzione di schermo disponibile per la lettura. Soluzioni: disporle nella parte superiore e prevedere un collegamento che consenta di saltare direttamente dalla parte inferiore dello schermo, o da sezioni intermedie della pagina qualora questa risultasse troppo lunga, alla barra presente nella parte superiore. • Accostamento dei colori tra primo piano e sfondo Problemi: una scelta errata può portare a pagine difficilmente leggibili sia per problemi fisici (daltonismo, percezione alterata dalla vecchiaia), sia per problemi tecnologici (uso di display in bianco e nero o con un numero, comunque, ridotto di colori). Soluzioni: è importante studiare opportunamente le giuste combinazioni di colori che forniscano il contrasto desiderato. In generale sarebbe opportuno prestare attenzione alle seguenti indicazioni: - il rosso e il verde, sono i colori più problematici per i daltonici e andrebbero evitati; - le tonalità accese e il bianco sono poco riposanti e possono provocare abbagliamento; - le tonalità medie, soprattutto se combinate tra loro, sono a basso contrasto; - preferire sfondi chiari e tenui con testo decisamente scuro, ovvero sfondo decisamente scuro con testo chiaro, magari non troppo sgargiante; - il basso contrasto tra testo e sfondo dalle tonalità medie, normalmente sconsigliato può essere aumentato mettendo il testo in grassetto. • Veicolamento di informazioni al colore Problemi: far riferimento al colore per fornire informazioni può mettere in difficoltà chi ha problemi nel percepirlo nel modo corretto. Soluzioni: evitare di realizzare questo veicolamento e, quando questo fosse necessario, fornire sempre un modo alternativo per ottenere l’informazione espressa con il colore. • Impostazione grafica del testo Problemi: un testo avente dimensioni prefissate e non modificabili mal si adatta alle diverse esigenze che possono avere utenti diversi. Soluzioni: definire le dimensioni dei caratteri in modo “relativo”, ovvero personalizzabili. L’utente deve sempre poter decidere quanto grande far apparire il testo sullo schermo. Altre indicazioni importanti sono: 215 - utilizzare il grassetto nei titoli, per brevi parti significative di testo e in caso di tipi di carattere dal tratto sottile. Molte righe di grassetto consecutive possono affaticare la vista. Utilizzare, perciò, il grassetto solo dove veramente necessario; - utilizzare il corsivo solo nei titoli e nelle citazioni. Molte righe consecutive di corsivo possono affaticare la vista; - evitare il sottolineato, i browser lo utilizzano generalmente come marcatore dei collegamenti ipertestuali (link); si rischia pertanto l’erronea interpretazione dell’attributo, inoltre la sottolineatura interferisce con la forma stessa di alcuni caratteri (g, j, p, q e y); - evitare l’uso simultaneo degli attributi. Più il tratto è ricco e complesso, meno è leggibile; - allineare il testo normale a sinistra; in caso di testo allineato a destra o al centro, contenerne la lunghezza complessiva e distribuirlo in maniera uniforme tra le eventuali diverse righe; - presentare il testo in modo logico, prestando attenzione alla diversificazione ed enfatizzazione dei titoli rispetto al corpo del testo e suddividere questo ultimo in paragrafi lunghi non più di una decina di righe; - non avvicinare o allontanare eccessivamente le righe di testo tra loro, modificando l’interlinea; le impostazioni predefinite sono generalmente ottimali. • Immagini dinamiche Problemi: possono disturbare o affaticare la vista soprattutto qualora la frequenza di cambiamento risulti elevata. Soluzioni: realizzare le immagini in modo che cambino con la giusta velocità, evitarle se ne può fare a meno. • Sovrapposizione e vicinanza del testo alle immagini Problemi: il testo può essere difficilmente distinguibile dall’immagine. Soluzioni: evitare questa sovrapposizione e assicurarsi che esista una distanza di almeno 10-15 pixel tra testo e gli altri elementi dalle immagini. • Informazione associata alle immagini Problemi: molto utenti, soprattutto quelli non vedenti, possono avere problemi nell’interpretare il contenuto informativo delle immagini. Soluzioni: fornire sempre una descrizione alternativa usando, nel caso dell’html, l’attributo ALT o LONGDESC. Se l’immagine rappresenta una scritta riportarne il contenuto come descrizione alternativa. • Dimensione delle immagini Problemi: immagini di eccessive dimensioni possono alterare il layout della pagina e causarne una cattiva lettura. Soluzioni: dimensionare le immagini in modo che siano interamente visibili nella schermata. • Assenza di commenti alle tabelle Problemi: la sequenzializzazione della lettura, da parte di strumenti assistivi, dei dati contenuti nella tabella genera spesso confusione e difficoltà da parte di persone che navigano il web con dispositivi o software la cui presentazione dei dati non è basata esclusivamente sulle immagini, ma fanno uso di voce (screen reader, ecc.) o testo (browser testuali, ecc.). 216 Soluzioni: è fondamentale che si faccia uso dei mezzi messi a disposizione dal linguaggio scelto per l’implementazione per commentare opportunamente le tabelle. L’html fornisce molti attributi e tag il cui corretto utilizzo consente di fornire documentazione sufficiente ad una tabella dati affinché l’utente disabile, o il normoutente che faccia uso di strumenti di navigazione aventi limitate capacità, possa fruire appieno di queste informazioni. • Assenza di scorciatoie Problemi: la mancanza di attributi come ACCESKEY o TABINDEX possono rendere difficoltosa la navigazione all’interno della form, o della pagina in genere. Soluzioni: questi attributi vanno sempre usati così da fornire il giusto ordine di navigazione e facilitare l’uso del sistema anche senza mouse. L’attributo TABINDEX può essere aggiunto alla maggior parte dei tag html. La sua sintassi è TABINDEX=“numero” e serve a stabilire l’ordine di scorrimento degli elementi di una pagina ad ogni pressione del tasto TAB. L’attributo ACCESSKEY viene usato prevalentemente con i tag di tipo àncora (le URL, per esempio), ma il suo utilizzo, comunque, non è limitato solo a questi e può essere usato su qualunque altro tag. La sintassi per il suo utilizzo è ACCESKEY=“carattere tasto”. In base al tipo di browser utilizzato il funzionamento di questo tag può cambiare. In genere premendo la combinazione di tasti ALT+“carattere tasto” il browser posiziona il suo focus sull’elemento associato con l’ACCESKEY specificato. A questo punto è sufficiente premere il tasto invio per seguire l’eventuale collegamento associato. Altri browser, come per esempio Mozilla, non hanno bisogno della pressione del tasto Invio ma, appena eseguita la pressione della combinazione di tasti, il browser provvederà immediatamente a seguire il collegamento. • Layout e grafica della form Problemi: colori e testo poco contrastanti, più campi o più etichette sulla stessa riga, uso di una lingua straniera sono tutti fattori di inaccessibilità della form. Soluzioni: l’aspetto grafico dei form deve seguire le stesse regole di accessibilità previste per il testo e gli altri elementi grafici. • Gli attributi title, hreflang e acceskey Problemi: l’assenza di questi attributi delle àncore, e in particolare l’attributo title, costituisce un grave problema all’utente che faccia uso di screen reader il quale potrebbe trovarsi in difficoltà nel tentare di capire dove un particolare link conduce. Soluzioni: tutti i precedenti attributi vanno rigorosamente utilizzati nella specifica dei tag di tipo àncora. In particolare title andrebbe usato per ogni àncora mentre sarebbe meglio limitare gli accesskey esclusivamente alle voci del menù di navigazione. Per finire, l’attributo hreflang, che non è ancora supportato, potrebbe ugualmente essere specificato in funzione di un prossima futura implementazione da parte dei software assistivi. • Associazione corretta tra i collegamenti e le parole che li segnalano Problemi: la brutta tendenza ad associare i collegamenti a parole o frasi che non diano informazioni sul contenuto della pagina (es.: “Clicca Qui”) collegata dal link genera confusione. 217 Soluzioni: è fondamentale scegliere le giuste parole o frasi per i collegamenti. Deve essere chiaro, attraverso le poche parole che costituiscono il punto di accesso alla nuova pagina, che informazioni questa dovrebbe contenere. • Visibilità e usabilità dei link Problemi: spesso, per dare un aspetto più accattivante ai link, si effettuano delle scelte grafiche in contrasto con le regole dell’accessibilità. Soluzioni: i link accessibili devono rispettare queste semplici regole generali: - se possibile, cercare di mantenere la convenzione circa la marcatura dei link testuali, usando il grassetto per aumentare il contrasto; - nelle immagini usate come collegamento ipertestuale inserire il bordo e ispessirlo leggermente, onde ottenere un effetto analogo a quello dei link testuali; - nelle “mappe immagine” separare i settori con collegamenti attivi in modo che il puntatore del mouse possa cambiare aspetto; prestare, inoltre, attenzione ai contenuti testuali che devono sempre essere chiari e leggibili. Per finire, evitare, se non indispensabili, gli “effetti di attivazione” dei link o comunque contenerli alla sola modifica del colore del testo. • Progettazione “liquida” Problemi: una progettazione del layout di pagina “rigida”, che faccia, quindi, uso di un dimensionamento in pixel, rende la pagina poco flessibile a possibili ridimensionamenti o, comunque, all’adattamento necessario ad una visualizzazione su schermi aventi dimensioni diverse. Soluzioni: gli elementi della pagina come i testi e le tabelle dovrebbero avere una dimensione definita in percentuale. Le immagini non dovrebbero avere dimensioni eccessive e, in generale, bisognerebbe pensare di progettare pagine che vadano bene per risoluzioni basse come la 800 x 600; implementare più soluzioni, intercambiabili tra loro, capaci di soddisfare le molteplici esigenze percettive degli utenti. Permettere, inoltre, la disattivazione dei fogli di stile, facendo in modo che la pagina conservi una sua armonia e logica. Per quanto riguarda l’accessibilità di contenuti avanzati abbiamo: • Accessibilità delle formule matematiche Problemi: la trasmissione delle formule matematiche avviene, spesso, in modo esclusivamente visivo. Vengono realizzati degli screenshot della formula che, inseriti nelle pagine Internet, ne costituiscono l’unica rappresentazione disponibile. Non è possibile, per la complessità e la natura della formula, fornire rappresentazioni alternative e così il risultato che si ottiene è un’informazione poco accessibile, pesante e di scarsa qualità. Soluzioni: la soluzione è da cercarsi nei nuovi linguaggi di markup che il W3C, ma anche terze parti, stanno approntando. Questi linguaggi consentono di rappresentare attraverso i tag formule anche complesse lasciando il compito, poi, a browser, testuali o vocali, di presentarle debitamente. I browser visivi avranno la possibilità di ridimensionare le formule, cambiarne i colori, ecc., in base alle caratteristiche e al gradimento dell’utente, mentre quelli vocali potranno leggere le formule e darne una rappresentazione uditiva per i disabili della vista. 218 • Accessibilità dei contributi multimediali Problemi: un corso di Formazione a Distanza, così come una qualsiasi altra pagina Internet, è spesso caratterizzata da contributi di natura multimediale che arricchiscono l’esperienza formativa del fruitore. Un filmato può comunicare un pensiero o un concetto con un impatto molto maggiore di quanto possa fare, invece, un normale testo scritto. Forti di questa idea i realizzatori di corsi hanno sempre più fatto uso, nel tempo, di filmati, video e audio per rendere più gradevole e maggiormente recepibile un normale corso di e-learning. Esiste, come spesso accade, il rovescio della medaglia che, in questo caso, è rappresentato da una diminuzione dell’accessibilità dei contenuti a chi, dotato di una connessione lenta, di browser testuali, di dispositivi alternativi, o di una disabilità fisica, non possa fruire parzialmente o completamente, di questi contributi. Soluzioni: la storia dell’accessibilità di questi elementi multimediali passa attraverso vari punti di cui lo SMIL è, per ora, l’ultimo raggiunto. Le varie soluzioni adottate durante lo sforzo profuso per raggiungere l’accessibilità di questi elementi sono ancora adesso spesso utilizzate perché, di fatto, costituiscono un sistema economico, in termini di costi di realizzazione, rispetto a sistemi più “raffinati”. In genere la soluzione più adottata è quella del commento alternativo. Di natura più o meno lunga, spesso si porta ad accompagnare un filmato con un testo che riassuma, in modo più o meno dettagliato, quanto il filmato voglia comunicare. Se questa è indubbiamente una buona soluzione alternativa non è certamente la migliore. Alcune utenze, non vedenti, ipovedenti, ecc., potrebbero trovare soddisfacimento da questo espediente ma non tutti potrebbero trovarsi appagati. Per utenti con difficoltà nella lingua straniera, come i sordi, per esempio, una soluzione ottimale sarebbe quella di fornire loro una versione in lingua madre dell’eventuale contributo in lingua straniera e, in queste come in altre situazioni, può entrare in gioco lo SMIL. Questo linguaggio di markup, infatti, potrebbe consentire l’associazione di più lingue con lo stesso contributo audio o, magari, la sovrapposizione di un audio con un altro (a volume ridotto) per portare tutte quelle nozioni che altrimenti un disabile potrebbe perdere. Per un non vedente, infine, potrebbe essere comodo scaricarsi solo l’audio di un filmato riducendo notevolmente i tempi di download. • Accessibilità di grafica avanzata Problemi: a differenza delle comuni immagini che possono essere presenti nelle pagine Internet, e il cui contributo è prettamente estetico, molto spesso i corsi di Formazione a Distanza possono far uso di grafica cosiddetta avanzata per facilitare la comprensione di un argomento. L’attributo “avanzata”, in questo contesto, serve ad indicare un genere di grafica complessa, composta da più elementi aventi ognuno una sua particolare importanza nel caratterizzare l’insieme. Si è fatto l’esempio di una bicicletta come di una struttura meccanica composta da più parti. Analogamente un corso potrebbe avere bisogno di specificare, nel dettaglio, parti di oggetti ancora più complessi come motori, strutture edilizie, ecc., oppure grafici di vario genere, a torta, a barre, ecc., con l’esigenza di dover specificare, per ogni sua parte, una cer219 ta etichetta. Così, per esempio, per il grafico a torta potrebbe essere comodo specificare, in forma testuale, i valori riferiti ad una particolare fetta e, analogamente, per gli altri tipi di grafici. Oltre a tutto questo vi è il grande problema della “rigidità” delle immagini che non sono adattive rispetto alle caratteristiche del fruitore e che, quindi, non possono essere opportunamente ridimensionate, per esempio, rispetto alle sue esigenze. Soluzioni: SVG risolve alcune delle problematiche elencate sopra. Innanzitutto consente di specificare etichette, descrizioni e informazioni estese in modo molto più dettagliato di quanto si possa comunemente fare sfruttando il tag ALT di una normale immagine. Questo consente, agli utenti che facciano uso di screen reader, di acquisire informazioni altrimenti inaccessibili. Inoltre, risultano facilitate le operazioni di ricerca testuale che possono sfruttare i tag alternativi. Coloro che fanno uso di connessioni lente possono trarre giovamento dalla ridotta dimensione delle immagini vettoriali e, infine, gli ipovedenti e altre classi di disabilità, possono impostare a loro piacimento la dimensione dell’immagine in base al loro gusto o, comunque, alle loro esigenze. Quanto presentato costituisce un piccolo esempio del lavoro realizzato per la definizione di linee guida per l’accessibilità del web-learning. Molti sono stati gli aspetti e le problematiche prese in considerazione, il loro esame e le soluzioni proposte costituiscono un importante documento ai fini della progettazione di un web-learning per tutti. CAMPUS @CCESSIBILE Naturale conclusione al lavoro di definizione delle linee guida per lo sviluppo di un web-learning accessibile è stata la loro applicazione ad un caso reale. Si è pensato di realizzare un sistema di formazione a distanza costituito da un portale e da alcuni corsi pilota, che potesse essere fruito completamente e facilmente dagli utenti disabili con particolare attenzione per i non vedenti. Il prodotto è stato realizzato a partire da un software esistente: Docent, una consolidata piattaforma di web-learning, prodotta dalla Siemens e distribuita in Italia dall’Italdata. Il lavoro si è concentrato, in particolare, su tre aspetti della piattaforma di web-learning: 1. la struttura di accoglienza dei corsi, ovvero l’interfaccia con cui l’utente si trova a dover interagire per scegliere che corsi fruire, per eseguire interrogazioni e ricerche, per dialogare con i propri colleghi o tutor, ecc.; 2. i corsi veri e propri, per i quali si è scelto di crearne due pilota, e quindi solo con alcuni moduli a disposizione, scelti tra quelli con maggior utilità per l’utente non vedente: • corso di JAWS (Job Access With Speach), ovvero un corso che insegni all’utente alle prime armi con questo screen reader, il migliore e più veloce modo per approcciare questa tecnologia assistiva. Il corso non è solo pensato per i non vedenti, ma anche per tutti coloro che, per studio, per ricerca o per lavoro, maturino la necessità di conoscere i principi di funzionamento di questo prodotto; • corso per la Patente Europea del Computer, ovvero la ECDL (Euro220 pean Computer Driving License), di particolare importanza per fornire un’alfabetizzazione informatica che consenta la collocazione, per il disabile, in ambiti lavorativi diversi dal classico lavoro di centralinista. 3. gli strumenti di comunicazione: la piattaforma Docent è stata arricchita con l’aggiunta di strumenti di comunicazione accessibili, appositamente pensati per incrementare l’interscambio tra i partecipanti ai corsi al fine di ridurre l’isolamento proprio di questo metodo di insegnamento e di questa disabilità. Per l’aspetto “strumenti di comunicazione” [Trentin, 1996] si è pensato di inserire sistemi di comunicazione basati su: • forum di discussione; • chat in tempo reale. Le modifiche apportate a Docent e i corsi realizzati per la piattaforma costituiscono, nel loro insieme, un prodotto noto come Campus @ccessibile realizzato nell’ambito dell’iniziativa Webxtutti1 della Fondazione Ugo Bordoni. Webxtutti si propone come portale finalizzato alla raccolta e alla diffusione di informazioni inerenti all’accessibilità e in grado di fornire strumenti di valutazione automatica, come Torquemada, per l’esame di pagine web. Il Campus @ccessibile, durante le sue diverse fasi di realizzazione e al termine delle stesse, è stato sottoposto ad un continuo processo di verifica da parte dello sviluppatore, da utenti disabili e attraverso gli strumenti di validazione automatica del W3C. 221 Figura 3 Schermata di presentazione per il corso di ECDL presente nel Campus @ccessibile. 1 http://www.webxtutti.it/ La prima versione del Campus @ccessibile è stata inserita in un processo di raffinamento facente uso di tre forme diverse di analisi: 1. Manuale: applicando le verifiche previste dalla metodologia sviluppata; 2. Automatica: con l’uso dei validatori automatici, quali Torquemada (sviluppato presso la Fondazione Ugo Bordoni) [Bernardini, 2004] e quelli messi a disposizione dal W3C; 3. Umana: grazie alla collaborazione di un gruppo di utenti disabili [Bernardini et al., 2003]. La verifica manuale è stata realizzata applicando la metodologia studiata. Ogni caratteristica della piattaforma di web-learning e dei corsi ospitati, come la grafica, l’aspetto formativo, la strutturazione dei contenuti e i contributi multimediali, ecc., sono stati analizzati, da un punto di vista dell’accessibilità e della usabilità, con riferimento all’analisi svolta. In questo modo si è realizzata una prima sgrossatura del Campus e, parallelamente, un testing della metodologia. Questa fase è stata particolarmente importante poiché ha rappresentato il primo vero banco di prova per la metodologia. L’applicazione di questa su un prodotto finito, simulando il lavoro che uno sviluppatore di contenuti per l’e-learning dovrebbe fare ogniqualvolta volesse testare l’accessibilità del suo lavoro, ha permesso di verificare come la metodologia individuata potesse essere effettivamente utile e facilmente utilizzabile. Il feedback fornito da questo primo passo ha consentito di migliorare la metodologia da un punto di vista della sua utilizzazione, consentendo di organizzarne al meglio i contenuti per consentirne una facile consultazione in fase di applicazione a casi reali. La versione del Campus ottenuta dopo aver applicato la prima stesura della metodologia costituiva un prodotto avente un buon livello di accessibilità, ma con ancora alcuni problemi irrisolti. Il passo successivo è stato quello di validare il Campus attraverso i sistemi automatici disponibili. I primi software ad essere stati utilizzati sono stati i tool automatici messi a disposizione dal W3C per la verifica della correttezza sintattica dei CSS e dell’html. Questo passo, oltre che ad essere essenziale da un punto di vista dell’accessibilità poiché i lettori automatici dello schermo, come JAWS, possono fornire un output vocale errato su pagine mal formate, era fondamentale per poter utilizzare altri strumenti automatici di validazione. In particolare, ci si è concentrati sulla validazione dei fogli di stile, utilizzati all’interno delle pagine, e sull’html, per il quale ci si è posti l’obiettivo di renderlo HTML 4.01 Strict. Gli errori sintattici individuati e rimossi, con questo processo preliminare, hanno permesso di fornire agli altri tool di validazione automatica del codice pulito. Come strumento di verifica automatica dell’accessibilità è stato utilizzato Torquemada, realizzato in seno al progetto Webxtutti della Fondazione Ugo Bordoni. La verifica umana è stata realizzata attraverso la collaborazione con un gruppo di disabili della vista. Si è scelto un campione di utenti aventi capacità medie nell’uso del computer, in modo tale da ottenere una valutazione dell’accessibilità più realistica di quanto si sarebbe avuta da discenti con capacità superiori tali da permettere loro di risolvere, in autonomia, i possibili problemi riscontrati. I test sono stati realizzati 222 ideando una serie di compiti e chiedendo, agli utenti, di portarli a termine. È stato, inoltre, chiesto loro di segnalare quanto di inaccessibile o non usabile venisse riscontrato nell’utilizzo del corso. I compiti pensati ricalcavano il percorso tipico che un discente avrebbe seguito fruendo del Campus: - accesso al sistema attraverso l’immissione di login e password; - consultazione dell’elenco dei corsi disponibili; - iscrizione ad un corso; - fruizione di un modulo e sperimentazione del test finale. Agli utenti è stato chiesto, inoltre, di utilizzare tutti gli elementi a disposizione nel Campus, come l’indice, il glossario, ecc., in modo da verificarne l’accessibilità. Alla fine dei test si è proceduto intervistando gli utenti per capire quali fossero stati i problemi riscontrati e, quindi, per procedere alla loro correzione. Questa attività di testing è stata iterata più volte in modo da verificare direttamente come le nuove modifiche apportate fossero recepite dagli utenti ottenendo, in questo modo, un processo di tune-up accurato. Le varie spigolature incontrate sono state via via smussate ottenendo un prodotto finale avente un buon livello di accessibilità. Ogni fase di verifica attuata ha consentito un continuo processo di miglioramento della metodologia utilizzata consentendo, in questo modo, di ottenere un prodotto finale soddisfacente. Il risultato è una incoraggiante verifica per la metodologia individuata e, inoltre, costituisce un valido spunto per una sua futura evoluzione. Riferimenti bibliografici Bernardini A. (2004), Torquemada, il validatore italiano dellʼaccessibilità, I Quaderni del Webbit: Accessibilità/Usabilità & Webesign. Bernardini A., DʼAloisi D., Delogu C., Ragazzini S., Venturi G. (2003), Web for all: an user-centred design approach for making more usable and accessible web site. In Proceedings of the Conference “The Good, the Bad, and the Irrelevant.: the user and the future of information and communication technologies”, Helsinki, Finland, pp. 164-168. Bianchi L. (2004), Interfacce per la comunicazione delle persone sorde. In R. Scano (ed.), Accessibilità dal- la teoria alla realtà, Venezia, IWA. Chisholm W., Vanderheiden G., Jacobs I. (1999), WCAG 1.0 & 2.0, W3C, http://www.w3.org/TR/WAI-WEBCONTENT/ Delogu C., DʼAloisi D., Ragazzini S. (2002), Un web per tutti. Lʼaccessibilità di Internet. I Quaderni di Telema, anno XX, 8, ottobre 2002, Media Duemila. Ferrando N., Volpon A. (2002). Screen reader, display braille e browser vocali, http://www.fucinaweb.comusabilita/accessibilita07.asp Trentin G. (1996), Didattica in rete. Internet, telematica e cooperazione educativa, Roma, Garamond. 223 Finito di stampare nel marzo 2005 dalla Litografia Botolini s.r.l. Rocca San Giovanni/Italy Come costruire conoscenza in rete? In questo volume vengono pubblicati i contributi presentati al Workshop Come costruire conoscenza in rete?, tenutosi a Genova il 28 ottobre 2004. Il workshop si inserisce tra le iniziative scientifiche proposte nell'ambito del progetto di ricerca triennale "Nuove tecnologie per la formazione permanente e reti nel sistema socioeconomico italiano", che focalizza lʼattenzione sui fattori cruciali che agevolano e incentivano la comunicazione e l'interfacciamento tra sistemi formativi diversi, nell'ottica di favorire, con interventi concreti, l'instaurarsi di modelli di formazione permanente flessibile, integrata e contestualmente significativa. Temi conduttori della giornata sono stati l'e-learning e le tematiche connesse con la costruzione collaborativa della conoscenza, riflesse nella molteplicità e nella differenziazione degli interessi caratterizzanti le ricerche condotte nel progetto. NUOVE TECNOLOGIE PER LA FORMAZIONE PERMANENTE A cura di Manuela Delfino, Stefania Manca, Donatella Persico, Luigi Sarti Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per le Tecnologie Didattiche, Genova E RETI NEL SISTEMA SOCIOECONOMICO ITALIANO Questo volume è stato realizzato con i finanziamenti del progetto Nuove tecnologie per la formazione permanente e reti nel sistema socioeconomico italiano. MIUR - Dipartimento per la Programmazione, il Coordinamento e gli Affari Economici. Servizio per lo Sviluppo e il Potenziamento delle Attività di Ricerca (SSPAR). PNR 2001-2003 (FIRB art.8) D.M. 199 Ric. dellʼ8 marzo 2001. € 20,00