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il bacino del mar caspio
PRIMO PIANO IL BACINO DEL MAR CASPIO Situazione, tendenze e criticità nel cuore energetico dell’Eurasia Veduta satellitare del Mar Caspio (fonte: Internet) S LORENA DI PLACIDO ituato nel cuore dello spazio eurasiatico, il mar Caspio rappresenta il più esteso bacino chiuso di acqua salata esistente. Residuo dell’oceano primordiale dal quale nel corso dei millenni si sono separati, con l’emersione delle terre, gli attuali Atlantico e Pacifico, consiste di un bacino endoRivista Marittima-Marzo 2010 reico (privo di emissari) situato a 28 metri sotto il livello del mare (tanto da assumere la denominazione di «depressione caspica»); misura approssimativamente 1.200 km di lunghezza e dai 435 ai 196 di larghezza media; le coste hanno una lunghezza pari a circa 7.000 km; la superficie è di 47 Il bacino del Mar Caspio Canale Volga-Don (fonte: Internet). 371.000 kmq, la profondità massima di 995 m e il volume dell’acqua di 78.700 km cubi. È costituito da una massa d’acqua salata completamente chiusa che ha come unico accesso a un mare più ampio il canale Volga-Don, utilizzato dalle navi per raggiungere il mare di Azov e da questo il mar Nero e il Mediterraneo. Esso rappresenta, inoltre, un complesso e fragile ecosistema ricco di risorse ittiche, in particolare di storione (90% degli esemplari esistenti al mondo), che associa alla pescosità delle acque una altrettanto vasta ricchezza custodita al di sotto dei fondali marini, che si stima racchiudano la terza riserva mondiale di petrolio e gas, dopo quelle del Golfo Persico e della Russia. Proprio tale abbondanza di risorse naturali strategicamente rilevanti e collocate al crocevia tra Europa e Asia desta l’attenzione di potenze regionali ed extraregionali. Un mare o un lago? Cuore della questione dello sfruttamento delle risorse del mar Caspio è la definizio- 48 ne legale del suo status: rispondere alla domanda se debba essere considerato dal punto di vista giuridico un mare o un lago comporta il soddisfare o meno enormi interessi, da parte dei Paesi rivieraschi e dei loro partner, anche extraregionali, nello sfruttamento di un bacino dalle straordinarie risorse, attorno alle quali si dipanano complessi rapporti. Già nel XIX secolo l’area caspica veniva considerata tra le più importanti per la produzione di petrolio e ben prima della conquista sovietica del Caucaso (avvenuta proprio alla metà del XIX secolo) l’estrazione avveniva già, utilizzando tecniche rudimentali, mediante stracci o secchielli. I capitali occidentali arrivarono a fine ‘800, quando allo sfruttamento delle risorse dell’area dedicarono grandi investimenti ed energie le famiglie rivali dei Nobel e dei Rothschild . Dal canto suo, la Russia stabilì il primato della produzione mondiale di petrolio dal 1898 al 1902, più della metà del quale proveniva dal Caspio Il vero e proprio sfruttamento delle riserve iniziò in epoca sovietica, col primo piano quinquennale del 1927, che ne organizzò l’estrazione e il trasporto impiantando una moderna industria che portò l’Unione Sovietica a eguagliare nel 1949 i livelli produttivi di inizio secolo (1). Fino alla disgregazione dell’Unione Sovietica, gli stati che si contendevano quelle riserve erano solo due, l’Unione Sovietica e l’Iran, che regolavano i propri interessi mediante trattati di demarcazione, regolazione della navigazione e dello sfruttamento delle risorse che, però, non affrontavano la questione dello status legale del bacino. Il primo trattato stipulato dai Russi e dall’impero persiano fu quello di Rasht, del 1729, che stabiliva regole sulla libertà dei commerci e della navigazione. Con Rivista Marittima-Marzo 2010 Il bacino del Mar Caspio quelli successivi di Golestan (1813) e Turkmanchai (1828) l’impero zarista ottenne il diritto esclusivo di possedere una flotta navale nel mar Caspio. Con la rivoluzione bolscevica del 1917 ogni accordo preesistente venne abolito e i rapporti tra la Repubblica Federativa Sovietica di Russia e la Persia vennero regolati da un nuovo trattato di amicizia siglato il 26 febbraio 1921, al quale seguirono quelli che l’Unione Sovietica e l’Iran conclusero nel 1935 e 1940. I diritti di pesca e di navigazione commerciale e militare venivano riservati solo ai due contraenti o a navi battenti la loro bandiera, escludendo Paesi e cittadini terzi dal poter essere personale di bordo o portuale del Caspio. Il diritto di pesca era consentito su tutto il bacino, ad eccezione della fascia che distava 10 miglia dalla costa, interessata dall’industria estrattiva, benché nei trattati non si facessero che vaghi accenni all’estrazione o allo sfruttamento delle risorse naturali, come anche alla ricerca scientifica. In una nota allegata al trattato del 1940 il mare veniva definito «sovietico-iraniano», stabilendo, di fatto, una sorta di co-dominio sulle acque e sulle ricchezze sottostanti. Tale situazione di sostanziale sfruttamento congiunto privo di una definizione giuridica comunemente accettata dello status giuridico del mar Caspio è proseguita fino allo scioglimento dell’Unione Sovietica. A quel punto, gli stati rivieraschi successori dell’Unione Sovietica — Kazakhstan, Azerbaigian, Turkmenistan — avrebbero dovuto proseguire nell’osservanza dei trattati stipulati dall’ex madrepatria, così come stabilito dalla Convenzione di Vienna sul rispetto dei trattati da parte degli stati successori (1978), principio ribadito anche dalle Repubbliche neo-indipendenti con la Dichiarazione di Alma-Ata del 1991, con la quale accettavano gli impegni pattizi asRivista Marittima-Marzo 2010 sunti dall’Unione Sovietica (2). Nei fatti, però, ciascuno stato rivierasco si è fatto portatore dei propri interessi nazionali, abbandonando il principio dello sfruttamento congiunto fino ad allora seguito, sostenendo piuttosto, a vario titolo, che i trattati precedenti conclusi da Iran e Unione Sovietica fossero parziali e inadeguati, poiché disciplinavano chiaramente pesca e commerci, lasciando in un alveo di pesante ambiguità la controversa questione degli idrocarburi, per la quale occorreva una cornice giuridica adeguata che definisse con precisione ambiti territoriali di competenza per lo sfruttamento. Di qui la controversia relativa allo status giuridico delle acque caspiche — mare o lago? — dalla cui soluzione dipende l’adozione delle norme necessarie per la suddivisione delle acque e del relativo sottosuolo tra tutti i paesi rivieraschi, molti dei quali ritengono le norme ereditate dall’Unione Sovietica persino lesive dei propri interessi. Breve mappa di interessi Q ualora venisse ritenuto legalmente un «mare», al Caspio potrebbe venire applicata la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (se tutti i paesi rivieraschi vi aderissero); ove, invece, fosse riconosciuto come «lago», diventerebbe oggetto delle norme del diritto internazionale consuetudinario. Non rientrando pienamente in nessuna delle due fattispecie, secondo alcuni studiosi (3), il Caspio potrebbe essere considerato un lago transfrontaliero, ossia un lago internazionale circondato dal territorio di diversi stati. L’utilizzo delle acque internazionali dei laghi transfrontalieri è disciplinato da accordi internazionali tra gli stati circostanti, sia 49 Il bacino del Mar Caspio per la definizione dei confini statali, sia del diritto alla navigazione, sia per l’utilizzo delle acque per finalità diverse. Considerando che non è ancora stata conclusa una convenzione riguardante i laghi internazionali, a eccezione di quelli che sono parte di corsi d’acqua internazionali, la principale fonte consuetudinaria (benché non l’unica) per la disciplina del regime giuridico resta quella dell’utilizzo della linea mediana delle acque. La difficoltà nel definire una univoca disciplina legale delle acque del mar Caspio è dettata dai diversi interessi degli stati rivieraschi in relazione allo sfruttamento delle risorse naturali. Ciascuno si fa portatore di istanze proprie, regolate attualmente da accordi parziali con i vicini che non determinano le condizioni per una progettualità di lungo termine compatibile con le singole determinazioni o comprensiva dei diversi aspetti legati alla vita complessiva del mare. L’Iran riconosce in linea di principio lo sfruttamento congiunto del bacino, contenuto nei trattati conclusi tra la Persia e l’Unione Sovietica, aggiungendo che, al di là delle definizioni giuridiche, ciascuno dei cinque stati rivieraschi dovrebbe avere sovranità su un quinto delle acque e del sottosuolo, su base paritaria. Accordi per la definizione delle modalità operative dovrebbero poi essere conclusi direttamente con gli stati successori dell’Unione Sovietica. Al momento l’Iran ha contenziosi aperti con Azerbaigian e Turkmenistan per via dello sfruttamento di giacimenti collocati in aree dalla incerta sovranità. La Russia si è impegnata profondamente negli anni per la definizione dello status del Caspio e per determinare delle situazioni di chiarezza nello sfruttamento delle risorse. Si è fatta promotrice di un approccio graduale nella soluzione dei diversi problemi — navigazione, ambiente, delimitazione delle acque e del sottosuolo — sostenendo il comune utilizzo della superficie e delle acque «internazionali» poste Baku, capitale dell’Azerbaigian: pozzi di petrolio (fonte: Internet). 50 Rivista Marittima-Marzo 2010 Il bacino del Mar Caspio Pipelines (fonte: Internet) oltre quelle territoriali e la zona economica esclusiva, mentre i fondali andrebbero suddivisi tra i cinque rivieraschi con precisione, mediante accordi bi e trilaterali (metodo al quale l’Iran è contrario). Inoltre, la Russia sostiene la necessità di istituire a Baku (capitale dell’Azerbaigian) un centro specializzato per il monitoraggio del bacino del Caspio dal punto di vista ambientale ed ecologico. Dal punto di vista russo, alla definizione dello status giuridico del mar Caspio è direttamente collegata la proposta della costituzione di una flotta a garanzia delle acque e dei transiti. Fortemente sensibile alle diverse declinazioni della sicurezza eurasiatica, Mosca si è fatta promotrice fin dal 2005 di un’iniziativa tesa alla costituzione di una forza navale, denominata CASFOR, che dovrebbe garantire il controllo sulla legalità dei traffici marittimi del Caspio anche in funzione antiterrorismo, sul modello della Rivista Marittima-Marzo 2010 BLACKSEAFOR (4) attiva sul mar Nero. L’Azerbaigian riconosce al Caspio la condizione di mare chiuso, al quale applicare la disciplina della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, giungendo ad affermare persino nella Carta costituzionale la necessità di dividere il mare in settori nazionali sui quali ciascun rivierasco possa esercitare la propria sovranità. Poiché i trattati tra Unione Sovietica e Iran non affrontavano la questione della divisione dei fondali, l’Azerbaigian ne contesta la possibile attualità, ribadendo la necessità di una nuova disciplina pattizia. Dello stesso avviso è il Kazakhstan, secondo il quale quei trattati sono manchevoli nella parte più necessaria, vale a dire quella che disciplina l’estrazione delle risorse naturali e propone una divisione in settori nazionali basati sul principio della linea mediana delle acque. Per molti aspetti 51 Il bacino del Mar Caspio la posizione kazaka è simile a quella azera. Non dissimile è pure la posizione del Turkmenistan, che propone la divisione del fondo marino sulla base della linea mediana, insistendo comunque sulla definizione di una fascia di 47 miglia di interesse economico per gli stati rivieraschi, suggerendo di utilizzare lo spazio oltre quella fascia di comune accordo (5). Riflessioni conclusive L a partita giocata intorno al bacino del Caspio va necessariamente inserita all’interno del gioco più ampio che coinvolge gli interessi energetici della complessità dei paesi che a quelle risorse attingono. Le esigenze della sicurezza energetica europea chiedono con insistenza un rafforzamento dei flussi provenienti da quell’area, flussi liberi dal controllo dei colossi energetici russi. Di qui la ratio del già attivo gasdotto BTC (Baku-Tblisi-Ceyan) e del più ambizioso Nabucco, il progetto di costruzione di una pipeline che dall’area caspica porti in Europa gas coinvolgendo il maggior numero di produttori dell’area ed evitando il transito sul suolo russo. Si tratta di un progetto che rischia, data la complessità della gestione del consorzio che dovrebbe implementarlo, di definire i ruoli di ciascuna parte quando già le risorse saranno abbondantemente sfruttate e deviate verso oriente. È, infatti, verso la Cina che è diventato operativo un nuovo gasdotto nel mese di dicembre 2009, che coinvolge Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakhstan nella duplice veste di paesi fornitori e di transito. Sembrerebbe proprio che grandi capacità negli investimenti, rapidità nell’esecuzione dei progetti, agevolazioni logistiche dovute a una clemenza geografica che manca sulla sponda occidentale rendano le rotte orientali di estremo interesse per i produttori dell’area e motivo di apprensione per i consumatori occidentali. n NOTE: (1) Bülent Gökay, «Petrolio e geopolitica nel bacino del Mar Caspio», volume IV/Economia, Politica e Diritto degli Idrocarburi, http://www.treccani.it/export/sites/default/Portale/sito/altre_aree/Tecnologia_e_Scienze_applicate/enciclopedia/italiano_vol_4/423-430_x8.2x_ita.pdf (consultato il 14 gennaio 2010). (2) Mahmoud Ghafouri, «The Caspian Sea: Rivalry and Cooperation», Middle East Policy, volume XV, numero 2, Summer 2008, pp. 81-96. (3) Barbara Janusz, «The Caspian Sea. Legal Status and Regime Problems», Chatam House-Russia and Eurasia Programme, August 2005, www.chathamhouse.org.uk/. (4) Black Sea Naval Co-operation Task Group http://www.photius.com/blackseafor/. (5) Michal Ondrejãik, «The legal status of the Caspian Sea», Central and Eastern European Watch, 16.10.2008, pp. 1-33. 52 Rivista Marittima-Marzo 2010