Lettera Pastorale 2015-16 di S.E. Mons. Mario Russotto, Vescovo di
by user
Comments
Transcript
Lettera Pastorale 2015-16 di S.E. Mons. Mario Russotto, Vescovo di
✠ Mario Russotto Vescovo di Caltanissetta MISERICORDIAS DOMINI... Va’ in pace e non peccare più Lettera Pastorale anno 2015-2016 DISEGNO DI COPERTINA: Vincenzo Giovino - Curia Vescovile Caltanissetta IMPAGINAZIONE: Salvatore Tirrito - Curia Vescovile Caltanissetta STAMPA: Tipolitografia Paruzzo - Caltanissetta A tutte le donne… usate abusate violate nella loro dignità. Ad ogni donna… alla cui misericordia si deve la vita degli uomini… A tutti i genitori, i padrini e le madrine perché siano testimoni credibili e responsabili della fede dei bambini… INTRODUZIONE Con le Chiese nella Chiesa 1. Il tema dell’anno Figlioli carissimi, lo scorso anno abbiamo dato inizio al percorso dei nostri Orientamenti Pastorali 2014-2020 con l’icona biblica di Giona, la cui chiave di lettura era Nella conversione di Dio la conversione dell’uomo. E vi parlavo di conversione dello sguardo, conversione del desiderio, conversione morale. Se il volto di Dio è continuamente ri-volto e convertito a noi per rinnovare sempre in noi il dono della vita, da parte nostra deve crescere il desiderio di non far nulla che possa offendere Dio, anzi dobbiamo fare tutto quello che possa piacergli. E il suo sommo piacere è il nostro massimo bene, rispondendo al suo dono di grazia che ci rende sua immagine e somiglianza nell’Amore, cioè nella Santità, «misura alta della vita cristiana ordinaria» (San Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte n. 31). E quanto più questo anelito – in ciascuno e in tutti noi come comunità ecclesiale diocesana – 7 MARIO RUSSOTTO è vera e profonda, tanto più si tramuta in gesti concreti, in azioni che tessono trame di comunione e promuovono il bene dell’altro, degli altri. Tutto questo richiede ovviamente un no deciso al peccato, una dichiarata rinuncia al male abbracciando l’àncora della fede e lasciandoci abbracciare dall’Amore avvolgente e sconvolgente della Trinità, il cui “tatuaggio” è per sempre in noi impresso in modo indelebile con il Battesimo. E infatti i nostri Orientamenti Pastorali ci impegnano in questo anno 2015-2016 a vivere lo slogan Va’e non peccare più, avendo come icona biblica l’adultera di Gv 8,1-11 e la prostituta di Lc 7,36-50; mentre in riferimento al rito del Battesimo siamo chiamati ad approfondire-meditare-vivere la triplice rinuncia al peccato, con le sue cause e le sue conseguenze. 2. La conversione del cuore Si tratta dunque della dimensione morale della vita battesimale nella conversione del cuore, rinun8 Misericordias Domini ciando al male e scegliendo il bene, per amare sempre più Dio e in Lui farci prossimo di ogni uomo e ogni donna nell’inchino del perdono: «Molto le è perdonato, perché molto ha amato» (Lc 7,47). La conversione del cuore ci fa scoprire che Dio è una fonte inestinguibile e che disseta sempre, perciò l’anima non smette mai di amare Colui che da sempre ama, perché è Amore. La conversione del cuore ci fa innamorare di Dio e ci porta ad una profonda libertà interiore, ad una distensione delle pieghe dell’anima, che irradia serenità nella comunità. La conversione del cuore ci fa prendere coscienza di essere profondamente amati e liberati da Dio, per essere libertà d’amore in Dio e per Dio. Il Signore ci invita ad una profonda conversione e noi dobbiamo raccogliere questo invito per chiedere il suo perdono accogliendo la sua infinita misericordia. Non indugiamo nell’intraprendere questo cammino che conduce ad un futuro colmo di speranza, raccogliendo nell’intimo l’invito del Signore: «Va’in pace e d’ora in poi non peccare più!» (Gv 8,11). 9 MARIO RUSSOTTO La nostra conversione è possibile grazie all’iniziativa d’amore di Dio. Noi ci convertiamo, cantando le misericordie del Signore (Misericordias Domini in æternum cantabo), perché Dio è da sempre convertito a noi. Lui è il Misericordioso! «La conversione a Dio – ha scritto San Giovanni Paolo II nella Dives in misericordia (DM) – consiste sempre nello scoprire la sua misericordia, cioè quell’amore che è paziente e benigno… fedele… fino alla croce, alla morte e risurrezione del Figlio» (DM n. 13). Dio è fedele al suo amore. Per questo il cammino della conversione comincia con l’accettazione riconoscente del dono divino della misericordia. L’azione di Dio, pertanto, precede e accompagna quella dell’uomo. Prima ancora che divenga realtà nell’anima del cristiano, la conversione è preparata dall’intervento della Santissima Trinità: del Padre che invia il Figlio; del Figlio che rivela il Padre; dello Spirito Santo che apre le porte dei cuori. Nel suo senso più profondo, la conversione è dono di Dio, opera della Trinità. Per questo motivo, se noi davvero vogliamo disporci alla conversione, dobbiamo riuscire a stare molto vicini alla Santissima Trinità: al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. 10 Misericordias Domini I sacramenti, la preghiera, le opere di carità, l’amicizia costante con il Signore nella Parola e nel Pane eucaristico: è questo il cammino della conversione. Perché «l’autentica conoscenza del Dio della misericordia è una costante e inesauribile fonte di conversione… Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo “vedono”, non possono vivere altrimenti che convertendosi continuamente a Lui. Vivono dunque in stato di conversione; ed è questo stato che traccia la più profonda componente del pellegrinaggio di ogni uomo sulla terra in stato di viandante» (DM n. 13). La conversione del cuore non è un semplice desiderio di amare Dio, formulato in un dato momento, ma è un habitus, uno stile di vita. La vita cristiana è un continuo cominciare e ricominciare, un rinnovarsi ogni giorno, facendo «frutti degni di conversione» (Mt 3,8). 3. Il Convegno delle Chiese d’Italia A cinquant’anni dalla chiusura di quella “primavera dello Spirito” che fu il Concilio Ecumenico 11 MARIO RUSSOTTO Vaticano II e dieci anni dopo il Convegno Ecclesiale Nazionale, tenutosi nel 2006 a Verona sul tema “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”, le Chiese d’Italia si ritrovano a celebrare il 5° Convegno ecclesiale, che si svolgerà a Firenze nel novembre prossimo, sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. L’Arcivescovo Mons. Cesare Nosiglia, nella presentazione alla Traccia in preparazione al Convegno, ha espresso la sua fiducia che questo importante appuntamento possa essere davvero “sinodale”, come dovrebbe essere lo stile della Chiesa, evidenziando il diffuso «bisogno di discernimento comunitario di fronte alle sfide del mondo contemporaneo». E sottolinea due dimensioni: lo sguardo amorevole e il gusto per l’uomo per «leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore». In Gesù Cristo il nuovo umanesimo si snoda nella Traccia attraverso cinque verbi. Il primo: uscire… per una «Chiesa in uscita», come ripetutamente sottolinea Papa Francesco. Il secondo: annunciare… perché abbiamo un 12 Misericordias Domini Vangelo da consegnare e perché la Chiesa esiste per evangelizzare: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). Il terzo: abitare… che richiama la definizione di parrocchia, “abitare tra le case”, con il coraggio di leggere e comprendere i desideri e il cuore degli uomini e delle donne… per essere sempre più Chiesa-Popolo di Dio in cammino nella storia. Il quarto: educare… a pensare i “pensieri di Cristo” (Fil 2,5) assumendo la sua “mentalità”, per vivere nel mondo con responsabilità. Il quinto: trasfigurare… per “abitare la Trinità” lasciandoci ospitare e trasfigurare dalla Trinità, divenendo sempre più una “Comunità di trasfigurati” attraverso la Parola, la Preghiera, i Sacramenti, la Carità. Soltanto in questo modo e vivendo la comunione della nostra Chiesa diocesana con le altre Chiesa in Italia e con il Successore di Pietro, possiamo sempre più riscoprire e costruire un nuovo umanesimo 13 MARIO RUSSOTTO in Cristo. Lui, e solo Lui, rivela l’uomo all’uomo e ci impegna ad essere ed edificare la “civiltà dell’Amore”. 4. In comunione con Papa Francesco 4.1. Il Giubileo della Misericordia Papa Francesco, con la Bolla “Misericordiæ vultus” (MV), ha indetto il Giubileo Straordinario della Misericordia, che si aprirà l’8 dicembre 2015, cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, e si concluderà il 20 novembre 2016, solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo. La nostra Chiesa diocesana, dunque, oltre a vivere la comunione con le altre Chiesa d’Italia, è in piena sintonia con le intenzioni e il progetto del Successore di Pietro, pur avendo già da tempo pianificato il nostro cammino pastorale fino al 2020. Scrive Papa Francesco nella suddetta Bolla, che tutti invito a leggere e a meditare: «Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. 14 Misericordias Domini Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato» (MV n. 2). E ancora: «Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere… il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore… Gesù ha posto la misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7)… La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi» (MV n. 9). 15 MARIO RUSSOTTO Perché «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia… la credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole… È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza» (MV n. 10). 4.2. L’Anno della Vita Consacrata Guardare al futuro con speranza è anche l’invito che da sempre continuo a rivolgere alle donne e agli uomini di “vita consacrata”. E ancor più in questo speciale anno, che volge a conclusione cedendo il passo al Giubileo della Misericordia, dedicato da Papa Francesco alla vita consacrata. Perché la Chiesa non sarebbe senza la vita consacrata. La Chiesa non sarebbe senza questa radicalità evangelica, senza questa corrente di amore e noi, sull’esempio di Maria, dobbiamo esserci essendo quello che siamo, senza bisogno di apparire. A volte la tentazione degli uomini e delle donne “di Chiesa” è quella di prestarsi al gioco dei mass 16 Misericordias Domini media: voler apparire ad ogni costo. Alla scuola di Maria SS.ma siamo invece chiamati ad apprendere l’arte dell’esserci nel nascondimento, come il sale che dà sapore perché si perde nel cibo e dà gusto perché scompare, o come il lievito che scomparendo nella farina la fermenta e la fa crescere. Ecco: la vita consacrata è Amore di pura perdita, è via esemplare perché si impara a perdere per Amore, a morire per dare vita, a vivere donando Amore. E allora saremo anche noi come Maria, la Donna che ha accolto nel silenzio il Verbo divino e nel silenzio lo ha custodito durante tutta la vita, così come ora custodisce nel suo Cuore, abisso insondabile di santità, tutti noi con ineffabile Amore e ci conduce alla pace contemplativa dell’incontro con Dio: in unione con Cristo Gesù, nello Spirito Santo, a gloria di Dio Padre. 5. Un augurio Sperando che la Lettera Pastorale venga meditata attualizzata mediata dai diversi Uffici pastorali diocesani e dai carissimi Parroci, mi auguro che 17 MARIO RUSSOTTO essa venga sempre più letta meditata incarnata nei gruppi parrocchiali e nelle associazioni ecclesiali. E come ogni anno, anzi stavolta ancor più per meglio vivere il Giubileo della Misericordia, si tengano i cenacoli nelle case, nei condomini, nei quartieri, nelle scuole e nel mondo del lavoro. Per essere tutti quanti responsabili e credibili missionari del Vangelo, testimoni e diffusori della Parola di Misericordia che, con la consapevolezza dei miei limiti e con la coscienza della mia paternità pastorale, a tutti e a ciascuno con amore e fiducia affido in questa Lettera Pastorale. 18 I LA DONNA NEL MANTELLO DI MISERICORDIA Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosé, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,1-11). 19 MARIO RUSSOTTO 1. Un’icona rivelativa Il racconto di Gv 8,1-11 è un’icona evangelica di squisita delicatezza e prorompente forza; è una perla sperduta della tradizione antica, che inquieta e interroga e costringe ogni lettore a prendere posizione. È un racconto che spaventa se lo si legge con attenzione, che risulta scandaloso e profondamente imbarazzante. Non ci si può accostare a questa icona con indifferenza o superficialità: alla fine qualcosa turba il nostro cuore. Essa, infatti, smaschera il peccatore e l’accusatore che vivono in ciascuno di noi e forse anche il nostro ipocrita perbenismo morale: colui che accusa gli altri farebbe bene a guardare prima se stesso: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Ma l’icona evangelica ci consegna anche il Volto della misericordiosa tenerezza di Dio in un silenzio inedito, in un cerchio che invece di stringere nella morsa della morte si dilata verso un’inattesa e fascinosa speranza di vita. Questa pagina evangelica diviene così indicativa della strada da percorrere per conoscere il Signore. «Nel perdono 20 Misericordias Domini conosciamo chi è il Signore: è Uno che ci ama senza condizioni. Così conosciamo per la prima volta chi siamo noi nel perdono: siamo persone amate infinitamente da Dio, senza condizioni, questa è la nostra verità… Noi pensiamo sempre che Dio ci perdona perché siamo pentiti. Invece non è che Dio ci perdona perché siamo pentiti; ci possiamo pentire perché Lui ci perdona comunque. Dio non può non perdonarci, perché è amore, noi possiamo sempre pentirci. Non è che, poiché noi ci convertiamo a Lui, allora anche Lui diventa buono per noi. Lui è da sempre convertito a noi, è sempre buono con noi, per questo possiamo convertirci a Lui» (S. Fausti). Tre sono i personaggi del racconto: Gesù, il gruppo di scribi e farisei, la donna. E nell’intreccio narrativo di questi tre personaggi l’evangelista mette a confronto due giudizi: quello umano, che condanna ed ha per giudice dei peccatori, e quello divino che assolve ed ha per giudice l’Innocente. Gesù ci ha resi fratelli e non ipocritamente giudici gli uni degli altri! 21 2. Il contesto MARIO RUSSOTTO L’evento narrato si svolge nel tempio di Gerusalemme, dove già all’alba si trova Gesù dopo aver trascorso la notte in preghiera presso il monte degli Ulivi: «Durante il giorno insegnava nel tempio, la notte usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi. E tutto il popolo veniva a Lui di buon mattino nel tempio per ascoltarlo» (Lc 21,3738). Gesù sente spesso il bisogno di ritirarsi da solo nella solitudine della preghiera; una preghiera che si fa ascolto della parola senza suono pronunciata dal Padre, si fa colloquio, confidenza… «Come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia» (Sal 131)… Chissà come Gesù avrà pregato il Padre! Certamente la sua preghiera conteneva sempre quella nota: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42). Perché la preghiera è tale solo se ci fa vivere la pasqua della volontà, cioè il “passaggio” dal nostro volere al volere di Dio in modo che l’anima vuole solo quello Dio vuole per essa. La preghiera non può essere emozione, sentimento o semplice fluire di parole; la preghiera, se è tale, deve condurci 22 Misericordias Domini alla consegna della nostra volontà alla volontà di Dio, altrimenti preghiera non è… Questa capacità di mantenersi in sintonia con Dio Padre permette a Gesù di affrontare le giornate con una sapienza “altra”, con la sapienza che non viene dal mondo e sconcerta la logica umana e le umane attese… Luogo dell’evento narrato è il tempio di Gerusalemme nel quale Gesù insegna al popolo radunato attorno a Lui. E quello che Gesù insegna viene dalla sua esperienza di preghiera con il Padre. Gesù racconta la sua esperienza e la sua intimità con il Padre, le profondità del suo vissuto. Quando noi sentiamo parlare qualcuno che non dice solo parole e non riporta solo teorie ma ci fa cogliere la sua esperienza di Dio, anche la nostra anima vibra di quel “respiro”. E la gente accorre da Gesù perché finalmente sente un Maestro che insegna a partire dalla vita. 3. Un amore rubato In un clima spirituale profondo e così intenso di ascolto, in quel silenzio in cui solo la voce di Gesù 23 MARIO RUSSOTTO risuona, arrivano scribi e farisei che portano una donna sorpresa in adulterio e interrompono Gesù; interrompono quel clima di ascolto e mettono la donna in piedi (come un’imputata in attesa di sentenza) in mezzo alla folla così come l’avevano “sorpresa”, quindi certamente anche un po’ svestita, in modo che tutti la possano vedere. Quanto sarà stato umiliante per questa donna essere esposta allo sguardo e al giudizio di tutti gli altri… È mezza nuda, eppure deve stare diritta in piedi perché è l’imputata; non può abbassarsi né coprirsi. Pensiamo alla vergogna… di aver tradito suo marito, di stare seminuda davanti a tutti… E viene portata lì non perché sia salvata, ma perché sia condannata… esposta al pubblico ludibrio con il suo peccato… una donna di infamia e vergogna… E tutti intorno a lei giudici, spietatamente condannatori… Non ha nome questa donna… Questa donna vive una sua storia fatta di bisogni e di attese. Forse non è felice di quello che ha. Si trova a vivere una storia che probabilmente non ha scelto né voluto. Una cosa comunque è certa: nel suo matrimonio non ha trovato quello che cercava, né all’interno del suo legame familiare né nella sua 24 Misericordias Domini relazione coniugale. Non è riuscita a saziare la sua sete di amore ricevuto e donato. Viene sorpresa in “adulterio”; e questo significa che era sposata. Ha cercato un incontro con un altro uomo, ha cercato un amore clandestino fatto di sotterfugi, consapevole di tradire suo marito e la sua famiglia. Consapevole, dunque, di tradire il patto nuziale con Dio. E si trova impelagata in una rischiosa e pericolosa relazione che non cambierà la sua vita, non colmerà la sua sete di amore. Ma ecco la tragedia, ecco ora il suo dramma. Questa donna, ancora una volta deve prendere coscienza di essere usata e strumentalizzata… e forse per l’ultima volta! Usata da un uomo che ha approfittato di lei per poi abbandonarla senza cercare di difenderla... Usata da rigorosi osservanti della legge per scopi che lei neppure lontanamente immagina... È vittima di una violenza che le toglie l’intimità, l’identità, la dignità... E scopre così l’amarezza e il disgusto per essersi accontentata degli uomini: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo» recita Ger 17,5; per aver creduto di trovare l’uomo che la amasse per se stessa e non per 25 MARIO RUSSOTTO il suo corpo, che le donasse attenzione e affetto… E invece le ruba amore. E forse anche la vita… 4. Il volto dell’ipocrisia «Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio» (Gv 8,3). Si tratta dunque di una donna sposata, perché una relazione tra un uomo sposato e una donna nubile non era considerata adulterio. Per essere stata colta in flagrante significa che c’erano almeno due testimoni oltre al marito, come recita il libro di Deuteronomio: «Un solo testimonio non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato questi abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni» (Dt 19,15). La Torah parla chiaro: «Qualora tuo fratello... o il figlio o la figlia o la moglie... non coprire la sua colpa. Anzi, devi ucciderlo; la tua mano sia la prima contro di lui per metterlo a morte...» (Dt 13,7-12). Un fariseo che legge questo testo si sente quindi autorizzato in coscienza ad appli26 Misericordias Domini care la Legge, passando sopra a tutti i sentimenti di compassione, di pietà o di scusa nei confronti di chi ha peccato. E poi un altro testo della Legge recita: «Qualora si trovi in mezzo a te... un uomo o una donna, che faccia ciò che è male agli occhi del Signore... lapiderai quell’uomo o quella donna, così che muoia... La mano dei testimoni sarà la prima contro di lui per farlo morire» (Dt 17,2-7). «Questa lapidazione è una forma di assassinio collettivo che è il primitivo modo di farsi giustizia. Tutti devono essere concordi quando si fa una lapidazione, se uno si alza per difendere il lapidato, viene lapidato anche lui… Noi stiamo sempre assieme finché c’è un nemico comune da combattere. Se non c’è, ce lo inventiamo e pensiamo che, eliminando lui, tutto andrà bene. Infatti tutto va bene, perché eliminando lui otteniamo due vantaggi: il primo che siamo finalmente uniti nel fare il male; il secondo che facendo il male sfoghiamo la nostra aggressività, la nostra violenza, in modo legittimo finalmente. Così si fanno le guerre, così si fan fuori le streghe, così si perseguitano i diversi, così si sterminano popoli» (S. Fausti). 27 MARIO RUSSOTTO Questa donna è senza via di scampo. Scribi e farisei hanno già le pietre in mano, è loro intenzione ossequiare la legge di Mosè e lapidare la donna. Ma in realtà di essa a questi illustri difensori della moralità non importa nulla, a loro interessa servirsi di questa donna per accusare Gesù. Nell’intenzione di questi autorevoli maestri di ipocrisia due sono i condannati a morte: l’adultera e Gesù. Il peccato della donna è evidente. Quello di Gesù cercano in modo subdolo di dimostrarlo. Così si cerca non solo di far lapidare la povera donna ma, soprattutto, di far morire Gesù: «Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo» (Gv 8,6). L’imputato principale è, dunque, Gesù. Le pietre sono destinate anzitutto a Lui. Ma come avrebbero potuto intrappolarlo e accusarlo? Secondo alcuni, la donna era già stata riconosciuta colpevole dal Sinedrio e gliela conducono perché Gesù decida il castigo. Sembra però improbabile che la sentenza venga affidata a quello che era considerato un predicatore itinerante o che gli concedano di revocarla. Secondo altri, invece, la donna non era ancora stata processata, perché i romani avevano tolto al Sinedrio il diritto di pro28 Misericordias Domini nunciare condanne capitali. Se così fosse, la ragione per cui conducono la donna da Gesù diventa chiara. Comunque decida va contro qualcuno: la legge mosaica da una parte, i romani dall’altra. Sant’Agostino commenta: «Era la perversità che tramava contro la rettitudine, la falsità contro la verità, il cuore corrotto contro il cuore retto... Il Signore risponde in modo tale da salvare la giustizia senza smentire la mansuetudine». 5. Il volto dell’infedeltà «Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra» (Gv 8,6). Sembrava una strada senza uscita. Ma Gesù non si spaventa, né si innervosisce. Anzi, al contrario. Con calma, come chi domina la situazione, si china e scrive per terra con il dito. A innervosirsi sono gli accusatori, che insistono nel chiedere a Gesù la sentenza. «Dalla posizione di chi è seduto passa a quella di chi si china verso terra; di più, in questo modo Egli si inchina di fronte alla donna che è in piedi davanti a Lui! Si pensi all’eloquenza di questa immagine: 29 MARIO RUSSOTTO la donna che era stata presa e fatta stare in piedi davanti a Gesù seduto come un maestro e un giudice, la donna che ha alle spalle i suoi accusatori con le pietre già pronte in mano, vede Gesù chinato a terra di fronte a lei» (E. Bianchi). La donna è in piedi come un’imputata. Gesù è chinato per terra come un servitore. Intorno solo silenzio. Il Creatore si inginocchia di fronte alla creatura, il Santo si inchina davanti alla peccatrice… alla folla di peccatori! Un giorno si inginocchierà davanti ai discepoli, si chinerà a lavare i piedi al traditore, al rinnegatore, all’incredulo, al vigliacco… al peccatore… ai Giuda di ieri e a quelli di ogni tempo. Il Dio inchinato… Dio abbassato perché questa donna, e in lei ogni donna e ogni uomo, possa essere sollevata e salvata… E «chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra» (Gv 8,6.8): quel dito con cui Dio aveva scritto a fuoco le Dieci Parole su tavole di pietra (Es 34), quel dito con il quale i Rabbi insegnavano indicando la Parola e le lettere dell’alfabeto. Torah, infatti, viene dal verbo ‘yarah che significa “indicare col dito” e dunque “istruire”. 30 Misericordias Domini E «chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra»: due volte, e in silenzio, Gesù compie questo gesto che molte congetture ha suscitato. Che cosa scrive? Secondo una tradizione, che risale a Girolamo, scriveva i peccati degli accusatori. Secondo un’altra interpretazione, scriveva la sentenza, com’era uso nella pratica legale romana in cui il giudice prima scriveva la sentenza e poi la leggeva ad alta voce. Ma siccome i farisei sapevano leggere, se così fosse non si spiegherebbe la loro insistenza (Gv 8,7), perché non avrebbero più avuto bisogno di interrogarlo. Altri studiosi danno una spiegazione più semplice, che cioè Gesù stesse semplicemente tracciando dei segni senza significato mentre stava pensando, o per mostrare imperturbabilità o per contenere il disgusto verso gli accusatori. Nella letteratura semitica e araba ci sono molti esempi in cui qualcuno scarabocchia per terra nei momenti di turbamento. Cosa dunque Gesù abbia scritto non lo sappiamo, ma il suo gesto in questo processo per adulterio richiama due testi dell’Antico Testamento. Il primo è del profeta Geremia: «Quanti ti abbandonano resteranno confusi, quanti si allontanano 31 MARIO RUSSOTTO da te saranno scritti nella polvere» (Ger 17,13). Il secondo del profeta Osea: «Poiché uno spirito di prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi dal loro Dio» (Os 4,12). Quindi, coloro che abbandonano Dio sono adulteri; la loro punizione consisterà nell’essere scritti nella polvere e non nel «libro della vita» (Sal 69,29). Gesù, scrivendo con il dito nella polvere, fa un gesto profetico. È come se dicesse agli accusatori, conoscitori delle Scritture: “I veri adulteri siete voi che accusate e i vostri nomi non saranno scritti nel libro della vita ma nella polvere, perché Dio vi sta giudicando e vi ha trovato mancanti”. Con questo gesto, dunque, Gesù smaschera negli accusatori la loro infedeltà nei confronti del Signore. Poi, siccome essi insistono, Gesù ripete il gesto: si abbassa di nuovo e scrive, ma questa volta accompagna il gesto profetico con una parola: «Chi di voi è impeccabile – come recita il testo greco, ossia uno che non ha mai peccato – sia il primo a tirare la pietra». E chi di noi è impeccabile? Nessuno! Solo Gesù è impeccabile. Gesù, citando Deuteronomio al cap. 17, fa dichiarare a loro stessi di essere peccatori. 32 Misericordias Domini Ed essi, che hanno citato la Torah, adesso vengono smascherati dalla stessa Parola che volevano strumentalizzare. Quindi Gesù, con queste parole, smaschera in realtà la malizia degli accusatori, inchioda la loro coscienza. Sì, questa donna è peccatrice, nessuno lo mette in dubbio… forse nel suo cuore c’è anche il rimorso di aver tradito Dio… Pensava di trovare un amore e ha trovato un traditore; l’adultero che ha peccato con lei infatti non c’è: «Quando un uomo verrà colto in fallo con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l’uomo che ha peccato con la donna e la donna. Così toglierai il male da Israele. Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, pecca con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete così che muoiano» (Dt 22,22-24). Gli accusatori, dunque, hanno già disatteso la Legge, sono già andati contro la Torah non portando lì anche l’uomo adultero. E Gesù fa notare loro che sono davvero contro la Parola di Dio: ora sono loro i colpevoli, sono loro a dover essere giudicati. Il vero, flagrante e ben più grave adulterio – cioè l’infedeltà al Signore – viene commesso dagli 33 MARIO RUSSOTTO accusatori più che dalla donna. Se proprio essi vogliono essere rigorosi osservanti della legge di Mosè, perché non portano anche l’uomo adultero e agiscono come se soltanto la donna fosse colpevole? Pertanto, volendo condannare la donna, essi ottengono la stessa condanna! Mia Martini cantava: «Gli uomini non cambiano/ prima parlano d’amore e poi ti lasciano sola./ Gli uomini ti cambiano/ e tu piangi mille notti di perché./ Invece gli uomini ti uccidono/ e con gli amici vanno a ridere di te/ …se l’uomo in gruppo è più cattivo/ quando è solo ha più paura./ Gli uomini non cambiano/ fanno i soldi per comprarti/ e poi ti vendono». 6. La sintonia del cuore «Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito… alzò il capo e disse loro… E chinatosi di nuovo, scriveva per terra… Alzatosi, allora Gesù disse…» (Gv 8,6-10). Quattro volte in pochi versetti il testo registra il movimento della testa e dello sguardo di Gesù: chinare il capo (in greco katalupto) e alzare il capo (in greco anakupto): è come 34 Misericordias Domini se Gesù da una posizione eretta assumesse una posizione curva sotto il peso di qualcosa. E questo curvarsi di Gesù arriva fino a lasciare delle impronte sulla terra. È come se il narratore ci volesse dire che di fronte agli accusatori sicuri delle proprie certezze e del proprio giudizio di condanna verso la donna adultera, Gesù si presenta come Colui che si confonde con la terra al punto da lasciarvi le sue impronte, come Colui che si fa peccato con coloro che vivono nel fango del peccato. Ma questo movimento può anche suggerire una sorta di ginnastica dello sguardo in Gesù, un anelito, un desiderio intenso misto a tensione controllata per il momento drammatico che tutti stanno vivendo, perché è in gioco la vita di due persone: la donna e Gesù stesso. In questa ginnastica dello sguardo, rivolto prima agli accusatori e alla fine alla donna, c’è, da una parte, il desiderio di Gesù di “convertire” quei cuori di pietra in onesti cuori di carne e, dall’altra parte, il desiderio di donare pace e perdono a questa donna. E se lo sguardo dei rigorosi falsi osservanti della legge su di lei è di disprezzo e su di Lui di odio 35 MARIO RUSSOTTO represso, quello di Gesù è soltanto uno sguardo di compassione, un guardare negli occhi per indurre a riflessione e sincero esame di coscienza e dunque a pentimento; un guardare nel cuore della donna per distenderne le pieghe e offrire una possibilità ancora di vita nuova. Mai il peccato può essere l’ultima parola, perché ogni uomo e ogni donna, a partire dalla sincerità del loro cuore, ad ogni angolo di strada e scelta sbagliata potranno incontrare quello Sguardo che gratuitamente perdona e ridona respiro alla vita. Gesù sembra presentare un nuovo modo di amministrare la giustizia, basato non sulla verità del fatto che è fuori discussione, ma sulla sintonia del cuore del giudice con il cuore dell’imputata. È questo il paradosso del racconto: Gesù, l’Innocente, si coinvolge con coloro che sono colpevoli al punto che da Impeccabile si fa peccato; invece coloro che sono colpevoli e peccatori – e sanno di esserlo – pretendono di giudicare e condannare come se fossero innocenti e impeccabili! «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7), proprio come pre36 Misericordias Domini scrive la legge: «La mano dei testimoni sarà la prima contro di lui per farlo morire» (Dt 17,7). Gesù si attiene perciò alla legge, così come pretendono di fare gli accusatori della donna. 7. Dal confronto all’incontro «Chi di voi è senza peccato...»: è un invito a tutti quegli uomini ad uscire dalla follia di massa, a non trincerarsi dietro il “branco”; è un richiamo alla responsabilità personale; è un appello a cercare il male più grave: quello che si annida dentro il cuore e contamina l’uomo e la società. «Chi di voi è senza peccato…»: la risposta di Gesù sorprende l’uditorio, disarmando tutti. Egli smaschera la malizia degli accusatori e inchioda la loro coscienza. Il silenzio di Gesù, il suo rifiuto di un confronto, quello sguardo e quell’unica frase che pronuncia obbligano gli accusatori a spostare la loro attenzione, a posare lo sguardo non più al di fuori di sé, ma dentro se stessi. Questi scribi e farisei sono l’icona di tutto ciò che è in noi: il perbenismo, l’attenzione esagerata a “ciò 37 MARIO RUSSOTTO che sembra” e non a “ciò che è”, l’adeguarsi acritico a “ciò che si è sempre fatto”, il credersi sempre e comunque dalla parte del giusto e del diritto perché apparentemente si sono rispettate le “regole”, sempre pronti a mettere i principi davanti alle persone. Gesù rifiuta il confronto con essi perché il confronto non gli interessa, vuole l’incontro e sa che finché questi accusatori resteranno chiusi nel cliché della loro vita l’incontro non sarà possibile, perché nella loro vita non c’è posto per la persona. Per questo Gesù li aiuta a capire l’importanza della centralità della persona… perché la vita è fatta sempre di persone, a partire da questa donna che pure ha sbagliato, a partire da essi stessi che subito hanno accusato… Dall’incontro con Gesù questi scribi e farisei, che uno alla volta se ne vanno desistendo dal loro proposito omicida, forse sono usciti cambiati, o almeno così oso sperare… Se ne vanno perché non si riconoscono più nel ruolo che li aveva condotti là, perché da accusatori si sentono ora accusati da uno sguardo e una parola. Costringendoli a vedersi 38 Misericordias Domini così come sono, e cioè un miscuglio inscindibile di bene e di male, Gesù desidera portare questi accusatori a riconciliarsi prima di tutto con se stessi. La parabola del grano e della zizzania (Mt 13,2430) ci dice che nessuna nostra azione, nessun nostro atteggiamento o pensiero è mai totalmente buono o totalmente cattivo e nessuno di noi è in grado di separare nettamente l’uno dall’altro. Solo al tempo della mietitura è possibile operare questa separazione e i mietitori non siamo a noi. Non tocca a noi separare il grano dalla zizzania. «Io neppure giudico me stesso... Il mio giudice è il Signore!» afferma San Paolo (1Cor 4,3-4). Solo Dio può giudicare e quindi “mietere”: non una singola nostra azione ma l’intera nostra realtà di persone, per conservare il grano e bruciare la zizzania al fuoco della Croce di Cristo: un fuoco che non distrugge ma trasforma, non condanna ma perdona. La presunzione di eliminare il male dalla nostra vita falsa il nostro rapporto di creature con il Dio Creatore e porta depressione e rabbia contro noi stessi, insofferenza verso il male che vediamo 39 MARIO RUSSOTTO negli altri come proiezione dell’impazienza contro noi stessi. Il perdono ci permette di comprenderci meglio, perché ci rivela la nostra colpa ma anche la nostra dignità. È un messaggio di stima e di fiducia, che fa emergere la verità più profonda di noi, permettendoci di scoprirci peccatori senza disperarci o deprimerci. E mostrandoci con chiarezza la verità di noi stessi, mette fine anche ai nostri sogni impossibili, perché ci fa capire che la nostra santità è fatta anche di cocci e di rottami, di pazienza e impotenza, soprattutto di quell’umiltà che ci fa riconoscere il male e godere del perdono. Siamo santi perché siamo riconciliati, e siamo riconciliati perché siamo perdonati. E siamo perdonati perché tutti peccatori! 8. Il volto della tenerezza «Questa è la voce della giustizia – afferma Sant’Agostino – si punisca la peccatrice, ma non ad opera dei peccatori; si adempia la legge, ma non ad opera dei prevaricatori della legge... E quelli, colpiti da essa come da una freccia poderosa, guardandosi e trovandosi colpevoli, uno dopo l’altro, tutti si riti40 Misericordias Domini rarono. Così rimasero solo in due: la misera e la Misericordia!». La “misera” donna viene presentata come un personaggio silenzioso, passivo, fatto di sola presenza. Per i suoi accusatori non era importante chiedersi o chiederle perché avesse commesso l’adulterio. A loro interessa solo il fatto che l’abbia commesso, tutto il resto non conta. Ma lo strano è che neanche a Gesù sembra interessare il perché: infatti non le chiede nulla. A Gesù non interessa sapere quali siano i motivi del suo peccato perché comunque sa che ci sono, ma accoglie la debolezza della donna, il suo bisogno di amore, il suo senso di solitudine e tutti gli infiniti motivi che l’hanno spinta al peccato. Per Gesù non ha importanza il perché: il suo perdono è assoluto, incondizionato e completo, sempre. Per la donna, misera, Lui è solo Misericordia! E fra loro due si crea un accogliente, rasserenante silenzio. «Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”» (Gv 8,10-11). 41 MARIO RUSSOTTO Il testo non dice che “si alza” e, dunque, si mette in piedi, bensì anakypsas “alzato il capo”. È bello vedere come Gesù guarda la donna dal basso in alto. Anche con Zaccheo aveva agito così. Gesù non guarda mai il peccatore dall’alto in basso, con sguardo inquisitore e accusatore, ma sempre dal basso in alto… per ridare dignità, per restituire vita a chi da essa si era allontanato. Perciò… cammina la tua vita, rimettiti in strada, non sei più emarginata… e a cominciare da ora non allontanarti più dalla onesta via! È sempre così ogni qualvolta noi abbiamo il coraggio di ritornare a Gesù. Lui non ci condanna: «Io non sono venuto per condannare il mondo ma per salvare il mondo» (Gv 12,47). Allora perché pensiamo ancora che Dio sia un giudice e abbiamo paura di ritornare a Lui? Dov’è la nostra fede? In quale Dio crediamo? Ho sentito tante volte anche in confessione espressioni come questa: “Forse il Signore mi ha punito per questa cosa…”. Che idea di Dio! Ora Gesù ci consegna un Dio che, anche se il nostro peccato è gravissimo, ci guarda sempre dal basso in alto. Ma noi, in quale Dio crediamo?... 42 Misericordias Domini «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» (Gv 8,10): Gesù ora volge il suo sguardo e la sua parola alla peccatrice. È l’unico a parlarle! E la chiama donna, come aveva chiamato sua madre Maria alle nozze di Cana (Gv 2,4); come si era rivolto alla Samaritana presso il pozzo di Sicàr (Gv 4m21); come si rivolgerà a Maria di Magdala in lacrime nel giardino della resurrezione (Gv 20,15). Donna… non adultera, non peccatrice… semplicemente dignitosamente rispettosamente donna… per aiutarla a ri-vedersi con dignità e rispetto… donna… «Donna… Neanch’io ti condanno. Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11): il perdono precede il pentimento! Senza alcuna dichiarazione, senza alcun accenno ad una possibilità di ravvedimento da parte della donna, Gesù le fa dono del perdono… gratuitamente generosamente incondizionatamente… perché «Dio non si stanca mai di perdonarci» (Papa Francesco). «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»: è la chiara distinzione fra la persona e il male, fra la peccatrice e il peccato. Gesù assolve la donna e la 43 MARIO RUSSOTTO invita al proposito di non commettere più peccato in avvenire. Gesù avvolge la donna con la carezza liberante del suo sguardo di misericordia e nell’intimo le insegna la sapienza del cuore… Perciò, come cantava Davide, «distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (Sal 51,11-12). «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»: parole che hanno la forza di un imperativo (non peccare più) e dicono la potenza di un dono: la pace del cuore come forza e lucidità interiore per non cadere più. Ecco, il perdono di Gesù cancella il passato e apre nuove inedite strade di futuro, di vita, di armonia dell’essere… «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»: mi piace pensare che Gesù non abbia lasciato andare via la donna così com’era, quasi tutta svestita. Forse ha preso il suo mantello – quello dei Rabbi, quello della preghiera (!), il cui lembo una donna emorroissa aveva toccato guarendo – e glielo ha messo addosso perché tornasse a casa con la dignità dell’abbraccio di divina disinteressata gra44 Misericordias Domini tuita tenerezza… E torna a casa la donna… tradita da un uomo ma rifatta donna da Dio… E torna a casa con il mantello di Dio! Quel mantello che come un abbraccio di misericordia copre tutto; perché l’amore tutto scusa, tutto crede, tutto sopporta. Gesù dice: «Va’ in pace», cioè ti restituisco la pace. Sia ora il tuo cammino segnato dalla pace, non esser più agitata e inquieta dentro, nessuno ti potrà condannare perché Dio ti ha sciolta da ogni peccato. Gli accusatori, invece, portano il peso del proprio peccato. Gesù ha fatto cadere non solo le pietre dalle loro mani, ma le maschere dal loro volto, li ha liberati dall’anonimato e dal nascondimento vile del gruppo e li ha costretti a confrontarsi con la propria coscienza, perché potessero anche loro cominciare a vivere... quando accetteranno di essere peccatori! La donna è liberata, alleggerita dalla sua colpa. Perché «là dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20). Il fatto di essere creata di nuovo dalla Misericordia, permette alla donna di fare della misericordia 45 MARIO RUSSOTTO il respiro stesso della propria vita: «Va’ e d’ora in poi non peccare più!». Sì, è peccatrice, ha sbagliato. Gesù non giustifica né condanna. Invita ad alzare lo sguardo, ad andare oltre, a guardare col cuore la fragilità dell’altro e scoprirvi – riflessa – la propria. E questa donna viene liberata. Salvata dalla lapidazione, viene ora salvata dalla sua fragilità. «Non peccare più»: anche lei viene invitata a guardare oltre ciò che pensava essere la soluzione ai suoi problemi. Il gesto di Gesù chinato a terra è il gesto tipico dello schiavo quando doveva caricarsi di un peso: si inginocchiava, si prostrava nella polvere, gli mettevano addosso il peso e poi si alzava e lo portava. Ecco allora cosa ha dimostrato Gesù a questa donna e a tutti gli altri: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… È stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di Lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,4-5). «Padre, perdonali…» (Lc 22,34): è questo il testamento d’amore a noi consegnato da Gesù pur nella trafittura del costato. 46 Misericordias Domini Possa questa donna aiutarci a rileggere la nostra vita, a guardare il nostro cuore e il nostro volto. L’esperienza di questa donna ci dia e ci restituisca una volta per sempre la giusta idea di Dio, che è infinita Misericordia. Sì, Signore, aiutaci a comprendere che la misericordia è l’unico modo che Tu hai di vedere noi miseri peccatori, da Te Creatore amate creature… Per la riflessione e il confronto… 1. Come vedo la nostra Chiesa, quella diocesana in particolare, alla luce di questo racconto evangelico? Ritengo me stesso (e chi altri…?) nei panni degli accusatori o della donna? Cosa e come occorre cambiare nella nostra Chiesa e negli uomini e nelle donne “di chiesa”? 2. So assumermi personalmente la responsabilità del peccato e del male da me commesso oppure cerco di accusare gli altri? Come mi sento dopo? Ho provato sinceramente a pentirmene proponendomi di non farlo più? 47 MARIO RUSSOTTO 3. Come scriverei la storia della donna se fossi al suo posto? E cosa mi piacerebbe scrivere nella mia vita dopo le parole di Gesù: «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»? 4. Come mi educo alla relazione con me stesso e con gli altri attraverso la parola e lo sguardo? Riesco a guardare l’altro evitando atteggiamenti di pregiudizio e di condanna, coniugando misericordia e dignità e sapendo preferire la giustizia ad una legalità osservata solo come formalismo omologante dei comportamenti? 5. Qual è il mio modo di vivere la preghiera, personale e comunitaria? So educarmi ad una sincera relazione con Dio consegnando la mia volontà alla Sua? 48 II VA’ E NON PECCARE PIÙ 1. Il “credo” del credente «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»: è il nuovo respiro del cuore che Gesù dona alla donna, da Lui fatta risalire alla vita dal baratro della morte. Come al paralitico, rattrappito nel corpo e nello spirito, ridona il risanamento del cuore prima di quello del corpo: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mc 2,5). E poi: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina» (Mc 2,9). Dio soffre della nostra sofferenza, soprattutto quella interiore che ci toglie la pace dell’anima e la gioia della vita. Perciò… «qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,20). Il “credo” del vero credente, che viene professato ogni domenica a Messa e nel rito del Battesimo e della Confermazione, significa sapere e confidare che la propria vita è illuminata sostenuta amata da Dio, che in Cristo 49 MARIO RUSSOTTO Gesù ha per sempre sigillato il suo patto di gratuito incondizionato sacrificato Amore con l’umanità: «Questo è il sangue dell’alleanza versato per molti in remissione dei peccati» (Mt 26,28). E San Paolo commenta: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione… Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,19-21). 2. Il dono del perdono «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»: Gesù stabilisce una relazione di pace con questa donna aiutandola a rimettersi in strada, a camminare la vita nell’armonia della relazione con se stessa, con il Dio di misericordia e libertà, con gli altri… da vedere con lo sguardo del cuore perdonato e perdonante… quale dono d’amore a chi di per sé non lo meriterebbe. «Il perdono è la forma che prende l’amore quando gli viene fatto torto» (R. Guardini). 50 Misericordias Domini Il perdono, infatti, rimette nella marcia dell’amore e dell’amicizia sia chi subisce sia chi infierisce: «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). È la pazzia dell’amore possibile solo a Dio e a chi nella fede ha imparato a conoscerlo. Chiedere e donare il perdono non è segno di debolezza ma di forza, la forza dell’umile amore, come evoca lo starec Zosima ne “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij: «Alcuni pensieri, specialmente alla vista del peccato umano, ti rendono perplesso e ti domandi: Devo ricorrere alla forza o all’umile amore? Decidi sempre: Ricorrerò all’umile amore. Se prenderai una volta per tutte questa decisione, potrai soggiogare il mondo intero. L’umile amore è una forza formidabile, la più grande di tutte, come non ce n’è un’altra». «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15). La fraternità è dunque sacramento della paternità, il perdono al fratello è il luogo del superdono di Dio Padre nel Figlio Cristo Gesù. Il Dio di Gesù Cristo è Padre perché è Amore che dona e perdona. 51 MARIO RUSSOTTO E noi siamo figli di questo Padre e fratelli di Gesù solo nell’amore che dona e perdona. Perché l’amore vive di dono e perdono: se nel bene diventa dono, nel male si fa perdono. Per questo il perdono è il pane quotidiano di cui ciascuno di noi – e la comunità ecclesiale tutta – ha davvero bisogno. Perché se non perdoniamo i fratelli che ci hanno offeso non siamo figli. Perdonare il fratello non è un dono che a lui faccio, ma un dono che da lui ricevo: perdonando, infatti, permetto allo Spirito del Padre di essere respiro in me. Perdonare, pertanto, è un miracolo più grande del risuscitare un morto: è nascere alla vita immortale, rinascere come figlio nello Spirito ed essere restituito alla comunità come fratello. Se non perdono il fratello, non riconosco Dio come Padre, e non accetto il suo perdono per me! L’uomo giusto e il vero cristiano non è chi non commette peccato, perché tutti pecchiamo, ma chi perdona come il Padre. E il perdono del fratello è il luogo in cui riconosco davvero Dio come Padre. Se il cuore del cristianesimo consiste nel perdono, non stupisce che le tre tappe decisive del formarsi 52 Misericordias Domini della Chiesa nei vangeli siano contrassegnate dalla remissione dei peccati. L’autorità conferita a Pietro, roccia sulla quale Gesù fonda la Chiesa, è essenzialmente potere di perdono: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19). L’Eucaristia, che genera e dà forma alla Chiesa, è memoria efficace dell’evento in cui Cristo ha versato il suo sangue «per la remissione dei peccati» (Mt 26,28). Il mandato missionario consegnato ai discepoli li abilita alla remissione dei peccati: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,23). La Chiesa, dunque, è «una comunità di peccatori convertiti, che vivono nella grazia del perdono, trasmettendola a loro volta ad altri» (Benedetto XVI). La forza e la debolezza della Croce si riflettono nell’onnipotenza e nell’estrema debolezza del perdono: tutto, infatti, può essere perdonato, anche se il perdono non garantisce che il perdonato arrivi al pentimento e neppure che il perdonato non possa strumentalizzare il perdono 53 MARIO RUSSOTTO ricevuto per continuare a compiere il male. Il perdono, in ogni caso, rimane sempre un segno di umanità redenta e forza di umanizzazione redentrice. Ne “I Promessi Sposi” Fra’ Cristoforo rivolge a Renzo, per esortarlo a perdonare don Rodrigo queste parole: «Puoi odiare, e perderti; puoi, con un tuo sentimento, allontanar da te ogni benedizione. Perché, in qualunque maniera t’andassero le cose, qualunque fortuna tu avessi, tien per certo che tutto sarà castigo, finché tu non abbia perdonato in maniera da non poter mai più dire: io gli perdono». 3. Rinuncio… Credo… Rivolgendosi ai genitori e al padrino e alla madrina del bambino che sta per essere battezzato, il celebrante dice: «Avoi il compito di educarlo nella fede, perché la vita divina che riceve in dono sia preservata dal peccato e cresca di giorno in giorno. Se dunque in forza della vostra fede, siete pronti ad assumervi questo impegno, memori delle promesse del vostro Battesimo, rinunciate al peccato 54 Misericordias Domini e fate la vostra professione di fede in Cristo Gesù: è la fede della Chiesa nella quale il vostro figlio viene battezzato». E poi chiede una responsabile chiara esplicita triplice rinuncia: a satana, a tutte le sue opere, a tutte le sue seduzioni; oppure: al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio, alle seduzioni del male per non lasciarsi dominare dal peccato, a satana origine e causa di ogni peccato. Segue la triplice professione di fede. La forma dialogica, in questa parte del rito del Battesimo, esprime in modo significativamente eloquente ciò che si sta vivendo, perché ogni domanda richiede una risposta personale libera esplicita, in prima persona singolare: rinuncio... credo. È una chiara e responsabile, personale e pubblica dichiarazione di un no deciso al peccato; no alle insidie e alle seduzioni tenebrose del maligno; no dunque a tutto ciò che amore non è, ossia… rancore, odio, vendetta, inganno, illegalità, impurità, sfruttamento, maldicenza, giudizio, oppressione, ipocrisia, latrocinio… per “vivere” nella libertà liberante dei figli di Dio. 55 MARIO RUSSOTTO E dichiarando il suo credo nell’amore di Dio Padre e del Figlio suo Gesù Cristo e nell’amore dello Spirito, che procede da entrambi, il cristiano sente di essere plasmato dalla misericordia divina e di vivere conseguentemente nella fedeltà all’amore trinitario. Se Dio è carità, egli non può che vivere di carità, perché dov’è carità e amore, lì c’è Dio. La fede condivisa nella Chiesa (credo la santa Chiesa cattolica) diviene per il credente condivisione piena, nella comunione dei santi, della remissione dei peccati e della speranza della resurrezione della carne e della vita eterna. Questa è la nostra fede; è questa la fede della Chiesa, che tutti i credenti si gloriano di professare in Cristo Gesù loro Signore. Con il Battesimo ai bambini viene data un grazia, un’opportunità come un seme che può diventare una pianta, un seme che comunque per crescere è affidato alla cura dei genitori. Ma se il seme non lo si cura resta seme… e non diventa mai albero… Proprio per questo è molto importante chiedere di professare la fede ai genitori: sono loro e non il bambino i veri protagonisti, perché a loro è affidato questo seme. 56 Misericordias Domini Perché la triplice rinuncia a satana e al peccato? Un tempo questo rito veniva fatto fuori dal battistero e con il dito puntato verso occidente, che simbolicamente rappresenta il luogo delle tenebre, della morte della giornata, della fine della luce. Nel rito poi ci si rivolgeva ad oriente, simbolo del Cristo-Sole che sorge per dare vita e illuminare il giorno, e dunque verso il battistero dove, nel momento dell’immersione battesimale, si professava il credo. Ecco, questo “movimento” – da occidente ad oriente – voleva essere il segno visibile del desiderio di passare dalle tenebre alla luce, dal peccato e dalle opere del maligno alla grazia e alla luce della fede nella Trinità SS.ma. Peccato e perdono non fanno riferimento ad una legge anonima, ad un ordine astratto spezzato e ristabilito, ma a una storia d’amore tra persone, con infedeltà e restaurazione dell’amore attraverso la fedeltà.Apartire dalla fedeltà di Dio, che non viene mai meno, il perdono è sperimentato come il miracolo della gratitudine incondizionata dell’amore di Dio. Il perdono di Dio è un’offerta gratuita e mai conquista o diritto meritato dall’uomo. Perciò, a partire dal perdono di Dio il credente scopre la 57 MARIO RUSSOTTO gravità del suo peccato, come tradimento all’amore di Dio, come infedeltà o adulterio di fronte alla fedeltà di Dio. Rinuncio… Credo… perché «è necessario dire un “no”allaculturaampiamentedominantedellamorte. Un’anticultura che si manifesta, per esempio, nella droga, nella fuga dal reale verso l’illusorio, verso una felicità falsa che si esprime nella menzogna, nella truffa, nell’ingiustizia, nel disprezzo dell’altro, della solidarietà, della responsabilità per i poveri e per i sofferenti; che si esprime in una sessualità che diventa puro divertimento senza responsabilità, che diventa una “cosificazione” – per così dire – dell’uomo, che non è più considerato persona, degno di un amore personale che esige fedeltà, ma diventa merce, un mero oggetto» (Benedetto XVI). 4. Coscienza del peccato «Tu non hai ancora considerato seriamente quanto sia grave il peso del peccato»: sono parole di Sant’Anselmo di Aosta quando s’interrogava sul perché sia stato necessario che Dio si facesse uomo 58 Misericordias Domini per la redenzione dell’umanità. È importante, dunque, conoscere i propri peccati. È importante comprendere che il peccato ottenebra il cuore, confonde l’intelletto, frantuma il nostro rapporto di amicizia con Dio e la nostra comunione con la comunità. Il peccato è il male che corrompe il cuore, trasformandolo in tomba di impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. E ancora: «L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male» (Mt 12,35). Ebbene, se è dal cuore che giungono i propositi del male e dell’agire ingiusto, allora è proprio nel cuore che si deve operare la conversione per vincere il peccato e ritornare al Signore. Perché il peccato schiavizza, intristisce, opprime, conduce alla miseria dell’anima, ci tiene lontani dall’Amore di Dio. Ma Dio è il Padre buono che ci dona la capacità d’amare attraverso il suo perdono e la sua infinita misericordia. «Per questo ti dico: i suoi molti peccati sono perdonati perché ha molto amato. Invece quello a cui 59 MARIO RUSSOTTO si perdona poco, ama poco» (Lc 7,47). Le lacrime della donna peccatrice, che in casa di Simone lava i piedi a Gesù, sgorgano da un cuore pentito e straripante d’amore. Ciascuno dovrebbe, allo stesso modo, versare lacrime amare per i tanti tradimenti e le offese recate all’Amore di Gesù, ma dovrebbe anche versare lacrime di riconoscenza per la Grazia di Dio che ci guarisce dalle ferite del nostro insensato peccato. «Il veder chiaro nell’animo nostro è assai più difficile di quanto non si creda. Quanta fantasia in certe spiegazioni del peccato! Che importa descrivere la strada dei nostri errori se nessuno c’indica quella del ritorno? La strada che ci ha fatti fuorviare non conta più dopo che il Signore ci ha perdonato. La vita cristiana vale solo per quello che si può diventare rispondendo alla Grazia» (P. Mazzolari). Il peccato è offesa e distruzione del tessuto relazionale, è umiliazione di se stessi. Il peccato è il non-io nel mio io e nella relazione con gli altri: «Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo mi insegni la sapienza» (Sal 51,8). Ecco, Dio ama la 60 Misericordias Domini verità anche nell’oscurità. Dio ama la verità, che è luce anche là dove mi sento smarrito nei meandri della mia coscienza. E lì, nel segreto del mio cuore, Dio mi insegna l’arte di ricostruire la mia vita nella sua, in Lui che è il respiro del mio cuore. Il peccato non dimora in un luogo lontano, ma come un mastino che fa la guardia sta accovacciato dinanzi alla porta. Esattamente sul punto che controlla il passaggio dall’esterno all’interno dell’uomo, dalla coscienza all’azione: là c’è la tentazione, il rischio di non riuscire più a guardarsi con obiettività, a non amarsi, non accogliersi e, di conseguenza, a non amare e non accogliere. Nel Libro di Apocalisse leggiamo: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). In questa piccola parabola c’è tutta la storia della salvezza, quella di ieri e quella di domani. Ieri già non mi appartiene, il domani non mi appartiene ancora. Non posso cambiare quello che ho già fatto e non ho ancora fatto ciò che potrò cambiare domani. C’è solo un punto che non è una storia ed è oggi, è la porta del mio presente. 61 MARIO RUSSOTTO Siccome è «dal cuore dell’uomo (che) escono le cattive intenzioni» (Mc 7,21), noi cristiani dobbiamo saperci chinare in ascolto del nostro cuore, che può essere generatore di «prostituzioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, invidia, superbia» (Mc 7,22). Dobbiamo avvertire i diversi palpiti che si agitano in noi, compresi i germi indistruttibili di santità che attendono di essere sottratti alle spine delle preoccupazioni terrene, per crescere fino alla misura di Cristo Gesù. Perché il Regno di Dio è dentro di noi! (cfr. Lc 17,21). Per questo noi consacrati siamo chiamati a diventare sempre più uomini e donne dell’interiorità e del silenzio, incamminati nelle vie misteriose dello Spirito, protesi nell’ascolto di una Voce che ha determinato tutta la nostra esistenza. «Ascolterò che cosa dice Dio: il Signore annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a Lui con tutto il cuore» (Sal 84,9). Con il Battesimo noi ci siamo allontanati dal brusìo del peccato, per meglio ascoltare quella Voce che parla di pace al nostro cuore, per poter creare in noi stessi le condizioni ideali dell’ascolto, non tanto nella fuga dal mondo quanto piuttosto nella ricerca di un 62 Misericordias Domini silenzio interiore, dove limpida può risuonare la Voce dello Spirito e la Parola del Vangelo. Nel Talmud Babilonese (Berakhot 7) Dio stesso prega per l’uomo peccatore dicendo: «Possa Io volere che la mia misericordia sottometta la mia collera, e possa la mia pietà prevalere sul mio attributo della giustizia, affinché Io possa trattare i miei figli con la misura della misericordia, e che Io mi trattenga di fronte a loro dall’usare la misura del rigore». 5. Riconciliati per riconciliare «Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,17-20). 63 MARIO RUSSOTTO In greco l’espressione recita letteralmente così: «Siate riconciliati con Dio». Questo stile paolino lo troviamo più volte nelle sue Lettere (Rm 12,2: «Siate trasformati»; Ef 4,23: «siate rinnovati»; Ef 6,10: «siate rafforzati»). Queste esortazioni sono formulate all’imperativo, il che significa che dobbiamo fare qualche cosa, ma sono anche al passivo per indicare che Dio è l’Autore delle azioni, mentre noi dobbiamo aprirgli la porta del cuore accogliendo il suo dono… «lasciatevi riconciliare con Dio». Sulla croce, nella morte del suo Figlio, Dio ci ha dato la prova suprema del suo amore. Per mezzo della croce di Cristo, Egli ci ha riconciliati con sé. «Questa verità fondamentale della nostra fede ha oggi tutta la sua attualità. È la rivelazione che tutta l’umanità attende: sì, Dio è vicino con il suo amore a tutti e ama appassionatamente ciascuno. Il nostro mondo ha bisogno di questo annuncio, ma lo possiamo fare se prima lo annunciamo e lo riannunciamo a noi stessi, sì da sentirci circondati da questo amore, anche quando tutto farebbe pensare il contrario» (C. Lubich). La Riconciliazione ha lo scopo di situare il peccatore nella condizione battesimale e di renderlo 64 Misericordias Domini degno di partecipare al convito eucaristico, nella gioiosa e completa riconciliazione con Dio e con i fratelli: «Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi. Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti» (Gc 5,13-16). Il sacramento della Riconciliazione ha una chiara e forte dimensione ecclesiale: «Quelli che si accostano al sacramento della penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui, e insieme si riconciliano alla Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita con il peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera» (Lumen gentium, n. 11). Il Sacerdote nella confessione esercita un ministero di riconciliazione, di misericordia e di perdono, e non di giustizia o di divino tribunale, pur pronunciando un giudizio spirituale in quanto 65 MARIO RUSSOTTO padre e pastore. Spesso, nell’esperienza dei fedeli, proprio il dover presentarsi al ministro del perdono costituisce una difficoltà rilevante: “Perché non posso rivolgermi direttamente a Dio per avere l’assoluzione dei peccati?... Perché devo confessarmi con uomo peccatore come me?...”. Questi interrogativi possono avere una loro plausibilità per la fatica che richiede il sacramento della Riconciliazione. E tuttavia rivelano una non-comprensione del mistero della Chiesa. È vero: l’uomo che assolve è un fratello che pure lui ha bisogno di confessarsi perché, nonostante l’impegno di santificazione, resta soggetto ai limiti dell’umana fragilità. Ma il Sacerdote che assolve dai peccati non offre il perdono in virtù di particolari virtù o doti personali ma lo fa nome della Chiesa, agendo in persona Christi: non solo come rappresentante di Cristo, ma anche e soprattutto come colui nel quale è presente e agisce lo stesso Signore Gesù Cristo. Nonostante il senso di disagio che può provocare la mediazione umana ed ecclesiale, essa – per la stessa logica dell’Incarnazione – è una “via” umanissima che esprime la prossimità presente di Dio ricco di grazia e di mi66 Misericordias Domini sericordia. Il Sacerdote, ministro del sacramento della Riconciliazione, è l’espressione sacramentale attraverso la quale Cristo Gesù ci raggiunge e ci libera dai nostri peccati. Gesù ha detto a Pietro: «A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19). Le chiavi del Regno dei cieli non sono affidate a Pietro e alla Chiesa perché se ne servano a proprio arbitrio o per manipolare le coscienze, ma perché le coscienze siano liberate nella Verità piena dell’uomo, che è Cristo, pace e misericordia per tutti (cfr. Gal 6,16). «Dio… ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo… affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo… Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,1820). La Chiesa attraverso il Sacerdote è lo strumento mediante il quale Dio concede agli uomini il perdono e la pace: «Dio… ha affidato a noi il ministero della riconciliazione». Ma c’è anche un 67 MARIO RUSSOTTO altro motivo per cui la Chiesa entra in questa nostra riconciliazione con Dio. Noi viviamo in una Comunità di vita e di destino, in cui non possiamo fare del male a noi senza fare, nello stesso tempo, del male a tutta la Chiesa. Il peccato non ricade solo su chi lo fa. Il peccato commesso da me, anche nella più grande segretezza, danneggia tutto il Corpo mistico di Cristo perché «siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25). Siamo “solidali” nel bene e nel male. Se è così, se la Chiesa è coinvolta nel mio peccato, è chiaro che dovrà essere presente anche nel momento del perdono. Per questo all’inizio della celebrazione della S. Messa ciascuno – e tutti insieme – dichiara: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato…». Di conseguenza non mi riconcilio solo con Dio, ma anche con i fratelli, con la Chiesa. Il peccato e il perdono hanno sempre una dimensione comunitaria: il peccato e il perdono non sono mai affari miei, ma sempre affari nostri. Rinnovati nel perdono di Dio canteremo, con la voce e con la vita, un canto nuovo: quello che nasce dall’esperienza meravigliosa dell’amore misericordioso del Padre per Cristo nello Spirito. 68 Misericordias Domini Savonarola, in un suo commento omiletico, affermava: «Ora la paura dei peccati che scopro in me stesso mi dispera, ora la speranza della tua misericordia mi sostiene. Ma poiché la tua misericordia è più grande della mia miseria, io non cesserò di sperare». Si racconta che un uomo andò a consultare Rabi’a, una grande mistica musulmana dell’VIII secolo. Quell’uomo le disse: «Ho commesso molti peccati: se mi pento, Dio mi perdonerà?». Rabi’a rispose: «No, tu ti pentirai se Lui ti perdona». Omar Khayyam, un celebre poeta persiano, ha scritto: «Benché, Signore, non abbia quasi mai infilato la perla dell’obbedienza alla tua legge, benché non abbia spesso lavato la polvere del peccato dal mio volto, io non dispero della tua bontà, della tua generosità, del tuo perdono. Confesso il mio grande peccato; tormentami, se tu lo vorrai; accarezzami, se tu lo vorrai. Io so però che tu desideri abbracciarmi». Per la riflessione e il confronto… 1. Cos’è per me e come vivo il perdono… ricevuto e donato? So tradurre nella vita quotidiana 69 MARIO RUSSOTTO la Riconciliazione come “stile” nelle relazioni con gli altri? 2. Ho provato qualche volta a fare l’esame di coscienza? Cosa ho trovato di positivo e negativo in me? Posso propormi di fare ogni sera l’esame di coscienza? Sarebbe un piccolo importante passo verso la conversione e il cambiamento… 3. Come custodisco e coltivo il seme consegnatomi nel Battesimo? Ho la consapevolezza di aver ricevuto una grazia e un’opportunità da far fruttificare? Da genitore o da padrino/madrina sono consapevole dell’importanza e della responsabilità della mia professione di fede? 4. Ho chiara coscienza della dimensione ecclesiale della Riconciliazione? Percepisco il sacerdote come espressione della prossimità presente di Dio ricco di grazia e di misericordia? Come viviamo nella mia Comunità parrocchiale la preparazione a questo Sacramento? 5. «Dio ama la verità anche nell’oscurità». So ritagliarmi spazi di silenzio durante la giornata 70 Misericordias Domini per mettermi in ascolto del mio cuore e conoscere davvero me stesso e il mio peccato? Ho sperimentato quanto e come il peccato opprima il cuore? Tendo a trovare alibi e giustificazioni per i miei errori? 71 III MOLTO AMORE MOLTO PERDONO Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, dì pure». «Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando 73 MARIO RUSSOTTO sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!» (Lc 7,36-50). 1. Un rapido confronto Un giorno Gesù viene invitato a cena in casa di Simone il fariseo. Non sappiamo in quale villaggio né il perché di questo invito. Ad un certo punto accade l’imprevedibile: una donna, «una peccatrice di quella città» (Lc 7,37), irrompe nella casa portando con sé «un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato» (Lc 7,37-38). Nel vangelo di Marco (Mc 14,3-9) e nel vangelo di Giovanni (Gv 12,1-8) troviamo un racconto che 74 Misericordias Domini presenta alcuni tratti simili a quello di Luca, ma con notevoli differenze. Sia Marco sia Giovanni ambientano la scena a Betania: Marco in casa di un certo Simone il lebbroso, Giovanni in casa di Marta e Maria che preparano un banchetto per festeggiare il miracolo del ritorno alla vita del fratello Lazzaro compiuto dall’amico Gesù. In entrambi i casi la donna – anonima in Marco, mentre in Giovanni è Maria di Betania – non è una peccatrice, non piange e non versa lacrime, ma si limita a ungere con un profumo di prezioso nardo il capo (nel vangelo di Marco) o i piedi (nel vangelo di Giovanni) di Gesù. In tutti e tre i casi l’azione della donna interrompe la cena, crea un certo disagio e provoca interiore agitazione ed esteriore reazione in qualcuno: nel nostro racconto in Simone il fariseo; in quello di Marco in «alcuni che si sdegnarono fra di loro» (Mc 14,4); in quello di Giovanni in Giuda (Gv 12,4). In questi ultimi due vangeli la reazione è (apparentemente) scatenata dallo spreco di quel prezioso profumo che si poteva vendere per fare del bene ai poveri. Nel racconto di Luca, invece, la reazione interiore ben controllata esteriormente 75 MARIO RUSSOTTO ha una causa ben diversa: non lo spreco di profumo, ma la persona stessa della donna: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice» (Lc 7,39). Non essendo questa la sede per ulteriori esegetici approfondimenti, continuiamo notando gli elementi comuni: Gesù, casa, banchetto, donna, profumo e unzione, reazione di “altri” e risposta di Gesù. Ma nel nostro racconto tutto questo trova una contestualizzazione, una composizione narrativa e un insegnamento particolari e propri del vangelo di Luca. 2. Ipocrisia e frustrazione «Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola» (Lc 7,36). Nella casa di Simone il fariseo Gesù trova un’aria pesante e imbarazzante. Sì, quel fariseo lo ha invitato e ricevuto in casa, ma evita ogni cortesia, in modo da prevenire ogni critica. Quel fariseo, come ogni uomo che agisce così, è già morto 76 Misericordias Domini “dentro”, non è sereno né veramente “cordiale”, perché vive sempre con nervosismo e tensione, sempre interiormente impaurito, sempre teso a cogliersi dallo sguardo degli altri e a vivere condizionato dal giudizio degli altri… soprattutto di quelli che “contano”… E crea un clima di pesante diffidenza e indifferenza… Spesso noi ci relazioniamo con gli altri senza comprometterci, in una specie di equilibrio fra apertura e chiusura, fra ospitalità e distanza. Abbiamo paura della critica degli altri al punto che tante volte restiamo bloccati nella nostra umanità. E questo può accadere anche a uomini e donne “di chiesa”, quando non hanno una umanità liberata e liberante, equilibrata e serena. Sono “ecclesiastici” che trattano gli altri, soprattutto le donne, con distanza paura arroganza, guardandoli dall’alto in basso perché hanno paura della relazione e, ancor più, della loro umanità. E così lasciano morire il cuore, lo tengono bloccato e sigillato… Ma non si può vivere sempre preoccupati di cosa pensano gli altri e ricevendosi dal giudizio altrui, occorre essere se stessi cercando il bene, vivendo il molto amore e di molto amore. 77 MARIO RUSSOTTO 3. Donna di molto amore «Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e cospargeva di olio profumato» (Lc 7,37-38). La donna è una prostituta ben nota in quella città. Certamente Simone il fariseo la conosceva… Tali “peccatrici” venivano completamente escluse dalla comunità cultuale, come i lebbrosi, perché vivevano sempre nell’impurità. Nel tempio c’era il cortile delle donne, ma le prostitute non potevano entrare neanche in quel cortile, perché erano “senza Dio”. Ma Gesù distingue la loro situazione di peccato dalla loro realtà personale. Afferma, anzi, con coraggio che anch’esse entrano nel Regno di Dio. C’è perdono e salvezza anche per loro! E a coloro che insistono nel dichiararsi giusti, risponde: «Le prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli» (Mt 21,31), saranno accolte dunque prima di voi, per78 Misericordias Domini ché esse prostituiscono il corpo mentre voi prostituite il vostro cuore! Ed ecco: questa pubblica peccatrice entra in casa del fariseo e rompe ogni convenzione, creando un enorme disagio in tutti, tranne in Gesù. In Oriente, nella casa dove si trovava un ospite, potevano avere libero accesso come spettatori anche persone non invitate… ma non certo persone impure! E chi è davvero questa donna? La nostra protagonista è l’unica donna della quale Gesù afferma: «molto ha amato» (Lc 7,47); l’unica donna liberata dalla malattia non del corpo ma dello spirito senza aver chiesto nulla e, infatti, non presenta alcuna cecità né lebbra né paralisi né possessione demoniaca… ma ha vissuto nel peccato: è una peccatrice; è l’unica donna, dunque, perdonata da Gesù perché «molto ha amato»; l’unica donna che piange lavando di lacrime i piedi di Gesù. E noi, dal momento che è “anonima” perché ciascuno possa darle il proprio nome, possiamo anche chiamarla donna di molto amore! 79 MARIO RUSSOTTO La posizione corporale della donna è molto significativa. Gesù è reclinato verso la tavola. La donna è sul pavimento, dietro a Lui e tocca con il suo capo i piedi del Maestro. Gesù sta in alto e lei in basso, il più basso possibile. E dal basso la donna piange… in un silenzio eloquente… Parla con il suo corpo, i suoi sentimenti, le sue emozioni e azioni. Sta rannicchiata ai piedi di Gesù… come farà in seguito Maria di Betania, la quale «sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola» (Lc 10,39).Tutti i commensali sono posti, come di consueto, uno di fronte all’altro. Lei, invece, sta rannicchiata dietro. Tutti vedono il volto degli altri. Lei vede soltanto i piedi di Gesù. È esclusa dal banchetto, è un’intrusa non desiderata, una impura che tutta la casa rende impura. Eppure, secondo le parole di Gesù, è lei la protagonista; lei l’unica capace di ospitare davvero. La donna di molto amore sta in basso e dietro. Poi Gesù la porrà al centro della scena! Al posto delle parole la donna ricorre al linguaggio del corpo. E con il suo corpo (specialmente con le mani, la bocca e i capelli) trasmette pienamente i suoi sentimenti di amore verso Gesù. E 80 Misericordias Domini mai pronuncia parola. Tuttavia, nel suo sorprendente silenzio, svolge una intensa attività; compie quattro azioni con al centro i piedi di Gesù: li bacia, li bagna con le lacrime, li asciuga con i capelli, li unge con il profumo. E Gesù entra e la lascia entrare in quella relazione, si lascia toccare lasciando che la donna gli esprima il suo molto amore… sincero e riconoscente. La donna di molto amore entra in scena da emarginata, esclusa dal mondo sociale, dal sistema religioso, dal banchetto, dal dialogo… Non ha nome, prestigio, potere… Ha soltanto se stessa, il suo amore, le mani, la bocca, le lacrime, il profumo…È peccatrice e lo sa. Gode di cattiva reputazione e lo sa. Ma sa pure che porta a Gesù tutta la sua umanità e la sua tenerezza. Il poco che ritiene di essere e il poco che ha, lo rischia per Gesù. Infrange le norme e si addentra in recinti strettamente proibiti alle donne e, soprattutto, a lei. Tiene fronte agli sguardi d’accusa degli invitati; sopporta il giudizio intransigente di Simone e l’umiliazione del disprezzo di tutti. Ma ha molto amore e ora è lì con Gesù… Perché l’amore non si apprende dalla legge ma dal cuore, non si valuta dalla legge ma 81 MARIO RUSSOTTO dal perdono; non si spiega partendo dal di fuori ma dal di dentro. L’improvviso ingresso della donna presuppone che ella sapesse della presenza di Gesù in casa di Simone e che, probabilmente, lo avesse già incontrato e si fosse ravveduta dei suoi peccati, come si evince dal verbo greco al perfetto usato da Luca: «afeontai ai amartiai autes ai pollai, oti egapesen polu – I suoi peccati sono stati (nel passato e continuano ad esserlo nel presente) perdonati, perché molto amò» (Lc 7,47). Oltretutto la donna non avrebbe portato un vaso profumato per onorare Gesù se non l’avesse mai incontrato prima, se non fosse stata accolta perdonata amata da Lui. Il suo è un gesto di gratitudine e di amore per Gesù, che molto l’ha amata facendole dono del perdono. La donna di molto amore, in un gesto di pubblica confessione senza parole, compie verso Gesù quei gesti e segni di affetto riconoscenza accoglienza, che nessuno aveva saputo compiere. È come se lei volesse ricompensare Gesù per l’amore, l’accoglienza, il perdono ricevuti. Forse vuole dimostrare a Gesù che davvero è cambiata e gli effetti di quel 82 Misericordias Domini perdono sussistono ancora, perché lei continua a vivere di quel super-dono d’amore. La donna si rannicchia dietro, quindi si inginocchia dietro a terra davanti ai piedi di Gesù, li bagna con le lacrime, li asciuga con i capelli, li bacia e li cosparge di olio profumato. È l’umanità di Gesù che fa esprimere l’umanità della donna. Se Gesù fosse stato un Rabbi “tutto d’un pezzo”, rigido e rigoroso, la donna non avrebbe osato. Lei si permette di agire così perché Gesù ha permesso alla sua umanità di esprimersi. Ed è tutto un mondo femminile che nei simboli si sprigiona in quella casa d’amicizia senza amicizia. E siamo in una casa e la casa dice sempre intimità; c’è una tavola imbandita che dice condivisione; c’è una donna in lacrime, con i capelli sciolti senza pudore, che si mette a nudo con tutta la sua femminilità manifestando la sua intimità con Gesù. E non le importa nulla di quello che pensa Simone il fariseo, di quello che pensano gli altri, a lei importa Gesù. Da Lui ha ricevuto molto amore e a Lui vuole esprimere e donare molto amore. Quante volte nelle nostre relazioni e nel nostro cammino umano e spirituale rimaniamo “bloccati”, 83 MARIO RUSSOTTO perché schiavi della logica del possesso o del giudizio degli altri… Quante volte non agiamo come vorremmo per paura di essere giudicati… E così ci si blocca e si vive tutti in uno stato di ipocrisia, mentre la vita nostra e delle nostre comunità diventa sempre più arida, con uomini e donne d’umanità rattrappita e devota soffocante religiosità… Non solo, ma quante volte capita che viviamo la fede con una superficialità incredibile, per cui tutto ciò che rientra nella “sfera di Dio” o nella “sfera di evangelica umanità” si fa in fretta, giusto per farsi vedere, nel minor tempo possibile… Questo è Simone il fariseo che vive in noi… e si vede dai volti, perché un cuore non riposato non rende il volto sereno, luminoso, trasfigurato… La donna di molto amore non sta neanche a pensare cosa dice la gente o il padrone di casa… non le importa, quello che conta per lei è essere con il suo Gesù. La donna di molto amore, senza dire una parola, dà una lezione a tutti quegli invitati al banchetto… A volte per “salvare la faccia” noi trascuriamo completamente il Signore e dopo tanti anni ci ritroviamo un’anima rattrappita e inaridita… 84 Misericordias Domini 4. L’umanità di… baci lacrime profumo… La donna di molto amore si aggrappa ai piedi di Gesù. Tutta la sua femminile umanità si esprime su quei piedi. E li bacia… perché Dio è un bacio! Baciare è un gesto di tenerezza. E la tenerezza nasce dall’amore ed è completamente gratuita. La donna bacia i piedi di Gesù senza pretendere ricompensa né risposta. Li bacia per esprimergli tutta la gratitudine e l’affetto del suo cuore. E li bagna di lacrime… che purificano il cuore e lavano se stessa “dentro”. E li asciuga con i suoi capelli. È un gesto sponsale scandaloso in pubblico! In Oriente, infatti, le donne non possono mai farsi vedere in pubblico con i capelli sciolti, solo il marito può vedere i capelli della sua donna. Quindi la donna di molto amore, per asciugare con i capelli i piedi di Gesù, si toglie il velo e si scioglie i capelli nel gesto tipico della sposa davanti allo sposo. Il suo è un gesto di “consacrazione nuziale”, un gesto di 85 MARIO RUSSOTTO sponsale intimità. Il gesto contiene una tremenda forza evocatrice. L’immagine ci riporta al Cantico dei Cantici: lo sposo, estasiato dalla chioma dell’amata, esclama: «I tuoi capelli sono un gregge di capre che scendono dalle pendici del Galaad» (Ct 4,1; 6,5). Nel Cantico dei Cantici leggiamo ancora: «Un re è stato preso dalle tue trecce» (Ct 7,6). Lo sposo è conquistato e dice: «Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa; tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana! Quanto sono soavi le tue carezze, sorella mia, sposa, quanto più deliziose del vino le tue carezze. L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi» (Ct 4,9-10). Siamo davvero in un clima di profonda spirituale nuzialità, che celebra il dono e la bellezza della vita. È anche importante notare che ci troviamo non nel tempio ma in una casa, luogo delle relazioni quotidiane che formano la nostra identità. E li cosparge di olio profumato. Il profumo non si usa inutilmente, né si dona a chiunque. È un dono d’amore, di amicizia, di venerazione e af86 Misericordias Domini fetto. Il profumo della donna diventa ora profumo di Gesù, dalle mani della donna di molto amore passa ai piedi di Gesù che ama dell’Amore più grande. Il profumo, in ebraico shemen da shem che significa “nome”, nel Cantico dei Cantici indica lo sposo, chiamato profumo effuso (Ct 1,3). Il nome, l’essenza di Dio, è profumo. Ora il profumo riempie la casa e si estende a tutti… anche a quelli che giudicano e condannano… Il profumo è simbolo del DioAmore. Ma diAmore donato si può solo morire, perché si ama fino a dare la vita. Dio è Amore, pienamente amante e amato nella Trinità; sulla terra effonde il suo profumo e vive ovunque vi è amore. Dove c’è amore, lì c’è Dio. Il gesto della donna di molto amore è il principio della creazione nuova, che inizia quando la sposa risponde allo sposo, che la ama di amore eterno (Ger 31,3). In questa donna Dio trova ciò che da sempre cerca: essere amato da chi Egli ama! Nel nostro racconto, tuttavia, l’essenza dell’essenziale non è più il profumo ma l’amore. Quando l’amore fa scoppiare l’egoismo e rompe gli argini, nulla lo può contenere. La donna non 87 MARIO RUSSOTTO bada a ciò che dicono gli altri, non bada allo spreco… A lei tutto questo non importa. A lei importa solo Gesù e fa tutto quello che può per Gesù, segno di un rapporto che la stringe a Lui in modo fortissimo. La donna è tutt’uno con quel profumo, sue sono le lacrime, suoi i capelli… lei è quel profumo… Lei è la gratuità che si dona nello “spreco” di molto amore. Perché Dio è puro dono, è Amore assoluto, si spreca. Dio è quel profumo… E se Dio è questo profumo che si dona – e lo comprendiamo dalla Croce – rinunciare al peccato e vivere la fede significa impregnarsi di questo profumo e vivere di esso. Il senso della vita è amare: amare in modo assoluto Dio, che è l’Unico Assoluto, e gli altri come Dio li ama… fino allo spreco d’amore. In modo assoluto. Altrimenti amiamo in modo assoluto i nostri egoismi... l’avere, il potere e l’apparire: il possedere le cose, le persone, il prestigio... i vari idoli ai quali sacrifichiamo la vita. Lo “spreco” del profumo è quel “molto amore” che indica la nuzialità donata con autenticità di 88 Misericordias Domini amore, di affezione, di affettuosità, di simpatia, di disponibilità, di spreco. Perché la persona vale più delle cose, ha un valore inestimabile! L’effusione del profumo corrisponde dunque alla gioia di chi sa di avere trovato, di chi sa di essere in presenza della perla per cui vale la pena vendere tutto e tutta donarsi. Ma il “profumo effuso” non si improvvisa, non è un gesto occasionale, è un cammino, è una fedeltà, è un incontro vivo d’amore con l’Amore, è una continua risposta del no al peccato nel sì della fede in Dio Amore nella concretezza dei gesti, degli atteggiamenti, delle scelte. E come sempre l’amore è irrazionale, non sa fare calcoli… L’amore ama fino allo spreco. E Gesù apprezza, perché lo spreco della donna di molto amore dice la misura smisurata dell’Amore. Chi ama ragiona con il cuore e non gioca al risparmio. Poiché la logica dell’amore è dare e darsi tutto. 5. Noi… farisei… «A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e 89 MARIO RUSSOTTO che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice”» (Lc 7,39). L’ingresso della donna nella casa, e durante il banchetto per di più; il suo modo di agire e le sue stesse azioni che in quanto impura contaminano di impurità tutta la casa, e dunque anche i commensali; il comportamento di Gesù, che invece di reagire e scacciare quella donna si lascia toccare accarezzare profumare i piedi… suscitano la sdegnosa irritata controllata reazione di Simone il fariseo, il quale nella sua mente lancia un duplice giudizio: giudica la donna e giudica Gesù. Aveva invitato Gesù come un Rabbi, uno dei nuovi predicatori e adesso pensa che non sia capace nemmeno di dire la parola di Dio: «Se costui fosse un profeta…». La sentenza di Simone è, secondo il suo punto di vista, ineccepibile: Gesù non è un profeta, perché se lo fosse non avrebbe mai permesso un simile scandalo! Simone non coglie quanto succede in casa sua, è esterrefatto e sgomento per la situazione imbarazzante creatasi, per la brutta figura fatta di fronte agli altri farisei, per l’impurità contratta “grazie” a 90 Misericordias Domini quella donna e al presunto profeta. Invitando Gesù pensava di aver fatto un gesto coraggioso, pensandolo probabilmente come Maestro saggio, rigoroso, austero. Invece le sue attese sono state deluse ed egli è desolato irritato disgustato. Simone si considera un uomo giusto e religioso, ma anche uno sfortunato eroe di una triste deludente vicenda. Ha cercato di accogliere Gesù, ma senza rischiare troppo. Non pensa mai alle sue responsabilità, alle sue mancanze di sincera ospitalità; anzi, crede di essere l’unico a mantenere un contegno decoroso in una situazione scabrosa e difficile: «Se costui fosse un profeta saprebbe…». Simone vede la donna come fumo negli occhi, la disprezza disprezzando anche l’ingenuità di Gesù, il “Maestro”, che non si accorge di essere ingannato: «Se costui fosse un profeta saprebbe… è una peccatrice». Simone siamo noi quando non comprendiamo le situazioni, valutandole secondo criteri di forma esteriore, ma senza sforzarci di penetrarne il senso facendo attenzione alle persone. Simone siamo noi quando giudichiamo gli altri senza 91 MARIO RUSSOTTO comprenderli, creando così molta sofferenza.ASimone non viene assolutamente in mente che la “peccatrice” possa avere una storia: è una donna con dei problemi e delle angosce, che sta facendo uno sforzo di risalita nel dono sincero di sé, cioè nel recupero della sua vera identità e della sua profonda dignità. Simone non è morto, ma vive in noi, vive nelle nostre comunità, nella nostra società con le sue “virtù”, la sua “onorabilità”, la sua “ottusità” non evangelica. Simone siamo noi tutte le volte che invece di accusare noi stessi chiedendoci in che cosa stiamo sbagliando, ci precipitiamo a giudicare gli altri… senza remissione! «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11) ha detto Gesù alla donna salvata dalla lapidazione. Ma il suo peccato era evidente: flagrante adulterio. Evidente e noto è anche il peccato della donna di molto amore: prostituzione. Il peccato di Simone il fariseo – come quello o quelli di molti apparenti giusti, “osservanti” delle leggi ecclesiastiche e civili, difensori e sbandieratori di legalità, devoti e orgogliosi sfilatori nelle processioni, ostentatori di segni e insegne di religiosità e devozione – è proprio quello di sentirsi “giusto”; di 92 Misericordias Domini voler determinare il volere di Dio con subdoli devoti ricatti; di vivere e agire in modo esattamente opposto alla gratuità dell’Amore e del Vangelo. E in questo modo si tratta Dio da prostituta, si pretende di comprare il paradiso e la grazia con la pagella di impeccabilità e lo scontrino di preghiere e opere “buone”. Ma questo è un atteggiamento e un comportamento di stampo mafioso, seppur ammantato di religiosità. Si pensa a Dio come ad un boss potente crudele vendicativo da tenere buono per evitare le sue spietate reazioni. «Questa immagine di Dio è l’insidia fondamentale di tutte le religioni ed è l’elemento sano di tutti gli ateismi che negano questo Dio affermato dalle religioni, perché questo non è Dio ma è l’immagine diabolica di Dio che abbiamo dentro» (S. Fausti). 6. Più debito… più amore… «Gesù allora gli disse: “Simone, ho una cosa da dirti… Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti 93 MARIO RUSSOTTO e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. Simone gli rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”» (Lc 7,40-43). In pochissimi versetti il vangelo ci mostra innanzitutto che davvero Gesù è profeta, conosce infatti il borbottio interiore dei pensieri non espressi del fariseo. E, nonostante abbia ricevuto un trattamento scortese e scostante, Gesù chiama per nome il padrone di casa: Simone. È la prima persona del vangelo di Luca che Gesù chiama per nome. Ne conosce dunque l’identità, l’intimità, la realtà più profonda. Come farà con il capo dei pubblicani di Gerico da sotto l’albero di sicomoro: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). Gesù poi, sempre rivolto a Simone, racconta la piccolissima parabola dei due debitori e della gratuita generosa bontà del creditore. E se l’uno ha un debito corrispondente a cinquecento giornate lavorative, l’altro ha un debito del dieci per cento rispetto al primo. Ma entrambi sono nell’impossibilità di restituire e il molto e il poco che devono. Ma il creditore, senza fare differenze fra i due, sta94 Misericordias Domini bilisce con entrambi una relazione profonda fondata sul gratuito amore, cioè sul condono (o perdono) incondizionato. Il problema si sposta così dall’aspetto economico a quello relazionale. E, infatti, amerà di più quel generoso creditore colui che aveva un debito maggiore. In costui non c’è solo gratitudine e gioia, ma il germoglio di una relazione d’amore… di più. Con Dio non possiamo mai stabilire un rapporto di tipo economico-commerciale fondato sulla logica umana del do ut des. Perché mai potremo restituire al Signore l’enorme debito contratto con Lui. L’unica risposta al dono del perdono che Dio ci chiede e attende è la decisa nostra rinuncia al peccato vivendo con Lui una relazione d’amore… di più! È l’unico linguaggio della fede, l’unico linguaggio di Dio… vivere d’amore! «Vivere d’amore è custodirti,Verbo increato!...Vivere d’amore è vivere della tua vita… Vivere d’amore, quaggiù, è un darsi smisurato, senza chieder salario; senza far conti io mi do, sicura come sono che quando s’ama non si fanno calcoli… Non ho più nulla, e la mia sola ricchezza è vivere 95 MARIO RUSSOTTO d’amore… Non vedo nemmeno l’impronta d’uno dei miei peccati, ciascuno è svanito nel fuoco divino… Ma se cado ad ogni passo tu mi raggiungi, di volta in volta mi sollevi, mi avvolgi nel tuo abbraccio, e mi dai la tua grazia… Vivere d’amore è un navigare incessante, seminando nei cuori la gioia e la pace» (S. Teresa di Lisieux). Noi tutti siamo sempre e solo debitori perché tutti peccatori! E per questo amati e perdonati, destinatari indegni e non meritevoli del libero assoluto gratuitoAmore di Dio. Il cristianesimo, allora, non è la religione fondata su debiti da restituire, né su devozioni e cerimonie e riti e processioni e voti e sacrifici… Il cristianesimo è la religione dell’Amore, delle relazioni d’amore, dell’amore che ama di più perché ciascuno è sempre un debitorepeccatore più degli altri. Basta guardare con onestà sincerità verità la propria coscienza… Siamo tutti debitori! Oltre all’umanità ci accomuna sia la fragilità del peccato sia la grazia della fede, per questo nella preghiera di fraternità Gesù ci ha insegnato a pregare dicendo: «Rimetti a noi i nostri debiti, come 96 Misericordias Domini noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). L’altra faccia di questo insegnamento di Gesù, proprio quello relazionale che ci permette di ricevere e donare il perdono, è l’unico e nuovo comandamento che Lui ci ha lasciato: «Amatevi gli uni gli altri; come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). Educare i cristiani – genitori, padrini e madrine, giovani e sposi, piccoli e grandi – alla rinuncia al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio significa educarli all’arte di relazionale amore. È questo il distintivo dei cristiani. È l’amore – come Io vi ho amato – l’unica via che porta a Dio e che “dice Dio” al mondo! Altra strada non ci è data! 7. Fariseo e peccatrice a confronto «E volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato… lei invece…”» (Lc 7,4447). È la prima volta che nel racconto Gesù volge 97 MARIO RUSSOTTO deliberatamente il suo sguardo sulla donna e, guardando lei con sguardo di misericordioso riconoscente cuore, invita Simone a vedere oltre la vista questa donna, cioè a vederla con occhi nuovi, con cuore sincero, con lo sguardo di… Dio. Ed ecco: il Signore porta Simone dentro un confronto aperto, senza ipocrisia e senza retorica. È il confronto fra tu non mi hai dato… lei invece… La donna ha donato e fatto quello che avrebbe dovuto dare e fare Simone. E non solo, ma molto di più. Di conseguenza il peccatore e trasgressore della Torah (legge-istruzione) è proprio il rigido presuntuoso osservante della Torah, cioè il fariseo Simone e non la peccatrice donna. Se la donna è l’icona della gratuità e del molto amore, il fariseo è l’immagine del calcolo meschino. La gratuità è contagiosa. Il calcolo svuota, prende e pretende per sé: non solo uccide il dono, ma condanna alla sterilità. Il molto amore non ha bisogno di giustificarsi, di spiegarsi, di convincere, di farsi pubblicità. Si impone col suo semplice esserci. Diverso è l’atteggiamento del fariseo, che parla fra sé giudicando 98 Misericordias Domini e condannando. Il suo comportamento ha bisogno di parole, spiegazioni, correzioni… La verità e la semplicità del molto amore della donna si contrappongono alla complessità e alla falsità del fariseo. La bellezza del dono della donna condanna da sola l’ipocrisia del fariseo. E noi ci troviamo così di fronte ad una scelta fra due alternative: il dono del molto amore, che ci viene da Dio consegnato come perdono, o il pregiudizio e la condanna fino alla meschineria del fariseo... Il fariseo, che presume di essere giusto, «rischia di restare un ragioniere che fa calcoli con Dio… La donna è la sposa. Ama Gesù con tutta la vita, con tutto il suo cuore, con tutte le sue forze, come il Signore l’ha amata con tutto il cuore, con tutte le sue forze, con tutta la sua vita. Questa peccatrice è la prima uguale al Signore» (S. Fausti). Perché più si riceve perdono e più si sperimenta la bellezza della relazione d’amore. Ma è anche vero che più si ama e più si entra nella logica del perdono. In fondo i farisei di ieri e di oggi, cioè i devotamente presunti giusti che giudicano sempre gli altri e mai se stessi, amano poco… vivono di leggi, riti, esteriori osservanze ma… di poco o niente 99 MARIO RUSSOTTO amore… E «alla sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore» (S. Giovanni della Croce). Il mio “vecchio” amico giornalista e poeta Nino Barraco, in un interessante opuscolo ha scritto di vivere stupore e sbalordimento per «la predilezione di un Dio che ama, soprattutto, i lontani o, meglio, quelli che noi abbiamo allontanato. È la sua scelta, un Dio che condanna i “salvati”, quelli che si ritengono al sicuro, l’ipocrisia di quanti si proclamano giusti… Gesù spiazza tutti con la sua verità… si china sulla Maddalena… fa l’elogio dei peccatori, delle meretrici… È la ragione dell’amore, l’amore che ci interroga, che ci pone in ascolto, che ci impegna». «Poi disse a lei: “Ti sono perdonati i tuoi peccati… La tua fede ti ha salvata; va’ in pace”» (Lc 7,4850). Folgorante rivelatrice liberante verità! Prima Gesù ha detto che il molto perdono è dovuto al molto amore; ora ridichiara il perdono dei peccati e afferma che si tratta di fede. Ecco l’unica strada che ci lega a Dio e congiunge terra e cielo… Ecco l’unica dimensione che cancella i peccati e stabilisce chi crede e chi non crede: l’amore, l’amore, sol100 Misericordias Domini tanto l’amore! Null’altro! Perché la fede non è primariamente adesione alle verità rivelate, non è anzitutto questione di “dottrina” (anche se questa è necessaria utile indispensabile). La fede è questione d’amore; la fede è risposta d’amore a Dio che è Amore donato fino allo spreco, fino alla follia! «Signore, tu mi scruti e mi conosci… Penetri da lontano i miei pensieri… Ti sono note tutte le mie vie… nemmeno le tenebre per te sono oscure…» (Sal 139). Gesù è la luce che conosce illuminando di affettuoso calore. Ma come la luce penetra nei corpi trasparenti e crea ombra in quelli opachi, così Gesù ci conosce illuminando e separando nella nostra coscienza la luce dalle tenebre. Gesù-luce incontra due persone: il fariseo e la peccatrice; l’effetto però è diverso. Il fariseo è “opaco” perché ipocrita, e la luce di Gesù fa emergere la sua oscurità; la peccatrice è “trasparente” perché sincera, e la luce di Gesù la illumina trasformandola. Essendo luce per tutti e due, Gesù conosce con amore sia Simone che la donna, è disposto e pronto a volere il loro bene. Sono queste due persone a comportarsi in maniera diversa: Simone è pieno di 101 MARIO RUSSOTTO sé, della propria presunta dignitosa religiosità; è convinto di aver fatto un piacere a Gesù invitandolo a casa, ma Gesù-luce fa emergere le ombre della superbia e della vanità, della presunzione e del disprezzo che Simone ha per gli altri. Pur essendo luce, Gesù incontra la resistenza e la chiusura del cuore! La donna invece piange ai piedi di Gesù pensando di non valere niente, di non meritare niente perché ha sbagliato. Gesù-Luce la illumina perdonandola e ridonandole dignità. Simone giudica Gesù e la donna; la donna invece si lascia giudicare da Gesù e trasformare dalla sua luce. Simone è smascherato come uomo meschino, gretto, arido, incapace di accogliere bene un ospite. La donna, la “peccatrice”, rivela invece di avere il cuore più grande di tutti! 8. Gesù… alla scuola di una donna… - «Ed ecco una donna… fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli e li cospargeva di olio profumato» (Lc 7,37-38). 102 Misericordias Domini - «Prima della festa di Pasqua, Gesù… si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli…» (Gv 13,1ss.). Forse sembrerà azzardato l’accostamento di questi due testi dei vangeli: mettere insieme il gesto di Gesù nell’ultima cena con il gesto di una prostituta può sembrare scandaloso. Ma fra i due racconti ci sono diversi tratti in comune: • Le due scene sono ambientate in una sala da pranzo. • La donna lava i piedi a Gesù, Gesù lava i piedi ai suoi discepoli. • Il gesto non avviene, come era usanza, prima di mettersi a tavola, ma durante il pasto. • Il gesto disturba: la donna scandalizza Simone il fariseo, Gesù scandalizza Simon Pietro. • Il gesto di Gesù è un atto di amore compiuto in profonda umiltà: «Li amò eis to telos»: è la pienezza dell’amore, un amore traboccante che raggiungerà il suo vertice nel legno della Croce. Il gesto della donna è un eccezionale atto di coraggio compiuto per amore: «Molto ha amato». 103 MARIO RUSSOTTO La donna fa ciò che può e sa fare, ma agisce con tutta se stessa, in tutta sincerità e al di là di ogni “razionale logica”. Ciò che fa è certamente eccessivo visto in sé e tocca il limite della convenienza. Se avesse voluto ottenere qualcosa o semplicemente riabilitarsi, bastava meno: invece lei vuole colmare le mancanze del fariseo verso Gesù. E agisce al di là del calcolo! Ha compreso l’al di là di Cristo, per il quale non si fa mai abbastanza e non ci sono regole o limiti, perché è la totalità e richiede la totalità! La donna personifica il dono di sé: chi ama dà ciò che ha. La donna ha l’unguento, il suo olio profumato, ha la sua capacità di attenzione. E con molta semplicità ne fa dono a Gesù. E il Cristo le fa dono della sua stima, della sua attenzione, della sua accoglienza. C’è uno scambio di doni. Il dono è una dichiarazione di importanza: la donna considera Gesù più importante di tutte le convenienze; Gesù considera la donna e la sua dignità più importante di ogni gratificazione e del “buon nome”, e si espone senza preoccuparsi del giudizio degli altri. Io penso che Gesù abbia imparato da questa e da altre donne a vivere il dono come sbilanciamento di 104 Misericordias Domini sé, a celebrare il servizio come consacrazione d’amore alle persone che si amano. Sì, perché il dono implica uno sbilanciamento, un rischio! Il dono entra e scava nel mistero della persona. Per questo il dono perfetto e sublime di Gesù alla donna è il perdono: «Ti sono perdonati i tuoi peccati...» (Lc 7,48). Perdono è il dono che Gesù fa dalla Croce, nel momento dell’offerta suprema di sé all’umanità. Per questo la Croce è il segno inequivocabile dell’Amore totalmente gratuito, la rappresentazione inesauribile e insuperabile del perdono. Il sapersi molto perdonati genera una capacità di dono. L’amore vero crea scandalo, scuote i destinatari dal loro conformismo. Il gesto di amore di Gesù e della donna compiuto durante il pasto è un atto che disturba; è un gesto da schiavi. Un midrash su Es 21,2 recita: «Voi non dovrete mai chiedere al vostro schiavo di lavarvi i piedi, perché questo è un gesto di umiliazione estrema e non lo si dovrà mai chiedere a nessuno». Nel romanzo giudaico Giuseppe e Asenat, composto alla fine del I sec. d.C., la donna, affascinata dal suo uomo, vuole dargli una prova d’amore e gli lava i piedi come segno massimo della 105 MARIO RUSSOTTO consacrazione al marito, dicendo: «I tuoi piedi sono i miei piedi. Nessun altro, perciò, potrà lavare i tuoi piedi, li potrò lavare soltanto io, perciò mi consacro a te lavandoteli». È il gesto della dedizione totale! Il fariseo non può partecipare alla danza dell’amore perché non ha partecipato alla danza del perdono! Per la riflessione e il confronto… 1. La maschera dell’ingiustizia, della devota religiosità, dell’ipocrisia, dell’accusa… quale volto hanno le maschere che indosso quando sono con gli altri, in chiesa, in società…? Perché? Di chi o di cosa ho paura? E come posso fare per ritrovare la mia autenticità? 2. Come vivo la relazione di amicizia? Sono sincero… ipocrita… autentico… ambiguo…? E come vivo il mio rapporto con le persone dell’altro sesso? Provo timidezza… aggressività… timore… serenità? Ho la consapevolezza di essere sempre debitore verso gli altri dell’amore che ho ricevuto in modo gratuito da Dio? 106 Misericordias Domini 3. Mi capita di giudicare gli altri o di lasciarmi andare a mormorazioni esplicite o interiori nei confronti degli altri? Perché? Come fare per superare questi peccati? Mi sforzo di entrare nel cuore dell’altro invece di giudicarlo dalle apparenze o secondo i miei pregiudizi? 4. Com’è il mio modo di relazionarmi con gli altri? La mia umanità è equilibrata e serena o riconosco che ci sono alcuni nodi da sciogliere nelle mie relazioni con gli altri? Nella mia comunità parrocchiale siamo capaci di vivere relazioni autentiche oppure ci lasciamo condizionare dalla logica del possesso o del giudizio degli altri? 5. Come reagisco all’incontro con la luce di Dio? Sono “opaco” o “trasparente”? Cosa posso fare per permettere alla Sua luce di illuminare la mia vita trasformandola? 107 IV MISERICORDIA… INCHINO D’AMORE «Misericordias Domini in æternum cantabo» (Sal 88,2): se sperimentiamo, personalmente e comunitariamente in quanto Chiesa, il «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11), dal nostro cuore germoglierà il canto al Signore delle misericordie. Le molteplici misericordie, i diversi volti della Misericordia: tenerezza, amore, compassione, carezza di maternità, passione e abbraccio d’amore…Quell’amore di Dio che è il suo piegarsi amante verso la nostra piccolezza e le nostre ferite, che è il suo inchino di Creatore dinanzi alle fragilità di noi sue creature. Perciò… «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza» (Papa Francesco, MV n. 2). «La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia… e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del 109 MARIO RUSSOTTO Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice… Appunto perché esiste il peccato nel mondo, che “Dio ha tanto amato… da dare il suo Figlio unigenito”, Dio che è amore non può rivelarsi altrimenti se non come misericordia» (San Giovanni Paolo II, DM n. 13). 1. Avere compassione Nella quinta beatitudine proclamata nel “discorso della montagna” Gesù afferma: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). È la celebrazione di Dio nel cuore stesso della miseria umana: miseri-cordia. Miseria di piccoli uomini che spasimano per un giorno di gloria. Miseria di poveri relegati sempre più nel bunker della povertà, umana e spirituale soprattutto. Miseria di corpi martoriati, di cuori feriti, di spiriti alienati. Miseria dai mille volti. Miseria del peccato. E, tuttavia, miseria che non riesce ad arginare la follia amante di Dio. Dio Amore esprime se stesso proprio attraverso i delicati tratti della tenerezza, l’altro nome della misericordia, simpatia di Dio in mezzo alle nostre sopraffazioni, compassione den110 Misericordias Domini tro alle nostre passioni, pietà dentro le nostre pietose carognate. «Quanto più la coscienza umana, soccombendo alla secolarizzazione, perde il senso del significato stesso della parola “misericordia”, quanto più, allontanandosi da Dio, si distanzia dal mistero della misericordia, tanto più la Chiesa ha il diritto e il dovere di far appello al Dio della misericordia “con forti grida”»; è necessario pertanto che «la Chiesa pronunci questa parola, non soltanto in nome proprio, ma anche in nome di tutti gli uomini contemporanei» (San Giovanni Paolo II, DM n.15). Il termine misericordia, in ebraico rahamîm, deriva da rehem che significa “grembo materno” e indicherebbe il legame di amore e di tenerezza che c’è fra Dio e l’umanità da Lui generata. È la passione d’amore che spinge Dio a chinarsi con affetto e tenerezza materna sulle sue creature: «Si dimentica forse una donna del suo bambino così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). 111 MARIO RUSSOTTO Nei vangeli, misericordia si esprime in greco con due verbi: splagghnizomai e eleomai. Il primo verbo è tipico di Dio e significa “provare-avere viscere di compassione”. Il secondo verbo indica l’atteggiamento proprio degli uomini e significa “usare compassione”. Racconta Luca: «Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione... Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?... Chi ha avuto compassione di lui... Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,33-37). Per comprendere la radicale novità della parabola è importante tenere presente che nel mondo ebraico si distingue tra avere compassione e usare misericordia. Avere compassione (splagghnizomai) è un atteggiamento esclusivo di Dio, con il quale il Signore restituisce la vita a chi l’ha perduta. Nella Bibbia l’espressione “avere compassione” viene sempre adoperata per indicare l’azione di Dio. Usare misericordia (eleomai), invece, è un sentimento proprio degli uomini. Ora il testo lucano dice che il Samaritano ebbe compassione, cioè prova e vive lo stesso sentimento di Dio nei confronti del moribondo. 112 Misericordias Domini Il Samaritano ha occhi e viscere: ciò che vede lo colpisce nel corpo, è una specie di shock emotivo, avviene qualcosa fra il corpo ferito e il suo e, ad un tratto, si approssima all’altro. Egli unisce l’azione all’emozione! La compassione diviene in lui l’atto che unisce il cuore e il corpo, creando una prossimità da uomo a uomo o, meglio ancora, divenendo segno della prossimità di Dio all’uomo. I vangeli ci testimoniano più volte la compassione di Gesù che, pur osservando la Legge, mette sempre al centro il rispetto dell’uomo… anche a costo di trasgredire la Legge. E infatti, dinanzi alla supplica di un lebbroso (Mc 1,40-42), al funerale dell’unico figlio di una vedova (Lc 7,12ss.)… Gesù ha occhi capaci di cogliere i bisogni degli altri, sa farsi carico della loro situazione, si fa loro “prossimo” e compie il bene di cui hanno necessità: guarisce dalle malattie e risuscita i morti! Per Gesù il credente non è colui che osserva scrupolosamente la Legge pensando di obbedire a Dio, ma colui che assomiglia a Dio manifestando una compassione simile alla sua. La fede nel Signore 113 MARIO RUSSOTTO non si vede dall’osservanza dei precetti, ma dalla misericordia. Per questo il Vangelo dichiara che il Signore non chiederà conto agli uomini delle volte che sono saliti al tempio a pregare, ma di quante volte hanno aperto la loro casa al povero e al forestiero. Il Signore non chiederà quanto è stato offerto al tempio, ma quanto è stato donato al bisognoso (cfr. Mt 25,31-46). Il dottore della Legge aveva chiesto a Gesù chi era il suo prossimo, ovvero fino a che punto doveva arrivare il suo amore osservando la Legge. Gesù, a sorpresa, gli ribalta la domanda e, dopo aver illustrato la parabola, chiede al dottore della Legge: «Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di chi si era imbattuto nei briganti?» (Lc 10,36). Il dottore resta spiazzato… e nella sua balbettante risposta non riesce ad ammettere che un uomo possa avere lo stesso sentimento di Dio, cioè la compassione. Per questo risponde: «Quello che ha usato misericordia» (Lc 10,37). Ma Gesù non ha detto che il Samaritano ha usato misericordia (in greco eleomai), bensì che ha avuto compassione (in greco splagghnizomai)… proprio come Dio! 114 Misericordias Domini 2. Il volto della misericordia La storia di Israele è la meravigliosa saga della misericordia divina. Prima ancora che Israele si costituisse come popolo, Dio dichiara a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso a liberarlo...» (Es 3,7-8). E dopo la liberazione dall’Egitto, Dio si autorivela a Mosè confidandogli: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà...» (Es 34, 6). Per questo ogni peccatore può rivolgersi a Lui con fiducia facendo appello proprio a questa sua infinita tenerezza: «Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato» (Sal 51,2). Rivolgendosi a Dio il credente non può non intonare il canto fermo della gioia di Dio, perché «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia; egli sazia di beni i tuoi giorni e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza» (Sal 103,3-5). «Di’ ai peccatori che li attendo sempre, 115 MARIO RUSSOTTO sto in ascolto del battito del loro cuore per sapere quando batterà per me» (S. Faustina Kowalaska). La misericordia è Dio nella sua stessa intimità. È il Dio cordiale! La misericordia è la sensibilità di Dio che ci raggiunge nella parte più profonda di noi stessi, attraverso il cuore di Dio che diventa cuore di uomo in Cristo, il quale «doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,17-18). La misericordia di Cristo è radicata nella sua propria esperienza di sofferenza e di prova e si mostra nell’aiuto effettivo agli uomini che vengono provati: «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno» (Eb 4,16). Gesù è il volto della misericordia del Padre, e questa sua carta di identità trova resistenza e opposizione da parte dei farisei, i quali si scandalizzano 116 Misericordias Domini per il fatto che egli mangia con i pubblicani e i peccatori. Gesù li rimanda al testo di Osea 6,6 affermando: «Andate dunque e imparate che cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori» (Mt 9,13). Poi, nel suo rimprovero finale, Gesù dice loro: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti che...trasgredite la giustizia, la misericordia e la fedeltà...» (Mt 23,23). Sia i pubblicani che i peccatori sono in una situazione di debolezza e di infermità. Gesù chiede che non si respinga e condanni questa gente, ma che si vada incontro ad essa e la si aiuti. E di questo Lui stesso è il miglior testimone. Si pensi al suo andare incontro ai lebbrosi, ai ciechi, agli storpi, alla vedova che piange il suo figlio morto, a Zaccheo, alle peccatrici... Si pensi alla parabola del “figliol prodigo”, della pecorella smarrita... 3. Cuore… che prende a cuore Elementi essenziali della misericordia sono la necessità del prossimo e del farsi prossimo, la 117 MARIO RUSSOTTO compassione e l’aiuto efficace. Misericordia indica ilgiustocomportamentodell’uomoneiconfrontidel suo prossimo che versa in una situazione di necessità e sofferenza e chiede un aiuto che si è in grado di offrire. Nella Lettera di Giacomo la misericordia appare come elemento essenziale della vera sapienza e si mostra nelle opere buone: «La sapienza che viene dall’alto è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia» (Gc 3,17). In Mt 18,33 troviamo un forte collegamento fra la misericordia divina e la misericordia umana. Questo versetto e il suo contesto costituiscono un prezioso commento alla quinta Beatitudine. Dopo aver risposto a Pietro che è necessario perdonare settanta volte sette, Gesù fonda e conferma questo insegnamento raccontando la parabola del servitore spietato: «Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». La misericordia del padrone consiste nel fatto che egli, in risposta alla preghiera del servitore, si impietosisce di lui, gli condona il debito e lo lascia andare in libertà. Gesù fa presente che nella relazione uomo-creditore e uomo-debitore entra 118 Misericordias Domini sempre la relazione Dio-creditore e uomo-debitore. La relazione fra gli uomini determina la loro relazione con Dio. Il perdono ricevuto da Dio diventa definitivo solo dopo che abbiamo concesso il perdono ai nostri fratelli debitori. Infatti, una dimensione essenziale della misericordia è il perdono dei torti subiti: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). La misericordia è il riflesso di Dio nel credente: essere misericordiosi ci fa come Dio! Nelle Beatitudini la “povertà in spirito” indica il riconoscimento della propria totale dipendenza da Dio, mentre essere misericordiosi sottolinea la dipendenza del prossimo da noi. Se l’aiuto decisivo di Dio verso di noi, che siamo deboli e poveri, ci raggiunge, esso diviene definitivamente efficace solo quando ci sforziamo di aiutare i nostri fratelli in necessità. Se la misericordia è la passione di Dio per l’uomo, la stessa passione d’amore viene richiesta da Dio all’uomo nei confronti del prossimo, chiunque egli sia. La compassione è la sensibilità di Dio che ci raggiunge nella parte più profonda di noi stessi. 119 MARIO RUSSOTTO Compassione è cuore che ascolta, vede e prende a cuore il cuore dell’altro… povero, umiliato, smarrito, assetato di verità e di senso, affamato di affetto e accoglienza… La maturità spirituale sta nel passaggio dal chiedere al donare compassione. Perciò uno sposo alla sua sposa e una sposa al suo sposo non deve dire: «Provo compassione», bensì: “Sono compassione!”. 4. Inchino d’amore La compassione scende nelle profondità di ogni piccola cosa, nelle profondità di ogni persona, la vede e non la giudica ma vi s’inchina. Che cosa significa inchinarsi o flettersi verso qualcuno essendo compassione? Ecco: c’è una forza che ti flette di fronte alla realtà dell’altro e della vita che accade. Se sei compassione devi inchinarti all’altro nell’amore. La compassione non ti chiede il permesso. Se sei compassione non ci sei tu con le tue orgogliose ostinazioni, perché la compassione in te diviene inchino d’amore. La compassione è il vortice della vita che danza: se sei compassione il tuo “io” scompare in quel vortice, perché di120 Misericordias Domini venti amore che si inchina, si flette e si affretta verso l’altro. L’inchinarsi affonda le sue radici in ogni attimo del quotidiano vissuto con consapevolezza: ogni volta che davvero vedi l’altro con lo sguardo del cuore, non puoi non essere compassione che si inchina. E quell’inchino non è un gesto che viene da te: è l’essere e l’agire di Dio che in te splende, perché tu gli spalanchi la porta del cuore senza porre ostacoli. Infatti, prima del tuo inchinarti all’altro con compassione, è Dio che si inchina davanti a te come Mendicante d’amore. E attraverso te e in te si inchina verso l’altro, verso gli altri… Nella misericordia come inchino d’amore faccio esperienza del flettersi di Dio in me, che si fa desiderio e invito al mio flettermi davanti a Lui per rendermi presente a Lui, che è Presenza in me. La fede, che si nutre di perdono, è relazione, consonanza d’amore, compassione fra Dio che si inchina a me ed io, con tutta la storia della mia vita, che mi inchino a Lui e in Lui ad ogni uomo e ogni donna accolti amati perdonati come parte di me. È un rapporto cuore a cuore… che si fa preghiera… 121 MARIO RUSSOTTO Perché la vita diventa preghiera quando si nutre d’amore, quando cioè il “movente”, il fine di ogni palpito della vita è solo l’Amore. La Beata Madre Candida dell’Eucaristia, priora delle Carmelitane di Ragusa,annotava:«HosentitoilcaloredellaSuaanima avvolgermi, circondarmi in modo quasi sensibile, avrei voluto inabissarmi in essa, restarvi rinchiusa per sempre, avvolta in quel dolcissimo calore, tanto che mi è sembrato di non sentir più la mia carne, come se non ci fosse più una separazione fra Lui e me. Il mio cuore e la mia anima immediatamente perduti in quella luce immensa, la mia anima come un puntino sperduto nella Sua». E Santa Elisabetta della Trinità ha scritto: «Amare è uscire da se stessi per perdersi in Colui che si ama». E allora… «Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e risorto, nello spirito della sua missione messianica che continua nella storia dell’umanità, eleviamo la nostravoceesupplichiamoperché,inquestatappadella storia, si riveli ancora una volta quell’amore che è nel Padre, e per opera del Figlio e dello Spirito Santo si dimostri presente nel mondo contemporaneo e più potente del male: più potente del peccato e della morte» (San Giovanni Paolo II, DM n. 15). 122 Misericordias Domini Per la riflessione e il confronto… 1. Cosa posso fare concretamente nella mia vita per “cantare la Misericordia di Dio”? 2. Cosa vuol dire per me avere compassione? Mi rendo conto che al centro di essa c’è sempre il rispetto della persona prima che delle convenzioni? 3. Come mi educo ad allenare lo sguardo del cuore per essere “misericordioso come Dio”? 4. La mia comunità è accogliente rispetto alle situazioni di debolezza e di infermità? Cosa possiamo fare di più per andare incontro a chi ha bisogno di compassione e misericordia? 5. Guardando alla mia comunità, parrocchiale e diocesana, mi sembra che siamo capaci di aprire le nostre case al povero e al forestiero? O la nostra accoglienza rimane sempre e solo di facciata? 123 CONCLUSIONE Misericordiosi come il Padre 1. Perdono… fra riconoscimento e gratuità «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11)… «Molto le è perdonato, perché molto ha amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco… Ti sono perdonati i tuoi peccati… La tua fede ti ha salvata; va’ in pace» (Lc 7,47-50). L’incontro con Gesù provoca una conversione radicale del cuore e della vita… e dona la forza di rinunciare al peccato per vivere d’amore. Il riconoscimento del peccato conduce alla gioia nel perdono, quale esperienza dell’amore gratuito, l’unico amore che libera davvero. L’esperienza nascosta della colpevolezza, invece, apre oscuri canali nell’esistenza umana sotto forma di tristezza, paura, disperazione, sensazione dell’assurdità della vita, nausea di tutto, fastidio, con tutte le espressioni di violenza contro se stessi e contro gli altri. 125 MARIO RUSSOTTO È necessario annunciare la buona notizia del “perdono dei peccati”, che presuppone il riconoscimento e la confessione del proprio peccato. L’atteggiamento farisaico di autogiustificazione e, per conseguenza, di condanna degli altri, non fa altro che coprire il male che dall’interno continua a distruggere l’uomo e la donna… perché il “sepolcro imbiancato” non impedisce la corruzione interiore. Il peccato si scopre dal perdono e perciò i cristiani nelCredoproclamano:«Credonelperdonodeipeccati». Dove non c’è perdono non ci può essere confessione del peccato e, quindi, il peccato – germe di morte – “rimane”. La parola del perdono, invece, conduce alla gioiosa esperienza della conversione. La particolarità specifica del cammino di fede per un cristiano si esprime soprattutto nel saper dare agli altri il perdono che si è ricevuto e sperimentato. È quanto Gesù stesso ha richiesto energicamente nella parabola del servo spietato (Mt 18,23.35). Chi rifiuta il perdono… o non ha ancora preso il perdono di Dio come criterio della propria vita, oppure non ha capito che cosa gli è stato donato. Perdonare vuol dire accettare gli altri così 126 Misericordias Domini come sono, senza aspettare di vederli diventare come dovrebbero essere e senza di pretendere che siano come noi li vorremmo. Il perdono precede, nel tempo e nell’intenzione, il cambiamento degli altri… Perché il perdono è gratuito: si dona e si riceve incondizionatamente, non si negozia né si commercializza. È necessario urgente doveroso, allora, uscire dal cuore duro (sklerocardia), irrigidito nelle proprie idee e nei propri desideri, per trasformarsi in un cuore aperto e pronto ad accogliere Gesù, la sua persona, il suo amore e il suo cammino. Gesù inizia il suo ministero di evangelizzazione ammonendo: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Gesù non invita solo ad un atto unico o ad un fare transitorio, ma ad un comportamento costante e attivo. La conversione è un cammino mai esaurito, una dimensione costante nell’itinerario di fede. Il giorno di Pentecoste Pietro, a nome di tutto il collegio apostolico, annuncia il Vangelo di Cristo Gesù, crocifisso e risorto: «All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, 127 MARIO RUSSOTTO fratelli?”. E Pietro disse: “Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo”» (At 2,37-38). La conversione-riconciliazione riguarda tutti. Noi spesso preghiamo, giustamente, per la conversione dei peccatori, ritenendo che essa riguarda gli altri e non noi. Nella Bibbia non si ha paura di dire che tutti abbiamo bisogno di conversione, non si pone il velo sulla fragilità umana, anzi la si mette in evidenza perché risplenda la gratuita iniziativa di Dio. La conversione, quale cambiamento di mentalità e del cuore, è un processo interiore che deve attraversare continuamente la nostra vita. Isacco il Siro scriveva: «Colui che conosce i propri peccati è più grande di colui che risuscita i morti e colui che conosce la conversione e il pianto è più grande di colui che è lodato nella Chiesa». 2. Conversione e Riconciliazione La conversione non si identifica con un atto sacramentale, non è un episodio o un momento unico 128 Misericordias Domini nella vita del cristiano, ma è una volontà interiore e permanente dell’intera esistenza. E poiché l’uomo può fallire e venir meno al suo impegno, ha sempre bisogno di tornare a Colui che lo chiama a piena realizzazione nell’amore e nella fedeltà. La conversione non consiste nel solo sforzo umano, nella libera determinazione del peccatore. È anzitutto grazia e dono di Dio. In questo cammino di conversione il peccatore non è solo, ma ha il sostegno e la preghiera costante della Chiesa. Il sacramento della Riconciliazione è punto di arrivo del cammino di ritorno all’amicizia con Dio e con i fratelli e, insieme, punto di partenza del rinnovato impegno di cristiana ecclesiale esistenza. Proprio per questo ho voluto impostare e vivere con tutti voi la mia seconda Visita Pastorale puntando solo sul sacramento della Riconciliazione. E ho visto già tanti frutti nei primi otto paesi… Il sacramento della Riconciliazione è un atto di perdono e di pace, come recita la preghiera del Sacerdote prima dell’assoluzione. Riconciliazione sottolinea che questo sacramento ricostituisce la pace tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e i suoi fratelli 129 MARIO RUSSOTTO nella Chiesa. Si chiama anche Confessione, in quanto una delle sue caratteristiche è l’autoaccusa delle colpe fatta al Sacerdote. Si chiama anche Penitenza, per indicare l’aspetto di purificazione e di fatica, in quanto è parte di un processo di conversione e di riabilitazione. I tre nomi mostrano quindi la vastità delle risonanze di tale sacramento nell’esistenza umana. Il sacramento della Riconciliazione è legato a temi umani ed esistenziali molto profondi: quello dell’offesa e del perdono, quello della trasgressione e della riabilitazione, quello della disperazione e della speranza, quello dell’angoscia e della pace interiore. Esso tocca davvero le radici di ogni esistenza segnata quotidianamente da fragilità, trasgressioni, offese, tristezze, divisioni; di ogni esistenza bisognosa di fiducia, incoraggiamento, sostegno, pace, perdono… riconciliazione. 3. La verità nell’oscurità Il peccato è la condizione dell’uomo che dovrebbe avere una meta e un obiettivo da raggiungere e in130 Misericordias Domini vece si perde per strada, fallisce la sua vocazione. Davide riconosce questo peccato con sincerità: «Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 51,5). E quel suo riconosco non vuole dire semplicemente che egli sa di essere peccatore, bensì che sperimenta tutto il dolore, l’avvilimento e la vergogna del suo peccato. È una conoscenza per esperienza, che suscita dolore nell’uomo e crea una ferita in Dio: «Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto» (Sal 51,6). Il peccato è contro l’uomo, è offesa e distruzione del tessuto sociale, è umiliazione della persona e della comunione nella Chiesa. Nel momento in cui io riconosco la mia colpa proclamo nello stesso tempo la giustizia di Dio: «perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio» (Sal 51,6). «Dio non è giudice: è parte lesa. Egli, che è il principio di ogni fedeltà e di ogni amore, è stato leso mortalmente da Davide, è stato violentato nei suoi diritti. Per questo rimprovera Davide e questi accetta il rimprovero sapendo che il giudizio divino è giusto ed è quindi anche un giudizio di perdono. Dio, come parte 131 MARIO RUSSOTTO offesa, redarguisce Davide perché vuole la sua vita e non la sua morte: se (Davide) ha tentato di uccidere Dio, Dio lo vuole salvare» (C.M. Martini). È propriamente a questo punto che scatta il pentimento e il dolore: l’uomo si trova davanti a Colui che ha offeso, di cui ha respinto la fiducia ma che nuovamente gli offre fiducia. Quando noi riconosciamo il nostro peccato, proclamiamo che Dio è giusto, che se qualche cosa non ha funzionato è per colpa nostra. Se il mondo non è così bello come dovrebbe, se la Chiesa non è così santa come dovrebbe, non posso dare la colpa a Dio. La colpa la debbo assumere e portare io, «perché tu sei giusto quando parli», cioè non sei venuto meno alla fedeltà. L’infedeltà è mia. Ma la piena identità di Dio si svela nel perdono dei peccati. Dio non è mai così Dio come quando perdona! Solo dinanzi ad un simile Dio, posso riconoscere la mia ribellione e i miei smarrimenti con sincerità, perché Dio ama la verità anche nell’oscurità. Sì, Dio ama la verità, che è luce anche là dove io mi sento smarrito nei meandri della mia coscienza 132 Misericordias Domini e lì, nel segreto del mio cuore, Lui mi insegna l’arte di ricostruire la mia vita in Lui che è Amore, perché la vita di Dio sia il respiro del mio cuore… 4. Il pellegrinaggio… di misericordia «Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata… Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Essa sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio» (Papa Francesco, MV n. 14). Il pellegrinaggio rivela in modo efficace il carattere finito e precario dell’esistenza umana. L’uomo è per essenza “pellegrino e itinerante”, quasi in esilio nella storia, provocato ad un costante e progressivo esodo da sé, costretto alla fatica di un drammatico “divenire”, per poter in qualche modo 133 MARIO RUSSOTTO “essere”. Egli è un viandante assetato di nuovi orizzonti, affamato di pace e di giustizia, indagatore di verità, desideroso di amore, aperto all’Assoluto e all’Infinito. La fede cristiana insegna che la vita dell’uomo non è solo un cammino di ricerca della felicità, della perfezione, ma è un cammino verso la casa del Padre, verso il possesso di quella vita piena, di cui ora egli ha solo un anticipo, una caparra. Il pellegrinaggio esprime questa tensione dell’uomo verso nuovi orizzonti e soprattutto l’anelito di quella meta che supera le coordinate spazio-temporali quotidiane. L’uomo non è un singolo destinato a vivere solo con se stesso, ma trova la sua realizzazione nella comunione con gli altri e perciò nella comunità: per questo egli ha bisogno della comunicazione più del pane. E il vertice di tale comunione-comunità sta nell’unità di tutti gli uomini in Cristo, così da formare un unico corpo in Lui. Pertanto, ogni singolo uomo è aperto e in cammino non soltanto verso l’Altro per eccellenza, che è Dio, ma tende costitutivamente anche verso tutti gli altri e 134 Misericordias Domini trova riposo solo quando, senza annullare se stesso, diventa uno in Dio con tutti. Egli è per natura un pellegrino che cerca la solidarietà dei fratelli, in cammino verso una casa comune, nella quale trovare ospitalità piena e godere di una familiarità universale. Il pellegrinaggio anticipa in parte la realizzazione di questo “sogno”: è espressione di questa comunità in viaggio, di queste persone che si stringono per camminare insieme. Gesù ha trascinato i suoi in un pellegrinaggio infinito: non più come passaggio (esodo) da una regione geografica a un’altra, da una terra di schiavitù a una “terra promessa” di libertà ancora storica, bensì come “fuori-uscita” da tutta la storia e da tutta la geografia, come esodo verso il Padre e ingresso nella vita della Trinità. San Paolo ci ricorda che «finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione» (2Cor 5,6-7). Per questo la Chiesa si sente pellegrina e forestiera nel mondo ed è proiettata verso la “città futura”. Percependo se stessa come pellegrina, la Chiesa vede nel pellegrinaggio un simbolo della 135 MARIO RUSSOTTO sua condizione attuale, uno stimolo a vivere in modo autentico l’attesa, per essere sempre pronta alla «rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19). Tuttavia Gesù ha chiesto ai suoi discepoli di non “evadere” dal mondo, ma di predisporsi alla discesa dello Spirito Santo, per poi disperdersi sulla terra e nella storia e trasfigurare il pellegrinaggio dell’umanità in modo radicale e assoluto, per fare di esso il cammino di tutti gli uomini verso la Casa comune, verso il Padre che è nei cieli. Come lo Spirito promuove e sviluppa nella Chiesa quel perenne “uscire da sé” per aprirla al mondo, facendo di essa una Chiesa pellegrina, così il pellegrinaggio di Dio verso di noi ci coinvolge portandoci ad un estremo, radicale e pieno esodo da noi stessi (ecco il segreto dell’Amore!), per restituirci a Dio e rientrare in Lui. Il Figlio fa esodo dal Padre senza di noi ma per noi; e intende ritornare al Padre con noi. Il pellegrinaggio germoglia da qui: dall’amore, dalla disponibilità a vivere la vita come dono per gli altri, a vivere la pro-esistenza, ad uscire dall’io per donarsi agli altri. La carità è la forma più vera di pellegrinaggio! 136 Misericordias Domini Il pellegrinaggio, espressione esterna e simbolica della nostra identità di persone limitate in cammino verso Dio e verso gli altri, aperte al dono di sé e all’incontro con l’altro, acquista il suo pieno significato quando diventa occasione per crescere in responsabilità e per farci carico della vita nostra e altrui. Ciascuno di noi ha un grande tesoro tra le mani: la vita! Non l’abbiamo comprata, né costruita! Ci è stata comunicata: attraverso i genitori come dono. Oggi ne siamo i primi responsabili. Gestire la vita è il primo e fondamentale compito di ogni essere umano. La vita ci precede e ci chiede di esserne i protagonisti! Nella vita si sviluppa un duplice percorso: uno cronologico, che si misura con il tempo che passa; e uno esistenziale, che dipende dalla coscienza che ciascuno ha del proprio destino e delle proprie responsabilità. Nella nostra esistenza umana possiamo distinguere la vita, come dato fisico-temporale, dalla vitalità, come consapevolezza e responsabilità di ciò che si sta vivendo. Questo ci permette di cogliere il vero senso del pellegrinaggio: esso ha sì una meta geografica e 137 MARIO RUSSOTTO un tempo prefissato, ma il suo vero obiettivo è quello di farci camminare verso la comprensione più profonda della vita e del progetto di Dio su di essa. Il pellegrinaggio è sempre legato alla ricerca di senso e della verità, al desiderio di beni spirituali, al bisogno di cambiamento e di conversione. 5. Misericordiosi come il Padre «Misericordiosi come il Padre è il “motto” dell’Anno Santo» (Papa Francesco, MV n. 14). Perché molto amore molto perdono! E il perdono non solo risana il passato ma, soprattutto, riapre il futuro, riaccende luci di speranza nel cammino di ogni persona e in quello delle famiglie e dei giovani, riapre vie inedite di comunione nel cammino della Chiesa… Rivolgiamo, in modo speciale in questo particolare Anno Santo, lo sguardo del nostro cuore a Maria Madre della tenerezza, «perché non si stanchi mai di rivolgere a noi i suoi occhi misericordiosi e ci renda degni di contemplare il volto della misericordia, suo Figlio Gesù» (Papa Fran138 Misericordias Domini cesco, MV n. 24). Così da sentir risuonare nel nostro cuore le parole del Signore: «Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più… Ti sono perdonati i tuoi peccati»… E tutti insieme ad una voce poter esaltare il suo eterno infinito misericordioso amore per noi: «Misericordias Domini in æternum cantabo» (Sal 88,2). A tutti e a ciascuno di voi, ai quali ancora una volta dichiaro nel Signore il dono della mia vita e tutto l’amore che Lui riversa nel mio cuore, giunga la benedizione di Dio Trinità d’Amore e di Misericordia. Vostro aff.mo ✠ Mario Russotto Vescovo 139 INDICE 7 19 I. INTRODUZIONE Con le Chiese nella Chiesa LA DONNA NEL MANTELLO DI MISERICORDIA 49 II. VA’ E NON PECCARE PIÙ 73 III. MOLTO AMORE MOLTO PERDONO 109 IV. MISERICORDIA… INCHINO D’AMORE 125 CONCLUSIONE Misericordiosi come il Padre 141 FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI SETTEMBRE 2015 CALTANISSETTA DALLA TIPOLITOGRAFIA PARUZZO DI