Comments
Description
Transcript
Conoscenza, mercato pianificazione
I grandi economisti contemporanei llezione di Nell ambito della sezione di economia di questa «Co in collalica, pubb ino Mul testi e di studi», la Società editrice il no, una se borazione con l’Istituto Bancario San Paolo di Tori economisti di gran ai cati dedi i rie organica di volumi antologic un autore, contemporanei. Ogni volume raccoglie, di ciasc ettivo di l’obi con ati ordin i e scelt contributi più significativi, produzione delineare un quadro articolato e completo della sua Stefano Za e i scientifica. La serie è curata da Terenzio Cozz magni. i n A. von Haye Friearic • Conoscenza, mercato pianificazione • Saggi di economia e di epistemologia I primi volumi sono dedicati a: PIERO SRAFFA FRIEDRICII A. VON HAYEK Ro F. HARROD OHN R. HICKS TJALLING C. KOOPMANS HERBERT A. Si’1oN 3 JAMES TOBIN ARROW KENNETH AMARTYA K. SEN J. Istituto Bancario San Paolodi Torino Società editrice il Mulino Bologna Indice I1L.h d Introduzione, di Franco Donzelli p. 9 PARTE PRIMA. METODOLOGIA ED EIISTEMOLOGIA DELLE SCIENZE SOCiALI: 1NDIVIDUALISMO METODOLOGICO E CRITICA DELLO SCIENTISMO 1. Lo scientismo e lo studio della società 2. La presunzione del sapere 97 211 PARTE SECONDA. CONCETTI E PROBLEMI DELL’ECONO MIA TEORICA: EQUILIBRIO, CAPITALE, CONCORREN ZA E DIVISIONE DELLE CONOSCENZE HAYEK, FriedrichA. von Conoscenza, mercato, pianificazione. Saggi di economia e di epistemologia / Friedrich A. von Hayek. Bologna 11 Mulino, 1988. 531 p. 21 cm. (Collezione di testi e studi. Economia). Serie dedicata ai Grandi economisti contemporanei. iSBN 88-15-01407-1 1. Economia Studi 2. Economia Teorie. 330.15 - - Copyright © 1988 by Società editrice il Mulino, Bologna. Traduzione Anna Cimino (saggi 1 e 4-15). Edizione italiana a cura di Franco Donzelli. di È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia anche ad uso interno o didattico non autorizzata. . 3. Economia e conoscenza 227 4. Equilibrio e capitale 253 5. L uso della conoscenza nella societa 277 6. Il significato della concorrenza 293 7. La concorrenza come procedura per la scoperta del nuovo 309 PARTE TERZA. TEORIA ECONOMICA DEL SOCIALISMO E DELLA PIANIFICAZIONE: UN ESAME CRITICO 8. Il calcolo socialista I: la natura e la storia del problema 323 6 Introduzione 1NDICf 9. Il calcolo socialista Il: lo stato del dibattito p. 357 (1935) 10. Il calcolo socialista III: la «soluzione» concorren 393 ziale 11. La nuova confusione relativa alla «pianifica 423 zione» IARTE QUARTA. TEORIA E POLITICA ECONOMICA: CICLO, INFLAZIONE, DISOCCUPAZIONE, MONETA E POLITI CHE KEYNESIANE 12. Aspettative di prezzo, perturbazioni monetarie e investimenti sbagliati 13. L’«effetto Ricardo»: tre delucidazioni 14. Inflazione, distribuzione distorta del lavoro e di soccupazione 15. La possibilità di scegliere fra differenti valute: un modo per fermare l’inflazione Bibliografia delle opere di Friedrich A. von Hayek 441 439 477 495 313 • Economia e conoscenza 1. L’ambiguità del titolo di questo saggio non è affatto ca suale. L’argomento principale che in esso si affronta è, ovvia mente, il ruolo che ipotesi e proposizioni relative al grado di co noscenza di cui dispongono i diversi individui della società rico prono nell’analisi economica. Ma tutto questo non è in alcun modo slegato dall’altra questione che potrebbe essere oggetto di analisi e di discussione sempre sotto il medesimo titolo; la questione cioè della misura in cui l’analisi economica formale trasmette una qualche forma di conoscenza di ciò che avviene nel mondo reale. In verità, sosterrò che le tautologie, di cui es senzialmente consta l’analisi formale di equilibrio nella scienza economica, possono essere trasformate in proposizioni capaci di dirci qualcosa sui nessi causali del modo reale, solo nella mi sura in cui si riesce a dotare queste proposizioni formali di ben definite e precise qualificazioni per quel che concerne il modo in cui la conoscenza viene acquisita e trasmessa. Per dirla in breve, argomenterò che l’elemento empirico nella teoria econo mica la sola parte che non si occupa semplicemente di trarre delle implicazioni, ma di individuare cause ed e/Jetti, la sola par te, quindi, che porta a trarre conclusioni di cui, almeno in linea di principio, è possibile effettuare la verifica consiste di proposizioni relative ai modi d’acquisizione della conoscenza. Forse dovrei iniziare col rammentare al lettore un fatto al quanto interessante e cioè che in parecchi dei tentativi più re centi, svolti in diversi campi allo scopo di far progredire l’inda gine teorica oltre i limiti segnati dalla tradizionale analisi di equilibrio, si è constatato che la soluzione a tali tentativi ha ruotato attorno ad un problema che, anche se non completa — — O, piuttosto, falsificazione. Ci r. K. Popper. Luzk der !ursci’u’:p, \X’ien, Springer, 1935; trad. it. Logica della scoperta czeiitif rea, lorino, Finaudi, 19S1. J• 228 (USCiI i 1,111 .‘.It Oli i CC ‘oStiA i i.ok,i mente, coincide con quello che io mi trovo qui ad affrontare, vale a dire il problema della previsione. Ritengo che il campo in cui la discussione delle ipotesi relative alla previsione ha per la prima volta attratto una vasta attenzione sia stato, come è d’altronde lecito aspettarsi, la teoria del rischio 2, Lo stimolo che in questa direzione ha esercitato l’opera del prof. Fu. Knight deve ancora dimostrare la sua profonda influenza, ben oltre il suo campo specifico. Non molto più tardi le ipotesi sul ia capacità di previsione si sono dimostrate di fondamentale importanza per risolvere i rompicapo della teoria della concor renza imperfetta, del duopolio e dell’oligopolio. E da allora è diventato sempre più chiaro che, nella trattazione dei problemi più «dinamici» delle teorie monetarie e delle fluttuazioni indu striali, un ruolo parimenti centrale è svolto dalle ipotesi circa la previsione e l’anticipazione del futuro, e che in particolare i concetti propri dell’analisi formale di equilibrio, quale quello di un saggio di interesse di equilibrio, trasferiti in questi campi di analisi, possono essere adeguatamente definiti soltanto in termini di ipotesi cocernenti la capacità di previsione. La situa zione sembra qui consistere nel fatto che, prima di poter spie gare perché la gente commette errori, dovremmo anzitutto es sere in grado di spiegare perché mai i soggetti dovrebbero esse re sempre nel giusto. In generale, sembra pertanto che si sia giunti al punto in cui tutti sono consapevoli del fatto che il concetto stesso di equilibrio può essere specificato e chiarito solo ricorrendo ad ipotesi concernenti le previsioni; anche se, tuttavia, non vi è accordo completo su quali esattamente deb baiio essere tali ipotesi. Questo problema ci terrà impegnati più avanti. Al momento mi interessa solamente mostrare che allo stato attuale, sia che si vogliano definire i confini dell’ana lisi economica statica, sia che si voglia procedere oltre essa, non è possibile sfuggire al dibattuto problema dell’esatta collo cazione che nel nostro schema di ragionamento devono ricopri re le assunzioni sulla capacità di previsione. Può tutto ciò esse re meramente casuale? Come ho già suggerito, la ragione di ciò penso si possa rin venire nel fatto che abbiamo qui a che fare con un aspetto solo 2 Una più completa rassegna del processo mediante il quale l’importanza delle aspettative ha acquisito gradualmente peso nell’analisi economica dovrebbe probabil mente cominciare con Apprec:aiion ami fnteresi, Ne York, Macmtllan, 1896, del piof. Irving Fischer. .(.(‘\>usi..\ ‘i \/.\ 22u particolare di una questione di portata ben pia vasta e che avremmo dovuto affrontare molto prima. Questioni essenzial mente simili a quelle menzionate sorgono, in effetti, non appe na si cerchi di applicare il sistema di tautologle cioè quell’in sieme di proposizioni che sono necessariamente vere in quanto mere trasformazioni delle ipotesi di partenza e che rappresen tano il contenuto principale dell’analisi di equilibrio — alla si tuazione di una società costituita da parecchie PCSO indi pendenti. E da tempo che mi sono reso conto che il concetto stesso di equilibrio, e i metodi che vengono impiegati nell ana lisi pura, acquistano un significato chiaro e preciso solamente quando il loro uso è confinato all’analisi dell’azione di Lm sin golo soggetto. Quando invece i medesimi concetti e metodi vengono applicati alla spiegazione delle interazioni di un certo numero di individui diversi, allora stiamo passando ad una dif ferente sfera d’indagine e in realtà finiamo con l’introdurre si lenziosamente nell’analisi un elemento dal carattere completa mente diverso. Sono certo che sono parecchi coloro che valutano con im pazienza e sfiducia la generale tendenza, intrinseca alla rnoder na analisi di equilibrio, a trasformare la scienza economica in una branca della logica pura, cioè in un insieme di proposizioni autoevidenti che, al pari della matematica o della geometria, sono soggette a nessun’altra prova che a quella della coerenza interna. Tuttavia, sembra che il solo rimedio a questa situazio ne consista nello spingere sufficientemente a fondo il processo stesso. Nell’estrarre dal nostro ragionamento sui fatti della vi ta economica quelle parti che sono veramente a priori non solo isoliamo, in tutta la sua purezza, una componente del nostro — Mi preme cluarire in d’ora che in questo lai oi >‘c.o I erm.oc s.iis.ilIsi di librio’, nell ‘accezione risi reti a nella quale esc r isu I .> equi’. ale tue a cii is il I lans Maver ha chiamato l’approccio >.junzionale’. in opp.-. /ione .I quell>’ .Cenetico causale.o e associato a quella che e stata vagamente desci tua orue la .scuo.a male manca>. E intorno a questo approccio che si i svllup ata necli unici Il) o 1 5 anni la maggior parte della discussione teorica E ben sero che il poi >l.>> h. .is silzato prima di noi la proposta di un diverso approccio .pcneiico caus,ile m e dii ficile contestare il tatto che essa è rimasta ancora in larga misura a li’. do di pt omessa. F doveroso, comunque, menzionare in questa sede Che ,,lcuni dci più stimolanti sugge rimenti sui problemi strettamente connessi a quelli da noi trattati in questo Ia’’oro sono provenuti proprio da questo circolo CI r li Ma\ er, Dei lrki’nninzozaert der Junktionellen Prentheorien, «Die ‘X’ittschaftstheorie der (ùegenwarts, 11 0951); PN. Rosenstein-Rodan, D>» Zegtmoment in dei matbematuol’en l’leone dei te’) rtscl.’ajlIzc l’en Gleichgewichis, iZeitschrift fùr Nationalòkonomies, I (1030), ti. 1 e [le RòIe o/l’i me in Economic Iheort’, >Economica,, n s I 1934i, pp 77 07 2.30 c NC5 1 I PRO1SI PAlI I Il I I L( ONOMIA 1 PORtI A ragionamento, come fosse una sorta di pura logica della scelta, ma isoliamo anche e sottolineiamo l’importanza di un altro ele mento che è stato troppo trascurato. La critica da me rivolta alle recenti tendenze di rendere sempre più formale la teoria economica non afferma che esse hanno spinto il processo di formalizzazione troppo lontano, bensf che non lo hanno porta to sufficientemente a fondo, tanto da rendere completo l’isola mento di questa branca della logica e quindi da ripristinare nel la sua giusta posizione l’indagine dei processi causali, utilizzan do la teoria economica formale quale strumento alla stessa stre gua di ciò che si verifica per la matematica. 2, Prima però di poter dimostrare la tesi secondo la quale le proposizioni tautologiche di cui consta l’analisi di puro equi librio non sono direttamente applicabili alla spiegazione delle relazioni sociali, è necessario mostrare che il concetto di equili brio possiede un preciso e chiaro significato, quando viene ap plicato alle azioni di un singolo individuo; e, inoltre, in che co sa consiste questo significato. In contrapposizione alla mia af fermazione si potrebbe argomentare che è proprio in tale con testo che il concetto di equilibrio è vuoto di significato dal mo mento che, qualora si volesse farne uso, tutto quanto si potreb be dire è che un individuo isolato si trova sempre in una posi zione di equilibrio. Senonché quest’ultima affermazione, pur essendo un truismo, non fa altro che mostrare il modo fuor viante in cui viene tipicamente utilizzato il concetto di equili brio. Ciò che è rilevante, infatti, non è tanto che una persona in quanto tale sia in equilibrio o meno, ma quali delle sue azio ni stanno fra loro in rapporti di equilibrio. Tutte le proposizio ni dell’analisi di equilibrio, per esempio quella secondo cui i valori relativi delle merci sono proporzionali ai costi relativi, oppure quella secondo cui un soggetto mirerà ad uguagliare i rendimenti marginali di un qualsiasi fattore produttivo nei suoi diversi usi, sono proposizioni circa le relazioni esistenti fra azioni. Le azioni di una persona si possono dire in equili brio nella misura in cui esse possono essere interpretate come parte di un programma. Solo stando cosf le cose, solo cioè se tutte le decisioni sono prese simultaneamente, e sulla base del medesimo insieme di circostanze, possiamo affermare che le nostre proposizioni circa l’interdipendenza di queste decisioni proposizioni che noi deduciamo dalle ipotesi fatte sui grado — PC ONOMIA I I ()NOS( ENZ 23 1 di conoscenza e sulle preferenze del soggetto hanno una qualche applicazione. E importante rammentare che quelli che comunemente vengono indicati come i «dati», dai quali pren diamo le mosse in questo tipo di analisi, non sono in alcun mo do (a parte i gusti) fatti oggettivi; si tratta invece difatti che sono dati per il sogetto in questione, di tutto ciò che egli è in grado di percepire. E solo per via di questo fatto che le propo sizioni che noi deduciamo sono necessariamente valide a priori e che possiamo garantire la coerenza dell’analisi Due principali conclusioni scaturiscono da queste conside razioni. In primo luogo, qualsiasi variazione nella conoscenza rile vante dell’agente, cioè ogni variazione che induca il soggetto ad alterare il suo piano, provoca la rottura della relazione di equilibrio fra le azioni precedenti a quelle successive alla varia zione del suo grado di conoscenza. Ciò deriva dal fatto che le relazioni di equilibrio fra azioni successive di una medesima persona esistono solo nella misura in cui esse sono parte dell’e secuzione di un medesimo piano. In altri termini, la relazione di equilibrio comprende solamente quelle azioni del soggetto relative al periodo di tempo durante il quale le sue aspettative si dimostrano corrette. In secondo luogo, poiché l’equilibrio è una relazione fra azioni e poiché le azioni di una persona debbono necessaria mente manifestarsi in istanti successivi del tempo, è ovvio che il trascorrere del tempo è essenziale per dare significato al con cetto di equilibrio. Quest’osservazione merita attenzione dal momento che molti economisti sembrano non essere stati in grado di inserire l’elemento tempo nell’analisi di equilibrio, e hanno di conseguenza suggerito che l’equilibrio deve essere concepito come atemporale. A me pare che sia un’affermazio ne priva di significato. 3. Nonostante ciò che ho detto sopra su 1 significato dub bio dell’analisi di equilibrio, quando essa viene applicata alle condizioni che caratterizzano una società concorrenziale ov viamente non intendo negare con ciò il fatto che il concetto di equilibrio sia stato inizialmente introdotto proprio al fine di Per quanto concerne questo punto parllcolare, cfr I. von Mic , Grundproble 5 me der Natana1òkonomie, Jena, Gustav Fischen, 1933, pp. 22 e ss, 160 e ss. 212 CONCL vii e PROBLIMI D1IL’t i ONOMIA LE lIRICA descrivere l’idea di una qualche forma di bilanciamento fra le azioni di diversi individui. Il nucleo di tutta la mia argomenta zione, fino ad ora, è che il senso in cui il concetto di equilibrio viene utilizzato per descrivere l’interdipendenza delle diffe renti azioni compiute da una sola persona non può essere este so in via immediata allo studio delle relazioni intercorrenti fra le azioni di persone diverse. La vera questione è dunque quella di sapere quale uso noi facciamo della nozione di equilibrio, al lorquando riferiamo tale concetto all’analisi di un sistema com petitivo. La prima risposta che sembra scaturire dal nostro approc cio è la seguente: l’equilibrio, con riferimento ad un sistema concorrenziale, esiste se le azioni di tutti i componenti la socie tà, in un certo periodo di tempo, rappresentano l’esecuzione dei rispettivi piani individuali, formulati all’inizio del periodo stesso. Se però cerchiamo di approfondire in modo più preciso le implicazioni che scaturiscono da questa risposta, ci accorgia mo subito che essa solleva più dubbi di quanti non ne risolva. Non esistono particolari difficoltà per quanto concerne la con cettualizzazione di un soggetto isolato (ovvero di un gruppo di persone diretto da una di esse) che agisce su un certo periodo di tempo in base ad un piano prestabilito. In questo caso, l’ese cuzione del piano non deve soddisfare alcun criterio speciale per avere senso. Naturalmente può accadere che esso sia fondato su ipotesi errate per quanto riguarda i fatti esterni e, da questo punto di vista, può richiedere di essere modificato. Ma vi sarà sempre un insieme concepibile di eventi esterni tale da consentire la realizzazione del piano, cosf come questo era stato inizialmen te concepito. La situazione è, tuttavia, diversa, quando si con siderano i piani formulati, in modo simultaneo ma indipenden te, da un certo numero di persone. Innanzitutto, affinché que sti piani possano essere realizzati, è necessario che essi si basi no tutti sull’aspettativa di un medesimo insieme di eventi esterni; se infatti persone diverse fondassero i rispettivi piani su aspettative fra di loro in conflitto, non esisterebbe alcun possibile insieme di eventi esterni capace di garantire la realiz zazione di tutti questi piani. Secondariamente, in una società basata sullo scambio, i piani dei singoli faranno riferimento in larga misura ad azioni che richiedono azioni corrispondenti da parte degli altri individui. Ciò significa che i piani di individui LiONotillA L I ONOS( i 15/5 23 differentj devono essere, in un senso speciale, compatibili, per ché si possa addirittura concepire la possibilità di una loro mu tua realizzazione Possiamo esprimere con parole diverse la sostanza dell’affermazione precedente in questi termini: poi ché alcuni dei «dati» in base ai quali un qualsiasi soggetto fon da i suoi piani altro non sono che l’aspettativa di un determina to comportamento da parte di altre persone, allora è essenzia le, ai fini della compatibilità dei differenti piani, che i piani dell’uno includano esattamente quelle azioni che costituiscono i dati per i piani dell’altro. Nell’analisi tradizionale di equilibrio parte di questa diffi coltà risulta, almeno apparentemente, superata grazie all’ipote si che i dati, nella forma di schede di domanda che rappresen tano gusti individuali e fatti tecnici, siano egualmente assegna ti a tutti gli individui e che le azioni di questi, fondate sulle medesime premesse, portino in qualche modo alla mutua com patibiità dei piani. Che in questo modo non venga realmente superata la difficoltà creata dal fatto che le decisioni di una persona rappresentano i dati per un’altra e, anzi, che ciò com porti in una certa misura un vizio di ciicolarita, è un fatto che è stato spesso sottolineato. Ciò che, tuttavia, sembra esser sfuggito fino ad ora all’attenzione è che questo modo di proce dere, nel suo complesso, comporta una confusione concettuale di carattere molto più generale, di cui il punto appena sottoli neato è solo un esempio particolare; confusione be è dovuta ad un’equivoca interpretazione del termine «datuo. I dati di cui ora si discute, e che si suppone siano C\ enti oggettivi ed identici per tutti i soggetti, seno ben altra cosa ri5petto a quelli che costituiscono il punto di partenza delle trasforina’zioni tau . ‘ Mi soi io sempre eh imiti pci the, aiuti n pii la li o e a a o e ta ni i e in sociologia aUun tentamiel) sisietnaik d a iali,z.ua le ela ‘e i d ame aver so la corrispondenza o la non corrispondenza ox i vi o la e ti ipa i le a ‘a u i eom patibilii a degli ohiei liv e dei desideri d i si uLuli opp’m il tale rt h vie e a di nostrarsi alquanme utile la tupolugi i i’ i ti a d 1 minimi e da essa sviluppi i quale qui ho di un imutfz i liF e i ti ane I cinesi a tecnica matemai k a a pi evuidei e dal sue i ua e si ,,i 2 ,e i culLai e adeguata ti vela ioni alla onq lessi La d u i h i Pii i e Un pione, tetilaimeo aieutt ut q testa eiui/ìoi i c’ui ,ei I Ti ti i md Menger Morii! li :!/‘ mi d 1 t’m’ittg’stau6ung ‘s’sii i 1’ i o i ha t ti i l. i a] l’otienimento di risulta ti molto illitininani i Pusc ami per! ia rdai in iii msi a la teoria di soci slogua esa Liii chi il prof Mei er ha e o e 15 pe i il 11k 1i Io I i i i’ (Cfr. Emigc ne’ee’ri Furiichrrtfe iii ilr’i t’salti’, Il, / C0/iI7tiiìL ,,a i, e / dii, i Pri bierne, in Neucre I’uracbritte in dir txakn Wnsmoi /70/fin \‘s mvii ‘in 112 sia partii ,neu vite s,a ,, e , e Citai Cia i ez p se ‘ 24 C 0NCF I 11 F PROBI 1701 DIrEI Ir (OSO hA ILORII A tologiche della logica pura della scelta. In tale ambito, con il termine «dati» si designano tutti e soli quei fatti che sono pre senti nella mente della persona che agisce ed è solo grazie a quest’interpretazione soggettiva del termine «dato> che le pro posizioni ricavate sono verità necessarie. «Dato» è cioè sinoni mo di conosciuto da parte del soggetto in considerazione. Ma nel corso della transizione dall’analisi del comportamento del l’individuo singolo a quella della situazione esistente in una so cietà il concetto di «dato» ha subìto un’insidiosa variazione di significato 4. La confusione che circonda il concetto di «dato» è all’o rigine di cosf tante delle nostre difficoltà in questo campo che è necessario considerarlo in modo più dettagliato. Il termine «dato» indica, ovviamente, qualcosa di preassegnato, ma la questione che rimane aperta e che nelle scienze sociali ammet te due differenti risposte è quella di stabilire a chi si suppone siano noti i fatti. Sembra che gli economisti si siano sempre trovati a disagio SU questo punto e che abbiano cercato di met tersi il cuore in pace contro il timore di non poter dire a chi in realtà erano noti i fatti, sottolineando il fatto che questi erano ricorrendo addirittura ad espressioni pleonastiche del dati tipo «dati gli elementi preassegnati». In tal modo però non si risolve il problema di decidere se i fatti, cui ci si riferisce, sono da supporre dati all’economista osservatore o alle persone le cui azioni egli vuole spiegare; e, in questo secondo caso, se si debba ipotizzare che i medesimi fatti siano noti a tutte le per sone che compongono il sistema, ovvero se questi possono es sere diversi per soggetti diversi. E fuori di dubbio che queste due nozioni di «dato» e cioè da un lato quella difatti ogget tivi reali, cosf come si suppone ne abbia conoscenza l’economi sta osservatore, e dall’altro quella in senso oggettivo e cioè di cose di cui sono a conoscenza le persone il cui comportamento sono in realtà fondamentalmente dif cerchiamo di spiegare essere tenute scrupolosamente pertanto dovrebbero ferenti e distinte. E, come avremo modo di vedere, la questione del per ché mai i dati nel senso soggettivo del termine dovrebbero cor rispondere ai dati oggettivi è uno dei principali problemi cui dobbiamo dare una risposta. L’utilità della distinzione emerge immediatamente non appena l’applichiamo al problema del si gnificato da attribuire all’asserto che una società, in ciascun — — ECONOMIA L CO\Os( EN/A 235 momento, risulta in una situazione di equilibrio. Vi sono chia ramente due sensi in cui si può affermare che i dati soggettivi, noti alle diverse persone, e i piani individuali che da essi neces sariamente conseguono, sono tra loro in accordo. Possiamo in fatti semplicemente voler intendere che questi piani siano mu tuamente compatibili, e che esista perciò un insieme concepi bile di eventi esterni che consente a tutti i soggetti di realizza re i loro piani e di non generare alcun disappunto. Qualora questa mutua compatibilità dei piani non fosse possibile, con conseguente impossibilità di individuare un insieme di eventi esterni capace di soddisfare tutte le aspettative, potremmo chiaramente affermare che quella in considerazione non è una configurazione di equilibrio. Infatti, ci troveremmo in tal caso di fronte ad una situazione in cui risulterebbe inevitabile la re visione dei piani da parte di almeno alcuni individui ovvero, per usare una frase che in passato ha avuto un significato piut tosto vago, ma che ciononostante sembra perfettamente ap propriata al caso in questione, ad una situazione in cui risulte rebbero inevitabili disturbi di natura endogena. Rimane, tuttavia, ancora da affrontare l’altra questione e cioè se gli insiemi soggettivi dei dati degli individui corrispon dano ai dati oggettivi e se, di conseguenza, le aspettative sulla base delle quali sono stati formulati i piani si siano effettiva mente trasformate in fatti. Se una siffatta corrispondenza fra i due concetti della nozione di «dati» fosse richiesta per la deter minazione di un equilibrio, allora non si potrebbe che decidere ex-post, cioè alla fine del periodo con riferimento al quale i sog getti avevano formulato i loro piani, se la società era inizial mente in una situazione di equilibrio. Sembra più conforme al l’uso consolidato affermare in tal caso che l’equilibrio, cosf co me è stato definito nel primo senso, può essere disturbato da un mutamento imprevisto dei dati (oggettivi), e descrivere ciò come un disturbo di natura esogena. In effetti, risulta alquanto difficile attribuire un qualche significato determinato al con cetto, ampiamente utilizzato, di variazione dei dati (oggettivi) a meno che non si introduca una distinzione fra sviluppi ester ni, conformi con le aspettative generali e sviluppi esterni dif formi da esse e che si definisca come «variazione» qualsiasi di vergenza dell’evoluzione rispetto a quella attesa, a prescindere dal fatto che ciò possa significare una «variazione» in qualche modo assoluta. Certamente, se il succedersi delle stagioni si in- 2 3c2 (ZONCL Oli C t’RUBi L..IiI 11Cl 1 ‘Ct ONI)MIA CEOR1(’A ti l)’>iii i terrompesse improvvisamente e il tempo rimanesse costante da un certo giorno in poi, tutto ciò rappresenterebbe una varia zione dei dati nel nostro senso, cioè una modificazione rispetto alle aspettative, sebbene in senso assoluto una situazione del genere non rappresenti una variazione, ma piuttosto un’assen za di variazione. Tutto ciò significa che possiamo parlare di una variazione intervenuta nei dati solamente se esiste un equilibrio nel primo senso, e cioè se le aspettative coincidono, Se infatti queste risultassero in conflitto tra loro, avremmo che qualsiasi evoluzione dei fatti esterni confermerebbe le aspetta tive di alcuni e disattenderebbe quelle di altri, e non vi sarebbe perciò alcuna possibilità di stabilire che cosa effettivamente debba intendersi per variazione nei dati oggettivi 5. Possiamo quindi parlare di uno stato di equilibrio per una società in un dato monento — ma ciò significa solamente che esiste compatibilità fra i diversi piani che gli individui che la compongono hanno formulato allo scopo di determinare il corso delle loro azioni nel tempo. E lo stato di equilibrio, una volta che esista, si protrarrà fintanto che i dati esterni corri spondono alle comuni aspettative di tutti i componenti la so cietà. La possibilità che tale stato si mantenga nel tempo, nel senso appena descritto, non dipende quindi dalla costanza, in termini assoluti, dei dati oggettivi ed essa non è necessaria mente limitata ad un processo stazionario. L’analisi di equili brio è, in linea di prìncipio, suscettibile di trovare applicazione allo studio di una società progressiva, nonche di quelle relazio ni intertemporali di prezzo che non poche difficoltà hanno causato in tempi recenti 5 Il i ui e .o te,,, le’ ,.iai ti i cli I ii .ltaimi’ei s. e o/ (.q>z:at, .,F,citnemic a Ie:c’,ett o. i i’: i e I, et, o:,/ (2riis r 6 tuo • c’i t6e 2c’ i zio l’e/io,’ e! Iti,’i,,;r:a.’ i’ !i,i’tie,tions - E tndon (teorge Routiedge & Sons, 19 9. Quest. sep.u atone del i.iueiio di equilibrio da qoello di stato stazionario non e al i, i. I ic i i ttess,iri. . ponte d ,ir ris i’ di un pieces o ,iie si e pro ira i tr pei un pe re d, d iensi. :“:elt>, lungo Ch queSta associazione dei due concetti no 51/ essen .i ragi> ‘o storiche e opirciotte al guirno d ‘oggi, largamente o ale- isa sol.ir’sun e- dei e. d illusa. Se d ,ilu e, ,,ni la ee’itinlct,i separa/.iitiie dci du concetti non e stata fino » e es d ii tCit,CZI te de me al f,it i i che rieti è si a 1.1 sin qui propo ad o, a r.d .>z.ti 1 ibr io che abbia consel i iito di for st. iii la dcli uil is-ui’ ai ieri stiV i dello si a te’ (li equi lioilsie iii te mito generali qiielie ‘reposi/loni dell’analisi di equilibrio che rIsultano dai ceneri te di stste i adunino C io non,, sia me, è ui et.ìlìnet te i. di pendei , eL j’,in i-aree delle proposi/i’ ni dell’aitahsi di 5 e ,‘it\ illLi,’i’e’ diiI,> ‘r,e» api lical o i solamen te’ al ia e untigur.o-i one di si I tu stazionario. u il, tino ti, iii 0 e , il processo di e 1 cOdi ig.: ,ijoiie c’lu- ,iu,Ito pruhaiiliieil!r tinti seri a mal raggiunt I I 1’’ 8’ , -- . ., - liti.,, .‘,/\ 27 Queste considerazioni sembrano gettare nuova luce sul problema della relazione esistente fra equilibrio e previsione, problema che nel recente passato è stato oggetto di discussioni piuttosto accese . Pare che il concetto di equilibrio significhi 5 semplicemente che la capacità di previsione dei componenti la società è, in senso speciale, corretta. Essa deve essere corretta nel senso che il piano di ciascun soggetto si basa sull’aspettati va che si verifichino proprio quelle azioni da parte degli altri soggetti che questi ultimi intendono eseguire, e che tutti questi piani siano basati sull’aspettativa del medesimo insieme di fat ti esterni, di modo che nessuno avrà ragione di cambiare sotto determinate condizioni il proprio piano. La previsione corretta non è quindi una precondizione che deve esistere affinché si possa individuare una configurazione di equilibrio, come inve ce si è talvolta sentito dire. Essa rappresenta piuttosto la carat teristica che qualifica uno stato di equilibrio. E opportuno ag giungere che, per poter determinare la configurazione di equi librio, non è affatto richiesto che la capacità di previsione sia perfetta, nel senso che essa debba estendersi al futuro indefini to, ovvero che ognuno sia in grado di prevedere correttamente qualsiasi cosa. Dobbiamo piuttosto affermare che l’equilibrio si manterrà fintanto che le previsioni fatte si dimostrano cor rette, e che esse debbono risultare corrette solamente in meri to a quei punti che sono rilevanti ai fini delle decisioni degli inpoi azione sembra essere iniziai con \l ti sii all, lui introdotta fra equilibri di lungo periodo ed e ,et, c c’uil i.> d lii /111S >1,1 equilil e iii I rese periodo i S e’ -i deri, ad esempio, un’affermazione del seguente icnoie «la at i a Stes’ a dello 51,0> di equilibrio, e quella delle casi se a i tra i’ Cr,,’ le q ,iil esse s’icii le te’rtr itt,ii,i ci ijis’ i> le’ dalia lunghe zia del periodo su cui il me re i io estende> lSzi.r tp/e o! I »,,: “i,’> , ed , London, Maemillan & Cii. 1)16, p. 8 iii i I ‘idea ,,Ii i te >tate 1: i-ej»iiiii’,i ell’ non e, al tempo stesso, tino ia io st,iziu»nanio è comunq i>e cIa I’ -c ti te i c’il, 5.legi( Da> t’iIcrlt’mf.’ora/i’ G/i’t,,-/-,e’u ‘e’/’t»st-st,’m dei Pri’:.’ e’ 1 n,/ ,/:,h,’,_,, -ui’? 6’ (. , i 1(1 i’Welta irschal iliclici Archivi XXVIII il 925 i, e 2, ot, 5! 7o c Cs’,tii’i,, c’ui C- ‘ri ziale. se si vuole utilizzare l’analisi di eq itilibnio ct la spiee.::ot:c d, >,,..d i’. , . lii le nomerio connesse all “i no esti mcii io., ,\1 >tl le i IlleCiti .i/ lOOi ‘i e: id le reI,, i’ >6 c’te quesi ioi ie si possono tree are in E. S hams - Kouip iur;e Se, io’ ,-Z i t .,‘r,: 2. i i Si a 1 iionalòkononiie,, lI i3O,, e 1. Si \ela anche l’li K’i’1i, i”,’ I ti’,,, ,‘ C ->‘,t, feti, an,i Diber Lssas,, Loidon, G Alieti e t’rc’, in I id l’isS I ‘S ‘o.- e is’: qualche ulierlore SS iluppu successis o alla d.ica di p’uhtiie.c teli >1, , , saggiet. ‘i seda il mio libri’ Tèe Pzot’ Ji’e’urr »,i (.,;‘:e,’ l.e-td,.c’, 5.’, tie-ulce ‘i bue,,,, Paul, 1941, c’ap li. trad. O L,,»m/j/’rzo i’ u’apz6’. in 9’Csts’ieu>uiise ..., 75. In particolare. si c’en,, (7 Sle’rc’ensi enti I i ,,, e, sci’altlici ct (‘lcie-hgeu ich:, eZeitschrit i fin Sianie’nai»k, Il liete>, VI l’i> i 137-57 ,‘ ,‘. ‘‘,» ‘,, , .,,,,-,, 238 CON( E t’i i i, t’RUBI 5Ml i>hI,ifL(’ONOMIA il ORE A i (‘ORO ti 5 E (O’sUS( I \ÌA dividui. Ma sulla questione di ciò che costituisce previsione o conoscenza rilevante avremo modo di ritornare più avanti. Prima di procedere, è forse opportuno illustrare con un esempio concreto ciò che è stato finora detto sul significato del concetto di equilibrio e sul come una configurazione di equili brio possa essere disturbata. Consideriamo i preparativi richie sti, in un qualche momento, per la produzione di case. Produt tori di mattoni, di materiale idraulico e altri forniranno i ne cessari materiali alla costruzione, in ciascun caso, di una certa quantità di case, cioè quella per la quale viene proprio richiesto l’ammontare di materiali che è stato prodotto. Possiamo pari menti ipotizzare che i potenziali futuri acquirenti accumulino i risparmi che consentiranno loro di acquistare, a certe date fu ture, determinate quantità di case. Se tutte queste attività rap presentano programmi per la produzione (e l’acquisto) del me desimo quantitativo di case, possiamo allora affermare che esse sono in equilibrio fra loro, nel senso che tutte le persone in es se implicate trovano che i loro piani possono essere realizzati. Naturalmente non è detto che sia cosf, in quanto altre circo stanze, che non costituiscono parte di alcun piano, possono manifestarsi in modo difforme da come i soggetti le avevano previste. Parte della produzione di materiali può andare di strutta a causa di un fatto accidentale, le condizioni atmosferi che possono rendere impossibile la costruzione dell’edificio, oppure un’invenzione può portare ad una modificazione delle proporzioni in cui differenti fattori della produzione debbono i,it< altro esempio, di importanza piu generale, è naturalmente costituito dalla corrispondenza fra «ms estimento>» e «risparmio», nel senso della proporzione (in ter mini dt costi relativi) in cui gli imprenditori forniscono beni capitale e beni di consu mo ad orma particolare data e della proporzione in cui i consumatori in generale a quella stessa data ripaitiscono le loro risorse fra l’acquisto di beni capitali e di beni di consunso (Cfr I’reise,u m tungen monetare ltom ungen und Fehhovestitionen in «Na tionalòkonomiske Tidsskrift>, LXXIII (1935), n. 3, ristampato in traduzione inglese con il titolo Price Lxpectations Monetar Disturbance, and Malznvestrnent, in Pro/its, Interest and lnvestrnent, cii,, pp. 135-6, trad io Jlspettatwe di prezzo, perturbazioni moneta ne e rnr’estimenti sbagliati, in questo volume, cap. 12; e The Maintenance o! Ca pitai, in «Economica», N.S 11(1935), ti. 7, particolarmente pp. 268-73, ristampato in 13 of itt, lnterest ami Inr’c’stment, cit., pp. 83-134), Può essere interessante menzio nare a tale riguardo che indagando sul medesimo argomento, che mi ha suggerito queste speculazioni, e cute la teoria delle crisi, il grande sociologo francese G. de Tarde ha posto particolarmente l’accento sulla «contraddizione della crescita» ovvero «contraddizione di giudizio» quale principale causa di questi fenomeni (Psychologie economiJue, Paris, F Alcan, 1902, pp. 129 138; si veda inoltre N Pinkus, Das Pro bien; des Normalen 02 der Nationalokonomie, Leipzig, Dunker & Ilumhlot, 1906, pp. 252 75). 239 essere utilizzati. Tutto ciò rappresenta quello che noi chiamia mo una variazione nei dati (oggettivi), che disturba la configu razione di equilibrio fino a quel momento esistente, Se però i diversi piani si dimostrassero incompatibili fin da principio, al lora è inevitabile che il piano d’azione di qualcuno risulterà di satteso e dovrà quindi essere alterato; di conseguenza l’intero complesso di azioni sul periodo non esibirà quelle caratterjstj che che invece si presentano se l’insieme delle azioni di ciascun individuo può concepirsi come parte di un singolo piano da questi formulato all’inizio del periodo di riferimento, 6. Quando in tutto ciò sottolineo la distinzione fra la pura e semplice mutua compatibilità dei piani individuali c la cor rispondenza fra essi e gli effettivi fatti esterni (o dati oggettivi) non voglio affatto significare che gli accordi intersoggettivi non siano in qualche modo il risultato dei fatti esterni, Natu ralmente non c’è alcuna ragione perché i dati soggettivi di dif ferenti persone debbano corrispondere, a meno che questi non siano il frutto dell’esperienza di un medesimo insieme difatti oggettivi. Il punto è però che la teoria pura dell’equilibrio non si occupa in alcun modo di analizzare come si arriva a realizza re tale corrispondenza. Nel descrivere una certa configurazio ne di equilibrio la teoria assume semplicemente che vi sia coin cidenza fra i dati soggettivi e i fatti oggettivi. Le relazioni di equilibrio non possono dedursi meramente dai fatti oggettivi, in quanto l’analisi di quello che gli individui faranno può pren dere le mosse solo da ciò che è a loro noto, Tanto meno, l’anali i5 Una questione intressantc, ma che poi troppo non possiamo discutere’ o que è quella se di equilibrio si possa parlare solamente quatrdo ciascun indivi duo formula previsioni corrette, ovvero se a tal fine non sia sufficiente, a seguito di una compensazione di errori in direziotri diverse, clic le quarmtiG delle differenti nier ci portate al mercato siano le stesse di quelle clic asrehhero portato i soggetii qualora le loro previsioni fossero corrette. Mi sembra che la concezione di equilibrio nella sua accezione ristretta richieda che sia soddisfatta la prima condizione sono tuttavia del parere che una nozione più ,mmpia, che richieda il soddisl acimento solanmetne del la seconda condizione, possa dimostrarsi occasionalnrente utile’. Una discsrssmnne più completa di questo problema esige che si consideri l’intema qtiestiorre del significato che alcuni economisti (incluso Paremo) attribuiscono, in qriesms <eno. ,illa legge dei grandi numeri Sulla questione in generale, si veda P N. Rosenstein-Rodami The Coordjnatron oJ the Generai Theonies of Mone and Pricr’, «Lconomica,> N.S, III (1936), pp. 257-80, Ovvero, dato che per il carattere rautologico della logica pura della scelta pos siamo indifferentemente parlare di «piani indisiduali,> e di «dati soggetrici», tra i «dati soggettivi» dei diversi individui. sto lavoro, 240 (051 Li lI PROBLEMI DEI I ECONOMiA I (ORII.\ si di equilibrio può partire semplicemente da un determinato insieme di dati soggettivi, poiché i dati soggettivi di persone differenti saranno o compatibili o incompatibili cosf che essi determinerebbero già se l’equilibrio esiste o non esiste. Non possiamo progredire molto in questa direzione, se non Li si interroga circa le ragioni a sostegno dell’attenzione da noi riposta in una configurazione cosf chiaramente fittizia qual è quella di equilibrio. Qualunque argomentazione possa essere stata occasionalmente avanzata da economisti ultra-puristi, sembra non esservi dubbio alcuno che la sola possibile giustifi cazione per questo interesse sia da ricercare nella supposta esi stenza di una tendenza verso l’equilibrio. E solamente grazie a questo asserto che l’economia cessa di essere un esercizio di pura logica e diventa una scienza empirica: ed è all’economia in quanto scienza empirica che dobbiamo ora volgere la nostra Alla luce della nostra analisi del significato da attribuire ad uno stato di equilibrio, dovrebbe risultare facile stabilire qual e il reale contenuto dell’asserto dell’esistenza di una tendenza veiso l’equilibrio. A ben considerare non può trattarsi d’altro che di questo: che sotto determinate condizioni si ritiene che il grado di conoscenza e le intenzioni dei differenti soggetti con per esporre la stessa idea in velgano sempre di più ovvero certamente più concreti generali, ma precisi e meno termini che le aspettative della gente e in particolar modo quelle degli imprenditori diventino via via più corrette. Posta in questi ter unni, l’allerinazione dell’esistenza di una tendenza verso l’e uilihi io diviene rhiaramente 14 uti asserto su ciò che avviene nel inondo reale clic, almeno in li ULO di pi 1iiLO, si dovrebbe riuscite a verificare. E questo ci I uliselil e di attribun e dIa nostra piuttosto astratta forniulazio in .ir i Coliletto di equilibrio un significato a livello di senso co n,uiì il n lo i nato I Che brancoliamo, ancora, nei buio per di equilibrio viene tacitamente indicata come risolta. Se però sottoponiamo ad un più attento esame la cosa, risulta albi a su bito evidente che queste apparenti dimostrazioni non fanno al tro che dimostrare ciò che in effetti si era già ipotizzato Lo stratagemma generalmente adottato a tal fine consiste nell’as sumere un mercato perfetto, dove og,ni evento è conosciuto istantaneamente da ciascun individuo. E opportuno rammenta re a tale riguardo che il mercato perfetto, la cui esistenza e ri chiesta per soddisfare le ipotesi dell’analisi di equilibrio, non deve essere limitato ai mercati di tutte le singole merci; è l’in tero sistema economico che deve essere ipotizzato alla stregua di un unico mercato perfetto, nel quale ciascuno è a conoscen za di tutto. L’ipotesi di un mercato perfetto, pertanto, signifi ca semplicemente che tutti i membri della collettività, anche se non onniscenti in senso stretto, si ritiene conoscano perlomeno automaticamente tutto quanto è rilevante per le loro decisioni E come se l’«uomo economico», questa nostra sergogna di la miglia che abbiamo esorcizzato con la preghiera e il digiuno, fosse rientrato per la porta di servizio sotto la \ este di un indi viduo quasi onniscente. L’affermazione, secondo la quale. se i soggetti conoscono tutto essi si trovano in equilibito, e certa mente vera, ma solo perché ciò corrisponde al modo iii Lui noi definiamo il concetto di equilibrio. L’ipotesi di un mercato perfetto altro non è, da questo punto di ista, che un modo di verso di dire che l’equilibrio esiste, ma cio non ci a s icina al fatto alla spiegazione del come e quando tale contigui azionc di equilibrio si realizza. E chiaro, infatei, che se vogliamo atfcr mare che i soggetti conseguiranno, sotto certe condizioni, tale stato di equilibrio, dobbiamo altresf spicgare attra\ Ci so quale processo essi acquisiranno la necessaria conuscr aia (‘In a amente, qualsiasi assunzione senga formulata enea I Jtctii .i acquisizione delle iniormazioni nel corso di tair p’ s. o e,’ a avrà pur sempre natuta ipotet a Ma tio non tol a ‘i i quo mente dire che tutte queste assunzioni stai o attenzione. — — una 111 proposizione empirica, cioè conci ritc: lc 1 ijiiu,i iii basi alle quali si sul pone esista questa tefl k riza VCi so l’equilibrio, la natura di] pwctnu. ncdiaiu il quale cantina la conosccn ra md viduah i ‘i sella tradizionale pi cscntazione dell’analisi di equth la que. lione del modo in cui si tealizza la configurazione stificabili, Abbiamo intatti a che lare ni i. i cia/i ‘I.... sottolOR,, ‘SI 5W .1! ilUdIlle ,I lei’ ‘I mt tuOno desent solatiteitte e e ttidiìtoitt III, I,aLieI o, equdibito senza akun Ientattm e, li, a iodio ne 1,t III me dei dati intettinetata il leSi,) mode a talio 1 ,lIIi le tU a su ri pr a di quals e o ti ai le mazte te I tioneto teak I il L, i. SCiL’t,, OLI In III SI ualine ne iU i e a gui. .. , , o ‘ Il i, Il’ I e’ ‘- .1 di e 242 5 ONCÌ iii 5 i uFii.ESti DÌ-Li ‘i.( ONOMIA i 01515 A t.( ONOMI.’, E 5 ONO’r,i LNZ.’, problema, con ipotesi che concernono processi causali, e per tanto ciò che ipotizziamo non solo deve potersi considerare possibile (il che non è certamente il caso, se pensiamo agli indi vidui come esseri onniscenti), ma anche verosimile; inoltre, de ve essere possibile, almeno in linea di principio, dimostrare che ciò che ipotizziamo è vero in relazione a casi determinati. Il punto essenziale qui è che sono proprio queste ipotesi, chiaramente sussidiarie circa il modo in cui la gente apprende attraverso l’esperienza ed acquisisce ie proprie informazioni, che costituiscono il contenuto empirico delle nostre posizioni su ciò che accade nel mondo reale. Esse appaiono di solito co me una descrizione incompleta e camuffata del tipo di mercato cui la nostra proposizione si riferisce; ma questo è solamente uno degli aspetti, sebbene forse il più importante, del più gene rale pioblema di come la conoscenza viene acquisita e trasmes sa. La cosa importante da tener presente. e di cui invece gli economisti sembrano frequentemente non rendersi conto, è che la natura di queste ipotesi è per molti aspetti differente da quella delle più generali ipotesi da cui prende le mosse la logica pura della scelta. Le differenze principali sembrano essere di duplice natura. In primo luogo, abbiamo che le ipotesi da cui parte la logica pura della scelta sono fatti che noi sappiamo essere comuni a ciascun soggetto. Esse infatti possono considerarsi quali assio mi che definiscono o delimitano il campo entro il quale siamo in grado di comprendere o di ricostruire concettualmente i processi mentali di altre persone. Esse sorto pertanto applicabi li universalmente al campo cui siamo interessati sebbene, naturalmente, l’individuazione in concreto dei limiti di questo campo sia una questione empirica. Le ipotesi in questione si ri feriscono ad un tipo particolare di azione umana (quella che co munemente chiamiamo razionale o anche semplicemente con sapevole, per distinguerla da quella istintiva), piuttosto che al le particolari condizioni, in base alle quali essa viene svolta. Ma le ipotesi o assunzioni che dobbiamo introdurre, allorché il nostro obiettivo è la spiegazione di processi sociali, fanno rife rimento alla relazione esistente fra il pensiero di un individuo e il mondo esterno, alla questione cioè della misura e del modo in cui le sue ipotesi debbono necessariamente procedere in ter mini di asserti circa i legami causali, circa il modo in cui l’espe rienza genera conoscenza. — 24 ‘i Secondariamente mentre nell’ambito della logica pura del la scelta la nostra analisi può essere resa esaustiva, vale a dire, possiamo sviluppare un apparato formale capace di coprire tut te le situazioni ipotizzabili, gli assunti supplementari devono necessariamente essere selettivi; dobbiamo cioè scegliere dal l’infinita gamma di possibili situazioni quegli ideal-tipi che, per qualche ragione, noi consideriamo particolarmente rilevan ti alle condizioni del mondo reale °. Naturalmente, potremmo anche sviluppare una scienza distinta, il cui ambito di studio fosse limitato per definizione al «mercato perfetto» o ad un con cetto definito in modo simile, esattamente alla stessa stregua di ciò che è avvenuto per la logica della scelta, la quale si appli ca solo allo studio del comportamento di persone che debbono ripartire mezzi limitati fra una molteplicità di fini. E per il campo di indagine cosf definito le nostre proposizioni torne rebbero ad essere vere a priori. Senonché, per una procedura di questo tipo ci verrebbe a mancare la giustificazione consistente nell’assumere che la situazione nel mondo reale è simile a quel la da noi postulata sul piano teorico. 8. Devo ora passare ad occuparmi di cosa siano le ipotesi concrete concernenti le condizioni, in base alle quali si suppo ne che i soggetti acquisiscano la conoscenza rilevante, e del processo grazie al quale si assume che tale conoscenza venga di fatto acquisita. Se la natura delle ipotesi che utilizziamo nella nostra analisi fosse del tutto chiara, dovremmo sottoporre le stesse a scrutinio sotto due aspetti: dovremmo infatti indagare se esse sono necessarie e sufficienti per fornire la spiegazione del movimento verso la posizione di equilibrio e, inoltre, do vremmo mostrare in che misura esse sono suffragate dalla real tà. Mi spiace purtroppo dover affermare che stiamo arrivando ad un punto dove diventa estremamente difficile stabilire qua li La distinz ione che qui abbiamo tracciato puo essere d’aiuto per riso ’, ere la 1 vecchia distinzione fra economisti e sociologi, concernente il ruolo che gli ideal-t ipi svolgono nell’ambito dell’impostazione della teoria economsca. I sociologi pongono di solito un particolare risalto sul fatto che l’usuale modo di procedere della teoria economica comporta l’assunzione di particolari tipi ideali, mentre l’cconomista teori co replica sostenendo che la sua costruzione logica è di una tale generaliia che non ha bisogno di fare uso di alcun tipo ideale. La verità secondo inc e che nell’ambito della logica pura della scelta, alla quale l’economista è ampiamente interessato, egli nel è giusto per quanto concerne la sua asserzione, non appena pero intenda fruitaria per la spiegazione di un processo soctale, egli deve allora utilizzare in un nodo o nell’al tro dei tipi ideali. 244 ( 1)5(1.> i ‘1011)11Ml l’EI 1-) <)(‘Ml., Fb,)Rl)’, Lt., (5’ )>i.5 le sia l’esatta natura delle ipotesi in base alle quali noi affer miamo l’esistenza di una tendenza verso l’equilibrio e asserire che la nostra analisi ha una qualche applicazione al mondo rea le °‘. Non posso pretendere di aver detto finora molto in questa direzione, Pertanto tutto ciò che posso fare è porre un certo numero di quesiti ai quali bisognerà cercare di dare una rispo sta. se vogliamo essere chiari sui significato della nostra argo mentazione. La sola condizione sulla cui necessità per la realizzazione di una configurazione di equilibrio gli economisti si dimostrano sufficientemente d’accordo è quella della «costanza dei dati». Ma dopo ciò che abbiamo visto circa il carattere vago del con cetto di «dato» è lecito sospettare, e a ragione, che ciò non ci porti molto lontano, Anche se assumiamo come probabil mente si deve — che qui il termine vada inteso secondo il suo significato oggettivo (che include, come sì ricorderà, le prefe renze dei diversi soggetti), non è affatto chiaro che ciò sia ne cessario o sufficiente, affinché la gente effettivamente acquisi sca la conoscenza necessaria ovvero che esso sia preso quale enunciazione delle condizioni in base alle quali gli individui vi riusciranno. In effetti, è piuttosto significativo il fatto che, in ogni caso, alcuni autori ‘ ritengono necessario aggiungere qua le condizione ulteriore e distinta quella di «conoscenza perfet ta». E invero avremo modo di constatare che la costanza dei dati oggettivi è condizione né necessaria, né sufficiente. Che non possa trattarsi di condizione necessaria discende da una serie di fatti e, precisamente: primo, che nessuno sarebbe di sposto ad intempretarla nel senso assoluto che nulla debba mai accadere nei inondo e, secondo, che, come abbiamo visto, non — poi aoti,l,i sono stati spesso pio espliciti dei i, ,\da o Sm,t}i Ai: J.rji.z ,.,to i!, \atu>e <ud A-,- t’i ,<, t/ - ‘,,:t:,,n’ ed ( ,in n a e, I ,‘ndo o, Methsien & Co I PII-i, Voi I, ‘,m.c..e. o,.A,- ‘mz,out F,,r<n e L’I L’I. 1”2’I p 21 «TuliasIa. i’ o pci tu psm-. <1 1C 0,1, ‘-i .,o,’sLa ii,iJiallLa saLiti i. ori <.ompicsso dci osiaggi o e cm. aro. In, <se, a,o.ic do’. e si e la pm perletta liberia, Primo, gli o .,-wi Jes o. e il ru i I e i.< tt-inpo t <ci nati nel paese o Das id Rie r o i <“os r f),,’ .1 ti, I,-, .oj,t, En ,‘,i ,1lu,j’,,s lsI “-2,, ediied Lv james Ho ozi Uui<.i ( ,a,rnJo,i 15<’’, 1ò,. letier. del 22 nitobie lbii, p. io’ <Non <osti i, ichiie mi., m’po i i s,i,ldisiacenie pci ,oe alfei ma,e ,i,e gli uomnu ignorano il no ’l,,ire e i isl e soiloinico di condurre I propri allari e di pagare i propri debiti, 1 i m, (<io che 1.i’sL e o i,, p ,,estioio. di fai io e non di scienza, e dato Le la si potrebbe i, dizza pci ..m li <a, e . oa i timiO’ I,’ pi iposielom dell Economia Politica,. 1 5 se. la N E.> lii,’r - i ( Iass:Ji<’atort 501, «o 1/il’ De/em:inateue’ss o Equili ‘Oi’.?. i,c ke.o.a ‘ei. Sm.dcs’. I’I ìH1 2.,’ 12’ 04 est,, pilito Si lei, li oit 51.5 2-i appena si vogliono includere nell’analisi cambiamenti di naaira periodica o persino cambiamenti che si verificano ad un ritmo costante, il solo modo di definire la costanza dei dati è con ri ferimento alle aspettative. Tutto quanto questa condizione comporta è pertanto che sia possibile discernere una certa re golarità nel mondo reale, la quale consenta di prevedere gli eventi in modo corretto. Tuttavia, mentre tutto ciò non è af fatto sufficiente a dimostrare che la gente imparerà a prevede re in modo corretto gli eventi, a maggior ragione sarà questo il caso per quanto riguarda la costanza dei dati in senso assoluto. Per ciascun singolo soggetto, la costanza dei dati non significa in alcun modo costanza di tutti i fatti da lui indipendenti poi ché, ovviamente, solo i gusti e non anche le azioni delle altre persone possono essere in tal senso ipotizzati costanti. E dal momento che tutte queste altre persone muteranno le loro decisioni col procedere della loro esperienza dei fatti esterni e delle azioni altrui, non vi è ragione alcuna per supporre che ta le processo di continui mutamenti debba prima o poi giungere ad un termine. Queste difficoltà sono ben note ‘ e le richiamo qui solamente per rammentare al lettore la scarsa conoscenza di cui attualmente disponiamo circa le condizioni in base alle quali una configurazione di equilibrio può essere raggiunta. Non intendo tuttavia proseguire oltre in questa direzione, an che se il motivo di ciò non nasce dal fatto che la questicne della probabilità empirica che i soggetti possar<o apprendere (cioè che i loro dati soggettivi divengano compatibili fra iewo e con i fatti oggettivi) sia lacunosa relativamente a problemi irrisolti ed estremamente interessanti. La ragione è in realtà che mi sembra vi sia un diverso e più fruttuoso modo di affrontare il problema centrale. ai t’semi - .. - (•O’((5, , 9. Le questioni da me sollevate, relative alle condizioni in base alle quali la gente verosimilmente acquisisce la conoscen za necessaria, nonché al processo grazie al quale tale OP(U 5 zione si realizza, sono state almeno oggetto di qualche atwn zione in discussioni passate. Esiste tutta’<’mn un ulteriore pro blema, la cui importanza è secondo me almeno pari a quella dei problemi già discussi e che non sembra aer rices uto la dos uEi attenzione; esso riguarda l’ammontare e il tipo di conoscenza Su 111110 .uesio <li N. Kdì- I (‘.,o.’:t,u.,r -r 2<:, ‘o,,’’: 246 CONCETTI E PROBLEMI DEI I ECONOMIA tEORICA di cui debbono disporre i differenti individui affinché si possa parlare di equilibrio. E evidente, infatti, che se il concetto di equilibrio deve possedere un qualche significato empirico, allo ra esso non può fondarsi sul presupposto che ciascun soggetto conosca tutto. Ho già avuto occasione di far uso, senza peral tro definirlo, del termine «conoscenza rilevante», cioè del gra do di conoscenza che è rilevante per una determinata persona. Ma che cosa è questa conoscenza rilevante? E alquanto impro babile che possa trattarsi semplicemente della conoscenza che ha effettivamente influenzato ie azioni del soggetto, dal mo mento che le sue decisioni avrebbero potuto risultare differen ti non solo, per esempio, se le informazioni in suo possesso fos sero state corrette anziché errate, ma anche qualora egli avesse avuto conoscenza in campi del tutto diversi. Ci troviamo evidentemente di fronte ad un problema di di visione della conoscenza che è totalmente analogo e di almeno pari importanza a quello della divisione del lavoro. A differen za però di quest’ultimo, che ha sempre rappresentato uno dei principali argomenti d’indagine fin dall’inizio della nostra scienza, quello della divisione della conoscenza è stato comple tamente trascurato; nonostante ciò mi sembra che esso costi tuisca il problema veramente centrale dell’economia quale scienza sociale Il problema che ci proponiamo di risolvere è in che modo la spontanea interdipendenza di un certo numero di persone. ciascuna delle quali in possesso di un certo ammon tare di informazioni, sia in grado di determinare uno stato di cose in cui i prezzi corrispondono ai costi, ecc., e che potrebbe essere realizzato attraverso una coordinazione consapevole so lamente da qualcuno che disponesse della conoscenza comples siva di tutti questi individui. E l’esperienza ci mostra che qual cosa del genere effettivamente avviene, dal momento che l’os servazione empirica secondo la quale i prezzi tendono a corri spondere ai costi ha costituito l’inizio della nostra scienza. Se r. I.. von f’slises, Die Gernernwrrtscba/t tJntenuchungen aber den Sozzalistnas, Jena, E,usta\’ Fischer, 19322, p. 96: «La divisione del poteie di controllo sui beni economici, propria di un’economia sociale che operi in base alla divisione del lavoro fra molli individui, elUsa una specie di ripartizione del lavoro mentale, senza la qua le l’organizzazione della produzione e l’economia stessa non sarebbero possibili». IS Non sono certo, ma lo spero, che la disiinzione Ira la logica pura delle scehe e l’economia come scienza sociale sia essenzialmente la medesima che ha in mente il prol. A Ammon. quando sottolinea ripetutamente che una Theor,es des Wrrtscha/tens non è ancora una Theorze der X’olkswirtschajt. L C’ONONIiA i. ( ONOsCLNZ,5 24’ nonché, nella nostra analisi, anziché mostrare quali pezzi di in formazione debbono possedere le differenti persone al fine di determinare quel risultato, ripieghiamo in effetti sull’ipotesi che ognuno sia a conoscenza di ogni cosa, eludendo cosi qual siasi reale soluzione del problema. Prima però di considerare questo problema della divisione della conoscenza fra persone differenti, è necessario specifica re meglio quale tipo di conoscenza è rilevante a tale riguardo. E consuetudine fra gli economisti sottolineare solamente la ne cessità di conoscere i prezzi, verosimilmente perché a segui to delle confusioni esistenti fra dati oggettivi e dati soggettivi si dava per scontata la conoscenza completa dei fatti ogget tivi. In tempi recenti persino la conoscenza dei prezzi correnti è stata data a tal punto per scontata che è solo in riferimento all’anticipazione dei prezzi futuri che la questione della cono scenza è stata considerata come problematica. Ma come ho già avuto modo di indicare all’inizio, le aspettative di prezzo e persino la conoscenza dei prezzi correnti costituiscono sola mente una porzione molto piccola del problema della cono scenza, così come lo intendo io. L’aspetto di più ampio respiro del problema della conoscenza, che mi interessa, concerne la conoscenza del fatto basilare: il modo in cui ie differenti merci possono essere ottenute ed utilizzate nonché le condizioni in base alle quali esse sono effettivamente ottenute ed utilizza te; in altri termini ciò che mi preme è il problema generale del perché i dati soggettivi a disposizione dei diversi soggetti corri spondono ai fatti oggettivi. Il nostro problema della conoscen za è appunto quello dell’esistenza di una siffatta corrisponden za che invece in gran parte della corrente analisi di equilibrio viene semplicemente postulata; il nostro compito è cioè quello di spiegarla, se vogliamo mostrare per quale motivo le proposi zioni, che risultano necessariamente ‘ere se riferite all’atteg — j — ‘, Conoscenza, in questa accezione, sia ad indicare qu.iicosa di pio di io che co muneinente viene descritto come abilita, e la dis isionc dell.> oiioseIsza di cui qui Si parla denota qualcosa di più di ciò che s’intende con il termine «divisione del lavo ma. Per dirla in breve, abbianso che «abilità» >i riferisce solamente a quella fumnsa di conoscenza di cui una persona fa uso nella propria attivita, mentre la conoscenza oI tenore, e della quale dobbiamo sapere qualcosa pcr poter comunque tormuLsrc pro. posizioni relative ai processi che hanno luogo nella società, è qucll.s che ha per oggei Io le possibilità alternative di azione di cui quella persona non fa ori oso direlto. Si può altresi aggiungere che il termine conoscenza, nell’accezione in cui noi lo utiiii ziamo qui. è sinonimo di previsione, solamente nel senso iii cui lotta I» coisoscenza e capacità di previsione. 248 ((iNC i t’li i. RE5LEMI DEI L’ECONOMIA TEORICA giamento del singolo verso cose che egli ritiene dotate di certe proprietà, debbono diventare vere rispetto alle azioni sociali concernenti cose che o posseggono queste medesime proprietà, oppure, per qualche ragione che bisognerà aver cura di spiega re, si ritiene che i membri della società posseggano 20, Ma, ritornando al particolare problema oggetto della pre sente discussione, e cioè all’ammontare di conoscenza di cui i differenti individui debbono disporre affinché l’equilibrio pos sa prevalere (o la conoscenza «rilevante» che essi debbono pos sedere), ci avviciniarno ad una risposta, se rammentiamo come può divenire evidente che l’equilibrio non è esistito, oppure che è stato disturbato. Abbiamo visto che le interrelazioni che caratterizzano l’equilibrio yengono recise se una persona qual siasi modifica i suoi piani, o perché è intervenuta una variazio ne dei suoi gusti (la quale però non ci interessa qui) o perché egli è venuto a conoscenza di nuovi fatti. Ma vi sono due modi differenti in cui egli può venire a conoscenza dei nuovi fatti, che lo portano a mutare i suoi piani e che, per gli scopi che in tendiamo perseguire, presentano un significato completamente diverso. Egli può infatti apprendere questi nuovi fatti in modo del tutto casuale, cioè non come conseguenza del suo tentativo di attuazione del suo piano iniziale, ovvero può succedere che nel corso del suo tentativo egli scopra che i fatti risultano dif ferenti da quelli attesi. E ovvio che, affinché egli possa dare corso al suo piano, la sua conoscenza dee essere corretta solo relativamente a quei punti sui quali essa risulterà necessaria mente confermata o corretta nel corso dell’esecuzione del pia no. Ma il soggetto potrebbe non avere conoscenza alcuna di in a 1 e 2 1 1cm 2 molli i ,,easi,sn a iL e:ic ole, .5 adi i; li icuto e sii sale pci iis0i2i si COsC i. ee d, Jie sono de ni,.)N’se,.pk si sin is,nìi,,i 2, -‘ ,5’ 05’ ,lIsic E . vi li’ Le i, 5 lir ,i, in, la sUDCC eiL eir. sm’sa) e Lipproio Sii i,tlliL il e nilentista, ots s,iiiO a) illi i ieiapio io orlan sniista nelle scienze s,ic1i Si di Sp5 i is CSì d 5 51Cl ISCIO »LSb ndiinaie dell’a 1 piOsclO ssers’ nei en i o ‘inre I e e ssi sa e’bl,ero dn, Osti ad adetirvi SISISIL le ni,de,scis’ zonto. Lio uniti :inplielierehbe, per e. le- lC 1 t’Ss - i i deLi i cs, i ne’, sei al a dovrebbero essere nilet Le in mo SSC losivi a, psiniani dia In i s’si odi di mci illo con inipi esso iii ceno marchio» o mais) me ‘l’geil i, o pi tsp i di ogge i ti deliniti i snodo simue e- mii i, ci ‘o .0’ ,i i li , il, ..c iv’ mv’ i e- la ri-io v’I SiO .)ìt il o 12 s, La l ‘En e detinir, dalle sue i i’,, silo J,e la inc ruien iss ess sai 5 iem seni suoi Pi dc-ivi ,sini,sss ni do I LI c’ns cli & ti te di o, il oria di dtlficolia e di i) 11 isirii I i,c li, ela/vine al ‘iohleina delta ssi-iilic,i- F.d e’ ,iatu 1)1». s, - ,,eci i i,sio,sise quegli elementi che, se in suo possesso, influenzerebbero certa mente la determinazione del suo piano. La conclusione che bisogna allora trarre è che la conoscen za rilevante che il soggetto deve avere affinché possa prevalere la configurazione di equilibrio è quella che egli è costretto ad acquisire in vista della posizione in cui inizialmente si trova e dei piani che egli poi formula. Non è certamente tutta la cono scenza che, se acquisita per puro caso, gli tornerebbe utile e che lo indurrebbe ad una variazione del suo piano. E potrem mo benissimo avere una posizione di equilibrio solo perché al cune peisone non hanno possibilità alcuna di apprendere fatti che, in caso contrario, li porterebbero a mutare i loro piani In altre parole, è solamente rispetto alla conoscenza che una per sona è in grado di acquisire nel corso dell’attuazione del suo piano iniziale e delle successive modificazioni che una configu razione di equilibrio può verosimilmente essere conseguita. Mentre una posizione del genere costituisce, in un certo senso, una configurazione di equilibrio, è chiaro tuLtavia che essa non è tale quando il termine equilibrio viene inteso nel si gnificato speciale di posizione ottimale. Affinché i risultati prodotti dalla combinazione di frammenti individuali di cono scenza possano essere equiparati a quelli ottenibili grazie all’at tività di direzione e di coordinamento di un dittatore onni scente, ben altre condizioni debbono essere introdottei. E mentre appare abbastanza evidente che si possa definire il gra do di conoscenza di cui gli individui debbono risultare in pos sesso affinché si generi un tale risultato, non sono a conoscen za di alcun reale tentativo in questa direzione. Una condizione potrebbe probabilmente essere che il proprietario di determi nate risorse, al momento utilizzate in un certo modo, sia a co noscenza di tutti i possibili usi alternativi di ciascun tipo di ri sorsa, ciò che consente di connettere, direttamente o indiretta mente, tutti gli usi differenti di codeste risorse 21 Queste condizioni sono generalmente descritte in termini ds a-sen/,) sII •‘.ntri In un articolo di recente pubblicazione IQtiatmiItT o; Capso, ’ ,na an R,.ni’ ‘e 5 resi), in ssJournal of Political Iconomv», XLIV (1936), o. 5. p 638) il pio( F Il ti». Knight giustamente sottolinea che ‘<“errore” e il signiheato usiale che viene stiimhui to nella discussione economica al concetio di attrito’,. 22 Questa potrebbe essere una, ma probabilmente non aneola suttisietite, otid ziorse, per assicurare che, dato lo stato della domanda, la produttisita marginale dei diversi fattori della produzione risulti uguale nei loro differetiti usi i, cjmindt possa realizzarsi, in questo senso, una configurazione di equiltbrto della produzione. Il tat 250 i ON( iTtì i i’ROHi LMI 1)1.1 i ‘i CO’,Or,UA reeiucA Ma l’accenno a queste condizioni mi serve soio quale esem pio per mostrare come, nella maggior parte dei casi, sia suffi ciente che in ciascun settore esista un certo numero di persone che dispongono, nel loro complesso, di tutte le informazioni ri levanti. L’approfondimento di questa tematica è certamente un compito interessante e molto importante da attuare, ma es sa va ben oltre i limiti posti a questo saggio. Sebbene quanto ho detto su questo punto sia stato esposto in forma essenzialmente critica, non voglio sembrare eccessi vamente pessimista circa i risultati già conseguiti in questo campo. Anche se si è sorvolato su ciò che è un legame essenzia le nella nostra analisi, ritengo tuttavia che l’economia, per ciò che è implicito nel suo modo di argomentare, si sia avvicinata più di ogni altra disciplina a dare una risposta al quesito centra le per tutte le scienze sociali, e cioè in che modo la combinazio ne di frammenti di conoscenza, di cui dispongono individui di versi, può portare a risultati che, per poter essere ottenuti con sapevolmente, richiederebbero un grado di conoscenza e di in formazione in colui che fosse chiamato a prendere le decisioni che, in realtà, nessuna persona potrà mai possedere. La dimo strazione che, in questo senso, le azioni spontanee degli indivi dui determineranno, sulla base di condizioni che noi possiamo specificare, una distribuzione delle risorse che può essere con cepita come se fosse il risultato di un singolo piano, sebbene in realtà nessuno lo abbia formulato, è secondo me una risposta al problema della «mente sociale». Non dobbiamo tuttavia sor prenderci per il fatto che questa nostra pretesa di aver trovato cile pii impieghi alternatis i, di cui seno a ionecen7a i proprietari delle risorse adoperate in un certo uso, siano riflessi nei prezzi di tali risorse, implica che non è necessario, come si potrebbe supporre, ipotizzare che almeno uno dei proprietari di ciascun gruppo di quelle risorse, che sono impiegate in un determinato uso, sia a co noscenza di ogni posihile uso alternativo di qualsivoglia risorsa. In questo modo es sa può costituire una distribuzione sufficiente della conoscenza degli usi alternativi, m, o, o, y, :, di una merce se A, il quale utilizza la quantità a sua disposizione di queste risorse per l’uso m, è a conoscenza dell’uso o, e B, che usa invece le sue risor se per l’uso o, è a conoscenza dell’uso m, mentre C, il quale usa le proprie risorse per o, conosce che esiste l’uso o, ecc., fino ad arrivare ad L il quale usa le risorse di cui è in possesso pci l’uso z, ma è a conoscenza del solo uso alternativo y. Non mi e tutta via htn chiaro in che misura sia richiesta, in aggiunta a ciò, una particolare distribu zione delle informazioni circa le differenti propoizioni in cui i diversi fattori possono essere combinati nella produzione di una merce qualsiasi. Per l’indis ideazione di una configurazione completa di equilibrio si renderanno necessarie ipotesi addizionali concernenti il grado di conoscenza di cui i consumatori dispongono relativamente al l’adeguatezza delle merci per il soddisfacimento dei loro bisogni. to ( ONO>,ii’, I ( ()NOSCLNZS 251 una soluzione al quesito sia stata generalmente respinta dai sociologi, poiché non siamo stati capaci di fondarla in modo corretto. Vi è solo un ulteriore punto che desidero toccare in con nessione con quanto già detto. Se la tendenza verso l’equili brio, che abbiamo ragione di ritenere che esista sul piano em pirico, è in realtà solamente la tendenza ad un equilibrio rela tivo a quella conoscenza che la gente acquisirà nel corso della propria attività economica e se qualsiasi altra forma di varia zione della conoscenza deve considerarsi come una «variazio ne nei dati», nel senso usuale del termine, e che come tale ca de al di fuori della sfera di competenza dell’analisi di equili brio, allora ciò significa che l’analisi di equilibrio non può in realtà dirci alcunché sul significato da attribuire a codeste va riazioni di conoscenza; e potremmo spingerci fino ad afferma re che l’analisi pura sembra aver straordinariamente ben poco da dirci in relazione alle istituzioni come la stampa, il cui compito è appunto quello di trasmettere conoscenza. Ciò po trebbe anche spiegare perché la preoccupazione per l’analisi pura rende cosf frequentemente ciechi di fronte al ruolo gioca to nella vita reale da istituzioni quali la pubblicità. 10. Con queste osservazioni piuttosto scarne su argomen ti che invece meriterebbero una ben più attenta disamina, ri tengo di dover concludere la mia rassegna di questi problemi. Vi è solo un ulteriore paio di annotazioni che desidero aggiun gere. La prima è questa: quando ho sottolineato la natura delle proposizioni empiriche di cui si deve far uso, se vogliamo far sf che l’apparato formale delle analisi di equilibrio possa servi re alla spiegazione del mondo reale e quando ho messo in evi denza che le proposizioni relative al modo in cui la gente ac quisisce ie informazioni rilevanti hanno natura profondamen te diversa da quelle proprie dell’analisi formale, non ho inteso suggerire che qui si apre, immediatamente, un ampio spazio per la ricerca empirica. Dubito molto che un tale tipo di inda gine possa insegnarci qualcosa di nuovo. Il punto importante è piuttosto quello di essere chiari su quali siano ie questioni di fatto da cui dipende l’applicabilità della nostra argomentazio ne al mondo reale; ovvero, per porre la medesima cosa in altri termini, in quale misura la nostra argomentazione, una volta 25 (u( i ciii PRUIII MI IM.] I ‘I IIIMIMIA HI)RI( A che sia applicata ai fenomeni del mondo reale, risulta soggetta a verifica La seconda osservazione è che noti intendo affatto suggeri re che il tipo di problemi che ho discusso in questo saggio siano stati estranei alle tematiche degli economisti delle generazioni passate. 11 solo appunto che può essere mosso nei loro confron ti è che costoro hanno confuso a tal punto i due tipi di proposi zioni, quelle a priori e quelle empiriche, di cui ogni economista che si rispetti fa un uso costante, che è sovente praticamente impossibile capire quale sorta di validità essi hanno inteso at tribuire ad una determinata affermazione. Il lavoro più recente è risultato immune da questo errore ma il prezzo pagato è stato quello di rendere sempre più oscuro il tipo di rilevanza che le argomentazioni avanzate pre sentano rispetto ai fenomeni del mondo reale. Tutto quello che ho cercato di fare è stato di individuare la maniera per recupe rare il significato concreto della nostra analisi, significato che, purtroppo, siamo inclini a perdere di vista, mano a mano che la nostra analisi si fa più elaborata. Il lettore può anche trarre l’impressione che la maggior parte di ciò che ho detto in queste note altro non sia che un luogo comune. Ma di tanto in tanto è probabilmente necessario distogliersi dagli aspetti più propria mente tecnici di un problema e chiedersi, in tutta semplicità, in che cosa il problema consista. Se solo sono riuscito a mostra re che, in certe situazioni, la risposta a tale quesito non solo non è ovvia, ma che addirittura talvolta non siamo nemmeno in grado di sapere quale essa sia, allora il mio scopo è stato am piamente raggiunto. — 4. Equilibrio e capitale 1. Lo scopo del/a ricerca Lo scopo principale di questa ricerca e quello di esaminare in modo sistematico ie interrelazioni tra le diverse oarti della struttura materiale dei processo di produzione e il modo in cui questa si adatta ai mutamenti di condizioni. In passato questi complessi problemi sono stati discussi esplicitamente solo come parte della teoria del capitale e dell’interesse. Qui verranno trattati da un punto di vista piuttosto diversu: il no stro obiettivo più importante sarà infatti quello di esaminare in termini generali quale tipo di attrezzature è piu pwtitte\’o le produrre in condizioni diverse e in quale modo vengono utilizzate ìe attrezzature esistenti in ogni dato illornento. piuttosto che quello di spiegare quali fattori hanno determi nato il valore di un dato stock di attrezzature produtriv e del reddito che se ne ricaverà. Come risulterà chiaro La bre ve, in questo campo \ i sOflO alcuni problemi piuttosto impor tanti e difficili, che ricadono in quella che generalmcnle e considerata la sfera dell’analisi dell’equilibrio, ma che non hanno ancora ricevuto attenzione adeguata. La parte di gran lunga maggiore della presente indagine sarà limitata a quegli aspetti dell’argomento che appartengono all’analisi dJl’cquili brio propriamente detta. Una trattazione completa del pro cesso economico nella sua evoluzione nel tempo e dei proble mi monetari connessi a questo processo è fuori della portata di questo libro. Nei prossitni due capitoli cerclieremo di giu stificare la distinzione qui implicata e le questioni metodolo giche che sottostanno a questa distinzione. Quello che deside ro spiegare a questo punto è perché il compito che qui ci pre figgiamo sia abbastanza importante da meritare tino studio separato; questo compito consiste semplicemente nel formula- - 254 ( Oi\( i i il i ‘RUBI i Mi DLI i i (ONOM1A il (DUCA i CLII DIRlO i ( (Pi Liii re quegli elementi della teoria del capitale che di solito sono trattati come parte dell’analisi dell’equilibrio generale in ma niera tale che essi si dimostrino utili per l’analisi dei fenomeni monetari del mondo reale. A prima vista può apparire piuttosto sorprendente che qui si dica che la teoria del capitale teoria che si occupa di un ar gomento che è stato cosf ampiamente e vigorosamente discusso fin dalle origini della scienza economica deve essere quasi completamente rifondata non appena si cerchi di utilizzare i suoi risultati per l’analisi dei più complessi fenomeni del mon do reale. Ma vi sono motivi molto validi che spiegano perché la teoria del capitale nella forma in cui esiste al momento si è dimostrata meno utile di quanto desidereremmo per gli scopi per cui ne abbiamo bisogno oggi. Il fatto è che i problemi del capitale, cosf come li intendiamo qui, e cioè i problemi che sor gono dalla dipendenza della produzione, dalla disponibilità di «capitale» in certe forme e quantità, non sono quasi mai stati studiati di per se stessi e per la loro specifica importanza. E, co me vedremo, la teoria dell’equilibrio stazionario, nel cui ambito sono stati trattati questi problemi, non offriva alcuna reale pos sibilità di esaminarli in maniera esplicita. Questi problemi, nel la misura in cui sono stati effettivamente discussi, sono stati analizzati in modo quasi del tutto subordinato ad un altro pro blema, quello di spiegare l’interesse; e l’idea di trattare la teoria del capitale come un’appendice della teoria dell’interesse ha avuto conseguenze piuttosto negative sullo sviluppo della teo ria stessa. Questo a causa delle due ragioni seguenti. Innanzitutto questa teoria è stata sviluppata solo per quan to sembrava necessario in relazione allo scopo principale di spiegare l’interesse; e l’obiettivo che questa spiegazione si è proposto è stato quello di illustrare un principio generale per mezzo dei casi più semplici che si potessero immaginare, piut tosto che quello di elaborare un’analisi adeguata delle interrela zioni esistenti in condizioni più complesse. La seconda ragione, anche più importante, sta nel fatto che i tentativi di spiegare l’interesse, per analogia con il salario e la rendita, come il prezzo dei servizi di qualche «fattore» di pro duzione dato in maniera ben definita , ha generato quasi sem — — — (tr. \V E ping Com»:n,iza, A rn>s i rong, Savzng ami Invcltrnent. The Fheort of capital in a Dei’elo London, 1936, p. 3: «il nattamento del capitale come un fattore ... 2)) pre la tendenza a considerare il capitale come omogenea, la cui «quantità» può essere trattata una sostanza come un «da to» e che, una volta definita in modo appropriato, può essere sostituita, per gli scopi dell’analisi economica, alla più com pleta descrizione degli elementi concreti di cui essa consiste. In queste condizioni, era inevitabile che ro coll’assegnare un ruolo preminente autori diversi finisse ad stesso fenomeno; di qui traggono origineaspetti diversi dello discussioni interminabili sulla «natura» del capitale, chequelle si collocano tra i capitoli meno edificanti della scienza economica. Naturalmente ci sono state lodevoli eccezioni, tra le quali le più degne di nota sono costituite dai lavori di Jevons, Bòhm-Bawerk e Wicksell, che almeno sono del processo di produzione e del ruolo del partiti dall’analisi di questo processo, invece che dal concettocapitale all’interno to come una grandezza quasi omogenea. di capitale defini Ma perfino questi autori e i loro seguaci hanno utilizzato questa giungere alla fine ad una qualche definizione analisi solo per singola che, ai fini delle ulteriori indagini, considerava in blocco, come una massa quasi omogenea, tutti o quasi tutti i diversi elementi della ricchezza prodotta dall’uomo; e questa definizione è sta ta poi utilizzata al posto della più completa descrizione da cui questi autori erano partiti. Come vedremo, è quanto mai dubbio che pitale» in termini di una qualche grandezza l’analisi del «ca que definita, sia stata positiva perfino per il singola, comun diato, e cioè per la spiegazione dell’interesse.suo scopo imme E non può sus sistere alcun dubbio che questo tipo di analisi sia stata disa strosa per la comprensione dei processi dinamici. I problemi sollevati da ogni tentativo di analizzare la duzione sono principalmente connessi con dinamica della pro le differenti parti della elaborata strutturale interrelazjonj tra delle attrezzature produttive che l’uomo ha costruito per soddisfare i suoi biso gni. Ma tutte le differenze essenziali tra queste parti sono state oscurate dallo sforzo generale di includerlein una defi nizione onnicomprensiva dello stock di capitale. E stato siste maticamente ignorato il fatto che questo è una massa amorfa, ma possiede una stock di capitale non struttura ben definita; di produzione alla slesia stregua della terra e del lavoro ha condotto a molte erionec conclusioni» I 1 I \II 1)111 «,\,iI\II 1LORICA EQUILIBRIO E CWIJ’Lj in altre parole. non si è considerato che il capitale è organiz zato in modo ben definito e che, molto di più della sua «quantità» aggregata, conta il fatto che esso sia composto da elementi essenzialmente differenti. Né è stata di molto aiuto l’affermazione, enunciata occasionalmente da alcuni economi sti, secondo la quale il capitale è una «concezione organica in tegrata» dal momento che a tali accenni non è seguita un’at tenta analisi del modo in cui si riesce a far si che le diverse parti si integrino l’una con l’altra. Questo concentrarsi su un particolare concetto di capita le ignorando tutti gli innumerevoli significati che vengono associati alla parola capitale nel linguaggio quotidiano, dà ori gine ad un ulteriore inconveniente. Non si tratta solo del fat to che il termine capitale, in ciascuno dei suoi significati «rea li», non si riferisce ad una sostanza omogenea. Oltre a questo, vi e l’ulteriore difficoltà che, anche descrivendo le caratteri stiche fisiche di tutti gli elementi di cui si compone la struttu ra reale della produzione, non riusciamo comunque a descri vere tutti i fattori che determinano il modo in cui questi ele del termine capita menti vengono utilizzati. I tributo alla inconscio un le nel linguaggio quotidiano sono parte de maggior purtroppo la ma problema; complessità del nell’altro, o modo in un che, concluso aver sembra gli autori ci dovesse csere una qualche singola sostanza corrispondente all’unicità del termine, che si era dimostrato capace di assol vere a tante funzioni diverse. In effetti i sono almeno due tipi di grandezze, o piutto sto di proporzioni, rilevanti che dobbiamo prendere in consi derazione se vogliamo capire il funzionamento del meccani smo dei prezzi in questo campo; nessuna delle due è una sem plice «quantità», e nessuna delle due si trova in una relazione univoca con il saggio di interesse, se non attraverso la relazio ne che la legaj all’ altra. La prima grandezza è costituita dalla dimensione della struttura reale delle attrezzature produttive, che descrive come queste attrezzature siano organizzate per . vari significati produrre, o siano in grado di produrre, varie quantità di out put finale in periodi differenti. La seconda è costituita dalle domande proporzionali, o dai prezzi relativi, che ci si attende 2 } KnigIt, l’rolc>sor Ilayek an the Iheor o! 1ute,,zent, in <Economic Jour. al’. XIV 1935. o 177, p. 83. 257 che varranno per queste diverse quantità di output nei periodi. La prima di queste due relazioni quantitative diversi ve le proporzioni tra le quantità esistenti di risorse descri in termini dei loro costi relativi, mentre la seconda concrete domanda relativa per i vari tipi di risorse. Ma solo descrive la considerati congiuntamente questi due insiemi di relazioni o proporzioni quantitative determinano quella che di solito viene considera ta come l’offerta di capitale in termini di valore. Trattare il problema del capitale in termini di di offerta di una singola grandezza è possibile solodomanda e se me che le proporzioni appena descritte si trovino in si una certa relazione di equilibrio l’una rispetto all’altra. Basandoci su questo assunto, potremmo rappresentare il risultato che deri va dall’incontro tra una data offerta di beni capitali e la corrispondente domanda di questi beni come concreti una dezza ad una sola dimensione, una quantità di capitale in astratto che potrebbe essere associata ad una scheda produttività marginale del capitale in quanto tale; e in della senso esisterebbe una correlazione univoca tra «la» questo quantità del capitale e il saggio di interesse, Come prima spiegazione del saggio di interesse, la considerazione di un simile stato immaginario dì equilibrio ultimo può presentare una qualche utilità. Non c’è dubbio che le teorie tradizionali dell’interesse non fanno molto di più che descrivere le condizioni di un sif fatto equilibrio stazionario di lungo periodo. Dato che questo concetto di equilibrio di lungo periodo si basa sul presupposto che le quantità delle singole risorse, misurate in termini sto, siano in corrispondenza perfetta con i loro rispettivi di co valo ri, la descrizione del capitale in termini di un aggregato di va lore è in questo caso sufficiente, Anche ai fini di quella volte viene chiamata «statica comparativa», e cioè ai che a fini confronto fra stati alternativi di equilibrio stazionario, del è an cora possibile assumere che le due grandezze si muovano di pari passo da una posizione di equilibrio all’altra, cosf che non è mai necessario distinguerle. Il problema assume un carattere diverso, tuttavia, pena ci si chieda come sia possibile ottenere uno non ap equilibrio stazionario, o anche quale sarà la reazione distato di to sistema ad un cambiamento imprevisto, In questo un da è più possibile trattare i differenti aspetti del capitale caso non fossero uno solo, e diviene evidente che la «quantità come se di capiassu gran 258 CONCETTI E PROBLEMI DELL’LCONOMIA TEORICA EQUILIBRIO E CAPITAI E tale» come grandezza di valore non è un dato ma solo un ri sultato, del processo di equilibramento. Con la scomparsa del l’equilibrio stazionario, il capitale si divide in due differenti entità, i cui movimenti devono essere seguiti separatamente e la cui interazione diviene il vero problema. Non esiste più un’offerta di un singolo fattore, il capitale, che può essere messo a confronto con la scheda della produttività del capita le in astratto; ed i termini domanda e offerta, riferiti a gran dezze che influenzano il saggio d’interesse, assumono un nuo vo significato. E la struttura reale delle attrezzature produtti ve esistenti (che nell’equilibrio di lungo periodo rappresenta l’offerta) a determinare ora la domanda di capitale; e per de scrivere ciò che costituisce l’offerta gli economisti sono stati in genere costretti ad introdurre termini vaghi e indefiniti, come capitale «libero» o «disponibile». Perfino quegli autori che nei primi stadi delle loro trattazioni avevano preso posi zione, nella maniera più decisa, a favore di uno solo dei signi ficati del termine capitale, e precisamente a favore di un con cetto di capitale «reale», si sono poi trovati costretti ad utjliz la parola «capitale» in un altro senso o ad introdurre qualche nuovo termine per designare qualcosa che nel lin guaggio comune viene ugualmente chiamato capitale. La con seguente ambiguità del termine capitale è stata fonte di inter minabili confusioni, al punto che numerosi economisti hanno suggerito e una volta o due il suggerimento è stato anche messo in pratica’ che questo termine sia bandito completa mente dall’uso scientifico. Anche se vi è parecchio da dire a favore di questa idea, nel complesso però sembra preferibile utilizzare l’espressione capitale come termine tecnico per in dicare una delle grandezze in questione, senza tuttavia trascu rare le altre che a volte sono designate con lo stesso termine. Come spiegheremo in maniera più approfondita nel cap. 4 [qui omesso], in questo lavoro useremo il termine capitale per , CIr. K. Wicksell, Lectures on Political Economy, London, George Routledge & Sons, 1934, voI. I, p. 202; trad. it. Lezioni di economia politica, Torino, UTET, se non addirittura incon 1966, p. 225: «Ma sarebbe certamente senza significato sostenere che l’ammontare del capitale è già fissato prima che l’equilibrio cepibile tra la produzione e il consumo sia stato raggiunto». 4 Vedi, ad esempio, J.A. Schumpeter, Kapital, in «Handwàrterbuch der Staat swissenschaften», V (1923), p. 582. Ad esempio, da E. Cannan, Elementary Political Economy, London, 1888. 259 indicare lo stock complessivo dei fattori di produzione nonpermanenti. A questo stadio della nostra argomentazione non è possi bile compiere un’analisi troppo dettagliata del problema. Vale tuttavia la pena di aggiungere qualche parola, a scopo mera mente illustrativo, per chiarire le ragioni per cui non si è mai riusciti a tener conto in maniera seria della natura essenzial mente non omogenea dei diversi elementi del capitale e per indicare le conseguenze di questo fatto. Due idee, in partico lare, hanno avuto un effetto molto negativo su tutta la teoria del capitale, La prima è t’idea secondo la quale i particolari elementi che costituiscono il capitale rappresentano un valore definito indipendentemente dall’uso che se ne potrebbe fare, si pensava fosse determina un valore che a quanto pare to dalle quantità «investite» in questi elementi. Questa idea è un residuo delle vecchie teorie del valore basate sui costo di produzione, la cui influenza si è probabilmente fatta sentire più a lungo nella teoria del capitale che in qualunque altra parte della teoria economica La seconda idea si basa sul pre supposto che le aggiunte allo stock di capitale significhino sempre aggiunte di nuovi elementi simili a quelli già esistenti, ovvero che l’incremento del capitale assuma normalmente la forma di una semplice moltiplicazione degli strumenti usati in precedenza e che, di conseguenza, ogni aggiunta sia completa in se stessa e indipendente da quello che esisteva in preceden za. Questo modo di trattare il capitale come se esso consistes se di un solo tipo di strumenti o di un insieme di certi tipi di strumenti presenti in proporzioni fisse una concezione che deve il suo successo al fatto che a volte è stata utilizzata espli citamente come una semplificazione è forse responsabile, più di ogni altro fattore, dell’idea che il capitale possa essere considerato come una semplice quantità fisicamente determi nata e che il saggio di interesse possa essere spiegato come una semplice funzione (decrescente) di questa quantità. Natu ralmente, da simili presupposti conseguirebbe che il saggio di interesse deve cadere in modo costante e continuo nel corso — — ‘. — — — 6 Cfr. Fu. Knight, The Theoty o! Investment once more: Mr. Boulding and the Aisstrians, in «Quarterly Journa] of Economics», L (1935), n. 1, p. 45: «Da un punto di vista storico, questa nozione risale alla teoria classica del capitale come prodotto del lavoro, ed è quindi una conseguenza indiretta di quella fonte perenne di errori che è la teoria del valore-lavoro». 260 Cosici-rri E PROBLEMI DELl ‘ECONOMIA ThOR1CA SQUiliBRIO E i 5I’O ALL del progresso economico, dal momento che ogni aggiunta allo stock di capitale tenderebbe ad abbassarlo; e il fatto, ormai ben noto, che il saggio di interesse è soggetto ad ampie flut tuazioni in periodi relativamente brevi sembrerebbe non ave re alcun fondamento nei fenomeni «reali», e dovrebbe quindi essere ascritto interamente all’influenza di fattori «monetari». L’organizzazione della struttura delle risorse reali, corri spondenti ad ogni valore aggregato atteso dello stock esisten te di capitale, dipende naturalmente dal tipo di tecnica pro duttiva che è possibile con quella quantità di capitale. E l’as serzione, secondo la quale in condizioni di equilibrio una dif ferente organizzazione strutturale è associata ad un differente valore dello stock di capitale, significa che le variazioni del l’offerta di capitale danno luogo a cambiamenti della tecnica produttiva. L’idea, largamente condivisa, che il capitale con sista di (o sia) un insieme definito di strumenti combinati in proporzioni fisse, e il corollario di questa idea, secondo il quale esiste in ogni momento solo una tecnica produttiva pra ticabile (che si suppone determinata o dallo stato delle cono scenze tecnologiche o dagli strumenti durevoli già esistenti) portano ad un altro errore. Questo errore, che può essere op portunamente definito come la «teoria della domanda deriva ta», ha svolto un ruolo importante nelle recenti discussioni sui problemi relativi al ciclo economico. L’errore inerente a questa concezione non consiste, natu che la del tutto corretta ralmente, nella mera asserzione domanda dalla at produttive derivi domanda di attrezzature nell’idea piuttosto, insito, l’errore è tesa di beni di consumo; secondo la quale la quantità di attrezzature produttive neces saria per soddisfare la domanda aggiuntiva di beni di consu mo è determinata unicamente dallo «stato esistente della tec nica». Se la tecnica produttiva che deve essere impiegata fos se determinata da fattori extra-economici, e in particolare se si assumesse che questa tecnica è indipendente dal saggio di interesse, allora un dato cambiamento della domanda di beni di consumo si trasmetterebbe effettivamente, in modo auto matico e secondo un rapporto prestabilito, agli stadi prece denti della produzione, e Il si trasformerebbe nella domanda di una quantità di attrezzature univocamente determinata. A questa conclusione giungono invariabilmente quegli autori che riescono a concepire un incremento di capitale solo come — — 261 una semplice duplicazione delle attrezzature del tipo già esi stente e che ignorano completamente i cambiamenti della tecnica produttiva connessi con il passaggio da metodi di pro duzione meno «capitalistici» a metodi più «capitalistici», e vi ceversa. Nello studio dei problemi relativi al ciclo economico questa concezione è diventata largamente nota sotto il nome di «principio di accelerazione della domanda derivata». Essa trae una certa speciosa plausibilità dal fatto che in determina te condizioni monetarie le cose possono procedere per un cer to periodo in conformità a quanto essa sostiene ma, come vedremo, il fatto che le influenze monetarie possano a volte temporaneamente oscurare, o perfino rovesciare, le influenze più durature dei fattori reali sottostanti, è uno dei motivi più importanti per cui è essenziale intraprendere uno studio siste matico del significato di questi fattori reali. Possiamo accennare ad un ultimo caso in cui si manifesta no gli effetti negativi che queste idee semplicistiche sul capi tale hanno esercitato sull’analisi dei fenomeni dinamici, e in particolare sull’analisi delle fluttuazioni economiche. Mi rife risco alla sommaria distinzione comunemente tracciata tra produzione corrente e nuovi investimenti, o a quella tra la ri produzione dello stock esistente di capitale e le aggiunte a quello stock, o anche alla distinzione, ancora più sommaria, tra la produzione lorda di beni capitali e la produzione di be ni di consumo. Anche qui l’idea che la crescita del capitale avvenga tramite l’aggiunta di nuovi elementi, per natura simi li a quelli già esistenti, ad uno stock altrimenti immutato, ha generato grande confusione nel dibattito contemporaneo. Lo stesso discorso vale per l’idea, affine alla precedente, secondo la quale, per gli scopi dell’analisi, si può adeguatamente trat tare l’intero problema del capitale dividendo le industrie in due gruppi, l’uno costituito dalle industrie produttrici di beni ò; Benché gran parte del dibattito corrente sui problemi dcl ciclo economico sia in una certa misura influenzato da questa idea, non c’è probabilmente nessun altro libro scritto da un’economista di qualche peso dove essa senga impiegata in maniera cosi rozza come nel volume di H.G. Moulton, The Tormation o! Cspital, Washing ton, 1935. A prescindere da questo punto specifico, questo libro è anche una vera e propria raccolta di gran parte degli errori correnti connessi alla teoria del capitale. 8 Vedi oltre, Parte IV [qui omessa], e la mia raccolta di saggi Projzts. Interesi, and Investment. and Other Eisays on the Theory 01 IndBstrzal Fluctuatzons, London, George Routledge & Sons, 1939, dove il significato del principio di accelerazione della do manda derivata è esaminato in maniera abbastanza approfondita. 262 CONCETTI L PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA di consumo, l’altro da quelle che producono beni di investi mento. Ma, com’è ovvio, queste considerazioni implicano problemi troppo complessi perché sia possibile andar oltre un semplice cenno a questo stadio della nostra argomentazione. Questi problemi sono connessi, in una certa misura, alla di stinzione tra breve e lungo periodo e ai vari concetti di equili brio, che verranno discussi nel prossimo capitolo. 2. L’analisi dell’equilibrio e il problema del capitale Nel capitolo i abbiamo sostenuto che la maggior parte delle deficienze della teoria del capitale nella sua forma attua le vanno attribuite al fatto che questa teoria è stata studiata, in effetti, solo sotto l’ipotesi di stato stazionario, e cioè in re lazione ad uno stato in cui sono assenti quasi tutti i problemi più interessanti relativi al capitale. Ciò dipende principalmen te da due motivi: innanzitutto i problemi caratteristici della teoria del capitale riguardano l’interdipendenza fra differenti industrie, e di conseguenza sorgono solo in connessione con una teoria dell’equilibrio generale; in secondo luogo, la mag gior parte dei sistemi correnti di teoria economica (in partico lare il più influente, quello di Marshall) non prendono real mente in considerazione alcuno stato di equilibrio generale che non sia al tempo stesso stazionario. I cosiddetti equilibri di breve periodo, se si vuole che questo concetto abbia un qualche significato, devono necessariamente essere concepiti come equilibri parziali E l’equilibrio di lungo periodo, il so lo che sia un equilibrio generale, coincide (come sottolinea lo stesso Marshall) con l’«ipotesi di uno stato stazionario dell’at tività produttiva» IO. “. ‘ La ragione di ciò diverrà chiara man mano che procediamo nell’argomentazio ne Qui occorre solo rilevare chc il metodo dell’equilibrio di breve periodo consiste essenzialmente nel trascurare tutte quelle conseguenze di un dato cambiamento la cui rilevanza, per il problema che costituisce l’oggetto immediato di analisi, è del se condo ordine di grandezza. Questo significa che si ignorano deliberatamente certe conseguenze, perché esse non influenzano quelle parti del sistema a cui siamo princi palmente interessati — un modo di procedere che è chiaramente inammissibile quan do ci si stia occupando dell’equilibrio del ststema nel suo complesso. 1 Cfr A. Marshall, Principle> o! Economico, London, Macmillan & Co., 1916’, p 379, nota 1; trad. it. Principii di economia, Torino. UTET, p. 360, nota 1: «Ma in realtà un periodo lungo teoricamente perfetto deve lasciar tempo suf ficiente non soltanto per consentire che i fattori di produzione della merce si adegui- EQUILIBRIO cAprrsLE 263 Tuttavia, un esame dei problemi della teoria del capitale, che aspiri ad avere una qualche rilevanza, deve muoversi pre cisamente su quel terreno negletto in cui si considerano equi libri generali che non sono al tempo stesso stati stazionari, Questa analisi deve servirsi di una teoria dell’equilibrio gene rale, dal momento che ha a che vedere con le interrelazioni tra diversi gruppi di industrie e, in particolare, con gli effetti che i cambiamenti che si verificano in un’industria produco no, in un’altra, effetti che vengono deliberatamente trascura ti quando si studia il particolare equilibrio di breve periodo di una specifica industria o di un gruppo di industrie. Inoltre, essa non deve limitarsi allo stato stazionario, perché qui, ex definitione, scompaiono quasi tutti i problemi di cui si deve occupare la teoria del capitale °. In questo ambito si tratta principalmente di spiegare quali tipi di strumenti verranno prodotti in condizioni date e quali conseguenze comporterà la produzione di particolari strumenti. E questi problemi, natu ralmente, non si presenteranno neppure, se si assume fin dal l’inizio che venga costantemente riprodotto lo stesso stock di attrezzature L’impossibilità di trattare in modo adeguato i problemi del capitale all’interno di una struttura concettuale basata sull’equilibrio stazionario diventa naturalmente ancor più evidente non appena si cerchi di incorporare nell’analisi, come pur si deve fare, i problemi relativi a ciò che si è soliti indicare con le espressioni «risparmio» e nuovi «investimen ti»: queste attività, infatti, implicano per definizione che le persone che vi si dedicano intendano modificare la propria si no alla domanda, ma perché si adeguino anche i fattori della produzione di quei fat tori di produzione, e cosi via. Tutto questo, se spinto fino alle ultime conseguenze logiche, porterebbe seco l’ipotesi di uno Stato stazionario dell’attività produttiva, in cui le esigenze di un tempo avvenIre possano prevedersi fin da un tempo tndefinita mente precedente [.-.1. In generale, i problemi relativi a periodi relativamente lunghi e a periodi relativamente brevi procedono in modo analogo. In entrambi si fa uso di quel metodo prezioso, che è l’isolamento parziale o totale di qualche gruppo di rela zioni, da studiare a parte». Si veda anche lbidem, p. 349, dove lo stato stazionario è definito come uno stato in cui «per molte generazioni di seguito. nello stesso modo e dalle stesse classi di persone, sarà prodotta la stessa quantità di cose a testa; onde questa offerta dei mezzi di produzione avrà avuto tutto il tempo di adeguarsi alla do manda costante,>. Cfr. W.E. Armstrong, Sat’ing and Invest>nent cit., p. 1: «Tutto ciò che è ri levante ed essenziale nel concetto di Attesa (inteso come equivalente del concetto di Capitale) ricade nell’ambito della teoria economica di una comunità che si sviluppa, e non può essere trasferito all’analisi di uno Stato Stazionario senza che questo com porti una violenta distorsione delle idee al di fuori del contesto che è loro proprio». ..., CONCETti E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA 264 Et. iLiilRto E C.U’il 5tj- tuazione futura e, di conseguenza, che esse faranno in futuro qualcosa di diverso da quello che fanno attualmente. Con ogni probabilità l’irrilevanza del costrutto teorico dell’equilibrio stazionario, ai fini dell’analisi del problema del capitale, appare nella maniera più chiara se si considera il fat to che questo stato fittizio non potrebbe mai realizzarsi in un dato momento nella società cosf com’è, ma potrebbe essere raggiunto solo dopo un lasso di tempo molto lungo i2 Le at trezzature date in ogni momento costituiscono sempre l’eredi tà di un passato in cui gli sviluppi successivi sono stati previ sti solo in modo molto imperfetto. E, come vedremo, è pro prio l’esistenza di queste attrezzature, ed il fatto che la loro presenza contribuisce a determinare quello che possiamo o non possiamo fare per un periodo successivo molto lungo, a costituire il dato che crea lo specifico problema del capitale. Una teoria che parta dal presupposto che gli aggiustamenti so no arrivati fino al punto in cui non sono necessari ulteriori cambiamenti è irrilevante per i nostri problemi, Ciò di cui ab biamo bisogno è una teoria che ci aiuti a spiegare le interrela zioni tra le azioni di diversi membri della comunità durante il periodo (l’unico che rivesta importanza pratica) che precede il momento in cui la struttura materiale delle attrezzature pro duttive sia pervenuta ad uno stato che renda possibile un pro cesso privo di cambiamenti e che ripete semplicemente se stesso. L’ampliamento della tecnica di analisi dell’equilibrio che L’equilibrio stazion4rio presuppone l’esistenza di relazioni di equilibrio fra le esistenti, e cioe presuppone che i beni esistenti stano esattamente dello stesso ti po di quelli che, nelle condizioni esistenti, sarebbe profittevole riprodurre. Non è un equilibrio determinato dai tipi di beni che accidentalmente esistono, ma un equili brio che ha già trovato espressione nella produzione passata di particolari tipi e quantità di benì. Per questa ragione, esso è del tutto irrilevante ai finì di una spiega zione di ciò che accade prima del momento in cui tutti i beni che non hanno caratte re permanente sono stati sostituiti da quei beni che sarà vantaggioso riprodurre inde finitamente in forme e quantità identiche. Si suppone che esso sia determinato esclu sivamente dalle risorse permanenti e dal vago concetto di un’offerta data di capitale libero e che sia indipendente dalle particolari forme in cui il capitale effettivamente esiste. L’equilibrio che qui ci interessa analizzare non è un equilibrio che è già incor porato nelle cose, ma un equilibrio fra le diverse attività volte a creare nuovi beni, cosi come è determinato dai beni che accidentalmente esistono all’inizio. Questo concetto di equilibrio è in effetti non meno realistico di quello di equilibrio staziona rio: infatti, per poter arrivare ad un equilibrio stazionario, sarebbe comunque neces sario passare per una fase in cui i cambiamenti richiesti per far emergere un equili brio stazionario fossero ancora in corso, ma i loro risultati venissero previsti in ma niera corretta. 12 cose 265 ci proponiamo di utilizzare in questa sede è ancora poco no to. Perciò, prima di procedere, può essere utile chiarire ulte riormente la differenza tra i due concetti di equilibrio impli cati nell’analisi; a questo scopo, è opportuno soffermarsi bre vemente su una certa ambiguità che contraddistingue l’uso del concetto di dinamica in economia, ambiguità che è stret tamente connessa al nostro discorso. La nozione di dinamica, in effetti, ha due significati del tutto diversi, a seconda che sia posta in contrasto con il concetto di stato stazionario o con il più ampio concetto di equilibrio, Quando viene utiliz zata in contrapposizione con l’analisi dell’equilibrio in gene rale, si riferisce ad una spiegazione del processo economico cosf come esso evolve nel tempo, una spiegazione di tipo causale che deve essere necessariamente trattata come una catena di sequenze storiche. In questo caso non ci troviamo di fronte ad una mutua interdipendenza tra tutti i fenomeni, ma ad una dipendenza unilaterale di ogni evento da quello che lo precede. Questo tipo di spiegazione causale del pro cesso economico nella sua evoluzione temporale rappresenta naturalmente il fine ultimo di tutta l’analisi economica, e l’a nalisi dell’equilibrio è rilevante solo nella misura in cui è propedeutica rispetto al compito principale. Ma tra il concet to di stato stazionario e i problemi di dinamica intesa in que sto senso esiste un terreno intermedio, che dobbiamo attra versare per passare da un campo all’altro. A volte il termine dinamica viene utilizzato anche per designare questo terreno intermedio, ma qui si riferisce a fenomeni che ancora rien trano nella sfera dell’analisi dell’equilibrio inteso nel senso più ampio. In questo caso l’uso del termine dinamica signifi ca solo che non postuliamo l’esistenza di uno stato staziona rio, ma non dice nulla sul metodo che viene effettivamente utilizzato i, È perlomeno dubbio he in t rude ziune Jei termini t e t2ttt ca economia (ad opera dii 5. Mdl, che asma tratto ispii azione d2ll’,ifl2l,i:.i uddjs io ne introdotta da A. Comie in sociologia) si sia diniosti aia proficua: a puc.ta tei mi nologia va intatti ascritta la responsabilità della confusione cui ,,bbi,,mo fatto cenno nel testo. A me sembra che l’ottica distinzione rilei ante sia quella ira due metodi diversi: il metodo dell’analisi logtca dei diversi piani esistenti in un dato momento (<d’analisi dell’equilibriot; ed il metodo dell’analisi causale di un processo ici 1cm p0. Per tracciare questa distinzione i termini statica e dinamica sembrano del tutto inappropriati, e sarebbe probabilmente meglio se essi scomparissero lietamente ‘ dalla teoria economica. EQUILIBRIO E CAPII ALL 266 267 NOML TEORICA (ONCFii’l E l’ROiSLEAIi OLI L’ECO 4, l’idea Ora, come ho cercato di dimostrare in altra sede tuisce io costi generale di equilibrio, di cui lo stato stazionartipo di relazio certo un a isce rifer si e, colar parti solo un caso parole altre In tà. ni tra i piani di diversi membri di una socie pa com te amen pien si riferisce al caso in cui questi piani sono dal i, uibil eseg tano risul tibili l’uno con l’altro, cosf che tutti società si basa momento che i piani di ciascun membro della che sono pro bri, mem altri i no sulla aspettativa di azioni degl membri stanno prio quelle previste dai piani che questi altri o senz’altro elaborando nello stesso momento. Le cose stannsanno esatta in questi termini nel caso in cui gli individui ne che le stes mente quello che accadrà, per la semplice ragio per un perio se operazioni sono state ripetute più e più volte equilibrio in di do di tempo molto lungo. Ma il concetto zioni non sta situa a e anch icato appl e esser può quanto tale a tra piani, denz spon zionarie, in cui si afferma la stessa corri che hanno lo quel fare non perché gli individui continuino a corretto i o mod in o edon prev fatto in passato, ma perché essi Que altri. i degl i azion nelle cambiamenti che interverranno en entem pend (indi che o, libri equi sta sorta di stato fittizio di esso che ere cred di ne ragio sia ci non o te dal fatto che ci sia o supporre che si realizzi effettivamente) possiamo quanto men indispensabi includa ogni tipo di cambiamento pianificato, è equilibrio ai si dell’ le se vogliamo applicare la tecnica di anali uno stato stazio in ti assen sono e, ition de/in cx fenomeni che, in maniera nario. Solo in questo ambito è possibile esaminareno nel tem aggo protr si proficua le relazioni di equilibrio che esto teorico in cui po; di conseguenza, è proprio questo il cont del capitale. Si pura a si colloca, in buona sostanza, la teori praticamente a può anzi dire che quest’ultima teoria viene la teoria dello tra io med inter coincidere con questo terreno riamente det prop a omic econ stato stazionario e la dinamica rato in modo esplo stato è mai non ta. Eppure questo campo sistematico. di cose tro Bisogna ammettere, tuttavia, che questo statoc’è ragione di va una parziale giustificazione nel fatto che non ‘Economica., NS. IV articolo dal titolo Economics and Knowledge, volume, cap. 3), questo in enza, e conosc mia Econo 1937), n. 13, pp. 3354 (trad. it articolo dal tilo in un te, isfacen insodd to piuttos e molto tempo prima, in una forma des Geldwer ungen Beweg die und Preisc dei’ m lo Da Intertemporale Glezchgewich:ssyste I (1928), n. 2, pp. 33-76 XXVII >,, Archiv es a[tlich wirtsch <,Welt ges, in 14 In UII credere che si possa mai realizzare completamente un qualsia si equilibrio generale, se non dopo che siano cessati tutti i cambiamenti di dati (e cioè solo quando si sia raggiunto uno stato stazionario); di conseguenza, almeno a prima vista, non sembra esserci alcun bisogno di utilizzare un simile costrutto teorico puramente ipotetico per spiegare il processo economi co, cosf come evolve nel tempo. Si può pensare che questo sia più di quanto possiamo richiedere o aspettarci dal metodo dell’equilibrio, e che tutto ciò che dobbiamo fare è spiegare come si forma un equilibrio temporaneo in un particolare mercato. Questo comporterebbe la necessità di spiegare come si arrivi, una volta che gli elementi più mobili si sono recipro camente aggiustati, ad uno stato temporaneo di quiete che durerà fino a quando non avranno luogo i cambiamenti più lenti nella parte più duratura delle attrezzature produttive. A questo punto potremmo descrivere le condizioni che prevar ranno quando tutti questi cambiamenti saranno stati comple tati (e cioè lo stato ipotetico che verrebbe raggiunto alla fine, quando tutti i dati rimanessero immutati). Dopotutto, le deci sioni relative a che cosa e come produrre vengono prese e ri viste periodicamente, a intervalli di tempo piuttosto brevi, e potrebbe sembrare che l’analisi periodale, che utilizza il con cetto di equilibrio parziale di breve periodo in ciascuno sta dio, tenga conto di questo fatto essenziale, e quindi possa giungere tanto vicino ad una spiegazione realistica degli even ti quanto ci si può ragionevolmente aspettare da questo tipo di approccio. Dubito fortemente, tuttavia, che il concetto di equilibrio di breve periodo, applicato ad un sistema economico nella sua totalità 15, abbia un qualche significato preciso. Ciò che ci si deve chiedere è se esiste un simile intervallo di quiete relativa tra il momento in cui i fattori più mobili si sono reciproca mente aggiustati e il momento in cui gli elementi più rigidi della struttura possono essere effettivamente aggiustati 15 E non ad una industria particolare, in cui la presenza di specifiche condizioni renda possibile individttare un determinato periodo di tempo ed affermare che esso è breve in confronto ad un altro. Senza una qualche ipotesi di questo genere l’uso del ternsine equilibrio è privo di qualsiasi giustificazione. Questo termine finirebbe infatti col designare un concet to del tutto vuoto, che non ci dice nulla di più del fatto che, in ogni momento, alcuni fattori hanno avuto abbastanza tempo per aggiustarsi ed altri non ne hanno avuto abbastanza; ma questo varrebbe per ogni possibile situazione La distinzione fra 268 CONCEI Fi PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA Questo presuppone che i mezzi di produzione esistenti possa no essere suddivisi in due gruppi distinti, rispetto al tempo necessario per adattarli alle nuove circostanze. In altri termi ni, si deve supporre che il tempo necessario per modificare i diversi elementi dello stock di risorse esistenti, consumandoli completamente e producendone di nuovi (tempo che dipende dal carattere più o meno durevole delle singole risorse e dal tempo necessario a produrle), non sia disperso in un arco tem porale relativamente continuo, ma si addensi piuttosto attor no a due punti in cui la frequenza è massima, con un interval lo più o meno vuoto tra di essi. Dubito fortemente che questa ipotesi sia in qualche modo giustificata dai fatti e comunque, per quanto riguarda questo lavoro, preferisco attenermi all’i potesi, che mi sembra più plausibile, secondo cui questi perio di si distribuiscono in maniera relativamente continua e senza alcuna marcata interruzione (sebbene non necessariamente in modo uniforme) sull’intero arco dei periodi in questione 17 In ogni caso, a prescindere da questo punto particolare, è evidente che questo modo di utilizzare il concetto di equili brio non consente di sfruttare in maniera adeguata alcuni dei vantaggi più significativi che si possono trarre dall’uso di que sto potente strumento intellettuale. E probabile che non esi equilibrio di breve periodo ed equilibrio di lungo periodo ha ovviamente un signifi come in efietti accade in tutti gli esempi cato ben definito quando viene applicata ad un’industria particolare, dal momento che in molti casi i utilizzati da Marshall cambiansenti che si veiificano all’interno di questa industria hanno luogo in due sta di distinti, separati da un intervallo di tempo. Ma, per rendere possibili i cambia mentI del secondo tipo (e cioè i cambiamenti delle attrezzature durevols), devono ne cessariamente aver luogo alcuni cambiamenti in qualche altra industria nel corso del l’intervallo di tempo in questione. E mentre può essere legittimo trascurare quei cambiamenti che si verificano da altre parti, fintanto che ci si occupa in maniera esclusiva della situazione della prima industria, questo modo di procedere diviene chiaramente illegittimo quando ci si riferisce al sistema economico nel suo comples so. Mi sembra quindi che l’uso del concetto di equilibrio generale di breve periodo nella teoria monetaria recente sia alquanto discutibile. 17 La distinzione fra l’equilibrio di «breve» periodo e quello di «lungo» periodo non è altro che il caso più generale di una distinzione che si presenta in parecchi campi fra loro interconnessi, La distinzione fra costo «primo» e costo «supplementa re», quella fra capitale «circolante» e capitale «fisso», e quella fra produzione «cor rente» e «investimenti» (lordi> appartengono tutte alla stessa categoria e sollevano le medesime difficoltà. Tutte queste distinzioni dovrebbero essere trattate, e saranno qui trattate, come casi limite di uno spettro continuo di variazioni, e non come de scrizioni delle modalità più caratteristiche o frequenti. In questa sede non si farà al cun tentativo di tracciare una linea di divisione arbitraria, e si riconoscerà invece con franchezza clic le varie forme assunte dai fenomeni in esame sfumano impercettibil mente l’una nell’altra. — — EQUILIBRIO E i A1’ITALE 269 sta altro modo di trattare questi problemi, fino a che si pre tende che l’idea di equilibrio si debba necessariamente riferi re a qualcosa che possiamo osservare nel mondo reale o, alme no, a qualcosa che si può dimostrare che origini spontanea mente in certe condizioni. Ma sono propenso a credere che questi tentativi di fornire un’interpretazione realistica del concetto di equilibrio (interpretazione la cui legittimità è, in ogni caso, piuttosto dubbia) ci hanno privati di un uso perlo meno altrettanto importante di questo concetto, a cui possia mo ricorrere se ne riconosciamo francamente il carattere pu ramente fittizio. E stato spesso sottolineato che il concetto di uno stato di equilibrio è indipendente dalla possibilità di mo strare come un simile stato potrà mai verificarsi. La ragione per cui questa asserzione ha inciso cosf poco sull’uso che si fa effettivamente del concetto di equilibrio sta probabilmente nel fatto che coloro che l’hanno formulata non hanno mostra to in modo appropriato come un simile costrutto teorico fitti zio possa esserci d’aiuto per spiegare eventi reali. In effetti, quando si è trattato di utilizzare concretamente il concetto, o lo si è definito atemporale o altrimenti si è fatto ricorso al lo stato stazionario. Come abbiamo visto, nella sfera della teoria del capitale la costruzione teorica di uno stato stazionario è particolarmente inutile, poiché il problema principale, quello degli investi menti, nasce proprio perché gli individui intendono fare in futuro qualcosa di diverso da quello che fanno al presente. Può anche darsi che essi intendano ripetere continuamente gli investimenti in quanto tali, dal momento che gli strumenti prodotti hanno bisogno di essere sostituiti. Ma i risultati de gli investimenti, siano essi servizi diretti per il consumo o (co me accade nella maggior parte dei casi) un aiuto per la produ zione successiva, altereranno necessariamente le cose che è necessario fare e quelle che si possono fare in futuro. Postula re uno stato stazionario che ripete continuamente se stesso si gnifica prescindere proprio dai fenomeni che vogliamo inve stigare. Tuttavia, se si definisce il concetto di equilibrio in maniera tale che esso includa piani di azione che variano in istanti di tempo successivi, questo concetto viene ad assumeNel qual caso, come ho cercato di mostrare nell’articolo citato in precedenza (alla nota 14>, esso è privo di senso. 270 CONCEtTI E PROBLEMI DELL’ ECONOMIA TEORICA re un significato molto importante che ci può essere di grande utilità. Il problema essenziale è quello di appurare se i piani di individui diversi risultano compatibili, ed hanno quindi tutti la possibilità di essere realizzati, o se invece la situazione presente contiene in sé il germe di una inevitabile delusione per alcuni, delusione che li costringerà a cambiare i loro pia ni. Non dobbiamo perdere di vista la ragione per cui siamo interessati all’analisi di un particolare sistema economico in un dato istante di tempo: il nostro scopo è quello di riuscire a passare da una diagnosi dello stato esistente delle cose ad una prognosi di quello che probabilmente succederà in futuro. Ora, se vogliamo effettuare una qualsiasi previsione, dobbia mo farlo sulla base dei piani che è probabile che gli imprendi tori formulino alla luce delle loro conoscenze presenti e sulla base di un’analisi dei fattori che nel corso del tempo determi neranno se essi sono in grado di realizzare questi piani o se invece li devono modificare. Mi sembra naturale partire dalla costruzione di uno stato fittizio, utilizzato come strumento intellettuale, in cui questi piani si trovano in perfetta rispon denza reciproca, senza tuttavia chiedersi se questo stato si realizzerà mai, o se potrà realizzarsi mai. Infatti è solo per contrasto con questo stato immaginario, che ci serve in un certo senso per far risaltare l’altro elemento del confronto, che siamo in grado di predire quello che accadrà se gli im prenditori cercheranno di realizzare qualsiasi insieme dato di piani. La descrizione della posizione di equilibrio, intesa in questo senso, è al tempo stesso una descrizione della recipro ca interdipendenza delle decisioni di diversi imprenditori. Il modo in cui un imprenditore dovrà rivedere i suoi piani dipenderà dal modo in cui gli eventi si dimostreranno diversi rispetto alle sue aspettative. Enunciare le condizioni in cui i piani individuali risultano compatibili equivale quindi, impli citamente, a stabilire ciò che accadrà se questi piani non sono compatibili Vedremo in seguito che questa estensione del concetto di equilibrio rappresenta l’elemento di passaggio dall’analisi del‘ Questo è strettamente vero solo nel caso di una singola deviazione di un ele mento particolare in una situazione che, per ogni altro aspetto, è in equilibrio, e cioè nel caso che tutte le altre aspettative siano confermate. Se più di un elemento venis se ad assumere un valore diverso da quello atteso, la relazione non sarebbe più cosi semplice. EQUII IBRIO F CAPITALE 271 l’equilibrio alla spiegazione in termini di sequenze causali, dal momento che è volta a chiarire quali sono i fattori che co stringeranno gli imprenditori a cambiare i loro piani e che ci aiuta a capire in quale modo i loro piani dovranno cambiare. In effetti questo modo di utilizzare il concetto di equilibrio non è sostanzialmente diverso dal confronto tra i due possibi li modi di guardare ad una particolare situazione, e cioè da un punto di vista prospettico o retrospettivo (ovvero da un pun to di vista ex ante o ex post), cosi come questi concetti vengo no utilizzati dai più giovani economisti svedesi 20, dal momen to che possiamo far discendere la situazione ex post da quella ex ante solo se facciamo riferimento al grado di corrisponden za o non-corrispondenza tra le intenzioni individuali. Lo stato di equilibrio, cosf come viene inteso qui, è uno stato di completa compatibiità fra i piani ex ante, in cui di conseguen za (a meno che si verifichino cambiamenti nei dati esterni, a proposito dei quali, in ogni caso, la teoria economica non ha nulla da dire) la situazione ex post è identica a quella ex ante. L’equilibrio rappresenta quindi una sorta di termine di con fronto, al quale possiamo fare riferimento per stabilire che cosa ci si debba attendere in ogni situazione concreta. Il significato di queste considerazioni astratte risulterà più chiaro se, a titolo illustrativo, prendiamo in esame i problemi connessi all’attività di investimento. I problemi del capitale o degli investimenti, cosf come sono qui definiti, sono problemi connessi con quell’attività che consiste nel provvedere nel momento presente ad un futuro più o meno lontano. Tutta via, il futuro rilevante con cui ha a che fare la nostra analisi è un po’ più esteso dei periodi in vista dei quali il singolo indi viduo investe consapevolmente in un dato momento. In ogni momento i suoi piani si basano sull’aspettativa di un certo stato futuro del mercato, che gli consentirà di vendere i suoi prodotti ad un certo prezzo; e il suo interesse non va al di là di questo. Ma lo «stato del mercato» oggettivo, sul quale egli fa conto, è in larga misura il risultato delle decisioni prese da altre persone nel momento presente. Perché egli possa riusci re a vendere i suoi prodotti secondo le sue aspettative, è ne cessario che gli altri abbiano fatto quei preparativi che con20 46, Cfr. G. Myrdal, Monetary Equzlihrium, London, W. i{odge & Co., 1939, p. 272 CONCErrI E PROBLEMI OELL’ECONOMIA TEORICA sentiranno loro di utilizzare proprio quei prodotti al prezzo a cui egli supponeva di venderli. In altre parole, lo stato del mercato nel momento per cui egli formula i suoi piani dipen derà essenzialmente da quello che gli altri hanno deciso nello stesso momento in cui egli ha formulato i suoi piani. Questo non è dovuto soio, o anche principalmente, al fatto che i red diti che queste altre persone potranno spendere dipenderanno da quello che hanno prodotto, ma anche al fatto che gli stru menti e i materiali di cui avranno bisogno dipenderanno dai piani di produzione che essi hanno cominciato a porre in atto. Questo significa che, sebbene ogni individuo sia guidato solo da aspettative (più o meno fondate) di particolari prezzi, egli in effetti si troverà a compiere una parte di un processo più ampio, che comprende altre parti delle quali egli sa ben poco; e il fatto che i suoi piani abbiano successo o meno dipenderà dal fatto che quello che egli fa si combini o non si combini in maniera opportuna con le altre parti di quel più ampio proces so che altre persone intraprendono o progettano nello stesso momento. Nella maggior parte dei casi ciò che egli fa non sa rà più di un singolo anello in una lunga catena di operazioni successive. Ci possono essere molti stadi intermedi fra quello che egli fa ed il consumo finale, ed il successo della sua azione dipenderà, ad ogni stadio, non tanto dalla domanda finale, quanto dalla presenza o assenza di strumenti complementari in quantità che rispettano certe proporzioni, nonché dall’esi stenza di persone che li vogliono utilizzare negli stadi di pro duzione successivi. Tutte queste operazioni successive devo no essere viste come parti di un processo integrato, ciascuna delle quali ha possibilità di riuscita soio in ragione della posi zione che occupa all’interno del processo complessivo. In ogni sistema caratterizzato da una estesa divisione del lavoro (in particolare quando questa è di tipo «verticale» e quando molte operazioni successive, effettuate da differenti imprenditori, dipendono l’una dall’altra come anelli di una stessa catena), il successo di ogni decisione di produrre una cosa invece di un’altra dipende dal fatto che altre cose venga no prodotte in quantità appropriate. Esistono quindi relazio ni quantitative ben precise tra gli output necessari di diversi tipi di beni, relazioni che, a causa delle caratteristiche tecno logiche dei diversi processi, sono generalmente più rigide nel caso di beni intermedi che nel caso di beni di consumo finale. i LQI IUBRI() E CAPIi I E 2T3 Quasi tutte le combinazioni quantitative di tipi diversi di be ni di consumo possono essere impiegate in un modo o nell’al tro. Ma i limiti entro i quali possono variare le proporzioni tra le quantità dei diversi tipi di beni intermedi sono molto più ristretti. Tra le diverse parti della struttura della produ zione vi sono proporzionalità ben definite, relazioni quantita tive ben precise, che devono essere mantenute se non si vuoie che alcune di queste parti diventino completamente inutili. Ovviamente è possibile studiare le relazioni quantitative tra le diverse parti della struttura reale della produzione, relazio ni che risultano dai piani correnti, indipendentemente dal problema delle forze che assicureranno o meno l’effettiva rea lizzazione di una simile corrispondenza. In ogni situazione data ci sarà un modo (e, nella maggior parte dei casi, soltanto un modo) in cui i piani dei diversi imprenditori possono esse re resi compatibili tra di loro e con le preferenze dei consu matori. In questo caso, quindi, utilizzare il metodo dell’equi librio significa costruire uno stato immaginario in cui i piani dei diversi individui (in generale, imprenditori e consumatori) sono in tale accordo tra loro che ogni individuo sarà in grado di vendere o comprare esattamente quelle quantità di merci che ha deciso di vendere o comprare. Naturalmente esisteran no ancora solo i piani separati di differenti individui, piani che sono connessi esclusivamente dal fatto che c’è un’esatta corrispondenza tra le quantità di beni che ci si aspetta passi no da un individuo all’altro in momenti diversi. Ogni persona specifica non ha bisogno di sapere nè chi prenderà i suoi pro dotti né chi la rifornirà di ciò che si aspetta di ottenere: que sta persona avrà solo delle aspettative su quello che il gruppo ’ denominato mercato fornirà e prenderà; né ha bi 2 anonimo sogno di sapere granché sul modo in cui sono stati prodotti i beni che passano nelle sue mani, o sui modo in cui verranno utilizzati i beni che ha prodotto. Nondimeno aspettative coincidenti sulle quantità e qualità dei beni che passeranno da una persona all’altra coordineranno in effetti tutti questi pia ni diversi formandone uno solo, anche se questo «piano» non esisterà in nessuna singola mente. Questo «piano» unitario può solo essere costruito teoricamente; e in effetti spesso con21 tIr E Mah1up, Wn 13,r o (1936), ri 9, pp. 43 ss E U/ .a ti’ duia ‘, in «Lcon,,misa,, \ 5. 111 274 CONCETTI E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA EQUILIBRIO E CAPITALE 275 viene adottare la pratica, seguita da molti economisti, che consiste nel procedere per un certo tempo assumendo che le azioni dei diversi individui siano dirette da qualcuno secondo un singolo piano 22 Data la natura della situazione in esame, questa ipotesi fittizia può essere solo provvisoria e dev’essere in seguito abbandonata. Al suo posto dev’essere introdotta l’ipotesi che i piani dei diversi individui siano separati l’uno dall’altro, ma in perfetta corrispondenza reciproca; in altre parole, dev’essere accolta l’ipotesi di equilibrio concorrenzia le, inteso nel senso sopra precisato. E inevitabile che esistano opinioni divergenti circa l’utili tà di un costrutto esplicitamente fittizio come il concetto di equilibrio qui impiegato. E l’unico modo di dimostrarne l’uti lità è quello di applicarla ad un problema specifico. E comun que importante che non sorgano fraintendimenti sul modo in cui si intende giustificano. In effetti, la ragion d’essere di questo costrutto non sta nel fatto che esso ci permette di spiegare perché le condizioni reali dovrebbero mai approssi marsi, in qualche misura, ad uno stato di equilibrio; si può in vece giustificarne l’impiego in base al fatto che, come ci mo stra l’osservazione, le condizioni reali si approssimano effetti vamente, in una certa misura 23, ad uno stato di equilibrio, e che il funzionamento del sistema economico esistente dipen de dal grado di approssimazione a uno stato del genere. Spie gare perché mai ci si dovrebbe aspettare, e in quali condizioni e in quale misura ci si possa aspettare, che le cose si avvicini no a questa condizione richiede una tecnica differente, e cioè quella basata sulla spiegazione causale di eventi che si susse guono nel tempo. Ma il fatto che sia probabilmente impossi bile formulare qualsiasi insieme di condizioni in cui uno stato del genere si realizzerebbe in maniera completa non ne di strugge il valore come strumento intellettuale. Al contrario, mi sembra una debolezza dell’uso tradizionale del concetto di equilibrio limitano ai casi in cui sia possibile attribuirgli un qualche specioso carattere di «realtà». Per trarre completo vantaggio da questa tecnica dobbiamo abbandonare ogni pre tesa che essa possieda carattere di realtà, nel senso che sia possibile enunciare le condizioni in cui si realizzerebbe un particolare stato di equilibrio. La sua funzione è semplice mente quella di servire da guida per l’analisi di situazioni concrete, mostrando quali sarebbero le loro relazioni in con dizioni «ideali», e aiutandoci cosf a scoprire le cause di cam biamenti incombenti non ancora contemplati da nessuno de gli individui coinvolti nel processo economico in questione. 22 Questo espediente è stato utilizzato in maniera particolarmente sistematica da i’riedrich von ‘lC’ieser, dapprima nella sua opera Natural Value, London, Macmillan & Co., 1893 (trad. t. Il valore naturale, in Opere di Frzedrich von Wzeser, Torino, UTET, 1982, pp. 633-858), e successivamente nel volume Social Economics, New York, Adelphi co., 1927, dove egli ha anteposto alla propria teoria dell’economia so ciale un’elaborata teoria di quello che ha denominato «economia semplice», inten dendo con ciò un’economia diretta dal centro. Più recentemente A.C. Pigou, nella sua opera The Econornzcs of Stationa,y States, London, Macmillan & Co., 1935, si è ancor» una volta servito di Robinson Crusoe allo stesso scopo. E interessante osser vare che Marshall, quando passa a considerare l’attività di Investimento, trova an ch’egli conveniente cominciare la propria indagine «con l’osservare l’azione di una persona che non compra ciò di cui ha bisogno, né vende ciò che produce, ma lavora cit., Libro V, cap. IV, par, 1, p. 334). per conto proprio» A. Marshall, Principii 25 Si dovrebbe rammentare che quasi tutta la scienza economica si fonda suU’os servazione empirica che i prezzi «tendono» a corrispondere ai costi di produzione, e che è stata proprio questa osservazione che ha indotto gli economisti a costruire uno stato ipotetico in cui questa «tendenza» è pienamente realizzata. A questo riguardo, molta confusione è stata provocata dalla vaghezza del termine tendenza. Si può dire che un dato fenumenu tende (si approssima) ad una certa grandezza se c’è motivo di aspettarsi che in un gran numero di casi esso sia ragionevolmente vicino a questa grandezza, anche se non ci dovesse essere alcuna ragione per aspettarsi che esso la raggiunga mai effettivamente, per quanto lungo sia il tempo concesso per l’aggiusta mento. Quando sia inteso in questo senso, il termine «tendenza» non significa, con trariamente a quanto si ritiene usualmente, che è in corso un movimento verso una certa grandezza, ma solo che è probabile che la variabile in esame si trovi vicino a questa grandezza. Lo stato ideale, in cui tutte le variabili assumerebbero proprio quei valori a cui tendono ad approssimarsi nel senso sopra precisato, è uno siato che non ci si potrebbe aspettare che venga mai raggiunto. ..., 5. L’uso della conoscenza nella società 1. Qual è il problema che vogliamo risolvere quando cer chiamo di costruire un ordine economico razionale? Se ci basiamo su alcune assunzioni usuali la risposta è bastanza semplice. Se possediamo tutte le informazioni ab vanti, se possiamo partire da un sistema dato di prefe rile renz se conosciamo e controlliamo in maniera completa i mezzi e e sponibili, il problema che rimane è puramente di natura di logi ca. In altre parole, la risposta alla domanda relativa all’uso migliore dei mezzi disponibili è implicita nelle nostre zioni. Le condizioni che devono essere soddisfatte dallaassun zione di questo problema di ottimo sono state completa solu mente calcolate e possono essere enunciate nel modo migliore in for ma matematica; espresse nella maniera più concisa, ques condizioni sono le seguenti: i saggi marginali di sostituzio te tra due beni o fattori devono sempre essere gli stessi per ne tutti i loro diversi usi. Tuttavia non è senz’altro questo il problema economico che la società si trova ad affrontare; e il calcolo econom ico che abbiamo sviluppato per risolvere questo problema logico, sebbene sia un passo importante verso la soluzione del prob le ma economico della società, non fornisce ancora una rispo sta al nostro quesito. Questo perché i «dati» sui quali si basa il calcolo economico non sono mai e mai potranno essere «dati», per l’intera società, ad una singola mente che possa calcola rne le implicazioni. Il carattere particolare del problema di un ordine mico razionale è determinato precisamente dal fatto econo conoscenza delle circostanze di cui ci dobbiamo servi che la re esiste mai in forma concentrata o integrata, ma solam non ente sotto la forma di frammenti sparpagliati di conoscenza inco pleta e spesso contraddittoria che tutti gli individui possiedm o- 218 CON ir’rI F PROBLEMI DELL’ ECONOMIA TEORICA no separatamente. Il problema economico della società, per ciò, non è meramente un problema di come allocare risorse «date» se «date» è preso nel senso di date ad una singola mente che risolve deliberatamente il problema posto da que sti «dati». Si tratta piuttosto del problema relativo a come as sicurare il migliore uso di risorse note a ciascuno dei membri della società, per fini la cui importanza relativa è nota solo a questi individui. O, in breve, si tratta del problema di come utilizzare la conoscenza che non appartiene a nessuno nella sua totalità. Questa caratteristica del problema fondamentale temo sia stata oscurata piuttosto che illuminata da molti dei più recen ti perfezionamenti della teoria economica, in particolare da molte utilizzazioni che sono state fatte della matematica. Seb bene il problema principale che intendo affrontare in questo saggio sia quello di una organizzazione economica razionale, nel corso della trattazione sarò portato più volte a sottolinea re la sua stretta connessione con molte questioni metodologi che. Molte delle opinioni che intendo sostenere sono in realtà conclusioni verso le quali hanno finito inaspettatamente per convergere diverse linee di ragionamento. Ma, secondo il mio modo di vedere attuale, questo non è frutto del caso. Mi sem bra che molte delle dispute correnti relative sia alla teoria economica sia alla politica economica traggono la loro comune origine da un fraintendimento relativo alla natura del proble ma economico della società. Questo fraintendimento è dovu to a sua volta ad una erronea applicazione ai fenomeni sociali degli abiti mentali che abbiamo sviluppato trattando i feno meni naturali. 2. Nel linguaggio comune con il termine «pianificazione» definiamo il complesso di decisioni interconnesse relative alla allocazione delle risorse di cui disponiamo. In questo senso tutta l’attività economica è pianificazione; e in ogni società in cui molte persone collaborano questa pianificazione, chiun que ne sia l’artefice, dovrà basarsi in qualche misura sulle co noscenze che, in un primo momento, non appartengono al pianificatore, ma a qualcun altro, e che in qualche modo do vranno essere rese note al pianificatore. Le conoscenze su cui le persone basano i propri piani ven gono comunicate a queste stesse persone in molti modi diffe I ‘USO DEILA CONOSCLNYA NELl A SOCIL fA 279 renti. Queste molteplici forme di trasmissione della conoscen za costituiscono il problema cruciale per ogni teoria che in tenda spiegare il processo economico; ed il problema di quale sia il modo migliore di utilizzare le conoscenze inizialmente disperse tra le varie persone è perlomeno uno dei problemi più importanti che riguardano la politica economica o la pro gettazione di un sistema economico efficiente. La risposta a questo interrogativo è strettamente connessa con l’altro interrogativo che sorge a questo punto, e precisa mente quello di chi debba pianificare. E su questo problema che ruota tutta la disputa sulla «pianificazione economica». Non si tratta di discutere se si debba o non si debba pianifi care, ma se la pianificazione debba essere effettuata central mente, e cioè da una sola autorità per l’intero sistema econo mico, o se debba essere divisa tra molti individui. Il termine pianificazione, nel senso specifico in cui viene utilizzato nella controversia contemporanea, significa pianificazione centra lizzata, ovvero direzione impressa all’intero sistema economi co secondo un solo piano unificato. Il termine concorrenza, invece, significa pianificazione decentrata ad opera di molte persone distinte. La soluzione a metà strada tra le due, di cui molti parlano ma che piace a pochi quando vi si imbattono, consiste nel delegare la pianificazione alle industrie organizza te o, in altre parole, ai monopoli. Quale di questi sistemi sia più efficiente dipende princi palmente da quale di essi ci consentirà un uso più completo della conoscenza esistente. Questo a sua volta dipende dalla seguente alternativa, se cioè è più probabile che riusciamo a mettere a disposizione di una singola autorità centrale tutta la conoscenza che dovrebbe essere utilizzata, ma che si trova inizialmente dispersa tra molti individui diversi, oppure se è più facile fare pervenire agli individui la conoscenza aggiunti va di cui hanno bisogno, perché siano in grado di fare comba ciare i loro piani con quelli degli altri. 3. Risulterà subito evidente che su questo punto la posi zione da assumere differirà a seconda dei diversi tipi di cono scenza. La risposta al nostro interrogativo dipenderà quindi in larga misura dalla importanza relativa dei differenti tipi di conoscenze, e cioè dal fatto che prevalgano le conoscenze di cui dispongono con maggior probabilità particolari individui 280 L’USO DELLA CONOSCLNZA NELLA SOC1L1À (‘ONCE (i i E PRODI EMI DLLL’LCONOMIA I’LORICA o piuttosto quelle che con maggior sicurezza dovremmo aspet tarci di trovare in possesso di un’autorità composta da esperti opportunamente scelti. Se oggi si ritiene cosf spesso che que sti ultimi si trovino in una posizione migliore, ciò è dovuto al fatto che un tipo di conoscenza, e precisamente quella scienti tica, occupa ora un posto cosf prominente nella immaginazio ne pubblica che tendiamo a dimenticare che essa non costitui sce l’unico tipo di conoscenza rilevante. Si può ammettere che, per quanto riguarda la conoscenza scientifica, un corpo di esperti scelto opportunamente si trovi forse nella posizione migliore per controllare tutta la conoscenza disponibile sebbene in questo modo, come è ovvio, si sposti semplice mente la difficoltà sui problema di come selezionare gli esper ti. Quello che mi preme sottolineare è che questo problema, anche se si assume che possa essere facilmente risolto, non è che una piccola parte di una questione ben più vasta. Oggi suggerire che la conoscenza scientifica non è la som di ma tutto il sapere è quasi un’eresia. Ma una breve riflessio ne può mostrare che esiste senza dubbio un corpo di cono scenze molto importanti, ma non organizzate, che non posso no essere considerate scientifiche, nel senso di conoscenza di leggi generali: mi riferisco alle conoscenze delle circostanze particolari di tempo e di luogo. Proprio rispetto a questo tipo di conoscenze praticamente ogni individuo si trova in vantag gio rispetto a tutti gli altri, dal momento che egli possiede in formazioni uniche che possono essere utilizzate con profitto, ma solo se le decisioni che dipendono da queste vengono la sciate a lui o sono prese con la sua attiva collaborazione. Ba sta ricordare soltanto quanto ci resta da imparare in ogni oc cupazione dopo che abbiamo completato l’addestramento teo rico, quanta parte della nostra vita lavorativa è dedicata ad imparare lavori specifici, e quale preziosa risorsa sia, in tutte le professioni, la conoscenza delle persone, delle condizioni locali e delle circostanze particolari. Conoscere e mettere in uso una macchina non pienamente utilizzata o le capacità di qualcuno che potrebbero essere impiegate meglio, o essere a conoscenza dell’esistenza di scorte in eccesso a cui si può at tingere durante un’interruzione dei rifornimenti, è socialmen te altrettanto utile quanto conoscere tecniche alternative mi gliori. Lo spedizioniere marittimo che si guadagna da vivere utilizzando i viaggi vuoti o mezzi pieni di carrette a vapore, o — 281 l’agente immobiliare la cui conoscenza si limita quasi esclusi vamente a quella di occasioni temporanee, o l’arbitrageur che trae i suoi guadagni dalle differenze locali dei prezzi delle merci, tutti svolgono utili funzioni basate sulla particolare co noscenza di circostanze legate all’attimo fuggente ed ignote agli altri. E curioso il fatto che questo tipo di conoscenza venga og gi generalmente considerata con un certo disprezzo e che si ritenga quasi disonorevole l’azione di chiunque da questa co noscenza tragga vantaggio a scapito di qualcuno meglio equi paggiato di conoscenze teoriche o tecniche. Trarre vantaggio dalla migliore conoscenza delle possibilità di comunicazione o di trasporto è ritenuto a volte quasi disonesto, sebbene sia al trettanto importante che la società utilizzi le migliori occasio ni in questo ambito quanto che utilizzi le più recenti scoperte scientifiche. Questo pregiudizio ha influenzato in misura con siderevole l’atteggiamento verso il commercio in generale ri spetto a quello verso la produzione. Perfino gli economisti che si considerano definitivamente immuni dalle rozze ed er ronee propensioni materialistiche del passato commettono co stantemente lo stesso errore, quando si tratti di attività diret apparente te all’acquisizione di simili conoscenze pratiche mente perché seguendo i loro schemi suppongono che tutta la conoscenza di questo genere sia «data». Secondo l’idea oggi prevalente questo tipo di conoscenza dovrebbe essere pronta mente e senza problemi a disposizione di tutti, e il rimprove ro di irrazionalità rivolto all’ordine economico esistente si ba sa spesso sui fatto che questo non avviene. Questo modo di vedere non tiene conto del fatto che il metodo che rende que sta conoscenza cosi ampiamente disponibile costituisce preci samente il problema a cui dobbiamo trovare una soluzione. — 4. Se oggi è di moda minimizzare l’importanza della cono scenza delle singole specifiche circostanze di tempo e di luo go, questo fatto è strettamente connesso con la minore impor tanza che viene ora attribuita al cambiamento in quanto tale. In realtà le assunzioni (di solito solo implicite) dei «pianifica tori» differiscono in modo significativo da quelle dei loro op positori proprio per la rilevanza e la frequenza dei cambia menti ipotizzati, che renderanno necessarie sostanziali altera zioni dei piani di produzione. Naturalmente, se si potessero -4 282 CONCETTI E PROIILEMI DELL’ECONOMIA TEORICA stendere in anticipo piani economici dettagliati per periodi piuttosto lunghi, e se fosse poi possibile attenersi strettamen te a questi piani, cosf che non fossero necessarie ulteriori de cisioni economiche importanti, il compito di tracciare un pia no complessivo che regoli tutta l’attività economica sarebbe molto meno proibitivo. Vale forse la pena di sottolineare che i problemi economi ci nascono sempre e solo in conseguenza di cambiamenti. Fintanto che le cose vanno avanti come prima, o perlomeno co me ci si aspettava, non sorge alcun nuovo problema che ri chieda delle decisioni e non vi è alcun bisogno di formulare un nuovo piano. Credere che i cambiamenti, o almeno gli ag giustamenti fatti di giorno in giorno, siano diventati meno importanti nel nostro tempo implica ritenere che anche i pro blemi economici siano diventati meno importanti. A credere nella progressiva perdita d’importanza del cambiamento sono di solito, per la ragione suddetta, le stesse persone che sosten gono che l’importanza delle considerazioni economiche è sta ta messa in disparte dalla crescente rilevanza della conoscenza tecnologica. Ma è vero che, dato il complesso apparato della produzio ne moderna, le decisioni economiche sono necessarie solo a distanza di lunghi intervalli di tempo, per esempio quando si deve costruire una nuova fabbrica o introdurre un nuovo pro cesso produttivo? E vero che, una volta che un impianto è stato costruito, il resto è tutto più o meno automatico, deter minato dalle caratteristiche dell’impianto, e che restano pochi cambiamenti da introdurre per adeguarlo alle circostanze sempre mutevoli del momento? L’idea, piuttosto diffusa, che le cose stiano proprio in questi termini non proviene, per quanto ho potuto constata re, dall’esperienza pratica dell’uomo d’affari. In ogni caso in e solo un’industria di questo un’industria concorrenziale tipo può servire come banco di prova— il compito di evitare la crescita dei costi richiede una lotta costante, tale da assor bire una gran parte delle energie della direzione. La facilità con cui un direttore inefficiente può dissipare i differenziali da cui dipendono i profitti e il fatto che sia possibile, a parità di condizioni tecnologiche, produrre con una grande varietà di costi sono dei luoghi comuni nel mondo degli affari, ma non sembrano ugualmente comuni nell’analisi degli economi — L’USO DELLA CONOSCENZA NElLA SOCIETÀ 283 sti. Proprio la forza del desiderio, continuamente espresso da produttori ed ingegneri, di essere lasciati liberi di procedere senza essere ostacolati da considerazioni di costi monetari te stimonia in modo eloquente fino a che punto questi fattori siano presenti nel loro lavoro quotidiano. Una ragione per cui gli economisti sono sempre più pronti a dimenticare i continui cambiamenti che compongono l’inte ro quadro economico è rappresentata, probabilmente, dal loro crescente interesse per gli aggregati statistici, che mostrano una stabilità assai maggiore di quella che si può riscontrare nei movimenti delle grandezze disaggregate. La relativa stabi come lità degli aggregati, tuttavia, non può essere spiegata ogni tanto gli esperti di statistica sembrano propensi a fare dalla «legge dei grandi numeri» o dalle reciproche compensa zioni di cambiamenti casuali. Il numero di elementi con cui abbiamo a che fare non è abbastanza grande perché queste forze accidentali possano produrre stabilità. Il flusso continuo di beni e servizi è preservato da costanti aggiustamenti deli berati, da ristrutturazioni decise ogni giorno alla luce di circo stanze non note il giorno precedente, dal fatto che B intervie ne immediatamente quando A non è in grado di effettuare la consegna. Perfino il grande impianto altamente meccanizzato continua a funzionare in larga misura grazie all’ambiente cir costante, sul quale può fare affidamento per tutti i tipi di ne cessità inaspettate: tegole per il tetto, articoli di cancelleria o moduli, e tutti i mille e uno generi di materiale rispetto ai quali non può essere autosufficiente e la cui pronta disponibi lità sul mercato è richiesta dai piani per il funzionamento del l’impianto stesso. A questo proposito, forse, dovrei menzionare brevemente il fatto che il tipo di conoscenza di cui ho trattato appartiene al genere che per sua natura non può entrare nelle statistiche e che perciò non può essere trasmesso ad alcuna autorità cen trale in forma statistica. Le statistiche che una siffatta autori tà centrale sarebbe costretta ad utilizzare dovrebbero essere ricavate precisamente facendo astrazione da piccole differen come risorse di uno stesso ze tra le cose, mettendo insieme genere articoli che differiscono per quanto riguarda la lo cazione, la qualità e altri particolari, in un modo che può es sere molto importante per le decisioni specifiche. Ne conse gue che la pianificazione centralizzata che si basa su informa— — — — 4 2S4 (ONCLYII E PROBLEMI DEl L’ECONOMiA TEORICA zioni statistiche per sua natura non può tenere conto diretta mente di queste circostanze di tempo e di luogo, e che il pia nificatore centrale dovrà trovare un qualche espediente per ché le decisioni che dipendono da esse siano lascjate all’<cuo mo sul posto». 5. Se concordiamo nel ritenere che il problema economico della società consiste principalmente nel rapido adattamento ai cambiamenti che intervengono nelle particolari circostanze di tempo e di luogo, sembra allora di poter affermare che le decisioni finali devono essere lasciate alle persone che cono scono queste circostanze, che hanno conoscenza diretta dei cambiamenti rilevanti e delle risorse immediatamente dispo nibili per farvi fronte. Non possiamo attenderci di risolvere ogni problema comunicando tutte queste conoscenze ad un ufficio centrale che, in un secondo momento, dopo aver inte grato tutte le conoscenze, emana gli ordini. Dobbiamo risol verlo con una qualche forma di decentramento. Ma questo ri sponde solo parzialmente alla nostra questione. Noi abbiamo bisogno di decentramento perché solo cosf possiamo assicura re che la conoscenza delle particolari circostanze di tempo e di luogo verrà utilizzata con prontezza. Ma «l’uomo sul po sto» non può decidere esclusivamente sulla base della sua co noscenza limitata ma profonda dei fatti relativi ai suoi dintor ni immediati. Resta ancora il problema di come comunicargli le ulteriori informazioni di cui ha bisogno per poter adattare le proprie decisioni all’intero quadro di cambiamenti del più ampio sistema economico. Di quante conoscenze ha bisogno per riuscire nel suo in tento? Quali avvenimenti, tra quelli che avvengono al di là dell’orizzonte della sua conoscenza diretta, sono rilevanti per la sua decisione immediata, e quanto di essi egli deve sapere? Non c’è praticamente nulla che si verifica da qualche par te nel mondo che potrebbe non avere effetto sulle decisioni che dovrebbe prendere. Ma egli non ha bisogno di conoscere questi eventi in quanto tali, né tutti i loro effetti. Non ha im portanza che sappia perché in quel particolare momento sono più richiesti i cacciavite di una grandezza o di un’altra, perché i sacchetti di carta sono più facilmente disponibili di quelli di tela, o perché al momento il lavoro specializzato o specifici strumenti sono diventati più difficili da ottenere. Per lui è ri L’USO DELLA CONOSCENZA NELLA SOCIETÀ 285 levante solo quanto più o meno difficile sia diventato procu rarseli rispetto ad altre cose a cui egli è pure interessato, o con quanta maggiore o minore urgenza sono richieste le cose alternative che egli produce o utilizza. E sempre un problema che riguarda l’importanza relativa delle cose particolari che lo interessano, e ie cause che alterano la loro importanza relativa non sono di alcun interesse per lui, al di là dell’effetto che producono su quelle cose concrete appartenenti al suo am biente specifico. E proprio in questo caso che quello che ho chiamato il «calcolo economico» (o la Logica Pura della Scelta) ci aiuta, se non altro per analogia, a vedere come questo problema può essere risolto, e in effetti viene risolto, dal sistema dei prezzi. Perfino la singola mente direttrice, in possesso di tutti i dati relativi a qualche piccolo sistema economico autosufficiente, non potrebbe ogni volta che si dovesse procedere a qual che piccolo aggiustamento nell’allocazione delle risorse te nere conto esplicitamente di tutte le relazioni tra fini e mezzi coinvolte in questa operazione. Il grande contributo della Lo gica Pura della Scelta consiste proprio nell’aver dimostrato in maniera conclusiva che perfino una mente singola di questo genere potrebbe risolvere questo tipo di problema solo co struendo e utffizzando continuamente saggi di equivalenza (o «valori», o «saggi marginali di sostituzione»), cioè attribuendo a ciascun tipo di risorse scarse un indice numerico che non può essere ricavato da alcuna proprietà caratteristica di quella cosa particolare, ma che riflette, o nel quale è condensato, la sua importanza alla luce dell’intera struttura mezzi-fini. In ciascun piccolo cambiamento egli dovrà considerare solo que sti indici quantitativi (o «valori») nei quali si concentrano tut te le informazioni rilevanti; e, correggendo le quantità una ad una, egli potrà modificare in maniera appropriata le proprie disposizioni senza dover risolvere l’intero rompicapo ab initio o senza aver bisogno di riesaminarlo ad ogni stadio in tutte le sue ramificazioni. Fondamentalmente, in un sistema in cui la conoscenza di fatti rilevanti si trova dispersa tra molte persone, i prezzi pos sono servire a coordinare le azioni separate di persone diffe renti, allo stesso modo in cui i valori soggettivi aiutano l’indi viduo a coordinare le parti del suo piano. Vale la pena di esa minare per un momento un esempio molto semplice e comune — — —4 286 CONCETII E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA L’USO DELLA (ONOSCLEZA SF1 LA SOCIETÀ di funzionamento del sistema dei prezzi, per vedere quale funzione esso esplica precisamente. Assumiamo che da qual che parte nel mondo sia emersa una nuova occasione per l’uso di una materia prima, diciamo lo stagno, o che una delle fonti di approvvigionamento di stagno sia stata eliminata. Non ha importanza per il nostro scopo ed è significativo che non quale di queste due cause abbia determinato la ne abbia maggiore scarsità dello stagno. Tutto quello che devono sape re coloro che utilizzano questa materia prima è che parte del lo stagno che consumavano viene ora impiegato con maggiore profitto altrove e che, di conseguenza, loro devono economiz zare lo stagno. La maggior parte di loro non deve neppure sa pere dove si è creato questo bisogno più urgente o in favore di quali altri bisogni si dovrebbero economizzare i riforni menti. Se solo alcuni di loro sono direttamente a conoscenza della nuova domanda e trasferiscono lf le loro risorse, e se le persone che sanno del nuovo divario che si è creato in questo modo a loro volta lo colmano con altre fonti, l’effetto si pro pagherà rapidamente in tutto il sistema economico e influen zerà non solo tutti i possibili usi dello stagno, ma anche quelli dei suoi sostituti e dei sostituti di questi sostituti, l’offerta di tutte le cose fatte di stagno e dei loro sostituti, e cosf via; e tutto questo senza che la maggior parte di coloro che contri buiscono a effettuare queste sostituzioni sappia alcunché sulla causa originaria di questi cambiamenti. Il tutto funziona co me un mercato, non perché qualcuno dei suoi membri passi in rassegna l’intero campo, ma perché i loro limitati campi visivi individuali si sovrappongono in modo sufficiente affinché at traverso molti intermediari le informazioni rilevanti siano co municate a tutti. Il semplice fatto che ci sia un solo prezzo per ogni merce o piuttosto che i prezzi locali siano connes si in un modo determinato dal costo di trasporto, ecc. ge nera la soluzione cui avrebbe potuto giungere (ma è solo con cettualmente possibile) una singola mente in possesso di tutte le informazioni che di fatto si trovano disperse tra tutte le persone coinvolte in questo processo. — — — — 6. Dobbiamo guardare al sistema dei prezzi come ad un siffatto meccanismo atto a comunicare informazioni, se vo gliamo comprendere la sua reale funzione una funzione che, naturalmente, viene assolta in modo meno perfetto man — 287 mano che i prezzi diventano più rigidi (perfino quando i prez zi quotati sono diventati piuttosto rigidi, tuttavia, le forze che opererebbero attraverso cambiamenti nei prezzi ancora operano in misura considerevole tramite cambiamenti negli altri termini del contratto). Il fatto più significativo in questo sistema è costituito dall’economia di conoscenza con cui esso opera, o in altri termini da quanto poco devono sapere i par tecipanti individuali per essere in grado di agire nel modo giusto. In forma abbreviata, utilizzando una sorta di rappre sentazione simbolica, solo le informazioni più essenziali sono trasmesse e ritrasmesse e solo agli interessati. E più che ricor rere ad una metafora descrivere il sistema dei prezzi come una sorta di macchina per la registrazione dei cambiamenti, o come un sistema di telecomunicazione che consente ai singoli produttori di sorvegliare solo i movimenti di pochi indicatori come un ingegnere potrebbe sorvegliare le lancette di po chi quadranti per adattare le proprie attività a cambiamen ti di cui potrebbero non sapere mai nulla di più di quanto si riflette nel movimento dei prezzi. Com’è ovvio, questi aggiustamenti non sono probabil mente mai «perfetti», nel senso in cui l’economista li conside ra nella sua analisi dell’equilibrio. Ma temo che le nostre abi tudini teoriche di affrontare il problema assumendo la cono scenza più o meno perfetta da parte di quasi tutti ci abbia re so in qualche modo ciechi rispetto alla reale funzione del meccanismo dei prezzi e ci abbia portati ad applicare criteri piuttosto fuorvianti nel giudicare la sua efficienza. E prodi gioso che in un caso come quello della scarsità di una materia prima, senza che sia stato dato un ordine, senza che vi siano più di poche persone, forse, a conoscere le cause, decine di migliaia di persone, la cui identità non potrebbe essere accer tata con mesi cli indagine, siano portate ad utjlizzare questo materiale o i suoi prodotti con maggiore parsimonia; in altre parole, essi si muovono nella direzione giusta. Questo fatto è di per se stesso abbastanza prodigioso, anche se, in un mondo in continua trasformazione, non tutti sono tanto abili o fortu nati da mantenere i loro saggi di profitto allo stesso livello ge nerale o «normale». Ho utilizzato appositamente il termine «prodigioso» per scuotere il lettore dalla compiacenza con cui spesso diamo per scontato il funzionamento di questo meccanismo. Sono con— — -‘ 288 (ONCEITI E PROBLEMI DELL ECONOMIA TEORICA LOSO DELLA CONOSCENZA NLLLA SOCIETA vinto che se fosse il risultato di un disegno umano, e se le persone guidate dai cambiamenti di prezzi capissero che le lo ro decisioni hanno un’importanza che va ben al di là dei loro scopi immediati, questo meccanismo sarebbe stato acclamato come uno dei più grandi trionfi della mente umana. Per sua duplice disgrazia non è il prodotto di un disegno umano e inoltre le persone guidate da questo meccanismo di solito non sanno perché sono indotte a fare quello che fanno. Ma coloro e che non pos che reclamano una «direzione consapevole» sono credere che qualcosa che si è sviluppato senza un proget to (e perfino senza la nostra comprensione) dovrebbe risolve re problemi che noi non saremmo in grado di risolvere consa dovrebbero ricordare questo: il problema ri pevolmente guarda precisamente il modo in cui si può estendere il campo di utilizzazione delle risorse oltre il campo di controllo di ogni singola mente; e perciò esso riguarda anche il modo in cui fare a meno dell’esigenza di un controllo consapevole ed il modo in cui fornire incentivi che indurranno gli individui a fare le cose desiderate senza che qualcuno debba dire loro co sa fare. Il problema che incontriamo a questo punto non è per niente specifico della scienza economica, ma sorge in connes sione con quasi tutti i veri e propri fenomeni sociali, con il linguaggio e con la maggior parte della nostra eredità cultura le, e costituisce senza dubbio il problema teorico centrale di tutta la scienza sociale. Come ha detto Alfred Whitehead in un altro contesto, «l’idea che dovremmo coltivare l’abitudine di pensare a quello che stiamo facendo è un truismo profon damente sbagliato, ripetuto da tutti i manuali e dalle persone eminenti quando fanno un discorso. E precisamente il contra rio. La civiltà avanza man mano che cresce il numero di ope razioni importanti che possiamo compiere senza pensare». Questo fatto ha una rilevanza profonda in campo sociale. Noi usiamo continuamente formule, simboli e regole di cui non capiamo il significato, ma attraverso il loro uso ci serviamo della conoscenza che non possediamo individualmente. Ab biamo sviluppato queste pratiche ed istituzioni a partire da abitudini ed istituzioni che si sono dimostrate positive nella loro specifica sfera e che sono a loro volta diventate il fonda mento della civiltà che abbiamo costruito. Il sistema dei prezzi è solo una di quelle formazioni che — — 289 l’uomo ha imparato ad usare (sebbene sia ben lontano dall’u sarlo nel modo migliore) dopo che vi si è imbattuto senza ca pino. Attraverso di esso sono diventati possibili non solo la divisione del lavoro, ma anche l’utilizzazione coordinata delle risorse basata su una conoscenza ugualmente divisa. Quelli che deridono l’idea che le cose stiano proprio cosf di solito di storcono l’argomentazione insinuando che essa afferma che per un qualche miracolo si è sviluppato spontaneamente pro prio quel tipo di sistema che meglio si adatta alla civiltà mo derna. E esattamente il contrario: l’uomo è stato in grado di sviluppare quella divisione del lavoro sulla quale si fonda la nostra civiltà perché gli è capitato di imbattersi in un metodo che l’ha resa possibile. Se non l’avesse fatto, avrebbe potuto comunque sviluppare un altro tipo di civiltà del tutto diversa, qualcosa di simile allo «stato» delle termiti, o qualche altro ti po di civiltà del tutto inimmaginabile. Tutto quello che pos siamo dire è che nessuno è ancora riuscito a progettare un si stema alternativo, in cui possano essere conservati certi carat teri di quello esistente che stanno a cuore perfino a coloro che lo attaccano con maggiore violenza e cioè, in particola re, il fatto che l’individuo possa scegliere in larga misura i suoi obiettivi, e di conseguenza possa usare liberamente le sue conoscenze e le sue capacità. — 7. Per molti rispetti è una fortuna che la disputa sulla ne cessità del sistema dei prezzi per ogni calcolo razionale in una società complessa non si svolga più interamente tra campi ca ratterizzati da visioni politiche diverse. La tesi secondo cui senza il sistema dei prezzi non potremmo conservare una so cietà basata su una divisione del lavoro cosf estesa come la nostra venne salutata da un boato di derisione, quando venne avanzata per la prima volta da von Mises venticinque anni fa. Oggi le difficoltà che alcuni ancora incontrano ad accettarla non sono più principalmente di carattere politico, e questo rende l’atmosfera molto più favorevole ad una discussione ra gionevole. Le differenze non possono proprio essere più ascritte a pregiudizi politici, quando troviamo Leone Trotsky argomentare che «il calcolo economico è impensabile senza re lazioni di mercato», quando il Prof. Oscar Lange promette al Prof. von Mises una statua nelle sale di marmo del futuro Uf ficio Centrale del Piano, e quando il Prof. Abba P. Lerner ni -4 290 CON( ECU E PROBLEMI DELL’Li ONOMIA TEORICA LESO DILLA CONOSCEN/A NELLA scopre Adam Smith e sottolinea che l’utilità essenziale del si stema dei prezzi consiste nell’indurre l’individuo a fare gli in teressi generali mentre agisce per il suo interesse personale. Il dissenso residuo appare chiaramente dovuto a differenze di ordine puramente intellettuale, e più specificamente metodo logiche. Una recente affermazione di Joseph Schumpeter nel suo Capitalismo, socialismo e democrazia fornisce un chiaro esem pio di una delle differenze metodologiche che ho in mente. Questo autore è un economista preminente fra quelli che si accostano ai fenomeni economici alla luce di un certo tipo di positivismo. In linea con questa impostazione, i fenomeni economici gli appaiono quantità oggettivamente date di merci che vengono direttamente in urto l’una con l’altra, quasi senza alcun intervento delle menti umane. Solo parrebbe tenendo presente questo sfondo culturale posso spiegarne la stguente affcrmazione (per me sorprendente). Il Prof. Schum peter sostiene che la possibilità di un calcolo razionale in as senza di mercati dei fattori di produzione consegue per il teo rico «dalla proposizione elementare secondo cui, nel valutare (‘domandare’) beni di consumo, i consumatori valutano an che, ipso /acto, i beni strumentali che entrano nella loro pro duzione» Presa alla lettera, questa affermazione è semplicemente non vera. i consumatori non fanno niente del genere. Quello che il prof. Schumpeter probabilmente intende dire con «ipso Jacto» è che la valutazione dei fattori di produzione è implici ta nelle, o discende necessariamente dalle, valutazioni dei be — — (apzta/iim, hocialism ano Democracv, New York, Harper & Bros 1942, p. 175, irad. 0. Capitalismo, socialismo, democrazia, Milano, Etas Kompass, 1967, p. , 170. lI Prof. Schumpeter e anche, io credo, l’originario artefice del mito secondo il quale Pareto e Barone hanno <risolto,< il problema del calcolo socialista. In realtà, ciò che loro, e molti altri, hanno fatto è stato solamente di enunciare le condizioni che un’allocazione razionale delle risorse dovrebbe soddisfare e di far notare che queste condizioni sono essenzialmente le stesse che caratterizzano l’equilibrio di un mercato conrorrenziale. Si tratta di qualcosa di completamente diverso dal mostrare come l’allocazione d risorse che soddisfa queste condizioni possa essere individuata in pra tica. Lo stesso Pareto (da cui Barone ha tratto praticamente tutto quello che ha da dire), lungi dal pretendere di avere risolto il problema pratico, in effetti nega esplici tamente che questo problema possa essere risolto senza l’ausilio del mercaio. Si veda il suo Manuale di economia politica, Roma, Edizioni Bizzarri, 19652, pp.153-. Il 4 passo rilevante è citato all’inizio del mio articolo Socialisi calculation The competiti ve «Solution,<, in «Economica,>, N.S. VIII (1940), n. 26, p. 125; trad. t. Il calcolo so cialista 111: la «soluzione>< concorrenziale, in questo volume, cap. 10, pp. 193-4. socivl s 291 ni di consumo. Ma anche questo non è corretto. L’implicazio ne è una relazione logica che può ragionevolmente sussistere solo fra proposizioni simultaneamente presenti in una ed una stessa mente. E evidente, tuttavia, che i valori dei fattori di produzione non dipendono esclusivamente dalla valutazione dei beni di consumo, ma anche dalle condizioni di offerta dei vari fattori di produzione. Solo nel caso di una mente che co noscesse tutti questi fatti in maniera simultanea potremmo affermare che la risposta discende necessariamente dai fatti dati a quella stessa mente. Tuttavia, il problema pratico nasce precisamente perché questi fatti non sono mai dati ad una singola mente e perché, di conseguenza, è necessario che nella soluzione del problema venga utilizzata la conoscenza che si trova dispersa tra molte persone. Il problema non è in alcun modo risolto se possiamo di mostrare che tutti i fatti, se fossero noti ad una singola mente (allo stesso modo in cui assumiamo per ipotesi che siano dati all’economista osservatore), determinerebbero la soluzione in maniera univoca; invece dobbiamo mostrare come si arriva ad una soluzione tramite le interazioni di persone, ciascuna delle quali possiede solo una conoscenza parziale. Assumere che tutta la conoscenza sia in possesso di una singola mente, allo stesso modo in cui assumiamo che sia data a noi come econo misti impegnati nella ricerca di una spiegazione, significa sba razzarsi del problema ed ignorare tutto quello che è importan te e rilevante nel mondo reale. Il fatto che un economista del calibro del prof. Schumpe ter sia caduto in una trappola preparata per gli incauti dal l’ambiguità del termine «dato» non può essere spiegato come un semplice errore. Suggerisce piuttosto che c’è qualcosa di sostanzialmente sbagliato in un approccio teorico che ignora abitualmente una parte essenziale dei fenomeni con i quali abbiamo a che fare: l’inevitabile imperfezione della conoscen za umana e il conseguente bisogno di un processo per mezzo del quale la conoscenza sia costantemente comunicata ed ac quisita. Ogni approccio, come quello di molta economia ma tematica con le sue equazioni simultanee, che in effetti parte dal presupposto che le conoscenze della gente corrispondano ai latti oggettivi della situazione, lascia fuori sistematicamente quello che dobbiamo anzitutto spiegare. Non voglio affatto negare che nel nostro sistema l’analisi dell’equilibrio svolga 292 (ONCE T1 E PROBI1M( DFJ i ‘i CONOMIA TEOR(CA 6. Il significato della concorrenza una funzione importante. Ma quando si giunge al punto in cui quest’analisi conduce alcuni dei nostri migliori teorici a credere erroneamente che la situazione che l’analisi descrive abbia rilevanza diretta per la soluzione di problemi pratici, è giunto il momento di ricordare che essa non si occupa affatto del processo sociale e che non è altro che un’utile premessa per lo studio del problema principale. 1. A quanto sembra, gli economisti sono sempre più con sapevoli del fatto che ciò che hanno discusso negli ultimi anni sotto il nome di «concorrenza» non è la stessa cosa che viene chiamata in questo modo nel linguaggio corrente. Ma, benché ci siano stati alcuni coraggiosi tentativi in particolare, quelli di J.M. Clark di F. Machlup di riportare la di scussione su un terreno più concreto e di attirare l’attenzione sui problemi del mondo reale, i più sembrano ancora ritenere che il concetto di concorrenza correntemente impiegato dagli economisti sia quello rilevante e sembrano considerare come una sorta di abuso il concetto di concorrenza utiljzzato dagli uomini d’affari. Mi pare che l’opinione più diffusa sia che la cosiddetta teoria della «concorrenza perfetta» rappresenta il modello adeguato per giudicare l’efficacia della concorrenza nel mondo reale e che la concorrenza reale, in quanto differi sce da quel modello, è indesiderabile e persino dannosa. Per questo atteggiamento mi sembra ci siano ben poche giustificazioni. Nelle pagine seguenti cercherò di mostrare che non c’è motivo di chiamare «concorrenza» quanto viene discusso dalla concorrenza perfetta e che le conclusioni di questa teoria sono di scarsa utilità come guida agli interventi di politica economica. La ragione di tutto ciò, mi sembra, è che questa teoria assume invariabilmente che esista già quello stato di cose che, secondo la più valida concezione della teo ria che l’ha preceduta, il processo concorrenziale tende a rea — — Queto saggio riproduce, nella sostanza, la 5tajford Littie Lecture da me tenuta il 20 maggio 1946 presso l’Universita di Princeton. i J.M. Clark, Towards a Concept o/ Workable Competition, in «American Econo mic Review», 30 (1940), n. 2, pp. 241-36; JF. Machlup, Competition, Pliopoly, and Pro/it, in «Economica», N.S. IX (1942), pp. 133 73. 294 CONCETTI E PROBLEMI ORLI ECONOMIA TEORICA IL S1(,NiFICAIO DEI LA CONCORRÌ NZA lizzare (o ad approssimare) e che, se mai dovesse esistere ef fettivamente lo stato di cose presupposto dalla teoria della concorrenza perfetta, questo non solo toglierebbe ogni reale prospettiva a tutte le attività descritte dal termine «concor renza», ma le renderebbe addirittura praticamente impossibi li. Se tutto ciò riguardasse soltanto l’uso del termine «concor renza», la cosa non avrebbe poi una grande importanza. Ma sembra quasi che gli economisti, con questo peculiare uso del linguaggio, si autoingannino fino a credere che, quando ana lizzano la «concorrenza», essi stanno dicendo qualcosa che ri guarda la natura e il significato del processo attraverso il qua le si realizza quello stato di cose la cui esistenza essi si limita no a presupporre. In realtà, questa forza motrice della vita economica non viene quasi per nulla esaminata. Non intendo qui discutere in maniera approfondita le ra gioni per cui la teoria della concorrenza si è venuta a trovare in questa singolare situazione. Come ho detto in altre occa sioni 2, sembra che il metodo tautologico, che è appropriato e indispensabile per l’analisi delle azioni di un singolo indivi duo, sia stato in questo caso illegittimamente esteso a proble mi in cui ci si trova a dover esaminare un processo sociale nel quale le decisioni di molti individui si influenzano reciproca mente e si succedono necessariamente nel tempo. Il calcolo economico (o la Logica Pura della Scelta), che ha a che fare con il primo tipo di problemi, consiste in un apparato di clas sificazioni di possibili atteggiamenti umani e ci fornisce una tecnica che ci consente di descrivere le interrelazioni esistenti fra le varie parti di un unico piano. Le sue conclusioni sono implicite nelle ipotesi da cui parte: i desideri e la conoscenza dei fatti, che si suppone siano simultaneamente presenti ad una sola mente, determinano una soluzione unica. Le relazio ni discusse in questo tipo di analisi sono relazioni logiche, che riguardano esclusivamente le conclusioni che, nella mente del l’individuo che sta formulando i propri piani, discendono dal le premesse date. Tuttavia, quando abbiamo a che fare con una situazione in cui un certo numero di persone stanno cercando di elabora2 F A. llavek, ECOBOtÌIiCS imd Knou/edge, in Economica», N.S. IV (1937), pp. 33-54, trad. it. Economia e cono,cL’nza, in questo volume, cap. 3; e FA. Hayek, The Eacts of Social Scrcnces, in Indivzdualism and Economzc Order, Londo n, George Rou Iledge & Sons, 1948, cap. 3, pp. 57 76. 295 re i propri singoli piani, non possiamo più suppor re siano gli stessi per tutti coloro che stanno formul che i dati Il problema diventa allora quello di vedere in ando piani. quale modo i «dati» dei differenti individui, su cui essi basano ni, si aggiustino ai fatti oggettivi del loro ambientei propri pia de le azioni delle altre persone). Benché nella (che inclu questo tipo di problema si debba ancora far uso soluzione di della che ci permette di calcolare rapidamente le implicazionitecnica di un certo insieme di dati, in questo caso ci troviamo ad avere a che fare non solo con i molteplici e distinti insiem i di dati delle diverse persone, ma anche e questo è ancor più rile vante con un processo che comporta necessariamente cam biamenti continui dei dati dei diversi individui. Come stenuto in precedenti occasioni, il fattore causale entra ho so co sotto forma di acquisizione di nuove conoscenze in gio da parte dei diversi individui o di cambiamenti dei loro dati provoc ati dai contatti che essi hanno reciprocamente. La rilevanza di quanto ho detto per il problema che do discutere in questa sede appare chiara non appena inten si rammenti che la teoria moderna della concorrenza si occupa maniera quasi esclusiva di uno stato, detto di «equilibrio in con correnziale», in cui si suppone che i dati dei diversi individ ui si siano già tutti pienamente aggiustati gli urii agli altri, men tre il problema che richiede una spiegazione è quello alla natura del processo attraverso il quale si realizz relativo aggiustamento reciproco dei dati. In altri termini, a questo zione dell’equilibrio concorrenziale non si propon la descri e di asserire che, se ci trovassimo in queste o quelle nemmeno ne discenderebbero queste o quelle conseguenze, condizioni, semplicemente a definire certe condizioni in cui ma si limita sono già im plicitamente contenute le sue conclusioni condizioni che, in linea di principio, potrebbero anche esistere, ma si dice in quale modo potrebbero mai realizzarsi, che non ci cipare la conclusione principale di questo lavoro O, per anti frase, la concorrenza è per sua natura un processo in una sola cui caratteristiche essenziali vengono eliminate, dinamico le per ipotesi, dalle ipotesi che sottostanno all’analisi statica. — — — 2. Per mostrare nella maniera più chiara che la teoria mo derna dell’equilibrio concorrenziale presiqipone l’esistenza di quella situazione che come dovrebbe apparire da ogni au — 296 cut.icI eri E I’KOElìr.NII DELL’ECONOMiA TEORiCA IL SIGNIFICATO DELLA CONCORRENZA tentica spiegazione è il risultato del processo concorren ziale, è opportuno esaminare l’usuale lista di condizioni che si trova in un qualsiasi libro di testo moderno. Si noti, inci dentalmente, che quasi tutte queste condizioni non solo sot tostanno all’analisi della concorrenza «perfetta», ma vengono parimenti postulate nelle analisi dei vari mercati «imperfetti» o «monopolistici», analisi che invariabilmente presuppongono certi tipi di irrealistiche «perfezioni» Per gli scopi che qui ci prefiggiamo, tuttavia, la teoria della concorrenza perfetta rappresenta il caso più istruttivo da esaminare. E possibile che autori diversi enuncino in maniera diver sa l’insieme delle condizioni essenziali per la concorrenza perfetta; per i nostri scopi, tuttavia, il seguente elenco è pro babilmente più che sufficiente, dato che, come vedremo fra breve, queste condizioni non sono realmente indipendenti l’una dall’altra. Secondo il punto di vista generalmente accol to, la concorrenza perfetta presuppone: 1. che una merce omogenea venga offerta e domandata da un grande numero di venditori e compratori relativamen te piccoli, nessuno dei quali si aspetta di esercitare con le sue azioni una percepibile influenza sui prezzo; 2. che vi sia libertà di entrata nel mercato e che non sia no presenti altri vincoli al movimento dei prezzi e delle ri sorse; 3. che tutti coloro che operano nel mercato abbiano una conoscenza completa dei fattori rilevanti. A questo stadio dell’argomentazione non è il caso di chiedersi per quali scopi siano precisamente richieste queste condizioni oche cosa esattamente comporti l’ipotesi che esse siano date. E però necessario analizzare in maniera un po’ più approfondita il loro significato; e, a questo riguardo, è la terza condizione che appare critica e oscura. Il parametro di riferimento non può evidentemente essere la conoscenza per fetta di tutto ciò che riguarda il mercato da parte di ogni persona che opera nel mercato stesso. Non intendo soffer marmi in questa sede sul ben noto paradosso dell’effetto pa ralizzante che una conoscenza ed una capacità di previsione realmente perfette avrebbero su ogni azione . È pure ovvio 4 che non si risolve nulla assumendo che tutti sappiano tutto e che il vero problema consiste piuttosto nello spiegare in quale modo si può far sf che venga utilizzato quanto più è possibile delle conoscenze disponibili. Ma questo, nel caso di un’eco nomia concorrenziale, pone il problema di chiarire non tanto come si possano «trovare» le persone che dispongono delle migliori conoscenze, ma piuttosto quale tipo di ordinamento istituzionale è necessario alfine di attrarre verso una determi nata mansione quelle persone sconosciute che dispongono del le conoscenze specificamente adatte allo svolgimento di quella particolare mansione. Dobbiamo tuttavia cercare di capire un po’ meglio quale sia il tipo di conoscenza che si suppone si trovi in possesso di coloro che operano nel mercato. Se consideriamo il mercato di qualche tipo di bene di con sumo finale e incominciamo con l’esaminare la situazione dei produttori o venditori di questo bene, troviamo, innanzitut to, che si suppone che essi sappiano qual è il più basso costo a cui si può produrre la merce in questione. Eppure questa co noscenza, che si suppone sia data fin dal principio, è uno dei punti principali in cui la scoperta dei fatti può avvenire sol tanto attraverso il processo concorrenziale. A mio parere que sto è uno degli aspetti più importanti in cui il punto di par tenza della teoria dell’equilibrio concorrenziale elimina, per ipotesi, il compito principale che solo il processo concorren ziale può assolvere. La situazione è in un certo senso simile per quanto riguarda il secondo punto sul quale si suppone che i produttori siano pienamente informati: i desideri e le richie ste dei consumatori, inclusi i tipi di beni e servizi che essi do mandano ed i prezzi che sono disposti a pagare. A ben voler vedere, questi elementi non possono essere considerati fatti noti; piuttosto, essi dovrebbero essere visti come problemi, la cui soluzione dev’essere fornita dal processo concorrenziale. La stessa situazione si presenta anche dal lato dei consu matori o compratori. Di nuovo non è legittimo ipotizzare che le conoscenze, che si suppone essi possiedano in uno stato di equilibrio concorrenziale, siano a loro disposizione prima che incominci il processo concorrenziale. La loro conoscenza delle — ‘. In particolare, l’ipotesi che, per una ceita merce, debba vlgere sempre un zo unilorme in tutto il mercato, e l’ipotesi che i venditori conoscano la forma curva di domanda. prez della 297 i Si veda O. Morgenstern. Vo/t&’o,nmene \oraiuszc’t u,:d w:rtscoa9lzcbes Gletcb gewwht, in «Zeitschrift fhr Nationalòkonomieis, VI (1935), n. 3, pp. 337 37. 298 ( ()N( Liii i PROBLEMI DEI.I ‘ECONOMIA TEORICA alternative che sono loro aperte è il risultato di quanto accade sul mercato, di attività quali la pubblicità, ecc.; e l’intera or ganizzazione del mercato è principalmente finalizzata a soddi sfare l’esigenza di diffondere le informazioni sulle quali i compratori devono basare le proprie azioni. Il carattere peculiare delle ipotesi di partenza della teoria dell’equilibrio concorrenziale appare in maniera molto chiara se ci chiediamo quali delle attività che sono usualmente indi cate con il termine «concorrenza» sarebbero ancora possibili se quelle condizioni fossero tutte soddisfatte. Vale forse la pena di ricordare che, secondo Johnson, la concorrenza è «l’a zione mediante la quale ci si sforza di ottenere ciò che un al tro si sforza di ottenere nello stesso tempo». Ora, quanti de gli espedienti che vengono comunemente adottati a questo fi ne nella vita quotidiana sarebbero ancora possibili per un venditore che si trovasse ad operare in un mercato in cui do vesse vigere la cosiddetta «concorrenza perfetta»? La risposta, io credo, è proprio nessuno. Fare della pubblicità, tagliare i prezzi, migliorare (o «differenziare») la qualità dei beni e ser vizi prodotti sono tutte operazioni escluse per definizione: la «concorrenza perfetta» implica, in effetti, l’assenza di tutte le attività concorrenziali. Particolarmente degna di nota, a questo riguardo, è l’e splicita e completa esclusione dalla teoria della concorrenza perfetta di tutte le relazioni personali esistenti fra le varie parti in causa. Nella vita reale il fatto che la nostra cono scenza inadeguata delle merci o dei servizi disponibili sia compensata dai nostri rapporti diretti con le persone o le im che la concorrenza sia in larga mi prese che li producono sura concorrenza per acquisire una buona reputazione o un è uno dei fatti più impor buon avviamento commerciale risolve di re i nostri problemi quoti tanti che ci consentono in questo caso, è preci concor renza, della tunzion diani. La e samente quella di farci apprendere chi ci servirà meglio: quale droghiere o agenzia di viaggi, quale grande magazzino o al bergo, quale medico o avvocato ci si può aspettare che forni sca la soluzione più soddisfacente a qualsiasi particolare pro — IL SIGNWJCAIC) DELLA coM:0RRENZA 4 4 4 — Si sedA ci j. Stigler, ll’e [l’con o! Price. New York, The Macmiflan Companv, 1946, p 24: «Le relazioni economiche non sono mai perfettamente concorrenziali se implicano relationi personali di qualsiasi genere )ra le unità economiche” (si veda am che ilnd,’m, p. 226) 4 29 blema personale che ci si trovi a dover affrontare. Evidente mente in tutti questi campi la concorrenza può essere molto intensa, proprio perché i servizi delle varie persone o imprese non saranno mai esattamente uguali, ed è proprio in virtù di questa concorrenza che ci troviamo nella situazione di essere serviti cosf bene come effettivamente lo siamo. In effetti, le ragioni per cui la concorrenza in questo campo è definita im perfetta non hanno nulla a che vedere con il carattere concor renziale delle attività di questa gente; esse risiedono piuttosto nella natura delle merci o dei servizi stessi. Se non capita mai che due medici siano perfettamente uguali, questo non signi fica che la concorrenza fra di loro sia meno intensa, ma solo che qualsiasi livello di concorrenza fra di loro non produrrà mai esattamente quei risultati che si avrebbero se i loro servi zi fossero esattamente gli stessi. Non si tratta di una questio ne puramente nominale: parlare dei difetti della concorrenza, quando in effetti si sta parlando delle necessarie differenze fra merci e servizi, denota una confusione molto reale e porta talvolta a conclusioni assurde. Mentre a prima vista l’ipotesi riguardante la conoscenza perfetta posseduta dagli agenti può sembrare la più sorpren dente e artificiale fra tutte quelle su cui si basa la teoria della concorrenza perfetta, in effetti è possibile che questa ipotesi non sia altro che una conseguenza di un altro dei presupposti su cui si fonda la teoria in questione (ed è anche possibile che l’ipotesi di perfetta conoscenza trovi in quest’altro presuppo sto una sua parziale giustificazione). In effetti, se si comincia col supporre che un grande numero di persone producano la stessa merce ed abbiano le stesse possibilità e opportunità og gettive per farlo, allora si potrebbe davvero cercare (anche se, a quanto mi risulta, nessuno ci si è ancora provato) di dare una certa plausibilità all’idea che, con l’andar del tempo, que ste persone finiranno tutte per conoscere gran parte dei fatti rilevanti per giudicare il mercato di quella merce. Non solo ciascun produttore, basandosi sulla propria esperienza, finirà con l’apprendere gli stessi fatti che ogni altro produttore ap prende, ma egli finirà anche col sapere quello che gli altri san no e, di conseguenza, arriverà a conoscere l’elasticità della domanda per il proprio prodotto. In effetti la situazione in cui diversi produttori producono lo stesso prodotto nelle stes se condizioni è la più favorevole perché essi pervengano alle O1) o r ii 1’Rui3L t.ii i i-cor’.ONIIA ULORiLA conoscenze richieste dalla concorrenza perfetta. Forse questo non significa niente di più del fatto che le merci possono esse re identiche in quel senso che è l’unico rilevante per la com prensione dell’agire umano solo se la gente ha le medesime opinioni su di esse, anche se dovrebbe pure essere possibile enunciare un insieme di condizioni fisiche che siano partico larmente favorevoli al fatto che tutti coloro che hanno a che fare con un insieme di attività strettamente interrelate possa no apprendere i fatti rilevanti per le loro decisioni. Comunque sia, è chiaro che i fatti non saranno sempre co s favorevoli a questo risultato come nel caso in cui molte per sone si trovino perlomeno nelle condizioni di produrre lo stesso articolo. Dopo tutto, l’idea di un sistema economico divisibile in mercati separati per merci distinte è, in larghissi ma misura, il frutto dell’immaginazione degli economisti, e certamente non è la regola nell’ambito dell’industria manifat turiera e dei servizi personali, a cui fanno cosf ampiamente ri ferimento le discussioni relative alla concorrenza. In realtà, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, i prodotti di due produt tori non sono mai esattamente uguali, se non altro perché questi prodotti, al momento in cui lasciano i rispettivi im pianti, devono necessariamente trovarsi in posti diversi. Que ste differenze fanno parte dei fatti che danno vita al proble ma economico cosf come noi lo conosciamo, e non ci è certo di molto aiuto cercare di risolvere questo problema a partire dall’ipotesi che tali differenze non ci siano. La fiducia nei vantaggi della concorrenza perfetta porta spesso alcuni entusiasti a sostenere persino che si potrebbe pervenire ad un uso più vantaggioso delle risorse se la varietà di prodotti ora esistente venisse ridotta mediante una stan dardizzazione obbligatoria. Ora, in parecchi campi c’è indub biamente molto da dire a favore di una standardizzazione ot tenuta per mezzo di raccomandazioni o norme concordate, da applicarsi in assenza di requisiti differenti esplicitamente sta biliti nei contratti. Ma questo non ha nulla a che vedere con le richieste di chi ritiene che si debba trascurare la varietà di gusti della gente e che si debba sopprimere la continua speri mentazione di possibili miglioramenti al fine di ottenere i vantaggi della concorrenza perfetta. Non sarebbe ovviamente un miglioramento costruire tutie le case in maniera esatta mente identica allo scopo di creare un mercato perfetto delle li SIG\ii-i( ‘ IO Di LL ORRL 301 case, e lo stesso si può dire per quasi tutti gli altri campi in cui le differenze fra i singoli prodotti impediscono e impedi ranno sempre alla concorrenza di essere perfetta. 3. Possiamo probabilmente imparare di più sulla natura e sul significato del processo concorrenziale se mettiamo da parte, per il momento, le ipotesi artificiali che sottostanno al la teoria della concorrenza perfetta, e ci chiediamo invece se la concorrenza sarebbe meno importante nel caso che, ad esempio, due merci non fossero mai esattamente uguali. Se non fosse per la difficoltà di analizzare una simile situazione, varrebbe la pena di esaminare in maniera abbastanza appro fondita il caso in cui non è possibile classificare con facilità le varie merci in gruppi distinti, ma si ha invece a che fare con una gamma continua di sostituti stretti, tali che ciascuna uni tà è in qualche modo diversa da ogni altra, ma senza che vi sia alcuna pronunciata soluzione di continuità nella gamma di sostituti. I risultati dell’analisi della concorrenza in una situa zione di questo tipo potrebbero essere, per molti aspetti, assai più rilevanti per capire il mondo reale di quelli ottenibii dal l’analisi della concorrenza in una sola industria che produce una merce omogenea nettamente differenziata da tutte le al tre. O, se si dovesse pensare che il caso in cui due merci non sono mai esattamente uguali comporta ipotesi troppo strin genti, potremmo perlomeno passare a considerare il caso in cui due produttori non producono mai esattamente la stessa merce, come accade regolarmente non solo nell’ambito dei servizi personali, ma anche nei mercati di molti prodotti ma nifatturieri (ad esempio nel mercato dei libri o degli strumen ti musicali). Per gli scopi di questo lavoro, non è affatto necessario svi luppare un’analisi completa di questo tipo di mercati, ma è sufficiente chiedersi quale sarebbe il ruolo della concorrenza in mercati del genere. Anche se, naturalmente, il risultato non può che essere indeterminato (all’interno di margini piut tosto ampi), il mercato genererebbe ancora un insieme di prezzi ai quali ciascuna merce potrebbe essere venduta a con dizioni appena sufficienti per mettere fuori mercato i suoi po tenziali sostituti stretti e questo, di per sé, non è cosa da poco, quando si pensi a quali insormontabili dilficoltà si va incontro quando si cerca di individuare anche solo un sistema — 4 302 CUCETII E ‘RUBI EMI DElL’ECONOMIA TEORI( A IL SICNIFIC.Tt, DLI I. \ (0\CULRL\Z\ di prezzi di questo tipo mediante un qualsiasi altro metodo che non sia quello che opera nel mercato e che si basa su un processo di ripetuti tentativi ed errori, attraverso i quali i sin goli agenti apprendono gradualmente le circostanze rilevanti. E naturalmente vero che in un simile mercato ci si deve aspettare che i prezzi corrispondano ai costi marginali solo nella misura in cui l’elasticità della domanda di ciascuna mer ce si avvicina alle condizioni postulate dalla teoria della con correnza perfetta, ovvero nella misura in cui l’elasticità di so stituzione fra le varie merci tende all’infinito. Ma il punto è intesa come che in questo caso la concorrenza perfetta ideale di perfezione, o come qualcosa di desiderabile, a cui si è del tutto irrilevante. Il termine di confron deve mirare to, rispetto al quale si dovrebbero giudicare i risultati rag giunti dalla concorrenza, non può essere una situazione che differisce dai fatti oggettivi e che non si può ottenere con al cun mezzo noto; dovrebbe piuttosto essere la situazione che esisterebbe se si impedisse alla concorrenza di funzionare. La verifica dovrebbe basarsi non sulla capacità di avvicinarsi ad un ideale irraggiungibile e privo di senso, ma piuttosto sulla capacità di realizzare dei miglioramenti rispetto alle condizio ni che esisterebbero se non ci fosse concorrenza. In condizioni del tipo sopra indicato, quali differenze ci sarebbero fra una situazione in cui la concorrenza fosse «libe ra» nel senso tradizionale e la situazione che si verrebbe a creare se, ad esempio, solo le persone in possesso di una spe cifica autorizzazione potessero produrre determinate cose, o se i prezzi fossero fissati da una qualche autorità, o se si veri ficassero entrambe le circostanze? Chiaramente, non soio non ci sarebbe alcuna probabilità che le varie cose venissero pro dotte da quelli che lo sanno far meglio e che quindi potrebbe ro farlo al costo più basso, ma non ci sarebbe nemmeno alcu na probabilità che venissero prodotte tutte quelle cose che i consumatori preferirebbero, se avessero possibilità di scelta. Ci sarebbe ben poca relazione fra i prezzi effettivi e il costo minimo a cui qualcuno sarebbe in grado di produrre queste merci; in realtà, le stesse alternative fra cui tanto i produttori quanto i consumatori si troverebbero in condizione di dover scegliere, e cioè i loro dati, sarebbero completamente diffe renti da quelle che prevarrebbero in condizioni concorren ziali. — — i i 3 i i i 303 In tutto questo, il vero problema non è quello di appurare se sia possibile ottenere date merci e dati servizi a costi margi nali dati, ma quello di individuare quali merci e servizi sono in grado di soddisfare i bisogni della gente nella maniera più economica possibile. Da questo punto di vista, la soluzione del problema economico della società è sempre un viaggio esplorativo nell’ignoto, un tentativo di scoprire nuovi modi di fare le cose in maniera migliore di quella in cui sono state fat te in precedenza. E sarà sempre cosf fino a quando ci saranno problemi economici da risolvere, perché tutti i problemi eco nomici sorgono a causa di cambiamenti imprevisti che richie dono qualche adattamento, Solo ciò che non è stato previsto, e a cui non si è già provveduto, richiede nuove decisioni. Se non fosse più necessario alcun adattamento di questo genere, se in qualsiasi momento dovessimo venire a sapere che tutti i cambiamenti sono cessati e che le cose continueranno per sempre ad essere esattamente quelle che sono ora, non reste rebbe più da risolvere alcun problema relativo all’uso delle ri sorse. Una persona che si trovi a possedere quelle conoscenze o quelle capacità esclusive che gli permettono di ridurre del 50 per cento il costo di produzione di una merce rende ancora un enorme servizio alla società se entra nella produzione di quella merce e ne riduce il prezzo solo del 25 per cento non solo attraverso quella riduzione di prezzo, ma anche at traverso i suoi risparmi addizionali di costo. Ma è solo per mezzo della concorrenza che si può supporre che questi possi bili risparmi di costo saranno effettivamente realizzati. An che se in ciascun singolo caso i prezzi fossero abbassati solo quanto basta a non far entrare i produttori che non godono di questi vantaggi o di altri equivalenti (sicché ciascuna merce verrebbe prodotta nella maniera più economica possibile, an che se molte potrebbero essere vendute a prezzi considerevol mente superiori ai costi), questo sarebbe pur sempre un risul tato che, con ogni probabilità, non potrebbe essere raggiunto con alcun altro metodo che non sia quello di lasciar operare la concorrenza, — 4. Nel mondo reale la situazione di due produttori non è mai, in pratica, la stessa; questo dipende da fattori che la teo ria della concorrenza perfetta, concentrandosi su un equili 504 (ON( ir I ri brio di lungo periodo che in un mondo continuamente mute vole non può mai essere raggiunto, finisce con l’eliminare. In ogni dato momento gli impianti di una certa impresa sono sempre largamente determinati da accidenti storici; il proble ma, allora, è di vedere come l’impresa possa utilizzare nella maniera migliore possibile gli impianti dati (incluse le capaci tà acquisite dei suoi dipendenti), e non di stabilire che cosa essa dovrebbe fare se le fosse concesso tempo illimitato per adattarsi a condizioni invarianti. Per quanto riguarda il pro blema della migliore utilizzazione di un ammontare dato di ri sorse durevoli, ma esauribili, i prezzi di equilibrio di lungo periodo, di cui finisce necessariamente per occuparsi una teo ria che abbia per oggetto la concorrenza «perfetta», non sono semplicemente irrilevanti, ma anche fonte di possibili errori; in effetti, le conclusioni di politica economica, a cui perviene chi si serve di questo modello, sono altamente fuorvianti e addirittura pericolose. L’idea che in condizioni «perfettamen te» concorrenziali i prezzi dovrebbero essere uguali ai costi di lungo periodo porta spesso ad approvare pratiche antisociali ad esempio, a sostenere la necessità di una «concorrenza ordinata», che garantisca un giusto rendimento sul capitale, e a pretendere la distruzione della capacità in eccesso. In effet ti, è sorprendente vedere quante volte l’entusiasmo per la concorrenza perfetta nella teoria si trovi a convivere con il so stegno dei monopoli nella pratica. Questo è, tuttavia, solo uno dei molti punti in cui il fatto di trascurare l’elemento tempo rende l’immagine teorica della concorrenza perfetta cosf abissalmente lontana da tutto ciò che è rilevante per la comprensione del processo concorren ziale. Se, come si dovrebbe, si pensa a questo processo come ad una successione di eventi, diventa ancora più evidente che, in ogni momento. nel mondo reale ci sarà, di norma, un soio produttore che è in grado di produrre un dato bene al co sto più basso e che può di fatto vendere questo bene ad un prezzo inferiore al costo del concorrente che viene immedia tamente dopo di lui nella scala del successo, ma che spesso, mentre sta ancora cercando di estendere il proprio mercato, sarà superato da qualcun altro, che a sua volta non riuscirà ad impadronirsi di tutto il mercato per l’entrata in gioco di un altro ancora, e cosf via. E chiaro che un mercato del genere non potrebbe mai trovarsi in uno stato di concorrenza perfet — Il SIGNII-ICA 1 PROBLEMI I)E1i ‘ECOM)MIA iIrORlCA ro 3U5 DELLA CONCDRRLN/A ta, e purtuttavia in questo mercato la concorrenza non solo potrebbe essere intensissima, ma rappresenterebbe anche il fattore essenziale nel far si che, in ogni momento, il bene in questione venga offerto ai consumatori ad un prezzo tanto basso quanto si può sperare di ottenere con ogni metodo noto. Quando poniamo a confronto un mercato «imperfetto» come quello appena visto con un mercato relativamente «per fetto», come, ad esempio, quello del grano, ci troviamo ora nelle condizioni di far emergere in maniera più chiara la di la stinzione che è stata alla base di tutta questa discussione distinzione, cioè, fra i fatti oggettivi che sottostanno ad una certa situazione e che non possono essere modificati dall’attività umana e la natura delle attività concorrenziali. mediante le quali gli uomini si adattano alla situazione stessa. Dove vi sia, come accade nel secondo caso, un mercato altamente or ganizzato di una merce completamente standardizzata e pro dotta da molti produttori, c’è ben poco bisogno delle attività concorrenziali, e non c’è nemmeno un grande campo di azio ne per queste attività, dato che la situazione è tale che le con dizioni che le attività concorrenziali potrebbero realizzare so no già soddisfatte fin dall’inizio. I modi migliori di produrre la merce in questione, le sue caratteristiche ed i suoi possibili usi, sono quasi sempre noti, più o meno nella stessa misura, a tutti i membri del mercato. La conoscenza di ogni cambia mento importante si diffonde cosi rapidamente, e l’adatta mento ai cambiamenti si realizza cosi in fretta, che di solito si trascura semplicemente quanto accade durante questi brevi periodi di transizione e ci si limita a confrontare i due stati di quasi-equilibrio che esistono prima e dopo di essi. Ma è du rante questo breve e trascurato intervallo che operano e di vengono visibili le forze della concorrenza, e sono proprio gli eventi che si verificano durante questo intervallo che dobbia mo studiare, se vogliamo «spiegare» il successivo equilibrio. E soio in un mercato in cui l’adattamento è lento rispetto al saggio di cambiamento che il processo concorrenziale è continuamente all’opera. Ed anche se è possibile che la ragio ne per cui l’adattamento è lento stia nel fatto che la concor ad esempio perché ci sono ostacoli partico renza è debole mercato, o a causa di qualche altro fattore nel lari all’entrata non è affatto vero che un del tipo dei monopoli naturali — -— —, 306 CONCETTI E PROBLEMI DLII ‘ECONOMIA TEORICA adattamento lento significhi necessariamente una concorrenza debole. Quando la varietà di quasi-sostituti è grande e rapida mente mutevole, quando ci vuole molto tempo per individua re i meriti relativi delle alternative disponibili, o quando la ri chiesta di un’intera classe di beni o servizi si manifesta soio in maniera discontinua, ad intervalli irregolari, l’aggiustamen to non può che essere lento, anche se la concorrenza è forte ed attiva. La confusione fra i fatti oggettivi della situazione e la na tura delle risposte che gli uomini danno ad essa tende ad oscurare il fatto importante che la concorrenza è tanto più ri levante quanto più complesse o «imperfette» sono le condizio ni oggettive in cui essa si trova a dover operare. In realtà, so no propenso a sostenere che la concorrenza, lungi dall’essere benefica solo quando è «perfetta», è soprattutto necessaria in quegli ambiti in cui la natura delle merci o dei servizi è tale che la concorrenza stessa non potrà mai generare un mercato perfetto nel senso della teoria. Le effettive e inevitabili im perfezioni della concorrenza non costituiscono certamente un argomento contro la concorrenza, cosf come la difficoltà di ri solvere in maniera perfetta qualsiasi altro problema non rap presenta certo un argomento contro il tentativo di risolverlo, o come uno stato di salute imperfetto non costituisce un argo mento contro la salute in quanto tale. In una situazione in cui non riusciremo mai a far sf che molte persone offrano lo stesso prodotto o servizio omoge neo, a causa della natura continuamente mutevole dei nostri bisogni e delle nostre conoscenze, o anche dell’infinita varietà delle attitudini e capacità umane, lo stato ideale non può es sere uno stato che presupponga l’esistenza di un grande nu mero di prodotti o di servizi che abbiano tutti le stesse carat teristiche. Il problema economico è quello di fare il miglior uso possibile delle risorse che effettivamente abbiamo, e non quello di stabilire che cosa dovremmo fare se la situazione fosse diversa da quella che è effettivamente. Non ha senso parlare dell’uso delle risorse «come se» esistesse un mercato perfetto, se questo significa che le risorse dovrebbero essere diverse da quello che sono, o discutere ciò che farebbe una persona dotata di conoscenze perfette, se il nostro compito è necessariamente quello di fare il miglior uso possibile delle conoscenze in possesso delle persone esistenti. IL SIGNIFICATO DLLLA CONCORRENZA 307 5. L’argomento a favore della concorrenza non si basa sul le condizioni che esisterebbero se la concorrenza fosse perfet ta. Anche se è vero che, qualora i fatti oggettivi fossero tali da consentire alla concorrenza di avvicinarsi alla perfezione, questo assicurerebbe anche l’uso più efficiente delle risorse, ed anche se ci sono, di conseguenza, motivi più che validi per rimuovere gli ostacoli posti dagli uomini alla concorrenza, questo non significa che la concorrenza non permetta di con seguire un uso tanto efficiente delle risorse quanto si può spe rare di ottenerlo con qualsiasi mezzo noto anche quando, per la natura stessa della situazione, essa non può essere che im perfetta. Anche se la libertà di entrata non dovesse garantire niente di più del fatto che, in ogni momento, vengono effetti vamente prodotti tutti i beni e i servizi che, di fatto, verreb bero richiesti se fossero disponibili, e che questi beni e servizi vengono prodotti con il minor dispendio corrente di risorse con cui possono essere prodotti in quella data situazione sto rica (benché il prezzo che viene fatto pagare al consumatore sia considerevolmente più alto e solo appena inferiore al costo a cui potrebbero essere soddisfatti i suoi bisogni se si facesse ricorso alla tecnica che si colloca al gradino immediatamente a mio parere inferiore nella scala dell’efficienza), questo è sempre più di quanto ci si possa aspettare da ogni altro si stema noto. Il punto decisivo è ancora quello, del tutto ele mentare, che è assolutamente improbabile che, in assenza di quegli ostacoli artificiali che l’attività governativa può creare o rimuovere, qualsiasi merce o servizio sia disponibile, per un certo intervallo di tempo, solo ad un prezzo a cui i concorren ti potenziali potrebbero aspettarsi un profitto maggiore di quello normale se decidessero di entrare nel settore. A mio avviso, la lezione pratica che si deve trarre da tutto questo è che ci si dovrebbe preoccupare molto meno del fatto che, in una data situazione, la concorrenza sia perfetta, e molto di più del fatto che ci sia concorrenza in assoluto. Ciò che nascondono i nostri modelli teorici, basati sull’idea di in dustrie separate, è che, in pratica, la distanza che separa la concorrenza dall’assenza di concorrenza è molto maggiore di quella che separa la concorrenza perfetta dalla concorrenza ‘ — — 6 Nel presente contesto, il costo corrente» esclude tutto ciò che appartiene real mente al passato, ma include, naturalmente, il «costo d’uso». 308 UN( FILI E PROBI BALI DFLI ‘RC ONOMLA ILURI( A imperfetta. E, tuttavia, la tendenza che prevale nel dibattito corrente è quella di essere intolleranti per quanto riguarda le imperfezioni, e di tacere invece sugli impedimenti alla con correnza. Con ogni probabilità, possiamo ancora imparare di più sul reale significato della concorrenza studiando gli effetti che si manifestano regolarmente quando la concorrenza viene deliberatamente soppressa piuttosto che concentrandoci sui difetti che la concorrenza reale presenta rispetto a un ideale irrilevante per i fatti cosf come sono. Ho usato apposta l’e spressione «quando la concorrenza viene deliberatamente sop pressa», invece di dire semplicemente «quando non c’è con correnza», perché di solito i suoi effetti più importanti sono ugualmente all’opera, anche se in maniera più lenta, finché la concorrenza non venga completamente soppressa con l’aiuto o con la tolleranza dello Stato. I danni che, come ci mostra l’esperienza, fanno regolarmente seguito alla soppressione della concorrenza si collocano su un piano diverso da quello su cui si collocano i danni che possono essere causati dalle im perfezioni della concorrenza. Molto più serio del fatto che i prezzi possano non corrispondere ai costi marginali è il fatto che, con un monopolio ben protetto, è assai probabile che i costi siano molto più alti del necessario. D’altro canto, un monopolio basato su una maggiore efficienza fa relativamente pochi danni, fino a quando vi sia la sicurezza che esso sparirà non appena qualcun altro diventi più efficiente nel soddisfare le esigenze dei consumatori. Per concludere, vorrei ritornare per un momento al punto in cui sono partito e ripresentare la concluslone più importan te in una forma più generale. La concorrenza è essenzialmen te un processo di formazione delle opinioni; diffondendo le intormazioni, essa crea quell’unità e quella coerenza del siste ma economico che noi presupponiamo quando pensiamo a questo sistema come ad un solo mercato. Essa crea le opinioni della gente su ciò che è meglio e più a buon mercato; ed è proprio in virtù della concorrenza che la gente giunge perlo meno a sapere che esistono tutte quelle possibilità e quelle opportunità di cui, di fatto, è a conoscenza. La concorrenza è un processo che comporta un cambiamento continuo dei dati; è quindi inevitabile che il suo significato non possa essere col to da qualsiasi teoria che tratta questi dati come costanti. 7. La concorrenza come procedura per la scoperta del nuovo 1• È difficile difendere gli economisti dall’accusa di avere discusso, negli ultimi 40 o 50 anni, la nozione di concorrenza a partire da ipotesi che, se si applicassero veramente al mondo reale, renderebbero la concorrenza stessa del tutto insignifi cante e inutile. Se qualcuno realmente sapesse tutto su ciò che la teoria economica chiama i dati, la concorrenza sarebbe in effetti un metodo molto inefficiente per assicurare l’aggiu stamento rispetto a questi fatti. Non sorprende quindi che al-. cuni siano giunti alla conclusione che o possiamo fare del tut to a meno del mercato, oppure possiamo utilizzare i suoi ri sultati solo come un primo passo per ottenere un output di beni e servizi che possiamo poi manipolare, correggere o redi stribuire come vogliamo. Altri, che probabilmente hanno tratto il loro concetto di concorrenza esclusivamente dai libri di testo recenti, sono giunti alla conclusione peraltro natu rale, date le premesse che la concorrenza non esista. Con tro questa interpretazione, è opportuno ricordare che, in tutti i casi in cui si può giustificare razionalmente il ricorso alla concorrenza, questo avviene sulla base del fatto che noi non conosciamo in anticipo i fatti che determinano le azioni di co loro che operano nel sistema concorrenziale. Negli sport o ne gli esami, cosi come nel conferimento di commesse governati ve o di premi di poesia, sarebbe chiaramente inutile organiz zare una competizione, se si sapesse in partenza chi sarà il mi — — 4 ia Questa conferenza è stata orzgmariamente presentata, senza I attuElC paragrafo 2. ad un incontro del/a Phzladelphia Societ-v a Chicago in data 29 marzo I 9 9 e m seguito ma za l’attuale paragrafo conclusivo, e stata presentata in tedesca all i,. moro ‘or U ‘e/tu ‘rrt schatt de/lt T niverirtà di Kwl in data 5 lulzo I 908 So/o l ieri zone tedes.a E s!aiu 1 oszo pubblicata, dapprima nella serie di ,Kzeler ‘Lortrage \ .5 IVI Io(s Krel. e successi vamente nella mia raccolta di saggi zntztolta freiburger Studien Gesanmnsclie Auf siitze, Tubingen, f.C B. Mohr und P .5/chi-ch, 19(9. 310 CONtI-T’i I- PROBLEMi DELl ECONOMIA TEORICA gliore. Come dice il titolo di questa conferenza, propongo di considerare la concorrenza una procedura per la scoperta di fatti che, senza di essa, nessuno conoscerebbe o perlomeno nessuno utilizzerebbe Tutto ciò può sembrare a prima vista cosf ovvio e inconte stabile da non meritare alcuna attenzione. Eppure alcune con seguenze interessanti non cosf ovvie derivano immediatamen te dalla formulazione esplicita dell’apparente truismo sopra menzionato. La prima è che la concorrenza ha valore solo per ché, e in quanto, i suoi risultati sono imprevedibili e nel com plesso diversi da quelli che qualcuno si è proposto, o si sareb be potuto proporre, di raggiungere in maniera deliberata. Un’altra conseguenza è che gli effetti in generale benefici del la concorrenza devono comportare la frustrazione o la manca ta realizzazione di alcune particolari aspettative o intenzioni. Strettamente legata alle precedenti è anche un’interessan te conseguenza metodologica. Essa spiega perché l’approccio microeconornico alla teoria è caduto in discredito. Questa teoria, sebbene sia a mio avviso la sola in grado di spiegare il ruolo della concorrenza, non è più compresa, perfino da alcu ni che si professano economisti. Vale quindi la pena di intro durre subito qualche considerazione sulle particolari caratteri stiche metodologiche di ogni possibile teoria della concorren za, dato che queste caratteristiche hanno finito col rendere sospette le conclusioni cui di necessità pervengono tutte que ste teorie a molti di coloro che abitualmente adottano un cri terio di verifica semplicistico per decidere ciò che sono dispo sti ad accettare come scientifico. La conseguenza necessaria della ragione per cui ricorriamo al sistema concorrenziale è che, nei casi in cui il suo impiego si rivela interessante, la validi tà della teoria non può mai essere verificata empiricamente. Possiamo verificarla sulla base di modelli concettuali e po tremmo anche, in linea di principio, verificarla in situazioni reali create artificialmente, in cui i fatti che la concorrenza dovrebbe scoprire sono già noti all’osservatore. Ma in questo caso la verifica non ha alcun valore pratico, per cui non var rebbe la pena di sostenere delle spese per compiere l’esperi Quando queste pagine erano gia state scritte, mi è stato segnalato un articolo di L. von Wiese dal titolo Dre Konkzin’enz, voswiegcnd in sozzologzsch-systematzschet l3etrachtung, in Verhandlungen des 6 Derstschen Sozzologentages, 1929, nel quale, a p. 27, viene discusso il carattere «sperimentale> della concorrenza. IL Sl(,NIFICAIO DELLA (ONCORRt-’ZA 311 mento. Se non conosciamo i fatti che speriamo di scoprire per mezzo della concorrenza, non sappiamo mai quanto questa sia stata efficace nello scoprire i fatti che potevano essere scoper ti. Tutto quello che possiamo sperare di scoprire è che, nel complesso, le società che a questo scopo si affidano alla con correnza raggiungono i loro obiettivi in misura maggiore di altre; conclusione, questa, che la storia della civiltà mi sembra avere assolutamente confermato. tratto che essa ha in La particolarità della concorrenza nel fatto che consiste scientifico metodo il con comune non si può verificare il suo operato in casi particolari in cui la sua presenza si dimostra rilevante, ma solo mediante il fatto che il mercato prevale nei confronti di ogni soluzione alterna tiva. I vantaggi che derivano da procedure scientifiche conso lidate non sono mai dimostrabili scientificamente, ma solo at traverso l’esperienza comune secondo la quale, nel complesso, queste procedure sono più adatte a produrre risultati positivi di altri sistemi alternativi”. La differenza tra la concorrenza economica e le migliori procedure scientifiche sta nel fatto che il primo è un metodo atto alla scoperta difatti particolari, rilevanti per il consegui mento di obiettivi specifici e temporanei, mentre la scienza mira a scoprire quelli che chiamiamo a volte «fatti generali», cioè le regolarità insite in determinati complessi di eventi. La scienza si interessa difatti unici e particolari solo nella misura in cui essi servono a confermare o a invalidare delle teorie. Poiché riguardano caratteristiche generali, permanenti della realtà, le scoperte della scienza hanno tempo in abbondanza per provare la loro validità. Al contrario i benefici di fatti particolari, la cui utilità viene scoperta dalla concorrenza nel mercato, sono in larga misura transitori. Per quanto riguarda la teoria del metodo scientifico, sarebbe altrettanto facile screditarla sulla base del fatto che essa non permette di elabo rare predizioni verificabili su quello che la scienza scoprirà, quanto è facile screditare la teoria del mercato perché non — — . Reylec 3 Si vedano gli interessanti studi di M. Polanvi in lix Loc of Liieri tions and Rejoinders, London, Routledge and Kegan Paul, 1951, clic spiegano in guai modo, partendo dallo studio del metodo scientifico, egli sia stato indotto a passare allo studio della concorrenza nella vita economica; si veda anche KR Popper, liSe Logic o! Scienlzfic Discot’ery, London, Tlutchison, 1959; trad, it. La logica della sco perta scienti/ica, Torino, Einaudi, 1981. 312 Cu\ ii’n s rituso i.ioi ijnt i ‘LCoNoIoIA FEORICA 11 SRNii i( 5.50 DFLLA CON( ORiCF\ZA riesce a prevedere i risultati specifici che saranno conseguiti dal mercato. Questo la teoria della concorrenza non può far lo, per sua stessa natura, in ogni caso in cui è ragionevole utilizzarla. Come vedremo, la sua capacità di previsione si limita necessariamente al tipo di struttura o al carattere astratto dell’ordine che si verrà a formare, ma non si esten de alla previsione difatti particolari’. 2. Ora che mi sono liberato di questo problema che mi sta particolarmente a cuore, riprendo l’argomento centrale di questa conferenza, facendo presente che a volte la teoria economica sembra essa stessa impedirsi fin dall’inizio una reale comprensione del carattere proprio del processo con correnziale, in quanto parte dall’ipotesi che esista un’offerta «data» di beni scarsi. Ma quali beni siano scarsi, o quali co se siano beni e quanto essi siano scarsi o di valore que sto è precisamente ciò che la concorrenza deve scoprire. Soltanto i risultati provvisori del processo di mercato, consi derati ad ogni singolo stadio, indicano agli individui che co sa devono cercare. L’utilizzazione della conoscenza, che si trova ampiamente dispersa in una società caratterizzata da un’estesa divisione del lavoro, non può basarsi sul presuppo sto che gli individui siano a conoscenza di tutti gli usi speci fici ai quali possono essere destinate le cose che loro ben conoscono nel loro ambiente abituale. I prezzi dirigono l’at tenzione degli individui verso quello che vale la pena di sco prire su ciò che il mercato offre per quanto riguarda i vari beni e servizi. Questo significa che la combinazione, per al cuni aspetti sempre unica, di conoscenze e capacità indivi duali, che il mercato consente ai singoli di utilizzare, non è semplicemente, e nemmeno prevalentemente, una conoscen za di fatti che gli individui potrebbero elencare e comunica re su richiesta di una qualsiasi autorità. La conoscenza di cui parlo consiste piuttosto nella capacità di scoprire circo stanze particolari, capacità che diventa effettiva solo se co loro che possiedono questa conoscenza vengono a sapere dal — Sulla nat,ir,t dllc predizioni di struttura» i veda il mio saggio dal titolo i l’e 1heor—s of ( ooiplex T’hzuomena, in Studws in Phz/osopht Politici and [Icona mito. London and llenles Routledge aud Kegais Paul, 1967, pp 22 42. , J j j 313 mercato quali generi di beni o servizi sono richiesti e con quale urgenza Queste considerazioni dovrebbero essere sufficienti ad in dicare il tipo di conoscenza a cui mi riferisco quando defini sco la concorrenza una procedura per la scoperta. Ci sarebbe molto da aggiungere per ricoprire le nude ossa di questa affer mazione astratta con la carne della concretezza, per mostrar ne tutta l’importanza pratica. Ma mi devo accontentare di far presente con queste brevi osservazioni l’assurdità del modo di procedere usuale, che consiste nell’iniziare l’analisi ipotizzan do una situazione in cui si suppone che tutti i fatti siano noti. Si tratta di uno stato di cose che la teoria economica chiama curiosamente «concorrenza perfetta» e che in realtà non lascia alcuno spazio all’attività chiamata concorrenza, che si presu me abbia già portato a termine il suo compito. Devo tuttavia procedere ad esaminare un problema sul quale la confusione è perfino maggiore: si tratta precisamente di vedere quale signi ficato si debba attribuire all’affermazione secondo la quale il mercato adegua spontaneamente le sue attività ai fatti che scopre, o anche di chiarire quale sia lo scopo per cui il merca to utilizza queste informazioni. La confusione che regna a questo proposito è dovuta più che altro al fatto che l’ordine prodotto dal mercato viene trat tato erroneamente come un’<economia», nel senso più ristret to e preciso del termine, e al fatto che i risultati del processo di mercato vengono giudicati sulla base di criteri che si dimo strano appropriati solo nel caso di una singola comunità orga nizzata, che persegue dei fini secondo un ordine gerarchico dato. Ma una gerarchia di fini di questo tipo non è rilevante in relazione alla complessa struttura formata da innumerevoli decisioni economiche individuali. Purtroppo definiamo anche quest’ultima con lo stesso termine «economia», anche se si tratta di qualcosa di completamente diverso, che deve essere giudicato sulla base di parametri differenti. Un’economia, nel senso stretto del termine, è un’organizzazione o una struttura Cfr. Sarnuel Johnson in James Boswell, Li/e o/ amuel JoIm.son, to,t,ethe, wzth ]ournal 0/ a Toar fo the Ifebrzdes aiid fohnson i Dta,-i o! a lourno’ (iito \‘o,iì’ Wals, revisione dell’edizione di GB. Hill a cura di L.F. Powell, Oxlord, Clarendon Press. 1934, voI. Il, p. 365 (18 aprile 1775). trad. is l’da di .Samzel Johnsun. Milano. zanti, 1982: tELa conoscenza è di due tipi: o conosciamo noi stessi un determinatoGar gomento, o sappiamo dove si possono trovare le informazioni che lo riguardano». ar - 314 1 ONI I III I ROttI I 1511 DE I ‘ECONOMIA LLORI( A IL SIC,NII ICATO DLI LA IONI OII 15/A in cui qualcuno assegna deliberatamente risorse ad un insieme di fini disposti secondo un ordine unitario. L’ordine sponta neo prodotto dal mercato non è niente del genere; e sotto al cuni aspetti importanti non si comporta come un’economia propriamente detta. In particolare un ordine spontaneo di questo tipo differisce dall’altro perché non garantisce che i bi sogni ritenuti comunemente più importanti siano sempre sod disfatti prima di quelli meno importanti. Questa è la ragione principale per cui molti si oppongono a quest’ordine sponta neo. In effetti il socialismo, in tutte le sue varianti, non è al tro che la richiesta che l’ordine di mercato (o catallassi, come preferisco chiamarlo, per evitare ogni confusione con un’eco nomia propriamente detta) venga trasformato in un’econo mia in senso stretto, in cui una comune scala di importanza determini quale dei diversi bisogni debba essere soddisfatto e quale no. Questo obiettivo socialista solleva due ordini di problemi. l)a un lato, come avviene in ogni organizzazione retta da un disegno deliberato, solo le conoscenze dell’organizzatore pos sono entrare a far parte del piano che regola il funzionamento dell’economia strettamente intesa; dall’altro, tutti i membri di una siffatta economia, concepita come un’organizzazione retta da un disegno deliberato, vengono necessariamente gui dati nelle loro azioni dalla gerarchia unitaria di fini che essa persegue. D’altra parte i vantaggi dell’ordine spontaneo di mercato, o catallassi, sono pure di due tipi: in primo luogo, le conoscenze utilizzate in questo tipo di ordine sono quelle di tutti i suoi membri; in secondo luogo, i fini perseguiti sono quelli ben distinti dei diversi individui, in tutta la loro varietà e contraddittorietà. Proprio da qui nascono alcune difficoltà di ordine intellet tuale che non preoccupano solo i socialisti, ma tutti gli econo misti che intendono valutare i risultati raggiungibili mediante l’ordine di mercato; infatti, se l’ordine di mercato non perse gue un ordine ben definito di fini, se in realtà, come ogni or dine che si è formato spontaneamente, non si può dire che abbia fini specifici, non è nemmeno possibile esprimere il vaPer un esame più .ìppro[ondito di questo argomento si veda ora la mta opera Law, Lego iaizon and Liherty: /1 .\ ew Statemeni o! the Liberai Prineipies o Jiotzce ami Political Econoorv, voI 11, Ibe .llirage o/ Socwl ]ustice, London, Routledge and Ke gan Paul, 1976, pp. 107.20. 515 lore dei risultati come somma dei suoi specifici prodotti indi viduali. Allora che cosa vogliamo dire quando affermiamo che l’ordine di mercato genera, in un certo senso, un massimo o un ottimo? Il fatto è che, sebbene di un ordine spontaneo, che non sia stato creato per uno scopo particolare, non si possa pro priamente dire che ha uno scopo, nondimeno quest’ordine può risultare assai favorevole al conseguimento di molti scopi individuali che, nel loro complesso, non sono noti a nessun singolo individuo e nemmeno a gruppi relativamente piccoli di persone. In effetti l’azione razionale è possibile solo in un mondo che presenta un certo ordine. Pertanto è perfettamen te ragionevole tentare di produrre condizioni che, per ogni individuo preso a caso, rendono molto elevate le probabilità di conseguire i propri fini nel modo migliore possibile an che se non si può prevedere quali particolari fini saranno fa voriti e quali no. Come abbiamo visto, i risultati di ogni procedura per la scoperta del nuovo sono imprevedibili; e tutto quello che ci possiamo aspettare adottando una procedura efficace per la scoperta del nuovo è di migliorare le probabilità di riuscita di persone sconosciute. L’unico fine comune che possiamo per seguire mediante la scelta di questa tecnica per dare un ordi ne alla vita sociale è soltanto la forma generale, ovvero il ca rattere astratto, dell’ordine che si verrà a formare. — 3. Gli economisti di solito descrivono l’ordine creato dalla concorrenza come uno stato di equilibrio un termine poco felice, perché tale equilibrio presuppone che tutti i fatti da scoprire siano già stati scoperti e che la concorrenza abbia pertanto cessato di esistere. Il concetto di «ordine», che, per lomeno nella discussione di problemi di politica economica, preferisco a quello di equilibrio, ha il vantaggio di consentirci di parlare a buon diritto di un ordine al quale ci si avvicina progressivamente per gradi e la cui esistenza può essere pre servata anche nel corso di un processo di cambiamento. Men tre non esiste mai realmente uno stato di equilibrio economi co, si può affermare con ragione che ci si avvicina effettiva mente molto al tipo di ordine, di cui la nostra teoria prsenta un modello ideale. Quest’ordine si manifesta in primo luogo nel fatto che le — 1(, ( t)N( bili i- PRulil )-J\ii DEi1’ECeORllA i bORICA li ,ioMFICA’i O DLLL \ O, IRRLLA 31 aspettative legate a transazioni da effettuarsi con altri mem bri della società, aspettative su cui si basano i piani di tutti i vari soggetti economici, finiscono periopiù per realizzarsi. Questo reciproco aggiustamento dei piani individuali è pro dotto da quello che, da quando anche le scienze fisiche hanno incominciato ad interessarsi di ordini spontanei, o di «sistemi che si auto-organizzano», abbiamo imparato a chiamare «feed back negativo». In realtà, come riconoscono i biologi ben in formati, «molto prima che Claude Bernarde, Clerk Maxwell, Walter B. Cannon o Norbert Wiener sviluppassero la ciber netica, Adam Smith aveva già utilizzato chiaramente questa idea ne La ricchezza delle nazioni. La “mano invisibile” che regolava i prezzi alla perfezione è chiaramente questa stessa idea. In un mercato libero, dice Smith in effetti, i prezzi sono regolati da un feedback negativo» Che un alto grado di coincidenza fra le aspettative possa realizzarsi solo attraverso il fatto che alcuni tipi di aspettative vengono sistematicamente frustrati riveste, come vedremo, un’importanza cruciale per la comprensione del funzionamen to di un ordine di mercato. Ma il reciproco aggiustamento dei piani individuali non costituisce l’unico risultato ottenuto dal mercato. Questo infatti garantisce che qualunque cosa venga prodotta sia di fatto prodotta da persone che lo possono fare più a buon mercato di (o perlomeno altrettanto a buon merca to di) chiunque non produce quella cosa (e non può dedicare le sue energie a produrre qualcos’altro che sia relativamente ancor più a buon mercato), ed inoltre garantisce che qualun que prodotto venga venduto ad un prezzo più basso di quello a cui chiunque di fatto non lo produce potrebbe offrirlo. Questo non esclude, naturalmente, che alcuni possano realiz zare profitti considerevoli rispetto ai costi che sopportano, se questi costi sono molto più bassi di quelli del produttore po tenziale che più si avvicina loro per efficienza. Ma questo vuoi dire che, dato il paniere di beni che di fatto viene pro dotto, il livello di produzione che si ottiene con il sistema concorrenziale è almeno altrettanto elevato quanto lo sarebbe il livello di produzione raggiungibile con ogni altro metodo conosciuto. Non sarà naturalmente pari a quello che si po trebbe ipoteticamente ottenere se tutte le conoscenze cbe ognuno possiede o può acquisire fossero controllate da un unico ente e venissero inserite in un computer (il costo di un simile esperimento sarebbe, tuttavia, considerevole). Ma non si rende giustizia ai risultati ottenuti dai mercato se li si giu dica, per cosi dire, dall’alto, mettendoli a confronto con un li vello ideale che non sappiamo assolutamente come raggiunge re. Dovremmo invece giudicarli dal basso, e cioè confrontan doTi con quanto saremmo in grado di ottenere con ogni altro metodo conosciuto; in particolare, nel caso in esame, dovrem mo porre a confronto i risultati Ottenuti dal mercato con quello che verrebbe prodotto se si escludesse la concorrenza, cosf che solo coloro ai quali una qualche autorità avesse con ferito il diritto di produrre o vendere cose particolari fossero autorizzati a farlo. A questo riguardo basta considerare quan to sia difficile in un sistema concorrenziale scoprire dei modi per offrire ai consumatori beni migliori o meno costosi di quelli che già sono in grado di ottenere. Laddove sembrano esistere delle opportunità inutilizzate, scopriamo di solito che esse restano tali perché il loro sfruttamento è impedito dal potere dell’autorità (come nel caso in cui viene applicato per legge un sistema di licenze), o da qualche uso illegittimo di potere, da parte di privati, che la legge dovrebbe proibire. Non si deve dimenticare, a questo riguardo, che il merca to si limita soltanto a farci avvicinare a un qualche punto su quella superficie n-dimensionale, mediante la quale la teoria pura rappresenta la frontiera di tutte le possibilità a cui si po trebbe portare la produzione di ogni paniere composito, defi nito da una certa combinazione proporzionale di merci e ser vizi. La determinazione della particolare combinazione di be ni che viene effettivamente prodotta, e della loro distribuzio ne fra gli individui, viene lasciata dal mercato, in larga misu e, in questo senso, al caso. ra, a circostanze imprevedibili Come aveva già intuito Adam Smith, è come se avessimo stabilito di comune accordo di partecipare ad un gioco affida to in parte all’abilità e in parte alla fortuna. Questo gioco concorrenziale, pur lasciando in una certa misura al caso la quota di ciascun individuo, garantisce che l’equivalente reale Fdtc. New York, New Ameriran Librarv, Men. Adam Smith, The Theo;y of .Vora/ Sentimenti, London. A. Millar, 1759, parte VI, cap. 2, penultimo paragrafo, e parte VII, sezione Il. eap I Gj. 11ardn. .\atere a’:i il&,: br Book, 1961 p. 54 — 318 CONCETrI E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA della quota di ognuno, qualunque essa sia, sia il più grande che riusciamo a ottenere. Per usare un linguaggio di moda, non si tratta di un gioco a somma zero, ma di un gioco in cui, se si rispettano le regole, si aumenta la posta da divide re, lasciando in gran parte al caso le quote individuali della posta in gioco. Una mente che conoscesse tutti i fatti po trebbe scegliere un punto qualunque a piacere sulla superfi cie e distribuire questo prodotto nel modo che ritenesse giu sto. Ma l’unico punto sulla, o ragionevolmente vicino alla, frontiera delle possibilità di produzione che sappiamo come raggiungere è quello a cui arriviamo se lasciamo che sia il mercato a determinano. Naturalmente, il cosiddetto «massi mo» che raggiungiamo in questo modo non può essere defi nito come una somma di cose specifiche, ma solo in funzio ne delle possibilità che offre a persone sconosciute di otte nere l’equivalente reale maggiore possibile per le loro quote relative, che vengono determinate parzialmente dal caso. E seriamente fuorviante valutare i risultati di una catallassi co me se si trattasse di un’economia, semplicemente perché i suoi risultati non possono essere valutati in base ad una sin gola scala di valori, come nel caso di un’economia propria mente detta. 4. Considerare l’ordine di mercato come un’economia che può e deve soddisfare bisogni diversi secondo un certo ordine di priorità si dimostra un’idea sbagliata specialmente nel caso in cui la politica economica si sforza di correggere i prezzi e i redditi nell’interesse della cosiddetta «giustizia so ciale». Qualunque sia il significato che i filosofi sociali han no attribuito a questa espressione, nella pratica della politica economica il concetto di «giustizia sociale» ha quasi sempre voluto dire una e una sola cosa: la protezione accordata ad alcuni gruppi contro l’inevitabile discesa dalla posizione ma teriale, assoluta o relativa, di cui hanno goduto per un certo tempo. Ma questo è un principio che non si può assumere come regola generale di comportamento senza distruggere le fondamenta dell’ordine di mercato. Non solo l’aumento con tinuativo, ma in determinate circostanze perfino il mero mantenimento del livello esistente dei redditi dipendono dall’adattamento a cambiamenti imprevisti. Questo fatto im plica necessariamente che la quota relativa, e forse anche as IL SIGNIFICATO DELLA CONCORRENZA 319 soluta, di alcuni deve essere ridotta, anche se questi indivi dui non sono in alcun modo responsabili di quanto accade. Bisogna tenere sempre presente che tutti gli aggiustamenti economici sono resi necessari da mutamenti imprevisti; e il motivo fondamentale per cui si utilizza il sistema dei prezzi è che questo comunica agli individui che quello che fanno, o possono fare, è diventato più o meno richiesto per motivo di cui non sono responsabili. L’adattamento qualche ro ordine di attività alle mutate circostanze si basa dell’inte sul che vengono modificate le remunerazioni derivate da fatto attività, senza alcuna considerazione per i meriti o le diverse colpe di coloro che ne sono oggetto. Il termine «incentivo» viene spesso impiegato a questo proposito con connotazioni in qualche modo fuorvianti, come se il problema principale fosse quello di indurre la gente ad essere sufficientemente attiva. Ma le informazioni tali offerte dai prezzi non riguardano tanto il modo fondamen re, quanto che cosa fare. In un mondo in continua in cui agi trasforma zione anche il puro mantenimento di un dato livello chezza richiede cambiamenti incessanti di direzione di ric sforzi di alcuni, cambiamenti che si potranno ottenere degli la remunerazione di alcune attività aumenta e quella solo se di diminuisce. Con questi aggiustamenti, che in condizioni altre rela tivamente stabili sono necessari anche soltanto per mantenere costante il flusso di reddito, non si rende disponibile «surplus» che possa essere utilizzato per compensare alcun coloro che sono svantaggiati dai cambiamenti di prezzo. Solo in un sistema in rapida crescita si può sperare di evitare gruppi vedano peggiorare la propria posizione in che alcuni termini asso luti. A questo proposito gli economisti moderni spesso trascurare il fatto che la relativa stabilità, sembrano che tano molti di quegli aggregati che la macroeconomja presen conside ra come dati, è essa stessa il risultato di un processo microe conomico, di cui i cambiamenti dei prezzi relativi costituisco no una parte essenziale. E solo grazie al meccanismo di mer cato che qualcuno viene indotto ad intervenire e a riempire il vuoto dovuto al fatto che qualcun altro non riesce a soddisfa re le aspettative dei suoi simili. In effetti tutte di domanda e di offerta aggregata con le quali ci queste curve piace opera re non sono fatti, dati realmente in modo oggettivo, ma risul 320 CONCETTI E PROBLEMI DELL’ECONOMIA ThORICA li. SIGNIFICATO DELLA CONCORRENZA tati del processo concorrenziale, che continua incessantemen te. E non possiamo certo sperare di venire a sapere dalle sta tistiche quali variazioni di prezzi o di redditi sono necessarie per realizzare gli aggiustamenti richiesti dagli inevitabili cam biamenti. Tuttavia il punto principale consiste nel fatto che, in una democrazia, sarebbe assolutamente impossibile imporre dei cambiamenti che non sono considerati giusti e di cui non si può mai dimostrare chiaramente la necessità. In un sistema politico di questo tipo una regolamentazione deliberata deve sempre mirare a garantire dei prezzi che sembrino equi. Que sto significa in pratica conservare la tradizionale struttura dei redditi e dei prezzi. Un sistema economico in cui ciascuno ot tiene quello che gli altri pensano che si meriti sarebbe neces a prescindere dal sariamente un sistema molto inefficiente in modo intol oppressivo sistema un anche sarebbe che fatto lerabile. E molto probabile, perciò, che qualsiasi «politica dei redditi» impedisca, invece di facilitare, quei cambiamenti del la struttura dei prezzi e dei redditi che sono necessari per adattare il sistema alle nuove circostanze. Uno dei paradossi del mondo contemporaneo consiste proprio nel fatto che i paesi comunisti sono probabilmente più liberi dei paesi «capitalisti» dall’incubo della «giustizia so ciale» e più inclini a lasciare che portino il peso della situazio ne coloro che subiscono gli effetti negativi dei cambiamenti di circostanze. Perlomeno alcuni tra i paesi occidentali sem brano senza speranza da questo punto di vista, proprio per ché l’ideologia che domina la loro politica rende impossibili i cambiamenti necessari perché la posizione della classe lavora trice migliori abbastanza rapidamente da portare alla scom parsa di questa ideologia. — 5. Se anche nei sistemi economici più sviluppati la concor renza è importante come processo esplorativo in cui si cerca no opportunità inutilizzate che, una volta scoperte, possono essere sfruttate anche da altri, questo è tanto più vero per i paesi sottosviluppati. Finora mi sono deliberatamente concen trato sul problema della conservazione di un ordine efficiente in situazioni in cui la maggior parte delle risorse e delle tecni che sono note alla generalità dei partecipanti e gli adattamen ti continui delle varie attività, effettuati al fine di mantenere ( 321 un dato livello di redditi, sono resi necessari da cambiamenti che sono, per forza di cose, solo di secondaria importanza. Non intendo occuparmi qui del ruolo che la concorrenza in dubbiamente svolge nel favorire il progresso delle conoscenze tecnologiche. Voglio però sottolineare il fatto che il ruolo del la concorrenza è necessariamente ancora più importante in paesi in cui la sua funzione principale è quella di scoprire le opportunità ancora sconosciute, insite in sistemi sociali che in passato non hanno sperimentato alcuna forma attiva di con correnza. Può non essere del tutto assurdo, anche se fonda mentalmente sbagliato, credere che possiamo prevedere e controllare la struttura della società che risulterà dagli ulterio ri progressi tecnologici che avranno luogo nei paesi già alta mente sviluppati. Ma è semplicemente fantastico credere che possiamo predeterminare la struttura sociale in un paese in cui il problema principale è ancora quello di scoprire quali ri sorse umane e materiali siano disponibili, o anche credere che per un paese del genere possiamo prevedere le conseguenze specifiche di qualsiasi misura si decida di adottare. A parte il fatto che in questi paesi c’è tanto di più da sco prire, vi è anche un’altra ragione per cui la più grande libertà di concorrenza sembra ancora più importante li che nei paesi più avanzati. Ed il motivo è che i necessari cambiamenti di usi e costumi si realizzano solo se i pochi individui desiderosi e capaci di sperimentare nuovi metodi sono posti in condizio ne di far sf che la maggioranza non possa fare a meno di se guire il loro esempio e, al tempo stesso, sono in grado di indi care loro la strada da percorrere. Il necessario processo di sco perta viene ostacolato o impedito se i più sono in grado di co stringere i pochi innovatori ad attenersi ai metodi tradiziona li. Naturalmente uno dei motivi principali dell’avversione nei confronti della concorrenza è costituito proprio dal fatto che questa non solo mostra come le cose si possono fare in modo più efficiente, ma pone anche coloro che per i loro redditi dipendono dal mercato di fronte all’alternativa tra imitare quelli che hanno più successo e perdere in parte o del tutto il loro reddito. In questo modo la concorrenza produce una sorta di costrizione impersonale che pone numerosi individui nella ne cessità di modificare la propria vita in un modo che nessuna disposizione esplicita e nessun ordine deliberato potrebbero mai produrre. Una direzione centrale a servizio della cosid 322 CONCETTI E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA detta «giustizia sociale» può essere un lusso che le nazioni ric che si possono permettere, forse per molto tempo, senza un deterioramento consistente dei loro livelli di reddito. Ma non è certo un metodo con cui i paesi poveri possono accelerare il loro adattamento a circostanze in rapida evoluzione, adatta mento da cui dipende la loro possibilità di sviluppo. Forse è opportuno ricordare, a questo proposito, che le possibilità di sviluppo di un paese sono probabilmente tanto maggiori quanto più vaste sono le sue opportunità non ancora sfruttate. Per quanto strana questa idea possa sembrare a pri ma vista, un alto tasso di crescita è spesso la prova del fatto che in passato delle opportunità sono state trascurate. Cosf, in taluni casi un alto tasso di crescita dev’essere interpretato come prova delle cattive politiche del passato piuttosto che come indice delle buone politiche del presente. Di conseguen za è irragionevole attendersi nei paesi già molto sviluppati un tasso di crescita tanto alto quanto quello che si può ottenere per un po’ di tempo nei paesi in cui precedentemente ostacoli istituzionali e legali hanno impedito a lungo un’utilizzazione efficiente delle risorse. Secondo la mia esperienza, la percentuale di individui che sono pronti a sperimentare nuove opportunità, se queste sem brano promettere condizioni di vita migliori e se non lo impe discono le pressioni degli altri, è più o meno la stessa dapper tutto. L’assenza, molto deplorata, di spirito d’iniziativa in molti paesi nuovi non costituisce una caratteristica immodifi cabile dei singoli abitanti, ma è la conseguenza di limitazioni imposte dai costumi e dalle istituzioni esistenti. Perciò in queste società sarebbe esiziale permettere alla volontà collet tiva di dirigere gli sforzi degli individui, invece di limitare il potere del governo alla protezione degli individui contro le pressioni della società. E possibile ottenere questa protezione delle iniziative e delle imprese private solo mediante l’istitu zione della proprietà privata e l’introduzione dell’intero com plesso di istituzioni legali proprie della tradizione liberale.