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Conoscenza, mercato pianificazione

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Conoscenza, mercato pianificazione
I grandi economisti contemporanei
llezione di
Nell ambito della sezione di economia di questa «Co in collalica,
pubb
ino
Mul
testi e di studi», la Società editrice il
no, una se
borazione con l’Istituto Bancario San Paolo di Tori economisti
di
gran
ai
cati
dedi
i
rie organica di volumi antologic
un autore,
contemporanei. Ogni volume raccoglie, di ciasc
ettivo di
l’obi
con
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ordin
i
e
scelt
contributi più significativi,
produzione
delineare un quadro articolato e completo della sua Stefano Za
e
i
scientifica. La serie è curata da Terenzio Cozz
magni.
i
n A. von Haye
Friearic
•
Conoscenza, mercato
pianificazione
•
Saggi di economia e di epistemologia
I primi volumi sono dedicati a:
PIERO SRAFFA
FRIEDRICII A. VON HAYEK
Ro F. HARROD
OHN R. HICKS
TJALLING C. KOOPMANS
HERBERT A. Si’1oN
3
JAMES TOBIN
ARROW
KENNETH
AMARTYA K. SEN
J.
Istituto Bancario San Paolodi Torino
Società editrice il Mulino
Bologna
Indice
I1L.h
d
Introduzione, di Franco Donzelli
p.
9
PARTE PRIMA. METODOLOGIA ED EIISTEMOLOGIA DELLE
SCIENZE SOCiALI: 1NDIVIDUALISMO METODOLOGICO
E CRITICA DELLO SCIENTISMO
1. Lo scientismo e lo studio della società
2. La presunzione del sapere
97
211
PARTE SECONDA. CONCETTI E PROBLEMI DELL’ECONO
MIA TEORICA: EQUILIBRIO, CAPITALE, CONCORREN
ZA E DIVISIONE DELLE CONOSCENZE
HAYEK, FriedrichA. von
Conoscenza, mercato, pianificazione. Saggi di economia e di epistemologia / Friedrich A. von Hayek. Bologna 11 Mulino, 1988.
531 p. 21 cm. (Collezione di testi e studi. Economia).
Serie dedicata ai Grandi economisti contemporanei.
iSBN 88-15-01407-1
1. Economia Studi 2. Economia Teorie.
330.15
-
-
Copyright © 1988 by Società editrice il Mulino, Bologna. Traduzione
Anna Cimino (saggi 1 e 4-15). Edizione italiana a cura di Franco Donzelli.
di
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,
compresa la fotocopia anche ad uso interno o didattico non autorizzata.
.
3. Economia e conoscenza
227
4. Equilibrio e capitale
253
5. L uso della conoscenza nella societa
277
6. Il significato della concorrenza
293
7.
La concorrenza come procedura per la scoperta
del nuovo
309
PARTE TERZA. TEORIA ECONOMICA DEL SOCIALISMO E
DELLA PIANIFICAZIONE: UN ESAME CRITICO
8. Il calcolo socialista I: la natura e la storia del
problema
323
6
Introduzione
1NDICf
9. Il calcolo socialista Il: lo stato del dibattito
p. 357
(1935)
10. Il calcolo socialista III: la «soluzione» concorren
393
ziale
11. La nuova confusione relativa alla «pianifica
423
zione»
IARTE QUARTA. TEORIA E POLITICA ECONOMICA: CICLO,
INFLAZIONE, DISOCCUPAZIONE, MONETA E POLITI
CHE KEYNESIANE
12. Aspettative di prezzo, perturbazioni monetarie e
investimenti sbagliati
13. L’«effetto Ricardo»: tre delucidazioni
14. Inflazione, distribuzione distorta del lavoro e di
soccupazione
15. La possibilità di scegliere fra differenti valute:
un modo per fermare l’inflazione
Bibliografia delle opere di Friedrich A. von Hayek
441
439
477
495
313
•
Economia e conoscenza
1. L’ambiguità del titolo di questo saggio non è affatto ca
suale. L’argomento principale che in esso si affronta è, ovvia
mente, il ruolo che ipotesi e proposizioni relative al grado di co
noscenza di cui dispongono i diversi individui della società rico
prono nell’analisi economica. Ma tutto questo non è in alcun
modo slegato dall’altra questione che potrebbe essere oggetto
di analisi e di discussione sempre sotto il medesimo titolo; la
questione cioè della misura in cui l’analisi economica formale
trasmette una qualche forma di conoscenza di ciò che avviene
nel mondo reale. In verità, sosterrò che le tautologie, di cui es
senzialmente consta l’analisi formale di equilibrio nella scienza
economica, possono essere trasformate in proposizioni capaci
di dirci qualcosa sui nessi causali del modo reale, solo nella mi
sura in cui si riesce a dotare queste proposizioni formali di ben
definite e precise qualificazioni per quel che concerne il modo
in cui la conoscenza viene acquisita e trasmessa. Per dirla in
breve, argomenterò che l’elemento empirico nella teoria econo
mica la sola parte che non si occupa semplicemente di trarre
delle implicazioni, ma di individuare cause ed e/Jetti, la sola par
te, quindi, che porta a trarre conclusioni di cui, almeno in linea
di principio, è possibile effettuare la verifica
consiste di
proposizioni relative ai modi d’acquisizione della conoscenza.
Forse dovrei iniziare col rammentare al lettore un fatto al
quanto interessante e cioè che in parecchi dei tentativi più re
centi, svolti in diversi campi allo scopo di far progredire l’inda
gine teorica oltre i limiti segnati dalla tradizionale analisi di
equilibrio, si è constatato che la soluzione a tali tentativi ha
ruotato attorno ad un problema che, anche se non completa
—
—
O, piuttosto, falsificazione. Ci r. K. Popper. Luzk der !ursci’u’:p, \X’ien,
Springer, 1935; trad. it. Logica della scoperta czeiitif rea, lorino, Finaudi, 19S1.
J•
228
(USCiI
i 1,111
.‘.It Oli i
CC
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i.ok,i
mente, coincide con quello che io mi trovo qui ad affrontare,
vale a dire il problema della previsione. Ritengo che il campo
in cui la discussione delle ipotesi relative alla previsione ha per
la prima volta attratto una vasta attenzione sia stato, come è
d’altronde lecito aspettarsi, la teoria del rischio 2, Lo stimolo
che in questa direzione ha esercitato l’opera del prof. Fu.
Knight deve ancora dimostrare la sua profonda influenza, ben
oltre il suo campo specifico. Non molto più tardi le ipotesi sul
ia capacità di previsione si sono dimostrate di fondamentale
importanza per risolvere i rompicapo della teoria della concor
renza imperfetta, del duopolio e dell’oligopolio. E da allora è
diventato sempre più chiaro che, nella trattazione dei problemi
più «dinamici» delle teorie monetarie e delle fluttuazioni indu
striali, un ruolo parimenti centrale è svolto dalle ipotesi circa la
previsione e l’anticipazione del futuro, e che in particolare i
concetti propri dell’analisi formale di equilibrio, quale quello
di un saggio di interesse di equilibrio, trasferiti in questi campi
di analisi, possono essere adeguatamente definiti soltanto in
termini di ipotesi cocernenti la capacità di previsione. La situa
zione sembra qui consistere nel fatto che, prima di poter spie
gare perché la gente commette errori, dovremmo anzitutto es
sere in grado di spiegare perché mai i soggetti dovrebbero esse
re sempre nel giusto. In generale, sembra pertanto che si sia
giunti al punto in cui tutti sono consapevoli del fatto che il
concetto stesso di equilibrio può essere specificato e chiarito
solo ricorrendo ad ipotesi concernenti le previsioni; anche se,
tuttavia, non vi è accordo completo su quali esattamente deb
baiio essere tali ipotesi. Questo problema ci terrà impegnati
più avanti. Al momento mi interessa solamente mostrare che
allo stato attuale, sia che si vogliano definire i confini dell’ana
lisi economica statica, sia che si voglia procedere oltre essa,
non è possibile sfuggire al dibattuto problema dell’esatta collo
cazione che nel nostro schema di ragionamento devono ricopri
re le assunzioni sulla capacità di previsione. Può tutto ciò esse
re meramente casuale?
Come ho già suggerito, la ragione di ciò penso si possa rin
venire nel fatto che abbiamo qui a che fare con un aspetto solo
2 Una più completa rassegna del processo mediante il quale l’importanza delle
aspettative ha acquisito gradualmente peso nell’analisi economica dovrebbe probabil
mente cominciare con Apprec:aiion ami fnteresi, Ne York, Macmtllan, 1896, del
piof. Irving Fischer.
.(.(‘\>usi..\
‘i
\/.\
22u
particolare di una questione di portata ben pia vasta e che
avremmo dovuto affrontare molto prima. Questioni essenzial
mente simili a quelle menzionate sorgono, in effetti, non appe
na si cerchi di applicare il sistema di tautologle cioè quell’in
sieme di proposizioni che sono necessariamente vere in quanto
mere trasformazioni delle ipotesi di partenza e che rappresen
tano il contenuto principale dell’analisi di equilibrio — alla si
tuazione di una società costituita da parecchie PCSO indi
pendenti. E da tempo che mi sono reso conto che il concetto
stesso di equilibrio, e i metodi che vengono impiegati nell ana
lisi pura, acquistano un significato chiaro e preciso solamente
quando il loro uso è confinato all’analisi dell’azione di Lm sin
golo soggetto. Quando invece i medesimi concetti e metodi
vengono applicati alla spiegazione delle interazioni di un certo
numero di individui diversi, allora stiamo passando ad una dif
ferente sfera d’indagine e in realtà finiamo con l’introdurre si
lenziosamente nell’analisi un elemento dal carattere completa
mente diverso.
Sono certo che sono parecchi coloro che valutano con im
pazienza e sfiducia la generale tendenza, intrinseca alla rnoder
na analisi di equilibrio, a trasformare la scienza economica in
una branca della logica pura, cioè in un insieme di proposizioni
autoevidenti che, al pari della matematica o della geometria,
sono soggette a nessun’altra prova che a quella della coerenza
interna. Tuttavia, sembra che il solo rimedio a questa situazio
ne consista nello spingere sufficientemente a fondo il processo
stesso. Nell’estrarre dal nostro ragionamento sui fatti della vi
ta economica quelle parti che sono veramente a priori non solo
isoliamo, in tutta la sua purezza, una componente del nostro
—
Mi preme cluarire in d’ora che in questo lai oi >‘c.o I erm.oc s.iis.ilIsi di
librio’, nell ‘accezione risi reti a nella quale esc r isu I .> equi’. ale tue a cii is il
I lans Maver ha chiamato l’approccio >.junzionale’. in opp.-. /ione .I quell>’ .Cenetico
causale.o e associato a quella che e stata vagamente desci tua orue la .scuo.a male
manca>. E intorno a questo approccio che si i svllup ata necli unici Il) o 1 5 anni la
maggior parte della discussione teorica E ben sero che il poi >l.>> h. .is silzato
prima di noi la proposta di un diverso approccio .pcneiico caus,ile m e dii ficile
contestare il tatto che essa è rimasta ancora in larga misura a li’. do di pt omessa. F
doveroso, comunque, menzionare in questa sede Che ,,lcuni dci più stimolanti sugge
rimenti sui problemi strettamente connessi a quelli da noi trattati in questo Ia’’oro
sono provenuti proprio da questo circolo CI r li Ma\ er, Dei lrki’nninzozaert der
Junktionellen Prentheorien, «Die ‘X’ittschaftstheorie der (ùegenwarts, 11 0951); PN.
Rosenstein-Rodan, D>» Zegtmoment in dei matbematuol’en l’leone dei te’) rtscl.’ajlIzc l’en
Gleichgewichis, iZeitschrift fùr Nationalòkonomies, I (1030), ti. 1 e [le RòIe o/l’i
me in Economic Iheort’, >Economica,, n s I 1934i, pp 77 07
2.30
c
NC5 1
I
PRO1SI PAlI I Il I I L( ONOMIA 1 PORtI A
ragionamento, come fosse una sorta di pura logica della scelta,
ma isoliamo anche e sottolineiamo l’importanza di un altro ele
mento che è stato troppo trascurato. La critica da me rivolta
alle recenti tendenze di rendere sempre più formale la teoria
economica non afferma che esse hanno spinto il processo di
formalizzazione troppo lontano, bensf che non lo hanno porta
to sufficientemente a fondo, tanto da rendere completo l’isola
mento di questa branca della logica e quindi da ripristinare nel
la sua giusta posizione l’indagine dei processi causali, utilizzan
do la teoria economica formale quale strumento alla stessa stre
gua di ciò che si verifica per la matematica.
2, Prima però di poter dimostrare la tesi secondo la quale
le proposizioni tautologiche di cui consta l’analisi di puro equi
librio non sono direttamente applicabili alla spiegazione delle
relazioni sociali, è necessario mostrare che il concetto di equili
brio possiede un preciso e chiaro significato, quando viene ap
plicato alle azioni di un singolo individuo; e, inoltre, in che co
sa consiste questo significato. In contrapposizione alla mia af
fermazione si potrebbe argomentare che è proprio in tale con
testo che il concetto di equilibrio è vuoto di significato dal mo
mento che, qualora si volesse farne uso, tutto quanto si potreb
be dire è che un individuo isolato si trova sempre in una posi
zione di equilibrio. Senonché quest’ultima affermazione, pur
essendo un truismo, non fa altro che mostrare il modo fuor
viante in cui viene tipicamente utilizzato il concetto di equili
brio. Ciò che è rilevante, infatti, non è tanto che una persona
in quanto tale sia in equilibrio o meno, ma quali delle sue azio
ni stanno fra loro in rapporti di equilibrio. Tutte le proposizio
ni dell’analisi di equilibrio, per esempio quella secondo cui i
valori relativi delle merci sono proporzionali ai costi relativi,
oppure quella secondo cui un soggetto mirerà ad uguagliare i
rendimenti marginali di un qualsiasi fattore produttivo nei
suoi diversi usi, sono proposizioni circa le relazioni esistenti
fra azioni. Le azioni di una persona si possono dire in equili
brio nella misura in cui esse possono essere interpretate come
parte di un programma. Solo stando cosf le cose, solo cioè se
tutte le decisioni sono prese simultaneamente, e sulla base del
medesimo insieme di circostanze, possiamo affermare che le
nostre proposizioni circa l’interdipendenza di queste decisioni
proposizioni che noi deduciamo dalle ipotesi fatte sui grado
—
PC ONOMIA I I ()NOS( ENZ
23 1
di conoscenza e sulle preferenze del soggetto
hanno una
qualche applicazione. E importante rammentare che quelli che
comunemente vengono indicati come i «dati», dai quali pren
diamo le mosse in questo tipo di analisi, non sono in alcun mo
do (a parte i gusti) fatti oggettivi; si tratta invece difatti che
sono dati per il sogetto in questione, di tutto ciò che egli è in
grado di percepire. E solo per via di questo fatto che le propo
sizioni che noi deduciamo sono necessariamente valide a priori
e che possiamo garantire la coerenza dell’analisi
Due principali conclusioni scaturiscono da queste conside
razioni.
In primo luogo, qualsiasi variazione nella conoscenza rile
vante dell’agente, cioè ogni variazione che induca il soggetto
ad alterare il suo piano, provoca la rottura della relazione di
equilibrio fra le azioni precedenti a quelle successive alla varia
zione del suo grado di conoscenza. Ciò deriva dal fatto che le
relazioni di equilibrio fra azioni successive di una medesima
persona esistono solo nella misura in cui esse sono parte dell’e
secuzione di un medesimo piano. In altri termini, la relazione
di equilibrio comprende solamente quelle azioni del soggetto
relative al periodo di tempo durante il quale le sue aspettative
si dimostrano corrette.
In secondo luogo, poiché l’equilibrio è una relazione fra
azioni e poiché le azioni di una persona debbono necessaria
mente manifestarsi in istanti successivi del tempo, è ovvio che
il trascorrere del tempo è essenziale per dare significato al con
cetto di equilibrio. Quest’osservazione merita attenzione dal
momento che molti economisti sembrano non essere stati in
grado di inserire l’elemento tempo nell’analisi di equilibrio, e
hanno di conseguenza suggerito che l’equilibrio deve essere
concepito come atemporale. A me pare che sia un’affermazio
ne priva di significato.
3. Nonostante ciò che ho detto sopra su
1 significato dub
bio dell’analisi di equilibrio, quando essa viene applicata alle
condizioni che caratterizzano una società concorrenziale ov
viamente non intendo negare con ciò il fatto che il concetto di
equilibrio sia stato inizialmente introdotto proprio al fine di
Per quanto concerne questo punto parllcolare, cfr I. von Mic
, Grundproble
5
me der Natana1òkonomie, Jena, Gustav Fischen, 1933, pp. 22 e ss, 160 e ss.
212
CONCL vii e PROBLIMI D1IL’t i ONOMIA LE lIRICA
descrivere l’idea di una qualche forma di bilanciamento fra le
azioni di diversi individui. Il nucleo di tutta la mia argomenta
zione, fino ad ora, è che il senso in cui il concetto di equilibrio
viene utilizzato per descrivere l’interdipendenza delle diffe
renti azioni compiute da una sola persona non può essere este
so in via immediata allo studio delle relazioni intercorrenti fra
le azioni di persone diverse. La vera questione è dunque quella
di sapere quale uso noi facciamo della nozione di equilibrio, al
lorquando riferiamo tale concetto all’analisi di un sistema com
petitivo.
La prima risposta che sembra scaturire dal nostro approc
cio è la seguente: l’equilibrio, con riferimento ad un sistema
concorrenziale, esiste se le azioni di tutti i componenti la socie
tà, in un certo periodo di tempo, rappresentano l’esecuzione
dei rispettivi piani individuali, formulati all’inizio del periodo
stesso. Se però cerchiamo di approfondire in modo più preciso
le implicazioni che scaturiscono da questa risposta, ci accorgia
mo subito che essa solleva più dubbi di quanti non ne risolva.
Non esistono particolari difficoltà per quanto concerne la con
cettualizzazione di un soggetto isolato (ovvero di un gruppo di
persone diretto da una di esse) che agisce su un certo periodo
di tempo in base ad un piano prestabilito. In questo caso, l’ese
cuzione del piano non deve soddisfare alcun criterio speciale
per avere senso.
Naturalmente può accadere che esso sia fondato su ipotesi
errate per quanto riguarda i fatti esterni e, da questo punto di
vista, può richiedere di essere modificato. Ma vi sarà sempre
un insieme concepibile di eventi esterni tale da consentire la
realizzazione del piano, cosf come questo era stato inizialmen
te concepito. La situazione è, tuttavia, diversa, quando si con
siderano i piani formulati, in modo simultaneo ma indipenden
te, da un certo numero di persone. Innanzitutto, affinché que
sti piani possano essere realizzati, è necessario che essi si basi
no tutti sull’aspettativa di un medesimo insieme di eventi
esterni; se infatti persone diverse fondassero i rispettivi piani
su aspettative fra di loro in conflitto, non esisterebbe alcun
possibile insieme di eventi esterni capace di garantire la realiz
zazione di tutti questi piani. Secondariamente, in una società
basata sullo scambio, i piani dei singoli faranno riferimento in
larga misura ad azioni che richiedono azioni corrispondenti da
parte degli altri individui. Ciò significa che i piani di individui
LiONotillA L I ONOS( i 15/5
23
differentj devono essere, in un senso speciale, compatibili, per
ché si possa addirittura concepire la possibilità di una loro mu
tua realizzazione Possiamo esprimere con parole diverse la
sostanza dell’affermazione precedente in questi termini: poi
ché alcuni dei «dati» in base ai quali un qualsiasi soggetto fon
da i suoi piani altro non sono che l’aspettativa di un determina
to comportamento da parte di altre persone, allora è essenzia
le, ai fini della compatibilità dei differenti piani, che i piani
dell’uno includano esattamente quelle azioni che costituiscono
i dati per i piani dell’altro.
Nell’analisi tradizionale di equilibrio parte di questa diffi
coltà risulta, almeno apparentemente, superata grazie all’ipote
si che i dati, nella forma di schede di domanda che rappresen
tano gusti individuali e fatti tecnici, siano egualmente assegna
ti a tutti gli individui e che le azioni di questi, fondate sulle
medesime premesse, portino in qualche modo alla mutua com
patibiità dei piani. Che in questo modo non venga realmente
superata la difficoltà creata dal fatto che le decisioni di una
persona rappresentano i dati per un’altra e, anzi, che ciò com
porti in una certa misura un vizio di ciicolarita, è un fatto che
è stato spesso sottolineato. Ciò che, tuttavia, sembra esser
sfuggito fino ad ora all’attenzione è che questo modo di proce
dere, nel suo complesso, comporta una confusione concettuale
di carattere molto più generale, di cui il punto appena sottoli
neato è solo un esempio particolare; confusione be è dovuta
ad un’equivoca interpretazione del termine «datuo. I dati di
cui ora si discute, e che si suppone siano C\ enti oggettivi ed
identici per tutti i soggetti, seno ben altra cosa ri5petto a quelli
che costituiscono il punto di partenza delle trasforina’zioni tau
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soi io sempre eh imiti pci the, aiuti n
pii la li o e a
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in sociologia aUun tentamiel) sisietnaik d a iali,z.ua le ela ‘e
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patibilii a degli ohiei liv e dei desideri d i si uLuli opp’m il
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24
C 0NCF I 11 F PROBI 1701 DIrEI Ir (OSO hA ILORII A
tologiche della logica pura della scelta. In tale ambito, con il
termine «dati» si designano tutti e soli quei fatti che sono pre
senti nella mente della persona che agisce ed è solo grazie a
quest’interpretazione soggettiva del termine «dato> che le pro
posizioni ricavate sono verità necessarie. «Dato» è cioè sinoni
mo di conosciuto da parte del soggetto in considerazione. Ma
nel corso della transizione dall’analisi del comportamento del
l’individuo singolo a quella della situazione esistente in una so
cietà il concetto di «dato» ha subìto un’insidiosa variazione di
significato
4. La confusione che circonda il concetto di «dato» è all’o
rigine di cosf tante delle nostre difficoltà in questo campo che
è necessario considerarlo in modo più dettagliato. Il termine
«dato» indica, ovviamente, qualcosa di preassegnato, ma la
questione che rimane aperta e che nelle scienze sociali ammet
te due differenti risposte è quella di stabilire a chi si suppone
siano noti i fatti. Sembra che gli economisti si siano sempre
trovati a disagio SU questo punto e che abbiano cercato di met
tersi il cuore in pace contro il timore di non poter dire a chi in
realtà erano noti i fatti, sottolineando il fatto che questi erano
ricorrendo addirittura ad espressioni pleonastiche del
dati
tipo «dati gli elementi preassegnati». In tal modo però non si
risolve il problema di decidere se i fatti, cui ci si riferisce, sono
da supporre dati all’economista osservatore o alle persone le
cui azioni egli vuole spiegare; e, in questo secondo caso, se si
debba ipotizzare che i medesimi fatti siano noti a tutte le per
sone che compongono il sistema, ovvero se questi possono es
sere diversi per soggetti diversi. E fuori di dubbio che queste
due nozioni di «dato» e cioè da un lato quella difatti ogget
tivi reali, cosf come si suppone ne abbia conoscenza l’economi
sta osservatore, e dall’altro quella in senso oggettivo e cioè di
cose di cui sono a conoscenza le persone il cui comportamento
sono in realtà fondamentalmente dif
cerchiamo di spiegare
essere tenute scrupolosamente
pertanto
dovrebbero
ferenti e
distinte. E, come avremo modo di vedere, la questione del per
ché mai i dati nel senso soggettivo del termine dovrebbero cor
rispondere ai dati oggettivi è uno dei principali problemi cui
dobbiamo dare una risposta. L’utilità della distinzione emerge
immediatamente non appena l’applichiamo al problema del si
gnificato da attribuire all’asserto che una società, in ciascun
—
—
ECONOMIA L CO\Os( EN/A
235
momento, risulta in una situazione di equilibrio. Vi sono chia
ramente due sensi in cui si può affermare che i dati soggettivi,
noti alle diverse persone, e i piani individuali che da essi neces
sariamente conseguono, sono tra loro in accordo. Possiamo in
fatti semplicemente voler intendere che questi piani siano mu
tuamente compatibili, e che esista perciò un insieme concepi
bile di eventi esterni che consente a tutti i soggetti di realizza
re i loro piani e di non generare alcun disappunto. Qualora
questa mutua compatibilità dei piani non fosse possibile, con
conseguente impossibilità di individuare un insieme di eventi
esterni capace di soddisfare tutte le aspettative, potremmo
chiaramente affermare che quella in considerazione non è una
configurazione di equilibrio. Infatti, ci troveremmo in tal caso
di fronte ad una situazione in cui risulterebbe inevitabile la re
visione dei piani da parte di almeno alcuni individui ovvero,
per usare una frase che in passato ha avuto un significato piut
tosto vago, ma che ciononostante sembra perfettamente ap
propriata al caso in questione, ad una situazione in cui risulte
rebbero inevitabili disturbi di natura endogena.
Rimane, tuttavia, ancora da affrontare l’altra questione e
cioè se gli insiemi soggettivi dei dati degli individui corrispon
dano ai dati oggettivi e se, di conseguenza, le aspettative sulla
base delle quali sono stati formulati i piani si siano effettiva
mente trasformate in fatti. Se una siffatta corrispondenza fra i
due concetti della nozione di «dati» fosse richiesta per la deter
minazione di un equilibrio, allora non si potrebbe che decidere
ex-post, cioè alla fine del periodo con riferimento al quale i sog
getti avevano formulato i loro piani, se la società era inizial
mente in una situazione di equilibrio. Sembra più conforme al
l’uso consolidato affermare in tal caso che l’equilibrio, cosf co
me è stato definito nel primo senso, può essere disturbato da
un mutamento imprevisto dei dati (oggettivi), e descrivere ciò
come un disturbo di natura esogena. In effetti, risulta alquanto
difficile attribuire un qualche significato determinato al con
cetto, ampiamente utilizzato, di variazione dei dati (oggettivi)
a meno che non si introduca una distinzione fra sviluppi ester
ni, conformi con le aspettative generali e sviluppi esterni dif
formi da esse e che si definisca come «variazione» qualsiasi di
vergenza dell’evoluzione rispetto a quella attesa, a prescindere
dal fatto che ciò possa significare una «variazione» in qualche
modo assoluta. Certamente, se il succedersi delle stagioni si in-
2 3c2
(ZONCL Oli C t’RUBi L..IiI 11Cl 1 ‘Ct ONI)MIA CEOR1(’A
ti l)’>iii i
terrompesse improvvisamente e il tempo rimanesse costante da
un certo giorno in poi, tutto ciò rappresenterebbe una varia
zione dei dati nel nostro senso, cioè una modificazione rispetto
alle aspettative, sebbene in senso assoluto una situazione del
genere non rappresenti una variazione, ma piuttosto un’assen
za di variazione. Tutto ciò significa che possiamo parlare di
una variazione intervenuta nei dati solamente se esiste un
equilibrio nel primo senso, e cioè se le aspettative coincidono,
Se infatti queste risultassero in conflitto tra loro, avremmo che
qualsiasi evoluzione dei fatti esterni confermerebbe le aspetta
tive di alcuni e disattenderebbe quelle di altri, e non vi sarebbe
perciò alcuna possibilità di stabilire che cosa effettivamente
debba intendersi per variazione nei dati oggettivi
5. Possiamo quindi parlare di uno stato di equilibrio per
una società in un dato monento — ma ciò significa solamente
che esiste compatibilità fra i diversi piani che gli individui che
la compongono hanno formulato allo scopo di determinare il
corso delle loro azioni nel tempo. E lo stato di equilibrio, una
volta che esista, si protrarrà fintanto che i dati esterni corri
spondono alle comuni aspettative di tutti i componenti la so
cietà. La possibilità che tale stato si mantenga nel tempo, nel
senso appena descritto, non dipende quindi dalla costanza, in
termini assoluti, dei dati oggettivi ed essa non è necessaria
mente limitata ad un processo stazionario. L’analisi di equili
brio è, in linea di prìncipio, suscettibile di trovare applicazione
allo studio di una società progressiva, nonche di quelle relazio
ni intertemporali di prezzo che non poche difficoltà hanno
causato in tempi recenti
5 Il
i ui e .o te,,, le’ ,.iai ti i cli I ii .ltaimi’ei s. e o/ (.q>z:at, .,F,citnemic a
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l’e/io,’ e! Iti,’i,,;r:a.’ i’ !i,i’tie,tions - E tndon (teorge Routiedge & Sons, 19 9.
Quest. sep.u atone del i.iueiio di equilibrio da qoello di stato stazionario non
e al i, i. I ic i i ttess,iri. . ponte d ,ir ris i’ di un pieces o ,iie si e pro ira i tr pei un pe
re d, d iensi. :“:elt>, lungo Ch queSta associazione dei due concetti no 51/ essen
.i ragi> ‘o storiche e opirciotte al guirno d ‘oggi, largamente
o ale- isa sol.ir’sun e- dei e.
d illusa. Se d ,ilu e, ,,ni la ee’itinlct,i separa/.iitiie dci du concetti non e stata fino
» e es d ii tCit,CZI te de me al f,it i i che rieti è si a 1.1 sin qui propo
ad o, a r.d .>z.ti
1 ibr io che abbia consel i iito di for
st. iii la dcli uil is-ui’ ai ieri stiV i dello si a te’ (li equi
lioilsie iii te mito generali qiielie ‘reposi/loni dell’analisi di equilibrio che rIsultano
dai ceneri te di stste i adunino C io non,, sia me, è
ui et.ìlìnet te i. di pendei
, eL j’,in i-aree delle proposi/i’ ni dell’aitahsi di
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e ,‘it\ illLi,’i’e’ diiI,>
‘r,e» api lical o i solamen te’ al ia e untigur.o-i one di si I tu stazionario.
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cOdi ig.: ,ijoiie c’lu- ,iu,Ito pruhaiiliieil!r tinti seri a mal raggiunt
I I
1’’ 8’
,
--
.
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liti.,,
.‘,/\
27
Queste considerazioni sembrano gettare nuova luce sul
problema della relazione esistente fra equilibrio e previsione,
problema che nel recente passato è stato oggetto di discussioni
piuttosto accese
. Pare che il concetto di equilibrio significhi
5
semplicemente che la capacità di previsione dei componenti la
società è, in senso speciale, corretta. Essa deve essere corretta
nel senso che il piano di ciascun soggetto si basa sull’aspettati
va che si verifichino proprio quelle azioni da parte degli altri
soggetti che questi ultimi intendono eseguire, e che tutti questi
piani siano basati sull’aspettativa del medesimo insieme di fat
ti esterni, di modo che nessuno avrà ragione di cambiare sotto
determinate condizioni il proprio piano. La previsione corretta
non è quindi una precondizione che deve esistere affinché si
possa individuare una configurazione di equilibrio, come inve
ce si è talvolta sentito dire. Essa rappresenta piuttosto la carat
teristica che qualifica uno stato di equilibrio. E opportuno ag
giungere che, per poter determinare la configurazione di equi
librio, non è affatto richiesto che la capacità di previsione sia
perfetta, nel senso che essa debba estendersi al futuro indefini
to, ovvero che ognuno sia in grado di prevedere correttamente
qualsiasi cosa. Dobbiamo piuttosto affermare che l’equilibrio
si manterrà fintanto che le previsioni fatte si dimostrano cor
rette, e che esse debbono risultare corrette solamente in meri
to a quei punti che sono rilevanti ai fini delle decisioni degli inpoi azione sembra essere iniziai con \l ti sii all,
lui introdotta fra equilibri di lungo periodo ed
e
,et, c c’uil i.> d lii /111S >1,1
equilil e iii I rese periodo i S e’ -i
deri, ad esempio, un’affermazione del seguente icnoie «la at i a Stes’ a dello 51,0>
di equilibrio, e quella delle casi se a i tra i’ Cr,,’ le q ,iil esse s’icii le te’rtr itt,ii,i ci ijis’ i> le’
dalia lunghe zia del periodo su cui il me re i io estende> lSzi.r tp/e o! I »,,: “i,’> ,
ed , London, Maemillan & Cii. 1)16, p. 8 iii i I ‘idea ,,Ii i te >tate 1: i-ej»iiiii’,i ell’
non e, al tempo stesso, tino ia io st,iziu»nanio è comunq i>e cIa I’ -c ti te i
c’il,
5.legi(
Da> t’iIcrlt’mf.’ora/i’ G/i’t,,-/-,e’u ‘e’/’t»st-st,’m dei Pri’:.’ e’ 1 n,/ ,/:,h,’,_,, -ui’? 6’ (. , i 1(1
i’Welta irschal iliclici Archivi XXVIII il 925 i, e 2, ot, 5! 7o c Cs’,tii’i,, c’ui C- ‘ri
ziale. se si vuole utilizzare l’analisi di eq itilibnio ct la spiee.::ot:c d, >,,..d i’. , . lii le
nomerio connesse all “i no esti mcii io., ,\1 >tl le i IlleCiti .i/ lOOi ‘i e: id le reI,, i’
>6 c’te
quesi ioi ie si possono tree are in E. S hams - Kouip
iur;e Se, io’ ,-Z i t .,‘r,: 2. i i Si a
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iionalòkononiie,, lI i3O,, e 1. Si \ela anche l’li K’i’1i, i”,’ I ti’,,, ,‘ C ->‘,t,
feti, an,i Diber Lssas,, Loidon, G Alieti e t’rc’, in I id l’isS
I ‘S ‘o.- e is’:
qualche ulierlore SS iluppu successis o alla d.ica di p’uhtiie.c teli
>1, , ,
saggiet. ‘i seda il mio libri’ Tèe Pzot’ Ji’e’urr »,i (.,;‘:e,’ l.e-td,.c’, 5.’, tie-ulce ‘i bue,,,,
Paul, 1941, c’ap li. trad. O L,,»m/j/’rzo i’ u’apz6’. in 9’Csts’ieu>uiise ...,
75.
In particolare. si c’en,, (7 Sle’rc’ensi enti I
i ,,,
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sci’altlici ct (‘lcie-hgeu ich:, eZeitschrit i fin Sianie’nai»k, Il liete>, VI l’i> i
137-57
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238
CON( E t’i i i, t’RUBI 5Ml i>hI,ifL(’ONOMIA il ORE A
i (‘ORO ti 5 E (O’sUS( I \ÌA
dividui. Ma sulla questione di ciò che costituisce previsione o
conoscenza rilevante avremo modo di ritornare più avanti.
Prima di procedere, è forse opportuno illustrare con un
esempio concreto ciò che è stato finora detto sul significato del
concetto di equilibrio e sul come una configurazione di equili
brio possa essere disturbata. Consideriamo i preparativi richie
sti, in un qualche momento, per la produzione di case. Produt
tori di mattoni, di materiale idraulico e altri forniranno i ne
cessari materiali alla costruzione, in ciascun caso, di una certa
quantità di case, cioè quella per la quale viene proprio richiesto
l’ammontare di materiali che è stato prodotto. Possiamo pari
menti ipotizzare che i potenziali futuri acquirenti accumulino i
risparmi che consentiranno loro di acquistare, a certe date fu
ture, determinate quantità di case. Se tutte queste attività rap
presentano programmi per la produzione (e l’acquisto) del me
desimo quantitativo di case, possiamo allora affermare che esse
sono in equilibrio fra loro, nel senso che tutte le persone in es
se implicate trovano che i loro piani possono essere realizzati.
Naturalmente non è detto che sia cosf, in quanto altre circo
stanze, che non costituiscono parte di alcun piano, possono
manifestarsi in modo difforme da come i soggetti le avevano
previste. Parte della produzione di materiali può andare di
strutta a causa di un fatto accidentale, le condizioni atmosferi
che possono rendere impossibile la costruzione dell’edificio,
oppure un’invenzione può portare ad una modificazione delle
proporzioni in cui differenti fattori della produzione debbono
i,it< altro esempio, di importanza piu generale, è naturalmente costituito dalla
corrispondenza fra «ms estimento>» e «risparmio», nel senso della proporzione (in ter
mini dt costi relativi) in cui gli imprenditori forniscono beni capitale e beni di consu
mo ad orma particolare data e della proporzione in cui i consumatori in generale a
quella stessa data ripaitiscono le loro risorse fra l’acquisto di beni capitali e di beni
di consunso (Cfr I’reise,u m tungen monetare ltom ungen und Fehhovestitionen in «Na
tionalòkonomiske Tidsskrift>, LXXIII (1935), n. 3, ristampato in traduzione inglese
con il titolo Price Lxpectations Monetar Disturbance, and Malznvestrnent, in Pro/its,
Interest and lnvestrnent, cii,, pp. 135-6, trad io Jlspettatwe di prezzo, perturbazioni
moneta ne e rnr’estimenti sbagliati, in questo volume, cap. 12; e The Maintenance o! Ca
pitai, in «Economica», N.S 11(1935), ti. 7, particolarmente pp. 268-73, ristampato
in 13 of itt, lnterest ami Inr’c’stment, cit., pp. 83-134), Può essere interessante menzio
nare a tale riguardo che indagando sul medesimo argomento, che mi ha suggerito
queste speculazioni, e cute la teoria delle crisi, il grande sociologo francese G. de
Tarde ha posto particolarmente l’accento sulla «contraddizione della crescita» ovvero
«contraddizione di giudizio» quale principale causa di questi fenomeni (Psychologie
economiJue, Paris, F Alcan, 1902, pp. 129 138; si veda inoltre N Pinkus, Das Pro
bien; des Normalen 02 der Nationalokonomie, Leipzig, Dunker & Ilumhlot, 1906, pp.
252 75).
239
essere utilizzati. Tutto ciò rappresenta quello che noi chiamia
mo una variazione nei dati (oggettivi), che disturba la configu
razione di equilibrio fino a quel momento esistente, Se però i
diversi piani si dimostrassero incompatibili fin da principio, al
lora è inevitabile che il piano d’azione di qualcuno risulterà di
satteso e dovrà quindi essere alterato; di conseguenza l’intero
complesso di azioni sul periodo non esibirà quelle caratterjstj
che che invece si presentano se l’insieme delle azioni di ciascun
individuo può concepirsi come parte di un singolo piano da
questi formulato all’inizio del periodo di riferimento,
6. Quando in tutto ciò sottolineo la distinzione fra la pura
e semplice mutua compatibilità dei piani individuali c la cor
rispondenza fra essi e gli effettivi fatti esterni (o dati oggettivi)
non voglio affatto significare che gli accordi intersoggettivi
non siano in qualche modo il risultato dei fatti esterni, Natu
ralmente non c’è alcuna ragione perché i dati soggettivi di dif
ferenti persone debbano corrispondere, a meno che questi non
siano il frutto dell’esperienza di un medesimo insieme difatti
oggettivi. Il punto è però che la teoria pura dell’equilibrio non
si occupa in alcun modo di analizzare come si arriva a realizza
re tale corrispondenza. Nel descrivere una certa configurazio
ne di equilibrio la teoria assume semplicemente che vi sia coin
cidenza fra i dati soggettivi e i fatti oggettivi. Le relazioni di
equilibrio non possono dedursi meramente dai fatti oggettivi,
in quanto l’analisi di quello che gli individui faranno può pren
dere le mosse solo da ciò che è a loro noto, Tanto meno, l’anali
i5
Una questione intressantc, ma che poi troppo non possiamo
discutere’ o que
è quella se di equilibrio si possa parlare solamente quatrdo
ciascun indivi
duo formula previsioni corrette, ovvero se a tal fine non sia
sufficiente, a seguito di
una compensazione di errori in direziotri diverse, clic le quarmtiG
delle differenti nier
ci portate al mercato siano le stesse di quelle clic asrehhero portato
i soggetii qualora
le loro previsioni fossero corrette. Mi sembra che la concezione
di equilibrio nella
sua accezione ristretta richieda che sia soddisfatta la prima
condizione sono tuttavia
del parere che una nozione più ,mmpia, che richieda il soddisl
acimento solanmetne del
la seconda condizione, possa dimostrarsi occasionalnrente utile’.
Una discsrssmnne più
completa di questo problema esige che si consideri l’intema
qtiestiorre del significato
che alcuni economisti (incluso Paremo) attribuiscono, in qriesms
<eno. ,illa legge dei
grandi numeri Sulla questione in generale, si veda P N.
Rosenstein-Rodami The
Coordjnatron oJ the Generai Theonies of Mone and Pricr’,
«Lconomica,> N.S, III
(1936), pp. 257-80,
Ovvero, dato che per il carattere rautologico della logica pura della
scelta pos
siamo indifferentemente parlare di «piani
indisiduali,> e di «dati soggetrici», tra i
«dati soggettivi» dei diversi individui.
sto lavoro,
240
(051 Li lI
PROBLEMI DEI I
ECONOMiA I (ORII.\
si di equilibrio può partire semplicemente da un determinato
insieme di dati soggettivi, poiché i dati soggettivi di persone
differenti saranno o compatibili o incompatibili cosf che essi
determinerebbero già se l’equilibrio esiste o non esiste.
Non possiamo progredire molto in questa direzione, se non
Li si interroga circa le ragioni a sostegno dell’attenzione da noi
riposta in una configurazione cosf chiaramente fittizia qual è
quella di equilibrio. Qualunque argomentazione possa essere
stata occasionalmente avanzata da economisti ultra-puristi,
sembra non esservi dubbio alcuno che la sola possibile giustifi
cazione per questo interesse sia da ricercare nella supposta esi
stenza di una tendenza verso l’equilibrio. E solamente grazie a
questo asserto che l’economia cessa di essere un esercizio di
pura logica e diventa una scienza empirica: ed è all’economia
in quanto scienza empirica che dobbiamo ora volgere la nostra
Alla luce della nostra analisi del significato da attribuire ad
uno stato di equilibrio, dovrebbe risultare facile stabilire qual
e il reale contenuto dell’asserto dell’esistenza di una tendenza
veiso l’equilibrio. A ben considerare non può trattarsi d’altro
che di questo: che sotto determinate condizioni si ritiene che il
grado di conoscenza e le intenzioni dei differenti soggetti con
per esporre la stessa idea in
velgano sempre di più ovvero
certamente più concreti
generali,
ma
precisi
e
meno
termini
che le aspettative della gente e in particolar modo quelle degli
imprenditori diventino via via più corrette. Posta in questi ter
unni, l’allerinazione dell’esistenza di una tendenza verso l’e
uilihi io diviene rhiaramente
14
uti asserto su ciò che avviene nel inondo reale clic, almeno in li
ULO di pi 1iiLO, si dovrebbe riuscite a verificare. E questo ci
I uliselil e di attribun e dIa nostra piuttosto astratta forniulazio
in .ir i Coliletto di equilibrio un significato a livello di senso co
n,uiì il n lo i nato I Che brancoliamo, ancora, nei buio per
di equilibrio viene tacitamente indicata come risolta. Se però
sottoponiamo ad un più attento esame la cosa, risulta albi a su
bito evidente che queste apparenti dimostrazioni non fanno al
tro che dimostrare ciò che in effetti si era già ipotizzato Lo
stratagemma generalmente adottato a tal fine consiste nell’as
sumere un mercato perfetto, dove og,ni evento è conosciuto
istantaneamente da ciascun individuo. E opportuno rammenta
re a tale riguardo che il mercato perfetto, la cui esistenza e ri
chiesta per soddisfare le ipotesi dell’analisi di equilibrio, non
deve essere limitato ai mercati di tutte le singole merci; è l’in
tero sistema economico che deve essere ipotizzato alla stregua
di un unico mercato perfetto, nel quale ciascuno è a conoscen
za di tutto. L’ipotesi di un mercato perfetto, pertanto, signifi
ca semplicemente che tutti i membri della collettività, anche se
non onniscenti in senso stretto, si ritiene conoscano perlomeno
automaticamente tutto quanto è rilevante per le loro decisioni
E come se l’«uomo economico», questa nostra sergogna di la
miglia che abbiamo esorcizzato con la preghiera e il digiuno,
fosse rientrato per la porta di servizio sotto la \ este di un indi
viduo quasi onniscente. L’affermazione, secondo la quale. se i
soggetti conoscono tutto essi si trovano in equilibito, e certa
mente vera, ma solo perché ciò corrisponde al modo iii Lui noi
definiamo il concetto di equilibrio. L’ipotesi di un mercato
perfetto altro non è, da questo punto di ista, che un modo di
verso di dire che l’equilibrio esiste, ma cio non ci a s icina al
fatto alla spiegazione del come e quando tale contigui azionc di
equilibrio si realizza. E chiaro, infatei, che se vogliamo atfcr
mare che i soggetti conseguiranno, sotto certe condizioni, tale
stato di equilibrio, dobbiamo altresf spicgare attra\ Ci so quale
processo essi acquisiranno la necessaria conuscr aia (‘In a amente, qualsiasi assunzione senga formulata enea I Jtctii .i
acquisizione delle iniormazioni nel corso di tair p’
s. o
e,’ a
avrà pur sempre natuta ipotet a Ma tio non tol a ‘i i
quo
mente dire che tutte queste assunzioni stai o
attenzione.
—
—
una
111
proposizione
empirica,
cioè
conci ritc:
lc 1 ijiiu,i iii basi alle quali si sul pone esista questa tefl
k riza VCi so l’equilibrio,
la natura di] pwctnu. ncdiaiu il quale cantina la conosccn
ra md viduah
i
‘i
sella tradizionale pi cscntazione dell’analisi di equth
la que. lione del modo in cui si tealizza la configurazione
stificabili, Abbiamo intatti a che lare ni
i.
i cia/i
‘I....
sottolOR,,
‘SI
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.1! ilUdIlle ,I lei’ ‘I
mt tuOno desent solatiteitte e e ttidiìtoitt III, I,aLieI o,
equdibito senza akun Ientattm e, li, a iodio ne 1,t III
me dei dati intettinetata il leSi,) mode a talio 1 ,lIIi le tU
a su ri pr a di quals e o ti ai le mazte te
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uFii.ESti DÌ-Li ‘i.( ONOMIA i
01515 A
t.( ONOMI.’, E 5 ONO’r,i LNZ.’,
problema, con ipotesi che concernono processi causali, e per
tanto ciò che ipotizziamo non solo deve potersi considerare
possibile (il che non è certamente il caso, se pensiamo agli indi
vidui come esseri onniscenti), ma anche verosimile; inoltre, de
ve essere possibile, almeno in linea di principio, dimostrare che
ciò che ipotizziamo è vero in relazione a casi determinati.
Il punto essenziale qui è che sono proprio queste ipotesi,
chiaramente sussidiarie circa il modo in cui la gente apprende
attraverso l’esperienza ed acquisisce ie proprie informazioni,
che costituiscono il contenuto empirico delle nostre posizioni
su ciò che accade nel mondo reale. Esse appaiono di solito co
me una descrizione incompleta e camuffata del tipo di mercato
cui la nostra proposizione si riferisce; ma questo è solamente
uno degli aspetti, sebbene forse il più importante, del più gene
rale pioblema di come la conoscenza viene acquisita e trasmes
sa. La cosa importante da tener presente. e di cui invece gli
economisti sembrano frequentemente non rendersi conto, è
che la natura di queste ipotesi è per molti aspetti differente da
quella delle più generali ipotesi da cui prende le mosse la logica
pura della scelta. Le differenze principali sembrano essere di
duplice natura.
In primo luogo, abbiamo che le ipotesi da cui parte la logica
pura della scelta sono fatti che noi sappiamo essere comuni a
ciascun soggetto. Esse infatti possono considerarsi quali assio
mi che definiscono o delimitano il campo entro il quale siamo
in grado di comprendere o di ricostruire concettualmente i
processi mentali di altre persone. Esse sorto pertanto applicabi
li universalmente al campo cui siamo interessati
sebbene,
naturalmente, l’individuazione in concreto dei limiti di questo
campo sia una questione empirica. Le ipotesi in questione si ri
feriscono ad un tipo particolare di azione umana (quella che co
munemente chiamiamo razionale o anche semplicemente con
sapevole, per distinguerla da quella istintiva), piuttosto che al
le particolari condizioni, in base alle quali essa viene svolta.
Ma le ipotesi o assunzioni che dobbiamo introdurre, allorché il
nostro obiettivo è la spiegazione di processi sociali, fanno rife
rimento alla relazione esistente fra il pensiero di un individuo e
il mondo esterno, alla questione cioè della misura e del modo
in cui le sue ipotesi debbono necessariamente procedere in ter
mini di asserti circa i legami causali, circa il modo in cui l’espe
rienza genera conoscenza.
—
24
‘i
Secondariamente mentre nell’ambito della logica pura del
la scelta la nostra analisi può essere resa esaustiva, vale a dire,
possiamo sviluppare un apparato formale capace di coprire tut
te le situazioni ipotizzabili, gli assunti supplementari devono
necessariamente essere selettivi; dobbiamo cioè scegliere dal
l’infinita gamma di possibili situazioni quegli ideal-tipi che,
per qualche ragione, noi consideriamo particolarmente rilevan
ti alle condizioni del mondo reale °. Naturalmente, potremmo
anche sviluppare una scienza distinta, il cui ambito di studio
fosse limitato per definizione al «mercato perfetto» o ad un con
cetto definito in modo simile, esattamente alla stessa stregua
di ciò che è avvenuto per la logica della scelta, la quale si appli
ca solo allo studio del comportamento di persone che debbono
ripartire mezzi limitati fra una molteplicità di fini. E per il
campo di indagine cosf definito le nostre proposizioni torne
rebbero ad essere vere a priori. Senonché, per una procedura di
questo tipo ci verrebbe a mancare la giustificazione consistente
nell’assumere che la situazione nel mondo reale è simile a quel
la da noi postulata sul piano teorico.
8. Devo ora passare ad occuparmi di cosa siano le ipotesi
concrete concernenti le condizioni, in base alle quali si suppo
ne che i soggetti acquisiscano la conoscenza rilevante, e del
processo grazie al quale si assume che tale conoscenza venga di
fatto acquisita. Se la natura delle ipotesi che utilizziamo nella
nostra analisi fosse del tutto chiara, dovremmo sottoporre le
stesse a scrutinio sotto due aspetti: dovremmo infatti indagare
se esse sono necessarie e sufficienti per fornire la spiegazione
del movimento verso la posizione di equilibrio e, inoltre, do
vremmo mostrare in che misura esse sono suffragate dalla real
tà. Mi spiace purtroppo dover affermare che stiamo arrivando
ad un punto dove diventa estremamente difficile stabilire qua
li La distinz
ione che qui abbiamo tracciato puo essere d’aiuto per riso
’, ere la
1
vecchia distinzione fra economisti e sociologi, concernente il ruolo che gli ideal-t
ipi
svolgono nell’ambito dell’impostazione della teoria economsca. I sociologi pongono
di solito un particolare risalto sul fatto che l’usuale modo di procedere della teoria
economica comporta l’assunzione di particolari tipi ideali, mentre l’cconomista teori
co replica sostenendo che la sua costruzione logica è di una tale generaliia che non ha
bisogno di fare uso di alcun tipo ideale. La verità secondo inc e che nell’ambito della
logica pura della scelta, alla quale l’economista è ampiamente interessato, egli nel
è
giusto per quanto concerne la sua asserzione, non appena pero intenda fruitaria per
la spiegazione di un processo soctale, egli deve allora utilizzare in un nodo o nell’al
tro dei tipi ideali.
244
( 1)5(1.>
i
‘1011)11Ml l’EI
1-) <)(‘Ml., Fb,)Rl)’,
Lt., (5’ )>i.5
le sia l’esatta natura delle ipotesi in base alle quali noi affer
miamo l’esistenza di una tendenza verso l’equilibrio e asserire
che la nostra analisi ha una qualche applicazione al mondo rea
le °‘. Non posso pretendere di aver detto finora molto in questa
direzione, Pertanto tutto ciò che posso fare è porre un certo
numero di quesiti ai quali bisognerà cercare di dare una rispo
sta. se vogliamo essere chiari sui significato della nostra argo
mentazione.
La sola condizione sulla cui necessità per la realizzazione di
una configurazione di equilibrio gli economisti si dimostrano
sufficientemente d’accordo è quella della «costanza dei dati».
Ma dopo ciò che abbiamo visto circa il carattere vago del con
cetto di «dato» è lecito sospettare, e a ragione, che ciò non ci
porti molto lontano, Anche se assumiamo
come probabil
mente si deve — che qui il termine vada inteso secondo il suo
significato oggettivo (che include, come sì ricorderà, le prefe
renze dei diversi soggetti), non è affatto chiaro che ciò sia ne
cessario o sufficiente, affinché la gente effettivamente acquisi
sca la conoscenza necessaria ovvero che esso sia preso quale
enunciazione delle condizioni in base alle quali gli individui vi
riusciranno. In effetti, è piuttosto significativo il fatto che, in
ogni caso, alcuni autori ‘ ritengono necessario aggiungere qua
le condizione ulteriore e distinta quella di «conoscenza perfet
ta». E invero avremo modo di constatare che la costanza dei
dati oggettivi è condizione né necessaria, né sufficiente. Che
non possa trattarsi di condizione necessaria discende da una
serie di fatti e, precisamente: primo, che nessuno sarebbe di
sposto ad intempretarla nel senso assoluto che nulla debba mai
accadere nei inondo e, secondo, che, come abbiamo visto, non
—
poi aoti,l,i sono stati spesso pio espliciti dei
i, ,\da o Sm,t}i Ai: J.rji.z ,.,to i!, \atu>e <ud
A-,- t’i ,<, t/ - ‘,,:t:,,n’ ed ( ,in n a e, I ,‘ndo o, Methsien & Co I PII-i, Voi I,
‘,m.c..e. o,.A,- ‘mz,out F,,r<n e L’I L’I. 1”2’I p 21 «TuliasIa.
i’
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pci tu psm-. <1 1C 0,1, ‘-i .,o,’sLa
ii,iJiallLa
saLiti i. ori <.ompicsso dci osiaggi o
e cm. aro. In, <se, a,o.ic do’. e si e la pm perletta liberia, Primo, gli
o .,-wi
Jes o.
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o Das id Rie r
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ti, I,-, .oj,t, En ,‘,i ,1lu,j’,,s lsI “-2,, ediied Lv james Ho
ozi Uui<.i ( ,a,rnJo,i 15<’’, 1ò,. letier. del 22 nitobie lbii, p. io’ <Non <osti
i, ichiie mi.,
m’po i i s,i,ldisiacenie pci ,oe alfei ma,e ,i,e gli uomnu ignorano il no
’l,,ire e i isl e soiloinico di condurre I propri allari e di pagare i propri debiti,
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(<io che 1.i’sL e o i,, p ,,estioio. di fai io e non di scienza, e dato Le la si potrebbe
i, dizza
pci ..m li <a, e .
oa i timiO’ I,’ pi iposielom dell Economia Politica,.
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5 se. la N E.> lii,’r - i ( Iass:Ji<’atort 501, «o 1/il’ De/em:inateue’ss o Equili
‘Oi’.?.
i,c
ke.o.a
‘ei. Sm.dcs’. I’I
ìH1 2.,’ 12’
04
est,, pilito
Si
lei,
li
oit
51.5
2-i
appena si vogliono includere nell’analisi cambiamenti di naaira
periodica o persino cambiamenti che si verificano ad un ritmo
costante, il solo modo di definire la costanza dei dati è con ri
ferimento alle aspettative. Tutto quanto questa condizione
comporta è pertanto che sia possibile discernere una certa re
golarità nel mondo reale, la quale consenta di prevedere gli
eventi in modo corretto. Tuttavia, mentre tutto ciò non è af
fatto sufficiente a dimostrare che la gente imparerà a prevede
re in modo corretto gli eventi, a maggior ragione sarà questo il
caso per quanto riguarda la costanza dei dati in senso assoluto.
Per ciascun singolo soggetto, la costanza dei dati non significa
in alcun modo costanza di tutti i fatti da lui indipendenti poi
ché, ovviamente, solo i gusti e non anche le azioni delle altre
persone possono essere in tal senso ipotizzati costanti. E dal
momento che tutte queste altre persone muteranno le loro decisioni col procedere della loro esperienza dei fatti esterni e
delle azioni altrui, non vi è ragione alcuna per supporre che ta
le processo di continui mutamenti debba prima o poi giungere
ad un termine. Queste difficoltà sono ben note ‘ e le richiamo
qui solamente per rammentare al lettore la scarsa conoscenza
di cui attualmente disponiamo circa le condizioni in base alle
quali una configurazione di equilibrio può essere raggiunta.
Non intendo tuttavia proseguire oltre in questa direzione, an
che se il motivo di ciò non nasce dal fatto che la questicne della
probabilità empirica che i soggetti possar<o apprendere (cioè
che i loro dati soggettivi divengano compatibili fra iewo e con i
fatti oggettivi) sia lacunosa relativamente a problemi irrisolti
ed estremamente interessanti. La ragione è in realtà che mi
sembra vi sia un diverso e più fruttuoso modo di affrontare il
problema centrale.
ai t’semi
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..
-
(•O’((5,
,
9. Le questioni da me sollevate, relative alle condizioni in
base alle quali la gente verosimilmente acquisisce la conoscen
za necessaria, nonché al processo grazie al quale tale OP(U
5
zione si realizza, sono state almeno oggetto di qualche atwn
zione in discussioni passate. Esiste tutta’<’mn un ulteriore pro
blema, la cui importanza è secondo me almeno pari a quella dei
problemi già discussi e che non sembra aer rices uto la dos uEi
attenzione; esso riguarda l’ammontare e il tipo di conoscenza
Su
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246
CONCETTI E PROBLEMI DEI I ECONOMIA tEORICA
di cui debbono disporre i differenti individui affinché si possa
parlare di equilibrio. E evidente, infatti, che se il concetto di
equilibrio deve possedere un qualche significato empirico, allo
ra esso non può fondarsi sul presupposto che ciascun soggetto
conosca tutto. Ho già avuto occasione di far uso, senza peral
tro definirlo, del termine «conoscenza rilevante», cioè del gra
do di conoscenza che è rilevante per una determinata persona.
Ma che cosa è questa conoscenza rilevante? E alquanto impro
babile che possa trattarsi semplicemente della conoscenza che
ha effettivamente influenzato ie azioni del soggetto, dal mo
mento che le sue decisioni avrebbero potuto risultare differen
ti non solo, per esempio, se le informazioni in suo possesso fos
sero state corrette anziché errate, ma anche qualora egli avesse
avuto conoscenza in campi del tutto diversi.
Ci troviamo evidentemente di fronte ad un problema di di
visione della conoscenza che è totalmente analogo e di almeno
pari importanza a quello della divisione del lavoro. A differen
za però di quest’ultimo, che ha sempre rappresentato uno dei
principali argomenti d’indagine fin dall’inizio della nostra
scienza, quello della divisione della conoscenza è stato comple
tamente trascurato; nonostante ciò mi sembra che esso costi
tuisca il problema veramente centrale dell’economia quale
scienza sociale Il problema che ci proponiamo di risolvere è
in che modo la spontanea interdipendenza di un certo numero
di persone. ciascuna delle quali in possesso di un certo ammon
tare di informazioni, sia in grado di determinare uno stato di
cose in cui i prezzi corrispondono ai costi, ecc., e che potrebbe
essere realizzato attraverso una coordinazione consapevole so
lamente da qualcuno che disponesse della conoscenza comples
siva di tutti questi individui. E l’esperienza ci mostra che qual
cosa del genere effettivamente avviene, dal momento che l’os
servazione empirica secondo la quale i prezzi tendono a corri
spondere ai costi ha costituito l’inizio della nostra scienza. Se
r. I.. von f’slises, Die Gernernwrrtscba/t tJntenuchungen aber den Sozzalistnas,
Jena, E,usta\’ Fischer, 19322, p. 96: «La divisione del poteie di controllo sui beni
economici, propria di un’economia sociale che operi in base alla divisione del lavoro
fra molli individui, elUsa una specie di ripartizione del lavoro mentale, senza la qua
le l’organizzazione della produzione e l’economia stessa non sarebbero possibili».
IS Non sono certo, ma lo spero,
che la disiinzione Ira la logica pura delle scehe e
l’economia come scienza sociale sia essenzialmente la medesima che ha in mente il
prol. A Ammon. quando sottolinea ripetutamente che una Theor,es des Wrrtscha/tens
non è ancora una Theorze der X’olkswirtschajt.
L C’ONONIiA i. ( ONOsCLNZ,5
24’
nonché, nella nostra analisi, anziché mostrare quali pezzi di in
formazione debbono possedere le differenti persone al fine di
determinare quel risultato, ripieghiamo in effetti sull’ipotesi
che ognuno sia a conoscenza di ogni cosa, eludendo cosi qual
siasi reale soluzione del problema.
Prima però di considerare questo problema della divisione
della conoscenza fra persone differenti, è necessario specifica
re meglio quale tipo di conoscenza è rilevante a tale riguardo.
E consuetudine fra gli economisti sottolineare solamente la ne
cessità di conoscere i prezzi, verosimilmente perché
a segui
to delle confusioni esistenti fra dati oggettivi e dati soggettivi
si dava per scontata la conoscenza completa dei fatti ogget
tivi. In tempi recenti persino la conoscenza dei prezzi correnti
è stata data a tal punto per scontata che è solo in riferimento
all’anticipazione dei prezzi futuri che la questione della cono
scenza è stata considerata come problematica. Ma come ho già
avuto modo di indicare all’inizio, le aspettative di prezzo e
persino la conoscenza dei prezzi correnti costituiscono sola
mente una porzione molto piccola del problema della cono
scenza, così come lo intendo io. L’aspetto di più ampio respiro
del problema della conoscenza, che mi interessa, concerne la
conoscenza del fatto basilare: il modo in cui ie differenti merci
possono essere ottenute ed utilizzate nonché le condizioni
in base alle quali esse sono effettivamente ottenute ed utilizza
te; in altri termini ciò che mi preme è il problema generale del
perché i dati soggettivi a disposizione dei diversi soggetti corri
spondono ai fatti oggettivi. Il nostro problema della conoscen
za è appunto quello dell’esistenza di una siffatta corrisponden
za che invece in gran parte della corrente analisi di equilibrio
viene semplicemente postulata; il nostro compito è cioè quello
di spiegarla, se vogliamo mostrare per quale motivo le proposi
zioni, che risultano necessariamente ‘ere se riferite all’atteg
—
j
—
‘,
Conoscenza, in questa accezione, sia ad indicare qu.iicosa di pio di io che co
muneinente viene descritto come abilita, e la dis isionc dell.> oiioseIsza di cui qui Si
parla denota qualcosa di più di ciò che s’intende con il termine «divisione del lavo
ma. Per dirla in breve, abbianso che «abilità» >i riferisce solamente a quella fumnsa di
conoscenza di cui una persona fa uso nella propria attivita, mentre la conoscenza oI
tenore, e della quale dobbiamo sapere qualcosa pcr poter comunque tormuLsrc pro.
posizioni relative ai processi che hanno luogo nella società, è qucll.s che ha per oggei
Io le possibilità alternative di azione di cui quella persona non fa ori oso direlto. Si
può altresi aggiungere che il termine conoscenza, nell’accezione in cui noi lo utiiii
ziamo qui. è sinonimo di previsione, solamente nel senso iii cui lotta I» coisoscenza e
capacità di previsione.
248
((iNC i t’li i.
RE5LEMI DEI L’ECONOMIA TEORICA
giamento del singolo verso cose che egli ritiene dotate di certe
proprietà, debbono diventare vere rispetto alle azioni sociali
concernenti cose che o posseggono queste medesime proprietà,
oppure, per qualche ragione che bisognerà aver cura di spiega
re, si ritiene che i membri della società posseggano 20,
Ma, ritornando al particolare problema oggetto della pre
sente discussione, e cioè all’ammontare di conoscenza di cui i
differenti individui debbono disporre affinché l’equilibrio pos
sa prevalere (o la conoscenza «rilevante» che essi debbono pos
sedere), ci avviciniarno ad una risposta, se rammentiamo come
può divenire evidente che l’equilibrio non è esistito, oppure
che è stato disturbato. Abbiamo visto che le interrelazioni che
caratterizzano l’equilibrio yengono recise se una persona qual
siasi modifica i suoi piani, o perché è intervenuta una variazio
ne dei suoi gusti (la quale però non ci interessa qui) o perché
egli è venuto a conoscenza di nuovi fatti. Ma vi sono due modi
differenti in cui egli può venire a conoscenza dei nuovi fatti,
che lo portano a mutare i suoi piani e che, per gli scopi che in
tendiamo perseguire, presentano un significato completamente
diverso. Egli può infatti apprendere questi nuovi fatti in modo
del tutto casuale, cioè non come conseguenza del suo tentativo
di attuazione del suo piano iniziale, ovvero può succedere che
nel corso del suo tentativo egli scopra che i fatti risultano dif
ferenti da quelli attesi. E ovvio che, affinché egli possa dare
corso al suo piano, la sua conoscenza dee essere corretta solo
relativamente a quei punti sui quali essa risulterà necessaria
mente confermata o corretta nel corso dell’esecuzione del pia
no. Ma il soggetto potrebbe non avere conoscenza alcuna di
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quegli elementi che, se in suo possesso, influenzerebbero certa
mente la determinazione del suo piano.
La conclusione che bisogna allora trarre è che la conoscen
za rilevante che il soggetto deve avere affinché possa prevalere
la configurazione di equilibrio è quella che egli è costretto ad
acquisire in vista della posizione in cui inizialmente si trova e
dei piani che egli poi formula. Non è certamente tutta la cono
scenza che, se acquisita per puro caso, gli tornerebbe utile e
che lo indurrebbe ad una variazione del suo piano. E potrem
mo benissimo avere una posizione di equilibrio solo perché al
cune peisone non hanno possibilità alcuna di apprendere fatti
che, in caso contrario,
li porterebbero a mutare i loro piani In
altre parole, è solamente rispetto alla conoscenza che una per
sona è in grado di acquisire nel corso dell’attuazione del suo
piano iniziale e delle successive modificazioni che una configu
razione di equilibrio può verosimilmente essere conseguita.
Mentre una posizione del genere costituisce, in un certo
senso, una configurazione di equilibrio, è chiaro tuLtavia che
essa non è tale quando il termine equilibrio viene inteso nel si
gnificato speciale di posizione ottimale. Affinché i risultati
prodotti dalla combinazione di frammenti individuali di cono
scenza possano essere equiparati a quelli ottenibili grazie all’at
tività di direzione e di coordinamento di un dittatore onni
scente, ben altre condizioni debbono essere introdottei. E
mentre appare abbastanza evidente che si possa definire il gra
do di conoscenza di cui gli individui debbono risultare in pos
sesso affinché si generi un tale risultato, non sono a conoscen
za di alcun reale tentativo in questa direzione. Una condizione
potrebbe probabilmente essere che il proprietario di determi
nate risorse, al momento utilizzate in un certo modo, sia a co
noscenza di tutti i possibili usi alternativi di ciascun tipo di ri
sorsa, ciò che consente di connettere, direttamente o indiretta
mente, tutti gli usi differenti di codeste risorse
21
Queste condizioni sono generalmente descritte in termini ds a-sen/,) sII •‘.ntri
In un articolo di recente pubblicazione IQtiatmiItT o; Capso,
’ ,na an R,.ni’ ‘e
5
resi), in ssJournal of Political Iconomv», XLIV (1936),
o.
5. p 638) il pio( F Il
ti».
Knight giustamente sottolinea che ‘<“errore” e il signiheato usiale che viene stiimhui
to nella discussione economica al concetio di attrito’,.
22 Questa potrebbe essere una,
ma probabilmente non aneola suttisietite, otid
ziorse, per assicurare che, dato lo stato della domanda, la produttisita marginale
dei
diversi fattori della produzione risulti uguale nei loro differetiti usi i, cjmindt possa
realizzarsi, in questo senso, una configurazione di equiltbrto della produzione. Il tat
250
i ON( iTtì i i’ROHi LMI 1)1.1 i ‘i CO’,Or,UA reeiucA
Ma l’accenno a queste condizioni mi serve soio quale esem
pio per mostrare come, nella maggior parte dei casi, sia suffi
ciente che in ciascun settore esista un certo numero di persone
che dispongono, nel loro complesso, di tutte le informazioni ri
levanti. L’approfondimento di questa tematica è certamente
un compito interessante e molto importante da attuare, ma es
sa va ben oltre i limiti posti a questo saggio.
Sebbene quanto ho detto su questo punto sia stato esposto
in forma essenzialmente critica, non voglio sembrare eccessi
vamente pessimista circa i risultati già conseguiti in questo
campo. Anche se si è sorvolato su ciò che è un legame essenzia
le nella nostra analisi, ritengo tuttavia che l’economia, per ciò
che è implicito nel suo modo di argomentare, si sia avvicinata
più di ogni altra disciplina a dare una risposta al quesito centra
le per tutte le scienze sociali, e cioè in che modo la combinazio
ne di frammenti di conoscenza, di cui dispongono individui di
versi, può portare a risultati che, per poter essere ottenuti con
sapevolmente, richiederebbero un grado di conoscenza e di in
formazione in colui che fosse chiamato a prendere le decisioni
che, in realtà, nessuna persona potrà mai possedere. La dimo
strazione che, in questo senso, le azioni spontanee degli indivi
dui determineranno, sulla base di condizioni che noi possiamo
specificare, una distribuzione delle risorse che può essere con
cepita come se fosse il risultato di un singolo piano, sebbene in
realtà nessuno lo abbia formulato, è secondo me una risposta al
problema della «mente sociale». Non dobbiamo tuttavia sor
prenderci per il fatto che questa nostra pretesa di aver trovato
cile pii impieghi alternatis i, di cui seno a ionecen7a i proprietari delle risorse
adoperate in un certo uso, siano riflessi nei prezzi di tali risorse, implica che non è
necessario, come si potrebbe supporre, ipotizzare che almeno uno dei proprietari di
ciascun gruppo di quelle risorse, che sono impiegate in un determinato uso, sia a co
noscenza di ogni posihile uso alternativo di qualsivoglia risorsa. In questo modo es
sa può costituire una distribuzione sufficiente della conoscenza degli usi alternativi,
m, o, o,
y, :, di una merce se A, il quale utilizza la quantità a sua disposizione di
queste risorse per l’uso m, è a conoscenza dell’uso o, e B, che usa invece le sue risor
se per l’uso o, è a conoscenza dell’uso m, mentre C, il quale usa le proprie risorse per
o, conosce che esiste l’uso o, ecc., fino ad arrivare ad L il quale usa le risorse di cui è
in possesso pci l’uso z, ma è a conoscenza del solo uso alternativo y. Non mi e tutta
via htn chiaro in che misura sia richiesta, in aggiunta a ciò, una particolare distribu
zione delle informazioni circa le differenti propoizioni in cui i diversi fattori possono
essere combinati nella produzione di una merce qualsiasi. Per l’indis ideazione di una
configurazione completa di equilibrio si renderanno necessarie ipotesi addizionali
concernenti il grado di conoscenza di cui i consumatori dispongono relativamente al
l’adeguatezza delle merci per il soddisfacimento dei loro bisogni.
to
( ONO>,ii’, I ( ()NOSCLNZS
251
una soluzione al quesito sia stata generalmente respinta dai
sociologi, poiché non siamo stati capaci di fondarla in modo
corretto.
Vi è solo un ulteriore punto che desidero toccare in con
nessione con quanto già detto. Se la tendenza verso l’equili
brio, che abbiamo ragione di ritenere che esista sul piano em
pirico, è in realtà solamente la tendenza ad un equilibrio rela
tivo a quella conoscenza che la gente acquisirà nel corso della
propria attività economica e se qualsiasi altra forma di varia
zione della conoscenza deve considerarsi come una «variazio
ne nei dati», nel senso usuale del termine, e che come tale ca
de al di fuori della sfera di competenza dell’analisi di equili
brio, allora ciò significa che l’analisi di equilibrio non può in
realtà dirci alcunché sul significato da attribuire a codeste va
riazioni di conoscenza; e potremmo spingerci fino ad afferma
re che l’analisi pura sembra aver straordinariamente ben poco
da dirci in relazione alle istituzioni come la stampa, il cui
compito è appunto quello di trasmettere conoscenza. Ciò po
trebbe anche spiegare perché la preoccupazione per l’analisi
pura rende cosf frequentemente ciechi di fronte al ruolo gioca
to nella vita reale da istituzioni quali la pubblicità.
10. Con queste osservazioni piuttosto scarne su argomen
ti che invece meriterebbero una ben più attenta disamina, ri
tengo di dover concludere la mia rassegna di questi problemi.
Vi è solo un ulteriore paio di annotazioni che desidero aggiun
gere.
La prima è questa: quando ho sottolineato la natura delle
proposizioni empiriche di cui si deve far uso, se vogliamo far
sf che l’apparato formale delle analisi di equilibrio possa servi
re alla spiegazione del mondo reale e quando ho messo in evi
denza che le proposizioni relative al modo in cui la gente ac
quisisce ie informazioni rilevanti hanno natura profondamen
te diversa da quelle proprie dell’analisi formale, non ho inteso
suggerire che qui si apre, immediatamente, un ampio spazio
per la ricerca empirica. Dubito molto che un tale tipo di inda
gine possa insegnarci qualcosa di nuovo. Il punto importante è
piuttosto quello di essere chiari su quali siano ie questioni di
fatto da cui dipende l’applicabilità della nostra argomentazio
ne al mondo reale; ovvero, per porre la medesima cosa in altri
termini, in quale misura la nostra argomentazione, una volta
25
(u( i ciii PRUIII
MI IM.] I ‘I IIIMIMIA HI)RI( A
che sia applicata ai fenomeni del mondo reale, risulta soggetta
a verifica
La seconda osservazione è che noti intendo affatto suggeri
re che il tipo di problemi che ho discusso in questo saggio siano
stati estranei alle tematiche degli economisti delle generazioni
passate. 11 solo appunto che può essere mosso nei loro confron
ti è che costoro hanno confuso a tal punto i due tipi di proposi
zioni, quelle a priori e quelle empiriche, di cui ogni economista
che si rispetti fa un uso costante, che è sovente praticamente
impossibile capire quale sorta di validità essi hanno inteso at
tribuire ad una determinata affermazione.
Il lavoro più recente è risultato immune da questo errore
ma il prezzo pagato è stato quello di rendere sempre più
oscuro il tipo di rilevanza che le argomentazioni avanzate pre
sentano rispetto ai fenomeni del mondo reale. Tutto quello che
ho cercato di fare è stato di individuare la maniera per recupe
rare il significato concreto della nostra analisi, significato che,
purtroppo, siamo inclini a perdere di vista, mano a mano che la
nostra analisi si fa più elaborata. Il lettore può anche trarre
l’impressione che la maggior parte di ciò che ho detto in queste
note altro non sia che un luogo comune. Ma di tanto in tanto è
probabilmente necessario distogliersi dagli aspetti più propria
mente tecnici di un problema e chiedersi, in tutta semplicità,
in che cosa il problema consista. Se solo sono riuscito a mostra
re che, in certe situazioni, la risposta a tale quesito non solo
non è ovvia, ma che addirittura talvolta non siamo nemmeno
in grado di sapere quale essa sia, allora il mio scopo è stato am
piamente raggiunto.
—
4. Equilibrio e capitale
1. Lo scopo del/a ricerca
Lo scopo principale di questa ricerca e quello di esaminare
in modo sistematico ie interrelazioni tra le diverse oarti della
struttura materiale dei processo di produzione e il modo in
cui questa si adatta ai mutamenti di condizioni. In passato
questi complessi problemi sono stati discussi esplicitamente
solo come parte della teoria del capitale e dell’interesse. Qui
verranno trattati da un punto di vista piuttosto diversu: il no
stro obiettivo più importante sarà infatti quello di esaminare
in termini generali quale tipo di attrezzature è piu pwtitte\’o
le produrre in condizioni diverse e in quale modo vengono
utilizzate ìe attrezzature esistenti in ogni dato illornento.
piuttosto che quello di spiegare quali fattori hanno determi
nato il valore di un dato stock di attrezzature produtriv e
del reddito che se ne ricaverà. Come risulterà chiaro La bre
ve, in questo campo \ i sOflO alcuni problemi piuttosto impor
tanti e difficili, che ricadono in quella che generalmcnle e
considerata la sfera dell’analisi dell’equilibrio, ma che non
hanno ancora ricevuto attenzione adeguata. La parte di gran
lunga maggiore della presente indagine sarà limitata a quegli
aspetti dell’argomento che appartengono all’analisi dJl’cquili
brio propriamente detta. Una trattazione completa del pro
cesso economico nella sua evoluzione nel tempo e dei proble
mi monetari connessi a questo processo è fuori della portata
di questo libro. Nei prossitni due capitoli cerclieremo di giu
stificare la distinzione qui implicata e le questioni metodolo
giche che sottostanno a questa distinzione. Quello che deside
ro spiegare a questo punto è perché il compito che qui ci pre
figgiamo sia abbastanza importante da meritare tino studio
separato; questo compito consiste semplicemente nel formula-
-
254
( Oi\( i i il i
‘RUBI i Mi DLI i i (ONOM1A il (DUCA
i CLII DIRlO i ( (Pi Liii
re quegli elementi della teoria del capitale che di solito sono
trattati come parte dell’analisi dell’equilibrio generale in ma
niera tale che essi si dimostrino utili per l’analisi dei fenomeni
monetari del mondo reale.
A prima vista può apparire piuttosto sorprendente che qui
si dica che la teoria del capitale
teoria che si occupa di un ar
gomento che è stato cosf ampiamente e vigorosamente discusso
fin dalle origini della scienza economica
deve essere quasi
completamente rifondata non appena si cerchi di utilizzare i
suoi risultati per l’analisi dei più complessi fenomeni del mon
do reale. Ma vi sono motivi molto validi che spiegano perché la
teoria del capitale
nella forma in cui esiste al momento
si
è dimostrata meno utile di quanto desidereremmo per gli scopi
per cui ne abbiamo bisogno oggi. Il fatto è che i problemi del
capitale, cosf come li intendiamo qui, e cioè i problemi che sor
gono dalla dipendenza della produzione, dalla disponibilità di
«capitale» in certe forme e quantità, non sono quasi mai stati
studiati di per se stessi e per la loro specifica importanza. E, co
me vedremo, la teoria dell’equilibrio stazionario, nel cui ambito
sono stati trattati questi problemi, non offriva alcuna reale pos
sibilità di esaminarli in maniera esplicita. Questi problemi, nel
la misura in cui sono stati effettivamente discussi, sono stati
analizzati in modo quasi del tutto subordinato ad un altro pro
blema, quello di spiegare l’interesse; e l’idea di trattare la teoria
del capitale come un’appendice della teoria dell’interesse ha
avuto conseguenze piuttosto negative sullo sviluppo della teo
ria stessa. Questo a causa delle due ragioni seguenti.
Innanzitutto questa teoria è stata sviluppata solo per quan
to sembrava necessario in relazione allo scopo principale di
spiegare l’interesse; e l’obiettivo che questa spiegazione si è
proposto è stato quello di illustrare un principio generale per
mezzo dei casi più semplici che si potessero immaginare, piut
tosto che quello di elaborare un’analisi adeguata delle interrela
zioni esistenti in condizioni più complesse.
La seconda ragione, anche più importante, sta nel fatto che
i tentativi di spiegare l’interesse, per analogia con il salario e la
rendita, come il prezzo dei servizi di qualche «fattore» di pro
duzione dato in maniera ben definita , ha generato quasi sem
—
—
—
(tr. \V E
ping Com»:n,iza,
A rn>s i rong, Savzng ami Invcltrnent. The Fheort of capital in a Dei’elo
London, 1936, p. 3: «il nattamento del capitale come un fattore
...
2))
pre la tendenza a considerare il capitale
come
omogenea, la cui «quantità» può essere trattata una sostanza
come un «da
to» e che, una volta definita in modo
appropriato, può essere
sostituita, per gli scopi dell’analisi economica,
alla più com
pleta descrizione degli elementi concreti di
cui
essa
consiste.
In queste condizioni, era inevitabile che
ro coll’assegnare un ruolo preminente autori diversi finisse
ad
stesso fenomeno; di qui traggono origineaspetti diversi dello
discussioni
interminabili sulla «natura» del capitale, chequelle
si
collocano
tra i
capitoli meno edificanti della scienza economica.
Naturalmente ci sono state lodevoli eccezioni,
tra le quali
le più degne di nota sono costituite dai
lavori di Jevons,
Bòhm-Bawerk e Wicksell, che almeno sono
del processo di produzione e del ruolo del partiti dall’analisi
di questo processo, invece che dal concettocapitale all’interno
to come una grandezza quasi omogenea. di capitale defini
Ma perfino questi
autori e i loro seguaci hanno utilizzato questa
giungere alla fine ad una qualche definizione analisi solo per
singola che, ai
fini delle ulteriori indagini, considerava in
blocco,
come una
massa quasi omogenea, tutti o quasi tutti
i
diversi
elementi
della ricchezza prodotta dall’uomo; e questa
definizione
è sta
ta poi utilizzata al posto della più completa
descrizione
da
cui
questi autori erano partiti.
Come vedremo, è quanto mai dubbio che
pitale» in termini di una qualche grandezza l’analisi del «ca
que definita, sia stata positiva perfino per il singola, comun
diato, e cioè per la spiegazione dell’interesse.suo scopo imme
E non può sus
sistere alcun dubbio che questo tipo di
analisi sia stata disa
strosa per la comprensione dei processi
dinamici. I problemi
sollevati da ogni tentativo di analizzare la
duzione sono principalmente connessi con dinamica della pro
le differenti parti della elaborata strutturale interrelazjonj tra
delle attrezzature
produttive che l’uomo ha costruito per soddisfare
i suoi biso
gni. Ma tutte le differenze essenziali tra
queste
parti sono
state oscurate dallo sforzo generale di
includerlein
una defi
nizione onnicomprensiva dello stock di
capitale. E stato siste
maticamente ignorato il fatto che questo
è una massa amorfa, ma possiede una stock di capitale non
struttura ben definita;
di produzione alla slesia stregua della
terra e del lavoro ha condotto a molte
erionec
conclusioni»
I
1
I \II 1)111
«,\,iI\II
1LORICA
EQUILIBRIO E CWIJ’Lj
in altre parole. non si è considerato che il capitale è organiz
zato in modo ben definito e che, molto di più della sua
«quantità» aggregata, conta il fatto che esso sia composto da
elementi essenzialmente differenti. Né è stata di molto aiuto
l’affermazione, enunciata occasionalmente da alcuni economi
sti, secondo la quale il capitale è una «concezione organica in
tegrata» dal momento che a tali accenni non è seguita un’at
tenta analisi del modo in cui si riesce a far si che le diverse
parti si integrino l’una con l’altra.
Questo concentrarsi su un particolare concetto di capita
le ignorando tutti gli innumerevoli significati che vengono
associati alla parola capitale nel linguaggio quotidiano, dà ori
gine ad un ulteriore inconveniente. Non si tratta solo del fat
to che il termine capitale, in ciascuno dei suoi significati «rea
li», non si riferisce ad una sostanza omogenea. Oltre a questo,
vi e l’ulteriore difficoltà che, anche descrivendo le caratteri
stiche fisiche di tutti gli elementi di cui si compone la struttu
ra reale della produzione, non riusciamo comunque a descri
vere tutti i fattori che determinano il modo in cui questi ele
del termine capita
menti vengono utilizzati. I
tributo alla
inconscio
un
le nel linguaggio quotidiano sono
parte de
maggior
purtroppo
la
ma
problema;
complessità del
nell’altro,
o
modo
in
un
che,
concluso
aver
sembra
gli autori
ci dovesse csere una qualche singola sostanza corrispondente
all’unicità del termine, che si era dimostrato capace di assol
vere a tante funzioni diverse.
In effetti i sono almeno due tipi di grandezze, o piutto
sto di proporzioni, rilevanti che dobbiamo prendere in consi
derazione se vogliamo capire il funzionamento del meccani
smo dei prezzi in questo campo; nessuna delle due è una sem
plice «quantità», e nessuna delle due si trova in una relazione
univoca con il saggio di interesse, se non attraverso la relazio
ne che la legaj all’ altra. La prima grandezza è costituita dalla
dimensione della struttura reale delle attrezzature produttive,
che descrive come queste attrezzature siano organizzate per
.
vari
significati
produrre, o siano in grado di produrre, varie quantità di out
put finale in periodi differenti. La seconda è costituita dalle
domande proporzionali, o dai prezzi relativi, che ci si attende
2
} KnigIt, l’rolc>sor Ilayek an the Iheor o! 1ute,,zent, in <Economic Jour.
al’. XIV 1935. o 177, p. 83.
257
che varranno per queste diverse quantità di output nei
periodi. La prima di queste due relazioni quantitative diversi
ve le proporzioni tra le quantità esistenti di risorse descri
in termini dei loro costi relativi, mentre la seconda concrete
domanda relativa per i vari tipi di risorse. Ma solo descrive la
considerati
congiuntamente questi due insiemi di relazioni o proporzioni
quantitative determinano quella che di solito viene considera
ta come l’offerta di capitale in termini di valore.
Trattare il problema del capitale in termini di
di offerta di una singola grandezza è possibile solodomanda e
se
me che le proporzioni appena descritte si trovino in si
una certa
relazione di equilibrio l’una rispetto all’altra. Basandoci
su
questo assunto, potremmo rappresentare il risultato
che
deri
va dall’incontro tra una data offerta di beni capitali
e la corrispondente domanda di questi beni come concreti
una
dezza ad una sola dimensione, una quantità di
capitale in
astratto che potrebbe essere associata ad una scheda
produttività marginale del capitale in quanto tale; e in della
senso esisterebbe una correlazione univoca tra «la» questo
quantità
del capitale e il saggio di interesse, Come prima
spiegazione
del saggio di interesse, la considerazione di un simile
stato
immaginario dì equilibrio ultimo può presentare una qualche
utilità. Non c’è dubbio che le teorie tradizionali
dell’interesse
non fanno molto di più che descrivere le condizioni
di un sif
fatto equilibrio stazionario di lungo periodo. Dato
che questo
concetto di equilibrio di lungo periodo si basa sul
presupposto
che le quantità delle singole risorse, misurate in termini
sto, siano in corrispondenza perfetta con i loro rispettivi di co
valo
ri, la descrizione del capitale in termini di un
aggregato di va
lore è in questo caso sufficiente, Anche ai fini di quella
volte viene chiamata «statica comparativa», e cioè ai che a
fini
confronto fra stati alternativi di equilibrio stazionario, del
è an
cora possibile assumere che le due grandezze si
muovano di
pari passo da una posizione di equilibrio all’altra,
cosf che
non è mai necessario distinguerle.
Il problema assume un carattere diverso, tuttavia,
pena ci si chieda come sia possibile ottenere uno non ap
equilibrio stazionario, o anche quale sarà la reazione distato di
to sistema ad un cambiamento imprevisto, In questo un da
è più possibile trattare i differenti aspetti del capitale caso non
fossero uno solo, e diviene evidente che la «quantità come se
di capiassu
gran
258
CONCETTI E PROBLEMI DELL’LCONOMIA TEORICA
EQUILIBRIO E CAPITAI E
tale» come grandezza di valore non è un dato ma solo un ri
sultato, del processo di equilibramento. Con la scomparsa del
l’equilibrio stazionario, il capitale si divide in due differenti
entità, i cui movimenti devono essere seguiti separatamente e
la cui interazione diviene il vero problema. Non esiste più
un’offerta di un singolo fattore, il capitale, che può essere
messo a confronto con la scheda della produttività del capita
le in astratto; ed i termini domanda e offerta, riferiti a gran
dezze che influenzano il saggio d’interesse, assumono un nuo
vo significato. E la struttura reale delle attrezzature produtti
ve esistenti (che nell’equilibrio di lungo periodo rappresenta
l’offerta) a determinare ora la domanda di capitale; e per de
scrivere ciò che costituisce l’offerta gli economisti sono stati
in genere costretti ad introdurre termini vaghi e indefiniti,
come capitale «libero» o «disponibile». Perfino quegli autori
che nei primi stadi delle loro trattazioni avevano preso posi
zione, nella maniera più decisa, a favore di uno solo dei signi
ficati del termine capitale, e precisamente a favore di un con
cetto di capitale «reale», si sono poi trovati costretti ad utjliz
la parola «capitale» in un altro senso o ad introdurre
qualche nuovo termine per designare qualcosa che nel lin
guaggio comune viene ugualmente chiamato capitale. La con
seguente ambiguità del termine capitale è stata fonte di inter
minabili confusioni, al punto che numerosi economisti hanno
suggerito e una volta o due il suggerimento è stato anche
messo in pratica’ che questo termine sia bandito completa
mente dall’uso scientifico. Anche se vi è parecchio da dire a
favore di questa idea, nel complesso però sembra preferibile
utilizzare l’espressione capitale come termine tecnico per in
dicare una delle grandezze in questione, senza tuttavia trascu
rare le altre che a volte sono designate con lo stesso termine.
Come spiegheremo in maniera più approfondita nel cap. 4
[qui omesso], in questo lavoro useremo il termine capitale per
,
CIr. K. Wicksell, Lectures on Political Economy, London, George Routledge &
Sons, 1934, voI. I, p. 202; trad. it. Lezioni di economia politica, Torino, UTET,
se non addirittura incon
1966, p. 225: «Ma sarebbe certamente senza significato
sostenere che l’ammontare del capitale è già fissato prima che l’equilibrio
cepibile
tra la produzione e il consumo sia stato raggiunto».
4 Vedi, ad esempio, J.A. Schumpeter, Kapital, in «Handwàrterbuch der Staat
swissenschaften», V (1923), p. 582.
Ad esempio, da E. Cannan, Elementary Political Economy, London, 1888.
259
indicare lo stock complessivo dei fattori di produzione nonpermanenti.
A questo stadio della nostra argomentazione non è possi
bile compiere un’analisi troppo dettagliata del problema. Vale
tuttavia la pena di aggiungere qualche parola, a scopo mera
mente illustrativo, per chiarire le ragioni per cui non si è mai
riusciti a tener conto in maniera seria della natura essenzial
mente non omogenea dei diversi elementi del capitale e per
indicare le conseguenze di questo fatto. Due idee, in partico
lare, hanno avuto un effetto molto negativo su tutta la teoria
del capitale, La prima è t’idea secondo la quale i particolari
elementi che costituiscono il capitale rappresentano un valore
definito indipendentemente dall’uso che se ne potrebbe fare,
si pensava fosse determina
un valore che
a quanto pare
to dalle quantità «investite» in questi elementi. Questa idea è
un residuo delle vecchie teorie del valore basate sui costo di
produzione, la cui influenza si è probabilmente fatta sentire
più a lungo nella teoria del capitale che in qualunque altra
parte della teoria economica La seconda idea si basa sul pre
supposto che le aggiunte allo stock di capitale significhino
sempre aggiunte di nuovi elementi simili a quelli già esistenti,
ovvero che l’incremento del capitale assuma normalmente la
forma di una semplice moltiplicazione degli strumenti usati in
precedenza e che, di conseguenza, ogni aggiunta sia completa
in se stessa e indipendente da quello che esisteva in preceden
za. Questo modo di trattare il capitale come se esso consistes
se di un solo tipo di strumenti o di un insieme di certi tipi di
strumenti presenti in proporzioni fisse
una concezione che
deve il suo successo al fatto che a volte è stata utilizzata espli
citamente come una semplificazione
è forse responsabile,
più di ogni altro fattore, dell’idea che il capitale possa essere
considerato come una semplice quantità fisicamente determi
nata e che il saggio di interesse possa essere spiegato come
una semplice funzione (decrescente) di questa quantità. Natu
ralmente, da simili presupposti conseguirebbe che il saggio di
interesse deve cadere in modo costante e continuo nel corso
—
—
‘.
—
—
—
6 Cfr. Fu. Knight, The Theoty o! Investment once more: Mr. Boulding and the
Aisstrians, in «Quarterly Journa] of Economics», L (1935), n. 1, p. 45: «Da un punto
di vista storico, questa nozione risale alla teoria classica del capitale come prodotto
del lavoro, ed è quindi una conseguenza indiretta di quella fonte perenne di errori
che è la teoria del valore-lavoro».
260
Cosici-rri E PROBLEMI DELl ‘ECONOMIA ThOR1CA
SQUiliBRIO E i 5I’O ALL
del progresso economico, dal momento che ogni aggiunta allo
stock di capitale tenderebbe ad abbassarlo; e il fatto, ormai
ben noto, che il saggio di interesse è soggetto ad ampie flut
tuazioni in periodi relativamente brevi sembrerebbe non ave
re alcun fondamento nei fenomeni «reali», e dovrebbe quindi
essere ascritto interamente all’influenza di fattori «monetari».
L’organizzazione della struttura delle risorse reali, corri
spondenti ad ogni valore aggregato atteso dello stock esisten
te di capitale, dipende naturalmente dal tipo di tecnica pro
duttiva che è possibile con quella quantità di capitale. E l’as
serzione, secondo la quale in condizioni di equilibrio una dif
ferente organizzazione strutturale è associata ad un differente
valore dello stock di capitale, significa che le variazioni del
l’offerta di capitale danno luogo a cambiamenti della tecnica
produttiva. L’idea, largamente condivisa, che il capitale con
sista di (o sia) un insieme definito di strumenti combinati in
proporzioni fisse, e il corollario di questa idea, secondo il
quale esiste in ogni momento solo una tecnica produttiva pra
ticabile (che si suppone determinata o dallo stato delle cono
scenze tecnologiche o dagli strumenti durevoli già esistenti)
portano ad un altro errore. Questo errore, che può essere op
portunamente definito come la «teoria della domanda deriva
ta», ha svolto un ruolo importante nelle recenti discussioni
sui problemi relativi al ciclo economico.
L’errore inerente a questa concezione non consiste, natu
che la
del tutto corretta
ralmente, nella mera asserzione
domanda
dalla
at
produttive
derivi
domanda di attrezzature
nell’idea
piuttosto,
insito,
l’errore
è
tesa di beni di consumo;
secondo la quale la quantità di attrezzature produttive neces
saria per soddisfare la domanda aggiuntiva di beni di consu
mo è determinata unicamente dallo «stato esistente della tec
nica». Se la tecnica produttiva che deve essere impiegata fos
se determinata da fattori extra-economici, e in particolare se
si assumesse che questa tecnica è indipendente dal saggio di
interesse, allora un dato cambiamento della domanda di beni
di consumo si trasmetterebbe effettivamente, in modo auto
matico e secondo un rapporto prestabilito, agli stadi prece
denti della produzione, e Il si trasformerebbe nella domanda
di una quantità di attrezzature univocamente determinata. A
questa conclusione giungono invariabilmente quegli autori
che riescono a concepire un incremento di capitale solo come
—
—
261
una semplice duplicazione delle attrezzature del tipo già esi
stente e che ignorano completamente i cambiamenti della
tecnica produttiva connessi con il passaggio da metodi di pro
duzione meno «capitalistici» a metodi più «capitalistici», e vi
ceversa. Nello studio dei problemi relativi al ciclo economico
questa concezione è diventata largamente nota sotto il nome
di «principio di accelerazione della domanda derivata». Essa
trae una certa speciosa plausibilità dal fatto che in determina
te condizioni monetarie le cose possono procedere per un cer
to periodo in conformità a quanto essa sostiene ma, come
vedremo, il fatto che le influenze monetarie possano a volte
temporaneamente oscurare, o perfino rovesciare, le influenze
più durature dei fattori reali sottostanti, è uno dei motivi più
importanti per cui è essenziale intraprendere uno studio siste
matico del significato di questi fattori reali.
Possiamo accennare ad un ultimo caso in cui si manifesta
no gli effetti negativi che queste idee semplicistiche sul capi
tale hanno esercitato sull’analisi dei fenomeni dinamici, e in
particolare sull’analisi delle fluttuazioni economiche. Mi rife
risco alla sommaria distinzione comunemente tracciata tra
produzione corrente e nuovi investimenti, o a quella tra la ri
produzione dello stock esistente di capitale e le aggiunte a
quello stock, o anche alla distinzione, ancora più sommaria,
tra la produzione lorda di beni capitali e la produzione di be
ni di consumo. Anche qui l’idea che la crescita del capitale
avvenga tramite l’aggiunta di nuovi elementi, per natura simi
li a quelli già esistenti, ad uno stock altrimenti immutato, ha
generato grande confusione nel dibattito contemporaneo. Lo
stesso discorso vale per l’idea, affine alla precedente, secondo
la quale, per gli scopi dell’analisi, si può adeguatamente trat
tare l’intero problema del capitale dividendo le industrie in
due gruppi, l’uno costituito dalle industrie produttrici di beni
ò;
Benché gran parte del dibattito corrente sui problemi dcl ciclo economico sia
in una certa misura influenzato da questa idea, non c’è probabilmente nessun altro
libro scritto da un’economista di qualche peso dove essa senga impiegata in maniera
cosi rozza come nel volume di H.G. Moulton, The Tormation o! Cspital, Washing
ton, 1935. A prescindere da questo punto specifico, questo libro è anche una vera e
propria raccolta di gran parte degli errori correnti connessi alla teoria del capitale.
8 Vedi oltre, Parte IV [qui
omessa], e la mia raccolta di saggi Projzts. Interesi, and
Investment. and Other Eisays on the Theory 01 IndBstrzal Fluctuatzons, London, George
Routledge & Sons, 1939, dove il significato del principio di accelerazione della do
manda derivata è esaminato in maniera abbastanza approfondita.
262
CONCETTI L PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA
di consumo, l’altro da quelle che producono beni di investi
mento. Ma, com’è ovvio, queste considerazioni implicano
problemi troppo complessi perché sia possibile andar oltre un
semplice cenno a questo stadio della nostra argomentazione.
Questi problemi sono connessi, in una certa misura, alla di
stinzione tra breve e lungo periodo e ai vari concetti di equili
brio, che verranno discussi nel prossimo capitolo.
2. L’analisi dell’equilibrio e il problema del capitale
Nel capitolo i abbiamo sostenuto che la maggior parte
delle deficienze della teoria del capitale nella sua forma attua
le vanno attribuite al fatto che questa teoria è stata studiata,
in effetti, solo sotto l’ipotesi di stato stazionario, e cioè in re
lazione ad uno stato in cui sono assenti quasi tutti i problemi
più interessanti relativi al capitale. Ciò dipende principalmen
te da due motivi: innanzitutto i problemi caratteristici della
teoria del capitale riguardano l’interdipendenza fra differenti
industrie, e di conseguenza sorgono solo in connessione con
una teoria dell’equilibrio generale; in secondo luogo, la mag
gior parte dei sistemi correnti di teoria economica (in partico
lare il più influente, quello di Marshall) non prendono real
mente in considerazione alcuno stato di equilibrio generale
che non sia al tempo stesso stazionario. I cosiddetti equilibri
di breve periodo, se si vuole che questo concetto abbia un
qualche significato, devono necessariamente essere concepiti
come equilibri parziali E l’equilibrio di lungo periodo, il so
lo che sia un equilibrio generale, coincide (come sottolinea lo
stesso Marshall) con l’«ipotesi di uno stato stazionario dell’at
tività produttiva» IO.
“.
‘
La ragione di ciò diverrà chiara man mano che procediamo nell’argomentazio
ne Qui occorre solo rilevare chc il metodo dell’equilibrio di breve periodo consiste
essenzialmente nel trascurare tutte quelle conseguenze di un dato cambiamento la
cui rilevanza, per il problema che costituisce l’oggetto immediato di analisi, è del se
condo ordine di grandezza. Questo significa che si ignorano deliberatamente certe
conseguenze, perché esse non influenzano quelle parti del sistema a cui siamo princi
palmente interessati — un modo di procedere che è chiaramente inammissibile quan
do ci si stia occupando dell’equilibrio del ststema nel suo complesso.
1 Cfr
A. Marshall, Principle> o! Economico, London, Macmillan & Co.,
1916’, p 379, nota 1; trad. it. Principii di economia, Torino. UTET, p. 360,
nota 1: «Ma in realtà un periodo lungo teoricamente perfetto deve lasciar tempo suf
ficiente non soltanto per consentire che i fattori di produzione della merce si adegui-
EQUILIBRIO
cAprrsLE
263
Tuttavia, un esame dei problemi della teoria del capitale,
che aspiri ad avere una qualche rilevanza, deve muoversi pre
cisamente su quel terreno negletto in cui si considerano equi
libri generali che non sono al tempo stesso stati stazionari,
Questa analisi deve servirsi di una teoria dell’equilibrio gene
rale, dal momento che ha a che vedere con le interrelazioni
tra diversi gruppi di industrie e, in particolare, con gli effetti
che i cambiamenti che si verificano in un’industria produco
no, in un’altra, effetti che vengono deliberatamente trascura
ti quando si studia il particolare equilibrio di breve periodo di
una specifica industria o di un gruppo di industrie. Inoltre,
essa non deve limitarsi allo stato stazionario, perché qui, ex
definitione, scompaiono quasi tutti i problemi di cui si deve
occupare la teoria del capitale °. In questo ambito si tratta
principalmente di spiegare quali tipi di strumenti verranno
prodotti in condizioni date e quali conseguenze comporterà la
produzione di particolari strumenti. E questi problemi, natu
ralmente, non si presenteranno neppure, se si assume fin dal
l’inizio che venga costantemente riprodotto lo stesso stock di
attrezzature L’impossibilità di trattare in modo adeguato i
problemi del capitale all’interno di una struttura concettuale
basata sull’equilibrio stazionario diventa naturalmente ancor
più evidente non appena si cerchi di incorporare nell’analisi,
come pur si deve fare, i problemi relativi a ciò che si è soliti
indicare con le espressioni «risparmio» e nuovi «investimen
ti»: queste attività, infatti, implicano per definizione che le
persone che vi si dedicano intendano modificare la propria si
no alla domanda, ma perché si adeguino anche i fattori della produzione di quei fat
tori di produzione, e cosi via. Tutto questo, se spinto fino alle ultime conseguenze
logiche, porterebbe seco l’ipotesi di uno Stato stazionario dell’attività produttiva, in
cui le esigenze di un tempo avvenIre possano prevedersi fin da un tempo tndefinita
mente precedente [.-.1. In generale, i problemi relativi a periodi relativamente lunghi
e a periodi relativamente brevi procedono in modo analogo. In entrambi si fa uso di
quel metodo prezioso, che è l’isolamento parziale o totale di qualche gruppo di rela
zioni, da studiare a parte». Si veda anche lbidem, p. 349, dove lo stato stazionario è
definito come uno stato in cui «per molte generazioni di seguito. nello stesso modo e
dalle stesse classi di persone, sarà prodotta la stessa quantità di cose a testa; onde
questa offerta dei mezzi di produzione avrà avuto tutto il tempo di adeguarsi alla do
manda costante,>.
Cfr. W.E. Armstrong, Sat’ing and Invest>nent
cit., p. 1: «Tutto ciò che è ri
levante ed essenziale nel concetto di Attesa (inteso come equivalente del concetto di
Capitale) ricade nell’ambito della teoria economica di una comunità che si sviluppa,
e non può essere trasferito all’analisi di uno Stato Stazionario senza che questo com
porti una violenta distorsione delle idee al di fuori del contesto che è loro proprio».
...,
CONCETti E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA
264
Et. iLiilRto E C.U’il 5tj-
tuazione futura e, di conseguenza, che esse faranno in futuro
qualcosa di diverso da quello che fanno attualmente.
Con ogni probabilità l’irrilevanza del costrutto teorico
dell’equilibrio stazionario, ai fini dell’analisi del problema del
capitale, appare nella maniera più chiara se si considera il fat
to che questo stato fittizio non potrebbe mai realizzarsi in un
dato momento nella società cosf com’è, ma potrebbe essere
raggiunto solo dopo un lasso di tempo molto lungo i2 Le at
trezzature date in ogni momento costituiscono sempre l’eredi
tà di un passato in cui gli sviluppi successivi sono stati previ
sti solo in modo molto imperfetto. E, come vedremo, è pro
prio l’esistenza di queste attrezzature, ed il fatto che la loro
presenza contribuisce a determinare quello che possiamo o
non possiamo fare per un periodo successivo molto lungo, a
costituire il dato che crea lo specifico problema del capitale.
Una teoria che parta dal presupposto che gli aggiustamenti so
no arrivati fino al punto in cui non sono necessari ulteriori
cambiamenti è irrilevante per i nostri problemi, Ciò di cui ab
biamo bisogno è una teoria che ci aiuti a spiegare le interrela
zioni tra le azioni di diversi membri della comunità durante il
periodo (l’unico che rivesta importanza pratica) che precede il
momento in cui la struttura materiale delle attrezzature pro
duttive sia pervenuta ad uno stato che renda possibile un pro
cesso privo di cambiamenti e che ripete semplicemente se
stesso.
L’ampliamento della tecnica di analisi dell’equilibrio che
L’equilibrio stazion4rio presuppone l’esistenza di relazioni di equilibrio fra le
esistenti, e cioe presuppone che i beni esistenti stano esattamente dello stesso ti
po di quelli che, nelle condizioni esistenti, sarebbe profittevole riprodurre. Non è un
equilibrio determinato dai tipi di beni che accidentalmente esistono, ma un equili
brio che ha già trovato espressione nella produzione passata di particolari tipi e
quantità di benì. Per questa ragione, esso è del tutto irrilevante ai finì di una spiega
zione di ciò che accade prima del momento in cui tutti i beni che non hanno caratte
re permanente sono stati sostituiti da quei beni che sarà vantaggioso riprodurre inde
finitamente in forme e quantità identiche. Si suppone che esso sia determinato esclu
sivamente dalle risorse permanenti e dal vago concetto di un’offerta data di capitale
libero e che sia indipendente dalle particolari forme in cui il capitale effettivamente
esiste. L’equilibrio che qui ci interessa analizzare non è un equilibrio che è già incor
porato nelle cose, ma un equilibrio fra le diverse attività volte a creare nuovi beni,
cosi come è determinato dai beni che accidentalmente esistono all’inizio. Questo
concetto di equilibrio è in effetti non meno realistico di quello di equilibrio staziona
rio: infatti, per poter arrivare ad un equilibrio stazionario, sarebbe comunque neces
sario passare per una fase in cui i cambiamenti richiesti per far emergere un equili
brio stazionario fossero ancora in corso, ma i loro risultati venissero previsti in ma
niera corretta.
12
cose
265
ci proponiamo di utilizzare in questa sede è ancora poco no
to. Perciò, prima di procedere, può essere utile chiarire ulte
riormente la differenza tra i due concetti di equilibrio impli
cati nell’analisi; a questo scopo, è opportuno soffermarsi bre
vemente su una certa ambiguità che contraddistingue l’uso
del concetto di dinamica in economia, ambiguità che è stret
tamente connessa al nostro discorso. La nozione di dinamica,
in effetti, ha due significati del tutto diversi, a seconda che
sia posta in contrasto con il concetto di stato stazionario o
con il più ampio concetto di equilibrio, Quando viene utiliz
zata in contrapposizione con l’analisi dell’equilibrio in gene
rale, si riferisce ad una spiegazione del processo economico
cosf come esso evolve nel tempo, una spiegazione di tipo
causale che deve essere necessariamente trattata come una
catena di sequenze storiche. In questo caso non ci troviamo
di fronte ad una mutua interdipendenza tra tutti i fenomeni,
ma ad una dipendenza unilaterale di ogni evento da quello
che lo precede. Questo tipo di spiegazione causale del pro
cesso economico nella sua evoluzione temporale rappresenta
naturalmente il fine ultimo di tutta l’analisi economica, e l’a
nalisi dell’equilibrio è rilevante solo nella misura in cui è
propedeutica rispetto al compito principale. Ma tra il concet
to di stato stazionario e i problemi di dinamica intesa in que
sto senso esiste un terreno intermedio, che dobbiamo attra
versare per passare da un campo all’altro. A volte il termine
dinamica viene utilizzato anche per designare questo terreno
intermedio, ma qui si riferisce a fenomeni che ancora rien
trano nella sfera dell’analisi dell’equilibrio inteso nel senso
più ampio. In questo caso l’uso del termine dinamica signifi
ca solo che non postuliamo l’esistenza di uno stato staziona
rio, ma non dice nulla sul metodo che viene effettivamente
utilizzato i,
È perlomeno dubbio he in t rude ziune Jei termini t
e
t2ttt ca
economia (ad opera dii 5. Mdl, che asma tratto ispii azione d2ll’,ifl2l,i:.i uddjs io
ne introdotta da A. Comie in sociologia) si sia diniosti aia proficua: a puc.ta tei mi
nologia va intatti ascritta la responsabilità della confusione cui ,,bbi,,mo fatto cenno
nel testo. A me sembra che l’ottica distinzione rilei ante sia quella ira due metodi
diversi: il metodo dell’analisi logtca dei diversi piani esistenti in un dato momento
(<d’analisi dell’equilibriot; ed il metodo dell’analisi causale di un processo ici 1cm
p0. Per tracciare questa distinzione i termini statica e dinamica sembrano del tutto
inappropriati, e sarebbe probabilmente meglio se essi scomparissero lietamente
‘
dalla teoria economica.
EQUILIBRIO E CAPII ALL
266
267
NOML TEORICA
(ONCFii’l E l’ROiSLEAIi OLI L’ECO
4,
l’idea
Ora, come ho cercato di dimostrare in altra sede tuisce
io costi
generale di equilibrio, di cui lo stato stazionartipo
di relazio
certo
un
a
isce
rifer
si
e,
colar
parti
solo un caso
parole
altre
In
tà.
ni tra i piani di diversi membri di una socie
pa
com
te
amen
pien
si riferisce al caso in cui questi piani sono
dal
i,
uibil
eseg
tano
risul
tibili l’uno con l’altro, cosf che tutti
società si basa
momento che i piani di ciascun membro della che sono pro
bri,
mem
altri
i
no sulla aspettativa di azioni degl
membri stanno
prio quelle previste dai piani che questi altri
o senz’altro
elaborando nello stesso momento. Le cose stannsanno esatta
in questi termini nel caso in cui gli individui ne che le stes
mente quello che accadrà, per la semplice ragio per un perio
se operazioni sono state ripetute più e più volte equilibrio in
di
do di tempo molto lungo. Ma il concetto
zioni non sta
situa
a
e
anch
icato
appl
e
esser
può
quanto tale
a tra piani,
denz
spon
zionarie, in cui si afferma la stessa corri
che hanno
lo
quel
fare
non perché gli individui continuino a
corretto i
o
mod
in
o
edon
prev
fatto in passato, ma perché essi
Que
altri.
i
degl
i
azion
nelle
cambiamenti che interverranno
en
entem
pend
(indi
che
o,
libri
equi
sta sorta di stato fittizio di
esso
che
ere
cred
di
ne
ragio
sia
ci
non
o
te dal fatto che ci sia
o supporre che
si realizzi effettivamente) possiamo quanto men indispensabi
includa ogni tipo di cambiamento pianificato, è equilibrio ai
si dell’
le se vogliamo applicare la tecnica di anali
uno stato stazio
in
ti
assen
sono
e,
ition
de/in
cx
fenomeni che,
in maniera
nario. Solo in questo ambito è possibile esaminareno nel tem
aggo
protr
si
proficua le relazioni di equilibrio che
esto teorico in cui
po; di conseguenza, è proprio questo il cont del capitale. Si
pura
a
si colloca, in buona sostanza, la teori
praticamente a
può anzi dire che quest’ultima teoria viene
la teoria dello
tra
io
med
inter
coincidere con questo terreno
riamente det
prop
a
omic
econ
stato stazionario e la dinamica
rato in modo
esplo
stato
è
mai
non
ta. Eppure questo campo
sistematico.
di cose tro
Bisogna ammettere, tuttavia, che questo statoc’è ragione di
va una parziale giustificazione nel fatto che non
‘Economica., NS. IV
articolo dal titolo Economics and Knowledge,
volume, cap. 3),
questo
in
enza,
e
conosc
mia
Econo
1937), n. 13, pp. 3354 (trad. it
articolo dal tilo
in
un
te,
isfacen
insodd
to
piuttos
e molto tempo prima, in una forma
des Geldwer
ungen
Beweg
die
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Preisc
dei’
m
lo Da Intertemporale Glezchgewich:ssyste
I (1928), n. 2, pp. 33-76
XXVII
>,,
Archiv
es
a[tlich
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<,Welt
ges, in
14
In
UII
credere che si possa mai realizzare completamente un qualsia
si equilibrio generale, se non dopo che siano cessati tutti i
cambiamenti di dati (e cioè solo quando si sia raggiunto uno
stato stazionario); di conseguenza, almeno a prima vista, non
sembra esserci alcun bisogno di utilizzare un simile costrutto
teorico puramente ipotetico per spiegare il processo economi
co, cosf come evolve nel tempo. Si può pensare che questo sia
più di quanto possiamo richiedere o aspettarci dal metodo
dell’equilibrio, e che tutto ciò che dobbiamo fare è spiegare
come si forma un equilibrio temporaneo in un particolare
mercato. Questo comporterebbe la necessità di spiegare come
si arrivi, una volta che gli elementi più mobili si sono recipro
camente aggiustati, ad uno stato temporaneo di quiete che
durerà fino a quando non avranno luogo i cambiamenti più
lenti nella parte più duratura delle attrezzature produttive. A
questo punto potremmo descrivere le condizioni che prevar
ranno quando tutti questi cambiamenti saranno stati comple
tati (e cioè lo stato ipotetico che verrebbe raggiunto alla fine,
quando tutti i dati rimanessero immutati). Dopotutto, le deci
sioni relative a che cosa e come produrre vengono prese e ri
viste periodicamente, a intervalli di tempo piuttosto brevi, e
potrebbe sembrare che l’analisi periodale, che utilizza il con
cetto di equilibrio parziale di breve periodo in ciascuno sta
dio, tenga conto di questo fatto essenziale, e quindi possa
giungere tanto vicino ad una spiegazione realistica degli even
ti quanto ci si può ragionevolmente aspettare da questo tipo
di approccio.
Dubito fortemente, tuttavia, che il concetto di equilibrio
di breve periodo, applicato ad un sistema economico nella sua
totalità 15, abbia un qualche significato preciso. Ciò che ci si
deve chiedere è se esiste un simile intervallo di quiete relativa
tra il momento in cui i fattori più mobili si sono reciproca
mente aggiustati e il momento in cui gli elementi più rigidi
della struttura possono essere effettivamente aggiustati
15 E non ad una industria particolare, in cui la presenza di specifiche condizioni
renda possibile individttare un determinato periodo di tempo ed affermare che esso è
breve in confronto ad un altro.
Senza una qualche ipotesi di questo genere l’uso del ternsine equilibrio è privo
di qualsiasi giustificazione. Questo termine finirebbe infatti col designare un concet
to del tutto vuoto, che non ci dice nulla di più del fatto che, in ogni momento, alcuni
fattori hanno avuto abbastanza tempo per aggiustarsi ed altri non ne hanno avuto
abbastanza; ma questo varrebbe per ogni possibile situazione La distinzione fra
268
CONCEI Fi
PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA
Questo presuppone che i mezzi di produzione esistenti possa
no essere suddivisi in due gruppi distinti, rispetto al tempo
necessario per adattarli alle nuove circostanze. In altri termi
ni, si deve supporre che il tempo necessario per modificare i
diversi elementi dello stock di risorse esistenti, consumandoli
completamente e producendone di nuovi (tempo che dipende
dal carattere più o meno durevole delle singole risorse e dal
tempo necessario a produrle), non sia disperso in un arco tem
porale relativamente continuo, ma si addensi piuttosto attor
no a due punti in cui la frequenza è massima, con un interval
lo più o meno vuoto tra di essi. Dubito fortemente che questa
ipotesi sia in qualche modo giustificata dai fatti e comunque,
per quanto riguarda questo lavoro, preferisco attenermi all’i
potesi, che mi sembra più plausibile, secondo cui questi perio
di si distribuiscono in maniera relativamente continua e senza
alcuna marcata interruzione (sebbene non necessariamente in
modo uniforme) sull’intero arco dei periodi in questione 17
In ogni caso, a prescindere da questo punto particolare, è
evidente che questo modo di utilizzare il concetto di equili
brio non consente di sfruttare in maniera adeguata alcuni dei
vantaggi più significativi che si possono trarre dall’uso di que
sto potente strumento intellettuale. E probabile che non esi
equilibrio di breve periodo ed equilibrio di lungo periodo ha ovviamente un signifi
come in efietti accade in tutti gli esempi
cato ben definito quando viene applicata
ad un’industria particolare, dal momento che in molti casi i
utilizzati da Marshall
cambiansenti che si veiificano all’interno di questa industria hanno luogo in due sta
di distinti, separati da un intervallo di tempo. Ma, per rendere possibili i cambia
mentI del secondo tipo (e cioè i cambiamenti delle attrezzature durevols), devono ne
cessariamente aver luogo alcuni cambiamenti in qualche altra industria nel corso del
l’intervallo di tempo in questione. E mentre può essere legittimo trascurare quei
cambiamenti che si verificano da altre parti, fintanto che ci si occupa in maniera
esclusiva della situazione della prima industria, questo modo di procedere diviene
chiaramente illegittimo quando ci si riferisce al sistema economico nel suo comples
so. Mi sembra quindi che l’uso del concetto di equilibrio generale di breve periodo
nella teoria monetaria recente sia alquanto discutibile.
17 La distinzione fra l’equilibrio di «breve» periodo e quello di «lungo» periodo
non è altro che il caso più generale di una distinzione che si presenta in parecchi
campi fra loro interconnessi, La distinzione fra costo «primo» e costo «supplementa
re», quella fra capitale «circolante» e capitale «fisso», e quella fra produzione «cor
rente» e «investimenti» (lordi> appartengono tutte alla stessa categoria e sollevano le
medesime difficoltà. Tutte queste distinzioni dovrebbero essere trattate, e saranno
qui trattate, come casi limite di uno spettro continuo di variazioni, e non come de
scrizioni delle modalità più caratteristiche o frequenti. In questa sede non si farà al
cun tentativo di tracciare una linea di divisione arbitraria, e si riconoscerà invece con
franchezza clic le varie forme assunte dai fenomeni in esame sfumano impercettibil
mente l’una nell’altra.
—
—
EQUILIBRIO E i A1’ITALE
269
sta altro modo di trattare questi problemi, fino a che si pre
tende che l’idea di equilibrio si debba necessariamente riferi
re a qualcosa che possiamo osservare nel mondo reale o, alme
no, a qualcosa che si può dimostrare che origini spontanea
mente in certe condizioni. Ma sono propenso a credere che
questi tentativi di fornire un’interpretazione realistica del
concetto di equilibrio (interpretazione la cui legittimità è, in
ogni caso, piuttosto dubbia) ci hanno privati di un uso perlo
meno altrettanto importante di questo concetto, a cui possia
mo ricorrere se ne riconosciamo francamente il carattere pu
ramente fittizio. E stato spesso sottolineato che il concetto di
uno stato di equilibrio è indipendente dalla possibilità di mo
strare come un simile stato potrà mai verificarsi. La ragione
per cui questa asserzione ha inciso cosf poco sull’uso che si fa
effettivamente del concetto di equilibrio sta probabilmente
nel fatto che coloro che l’hanno formulata non hanno mostra
to in modo appropriato come un simile costrutto teorico fitti
zio possa esserci d’aiuto per spiegare eventi reali. In effetti,
quando si è trattato di utilizzare concretamente il concetto, o
lo si è definito atemporale o altrimenti si è fatto ricorso al
lo stato stazionario.
Come abbiamo visto, nella sfera della teoria del capitale la
costruzione teorica di uno stato stazionario è particolarmente
inutile, poiché il problema principale, quello degli investi
menti, nasce proprio perché gli individui intendono fare in
futuro qualcosa di diverso da quello che fanno al presente.
Può anche darsi che essi intendano ripetere continuamente gli
investimenti in quanto tali, dal momento che gli strumenti
prodotti hanno bisogno di essere sostituiti. Ma i risultati de
gli investimenti, siano essi servizi diretti per il consumo o (co
me accade nella maggior parte dei casi) un aiuto per la produ
zione successiva, altereranno necessariamente le cose che è
necessario fare e quelle che si possono fare in futuro. Postula
re uno stato stazionario che ripete continuamente se stesso si
gnifica prescindere proprio dai fenomeni che vogliamo inve
stigare. Tuttavia, se si definisce il concetto di equilibrio in
maniera tale che esso includa piani di azione che variano in
istanti di tempo successivi, questo concetto viene ad assumeNel qual caso, come ho cercato di mostrare nell’articolo citato in precedenza
(alla nota 14>, esso è privo di senso.
270
CONCEtTI E PROBLEMI DELL’ ECONOMIA TEORICA
re un significato molto importante che ci può essere di grande
utilità. Il problema essenziale è quello di appurare se i piani
di individui diversi risultano compatibili, ed hanno quindi
tutti la possibilità di essere realizzati, o se invece la situazione
presente contiene in sé il germe di una inevitabile delusione
per alcuni, delusione che li costringerà a cambiare i loro pia
ni. Non dobbiamo perdere di vista la ragione per cui siamo
interessati all’analisi di un particolare sistema economico in
un dato istante di tempo: il nostro scopo è quello di riuscire a
passare da una diagnosi dello stato esistente delle cose ad una
prognosi di quello che probabilmente succederà in futuro.
Ora, se vogliamo effettuare una qualsiasi previsione, dobbia
mo farlo sulla base dei piani che è probabile che gli imprendi
tori formulino alla luce delle loro conoscenze presenti e sulla
base di un’analisi dei fattori che nel corso del tempo determi
neranno se essi sono in grado di realizzare questi piani o se
invece li devono modificare. Mi sembra naturale partire dalla
costruzione di uno stato fittizio, utilizzato come strumento
intellettuale, in cui questi piani si trovano in perfetta rispon
denza reciproca, senza tuttavia chiedersi se questo stato si
realizzerà mai, o se potrà realizzarsi mai. Infatti è solo per
contrasto con questo stato immaginario, che ci serve in un
certo senso per far risaltare l’altro elemento del confronto,
che siamo in grado di predire quello che accadrà se gli im
prenditori cercheranno di realizzare qualsiasi insieme dato di
piani. La descrizione della posizione di equilibrio, intesa in
questo senso, è al tempo stesso una descrizione della recipro
ca interdipendenza delle decisioni di diversi imprenditori.
Il modo in cui un imprenditore dovrà rivedere i suoi piani
dipenderà dal modo in cui gli eventi si dimostreranno diversi
rispetto alle sue aspettative. Enunciare le condizioni in cui i
piani individuali risultano compatibili equivale quindi, impli
citamente, a stabilire ciò che accadrà se questi piani non sono
compatibili
Vedremo in seguito che questa estensione del concetto di
equilibrio rappresenta l’elemento di passaggio dall’analisi del‘ Questo è strettamente vero solo nel caso di una singola deviazione di un ele
mento particolare in una situazione che, per ogni altro aspetto, è in equilibrio, e cioè
nel caso che tutte le altre aspettative siano confermate. Se più di un elemento venis
se ad assumere un valore diverso da quello atteso, la relazione non sarebbe più cosi
semplice.
EQUII IBRIO F CAPITALE
271
l’equilibrio alla spiegazione in termini di sequenze causali, dal
momento che è volta a chiarire quali sono i fattori che co
stringeranno gli imprenditori a cambiare i loro piani e che ci
aiuta a capire in quale modo i loro piani dovranno cambiare.
In effetti questo modo di utilizzare il concetto di equilibrio
non è sostanzialmente diverso dal confronto tra i due possibi
li modi di guardare ad una particolare situazione, e cioè da un
punto di vista prospettico o retrospettivo (ovvero da un pun
to di vista ex ante o ex post), cosi come questi concetti vengo
no utilizzati dai più giovani economisti svedesi 20, dal momen
to che possiamo far discendere la situazione ex post da quella
ex ante solo se facciamo riferimento al grado di corrisponden
za o non-corrispondenza tra le intenzioni individuali. Lo stato di equilibrio, cosf come viene inteso qui, è uno stato di
completa compatibiità fra i piani ex ante, in cui di conseguen
za (a meno che si verifichino cambiamenti nei dati esterni, a
proposito dei quali, in ogni caso, la teoria economica non ha
nulla da dire) la situazione ex post è identica a quella ex ante.
L’equilibrio rappresenta quindi una sorta di termine di con
fronto, al quale possiamo fare riferimento per stabilire che
cosa ci si debba attendere in ogni situazione concreta.
Il significato di queste considerazioni astratte risulterà più
chiaro se, a titolo illustrativo, prendiamo in esame i problemi
connessi all’attività di investimento. I problemi del capitale o
degli investimenti, cosf come sono qui definiti, sono problemi
connessi con quell’attività che consiste nel provvedere nel
momento presente ad un futuro più o meno lontano. Tutta
via, il futuro rilevante con cui ha a che fare la nostra analisi è
un po’ più esteso dei periodi in vista dei quali il singolo indi
viduo investe consapevolmente in un dato momento. In ogni
momento i suoi piani si basano sull’aspettativa di un certo
stato futuro del mercato, che gli consentirà di vendere i suoi
prodotti ad un certo prezzo; e il suo interesse non va al di là
di questo. Ma lo «stato del mercato» oggettivo, sul quale egli
fa conto, è in larga misura il risultato delle decisioni prese da
altre persone nel momento presente. Perché egli possa riusci
re a vendere i suoi prodotti secondo le sue aspettative, è ne
cessario che gli altri abbiano fatto quei preparativi che con20
46,
Cfr. G. Myrdal, Monetary Equzlihrium, London, W. i{odge & Co., 1939, p.
272
CONCErrI E PROBLEMI OELL’ECONOMIA TEORICA
sentiranno loro di utilizzare proprio quei prodotti al prezzo a
cui egli supponeva di venderli. In altre parole, lo stato del
mercato nel momento per cui egli formula i suoi piani dipen
derà essenzialmente da quello che gli altri hanno deciso nello
stesso momento in cui egli ha formulato i suoi piani. Questo
non è dovuto soio, o anche principalmente, al fatto che i red
diti che queste altre persone potranno spendere dipenderanno
da quello che hanno prodotto, ma anche al fatto che gli stru
menti e i materiali di cui avranno bisogno dipenderanno dai
piani di produzione che essi hanno cominciato a porre in atto.
Questo significa che, sebbene ogni individuo sia guidato solo
da aspettative (più o meno fondate) di particolari prezzi, egli
in effetti si troverà a compiere una parte di un processo più
ampio, che comprende altre parti delle quali egli sa ben poco;
e il fatto che i suoi piani abbiano successo o meno dipenderà
dal fatto che quello che egli fa si combini o non si combini in
maniera opportuna con le altre parti di quel più ampio proces
so che altre persone intraprendono o progettano nello stesso
momento. Nella maggior parte dei casi ciò che egli fa non sa
rà più di un singolo anello in una lunga catena di operazioni
successive. Ci possono essere molti stadi intermedi fra quello
che egli fa ed il consumo finale, ed il successo della sua azione
dipenderà, ad ogni stadio, non tanto dalla domanda finale,
quanto dalla presenza o assenza di strumenti complementari
in quantità che rispettano certe proporzioni, nonché dall’esi
stenza di persone che li vogliono utilizzare negli stadi di pro
duzione successivi. Tutte queste operazioni successive devo
no essere viste come parti di un processo integrato, ciascuna
delle quali ha possibilità di riuscita soio in ragione della posi
zione che occupa all’interno del processo complessivo.
In ogni sistema caratterizzato da una estesa divisione del
lavoro (in particolare quando questa è di tipo «verticale» e
quando molte operazioni successive, effettuate da differenti
imprenditori, dipendono l’una dall’altra come anelli di una
stessa catena), il successo di ogni decisione di produrre una
cosa invece di un’altra dipende dal fatto che altre cose venga
no prodotte in quantità appropriate. Esistono quindi relazio
ni quantitative ben precise tra gli output necessari di diversi
tipi di beni, relazioni che, a causa delle caratteristiche tecno
logiche dei diversi processi, sono generalmente più rigide nel
caso di beni intermedi che nel caso di beni di consumo finale.
i
LQI IUBRI() E CAPIi I E
2T3
Quasi tutte le combinazioni quantitative di tipi diversi di be
ni di consumo possono essere impiegate in un modo o nell’al
tro. Ma i limiti entro i quali possono variare le proporzioni
tra le quantità dei diversi tipi di beni intermedi sono molto
più ristretti. Tra le diverse parti della struttura della produ
zione vi sono proporzionalità ben definite, relazioni quantita
tive ben precise, che devono essere mantenute se non si vuoie
che alcune di queste parti diventino completamente inutili.
Ovviamente è possibile studiare le relazioni quantitative tra
le diverse parti della struttura reale della produzione, relazio
ni che risultano dai piani correnti, indipendentemente dal
problema delle forze che assicureranno o meno l’effettiva rea
lizzazione di una simile corrispondenza. In ogni situazione
data ci sarà un modo (e, nella maggior parte dei casi, soltanto
un modo) in cui i piani dei diversi imprenditori possono esse
re resi compatibili tra di loro e con le preferenze dei consu
matori. In questo caso, quindi, utilizzare il metodo dell’equi
librio significa costruire uno stato immaginario in cui i piani
dei diversi individui (in generale, imprenditori e consumatori)
sono in tale accordo tra loro che ogni individuo sarà in grado
di vendere o comprare esattamente quelle quantità di merci
che ha deciso di vendere o comprare. Naturalmente esisteran
no ancora solo i piani separati di differenti individui, piani
che sono connessi esclusivamente dal fatto che c’è un’esatta
corrispondenza tra le quantità di beni che ci si aspetta passi
no da un individuo all’altro in momenti diversi. Ogni persona
specifica non ha bisogno di sapere nè chi prenderà i suoi pro
dotti né chi la rifornirà di ciò che si aspetta di ottenere: que
sta persona avrà solo delle aspettative su quello che il gruppo
’ denominato mercato fornirà e prenderà; né ha bi
2
anonimo
sogno di sapere granché sul modo in cui sono stati prodotti i
beni che passano nelle sue mani, o sui modo in cui verranno
utilizzati i beni che ha prodotto. Nondimeno aspettative
coincidenti sulle quantità e qualità dei beni che passeranno da
una persona all’altra coordineranno in effetti tutti questi pia
ni diversi formandone uno solo, anche se questo «piano» non
esisterà in nessuna singola mente. Questo «piano» unitario
può solo essere costruito teoricamente; e in effetti spesso con21 tIr E Mah1up,
Wn 13,r o
(1936), ri 9, pp. 43 ss
E U/
.a ti’ duia
‘,
in «Lcon,,misa,,
\
5. 111
274
CONCETTI E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA
EQUILIBRIO E CAPITALE
275
viene adottare la pratica, seguita da molti economisti, che
consiste nel procedere per un certo tempo assumendo che le
azioni dei diversi individui siano dirette da qualcuno secondo
un singolo piano 22 Data la natura della situazione in esame,
questa ipotesi fittizia può essere solo provvisoria e dev’essere
in seguito abbandonata. Al suo posto dev’essere introdotta
l’ipotesi che i piani dei diversi individui siano separati l’uno
dall’altro, ma in perfetta corrispondenza reciproca; in altre
parole, dev’essere accolta l’ipotesi di equilibrio concorrenzia
le, inteso nel senso sopra precisato.
E inevitabile che esistano opinioni divergenti circa l’utili
tà di un costrutto esplicitamente fittizio come il concetto di
equilibrio qui impiegato. E l’unico modo di dimostrarne l’uti
lità è quello di applicarla ad un problema specifico. E comun
que importante che non sorgano fraintendimenti sul modo in
cui si intende giustificano. In effetti, la ragion d’essere di
questo costrutto non sta nel fatto che esso ci permette di
spiegare perché le condizioni reali dovrebbero mai approssi
marsi, in qualche misura, ad uno stato di equilibrio; si può in
vece giustificarne l’impiego in base al fatto che, come ci mo
stra l’osservazione, le condizioni reali si approssimano effetti
vamente, in una certa misura 23, ad uno stato di equilibrio, e
che il funzionamento del sistema economico esistente dipen
de dal grado di approssimazione a uno stato del genere. Spie
gare perché mai ci si dovrebbe aspettare, e in quali condizioni
e in quale misura ci si possa aspettare, che le cose si avvicini
no a questa condizione richiede una tecnica differente, e cioè
quella basata sulla spiegazione causale di eventi che si susse
guono nel tempo. Ma il fatto che sia probabilmente impossi
bile formulare qualsiasi insieme di condizioni in cui uno stato
del genere si realizzerebbe in maniera completa non ne di
strugge il valore come strumento intellettuale. Al contrario,
mi sembra una debolezza dell’uso tradizionale del concetto di
equilibrio limitano ai casi in cui sia possibile attribuirgli un
qualche specioso carattere di «realtà». Per trarre completo
vantaggio da questa tecnica dobbiamo abbandonare ogni pre
tesa che essa possieda carattere di realtà, nel senso che sia
possibile enunciare le condizioni in cui si realizzerebbe un
particolare stato di equilibrio. La sua funzione è semplice
mente quella di servire da guida per l’analisi di situazioni
concrete, mostrando quali sarebbero le loro relazioni in con
dizioni «ideali», e aiutandoci cosf a scoprire le cause di cam
biamenti incombenti non ancora contemplati da nessuno de
gli individui coinvolti nel processo economico in questione.
22 Questo espediente è stato utilizzato in maniera particolarmente sistematica da
i’riedrich von ‘lC’ieser, dapprima nella sua opera Natural Value, London, Macmillan
& Co., 1893 (trad. t. Il valore naturale, in Opere di Frzedrich von Wzeser, Torino,
UTET, 1982, pp. 633-858), e successivamente nel volume Social Economics, New
York, Adelphi co., 1927, dove egli ha anteposto alla propria teoria dell’economia so
ciale un’elaborata teoria di quello che ha denominato «economia semplice», inten
dendo con ciò un’economia diretta dal centro. Più recentemente A.C. Pigou, nella
sua opera The Econornzcs of Stationa,y States, London, Macmillan & Co., 1935, si è
ancor» una volta servito di Robinson Crusoe allo stesso scopo. E interessante osser
vare che Marshall, quando passa a considerare l’attività di Investimento, trova an
ch’egli conveniente cominciare la propria indagine «con l’osservare l’azione di una
persona che non compra ciò di cui ha bisogno, né vende ciò che produce, ma lavora
cit., Libro V, cap. IV, par, 1, p. 334).
per conto proprio» A. Marshall, Principii
25 Si dovrebbe rammentare che quasi tutta la scienza economica si fonda suU’os
servazione empirica che i prezzi «tendono» a corrispondere ai costi di produzione, e
che è stata proprio questa osservazione che ha indotto gli economisti a costruire uno
stato ipotetico in cui questa «tendenza» è pienamente realizzata. A questo riguardo,
molta confusione è stata provocata dalla vaghezza del termine tendenza. Si può dire
che un dato fenumenu tende (si approssima) ad una certa grandezza se c’è motivo di
aspettarsi che in un gran numero di casi esso sia ragionevolmente vicino a questa
grandezza, anche se non ci dovesse essere alcuna ragione per aspettarsi che esso la
raggiunga mai effettivamente, per quanto lungo sia il tempo concesso per l’aggiusta
mento. Quando sia inteso in questo senso, il termine «tendenza» non significa, con
trariamente a quanto si ritiene usualmente, che è in corso un movimento verso una
certa grandezza, ma solo che è probabile che la variabile in esame si trovi vicino a
questa grandezza. Lo stato ideale, in cui tutte le variabili assumerebbero proprio
quei valori a cui tendono ad approssimarsi nel senso sopra precisato, è uno siato che
non ci si potrebbe aspettare che venga mai raggiunto.
...,
5. L’uso della conoscenza nella società
1. Qual è il problema che vogliamo risolvere quando cer
chiamo di costruire un ordine economico razionale?
Se ci basiamo su alcune assunzioni usuali la risposta è
bastanza semplice. Se possediamo tutte le informazioni ab
vanti, se possiamo partire da un sistema dato di prefe rile
renz
se conosciamo e controlliamo in maniera completa i mezzi e e
sponibili, il problema che rimane è puramente di natura di
logi
ca. In altre parole, la risposta alla domanda relativa all’uso
migliore dei mezzi disponibili è implicita nelle nostre
zioni. Le condizioni che devono essere soddisfatte dallaassun
zione di questo problema di ottimo sono state completa solu
mente
calcolate e possono essere enunciate nel modo migliore
in for
ma matematica; espresse nella maniera più concisa, ques
condizioni sono le seguenti: i saggi marginali di sostituzio te
tra due beni o fattori devono sempre essere gli stessi per ne
tutti
i loro diversi usi.
Tuttavia non è senz’altro questo il problema economico
che la società si trova ad affrontare; e il calcolo econom
ico
che abbiamo sviluppato per risolvere questo problema logico,
sebbene sia un passo importante verso la soluzione del prob
le
ma economico della società, non fornisce ancora una rispo
sta
al nostro quesito. Questo perché i «dati» sui quali si basa
il
calcolo economico non sono mai e mai potranno essere «dati»,
per l’intera società, ad una singola mente che possa calcola
rne
le implicazioni.
Il carattere particolare del problema di un ordine
mico razionale è determinato precisamente dal fatto econo
conoscenza delle circostanze di cui ci dobbiamo servi che la
re
esiste mai in forma concentrata o integrata, ma solam non
ente
sotto la forma di frammenti sparpagliati di conoscenza
inco
pleta e spesso contraddittoria che tutti gli individui possiedm
o-
218
CON ir’rI F PROBLEMI DELL’ ECONOMIA TEORICA
no separatamente. Il problema economico della società, per
ciò, non è meramente un problema di come allocare risorse
«date»
se «date» è preso nel senso di date ad una singola
mente che risolve deliberatamente il problema posto da que
sti «dati». Si tratta piuttosto del problema relativo a come as
sicurare il migliore uso di risorse note a ciascuno dei membri
della società, per fini la cui importanza relativa è nota solo a
questi individui. O, in breve, si tratta del problema di come
utilizzare la conoscenza che non appartiene a nessuno nella
sua totalità.
Questa caratteristica del problema fondamentale temo sia
stata oscurata piuttosto che illuminata da molti dei più recen
ti perfezionamenti della teoria economica, in particolare da
molte utilizzazioni che sono state fatte della matematica. Seb
bene il problema principale che intendo affrontare in questo
saggio sia quello di una organizzazione economica razionale,
nel corso della trattazione sarò portato più volte a sottolinea
re la sua stretta connessione con molte questioni metodologi
che. Molte delle opinioni che intendo sostenere sono in realtà
conclusioni verso le quali hanno finito inaspettatamente per
convergere diverse linee di ragionamento. Ma, secondo il mio
modo di vedere attuale, questo non è frutto del caso. Mi sem
bra che molte delle dispute correnti relative sia alla teoria
economica sia alla politica economica traggono la loro comune
origine da un fraintendimento relativo alla natura del proble
ma economico della società. Questo fraintendimento è dovu
to a sua volta ad una erronea applicazione ai fenomeni sociali
degli abiti mentali che abbiamo sviluppato trattando i feno
meni naturali.
2. Nel linguaggio comune con il termine «pianificazione»
definiamo il complesso di decisioni interconnesse relative alla
allocazione delle risorse di cui disponiamo. In questo senso
tutta l’attività economica è pianificazione; e in ogni società in
cui molte persone collaborano questa pianificazione, chiun
que ne sia l’artefice, dovrà basarsi in qualche misura sulle co
noscenze che, in un primo momento, non appartengono al
pianificatore, ma a qualcun altro, e che in qualche modo do
vranno essere rese note al pianificatore.
Le conoscenze su cui le persone basano i propri piani ven
gono comunicate a queste stesse persone in molti modi diffe
I ‘USO DEILA CONOSCLNYA NELl A SOCIL fA
279
renti. Queste molteplici forme di trasmissione della conoscen
za costituiscono il problema cruciale per ogni teoria che in
tenda spiegare il processo economico; ed il problema di quale
sia il modo migliore di utilizzare le conoscenze inizialmente
disperse tra le varie persone è perlomeno uno dei problemi
più importanti che riguardano la politica economica o la pro
gettazione di un sistema economico efficiente.
La risposta a questo interrogativo è strettamente connessa
con l’altro interrogativo che sorge a questo punto, e precisa
mente quello di chi debba pianificare. E su questo problema
che ruota tutta la disputa sulla «pianificazione economica».
Non si tratta di discutere se si debba o non si debba pianifi
care, ma se la pianificazione debba essere effettuata central
mente, e cioè da una sola autorità per l’intero sistema econo
mico, o se debba essere divisa tra molti individui. Il termine
pianificazione, nel senso specifico in cui viene utilizzato nella
controversia contemporanea, significa pianificazione centra
lizzata, ovvero direzione impressa all’intero sistema economi
co secondo un solo piano unificato. Il termine concorrenza,
invece, significa pianificazione decentrata ad opera di molte
persone distinte. La soluzione a metà strada tra le due, di cui
molti parlano ma che piace a pochi quando vi si imbattono,
consiste nel delegare la pianificazione alle industrie organizza
te o, in altre parole, ai monopoli.
Quale di questi sistemi sia più efficiente dipende princi
palmente da quale di essi ci consentirà un uso più completo
della conoscenza esistente. Questo a sua volta dipende dalla
seguente alternativa, se cioè è più probabile che riusciamo a
mettere a disposizione di una singola autorità centrale tutta la
conoscenza che dovrebbe essere utilizzata, ma che si trova
inizialmente dispersa tra molti individui diversi, oppure se è
più facile fare pervenire agli individui la conoscenza aggiunti
va di cui hanno bisogno, perché siano in grado di fare comba
ciare i loro piani con quelli degli altri.
3. Risulterà subito evidente che su questo punto la posi
zione da assumere differirà a seconda dei diversi tipi di cono
scenza. La risposta al nostro interrogativo dipenderà quindi
in larga misura dalla importanza relativa dei differenti tipi di
conoscenze, e cioè dal fatto che prevalgano le conoscenze di
cui dispongono con maggior probabilità particolari individui
280
L’USO DELLA CONOSCLNZA NELLA SOC1L1À
(‘ONCE (i i E PRODI EMI DLLL’LCONOMIA I’LORICA
o piuttosto quelle che con maggior sicurezza dovremmo aspet
tarci di trovare in possesso di un’autorità composta da esperti
opportunamente scelti. Se oggi si ritiene cosf spesso che que
sti ultimi si trovino in una posizione migliore, ciò è dovuto al
fatto che un tipo di conoscenza, e precisamente quella scienti
tica, occupa ora un posto cosf prominente nella immaginazio
ne pubblica che tendiamo a dimenticare che essa non costitui
sce l’unico tipo di conoscenza rilevante. Si può ammettere
che, per quanto riguarda la conoscenza scientifica, un corpo
di esperti scelto opportunamente si trovi forse nella posizione
migliore per controllare tutta la conoscenza disponibile
sebbene in questo modo, come è ovvio, si sposti semplice
mente la difficoltà sui problema di come selezionare gli esper
ti. Quello che mi preme sottolineare è che questo problema,
anche se si assume che possa essere facilmente risolto, non è
che una piccola parte di una questione ben più vasta.
Oggi suggerire che la conoscenza scientifica non è la som
di
ma tutto il sapere è quasi un’eresia. Ma una breve riflessio
ne può mostrare che esiste senza dubbio un corpo di cono
scenze molto importanti, ma non organizzate, che non posso
no essere considerate scientifiche, nel senso di conoscenza di
leggi generali: mi riferisco alle conoscenze delle circostanze
particolari di tempo e di luogo. Proprio rispetto a questo tipo
di conoscenze praticamente ogni individuo si trova in vantag
gio rispetto a tutti gli altri, dal momento che egli possiede in
formazioni uniche che possono essere utilizzate con profitto,
ma solo se le decisioni che dipendono da queste vengono la
sciate a lui o sono prese con la sua attiva collaborazione. Ba
sta ricordare soltanto quanto ci resta da imparare in ogni oc
cupazione dopo che abbiamo completato l’addestramento teo
rico, quanta parte della nostra vita lavorativa è dedicata ad
imparare lavori specifici, e quale preziosa risorsa sia, in tutte
le professioni, la conoscenza delle persone, delle condizioni
locali e delle circostanze particolari. Conoscere e mettere in
uso una macchina non pienamente utilizzata o le capacità di
qualcuno che potrebbero essere impiegate meglio, o essere a
conoscenza dell’esistenza di scorte in eccesso a cui si può at
tingere durante un’interruzione dei rifornimenti, è socialmen
te altrettanto utile quanto conoscere tecniche alternative mi
gliori. Lo spedizioniere marittimo che si guadagna da vivere
utilizzando i viaggi vuoti o mezzi pieni di carrette a vapore, o
—
281
l’agente immobiliare la cui conoscenza si limita quasi esclusi
vamente a quella di occasioni temporanee, o l’arbitrageur che
trae i suoi guadagni dalle differenze locali dei prezzi delle
merci, tutti svolgono utili funzioni basate sulla particolare co
noscenza di circostanze legate all’attimo fuggente ed ignote
agli altri.
E curioso il fatto che questo tipo di conoscenza venga og
gi generalmente considerata con un certo disprezzo e che si
ritenga quasi disonorevole l’azione di chiunque da questa co
noscenza tragga vantaggio a scapito di qualcuno meglio equi
paggiato di conoscenze teoriche o tecniche. Trarre vantaggio
dalla migliore conoscenza delle possibilità di comunicazione o
di trasporto è ritenuto a volte quasi disonesto, sebbene sia al
trettanto importante che la società utilizzi le migliori occasio
ni in questo ambito quanto che utilizzi le più recenti scoperte
scientifiche. Questo pregiudizio ha influenzato in misura con
siderevole l’atteggiamento verso il commercio in generale ri
spetto a quello verso la produzione. Perfino gli economisti
che si considerano definitivamente immuni dalle rozze ed er
ronee propensioni materialistiche del passato commettono co
stantemente lo stesso errore, quando si tratti di attività diret
apparente
te all’acquisizione di simili conoscenze pratiche
mente perché seguendo i loro schemi suppongono che tutta la
conoscenza di questo genere sia «data». Secondo l’idea oggi
prevalente questo tipo di conoscenza dovrebbe essere pronta
mente e senza problemi a disposizione di tutti, e il rimprove
ro di irrazionalità rivolto all’ordine economico esistente si ba
sa spesso sui fatto che questo non avviene. Questo modo di
vedere non tiene conto del fatto che il metodo che rende que
sta conoscenza cosi ampiamente disponibile costituisce preci
samente il problema a cui dobbiamo trovare una soluzione.
—
4. Se oggi è di moda minimizzare l’importanza della cono
scenza delle singole specifiche circostanze di tempo e di luo
go, questo fatto è strettamente connesso con la minore impor
tanza che viene ora attribuita al cambiamento in quanto tale.
In realtà le assunzioni (di solito solo implicite) dei «pianifica
tori» differiscono in modo significativo da quelle dei loro op
positori proprio per la rilevanza e la frequenza dei cambia
menti ipotizzati, che renderanno necessarie sostanziali altera
zioni dei piani di produzione. Naturalmente, se si potessero
-4
282
CONCETTI E PROIILEMI DELL’ECONOMIA TEORICA
stendere in anticipo piani economici dettagliati per periodi
piuttosto lunghi, e se fosse poi possibile attenersi strettamen
te a questi piani, cosf che non fossero necessarie ulteriori de
cisioni economiche importanti, il compito di tracciare un pia
no complessivo che regoli tutta l’attività economica sarebbe
molto meno proibitivo.
Vale forse la pena di sottolineare che i problemi economi
ci nascono sempre e solo in conseguenza di cambiamenti. Fintanto che le cose vanno avanti come prima, o perlomeno co
me ci si aspettava, non sorge alcun nuovo problema che ri
chieda delle decisioni e non vi è alcun bisogno di formulare
un nuovo piano. Credere che i cambiamenti, o almeno gli ag
giustamenti fatti di giorno in giorno, siano diventati meno
importanti nel nostro tempo implica ritenere che anche i pro
blemi economici siano diventati meno importanti. A credere
nella progressiva perdita d’importanza del cambiamento sono
di solito, per la ragione suddetta, le stesse persone che sosten
gono che l’importanza delle considerazioni economiche è sta
ta messa in disparte dalla crescente rilevanza della conoscenza
tecnologica.
Ma è vero che, dato il complesso apparato della produzio
ne moderna, le decisioni economiche sono necessarie solo a
distanza di lunghi intervalli di tempo, per esempio quando si
deve costruire una nuova fabbrica o introdurre un nuovo pro
cesso produttivo? E vero che, una volta che un impianto è
stato costruito, il resto è tutto più o meno automatico, deter
minato dalle caratteristiche dell’impianto, e che restano pochi
cambiamenti da introdurre per adeguarlo alle circostanze
sempre mutevoli del momento?
L’idea, piuttosto diffusa, che le cose stiano proprio in
questi termini non proviene, per quanto ho potuto constata
re, dall’esperienza pratica dell’uomo d’affari. In ogni caso in
e solo un’industria di questo
un’industria concorrenziale
tipo può servire come banco di prova— il compito di evitare
la crescita dei costi richiede una lotta costante, tale da assor
bire una gran parte delle energie della direzione. La facilità
con cui un direttore inefficiente può dissipare i differenziali
da cui dipendono i profitti e il fatto che sia possibile, a parità
di condizioni tecnologiche, produrre con una grande varietà
di costi sono dei luoghi comuni nel mondo degli affari, ma
non sembrano ugualmente comuni nell’analisi degli economi
—
L’USO DELLA CONOSCENZA NElLA SOCIETÀ
283
sti. Proprio la forza del desiderio, continuamente espresso da
produttori ed ingegneri, di essere lasciati liberi di procedere
senza essere ostacolati da considerazioni di costi monetari te
stimonia in modo eloquente fino a che punto questi fattori
siano presenti nel loro lavoro quotidiano.
Una ragione per cui gli economisti sono sempre più pronti
a dimenticare i continui cambiamenti che compongono l’inte
ro quadro economico è rappresentata, probabilmente, dal loro
crescente interesse per gli aggregati statistici, che mostrano
una stabilità assai maggiore di quella che si può riscontrare
nei movimenti delle grandezze disaggregate. La relativa stabi
come
lità degli aggregati, tuttavia, non può essere spiegata
ogni tanto gli esperti di statistica sembrano propensi a fare
dalla «legge dei grandi numeri» o dalle reciproche compensa
zioni di cambiamenti casuali. Il numero di elementi con cui
abbiamo a che fare non è abbastanza grande perché queste
forze accidentali possano produrre stabilità. Il flusso continuo
di beni e servizi è preservato da costanti aggiustamenti deli
berati, da ristrutturazioni decise ogni giorno alla luce di circo
stanze non note il giorno precedente, dal fatto che B intervie
ne immediatamente quando A non è in grado di effettuare la
consegna. Perfino il grande impianto altamente meccanizzato
continua a funzionare in larga misura grazie all’ambiente cir
costante, sul quale può fare affidamento per tutti i tipi di ne
cessità inaspettate: tegole per il tetto, articoli di cancelleria o
moduli, e tutti i mille e uno generi di materiale rispetto ai
quali non può essere autosufficiente e la cui pronta disponibi
lità sul mercato è richiesta dai piani per il funzionamento del
l’impianto stesso.
A questo proposito, forse, dovrei menzionare brevemente
il fatto che il tipo di conoscenza di cui ho trattato appartiene
al genere che per sua natura non può entrare nelle statistiche
e che perciò non può essere trasmesso ad alcuna autorità cen
trale in forma statistica. Le statistiche che una siffatta autori
tà centrale sarebbe costretta ad utilizzare dovrebbero essere
ricavate precisamente facendo astrazione da piccole differen
come risorse di uno stesso
ze tra le cose, mettendo insieme
genere
articoli che differiscono per quanto riguarda la lo
cazione, la qualità e altri particolari, in un modo che può es
sere molto importante per le decisioni specifiche. Ne conse
gue che la pianificazione centralizzata che si basa su informa—
—
—
—
4
2S4
(ONCLYII E PROBLEMI DEl L’ECONOMiA TEORICA
zioni statistiche per sua natura non può tenere conto diretta
mente di queste circostanze di tempo e di luogo, e che il pia
nificatore centrale dovrà trovare un qualche espediente per
ché le decisioni che dipendono da esse siano lascjate all’<cuo
mo sul posto».
5. Se concordiamo nel ritenere che il problema economico
della società consiste principalmente nel rapido adattamento
ai cambiamenti che intervengono nelle particolari circostanze
di tempo e di luogo, sembra allora di poter affermare che le
decisioni finali devono essere lasciate alle persone che cono
scono queste circostanze, che hanno conoscenza diretta dei
cambiamenti rilevanti e delle risorse immediatamente dispo
nibili per farvi fronte. Non possiamo attenderci di risolvere
ogni problema comunicando tutte queste conoscenze ad un
ufficio centrale che, in un secondo momento, dopo aver inte
grato tutte le conoscenze, emana gli ordini. Dobbiamo risol
verlo con una qualche forma di decentramento. Ma questo ri
sponde solo parzialmente alla nostra questione. Noi abbiamo
bisogno di decentramento perché solo cosf possiamo assicura
re che la conoscenza delle particolari circostanze di tempo e
di luogo verrà utilizzata con prontezza. Ma «l’uomo sul po
sto» non può decidere esclusivamente sulla base della sua co
noscenza limitata ma profonda dei fatti relativi ai suoi dintor
ni immediati. Resta ancora il problema di come comunicargli
le ulteriori informazioni di cui ha bisogno per poter adattare
le proprie decisioni all’intero quadro di cambiamenti del più
ampio sistema economico.
Di quante conoscenze ha bisogno per riuscire nel suo in
tento? Quali avvenimenti, tra quelli che avvengono al di là
dell’orizzonte della sua conoscenza diretta, sono rilevanti per
la sua decisione immediata, e quanto di essi egli deve sapere?
Non c’è praticamente nulla che si verifica da qualche par
te nel mondo che potrebbe non avere effetto sulle decisioni
che dovrebbe prendere. Ma egli non ha bisogno di conoscere
questi eventi in quanto tali, né tutti i loro effetti. Non ha im
portanza che sappia perché in quel particolare momento sono
più richiesti i cacciavite di una grandezza o di un’altra, perché
i sacchetti di carta sono più facilmente disponibili di quelli di
tela, o perché al momento il lavoro specializzato o specifici
strumenti sono diventati più difficili da ottenere. Per lui è ri
L’USO DELLA CONOSCENZA NELLA SOCIETÀ
285
levante solo quanto più o meno difficile sia diventato procu
rarseli rispetto ad altre cose a cui egli è pure interessato, o
con quanta maggiore o minore urgenza sono richieste le cose
alternative che egli produce o utilizza. E sempre un problema
che riguarda l’importanza relativa delle cose particolari che lo
interessano, e ie cause che alterano la loro importanza relativa
non sono di alcun interesse per lui, al di là dell’effetto che
producono su quelle cose concrete appartenenti al suo am
biente specifico.
E proprio in questo caso che quello che ho chiamato il
«calcolo economico» (o la Logica Pura della Scelta) ci aiuta, se
non altro per analogia, a vedere come questo problema può
essere risolto, e in effetti viene risolto, dal sistema dei prezzi.
Perfino la singola mente direttrice, in possesso di tutti i dati
relativi a qualche piccolo sistema economico autosufficiente,
non potrebbe
ogni volta che si dovesse procedere a qual
che piccolo aggiustamento nell’allocazione delle risorse
te
nere conto esplicitamente di tutte le relazioni tra fini e mezzi
coinvolte in questa operazione. Il grande contributo della Lo
gica Pura della Scelta consiste proprio nell’aver dimostrato in
maniera conclusiva che perfino una mente singola di questo
genere potrebbe risolvere questo tipo di problema solo co
struendo e utffizzando continuamente saggi di equivalenza (o
«valori», o «saggi marginali di sostituzione»), cioè attribuendo
a ciascun tipo di risorse scarse un indice numerico che non
può essere ricavato da alcuna proprietà caratteristica di quella
cosa particolare, ma che riflette, o nel quale è condensato, la
sua importanza alla luce dell’intera struttura mezzi-fini. In
ciascun piccolo cambiamento egli dovrà considerare solo que
sti indici quantitativi (o «valori») nei quali si concentrano tut
te le informazioni rilevanti; e, correggendo le quantità una ad
una, egli potrà modificare in maniera appropriata le proprie
disposizioni senza dover risolvere l’intero rompicapo ab initio
o senza aver bisogno di riesaminarlo ad ogni stadio in tutte le
sue ramificazioni.
Fondamentalmente, in un sistema in cui la conoscenza di
fatti rilevanti si trova dispersa tra molte persone, i prezzi pos
sono servire a coordinare le azioni separate di persone diffe
renti, allo stesso modo in cui i valori soggettivi aiutano l’indi
viduo a coordinare le parti del suo piano. Vale la pena di esa
minare per un momento un esempio molto semplice e comune
—
—
—4
286
CONCETII E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA
L’USO DELLA (ONOSCLEZA SF1 LA SOCIETÀ
di funzionamento del sistema dei prezzi, per vedere quale
funzione esso esplica precisamente. Assumiamo che da qual
che parte nel mondo sia emersa una nuova occasione per l’uso
di una materia prima, diciamo lo stagno, o che una delle fonti
di approvvigionamento di stagno sia stata eliminata. Non ha
importanza per il nostro scopo
ed è significativo che non
quale di queste due cause abbia determinato la
ne abbia
maggiore scarsità dello stagno. Tutto quello che devono sape
re coloro che utilizzano questa materia prima è che parte del
lo stagno che consumavano viene ora impiegato con maggiore
profitto altrove e che, di conseguenza, loro devono economiz
zare lo stagno. La maggior parte di loro non deve neppure sa
pere dove si è creato questo bisogno più urgente o in favore
di quali altri bisogni si dovrebbero economizzare i riforni
menti. Se solo alcuni di loro sono direttamente a conoscenza
della nuova domanda e trasferiscono lf le loro risorse, e se le
persone che sanno del nuovo divario che si è creato in questo
modo a loro volta lo colmano con altre fonti, l’effetto si pro
pagherà rapidamente in tutto il sistema economico e influen
zerà non solo tutti i possibili usi dello stagno, ma anche quelli
dei suoi sostituti e dei sostituti di questi sostituti, l’offerta di
tutte le cose fatte di stagno e dei loro sostituti, e cosf via; e
tutto questo senza che la maggior parte di coloro che contri
buiscono a effettuare queste sostituzioni sappia alcunché sulla
causa originaria di questi cambiamenti. Il tutto funziona co
me un mercato, non perché qualcuno dei suoi membri passi in
rassegna l’intero campo, ma perché i loro limitati campi visivi
individuali si sovrappongono in modo sufficiente affinché at
traverso molti intermediari le informazioni rilevanti siano co
municate a tutti. Il semplice fatto che ci sia un solo prezzo
per ogni merce
o piuttosto che i prezzi locali siano connes
si in un modo determinato dal costo di trasporto, ecc.
ge
nera la soluzione cui avrebbe potuto giungere (ma è solo con
cettualmente possibile) una singola mente in possesso di tutte
le informazioni che di fatto si trovano disperse tra tutte le
persone coinvolte in questo processo.
—
—
—
—
6. Dobbiamo guardare al sistema dei prezzi come ad un
siffatto meccanismo atto a comunicare informazioni, se vo
gliamo comprendere la sua reale funzione
una funzione
che, naturalmente, viene assolta in modo meno perfetto man
—
287
mano che i prezzi diventano più rigidi (perfino quando i prez
zi quotati sono diventati piuttosto rigidi, tuttavia, le forze
che opererebbero attraverso cambiamenti nei prezzi ancora
operano in misura considerevole tramite cambiamenti negli
altri termini del contratto). Il fatto più significativo in questo
sistema è costituito dall’economia di conoscenza con cui esso
opera, o in altri termini da quanto poco devono sapere i par
tecipanti individuali per essere in grado di agire nel modo
giusto. In forma abbreviata, utilizzando una sorta di rappre
sentazione simbolica, solo le informazioni più essenziali sono
trasmesse e ritrasmesse e solo agli interessati. E più che ricor
rere ad una metafora descrivere il sistema dei prezzi come
una sorta di macchina per la registrazione dei cambiamenti, o
come un sistema di telecomunicazione che consente ai singoli
produttori di sorvegliare solo i movimenti di pochi indicatori
come un ingegnere potrebbe sorvegliare le lancette di po
chi quadranti
per adattare le proprie attività a cambiamen
ti di cui potrebbero non sapere mai nulla di più di quanto si
riflette nel movimento dei prezzi.
Com’è ovvio, questi aggiustamenti non sono probabil
mente mai «perfetti», nel senso in cui l’economista li conside
ra nella sua analisi dell’equilibrio. Ma temo che le nostre abi
tudini teoriche di affrontare il problema assumendo la cono
scenza più o meno perfetta da parte di quasi tutti ci abbia re
so in qualche modo ciechi rispetto alla reale funzione del
meccanismo dei prezzi e ci abbia portati ad applicare criteri
piuttosto fuorvianti nel giudicare la sua efficienza. E prodi
gioso che in un caso come quello della scarsità di una materia
prima, senza che sia stato dato un ordine, senza che vi siano
più di poche persone, forse, a conoscere le cause, decine di
migliaia di persone, la cui identità non potrebbe essere accer
tata con mesi cli indagine, siano portate ad utjlizzare questo
materiale o i suoi prodotti con maggiore parsimonia; in altre
parole, essi si muovono nella direzione giusta. Questo fatto è
di per se stesso abbastanza prodigioso, anche se, in un mondo
in continua trasformazione, non tutti sono tanto abili o fortu
nati da mantenere i loro saggi di profitto allo stesso livello ge
nerale o «normale».
Ho utilizzato appositamente il termine «prodigioso» per
scuotere il lettore dalla compiacenza con cui spesso diamo per
scontato il funzionamento di questo meccanismo. Sono con—
—
-‘
288
(ONCEITI E PROBLEMI DELL ECONOMIA TEORICA
LOSO DELLA CONOSCENZA NLLLA SOCIETA
vinto che se fosse il risultato di un disegno umano, e se le
persone guidate dai cambiamenti di prezzi capissero che le lo
ro decisioni hanno un’importanza che va ben al di là dei loro
scopi immediati, questo meccanismo sarebbe stato acclamato
come uno dei più grandi trionfi della mente umana. Per sua
duplice disgrazia non è il prodotto di un disegno umano e
inoltre le persone guidate da questo meccanismo di solito non
sanno perché sono indotte a fare quello che fanno. Ma coloro
e che non pos
che reclamano una «direzione consapevole»
sono credere che qualcosa che si è sviluppato senza un proget
to (e perfino senza la nostra comprensione) dovrebbe risolve
re problemi che noi non saremmo in grado di risolvere consa
dovrebbero ricordare questo: il problema ri
pevolmente
guarda precisamente il modo in cui si può estendere il campo
di utilizzazione delle risorse oltre il campo di controllo di
ogni singola mente; e perciò esso riguarda anche il modo in
cui fare a meno dell’esigenza di un controllo consapevole ed il
modo in cui fornire incentivi che indurranno gli individui a
fare le cose desiderate senza che qualcuno debba dire loro co
sa fare.
Il problema che incontriamo a questo punto non è per
niente specifico della scienza economica, ma sorge in connes
sione con quasi tutti i veri e propri fenomeni sociali, con il
linguaggio e con la maggior parte della nostra eredità cultura
le, e costituisce senza dubbio il problema teorico centrale di
tutta la scienza sociale. Come ha detto Alfred Whitehead in
un altro contesto, «l’idea che dovremmo coltivare l’abitudine
di pensare a quello che stiamo facendo è un truismo profon
damente sbagliato, ripetuto da tutti i manuali e dalle persone
eminenti quando fanno un discorso. E precisamente il contra
rio. La civiltà avanza man mano che cresce il numero di ope
razioni importanti che possiamo compiere senza pensare».
Questo fatto ha una rilevanza profonda in campo sociale. Noi
usiamo continuamente formule, simboli e regole di cui non
capiamo il significato, ma attraverso il loro uso ci serviamo
della conoscenza che non possediamo individualmente. Ab
biamo sviluppato queste pratiche ed istituzioni a partire da
abitudini ed istituzioni che si sono dimostrate positive nella
loro specifica sfera e che sono a loro volta diventate il fonda
mento della civiltà che abbiamo costruito.
Il sistema dei prezzi è solo una di quelle formazioni che
—
—
289
l’uomo ha imparato ad usare (sebbene sia ben lontano dall’u
sarlo nel modo migliore) dopo che vi si è imbattuto senza ca
pino. Attraverso di esso sono diventati possibili non solo la
divisione del lavoro, ma anche l’utilizzazione coordinata delle
risorse basata su una conoscenza ugualmente divisa. Quelli
che deridono l’idea che le cose stiano proprio cosf di solito di
storcono l’argomentazione insinuando che essa afferma che
per un qualche miracolo si è sviluppato spontaneamente pro
prio quel tipo di sistema che meglio si adatta alla civiltà mo
derna. E esattamente il contrario: l’uomo è stato in grado di
sviluppare quella divisione del lavoro sulla quale si fonda la
nostra civiltà perché gli è capitato di imbattersi in un metodo
che l’ha resa possibile. Se non l’avesse fatto, avrebbe potuto
comunque sviluppare un altro tipo di civiltà del tutto diversa,
qualcosa di simile allo «stato» delle termiti, o qualche altro ti
po di civiltà del tutto inimmaginabile. Tutto quello che pos
siamo dire è che nessuno è ancora riuscito a progettare un si
stema alternativo, in cui possano essere conservati certi carat
teri di quello esistente che stanno a cuore perfino a coloro
che lo attaccano con maggiore violenza
e cioè, in particola
re, il fatto che l’individuo possa scegliere in larga misura i
suoi obiettivi, e di conseguenza possa usare liberamente le sue
conoscenze e le sue capacità.
—
7. Per molti rispetti è una fortuna che la disputa sulla ne
cessità del sistema dei prezzi per ogni calcolo razionale in una
società complessa non si svolga più interamente tra campi ca
ratterizzati da visioni politiche diverse. La tesi secondo cui
senza il sistema dei prezzi non potremmo conservare una so
cietà basata su una divisione del lavoro cosf estesa come la
nostra venne salutata da un boato di derisione, quando venne
avanzata per la prima volta da von Mises venticinque anni fa.
Oggi le difficoltà che alcuni ancora incontrano ad accettarla
non sono più principalmente di carattere politico, e questo
rende l’atmosfera molto più favorevole ad una discussione ra
gionevole. Le differenze non possono proprio essere più
ascritte a pregiudizi politici, quando troviamo Leone Trotsky
argomentare che «il calcolo economico è impensabile senza re
lazioni di mercato», quando il Prof. Oscar Lange promette al
Prof. von Mises una statua nelle sale di marmo del futuro Uf
ficio Centrale del Piano, e quando il Prof. Abba P. Lerner ni
-4
290
CON( ECU E PROBLEMI DELL’Li ONOMIA TEORICA
LESO DILLA CONOSCEN/A NELLA
scopre Adam Smith e sottolinea che l’utilità essenziale del si
stema dei prezzi consiste nell’indurre l’individuo a fare gli in
teressi generali mentre agisce per il suo interesse personale. Il
dissenso residuo appare chiaramente dovuto a differenze di
ordine puramente intellettuale, e più specificamente metodo
logiche.
Una recente affermazione di Joseph Schumpeter nel suo
Capitalismo, socialismo e democrazia fornisce un chiaro esem
pio di una delle differenze metodologiche che ho in mente.
Questo autore è un economista preminente fra quelli che si
accostano ai fenomeni economici alla luce di un certo tipo di
positivismo. In linea con questa impostazione, i fenomeni
economici gli appaiono quantità oggettivamente date di merci
che vengono direttamente in urto l’una con l’altra, quasi
senza alcun intervento delle menti umane. Solo
parrebbe
tenendo presente questo sfondo culturale posso spiegarne la
stguente affcrmazione (per me sorprendente). Il Prof. Schum
peter sostiene che la possibilità di un calcolo razionale in as
senza di mercati dei fattori di produzione consegue per il teo
rico «dalla proposizione elementare secondo cui, nel valutare
(‘domandare’) beni di consumo, i consumatori valutano an
che, ipso /acto, i beni strumentali che entrano nella loro pro
duzione»
Presa alla lettera, questa affermazione è semplicemente
non vera. i consumatori non fanno niente del genere. Quello
che il prof. Schumpeter probabilmente intende dire con «ipso
Jacto» è che la valutazione dei fattori di produzione è implici
ta nelle, o discende necessariamente dalle, valutazioni dei be
—
—
(apzta/iim, hocialism ano Democracv, New York, Harper & Bros 1942, p.
175, irad. 0. Capitalismo, socialismo, democrazia, Milano, Etas Kompass, 1967, p.
,
170. lI Prof. Schumpeter e anche, io credo, l’originario artefice del mito secondo il
quale Pareto e Barone hanno <risolto,< il problema del calcolo socialista. In realtà, ciò
che loro, e molti altri, hanno fatto è stato solamente di enunciare le condizioni che
un’allocazione razionale delle risorse dovrebbe soddisfare e di far notare che queste
condizioni sono essenzialmente le stesse che caratterizzano l’equilibrio di un mercato
conrorrenziale. Si tratta di qualcosa di completamente diverso dal mostrare come
l’allocazione d risorse che soddisfa queste condizioni possa essere individuata in pra
tica. Lo stesso Pareto (da cui Barone ha tratto praticamente tutto quello che ha da
dire), lungi dal pretendere di avere risolto il problema pratico, in effetti nega esplici
tamente che questo problema possa essere risolto senza l’ausilio del mercaio. Si veda
il suo Manuale di economia politica, Roma, Edizioni Bizzarri, 19652, pp.153-. Il
4
passo rilevante è citato all’inizio del mio articolo Socialisi calculation The competiti
ve «Solution,<, in «Economica,>, N.S. VIII (1940), n. 26, p. 125; trad. t. Il calcolo so
cialista 111: la «soluzione>< concorrenziale, in questo volume, cap. 10, pp. 193-4.
socivl s
291
ni di consumo. Ma anche questo non è corretto. L’implicazio
ne è una relazione logica che può ragionevolmente sussistere
solo fra proposizioni simultaneamente presenti in una ed una
stessa mente. E evidente, tuttavia, che i valori dei fattori di
produzione non dipendono esclusivamente dalla valutazione
dei beni di consumo, ma anche dalle condizioni di offerta dei
vari fattori di produzione. Solo nel caso di una mente che co
noscesse tutti questi fatti in maniera simultanea potremmo
affermare che la risposta discende necessariamente dai fatti
dati a quella stessa mente. Tuttavia, il problema pratico nasce
precisamente perché questi fatti non sono mai dati ad una
singola mente e perché, di conseguenza, è necessario che nella
soluzione del problema venga utilizzata la conoscenza che si
trova dispersa tra molte persone.
Il problema non è in alcun modo risolto se possiamo di
mostrare che tutti i fatti, se fossero noti ad una singola mente
(allo stesso modo in cui assumiamo per ipotesi che siano dati
all’economista osservatore), determinerebbero la soluzione in
maniera univoca; invece dobbiamo mostrare come si arriva ad
una soluzione tramite le interazioni di persone, ciascuna delle
quali possiede solo una conoscenza parziale. Assumere che
tutta la conoscenza sia in possesso di una singola mente, allo
stesso modo in cui assumiamo che sia data a noi come econo
misti impegnati nella ricerca di una spiegazione, significa sba
razzarsi del problema ed ignorare tutto quello che è importan
te e rilevante nel mondo reale.
Il fatto che un economista del calibro del prof. Schumpe
ter sia caduto in una trappola preparata per gli incauti dal
l’ambiguità del termine «dato» non può essere spiegato come
un semplice errore. Suggerisce piuttosto che c’è qualcosa di
sostanzialmente sbagliato in un approccio teorico che ignora
abitualmente una parte essenziale dei fenomeni con i quali
abbiamo a che fare: l’inevitabile imperfezione della conoscen
za umana e il conseguente bisogno di un processo per mezzo
del quale la conoscenza sia costantemente comunicata ed ac
quisita. Ogni approccio, come quello di molta economia ma
tematica con le sue equazioni simultanee, che in effetti parte
dal presupposto che le conoscenze della gente corrispondano
ai latti oggettivi della situazione, lascia fuori sistematicamente
quello che dobbiamo anzitutto spiegare. Non voglio affatto
negare che nel nostro sistema l’analisi dell’equilibrio svolga
292
(ONCE T1 E PROBI1M( DFJ i ‘i CONOMIA TEOR(CA
6. Il significato della concorrenza
una funzione importante. Ma quando si giunge al punto in
cui quest’analisi conduce alcuni dei nostri migliori teorici a
credere erroneamente che la situazione che l’analisi descrive
abbia rilevanza diretta per la soluzione di problemi pratici, è
giunto il momento di ricordare che essa non si occupa affatto
del processo sociale e che non è altro che un’utile premessa
per lo studio del problema principale.
1. A quanto sembra, gli economisti sono sempre più con
sapevoli del fatto che ciò che hanno discusso negli ultimi anni
sotto il nome di «concorrenza» non è la stessa cosa che viene
chiamata in questo modo nel linguaggio corrente. Ma, benché
ci siano stati alcuni coraggiosi tentativi
in particolare,
quelli di J.M. Clark di F. Machlup
di riportare la di
scussione su un terreno più concreto e di attirare l’attenzione
sui problemi del mondo reale, i più sembrano ancora ritenere
che il concetto di concorrenza correntemente impiegato dagli
economisti sia quello rilevante e sembrano considerare come
una sorta di abuso il concetto di concorrenza utiljzzato dagli
uomini d’affari. Mi pare che l’opinione più diffusa sia che la
cosiddetta teoria della «concorrenza perfetta» rappresenta il
modello adeguato per giudicare l’efficacia della concorrenza
nel mondo reale e che la concorrenza reale, in quanto differi
sce da quel modello, è indesiderabile e persino dannosa.
Per questo atteggiamento mi sembra ci siano ben poche
giustificazioni. Nelle pagine seguenti cercherò di mostrare
che non c’è motivo di chiamare «concorrenza» quanto viene
discusso dalla concorrenza perfetta e che le conclusioni di
questa teoria sono di scarsa utilità come guida agli interventi
di politica economica. La ragione di tutto ciò, mi sembra, è
che questa teoria assume invariabilmente che esista già quello
stato di cose che, secondo la più valida concezione della teo
ria che l’ha preceduta, il processo concorrenziale tende a rea
—
—
Queto saggio riproduce, nella sostanza, la 5tajford Littie Lecture da me tenuta il 20
maggio 1946 presso l’Universita di Princeton.
i J.M. Clark, Towards a Concept o/ Workable Competition, in «American Econo
mic Review», 30 (1940), n. 2, pp. 241-36; JF. Machlup, Competition, Pliopoly, and
Pro/it, in «Economica», N.S. IX (1942), pp. 133 73.
294
CONCETTI E PROBLEMI ORLI ECONOMIA TEORICA
IL S1(,NiFICAIO DEI LA CONCORRÌ
NZA
lizzare (o ad approssimare) e che, se mai dovesse esistere ef
fettivamente lo stato di cose presupposto dalla teoria della
concorrenza perfetta, questo non solo toglierebbe ogni reale
prospettiva a tutte le attività descritte dal termine «concor
renza», ma le renderebbe addirittura praticamente impossibi
li. Se tutto ciò riguardasse soltanto l’uso del termine «concor
renza», la cosa non avrebbe poi una grande importanza. Ma
sembra quasi che gli economisti, con questo peculiare uso del
linguaggio, si autoingannino fino a credere che, quando ana
lizzano la «concorrenza», essi stanno dicendo qualcosa che ri
guarda la natura e il significato del processo attraverso il qua
le si realizza quello stato di cose la cui esistenza essi si limita
no a presupporre. In realtà, questa forza motrice della vita
economica non viene quasi per nulla esaminata.
Non intendo qui discutere in maniera approfondita le ra
gioni per cui la teoria della concorrenza si è venuta a trovare
in questa singolare situazione. Come ho detto in altre occa
sioni 2, sembra che il metodo tautologico, che è appropriato e
indispensabile per l’analisi delle azioni di un singolo indivi
duo, sia stato in questo caso illegittimamente esteso a proble
mi in cui ci si trova a dover esaminare un processo sociale nel
quale le decisioni di molti individui si influenzano reciproca
mente e si succedono necessariamente nel tempo. Il calcolo
economico (o la Logica Pura della Scelta), che ha a che fare
con il primo tipo di problemi, consiste in un apparato di clas
sificazioni di possibili atteggiamenti umani e ci fornisce una
tecnica che ci consente di descrivere le interrelazioni esistenti
fra le varie parti di un unico piano. Le sue conclusioni sono
implicite nelle ipotesi da cui parte: i desideri e la conoscenza
dei fatti, che si suppone siano simultaneamente presenti ad
una sola mente, determinano una soluzione unica. Le relazio
ni discusse in questo tipo di analisi sono relazioni logiche, che
riguardano esclusivamente le conclusioni che, nella mente del
l’individuo che sta formulando i propri piani, discendono dal
le premesse date.
Tuttavia, quando abbiamo a che fare con una situazione
in cui un certo numero di persone stanno cercando di elabora2 F A. llavek,
ECOBOtÌIiCS imd Knou/edge, in Economica»,
N.S. IV (1937), pp.
33-54, trad. it. Economia e cono,cL’nza, in questo volume, cap.
3; e FA. Hayek, The
Eacts of Social Scrcnces, in Indivzdualism and Economzc Order, Londo
n, George Rou
Iledge & Sons, 1948, cap. 3, pp. 57 76.
295
re i propri singoli piani, non possiamo più suppor
re
siano gli stessi per tutti coloro che stanno formul che i dati
Il problema diventa allora quello di vedere in ando piani.
quale modo i
«dati» dei differenti individui, su cui essi basano
ni, si aggiustino ai fatti oggettivi del loro ambientei propri pia
de le azioni delle altre persone). Benché nella (che inclu
questo tipo di problema si debba ancora far uso soluzione di
della
che ci permette di calcolare rapidamente le implicazionitecnica
di un
certo insieme di dati, in questo caso ci troviamo
ad
avere
a
che fare non solo con i molteplici e distinti insiem
i di dati
delle diverse persone, ma anche
e questo è ancor più rile
vante
con un processo che comporta necessariamente cam
biamenti continui dei dati dei diversi individui. Come
stenuto in precedenti occasioni, il fattore causale entra ho so
co sotto forma di acquisizione di nuove conoscenze in gio
da parte
dei diversi individui o di cambiamenti dei loro dati
provoc
ati
dai contatti che essi hanno reciprocamente.
La rilevanza di quanto ho detto per il problema che
do discutere in questa sede appare chiara non appena inten
si rammenti che la teoria moderna della concorrenza
si
occupa
maniera quasi esclusiva di uno stato, detto di «equilibrio in
con
correnziale», in cui si suppone che i dati dei diversi
individ
ui
si siano già tutti pienamente aggiustati gli urii agli
altri,
men
tre il problema che richiede una spiegazione è quello
alla natura del processo attraverso il quale si realizz relativo
aggiustamento reciproco dei dati. In altri termini, a questo
zione dell’equilibrio concorrenziale non si propon la descri
e
di asserire che, se ci trovassimo in queste o quelle nemmeno
ne discenderebbero queste o quelle conseguenze, condizioni,
semplicemente a definire certe condizioni in cui ma si limita
sono già im
plicitamente contenute le sue conclusioni
condizioni che,
in linea di principio, potrebbero anche esistere,
ma
si dice in quale modo potrebbero mai realizzarsi, che non ci
cipare la conclusione principale di questo lavoro O, per anti
frase, la concorrenza è per sua natura un processo in una sola
cui caratteristiche essenziali vengono eliminate, dinamico le
per ipotesi,
dalle ipotesi che sottostanno all’analisi statica.
—
—
—
2. Per mostrare nella maniera più chiara che la
teoria mo
derna dell’equilibrio concorrenziale presiqipone
l’esistenza di
quella situazione che
come dovrebbe apparire da ogni au
—
296
cut.icI eri
E I’KOElìr.NII DELL’ECONOMiA TEORiCA
IL SIGNIFICATO DELLA CONCORRENZA
tentica spiegazione
è il risultato del processo concorren
ziale, è opportuno esaminare l’usuale lista di condizioni che
si trova in un qualsiasi libro di testo moderno. Si noti, inci
dentalmente, che quasi tutte queste condizioni non solo sot
tostanno all’analisi della concorrenza «perfetta», ma vengono
parimenti postulate nelle analisi dei vari mercati «imperfetti»
o «monopolistici», analisi che invariabilmente presuppongono
certi tipi di irrealistiche «perfezioni» Per gli scopi che qui
ci prefiggiamo, tuttavia, la teoria della concorrenza perfetta
rappresenta il caso più istruttivo da esaminare.
E possibile che autori diversi enuncino in maniera diver
sa l’insieme delle condizioni essenziali per la concorrenza
perfetta; per i nostri scopi, tuttavia, il seguente elenco è pro
babilmente più che sufficiente, dato che, come vedremo fra
breve, queste condizioni non sono realmente indipendenti
l’una dall’altra. Secondo il punto di vista generalmente accol
to, la concorrenza perfetta presuppone:
1. che una merce omogenea venga offerta e domandata
da un grande numero di venditori e compratori relativamen
te piccoli, nessuno dei quali si aspetta di esercitare con le sue
azioni una percepibile influenza sui prezzo;
2. che vi sia libertà di entrata nel mercato e che non sia
no presenti altri vincoli al movimento dei prezzi e delle ri
sorse;
3. che tutti coloro che operano nel mercato abbiano una
conoscenza completa dei fattori rilevanti.
A questo stadio dell’argomentazione non è il caso di
chiedersi per quali scopi siano precisamente richieste queste
condizioni oche cosa esattamente comporti l’ipotesi che esse
siano date. E però necessario analizzare in maniera un po’
più approfondita il loro significato; e, a questo riguardo, è la
terza condizione che appare critica e oscura. Il parametro di
riferimento non può evidentemente essere la conoscenza per
fetta di tutto ciò che riguarda il mercato da parte di ogni
persona che opera nel mercato stesso. Non intendo soffer
marmi in questa sede sul ben noto paradosso dell’effetto pa
ralizzante che una conoscenza ed una capacità di previsione
realmente perfette avrebbero su ogni azione
. È pure ovvio
4
che non si risolve nulla assumendo che tutti sappiano tutto e
che il vero problema consiste piuttosto nello spiegare in quale
modo si può far sf che venga utilizzato quanto più è possibile
delle conoscenze disponibili. Ma questo, nel caso di un’eco
nomia concorrenziale, pone il problema di chiarire non tanto
come si possano «trovare» le persone che dispongono delle
migliori conoscenze, ma piuttosto quale tipo di ordinamento
istituzionale è necessario alfine di attrarre verso una determi
nata mansione quelle persone sconosciute che dispongono del
le conoscenze specificamente adatte allo svolgimento di quella
particolare mansione. Dobbiamo tuttavia cercare di capire un
po’ meglio quale sia il tipo di conoscenza che si suppone si
trovi in possesso di coloro che operano nel mercato.
Se consideriamo il mercato di qualche tipo di bene di con
sumo finale e incominciamo con l’esaminare la situazione dei
produttori o venditori di questo bene, troviamo, innanzitut
to, che si suppone che essi sappiano qual è il più basso costo a
cui si può produrre la merce in questione. Eppure questa co
noscenza, che si suppone sia data fin dal principio, è uno dei
punti principali in cui la scoperta dei fatti può avvenire sol
tanto attraverso il processo concorrenziale. A mio parere que
sto è uno degli aspetti più importanti in cui il punto di par
tenza della teoria dell’equilibrio concorrenziale elimina, per
ipotesi, il compito principale che solo il processo concorren
ziale può assolvere. La situazione è in un certo senso simile
per quanto riguarda il secondo punto sul quale si suppone che
i produttori siano pienamente informati: i desideri e le richie
ste dei consumatori, inclusi i tipi di beni e servizi che essi do
mandano ed i prezzi che sono disposti a pagare. A ben voler
vedere, questi elementi non possono essere considerati fatti
noti; piuttosto, essi dovrebbero essere visti come problemi, la
cui soluzione dev’essere fornita dal processo concorrenziale.
La stessa situazione si presenta anche dal lato dei consu
matori o compratori. Di nuovo non è legittimo ipotizzare che
le conoscenze, che si suppone essi possiedano in uno stato di
equilibrio concorrenziale, siano a loro disposizione prima che
incominci il processo concorrenziale. La loro conoscenza delle
—
‘.
In particolare, l’ipotesi che, per una ceita merce, debba vlgere sempre un
zo unilorme in tutto il mercato, e l’ipotesi che i venditori conoscano la forma
curva
di
domanda.
prez
della
297
i
Si veda O. Morgenstern. Vo/t&’o,nmene \oraiuszc’t u,:d w:rtscoa9lzcbes Gletcb
gewwht, in «Zeitschrift fhr Nationalòkonomieis, VI (1935), n. 3, pp. 337 37.
298
( ()N( Liii i PROBLEMI DEI.I ‘ECONOMIA TEORICA
alternative che sono loro aperte è il risultato di quanto accade
sul mercato, di attività quali la pubblicità, ecc.; e l’intera or
ganizzazione del mercato è principalmente finalizzata a soddi
sfare l’esigenza di diffondere le informazioni sulle quali i
compratori devono basare le proprie azioni.
Il carattere peculiare delle ipotesi di partenza della teoria
dell’equilibrio concorrenziale appare in maniera molto chiara
se ci chiediamo quali delle attività che sono usualmente indi
cate con il termine «concorrenza» sarebbero ancora possibili
se quelle condizioni fossero tutte soddisfatte. Vale forse la
pena di ricordare che, secondo Johnson, la concorrenza è «l’a
zione mediante la quale ci si sforza di ottenere ciò che un al
tro si sforza di ottenere nello stesso tempo». Ora, quanti de
gli espedienti che vengono comunemente adottati a questo fi
ne nella vita quotidiana sarebbero ancora possibili per un
venditore che si trovasse ad operare in un mercato in cui do
vesse vigere la cosiddetta «concorrenza perfetta»? La risposta,
io credo, è proprio nessuno. Fare della pubblicità, tagliare i
prezzi, migliorare (o «differenziare») la qualità dei beni e ser
vizi prodotti sono tutte operazioni escluse per definizione: la
«concorrenza perfetta» implica, in effetti, l’assenza di tutte le
attività concorrenziali.
Particolarmente degna di nota, a questo riguardo, è l’e
splicita e completa esclusione dalla teoria della concorrenza
perfetta di tutte le relazioni personali esistenti fra le varie
parti in causa. Nella vita reale il fatto che la nostra cono
scenza inadeguata delle merci o dei servizi disponibili sia
compensata dai nostri rapporti diretti con le persone o le im
che la concorrenza sia in larga mi
prese che li producono
sura concorrenza per acquisire una buona reputazione o un
è uno dei fatti più impor
buon avviamento commerciale
risolve
di
re i nostri problemi quoti
tanti che ci consentono
in questo caso, è preci
concor
renza,
della
tunzion
diani. La
e
samente quella di farci apprendere chi ci servirà meglio: quale
droghiere o agenzia di viaggi, quale grande magazzino o al
bergo, quale medico o avvocato ci si può aspettare che forni
sca la soluzione più soddisfacente a qualsiasi particolare pro
—
IL SIGNWJCAIC) DELLA coM:0RRENZA
4
4
4
—
Si sedA ci j. Stigler, ll’e [l’con o! Price. New York, The Macmiflan Companv,
1946, p 24: «Le relazioni economiche non sono mai perfettamente concorrenziali se
implicano relationi personali di qualsiasi genere )ra le unità economiche” (si veda am
che ilnd,’m, p. 226)
4
29
blema personale che ci si trovi a dover affrontare. Evidente
mente in tutti questi campi la concorrenza può essere molto
intensa, proprio perché i servizi delle varie persone o imprese
non saranno mai esattamente uguali, ed è proprio in virtù di
questa concorrenza che ci troviamo nella situazione di essere
serviti cosf bene come effettivamente lo siamo. In effetti, le
ragioni per cui la concorrenza in questo campo è definita im
perfetta non hanno nulla a che vedere con il carattere concor
renziale delle attività di questa gente; esse risiedono piuttosto
nella natura delle merci o dei servizi stessi. Se non capita mai
che due medici siano perfettamente uguali, questo non signi
fica che la concorrenza fra di loro sia meno intensa, ma solo
che qualsiasi livello di concorrenza fra di loro non produrrà
mai esattamente quei risultati che si avrebbero se i loro servi
zi fossero esattamente gli stessi. Non si tratta di una questio
ne puramente nominale: parlare dei difetti della concorrenza,
quando in effetti si sta parlando delle necessarie differenze
fra merci e servizi, denota una confusione molto reale e porta
talvolta a conclusioni assurde.
Mentre a prima vista l’ipotesi riguardante la conoscenza
perfetta posseduta dagli agenti può sembrare la più sorpren
dente e artificiale fra tutte quelle su cui si basa la teoria della
concorrenza perfetta, in effetti è possibile che questa ipotesi
non sia altro che una conseguenza di un altro dei presupposti
su cui si fonda la teoria in questione (ed è anche possibile che
l’ipotesi di perfetta conoscenza trovi in quest’altro presuppo
sto una sua parziale giustificazione). In effetti, se si comincia
col supporre che un grande numero di persone producano la
stessa merce ed abbiano le stesse possibilità e opportunità og
gettive per farlo, allora si potrebbe davvero cercare (anche se,
a quanto mi risulta, nessuno ci si è ancora provato) di dare
una certa plausibilità all’idea che, con l’andar del tempo, que
ste persone finiranno tutte per conoscere gran parte dei fatti
rilevanti per giudicare il mercato di quella merce. Non solo
ciascun produttore, basandosi sulla propria esperienza, finirà
con l’apprendere gli stessi fatti che ogni altro produttore ap
prende, ma egli finirà anche col sapere quello che gli altri san
no e, di conseguenza, arriverà a conoscere l’elasticità della
domanda per il proprio prodotto. In effetti la situazione in
cui diversi produttori producono lo stesso prodotto nelle stes
se condizioni è la più favorevole perché essi pervengano alle
O1)
o
r ii
1’Rui3L t.ii
i i-cor’.ONIIA ULORiLA
conoscenze richieste dalla concorrenza perfetta. Forse questo
non significa niente di più del fatto che le merci possono esse
re identiche in quel senso che è l’unico rilevante per la com
prensione dell’agire umano solo se la gente ha le medesime
opinioni su di esse, anche se dovrebbe pure essere possibile
enunciare un insieme di condizioni fisiche che siano partico
larmente favorevoli al fatto che tutti coloro che hanno a che
fare con un insieme di attività strettamente interrelate possa
no apprendere i fatti rilevanti per le loro decisioni.
Comunque sia, è chiaro che i fatti non saranno sempre co
s favorevoli a questo risultato come nel caso in cui molte per
sone si trovino perlomeno nelle condizioni di produrre lo
stesso articolo. Dopo tutto, l’idea di un sistema economico
divisibile in mercati separati per merci distinte è, in larghissi
ma misura, il frutto dell’immaginazione degli economisti, e
certamente non è la regola nell’ambito dell’industria manifat
turiera e dei servizi personali, a cui fanno cosf ampiamente ri
ferimento le discussioni relative alla concorrenza. In realtà,
non c’è nemmeno bisogno di dirlo, i prodotti di due produt
tori non sono mai esattamente uguali, se non altro perché
questi prodotti, al momento in cui lasciano i rispettivi im
pianti, devono necessariamente trovarsi in posti diversi. Que
ste differenze fanno parte dei fatti che danno vita al proble
ma economico cosf come noi lo conosciamo, e non ci è certo
di molto aiuto cercare di risolvere questo problema a partire
dall’ipotesi che tali differenze non ci siano.
La fiducia nei vantaggi della concorrenza perfetta porta
spesso alcuni entusiasti a sostenere persino che si potrebbe
pervenire ad un uso più vantaggioso delle risorse se la varietà
di prodotti ora esistente venisse ridotta mediante una stan
dardizzazione obbligatoria. Ora, in parecchi campi c’è indub
biamente molto da dire a favore di una standardizzazione ot
tenuta per mezzo di raccomandazioni o norme concordate, da
applicarsi in assenza di requisiti differenti esplicitamente sta
biliti nei contratti. Ma questo non ha nulla a che vedere con
le richieste di chi ritiene che si debba trascurare la varietà di
gusti della gente e che si debba sopprimere la continua speri
mentazione di possibili miglioramenti al fine di ottenere i
vantaggi della concorrenza perfetta. Non sarebbe ovviamente
un miglioramento costruire tutie le case in maniera esatta
mente identica allo scopo di creare un mercato perfetto delle
li SIG\ii-i(
‘
IO Di LL
ORRL
301
case, e lo stesso si può dire per quasi tutti gli altri campi in
cui le differenze fra i singoli prodotti impediscono e impedi
ranno sempre alla concorrenza di essere perfetta.
3. Possiamo probabilmente imparare di più sulla natura e
sul significato del processo concorrenziale se mettiamo da
parte, per il momento, le ipotesi artificiali che sottostanno al
la teoria della concorrenza perfetta, e ci chiediamo invece se
la concorrenza sarebbe meno importante nel caso che, ad
esempio, due merci non fossero mai esattamente uguali. Se
non fosse per la difficoltà di analizzare una simile situazione,
varrebbe la pena di esaminare in maniera abbastanza appro
fondita il caso in cui non è possibile classificare con facilità le
varie merci in gruppi distinti, ma si ha invece a che fare con
una gamma continua di sostituti stretti, tali che ciascuna uni
tà è in qualche modo diversa da ogni altra, ma senza che vi
sia alcuna pronunciata soluzione di continuità nella gamma di
sostituti. I risultati dell’analisi della concorrenza in una situa
zione di questo tipo potrebbero essere, per molti aspetti, assai
più rilevanti per capire il mondo reale di quelli ottenibii dal
l’analisi della concorrenza in una sola industria che produce
una merce omogenea nettamente differenziata da tutte le al
tre. O, se si dovesse pensare che il caso in cui due merci non
sono mai esattamente uguali comporta ipotesi troppo strin
genti, potremmo perlomeno passare a considerare il caso in
cui due produttori non producono mai esattamente la stessa
merce, come accade regolarmente non solo nell’ambito dei
servizi personali, ma anche nei mercati di molti prodotti ma
nifatturieri (ad esempio nel mercato dei libri o degli strumen
ti musicali).
Per gli scopi di questo lavoro, non è affatto necessario svi
luppare un’analisi completa di questo tipo di mercati, ma è
sufficiente chiedersi quale sarebbe il ruolo della concorrenza
in mercati del genere. Anche se, naturalmente, il risultato
non può che essere indeterminato (all’interno di margini piut
tosto ampi), il mercato genererebbe ancora un insieme di
prezzi ai quali ciascuna merce potrebbe essere venduta a con
dizioni appena sufficienti per mettere fuori mercato i suoi po
tenziali sostituti stretti
e questo, di per sé, non è cosa da
poco, quando si pensi a quali insormontabili dilficoltà si va
incontro quando si cerca di individuare anche solo un sistema
—
4
302
CUCETII E ‘RUBI EMI DElL’ECONOMIA TEORI( A
IL SICNIFIC.Tt, DLI I. \ (0\CULRL\Z\
di prezzi di questo tipo mediante un qualsiasi altro metodo
che non sia quello che opera nel mercato e che si basa su un
processo di ripetuti tentativi ed errori, attraverso i quali i sin
goli agenti apprendono gradualmente le circostanze rilevanti.
E naturalmente vero che in un simile mercato ci si deve
aspettare che i prezzi corrispondano ai costi marginali solo
nella misura in cui l’elasticità della domanda di ciascuna mer
ce si avvicina alle condizioni postulate dalla teoria della con
correnza perfetta, ovvero nella misura in cui l’elasticità di so
stituzione fra le varie merci tende all’infinito. Ma il punto è
intesa come
che in questo caso la concorrenza perfetta
ideale di perfezione, o come qualcosa di desiderabile, a cui si
è del tutto irrilevante. Il termine di confron
deve mirare
to, rispetto al quale si dovrebbero giudicare i risultati rag
giunti dalla concorrenza, non può essere una situazione che
differisce dai fatti oggettivi e che non si può ottenere con al
cun mezzo noto; dovrebbe piuttosto essere la situazione che
esisterebbe se si impedisse alla concorrenza di funzionare. La
verifica dovrebbe basarsi non sulla capacità di avvicinarsi ad
un ideale irraggiungibile e privo di senso, ma piuttosto sulla
capacità di realizzare dei miglioramenti rispetto alle condizio
ni che esisterebbero se non ci fosse concorrenza.
In condizioni del tipo sopra indicato, quali differenze ci
sarebbero fra una situazione in cui la concorrenza fosse «libe
ra» nel senso tradizionale e la situazione che si verrebbe a
creare se, ad esempio, solo le persone in possesso di una spe
cifica autorizzazione potessero produrre determinate cose, o
se i prezzi fossero fissati da una qualche autorità, o se si veri
ficassero entrambe le circostanze? Chiaramente, non soio non
ci sarebbe alcuna probabilità che le varie cose venissero pro
dotte da quelli che lo sanno far meglio e che quindi potrebbe
ro farlo al costo più basso, ma non ci sarebbe nemmeno alcu
na probabilità che venissero prodotte tutte quelle cose che i
consumatori preferirebbero, se avessero possibilità di scelta.
Ci sarebbe ben poca relazione fra i prezzi effettivi e il costo
minimo a cui qualcuno sarebbe in grado di produrre queste
merci; in realtà, le stesse alternative fra cui tanto i produttori
quanto i consumatori si troverebbero in condizione di dover
scegliere, e cioè i loro dati, sarebbero completamente diffe
renti da quelle che prevarrebbero in condizioni concorren
ziali.
—
—
i
i
3
i
i
i
303
In tutto questo, il vero problema non è quello di appurare
se sia possibile ottenere date merci e dati servizi a costi margi
nali dati, ma quello di individuare quali merci e servizi sono
in grado di soddisfare i bisogni della gente nella maniera più
economica possibile. Da questo punto di vista, la soluzione
del problema economico della società è sempre un viaggio
esplorativo nell’ignoto, un tentativo di scoprire nuovi modi di
fare le cose in maniera migliore di quella in cui sono state fat
te in precedenza. E sarà sempre cosf fino a quando ci saranno
problemi economici da risolvere, perché tutti i problemi eco
nomici sorgono a causa di cambiamenti imprevisti che richie
dono qualche adattamento, Solo ciò che non è stato previsto,
e a cui non si è già provveduto, richiede nuove decisioni. Se
non fosse più necessario alcun adattamento di questo genere,
se in qualsiasi momento dovessimo venire a sapere che tutti i
cambiamenti sono cessati e che le cose continueranno per
sempre ad essere esattamente quelle che sono ora, non reste
rebbe più da risolvere alcun problema relativo all’uso delle ri
sorse.
Una persona che si trovi a possedere quelle conoscenze o
quelle capacità esclusive che gli permettono di ridurre del 50
per cento il costo di produzione di una merce rende ancora
un enorme servizio alla società se entra nella produzione di
quella merce e ne riduce il prezzo solo del 25 per cento
non solo attraverso quella riduzione di prezzo, ma anche at
traverso i suoi risparmi addizionali di costo. Ma è solo per
mezzo della concorrenza che si può supporre che questi possi
bili risparmi di costo saranno effettivamente realizzati. An
che se in ciascun singolo caso i prezzi fossero abbassati solo
quanto basta a non far entrare i produttori che non godono di
questi vantaggi o di altri equivalenti (sicché ciascuna merce
verrebbe prodotta nella maniera più economica possibile, an
che se molte potrebbero essere vendute a prezzi considerevol
mente superiori ai costi), questo sarebbe pur sempre un risul
tato che, con ogni probabilità, non potrebbe essere raggiunto
con alcun altro metodo che non sia quello di lasciar operare la
concorrenza,
—
4. Nel mondo reale la situazione di due produttori non è
mai, in pratica, la stessa; questo dipende da fattori che la teo
ria della concorrenza perfetta, concentrandosi su un equili
504
(ON( ir I
ri
brio di lungo periodo che in un mondo continuamente mute
vole non può mai essere raggiunto, finisce con l’eliminare. In
ogni dato momento gli impianti di una certa impresa sono
sempre largamente determinati da accidenti storici; il proble
ma, allora, è di vedere come l’impresa possa utilizzare nella
maniera migliore possibile gli impianti dati (incluse le capaci
tà acquisite dei suoi dipendenti), e non di stabilire che cosa
essa dovrebbe fare se le fosse concesso tempo illimitato per
adattarsi a condizioni invarianti. Per quanto riguarda il pro
blema della migliore utilizzazione di un ammontare dato di ri
sorse durevoli, ma esauribili, i prezzi di equilibrio di lungo
periodo, di cui finisce necessariamente per occuparsi una teo
ria che abbia per oggetto la concorrenza «perfetta», non sono
semplicemente irrilevanti, ma anche fonte di possibili errori;
in effetti, le conclusioni di politica economica, a cui perviene
chi si serve di questo modello, sono altamente fuorvianti e
addirittura pericolose. L’idea che in condizioni «perfettamen
te» concorrenziali i prezzi dovrebbero essere uguali ai costi di
lungo periodo porta spesso ad approvare pratiche antisociali
ad esempio, a sostenere la necessità di una «concorrenza
ordinata», che garantisca un giusto rendimento sul capitale, e
a pretendere la distruzione della capacità in eccesso. In effet
ti, è sorprendente vedere quante volte l’entusiasmo per la
concorrenza perfetta nella teoria si trovi a convivere con il so
stegno dei monopoli nella pratica.
Questo è, tuttavia, solo uno dei molti punti in cui il fatto
di trascurare l’elemento tempo rende l’immagine teorica della
concorrenza perfetta cosf abissalmente lontana da tutto ciò
che è rilevante per la comprensione del processo concorren
ziale. Se, come si dovrebbe, si pensa a questo processo come
ad una successione di eventi, diventa ancora più evidente
che, in ogni momento. nel mondo reale ci sarà, di norma, un
soio produttore che è in grado di produrre un dato bene al co
sto più basso e che può di fatto vendere questo bene ad un
prezzo inferiore al costo del concorrente che viene immedia
tamente dopo di lui nella scala del successo, ma che spesso,
mentre sta ancora cercando di estendere il proprio mercato,
sarà superato da qualcun altro, che a sua volta non riuscirà ad
impadronirsi di tutto il mercato per l’entrata in gioco di un
altro ancora, e cosf via. E chiaro che un mercato del genere
non potrebbe mai trovarsi in uno stato di concorrenza perfet
—
Il SIGNII-ICA
1 PROBLEMI I)E1i ‘ECOM)MIA iIrORlCA
ro
3U5
DELLA CONCDRRLN/A
ta, e purtuttavia in questo mercato la concorrenza non solo
potrebbe essere intensissima, ma rappresenterebbe anche il
fattore essenziale nel far si che, in ogni momento, il bene in
questione venga offerto ai consumatori ad un prezzo tanto
basso quanto si può sperare di ottenere con ogni metodo
noto.
Quando poniamo a confronto un mercato «imperfetto»
come quello appena visto con un mercato relativamente «per
fetto», come, ad esempio, quello del grano, ci troviamo ora
nelle condizioni di far emergere in maniera più chiara la di
la
stinzione che è stata alla base di tutta questa discussione
distinzione, cioè, fra i fatti oggettivi che sottostanno ad una
certa situazione e che non possono essere modificati dall’attività umana e la natura delle attività concorrenziali. mediante
le quali gli uomini si adattano alla situazione stessa. Dove vi
sia, come accade nel secondo caso, un mercato altamente or
ganizzato di una merce completamente standardizzata e pro
dotta da molti produttori, c’è ben poco bisogno delle attività
concorrenziali, e non c’è nemmeno un grande campo di azio
ne per queste attività, dato che la situazione è tale che le con
dizioni che le attività concorrenziali potrebbero realizzare so
no già soddisfatte fin dall’inizio. I modi migliori di produrre
la merce in questione, le sue caratteristiche ed i suoi possibili
usi, sono quasi sempre noti, più o meno nella stessa misura, a
tutti i membri del mercato. La conoscenza di ogni cambia
mento importante si diffonde cosi rapidamente, e l’adatta
mento ai cambiamenti si realizza cosi in fretta, che di solito si
trascura semplicemente quanto accade durante questi brevi
periodi di transizione e ci si limita a confrontare i due stati di
quasi-equilibrio che esistono prima e dopo di essi. Ma è du
rante questo breve e trascurato intervallo che operano e di
vengono visibili le forze della concorrenza, e sono proprio gli
eventi che si verificano durante questo intervallo che dobbia
mo studiare, se vogliamo «spiegare» il successivo equilibrio.
E soio in un mercato in cui l’adattamento è lento rispetto
al saggio di cambiamento che il processo concorrenziale è
continuamente all’opera. Ed anche se è possibile che la ragio
ne per cui l’adattamento è lento stia nel fatto che la concor
ad esempio perché ci sono ostacoli partico
renza è debole
mercato, o a causa di qualche altro fattore
nel
lari all’entrata
non è affatto vero che un
del tipo dei monopoli naturali
—
-—
—,
306
CONCETTI E PROBLEMI DLII ‘ECONOMIA TEORICA
adattamento lento significhi necessariamente una concorrenza
debole. Quando la varietà di quasi-sostituti è grande e rapida
mente mutevole, quando ci vuole molto tempo per individua
re i meriti relativi delle alternative disponibili, o quando la ri
chiesta di un’intera classe di beni o servizi si manifesta soio
in maniera discontinua, ad intervalli irregolari, l’aggiustamen
to non può che essere lento, anche se la concorrenza è forte
ed attiva.
La confusione fra i fatti oggettivi della situazione e la na
tura delle risposte che gli uomini danno ad essa tende ad
oscurare il fatto importante che la concorrenza è tanto più ri
levante quanto più complesse o «imperfette» sono le condizio
ni oggettive in cui essa si trova a dover operare. In realtà, so
no propenso a sostenere che la concorrenza, lungi dall’essere
benefica solo quando è «perfetta», è soprattutto necessaria in
quegli ambiti in cui la natura delle merci o dei servizi è tale
che la concorrenza stessa non potrà mai generare un mercato
perfetto nel senso della teoria. Le effettive e inevitabili im
perfezioni della concorrenza non costituiscono certamente un
argomento contro la concorrenza, cosf come la difficoltà di ri
solvere in maniera perfetta qualsiasi altro problema non rap
presenta certo un argomento contro il tentativo di risolverlo,
o come uno stato di salute imperfetto non costituisce un argo
mento contro la salute in quanto tale.
In una situazione in cui non riusciremo mai a far sf che
molte persone offrano lo stesso prodotto o servizio omoge
neo, a causa della natura continuamente mutevole dei nostri
bisogni e delle nostre conoscenze, o anche dell’infinita varietà
delle attitudini e capacità umane, lo stato ideale non può es
sere uno stato che presupponga l’esistenza di un grande nu
mero di prodotti o di servizi che abbiano tutti le stesse carat
teristiche. Il problema economico è quello di fare il miglior
uso possibile delle risorse che effettivamente abbiamo, e non
quello di stabilire che cosa dovremmo fare se la situazione
fosse diversa da quella che è effettivamente. Non ha senso
parlare dell’uso delle risorse «come se» esistesse un mercato
perfetto, se questo significa che le risorse dovrebbero essere
diverse da quello che sono, o discutere ciò che farebbe una
persona dotata di conoscenze perfette, se il nostro compito è
necessariamente quello di fare il miglior uso possibile delle
conoscenze in possesso delle persone esistenti.
IL SIGNIFICATO DLLLA CONCORRENZA
307
5. L’argomento a favore della concorrenza non si basa sul
le condizioni che esisterebbero se la concorrenza fosse perfet
ta. Anche se è vero che, qualora i fatti oggettivi fossero tali
da consentire alla concorrenza di avvicinarsi alla perfezione,
questo assicurerebbe anche l’uso più efficiente delle risorse,
ed anche se ci sono, di conseguenza, motivi più che validi per
rimuovere gli ostacoli posti dagli uomini alla concorrenza,
questo non significa che la concorrenza non permetta di con
seguire un uso tanto efficiente delle risorse quanto si può spe
rare di ottenerlo con qualsiasi mezzo noto anche quando, per
la natura stessa della situazione, essa non può essere che im
perfetta. Anche se la libertà di entrata non dovesse garantire
niente di più del fatto che, in ogni momento, vengono effetti
vamente prodotti tutti i beni e i servizi che, di fatto, verreb
bero richiesti se fossero disponibili, e che questi beni e servizi
vengono prodotti con il minor dispendio corrente di risorse
con cui possono essere prodotti in quella data situazione sto
rica (benché il prezzo che viene fatto pagare al consumatore
sia considerevolmente più alto e solo appena inferiore al costo
a cui potrebbero essere soddisfatti i suoi bisogni se si facesse
ricorso alla tecnica che si colloca al gradino immediatamente
a mio parere
inferiore nella scala dell’efficienza), questo
è sempre più di quanto ci si possa aspettare da ogni altro si
stema noto. Il punto decisivo è ancora quello, del tutto ele
mentare, che è assolutamente improbabile che, in assenza di
quegli ostacoli artificiali che l’attività governativa può creare
o rimuovere, qualsiasi merce o servizio sia disponibile, per un
certo intervallo di tempo, solo ad un prezzo a cui i concorren
ti potenziali potrebbero aspettarsi un profitto maggiore di
quello normale se decidessero di entrare nel settore.
A mio avviso, la lezione pratica che si deve trarre da tutto
questo è che ci si dovrebbe preoccupare molto meno del fatto
che, in una data situazione, la concorrenza sia perfetta, e
molto di più del fatto che ci sia concorrenza in assoluto. Ciò
che nascondono i nostri modelli teorici, basati sull’idea di in
dustrie separate, è che, in pratica, la distanza che separa la
concorrenza dall’assenza di concorrenza è molto maggiore di
quella che separa la concorrenza perfetta dalla concorrenza
‘
—
—
6 Nel presente contesto, il costo corrente» esclude tutto ciò che appartiene real
mente al passato, ma include, naturalmente, il «costo d’uso».
308
UN( FILI E PROBI BALI DFLI ‘RC ONOMLA ILURI( A
imperfetta. E, tuttavia, la tendenza che prevale nel dibattito
corrente è quella di essere intolleranti per quanto riguarda le
imperfezioni, e di tacere invece sugli impedimenti alla con
correnza. Con ogni probabilità, possiamo ancora imparare di
più sul reale significato della concorrenza studiando gli effetti
che si manifestano regolarmente quando la concorrenza viene
deliberatamente soppressa piuttosto che concentrandoci sui
difetti che la concorrenza reale presenta rispetto a un ideale
irrilevante per i fatti cosf come sono. Ho usato apposta l’e
spressione «quando la concorrenza viene deliberatamente sop
pressa», invece di dire semplicemente «quando non c’è con
correnza», perché di solito i suoi effetti più importanti sono
ugualmente all’opera, anche se in maniera più lenta, finché la
concorrenza non venga completamente soppressa con l’aiuto
o con la tolleranza dello Stato. I danni che, come ci mostra
l’esperienza, fanno regolarmente seguito alla soppressione
della concorrenza si collocano su un piano diverso da quello
su cui si collocano i danni che possono essere causati dalle im
perfezioni della concorrenza. Molto più serio del fatto che i
prezzi possano non corrispondere ai costi marginali è il fatto
che, con un monopolio ben protetto, è assai probabile che i
costi siano molto più alti del necessario. D’altro canto, un
monopolio basato su una maggiore efficienza fa relativamente
pochi danni, fino a quando vi sia la sicurezza che esso sparirà
non appena qualcun altro diventi più efficiente nel soddisfare
le esigenze dei consumatori.
Per concludere, vorrei ritornare per un momento al punto
in cui sono partito e ripresentare la concluslone più importan
te in una forma più generale. La concorrenza è essenzialmen
te un processo di formazione delle opinioni; diffondendo le
intormazioni, essa crea quell’unità e quella coerenza del siste
ma economico che noi presupponiamo quando pensiamo a
questo sistema come ad un solo mercato. Essa crea le opinioni
della gente su ciò che è meglio e più a buon mercato; ed è
proprio in virtù della concorrenza che la gente giunge perlo
meno a sapere che esistono tutte quelle possibilità e quelle
opportunità di cui, di fatto, è a conoscenza. La concorrenza è
un processo che comporta un cambiamento continuo dei dati;
è quindi inevitabile che il suo significato non possa essere col
to da qualsiasi teoria che tratta questi dati come costanti.
7. La concorrenza come procedura
per la scoperta del nuovo
1• È difficile difendere gli economisti dall’accusa di avere
discusso, negli ultimi 40 o 50 anni, la nozione di concorrenza
a partire da ipotesi che, se si applicassero veramente al mondo
reale, renderebbero la concorrenza stessa del tutto insignifi
cante e inutile. Se qualcuno realmente sapesse tutto su ciò
che la teoria economica chiama i dati, la concorrenza sarebbe
in effetti un metodo molto inefficiente per assicurare l’aggiu
stamento rispetto a questi fatti. Non sorprende quindi che al-.
cuni siano giunti alla conclusione che o possiamo fare del tut
to a meno del mercato, oppure possiamo utilizzare i suoi ri
sultati solo come un primo passo per ottenere un output di
beni e servizi che possiamo poi manipolare, correggere o redi
stribuire come vogliamo. Altri, che probabilmente hanno
tratto il loro concetto di concorrenza esclusivamente dai libri
di testo recenti, sono giunti alla conclusione
peraltro natu
rale, date le premesse
che la concorrenza non esista. Con
tro questa interpretazione, è opportuno ricordare che, in tutti
i casi in cui si può giustificare razionalmente il ricorso alla
concorrenza, questo avviene sulla base del fatto che noi non
conosciamo in anticipo i fatti che determinano le azioni di co
loro che operano nel sistema concorrenziale. Negli sport o ne
gli esami, cosi come nel conferimento di commesse governati
ve o di premi di poesia, sarebbe chiaramente inutile organiz
zare una competizione, se si sapesse in partenza chi sarà il mi
—
—
4
ia
Questa conferenza è stata orzgmariamente presentata, senza I attuElC paragrafo 2. ad
un incontro del/a Phzladelphia Societ-v a Chicago in data 29 marzo I 9 9 e m seguito ma
za l’attuale paragrafo conclusivo, e stata presentata in tedesca all i,. moro ‘or U ‘e/tu ‘rrt
schatt de/lt T
niverirtà di Kwl in data 5 lulzo I 908 So/o l ieri zone tedes.a E s!aiu 1
oszo
pubblicata, dapprima nella serie di ,Kzeler ‘Lortrage \ .5 IVI Io(s Krel. e successi
vamente nella mia raccolta di saggi zntztolta freiburger Studien Gesanmnsclie Auf
siitze, Tubingen, f.C B. Mohr und P .5/chi-ch, 19(9.
310
CONtI-T’i
I- PROBLEMi DELl ECONOMIA TEORICA
gliore. Come dice il titolo di questa conferenza, propongo di
considerare la concorrenza una procedura per la scoperta di
fatti che, senza di essa, nessuno conoscerebbe o perlomeno
nessuno utilizzerebbe
Tutto ciò può sembrare a prima vista cosf ovvio e inconte
stabile da non meritare alcuna attenzione. Eppure alcune con
seguenze interessanti non cosf ovvie derivano immediatamen
te dalla formulazione esplicita dell’apparente truismo sopra
menzionato. La prima è che la concorrenza ha valore solo per
ché, e in quanto, i suoi risultati sono imprevedibili e nel com
plesso diversi da quelli che qualcuno si è proposto, o si sareb
be potuto proporre, di raggiungere in maniera deliberata.
Un’altra conseguenza è che gli effetti in generale benefici del
la concorrenza devono comportare la frustrazione o la manca
ta realizzazione di alcune particolari aspettative o intenzioni.
Strettamente legata alle precedenti è anche un’interessan
te conseguenza metodologica. Essa spiega perché l’approccio
microeconornico alla teoria è caduto in discredito. Questa
teoria, sebbene sia a mio avviso la sola in grado di spiegare il
ruolo della concorrenza, non è più compresa, perfino da alcu
ni che si professano economisti. Vale quindi la pena di intro
durre subito qualche considerazione sulle particolari caratteri
stiche metodologiche di ogni possibile teoria della concorren
za, dato che queste caratteristiche hanno finito col rendere
sospette le conclusioni cui di necessità pervengono tutte que
ste teorie a molti di coloro che abitualmente adottano un cri
terio di verifica semplicistico per decidere ciò che sono dispo
sti ad accettare come scientifico. La conseguenza necessaria
della ragione per cui ricorriamo al sistema concorrenziale è
che, nei casi in cui il suo impiego si rivela interessante, la validi
tà della teoria non può mai essere verificata empiricamente.
Possiamo verificarla sulla base di modelli concettuali e po
tremmo anche, in linea di principio, verificarla in situazioni
reali create artificialmente, in cui i fatti che la concorrenza
dovrebbe scoprire sono già noti all’osservatore. Ma in questo
caso la verifica non ha alcun valore pratico, per cui non var
rebbe la pena di sostenere delle spese per compiere l’esperi
Quando queste pagine erano gia state scritte, mi è stato segnalato un articolo
di L. von Wiese dal titolo Dre Konkzin’enz, voswiegcnd in sozzologzsch-systematzschet
l3etrachtung, in Verhandlungen des 6 Derstschen Sozzologentages, 1929, nel quale, a p.
27, viene discusso il carattere «sperimentale> della concorrenza.
IL Sl(,NIFICAIO DELLA (ONCORRt-’ZA
311
mento. Se non conosciamo i fatti che speriamo di scoprire per
mezzo della concorrenza, non sappiamo mai quanto questa sia
stata efficace nello scoprire i fatti che potevano essere scoper
ti. Tutto quello che possiamo sperare di scoprire è che, nel
complesso, le società che a questo scopo si affidano alla con
correnza raggiungono i loro obiettivi in misura maggiore di
altre; conclusione, questa, che la storia della civiltà mi sembra
avere assolutamente confermato.
tratto che essa ha in
La particolarità della concorrenza
nel fatto che
consiste
scientifico
metodo
il
con
comune
non si può verificare il suo operato in casi particolari in cui la
sua presenza si dimostra rilevante, ma solo mediante il fatto
che il mercato prevale nei confronti di ogni soluzione alterna
tiva. I vantaggi che derivano da procedure scientifiche conso
lidate non sono mai dimostrabili scientificamente, ma solo at
traverso l’esperienza comune secondo la quale, nel complesso,
queste procedure sono più adatte a produrre risultati positivi
di altri sistemi alternativi”.
La differenza tra la concorrenza economica e le migliori
procedure scientifiche sta nel fatto che il primo è un metodo
atto alla scoperta difatti particolari, rilevanti per il consegui
mento di obiettivi specifici e temporanei, mentre la scienza
mira a scoprire quelli che chiamiamo a volte «fatti generali»,
cioè le regolarità insite in determinati complessi di eventi. La
scienza si interessa difatti unici e particolari solo nella misura
in cui essi servono a confermare o a invalidare delle teorie.
Poiché riguardano caratteristiche generali, permanenti della
realtà, le scoperte della scienza hanno tempo in abbondanza
per provare la loro validità. Al contrario i benefici di fatti
particolari, la cui utilità viene scoperta dalla concorrenza nel
mercato, sono in larga misura transitori. Per quanto riguarda
la teoria del metodo scientifico, sarebbe altrettanto facile
screditarla sulla base del fatto che essa non permette di elabo
rare predizioni verificabili su quello che la scienza scoprirà,
quanto è facile screditare la teoria del mercato perché non
—
—
. Reylec
3
Si vedano gli interessanti studi di M. Polanvi in lix Loc of Liieri
tions and Rejoinders, London, Routledge and Kegan Paul, 1951, clic spiegano in guai
modo, partendo dallo studio del metodo scientifico, egli sia stato indotto a passare
allo studio della concorrenza nella vita economica; si veda anche KR Popper, liSe
Logic o! Scienlzfic Discot’ery, London, Tlutchison, 1959; trad, it. La logica della sco
perta scienti/ica,
Torino, Einaudi, 1981.
312
Cu\ ii’n s rituso i.ioi ijnt i ‘LCoNoIoIA FEORICA
11 SRNii i( 5.50 DFLLA CON( ORiCF\ZA
riesce a prevedere i risultati specifici che saranno conseguiti
dal mercato. Questo la teoria della concorrenza non può far
lo, per sua stessa natura, in ogni caso in cui è ragionevole
utilizzarla. Come vedremo, la sua capacità di previsione si
limita necessariamente al tipo di struttura o al carattere
astratto dell’ordine che si verrà a formare, ma non si esten
de alla previsione difatti particolari’.
2. Ora che mi sono liberato di questo problema che mi
sta particolarmente a cuore, riprendo l’argomento centrale
di questa conferenza, facendo presente che a volte la teoria
economica sembra essa stessa impedirsi fin dall’inizio una
reale comprensione del carattere proprio del processo con
correnziale, in quanto parte dall’ipotesi che esista un’offerta
«data» di beni scarsi. Ma quali beni siano scarsi, o quali co
se siano beni e quanto essi siano scarsi o di valore
que
sto è precisamente ciò che la concorrenza deve scoprire.
Soltanto i risultati provvisori del processo di mercato, consi
derati ad ogni singolo stadio, indicano agli individui che co
sa devono cercare. L’utilizzazione della conoscenza, che si
trova ampiamente dispersa in una società caratterizzata da
un’estesa divisione del lavoro, non può basarsi sul presuppo
sto che gli individui siano a conoscenza di tutti gli usi speci
fici ai quali possono essere destinate le cose che loro ben
conoscono nel loro ambiente abituale. I prezzi dirigono l’at
tenzione degli individui verso quello che vale la pena di sco
prire su ciò che il mercato offre per quanto riguarda i vari
beni e servizi. Questo significa che la combinazione, per al
cuni aspetti sempre unica, di conoscenze e capacità indivi
duali, che il mercato consente ai singoli di utilizzare, non è
semplicemente, e nemmeno prevalentemente, una conoscen
za di fatti che gli individui potrebbero elencare e comunica
re su richiesta di una qualsiasi autorità. La conoscenza di
cui parlo consiste piuttosto nella capacità di scoprire circo
stanze particolari, capacità che diventa effettiva solo se co
loro che possiedono questa conoscenza vengono a sapere dal
—
Sulla nat,ir,t dllc predizioni di struttura» i veda il mio saggio dal titolo
i l’e 1heor—s of ( ooiplex T’hzuomena, in Studws in Phz/osopht Politici and [Icona
mito. London and llenles Routledge aud Kegais Paul, 1967, pp 22 42.
,
J
j
j
313
mercato quali generi di beni o servizi sono richiesti e con
quale urgenza
Queste considerazioni dovrebbero essere sufficienti ad in
dicare il tipo di conoscenza a cui mi riferisco quando defini
sco la concorrenza una procedura per la scoperta. Ci sarebbe
molto da aggiungere per ricoprire le nude ossa di questa affer
mazione astratta con la carne della concretezza, per mostrar
ne tutta l’importanza pratica. Ma mi devo accontentare di far
presente con queste brevi osservazioni l’assurdità del modo di
procedere usuale, che consiste nell’iniziare l’analisi ipotizzan
do una situazione in cui si suppone che tutti i fatti siano noti.
Si tratta di uno stato di cose che la teoria economica chiama
curiosamente «concorrenza perfetta» e che in realtà non lascia
alcuno spazio all’attività chiamata concorrenza, che si presu
me abbia già portato a termine il suo compito. Devo tuttavia
procedere ad esaminare un problema sul quale la confusione è
perfino maggiore: si tratta precisamente di vedere quale signi
ficato si debba attribuire all’affermazione secondo la quale il
mercato adegua spontaneamente le sue attività ai fatti che
scopre, o anche di chiarire quale sia lo scopo per cui il merca
to utilizza queste informazioni.
La confusione che regna a questo proposito è dovuta più
che altro al fatto che l’ordine prodotto dal mercato viene trat
tato erroneamente come un’<economia», nel senso più ristret
to e preciso del termine, e al fatto che i risultati del processo
di mercato vengono giudicati sulla base di criteri che si dimo
strano appropriati solo nel caso di una singola comunità orga
nizzata, che persegue dei fini secondo un ordine gerarchico
dato. Ma una gerarchia di fini di questo tipo non è rilevante
in relazione alla complessa struttura formata da innumerevoli
decisioni economiche individuali. Purtroppo definiamo anche
quest’ultima con lo stesso termine «economia», anche se si
tratta di qualcosa di completamente diverso, che deve essere
giudicato sulla base di parametri differenti. Un’economia, nel
senso stretto del termine, è un’organizzazione o una struttura
Cfr. Sarnuel Johnson in James Boswell, Li/e o/ amuel JoIm.son, to,t,ethe,
wzth
]ournal 0/ a Toar fo the Ifebrzdes aiid fohnson i Dta,-i o! a lourno’ (iito \‘o,iì’
Wals,
revisione dell’edizione di GB. Hill a cura di L.F. Powell, Oxlord, Clarendon
Press.
1934, voI. Il, p. 365 (18 aprile 1775). trad. is l’da di .Samzel Johnsun. Milano.
zanti, 1982: tELa conoscenza è di due tipi: o conosciamo noi stessi un determinatoGar
gomento, o sappiamo dove si possono trovare le informazioni che lo riguardano». ar
-
314
1 ONI I III I
ROttI I 1511 DE I
‘ECONOMIA LLORI( A
IL SIC,NII ICATO DLI LA IONI OII 15/A
in cui qualcuno assegna deliberatamente risorse ad un insieme
di fini disposti secondo un ordine unitario. L’ordine sponta
neo prodotto dal mercato non è niente del genere; e sotto al
cuni aspetti importanti non si comporta come un’economia
propriamente detta. In particolare un ordine spontaneo di
questo tipo differisce dall’altro perché non garantisce che i bi
sogni ritenuti comunemente più importanti siano sempre sod
disfatti prima di quelli meno importanti. Questa è la ragione
principale per cui molti si oppongono a quest’ordine sponta
neo. In effetti il socialismo, in tutte le sue varianti, non è al
tro che la richiesta che l’ordine di mercato (o catallassi, come
preferisco chiamarlo, per evitare ogni confusione con un’eco
nomia propriamente detta) venga trasformato in un’econo
mia in senso stretto, in cui una comune scala di importanza
determini quale dei diversi bisogni debba essere soddisfatto e
quale no.
Questo obiettivo socialista solleva due ordini di problemi.
l)a un lato, come avviene in ogni organizzazione retta da un
disegno deliberato, solo le conoscenze dell’organizzatore pos
sono entrare a far parte del piano che regola il funzionamento
dell’economia strettamente intesa; dall’altro, tutti i membri
di una siffatta economia, concepita come un’organizzazione
retta da un disegno deliberato, vengono necessariamente gui
dati nelle loro azioni dalla gerarchia unitaria di fini che essa
persegue. D’altra parte i vantaggi dell’ordine spontaneo di
mercato, o catallassi, sono pure di due tipi: in primo luogo, le
conoscenze utilizzate in questo tipo di ordine sono quelle di
tutti i suoi membri; in secondo luogo, i fini perseguiti sono
quelli ben distinti dei diversi individui, in tutta la loro varietà
e contraddittorietà.
Proprio da qui nascono alcune difficoltà di ordine intellet
tuale che non preoccupano solo i socialisti, ma tutti gli econo
misti che intendono valutare i risultati raggiungibili mediante
l’ordine di mercato; infatti, se l’ordine di mercato non perse
gue un ordine ben definito di fini, se in realtà, come ogni or
dine che si è formato spontaneamente, non si può dire che
abbia fini specifici, non è nemmeno possibile esprimere il vaPer un esame più .ìppro[ondito di questo argomento si veda ora la mta opera
Law, Lego iaizon and Liherty: /1 .\ ew Statemeni o! the Liberai Prineipies o Jiotzce ami
Political Econoorv, voI 11, Ibe .llirage o/ Socwl ]ustice, London, Routledge and Ke
gan Paul, 1976, pp. 107.20.
515
lore dei risultati come somma dei suoi specifici prodotti indi
viduali. Allora che cosa vogliamo dire quando affermiamo che
l’ordine di mercato genera, in un certo senso, un massimo o
un ottimo?
Il fatto è che, sebbene di un ordine spontaneo, che non
sia stato creato per uno scopo particolare, non si possa pro
priamente dire che ha uno scopo, nondimeno quest’ordine
può risultare assai favorevole al conseguimento di molti scopi
individuali che, nel loro complesso, non sono noti a nessun
singolo individuo e nemmeno a gruppi relativamente piccoli
di persone. In effetti l’azione razionale è possibile solo in
un
mondo che presenta un certo ordine. Pertanto è perfettamen
te ragionevole tentare di produrre condizioni che, per ogni
individuo preso a caso, rendono molto elevate le probabilità
di conseguire i propri fini nel modo migliore possibile
an
che se non si può prevedere quali particolari fini saranno fa
voriti e quali no.
Come abbiamo visto, i risultati di ogni procedura per la
scoperta del nuovo sono imprevedibili; e tutto quello che ci
possiamo aspettare adottando una procedura efficace per la
scoperta del nuovo è di migliorare le probabilità di riuscita di
persone sconosciute. L’unico fine comune che possiamo per
seguire mediante la scelta di questa tecnica per dare un ordi
ne alla vita sociale è soltanto la forma generale, ovvero il ca
rattere astratto, dell’ordine che si verrà a formare.
—
3. Gli economisti di solito descrivono l’ordine creato dalla
concorrenza come uno stato di equilibrio
un termine poco
felice, perché tale equilibrio presuppone che tutti i fatti da
scoprire siano già stati scoperti e che la concorrenza abbia
pertanto cessato di esistere. Il concetto di «ordine», che, per
lomeno nella discussione di problemi di politica economica,
preferisco a quello di equilibrio, ha il vantaggio di consentirci
di parlare a buon diritto di un ordine al quale ci si avvicina
progressivamente per gradi e la cui esistenza può essere pre
servata anche nel corso di un processo di cambiamento. Men
tre non esiste mai realmente uno stato di equilibrio economi
co, si può affermare con ragione che ci si avvicina effettiva
mente molto al tipo di ordine, di cui la nostra teoria prsenta
un modello ideale.
Quest’ordine si manifesta in primo luogo nel fatto che le
—
1(,
( t)N( bili i- PRulil )-J\ii DEi1’ECeORllA i bORICA
li ,ioMFICA’i O DLLL \
O,
IRRLLA
31
aspettative legate a transazioni da effettuarsi con altri mem
bri della società, aspettative su cui si basano i piani di tutti i
vari soggetti economici, finiscono periopiù per realizzarsi.
Questo reciproco aggiustamento dei piani individuali è pro
dotto da quello che, da quando anche le scienze fisiche hanno
incominciato ad interessarsi di ordini spontanei, o di «sistemi
che si auto-organizzano», abbiamo imparato a chiamare «feed
back negativo». In realtà, come riconoscono i biologi ben in
formati, «molto prima che Claude Bernarde, Clerk Maxwell,
Walter B. Cannon o Norbert Wiener sviluppassero la ciber
netica, Adam Smith aveva già utilizzato chiaramente questa
idea ne La ricchezza delle nazioni. La “mano invisibile” che
regolava i prezzi alla perfezione è chiaramente questa stessa
idea. In un mercato libero, dice Smith in effetti, i prezzi sono
regolati da un feedback negativo»
Che un alto grado di coincidenza fra le aspettative possa
realizzarsi solo attraverso il fatto che alcuni tipi di aspettative
vengono sistematicamente frustrati riveste, come vedremo,
un’importanza cruciale per la comprensione del funzionamen
to di un ordine di mercato. Ma il reciproco aggiustamento dei
piani individuali non costituisce l’unico risultato ottenuto dal
mercato. Questo infatti garantisce che qualunque cosa venga
prodotta sia di fatto prodotta da persone che lo possono fare
più a buon mercato di (o perlomeno altrettanto a buon merca
to di) chiunque non produce quella cosa (e non può dedicare
le sue energie a produrre qualcos’altro che sia relativamente
ancor più a buon mercato), ed inoltre garantisce che qualun
que prodotto venga venduto ad un prezzo più basso di quello
a cui chiunque di fatto non lo produce potrebbe offrirlo.
Questo non esclude, naturalmente, che alcuni possano realiz
zare profitti considerevoli rispetto ai costi che sopportano, se
questi costi sono molto più bassi di quelli del produttore po
tenziale che più si avvicina loro per efficienza. Ma questo
vuoi dire che, dato il paniere di beni che di fatto viene pro
dotto, il livello di produzione che si ottiene con il sistema
concorrenziale è almeno altrettanto elevato quanto lo sarebbe
il livello di produzione raggiungibile con ogni altro metodo
conosciuto. Non sarà naturalmente pari a quello che si po
trebbe ipoteticamente ottenere se tutte le conoscenze cbe
ognuno possiede o può acquisire fossero controllate da un
unico ente e venissero inserite in un computer (il costo di un
simile esperimento sarebbe, tuttavia, considerevole). Ma non
si rende giustizia ai risultati ottenuti dai mercato se li si giu
dica, per cosi dire, dall’alto, mettendoli a confronto con un li
vello ideale che non sappiamo assolutamente come raggiunge
re. Dovremmo invece giudicarli dal basso, e cioè confrontan
doTi con quanto saremmo in grado di ottenere con ogni altro
metodo conosciuto; in particolare, nel caso in esame, dovrem
mo porre a confronto i risultati Ottenuti dal mercato con
quello che verrebbe prodotto se si escludesse la concorrenza,
cosf che solo coloro ai quali una qualche autorità avesse con
ferito il diritto di produrre o vendere cose particolari fossero
autorizzati a farlo. A questo riguardo basta considerare quan
to sia difficile in un sistema concorrenziale scoprire dei modi
per offrire ai consumatori beni migliori o meno costosi di
quelli che già sono in grado di ottenere. Laddove sembrano
esistere delle opportunità inutilizzate, scopriamo di solito che
esse restano tali perché il loro sfruttamento è impedito dal
potere dell’autorità (come nel caso in cui viene applicato per
legge un sistema di licenze), o da qualche uso illegittimo di
potere, da parte di privati, che la legge dovrebbe proibire.
Non si deve dimenticare, a questo riguardo, che il merca
to si limita soltanto a farci avvicinare a un qualche punto su
quella superficie n-dimensionale, mediante la quale la teoria
pura rappresenta la frontiera di tutte le possibilità a cui si po
trebbe portare la produzione di ogni paniere composito, defi
nito da una certa combinazione proporzionale di merci e ser
vizi. La determinazione della particolare combinazione di be
ni che viene effettivamente prodotta, e della loro distribuzio
ne fra gli individui, viene lasciata dal mercato, in larga misu
e, in questo senso, al caso.
ra, a circostanze imprevedibili
Come aveva già intuito Adam Smith, è come se avessimo
stabilito di comune accordo di partecipare ad un gioco affida
to in parte all’abilità e in parte alla fortuna. Questo gioco
concorrenziale, pur lasciando in una certa misura al caso la
quota di ciascun individuo, garantisce che l’equivalente reale
Fdtc. New York, New Ameriran Librarv, Men.
Adam Smith, The Theo;y of .Vora/ Sentimenti, London. A. Millar, 1759, parte
VI, cap. 2, penultimo paragrafo, e parte VII, sezione Il. eap I
Gj. 11ardn. .\atere a’:i il&,:
br Book, 1961 p. 54
—
318
CONCETrI E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA
della quota di ognuno, qualunque essa sia, sia il più grande
che riusciamo a ottenere. Per usare un linguaggio di moda,
non si tratta di un gioco a somma zero, ma di un gioco in
cui, se si rispettano le regole, si aumenta la posta da divide
re, lasciando in gran parte al caso le quote individuali della
posta in gioco. Una mente che conoscesse tutti i fatti po
trebbe scegliere un punto qualunque a piacere sulla superfi
cie e distribuire questo prodotto nel modo che ritenesse giu
sto. Ma l’unico punto sulla, o ragionevolmente vicino alla,
frontiera delle possibilità di produzione che sappiamo come
raggiungere è quello a cui arriviamo se lasciamo che sia il
mercato a determinano. Naturalmente, il cosiddetto «massi
mo» che raggiungiamo in questo modo non può essere defi
nito come una somma di cose specifiche, ma solo in funzio
ne delle possibilità che offre a persone sconosciute di otte
nere l’equivalente reale maggiore possibile per le loro quote
relative, che vengono determinate parzialmente dal caso. E
seriamente fuorviante valutare i risultati di una catallassi co
me se si trattasse di un’economia, semplicemente perché i
suoi risultati non possono essere valutati in base ad una sin
gola scala di valori, come nel caso di un’economia propria
mente detta.
4. Considerare l’ordine di mercato come un’economia
che può e deve soddisfare bisogni diversi secondo un certo
ordine di priorità si dimostra un’idea sbagliata specialmente
nel caso in cui la politica economica si sforza di correggere i
prezzi e i redditi nell’interesse della cosiddetta «giustizia so
ciale». Qualunque sia il significato che i filosofi sociali han
no attribuito a questa espressione, nella pratica della politica
economica il concetto di «giustizia sociale» ha quasi sempre
voluto dire una e una sola cosa: la protezione accordata ad
alcuni gruppi contro l’inevitabile discesa dalla posizione ma
teriale, assoluta o relativa, di cui hanno goduto per un certo
tempo. Ma questo è un principio che non si può assumere
come regola generale di comportamento senza distruggere le
fondamenta dell’ordine di mercato. Non solo l’aumento con
tinuativo, ma in determinate circostanze perfino il mero
mantenimento del livello esistente dei redditi dipendono
dall’adattamento a cambiamenti imprevisti. Questo fatto im
plica necessariamente che la quota relativa, e forse anche as
IL SIGNIFICATO DELLA CONCORRENZA
319
soluta, di alcuni deve essere ridotta, anche se
questi indivi
dui non sono in alcun modo responsabili di quanto
accade.
Bisogna tenere sempre presente che tutti gli aggiustamenti
economici sono resi necessari da mutamenti imprevisti;
e il
motivo fondamentale per cui si utilizza il sistema dei
prezzi
è
che questo comunica agli individui che quello che
fanno, o
possono fare, è diventato più o meno richiesto per
motivo di cui non sono responsabili. L’adattamento qualche
ro ordine di attività alle mutate circostanze si basa dell’inte
sul
che vengono modificate le remunerazioni derivate da fatto
attività, senza alcuna considerazione per i meriti o le diverse
colpe di
coloro che ne sono oggetto.
Il termine «incentivo» viene spesso impiegato a
questo
proposito con connotazioni in qualche modo fuorvianti,
come
se il problema principale fosse quello di indurre la
gente ad
essere sufficientemente attiva. Ma le informazioni
tali offerte dai prezzi non riguardano tanto il modo fondamen
re, quanto che cosa fare. In un mondo in continua in cui agi
trasforma
zione anche il puro mantenimento di un dato livello
chezza richiede cambiamenti incessanti di direzione di ric
sforzi di alcuni, cambiamenti che si potranno ottenere degli
la remunerazione di alcune attività aumenta e quella solo se
di
diminuisce. Con questi aggiustamenti, che in condizioni altre
rela
tivamente stabili sono necessari anche soltanto per
mantenere
costante il flusso di reddito, non si rende disponibile
«surplus» che possa essere utilizzato per compensare alcun
coloro
che sono svantaggiati dai cambiamenti di prezzo.
Solo in un
sistema in rapida crescita si può sperare di evitare
gruppi vedano peggiorare la propria posizione in che alcuni
termini asso
luti.
A questo proposito gli economisti moderni
spesso trascurare il fatto che la relativa stabilità, sembrano
che
tano molti di quegli aggregati che la macroeconomja presen
conside
ra come dati, è essa stessa il risultato di un
processo microe
conomico, di cui i cambiamenti dei prezzi relativi
costituisco
no una parte essenziale. E solo grazie al meccanismo
di mer
cato che qualcuno viene indotto ad intervenire e a
riempire
il
vuoto dovuto al fatto che qualcun altro non riesce
a
soddisfa
re le aspettative dei suoi simili. In effetti tutte
di domanda e di offerta aggregata con le quali ci queste curve
piace opera
re non sono fatti, dati realmente in modo oggettivo,
ma risul
320
CONCETTI E PROBLEMI DELL’ECONOMIA ThORICA
li. SIGNIFICATO DELLA CONCORRENZA
tati del processo concorrenziale, che continua incessantemen
te. E non possiamo certo sperare di venire a sapere dalle sta
tistiche quali variazioni di prezzi o di redditi sono necessarie
per realizzare gli aggiustamenti richiesti dagli inevitabili cam
biamenti.
Tuttavia il punto principale consiste nel fatto che, in una
democrazia, sarebbe assolutamente impossibile imporre dei
cambiamenti che non sono considerati giusti e di cui non si
può mai dimostrare chiaramente la necessità. In un sistema
politico di questo tipo una regolamentazione deliberata deve
sempre mirare a garantire dei prezzi che sembrino equi. Que
sto significa in pratica conservare la tradizionale struttura dei
redditi e dei prezzi. Un sistema economico in cui ciascuno ot
tiene quello che gli altri pensano che si meriti sarebbe neces
a prescindere dal
sariamente un sistema molto inefficiente
in modo intol
oppressivo
sistema
un
anche
sarebbe
che
fatto
lerabile. E molto probabile, perciò, che qualsiasi «politica dei
redditi» impedisca, invece di facilitare, quei cambiamenti del
la struttura dei prezzi e dei redditi che sono necessari per
adattare il sistema alle nuove circostanze.
Uno dei paradossi del mondo contemporaneo consiste
proprio nel fatto che i paesi comunisti sono probabilmente
più liberi dei paesi «capitalisti» dall’incubo della «giustizia so
ciale» e più inclini a lasciare che portino il peso della situazio
ne coloro che subiscono gli effetti negativi dei cambiamenti
di circostanze. Perlomeno alcuni tra i paesi occidentali sem
brano senza speranza da questo punto di vista, proprio per
ché l’ideologia che domina la loro politica rende impossibili i
cambiamenti necessari perché la posizione della classe lavora
trice migliori abbastanza rapidamente da portare alla scom
parsa di questa ideologia.
—
5. Se anche nei sistemi economici più sviluppati la concor
renza è importante come processo esplorativo in cui si cerca
no opportunità inutilizzate che, una volta scoperte, possono
essere sfruttate anche da altri, questo è tanto più vero per i
paesi sottosviluppati. Finora mi sono deliberatamente concen
trato sul problema della conservazione di un ordine efficiente
in situazioni in cui la maggior parte delle risorse e delle tecni
che sono note alla generalità dei partecipanti e gli adattamen
ti continui delle varie attività, effettuati al fine di mantenere
(
321
un dato livello di redditi, sono resi necessari da cambiamenti
che sono, per forza di cose, solo di secondaria importanza.
Non intendo occuparmi qui del ruolo che la concorrenza in
dubbiamente svolge nel favorire il progresso delle conoscenze
tecnologiche. Voglio però sottolineare il fatto che il ruolo del
la concorrenza è necessariamente ancora più importante in
paesi in cui la sua funzione principale è quella di scoprire le
opportunità ancora sconosciute, insite in sistemi sociali che in
passato non hanno sperimentato alcuna forma attiva di con
correnza. Può non essere del tutto assurdo, anche se fonda
mentalmente sbagliato, credere che possiamo prevedere e
controllare la struttura della società che risulterà dagli ulterio
ri progressi tecnologici che avranno luogo nei paesi già alta
mente sviluppati. Ma è semplicemente fantastico credere che
possiamo predeterminare la struttura sociale in un paese in
cui il problema principale è ancora quello di scoprire quali ri
sorse umane e materiali siano disponibili, o anche credere che
per un paese del genere possiamo prevedere le conseguenze
specifiche di qualsiasi misura si decida di adottare.
A parte il fatto che in questi paesi c’è tanto di più da sco
prire, vi è anche un’altra ragione per cui la più grande libertà
di concorrenza sembra ancora più importante li che nei paesi
più avanzati. Ed il motivo è che i necessari cambiamenti di
usi e costumi si realizzano solo se i pochi individui desiderosi
e capaci di sperimentare nuovi metodi sono posti in condizio
ne di far sf che la maggioranza non possa fare a meno di se
guire il loro esempio e, al tempo stesso, sono in grado di indi
care loro la strada da percorrere. Il necessario processo di sco
perta viene ostacolato o impedito se i più sono in grado di co
stringere i pochi innovatori ad attenersi ai metodi tradiziona
li. Naturalmente uno dei motivi principali dell’avversione nei
confronti della concorrenza è costituito proprio dal fatto che
questa non solo mostra come le cose si possono fare in modo
più efficiente, ma pone anche coloro che per i loro redditi dipendono dal mercato di fronte all’alternativa tra imitare quelli che hanno più successo e perdere in parte o del tutto il loro
reddito. In questo modo la concorrenza produce una sorta di
costrizione impersonale che pone numerosi individui nella ne
cessità di modificare la propria vita in un modo che nessuna
disposizione esplicita e nessun ordine deliberato potrebbero
mai produrre. Una direzione centrale a servizio della cosid
322
CONCETTI E PROBLEMI DELL’ECONOMIA TEORICA
detta «giustizia sociale» può essere un lusso che le nazioni ric
che si possono permettere, forse per molto tempo, senza un
deterioramento consistente dei loro livelli di reddito. Ma non
è certo un metodo con cui i paesi poveri possono accelerare il
loro adattamento a circostanze in rapida evoluzione, adatta
mento da cui dipende la loro possibilità di sviluppo.
Forse è opportuno ricordare, a questo proposito, che le
possibilità di sviluppo di un paese sono probabilmente tanto
maggiori quanto più vaste sono le sue opportunità non ancora
sfruttate. Per quanto strana questa idea possa sembrare a pri
ma vista, un alto tasso di crescita è spesso la prova del fatto
che in passato delle opportunità sono state trascurate. Cosf,
in taluni casi un alto tasso di crescita dev’essere interpretato
come prova delle cattive politiche del passato piuttosto che
come indice delle buone politiche del presente. Di conseguen
za è irragionevole attendersi nei paesi già molto sviluppati un
tasso di crescita tanto alto quanto quello che si può ottenere
per un po’ di tempo nei paesi in cui precedentemente ostacoli
istituzionali e legali hanno impedito a lungo un’utilizzazione
efficiente delle risorse.
Secondo la mia esperienza, la percentuale di individui che
sono pronti a sperimentare nuove opportunità, se queste sem
brano promettere condizioni di vita migliori e se non lo impe
discono le pressioni degli altri, è più o meno la stessa dapper
tutto. L’assenza, molto deplorata, di spirito d’iniziativa in
molti paesi nuovi non costituisce una caratteristica immodifi
cabile dei singoli abitanti, ma è la conseguenza di limitazioni
imposte dai costumi e dalle istituzioni esistenti. Perciò in
queste società sarebbe esiziale permettere alla volontà collet
tiva di dirigere gli sforzi degli individui, invece di limitare il
potere del governo alla protezione degli individui contro le
pressioni della società. E possibile ottenere questa protezione
delle iniziative e delle imprese private solo mediante l’istitu
zione della proprietà privata e l’introduzione dell’intero com
plesso di istituzioni legali proprie della tradizione liberale.
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