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Il Mare Corto - Cooperazione Italiana
un mensile diretto da Aldo Bonomi 2010 settembre 45 il Mare Corto Il Mare Corto Italia-Albania, storie di sviluppo e di cooperazione Pierpaolo Ambrosi, Elisabetta Belloni, Aldo Bonomi, Ardian Civici, Saba D’Elia, Aldo Cibici, Giuseppe De Rita, Flavio Lovisolo, Alessandro Laterza, Gianfranco Marzocchi, Alessia Montanari, Ferdinand Poni, Marco Ranieri, Maurizio Regosa, Genc Ruli, Sherefedin Shehu, Selami Xhepa 45 2010 Ambasciata d'Italia a Tirana Comitato scientifico Direzione Comitato di redazione Promotori Giuseppe De Rita (presidente), Alberto Abruzzese, Giulio Albanese, Alessandro Azzi, Gian Paolo Barbetta, Pierpaolo Baretta, Pietro Barcellona, Lea Battistoni, Paolo Bedoni, Marino Bergamaschi, Ugo Biggeri, Riccardo Bonacina, Aldo Bonomi, Carlo Borgomeo, Massimo Cacciari, Maurizio Carrara, Virginio Colmegna, Giacomo Contri, Riccardo Della Valle, Camillo De Piaz, Giuseppe Dolcini, Luca Doninelli, Johnny Dotti, Giulio Ecchia, Roberto Esposito, Claudia Fiaschi, Carlo Formenti, Giuseppe Frangi, Cesare Fumagalli, Bruno Genovese, Giuseppe Guzzetti, Stefano Marchettini, Sergio Marelli, Salvatore Natoli, Andrea Olivero, Laura Olivetti, Fabrizio Palenzona, Franco Pasquali, Edoardo Patriarca, Silvano Petrosino, Savino Pezzotta, Davide Rampello, Ermete Realacci, Marco Revelli, Enzo Rullani, Marina Salamon, Giuliano Segre, Fabio Terragni, Riccardo Terzi, Marco Vitale, Stefano Zamagni, Flaviano Zandonai Aldo Bonomi (direttore), Stefano Zamagni, Marco Revelli, Riccardo Bonacina, Giuseppe Frangi, Marco Dotti Stefano Arduini (coordinatore), Riccardo Bagnato, Linda Barsotti, Simone Bertolino, Francesco Cancellato, Cristiana Colli, Salvatore Cominu, Sara De Carli, Claudio Donegà, Sergio Gatti, Daniele Germignani, Albino Gusmeroli, Rosa Rossini, Joshua Massarenti, Giulio Mauri, Maurizio Regosa, Daniela Romanello, Luca Romano Acri, Acli, Aiccon, Aisac, Aism, Associazione Enzo B, Associazione Trenta ore per la Vita, Atlha, Avis sede nazionale, Cesvi, Confartigianato, Confcooperative, Federsolidarietà, Confederazione nazionale Coldiretti, Consorzio Cgm, CdO - Opere sociali, Federazione Alzheimer, Federazione italiana delle BCC, Fondazione Aiutare i bambini, Fondazione Cariplo, Fondazione Casa della Carità, Fondazione Don Gnocchi, Fondazione Dynamo, Fondazione Exodus, Istituto Cortivo, Lega autonomie locali, Lega del Filo d’Oro, Movimento Consumatori, Unicredit “Communitas” periodico mensile - Già EF - Etica Finanza settembre 2010 - Anno X Vita Altra Idea Soc. Coop., via Marco d’Agrate 43 - 20139 Milano Registrazione del Tribunale di Milano n. 382 del 25 giugno 2001 La testata usufruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 Direttore editoriale: Riccardo Bonacina Direttore responsabile: Giuseppe Frangi Progetto grafico: Leftloft Cura redazionale: Daniela Romanello Stampa: Arti Grafiche Fiorin via del Tecchione 36 - 20098 Sesto Ulteriano (MI) Sped. in A. P. - Art. 1 c. 1 L. 46/04 - DCB Milano Stampato su carta riciclata al 100% e confezionato in bioplastica Mater-bi Prezzo di copertina: euro 7 ISBN 978-88-95480-00-8 ISSN 1825-4993 Abbonamento annuale Italia (9 numeri): euro 50 È un’iniziativa editoriale un mensile diretto da Aldo Bonomi 2010 settembre Il Mare corto Italia-Albania, storie di sviluppo e di cooperazione 45 SOMMARIO Introduzione Riccardo Bonacina 7 Nota di edizione Genc Ruli 11 Sviluppo dei territori, è ora di riequilibrare Saba D’Elia 17 Cooperazione, dal 1991 al futuro Ferdinand Poni 21 Due popoli, un mare, un’amicizia Editoriale Flavio Lovisolo 27 Italia-Albania, una cooperazione con grandi possibilità Analisi e prospettive Giuseppe De Rita Aldo Bonomi Alessandro Laterza Marco Ranieri 39 Sviluppo locale e modernizzazione dell’Italia 49 Le quattro fasi dello sviluppo italiano 63 Territori di prossimità scambio e sviluppo 71 Il settore privato in Albania SOMMARIO Artan Fuga 95 Lo sviluppo agrario e rurale in Albania Adrian Civici 107 Le politiche si sviluppo rurale in Albania Selami Xhepa 119 Un nuovo focus per le politiche industriali Sherefedin Shehu 133 Sviluppo regionale e finanze local Alessia Montanari 143 Le risorse della migrazione Maurizio Regosa 175 Lapraka, una storia di cooperazione Pier Paolo Ambrosi 185 Così nacque la Caritas Albania Franco Marzocchi 195 Cantiere legislativo, presto l’impresa sociale Il Commento Elisabetta Belloni 203 Non più beneficiario ma Paese partner NOTA DI EDIZIONE di Riccardo Bonacina Comitato di direzione di Communitas L’ Albania è uno dei Paesi dell’area balcanica che hanno raggiunto lo status di potenziali candidati all’Unione Europea compiendo negli ultimi anni considerevoli passi verso lo sviluppo economico e sociale. L’ultimo decennio in particolare è stato caratterizzato da una crescita economica sostenuta e costante, che ha cambiato le condizioni di vita della popolazione e ridotto la diffusa povertà. Dai primi anni 90 sono state realizzate importanti riforme strutturali ed il Paese, nonostante la battuta d’arresto del 1997-98 dovuta al collasso del sistema delle “piramidi finanziarie”, ha registrato notevoli progressi in campo politico ed economico raggiungendo una relativa stabilità. Il decentramento amministrativo in Albania, avviato già nei primi anni 2000, è stato fortemente stimolato dalla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione con l’Unione Europea del 2006. L’accelerazione del processo d’integrazione con l’Unione ha, infatti, comportato la necessità di ridisegnare le strutture amministrative locali, rivedendo la divisione di competenze e funzioni di quest’ultime in relazione al governo nazionale. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 7 NOTA DI EDIZIONE Tale processo, di fatto irreversibile, si è innestato in un contesto caratterizzato da forti disparità nello sviluppo territoriale. Il divario regionale, misurato in termini di povertà assoluta, di accesso ai servizi essenziali e ai sistemi primari di educazione e più in generale di tassi di crescita economica e conseguente tasso di occupazione, ha avuto come effetto immediato l’incremento dei flussi migratori interni e verso i Paesi limitrofi. Nonostante l’impatto positivo per i bilanci dei singoli nuclei familiari, i flussi finanziari derivanti dalle rimesse degli immigrati all’estero hanno prodotto al contempo alti consumi, senza però determinare nuovi investimenti produttivi. Analogamente l’esodo dalle campagne verso le città principali non si è accompagnato ad un adeguato processo di nuova industrializzazione. Il processo di decentralizzazione in Albania negli ultimi dieci anni è stato sostenuto dai diversi “donatori” internazionali; sono stati realizzati infatti azioni e programmi sia su scala locale, promuovendo la partecipazione allargata ai processi decisionali che intervengono sulle comunità territoriali, sia su scala nazionale, assistendo i ministeri e il governo nella pianificazione delle strategie di sviluppo locale. In questo contesto, la Cooperazione italiana ha dato e continua ad offrire il proprio contributo tecnico e finanziario soprattutto attraverso il supporto alle agenzie locali di sviluppo. Contraddizioni analoghe a quelle descritte hanno attraversato la società italiana fino a non molti anni fa e ancora persistono in alcuni casi e sotto diverse forme. Molte sono anche state le risposte che nel corso degli anni la società italiana ha dato alla sfida di produrre il proprio sviluppo. Fra queste certamente è da considerare lo sviluppo locale, inteso come un miglioramento qualitativo delle condizioni di vita di una popolazione nel suo territorio, attraverso lo sviluppo delle sue capacità (capacity development)di programmare e gestire gli investimenti, incrementare le proprie capacità produttive ed i propri redditi ma anche la qualità della propria vita in generale. 8 RICCARDO BONACINA Guardare all’evoluzione della concezione e della pratica dello sviluppo locale in Italia ha una finalità che non è puramente accademica, ma è giustificata, in primo luogo, dalla consapevolezza che non è possibile comprendere le soluzioni adottate ignorandone la matrice storica e che solo attraverso questa conoscenza è possibile proporre tale esperienza ad altri. Sulla base di queste riflessioni la Conferenza sullo sviluppo locale promossa nell’aprile 2010 a Tirana ha avuto lo scopo di rappresentare agli interlocutori albanesi le esperienze italiane individuando nella capacità di “lettura” di un territorio e delle vocazioni di sviluppo che esso esprime una traccia comune alle diverse teorizzazioni e ai conseguenti modelli prodotti. Questa capacità e gli strumenti metodologici ad essa sottesi possono risultare utili per i processi di sviluppo in atto in Albania. Una conferenza di cui questo numero di Communitas restituisce i materiali fondamentali. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 9 PER UNO SVILUPPO EQUILIBRATO Diviene imperativo, essendo tutti interessati ad un grande obiettivo strategico quale è l’Unione Europea, realizzare l’integrazione, al nostro interno, di tutta l’Albania con uno sviluppo di qualità, sostenibile e senza squilibri tra diversi territori. Ma questo sviluppo bilanciato può essere raggiunto solo se ci si appoggia fortemente sulle risorse e sulle capacità interne delle stesse regioni e degli loro attori di Genc Ruli ministro dell’Agricoltura, Alimentazione e Protezione del consumatore N on mi ero preparato ad essere io ad aprire i lavori della conferenza, ma vorrei innanzitutto ringraziare gli organizzatori, in particolare l’Ambasciata d’Italia, che all’interno di questa maratona di successo, come io la definirei, nell’ambito della stagione degli eventi italo-albanese, ha pensato di includere anche il dibattito su un tema così importante, come quello dello sviluppo locale e della valorizzazione del territorio. Si tratta di un tema oggetto di frequenti dibattiti dell’ultimo decennio, in particolare nei Paesi membri dell’Unione Europea. Un tema che si sta facendo spazio sempre di più negli approcci e nelle politiche di sviluppo di questi Paesi. È per l'Albania il momento opportuno per parlare di un tale tema? Certamente, direi. Credo non sia né presto né tardi per parlare di questo tema e per farlo entrare nei nostri programmi di politiche per lo sviluppo. L’Albania ha fino ad oggi avuto sicuramente un’agenda in cui prevalgono le riforme trasformative della transizio- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 11 PER UNO SVILUPPO EQUILIBRATO ne e dei processi di sviluppo economico, e, più recentemente, a ritmi ben più stringenti, anche i processi e le riforme relativi al percorso di integrazione. In generale, questo ampio quadro di riforme - che non per forza guarda ad uno sviluppo sostenibile e di qualità ma più ad uno sviluppo rapido dell’economia - ha registrato un considerevole progresso in più settori. Credo siamo tutti spettatori, e forse anche attori, di questi enormi cambiamenti avvenuti in Albania nelle ultime due decadi. Si rileva tuttavia che i grandi cambiamenti positivi, sociali ed economici registrati in Albania nel’ultimo ventennio sono stati accompagnati anche da una forte differenziazione fra le regioni in via di sviluppo, fra le regioni del Paese, fra i diversi territori del Paese, dove le zone urbane e quelle costiere si sono sviluppate con ritmi molto più rapidi ed elevati rispetto a quelle remote, rurali e montane. Quindi, la differenziazione nello sviluppo, la differenziazione nella concentrazione dei beni, è evidente. L’Albania anche nel precedente periodo del regime socialista aveva una tale differenziazione negli sviluppi regionali. Certo è che i grandi movimenti demografici di questi ultimi vent’anni sono uno dei fattori che hanno fortemente influito sulle rapide riallocazioni, in massa ed istintive, del capitale da parte anche dei privati e, d'altro canto, l’indirizzo di tutte le energie dello Stato e della politica in primo luogo nelle grandi riforme per la liberalizzazione e la trasformazione dell’economia non potevano fare da contrappeso per ottenere, presto e durante lo stesso processo di rinnovazione, uno sviluppo sostenibile ed equo, ossia parallelo, di tutte le regioni. L’Albania non è certamente il primo Paese ad affrontare una tale realtà. Potremmo far riferimento alla storia, non molto remota, direi degli ultimi 50 o 40 anni, anche dei Paesi vicini all’Albania, quale l’Italia stessa, dove in realtà lo sviluppo sproporzionato fra le regioni è stato forse per la politica il problema principale e all’ordine del giorno. In questi ultimi vent’anni abbiamo notevolmente migliorato anche le politiche per lo sviluppo, le politiche adottate dallo Stato 12 GENC RULI nell’intento di guardare sempre più alle visioni ed ai programmi strategici a lungo termine. Oggi, quasi ogni settore dell’economia albanese ha la sua piattaforma economica di sviluppo. Naturalmente, le politiche e le misure sono molto importanti per la creazione di un quadro, di una cornice nazionale di sviluppo. Ma a livello locale, non si produce immediatamente il prodotto atteso se non si riesce ad agire in modo integrato negli approcci intersettoriali e senza coordinare al meglio gli sforzi in merito. È chiaro che diviene imperativo per noi oggi, essendo tutti interessati ad un grande obiettivo strategico quale è l’integrazione nell’Unione Europea, realizzare l’integrazione, al nostro interno, delle regioni o dei territori albanesi con uno sviluppo di qualità e sostenibile e senza grosse differenze fra di loro. Tuttavia, direi che questo sviluppo sostenibile e bilanciato può essere raggiunto solo se ci appoggiamo fortemente sulle risorse e sulle capacità interne degli stessi territori, delle stesse regioni, delle stesse autorità e degli attori che operano in questi territori. In effetti, perché le istituzioni del governo centrale o nazionale e le loro politiche possano avere un ruolo importante nello sviluppo bilanciato locale, occorre muoversi in primo luogo creando un clima favorevole al business in tutto il territorio nazionale, in secondo luogo migliorando l’accesso alle infrastrutture soprattutto nelle zone o regioni meno sviluppate o più arretrate, tramite l’attuazione di differenti meccanismi di promozione, soprattutto finanziari, nonché promuovendo le reti verticali di trasformazione interistituzionale. Spetta però alle stesse autorità locali garantire il buon funzionamento, la valutazione e l’ulteriore promozione delle proprie risorse. Occorre che teniamo presente che in questo sviluppo non equo, sproporzionato, le regioni più arretrate sono tali non perché private delle risorse naturali - perché in molti casi è il contrario-, ma perché sono più che altro private di risorse umane qualificate, le quali si sono spostate, quasi calamitate, verso le zone di sviluppo, verso le zone urbane. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 13 PER UNO SVILUPPO EQUILIBRATO Certamente questo approccio di sviluppo locale e valorizzazione delle risorse e delle capacità di ciascun territorio diviene ancora più necessario nell’ambito dell’ottica dello sviluppo rurale. È vero che l’agricoltura rappresenta oggi la principale attività economica per la popolazione che vive nelle zone rurali. Considerevoli sforzi, specie negli ultimi 4-5 anni, sono stati e vengono compiuti dai governi a sostegno di questo settore. Si potrebbe accennare al continuo aumento dei fondi a sostegno degli schemi di supporto diretto, sia con investimenti, sia con aiuto diretto all’azienda agricola tramite lo schema che stiamo cercando di applicare per promuovere ed agevolare il credito agricolo, l’attivazione delle infrastrutture di base dell’agricoltura, specie quella di irrigazione e drenaggio, la costruzione di mercati e macellerie, del mercato del marketing agricolo o in tema di miglioramento della sicurezza alimentare. Nonostante il supporto sempre maggiore dello Stato a favore dei questo settore, lo sviluppo sostenibile e bilanciato delle zone rurali non può tuttavia essere raggiunto solo attraverso lo sviluppo dell’economia agricola, specie nelle remote zone rurali e montane, in cui le stesse potenzialità di sviluppo agricolo sono limitate, sia in termini di superficie di terreno agricolo che in termini di condizioni climatiche o di accesso assai limitato al mercato. Dunque lo sviluppo di queste zone richiede un approccio di sviluppo più ampio, interterritoriale e, direi, più innovativo. In primo luogo per garantire la valorizzazione delle diverse risorse alternative delle zone rurali, sia umane che naturali, un servizio più efficace dei valori, direi dei valori autoctoni delle zone ruralu, nonché dei valori ecologici, intendendo con ciò la biodiversità, l'alimentazione più sana, l'aria pulita, i valori e beni culturali, il folclore, la tradizione, l'artigianato, il modo di vivere ed i valori comunitari, la rete sociali dei rapporti, i rapporti comunitari, ed anche i rapporto premoderni che ancora hanno quelle società che potrebbero avere una loro utilità anche nei tempi degli sviluppi moderni, lo sfruttamento più efficace degli sviluppi multifunzionali di queste risorse, il migliore col- 14 GENC RULI legamento dell’agricoltura aziendae con il turismo, l’agriturismo o con altre attività economiche. In realtà, sono questi anche i punti di orientamento dell’attività del ministero da me presieduto che sta ora rivisitando le politiche e le misure da adottare per lo sviluppo rurale del futuro, essendo stato investito del ruolo chiave per la strategia dello sviluppo rurale. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 15 COOPERAZIONE, DAL 1991 AL FUTURO Guardare all’evoluzione della concezione e della pratica dello sviluppo locale in Italia ha una finalità non puramente accademica, ma giustificata dalla consapevolezza che non si possono comprendere le soluzioni adottate ignorandone la matrice storica e solo attraverso questa conoscenza è possibile proporre tale esperienza ad altri. L’obiettivo, con la firma del nuovo Protocollo di cooperazione, è affiancare l’Albania nel processo di integrazione europea saluto di Saba D’Elia Ambasciatore d’Italia a Tirana L a conferenza, organizzata nel quadro degli eventi attraverso cui la Cooperazione italiana del ministero degli Affari esteri si racconta e racconta quanto fatto per sostenere i partner albanesi negli ultimi vent’anni, si propone di analizzare il percorso del processo di sviluppo italiano e quali di queste esperienze possono essere utili per riflettere assieme sullo sviluppo albanese. Tra queste, certamente ha una particolare importanza lo sviluppo locale inteso come un miglioramento qualitativo delle condizioni di vita di una popolazione nel suo territorio, attraverso la crescita delle sue capacità di programmare e gestire gli investimenti, incrementare le proprie capacità produttive e i propri redditi. Guardare all’evoluzione della concezione e della pratica dello sviluppo locale in Italia ha una finalità che non è puramente accademica, ma che è giustificata, in primo luogo, dalla consapevolezza che non si possono comprendere le soluzioni adottate ignorandone la COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 17 TITOLO ARTICOLO matrice storica e solo attraverso questa conoscenza è possibile proporre tale esperienza ad altri. Gli strumenti della programmazione negoziata, adottati anche in ambito europeo, e le invenzioni più genuinamente italiane, come i patti territoriali ed i distretti industriali, hanno infatti radici profonde nella riflessione e nel continuo lavoro di ricerca di un insieme vario di intellettuali, operatori sul campo, animatori italiani che hanno cercato di affermare il primato dell’analisi del locale in contrapposizione al modello centralistico. Oggi qui a Tirana ci sono certamente i più autorevoli tra questi intellettuali e ci potranno certamente aiutare nel comprendere i punti nodali del processo che ha plasmato i modelli italiani di sviluppo locale, ed analizzare insieme agli autorevoli relatori albanesi quanto ci sia di effettivamente riproponibile in una società ed economia in transizione come l’Albania. L’impegno della Cooperazione italiana a sostegno dello sviluppo albanese compie vent’anni, ed è stato riconfermato nel nuovo Protocollo bilaterale di cooperazione, firmato lo scorso 12 aprile in occasione della visita del ministro Frattini. Il Protocollo guiderà la programmazione dei prossimi interventi della Cooperazione italiana per il periodo 2010-2012, con l’obiettivo generale di sostenere l’Albania nel processo di integrazione europea. La Cooperazione italiana concentrerà i nuovi investimenti solo in tre settori, concordati con i nostri partner albanesi: lo sviluppo rurale, lo sviluppo sociale e lo sviluppo del settore privato. Rinnoveremo quindi il nostro impegno attuale nella promozione della piccola e media impresa, che rappresenta - in Albania come in Italia - un volano essenziale per la crescita economica e il sostegno all’occupazione. Il nuovo Protocollo prevede pertanto il rifinanziamento di importanti iniziative già in corso: la linea di credito e il fondo di garanzia in favore delle piccole e medie imprese. Agli attuali 27,5 milioni di euro se ne aggiungeranno altri 15, portando così la disponibilità complessiva del programma a 42,5 milioni di euro. 18 SABA D’ELIA Rinnoveremo ugualmente il nostro tradizionale impegno a sostegno delle politiche sociali, con l’obiettivo di favorire il più ampio accesso possibile a servizi socio-educativi e socio-sanitari di elevata qualità. Abbiamo scelto per questo settore uno strumento fortemente innovativo: la conversione del debito. Si tratta di una formula per la quale l’Italia “rinuncia” al ripagamento di una parte del debito contratto dall’Albania; questo mancato ripagamento viene quindi “convertito” in fondi che il governo albanese userà per finanziare iniziative di sviluppo concordate con la Cooperazione italiana. Il programma - il primo di questo genere in Albania - finanzierà quindi interventi a sostegno delle politiche di sviluppo sociale per un ammontare di 20 milioni di euro. Il nuovo Protocollo segna inoltre un’apertura importante al mondo dell’agricoltura e dello sviluppo rurale. Lo sviluppo rurale rappresenta una priorità del processo di integrazione europea; in questa fase di “pre-adesione”, l’Albania è chiamata a dotarsi di misure e strumenti operativi che le consentano, nel prossimo futuro, di gestire le politiche di sviluppo rurale di tipo europeo. Abbiamo quindi scelto di sostenere il governo albanese con un programma di modernizzazione del settore agricolo per 10 milioni di euro; il programma finanzierà il potenziamento delle strutture del ministero dell’Agricoltura preposte alla gestione dei fondi europei, così come diverse iniziative a sostegno delle imprese agricole. Colgo l’occasione di questo saluto istituzionale per esprimere il mio auspicio che il Protocollo di cooperazione possa affiancare l’Albania nelle restanti tappe del processo di integrazione europea, mirando a promuovere un processo di sviluppo veramente sostenibile in accordo con il principio europeo di sussidiarietà, rendendo le amministrazioni locali e regionali soggetti promotori della crescita economica e sociale. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 19 DUE POPOLI, UN MARE UN’AMICIZIA Questo slogan deve diventare allo stesso tempo un pensiero, un’idea ed una piattaforma d’azione, una piattaforma attiva che produce dei risultati concreti per le istituzioni, per il pensiero filosofico, per il pensiero universitario, per la vita pubblica. Quella italiana è un’esperienza che ci va a genio, non solo per la vicinanza geografica, ma perché e soprattutto vi è una vicinanza spirituale, mentale e morale. È l’opportunità che abbiamo di essere europei partendo dai più vicini saluto di Ferdinand Poni vice ministro degli Interni dell’Albania S ua eccellenza ambasciatore, onorevole ministro, autorevoli professori, amici, deputati, sono felice di rivolgermi ad un auditorio così prestigioso, così ben scelto, ben organizzato. Mi sento davvero onorato a rivolgermi ad un panel di così grande qualità, e di parlare di un tema così rilevante, quello della qualità dello sviluppo sostenibile e dello sviluppo solido locale, della prosperità dell’Albania, della nostra regione e dell’Europa Unita, parte integrale della quale vorremo essere anche noi, una priorità questa formulata molto chiaramente dalla società albanese e dal suo governo. Vorrei esprimere per prime parole di apprezzamento e stima nei confronti dell’ambasciata d’Italia, dei suoi collaboratori, dei padri del pensiero teorico sullo sviluppo, per tutti coloro che fanno sì che lo slogan «Due popoli, un mare, un’amicizia» sia allo stesso tempo un pensiero, un’idea ed una piattaforma d’azione, una piattaforma attiva che produce dei risultati concreti per le istituzioni, per il pensiero filosofico, per il pensiero COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 21 TITOLO ARTICOLO universitario, per la vita pubblica e quella locale in particolare. Vorrei inoltre sottolineare che gli eventi che hanno luogo all’interno di questa stagione, frutto dell’impegno e dell’opera dell’ambasciata d’Italia, della Cooperazione italiana allo sviluppo, sono visti come un’indispensabilità, un modo per far vedere un’Albania come un polo attrattivo ed interessante, aperta a cooperare con tutti i soggetti. Credo sia altrettanto interessante anche l’idea di un terreno comune in cui si può discutere di uno sviluppo sostenibile multidimensionale, in una fase soddisfacente per gli sforzi compiuti finora della società albanese, specie negli ultimi anni, per orientarsi verso questo terreno comune. A mio avviso, il trasferimento delle priorità nella società albanese, nel contesto albanese, dalla riduzione della povertà, come negli anni 99-2000, che i governi precedenti declamavano con tanto di pathos e, forse, anche senza alcun risultato, in priorità che guardano allo sviluppo sostenibile ovunque è assai incoraggiante. Ci troviamo tuttavia in una fase in cui il mercato si presenta più consolidato anche per via degli impetuosi sviluppi che l’Albania ha registrato. Abbiamo già dato eccellente prova, e qui mi assocerei alle parole del ministro Ruli, di aver fatto uso di determinati strumenti utili, che si sono rivelati proficui ed efficaci persino nelle circostanze di una crisi globale. Mi riferisco qui alla decurtazione dei costi amministrativi, ad una maggiore presenza di investimenti pubblici, ad una maggiore percorribilità del territorio ed al coraggio di avviarsi verso quei mercati che dovrebbero assistere l’Albania e la regione, quali i mercati dell’energia, del turismo e così via. Un armonico processo di integrazione, un processo consolidato di integrazione e sviluppo devono sicuramente tenere in considerazione, evidenziare e cogliere quelli che mi piacerebbe definire i vantaggi e le sfide del decentramento. Condivido anch’io l’idea che una delle più grandi lezioni dell’incontro di oggi è che gli sforzi raccontati ed evidenziati da tutti noi siano messi in funzione di un processo di sviluppo consolidato, capillare ed esteso, che porterebbe ad un controllo 22 FERDINAND PONI migliore del territorio. Non mi riferisco certo qui al controllo edilizio o meno, ma al controllo del territorio in tema di allocazione fondi e disposizione di investimenti, di dove vanno posizionati gli istituti educativi, del modo in cui possono essere supportate le risorse umane affinché possano servire al mercato, ecc. Ho l’impressione che l’attenzione più grande sia alle istituzioni sia alle nostre risorse umane e finanziarie, anche a livello locale, costituisce un solido pilastro che garantirebbe lo sviluppo sostenibile. Questa piattaforma di uno scambio o trasferimento di conoscenze, perché no, anche di una compatibilità massimale fra il pensiero teorico e gli sforzi dell’esperienza delle best practices, nonché degli esempi cattivi e dei fallimenti, dimostra che saggio è quel capitano che evita i pericoli e sa bene dove la sua nave potrebbe scontrarsi o incagliarsi. È un’esperienza, quella italiana, che ci va a genio, non solo per la vicinanza geografica, ma perché e soprattutto vi è una vicinanza spirituale, mentale e morale. È l’opportunità che noi abbiamo di cominciare ad essere più vicino al mercato partendo dalla distanza più vicina. È altrettanto importante considerare e valutare razionalmente le ricette o le soluzioni altrui. Quale formula dovremmo usare? Quanto dovremmo essere attenti al processo e agli attori? In che modo dovremmo trattar loro e quale livello di rapporti dovremmo instaurare? Quando si discute sullo sviluppo in generale e lo sviluppo sostenibile in particolare occorre che ci sia grande flessibilità. Comprendere dove possiamo dare di più, dove possiamo produrre di più, garantire una reazione più rapida e più concreta rispetto al mercato, dove dovremmo intervenire. Gentili signore e signori, abbattere i confini, cambiare lo status quo, il modo di pensare nel contesto di un’economia di mercato globale, è anch’essa un’indispensabilità. Vorrei accennare solo ad una cosa. Quando ci siamo imbarcati nella grande “avventura del decentramento”, era più che normale vedere che le attività classiche, quelle che di solito vengono fatte dal Comune, fossero svolte male o anche molto male. Ebbene, l’Albania è già uscita da questa fase. In COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 23 TITOLO ARTICOLO Albania, le attività classiche che spettano ai Comuni o ai Municipi, sono fatte bene o molto bene. È solo che i nostri sindaci fanno ben poco o nulla per garantire lo sviluppo sostenibile, fanno ben poco o nulla per attirare maggiore attenzione ed aiutare i propri cittadini ad avere un lavoro. Bisogna invece cambiare le cose in questo senso. Occorre innanzitutto cambiare la mentalità di reazione delle istituzioni verso il lavoro, verso il capitale e verso le stesse istituzioni. Vanno radicalizzati gli strumenti amministrativi. Non vedo assolutamente alcun ostacolo nel considerare, per quanto possa sembrare rivoluzionaria questa mia posizione un ruolo di intervento concreto per i nostri Comuni, per le nostre istituzioni, nel costruire cooperazione, comunale, interregionale o nell’adottare quegli strumenti comunitari a miglioramento della nostra normativa e che consentono al Comune, alla Regione ed alle loro istituzioni, di produrre sviluppo sostenibile, occupazione, di utilizzare il proprio budget attraverso nuovi e più efficaci strumenti. Io credo che così riusciremmo a dare al processo una straordinaria vitalità, la vitalità che riesce a dargli una maggiore attenzione dei cittadini e che - come accennava prima l’ambasciatore - darà al processo lo splendore della partecipazione condivisa dei cittadini nel processo decisionale. È assai difficile chiedere ad un cittadino di Valona di partecipare ad una decisione da prendere a Pogradec, e viceversa ad un cittadino di Durazzo di partecipare ad una decisione che interessa le zone montane. Ed è altrettanto importante la riforma strutturale per alcune grandi priorità. Sì, condividiamo che spesso non si tratta di priorità di un singolo settore, di priorità del governo, ma invece di tutta la società, e come tali vanno tenute presenti. Lotta senza compromesso alla corruzione, semplificazione delle nostre strutture burocratiche, ammodernamento dei nostri servizi, agevolazione all’imprenditoria ovunque essa sia. Noi dovremmo ammodernare e consolidare la partecipazione dei cittadini, e quando parlo di partecipazione cittadina mi riferisco a quei gruppi di interesse che non sempre prendono parte in questo 24 FERDINAND PONI processo di decisione, che garantisce a sua volta uno sviluppo sostenibile ed in linea con lo sviluppo europeo. In conclusione direi che l’Albania è pronta a sostenere questo splendido clima di amicizia e di supporto. Consentitemi di formulare i miei più alti apprezzamenti all’Italia amica, alle sue istituzioni ed alla sua rappresentanza in Albania. Grazie. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 25 EDITORIALE ITALIA-ALBANIA, UNA COOPERAZIONE CON GRANDI POSSIBILITÀ Non si possono fare paragoni perché la storia e lo sviluppo non seguono mai la stessa strada, ma molti aspetti accomunano l’Italia del secondo dopoguerra con quanto sta avvenendo oggi in Albania di Flavio Lovisolo Dal luglio 2006 al luglio 2010 Direttore dell’Ufficio di Cooperazione allo Sviluppo dell’Ambasciata d’Italia a Tirana D urante la cerimonia per la firma del nuovo Protocollo di Cooperazione allo sviluppo firmato a Tirana nell’aprile 2010, il premier albanese Sali Berisha ha detto che l’Albania non è un grande Paese ma un Paese di grandi possibilità. Effettivamente la voglia di crescere e di affermarsi di questo Paese è forte ed esprime una energia che forse in Italia abbiamo conosciuto solo negli anni 60. Certo, non si possono fare paragoni per mille motivi e soprattutto perché la storia e lo sviluppo non seguono mai la stessa strada, ma molti aspetti accomunano l’Italia del secondo dopoguerra con quanto sta avvenendo in Albania; la voglia di affermazione e di rivincita personale, l’esodo dalle campagne e il processo EDITORIALE di urbanizzazione, l’incidenza dell’emigrazione con il correlato aumento dei redditi famigliari, la corsa verso le nuove tecnologie, i consumi e la voglia di modernizzazione, l’esigenza di una casa, di una educazione che riscatti e che dia altre possibilità oltre al sapere, la scoperta dell’impresa, del rischio e della condivisione famigliare di questo rischio, la consapevolezza del proprio grado di vulnerabilità, come spesso hanno coloro che vengono dal rurale e da un periodo di grandi privazioni. Proprio il parallelo tra l’Italia di qualche decennio fa e l’Albania ci ha guidato nel realizzare una serie di eventi che la Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari esteri italiano ha organizzato tra l’aprile ed il maggio 2010 a Tirana. Abbiamo infatti voluto informare sulle attività finanziate dalla Cooperazione italiana, ma anche animare il dibattito su molti temi riguardanti lo sviluppo, facendo intervenire dei relatori italiani che potessero portare la loro testimonianza sulla nostra storia sociale ed economica, per valutare congiuntamente con gli amici albanesi come affrontare le prossime sfide legate alla crescita di questo Paese. Abbiamo anche realizzato una rassegna cinematografica per sottolineare questo rapporto; per far vedere l’Italia degli anni 60/70 attraverso le opere di De Sica, Visconti, Zampa, Rosi, Blasetti, Fellini e Wertmüller; si è così avuta l’occasione di riflettere con gli amici albanesi su quanto l’Italia ha saputo realizzare in quegli anni. La Cooperazione italiana allo sviluppo del ministero degli Affari esteri ha incominciato ad operare in Albania nei primi anni 90, accompagnando la società e l’economia albanese verso la democrazia e l’economia di mercato, aiutandola nell’intraprendere il percorso dell’integrazione europea. L’impegno è stato ed è importante, con oltre 650 milioni di euro investiti in vent’anni a cui si devono aggiungere i 51 milioni dell’ultimo Protocollo di cooperazione allo sviluppo firmato a Tirana dal ministro degli Affari esteri italiano e dal vice Primo ministro albanese il 12 aprile scorso. L’Italia attraverso la Cooperazione allo sviluppo rappresenta 28 COOPERAZIONE DALLE GRANDI POSSIBILITÀ attualmente il primo partner bilaterale ed il secondo donatore in assoluto dopo l’Unione Europea. Questo importante ruolo non è tuttavia sostenuto solo dai dati ufficiali e dalle statistiche pubblicate. È evidenziato dalle numerose ong, associazioni, università, municipalità, Regioni, Province italiane che hanno operato e che continuano ad essere presenti a fianco dei loro partner albanesi. La solidarietà espressa dall’Italia in questi anni ha certamente dato un valore ai rapporti tra i due Paesi che nessuna statistica potrà rappresentare ma che è fortemente sentito dalla popolazione albanese ed italiana e costituisce un forte punto di riferimento per ogni azione comune. Anche su queste considerazioni è nata la volontà di testimoniare quanto la Cooperazione italiana ha fatto in vent’anni in Albania, con la consapevolezza che la comunicazione delle attività di cooperazione allo sviluppo promuove la diffusione di una cultura della solidarietà, accresce la visibilità delle iniziative, garantisce una maggiore trasparenza nella loro gestione, favorisce la partecipazione dei beneficiari e diventa uno strumento fondamentale di rafforzamento delle azioni svolte. Comunicare la cooperazione significa anche incoraggiare il dialogo, la partecipazione e la crescita della società civile, rafforzando le sue capacità di analisi sui limiti allo sviluppo ed individuando le possibili risposte. Comunicare vuol dire anche coinvolgere la cittadinanza, non solo nella fase di realizzazione, ma anche nella fase di identificazione e preparazione delle iniziative. Tra i 17 eventi organizzati, particolare rilievo ha avuto la conferenza riguardante lo sviluppo locale, di cui troverete in questo numero di Communitas numerose testimonianze. L’organizzazione di questa conferenza aveva due principali obiettivi. Il primo riconducibile a quanto dicevamo inizialmente. La Conferenza sullo sviluppo locale è forse stata il momento più significativo per dimostrare alcuni punti di similitudine tra l’Italia del secondo dopoguerra e l’Albania di oggi e non potevamo trovare migliore testimonianza degli interventi di Giuseppe De Rita, Aldo COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 29 EDITORIALE Bonomi ed Alessandro Laterza. Abbiamo così voluto rappresentare agli interlocutori albanesi le esperienze italiane individuando nella capacità di “lettura” di un territorio e delle vocazioni di sviluppo che esso esprime una traccia comune alle diverse teorizzazioni e ai conseguenti modelli prodotti. Abbiamo così favorito l’aggregazione di un gruppo di esperti e studiosi albanesi che hanno preparato questa conferenza con molto interesse, per poter analizzare insieme ai relatori italiani il percorso fatto in Italia, gli ostacoli incontrati, i successi e le sconfitte ottenute nell’ambito dello sviluppo locale e le sue eventuali proiezioni future, ma anche valutare lo stato del processo di sviluppo albanese, i primi passi fatti verso la decentralizzazione, le sfide europee e la reale volontà di avviare un modo albanese di fare sviluppo locale. Il secondo obiettivo è stato quello di aprire una porta per far conoscere ai giovani italiani che si occupano e che sono interessati professionalmente alla cooperazione allo sviluppo che c’è una storia e delle riflessioni sullo sviluppo italiano che possono essere di riferimento per il loro lavoro ed impegno internazionale. Il mondo di chi è interessato professionalmente al processo di sviluppo italiano e di coloro che sono impegnati sul tema dello sviluppo internazionale non hanno avuto molte occasioni di parlare tra loro. Solo all’inizio degli anni 60 alcuni intellettuali italiani hanno rivolto la loro attenzione verso il “terzo mondo” - come si diceva una volta - ed alcuni di questi, che avevano partecipato alla riflessione sullo sviluppo italiano e lavorato nelle aree depresse italiane, in seguito hanno collaborato con organizzazioni internazionali, uffici studi e di consulenza che si occupano di sviluppo internazionale. Dopo questo momento iniziale di convergenza - peraltro limitato a pochi casi - le successive riflessioni nate dalla tensione degli anni 70/80 verso lo sviluppo del “terzo mondo” hanno tenuto conto raramente delle analisi fatte per lo sviluppo italiano. Eppure il processo di lettura dello sviluppo locale italiano, di partecipazione e di condivisione sarebbe stato un’importante risorsa di riferimento per chi 30 COOPERAZIONE DALLE GRANDI POSSIBILITÀ opera nei Paesi in via di sviluppo e gli atti della conferenza che si è tenuta a Tirana lo dimostrano. Le attuali analisi sulle piattaforme produttive, sui flussi e i luoghi, fanno riferimento ad una lettura storica dello sviluppo, ed in particolare dello sviluppo locale, che passando dalle diverse esperienze di comunità di Adriano Olivetti e Danilo Dolci, arriva ai Patti territoriali del Cnel di Giuseppe De Rita ed Aldo Bonomi, attraverso anche l’esperienza degli Agenti di sviluppo, intesi come “animatori culturali”, indicati ed analizzati prima da Olivetti e poi dello stesso Aldo Bonomi. Le tappe intermedie di questo percorso possono essere utili per coloro che si occupano di sviluppo soprattutto in Paesi in via di transizione o in quelli definiti come Middle - Income Countries. Gli strumenti della programmazione negoziata, adottati anche in ambito europeo, e le invenzioni più genuinamente italiane, come i patti territoriali, hanno infatti radici profonde nella riflessione e nel continuo lavoro di ricerca di un insieme vario di intellettuali, operatori sul campo, animatori che hanno cercato di affermare il primato dell’analisi del locale in contrapposizione al modello centralistico. La comprensione dei punti nodali del processo che ha plasmato i modelli italiani di sviluppo locale, è necessaria per valutare quanto sia effettivamente riproponibile in una società ed economia in via di sviluppo. Le idee innovative di Giorgio Sebregondi, che già negli anni 50 chiaramente indicava come lo sviluppo deve crearsi all’interno delle singole società storicamente determinate e spazialmente ristrette, che oggi potremmo definire i “luoghi”, potrebbero essere il punto da dove partire per analizzare le potenzialità e gli ostacoli che finiscono per condizionare i processi di sviluppo. Già nei primi anni 50 Sebregondi pensava che molti insuccessi negli interventi di sviluppo derivano dal fatto che non si tiene sistematicamente conto delle implicazioni sociali dell’introduzione di nuovi sistemi economici, non si ricerca l’armonia e la proporzione fra le diverse dimensioni COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 31 EDITORIALE dello sviluppo. Promuovere lo sviluppo significa per Sebregondi non solo attivare trasformazione settoriali, ma anche raccordare tali trasformazioni con i soggetti sociali, con le culture locali, con la storia delle popolazioni. Tutto questo deve essere oggi interpretato ed utilizzato nel giusto modo. È convinzione diffusa che le tappe dello sviluppo italiano non devono essere “copiate” nei Paesi in via di sviluppo o in transizione. Giuseppe De Rita nella Conferenza sullo sviluppo locale di Tirana ha sottolineato che «non possiamo dire: è esportabile, fate come noi; fate come noi vuol dire solo capire quali sono state le idee fondamentali». Le dinamiche che attraversano molti Paesi in via di sviluppo sono forse simili a quelle italiane o almeno ad alcune tappe intermedie del processo di sviluppo italiano, ma non possiamo comunque dimenticare che queste stanno avvenendo oggi e che comunque devono confrontarsi con altre sfide. Aldo Bonomi ha sottolineato nella conferenza di Tirana come sia importante »il governo equilibrato delle dimensione degli spazi territoriali», nella ricerca della giusta relazione tra flussi e luoghi, tra lo sviluppo dall’alto e le spinte che vengono dal basso, tra la globalizzazione ed il localismo, tra la giusta interdipendenza di interessi e la dittatura dei monopoli. Ogni Paese ed ogni società devono trovare quindi il proprio modo di fare sviluppo ma coloro, locali o internazionali, a cui è stato affidato il compito di accompagnare tali processi, dovrebbero alimentare con giusti contributi questo autonomo percorso, facendo anche riferimento alla ricca stagione di riflessioni e di azioni che sono nate negli anni 50 nelle aree depresse italiane e che hanno poi continuato ad accompagnare lo sviluppo italiano fino ai giorni nostri. Questa ricerca di una identità culturale è ancora più forte se si pensa ai meccanismi ed alle “tecnicalità” che dominano oggi la professione di operatore di sviluppo internazionale, sia esso volontario, cooperante od esperto. Tali tecnicalità hanno certamente aiutato gli operatori a razionalizzare un ambito, come quello delle analisi socio- 32 COOPERAZIONE DALLE GRANDI POSSIBILITÀ economiche, che si prestano ad ogni tipo di interpretazione e di dialettica, nascondendo alcune volte scarsi contenuti dietro confuse parole. Tuttavia non si può appiattire la voglia di migliorare le condizioni di vita di una popolazione sui metodi e sulla tecnica, con il rischio di trasformare il pensiero in slogan e caselle da riempire. Questi, tuttavia, forse sono temi che tratteremo in futuro, in un nuovo incontro tra coloro che si occupano di sviluppo nel “terzo mondo” e coloro che raccontano dei processi di sviluppo in atto nel “nostro” mondo. 1990 - 2010 INSIEME PER L’EUROPA LA COOPERAZIONE ITALIANA ALLO SVILUPPO PER L’ALBANIA Per celebrare i vent’anni della Cooperazione italiana in Albania è stato realizzato un programma di eventi con la finalità di favorire il dialogo e la partecipazione sui temi dello sviluppo. Dal 12 aprile al 9 maggio 2010 al Museo storico nazionale di Tirana si è svolta una serie di iniziative dedicate ad informare e analizzare i processi di sviluppo in corso in Albania ed il relativo contributo italiano. Queste iniziative si sono rivolte in modo particolare ai giovani, per poter allargare il più possibile il dibattito in corso in Albania sullo sviluppo del Paese e la sua integrazione europea. L’iniziativa, organizzata dall’ufficio di Cooperazione dell’ambasciata d’Italia a Tirana nell’ambito della più ampia stagione di eventi «Italia - Albania 2010: due Popoli, un Mare, un’Amicizia», si è articolata in 17 tra conferenze e tavole rotonde, una mostra fotografica e una rassegna fotografica. Più di 150 relatori si sono succeduti sul palco della sala congressi e più di 3mila tra ricercatori, funzionari, studenti, insegnanti, educatori, volontari e cooperanti hanno seguito i lavori delle conferenze mentre hanno visitato la mostra fotografica 4.600 studenti di 142 classi di scuole superiori albanesi. Queste le conferenze realizzate: • Sviluppo rurale e valorizzazione del territorio - ong: Vis, Col’or COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 33 EDITORIALE • Cooperazione allo sviluppo e diritti dei minori in Albania - ong: Vis • Alcooltossicodipendenze e modelli di intervento - ong: Fondazione Emmanuel per il Sud del Mondo • Esperienze sull’applicazione della Strategia nazionale sulla migrazione 2005/2010 - organismo internazionale: Organizzazione internazionale per le migrazioni • Incontro tra ong: i legami tra società civile italiana ed albanese Coordinamento ong (Ceses, Caritas, Vis, Cies, Avsi) • Dove siamo? Ricerca sociologica sul quartiere di Kombinat tra immigrazione ed integrazione - ong: Col’or • La disabilità uditiva nel bambino: tra terapia medica e integrazione sociale - ong: Magis • Nuove tecnologie e sviluppo: risultati e sfide nel settore educativo albanese - ong: Ceses • Facilitare l’accesso al credito per le piccole e medie imprese albanesi Ambasciata d’Italia - Ufficio di Cooperazione allo sviluppo • L’esperienza italiana ed albanese: sviluppo locale e valorizzazione del territorio - Ambasciata d’Italia - Ufficio di Cooperazione allo sviluppo • Stato del negoziato di adesione dell’Albania all’Unione Europea per la libera circolazione dei prodotti agro-alimentari - Organismo internazionale: Istituto agronomico mediterraneo • L’educazione è un’esperienza - ong: Shis, Avsi • Il ruolo della cooperazione decentrata per lo sviluppo istituzionale in Albania - Regioni Emilia-Romagna, Marche, Puglia • Sviluppo sostenibile e inclusione sociale: il ruolo dell’impresa sociale Regioni Emilia-Romagna, Marche, Puglia • Lotta all’esclusione sociale e sviluppo delle capacità locali a servizio dei gruppi vulnerabili - ong: Comunità di Sant’Egidio • Innovazione tecnologica e università: sviluppi nella didattica, ricerca e modelli organizzativi - Ambasciata d’Italia - Ufficio di Cooperazione allo sviluppo • Aprite le porte: non più sole contro la violenza domestica - ong: Cospe, Cies 34 COOPERAZIONE DALLE GRANDI POSSIBILITÀ I film proposti sono stati: • Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972, regia: Lina Wertmüller) • Il medico della mutua (1968, regia: Luigi Zampa) • Matrimonio all’italiana (1964, regia: Vittorio De Sica) • Ieri, oggi, domani (1963, regia: Vittorio De Sica) • Le mani sulla città (1963, regia: Francesco Rosi) • Rocco e i suoi fratelli (1960, regia: Luchino Visconti) • Peccato che sia una canaglia (1954, regia: Alessandro Blasetti) • I vitelloni (1953, regia: Federico Fellini) SCHEDA LA COOPERAZIONE ITALIANA IN ALBANIA La Cooperazione italiana allo sviluppo del ministero Affari esteri è presente in Albania dai primi anni 90, è il primo donatore bilaterale e il secondo in assoluto dopo l’Unione Europea. Attualmente sono oltre 70 le iniziative attive per circa 300 milioni di euro e 68 progetti sono in fase di realizzazione. Il settore principale d’intervento della Cooperazione italiana allo sviluppo è attualmente l’energia, con l’obiettivo dell’integrazione del sistema elettrico albanese con quello europeo. Cospicui investimenti sono stati realizzati e sono in corso anche nel settore dei trasporti e nel settore idrico. In particolare: • Energia e sistemi di produzione, con iniziative volte al potenziamento e l’ammodernamento del sistema elettrico e la riorganizzazione strutturale e gestionale degli enti albanesi preposti alla trasmissione e distribuzione dell’energia. Le principali iniziative in corso sono il «Programma di ristrutturazione tecnica e gestionale della Kesh e potenziamento del sistema elettrico albanese» (oltre 42 milioni di euro) e il «Programma di ristrutturazione e potenziamento del sistema elettrico albanese per la sua integrazione nel sistema dei Balcani» (circa 52 milioni di euro). COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 35 EDITORIALE • Trasporti, con iniziative per il miglioramento del sistema dei trasporti e della viabilità su tutto il territorio albanese. Le principali iniziative in questo settore sono il progetto «Costruzione del tratto stradale Lushnje-Fier» (oltre 24 milioni di euro), che si è recentemente concluso, e il progetto «Potenziamento della strada ScutariHani Hotit» (circa 22 milioni di euro), recentemente avviato, e la ristrutturazione del Porto di Valona (15 milioni di euro). • Acquedotti e sistema idrico fognario, con iniziative per il miglioramento della gestione delle risorse idriche e del sistema fognario a favore, soprattutto, della popolazione di Tirana. La principale iniziativa in corso è il programma «Interventi infrastrutturali per la rete idrica di Tirana» (oltre 27 milioni di euro); sempre a questo settore afferisce inoltre il progetto «Gestione dei rifiuti solidi di Tirana» (oltre 6 milioni di euro), che prevede l’ammodernamento della discarica di Sharra (presso Tirana) e la gestione dei rifiuti solidi urbani. • Sviluppo del settore privato, con iniziative per il miglioramento del business environment. La principale iniziativa in corso è il «Programma di sviluppo del settore privato attraverso la costituzione di una linea di credito in favore delle piccole e medie imprese albanesi» (circa 30 milioni di euro). Numerosi sono stati anche i progetti nel settore educazione e sanitario, con la costruzione di scuole, di poliambulatori, la creazione di laboratori informatici e la formazione dei formatori. Il nuovo Protocollo di cooperazione allo sviluppo tra Italia ed Albania - firmato dal ministro Frattini nel corso della sua visita a Tirana il 12 aprile 2010 - prevede, tra l’altro, un ulteriore contributo di 15 milioni di euro per le piccole e medie imprese albanesi. Infine, la protezione delle fasce più disagiate della popolazione e uno sviluppo socio-economico il più possibile equo e sostenibile, con una particolare attenzione ai settori Educazione e Sanità, sono anche perseguiti attraverso il sostegno a 26 interventi di sviluppo locale e 36 COOPERAZIONE DALLE GRANDI POSSIBILITÀ del territorio, per oltre 20 milioni di euro, attraverso progetti promossi dalle ong italiane presenti in Albania. Con il nuovo Protocollo firmato nell’aprile 2010, la programmazione delle attività di cooperazione nel triennio 2010-2012 ha dovuto tenere in considerazione il ruolo crescente che l’Unione Europea avrà nel futuro dell’Albania; un impegno finanziario minore e concentrazione degli interventi su pochi settori strategici coerentemente con quanto viene indicato dalla applicazione del Codice di Condotta UE sulla divisione del lavoro. In tale contesto, il futuro contributo italiano (51 milioni di euro) è stato orientato verso il rafforzamento del settore privato e delle Pmi, lo sviluppo sociale (sanità, educazione, politiche del lavoro) e lo sviluppo rurale e del territorio. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 37 SVILUPPO LOCALE E MODERNIZZAZIONE Il modello di sviluppo italiano non è facilmente esportabile e, per certi versi, è anche giusto che sia così perché è stato un modello non pensato prima. Non possiamo dire: è esportabile, fate come noi. Possiamo solo aiutarvi a capire quali sono state le idee fondamentali. E porvi le due domande cardine di ogni inizio. Chi fa lo sviluppo? Dove si fa lo sviluppo? di Giuseppe De Rita presidente Censis L a presentazione che vorrei fare è legata a quello che è definito «il modello di sviluppo italiano». Direi subito che il modello di sviluppo italiano non è facilmente esportabile e, per certi versi, è anche giusto che sia così perché è stato un modello non pensato, non pensato prima, ex ante. Oggi possiamo dire, ex post, che il modello di sviluppo italiano è un modello di industria manifatturiera, di piccole e medie imprese, di piccoli imprenditori, di grande elasticità del lavoro, di sviluppo territoriale molto preciso, di realtà locali. Ecco il modello italiano è questo. Ma chi l’ha pensato così? Se io personalmente, se noi dovessimo andare in giro per il mondo dicendo: «Fate come abbiamo fatto noi», sarei non soltanto un ipocrita, ma anche un imbroglione. Il modello non è stato pensato da nessuno. È stato cantato, analizzato da noi, anche da me, ma non pensato. Non possiamo dire: è esportabile, fate come noi. Possiamo solo aiutarvi a capire quali sono state le idee fondamentali. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 39 SVILUPPO LOCALE E MODERNIZZAZIONE CHI FA SVILUPPO Quando parte un processo di sviluppo - io penso agli anni 58 e 78 per un periodo ventennale - l’inizio, lo start up si basa su due punti fondamentali. Chi fa lo sviluppo, dove si fa lo sviluppo? Chi lo fa? La grande impresa? Lo Stato? Le multinazionali? Il piccolo imprenditore? L’agricoltore? Il costruttore di strade? E al tempo stesso, dove facciamo lo sviluppo? Visto che non si può fare sviluppo dovunque, bisogna scegliere una strategia articolata per quella zona in cui si fa lo sviluppo integrale con grandi modifiche strutturali del sistema e in altre regioni si deve fare solo qualche riorganizzazione, sistemare quel poco che c’è per organizzare una vita non indecorosa, non si può fare tutto uguale. Questi sono due grandi problemi ed il punto per cui io richiamerei la vostra attenzione - o la mia attenzione, se io venissi a lavorare con voi - è proprio questa: chi fa sviluppo? Chi può fare lo sviluppo e dove farlo. In Italia abbiamo visto che nel lungo periodo, nel lungo percorso chi fa lo sviluppo è il piccolo imprenditore e là dove c’è una realtà comunitaria, una vita locale forte. La comunità locale diventa in qualche modo soggetto di sviluppo. Però, non era così nei primi anni 60. Nei primi anni 60 l’Italia aveva una concezione molto particolare, capitalistica se vogliamo, sul proprio sviluppo: c’è la grande impresa, la Fiat, la Pirelli, l’Olivetti, e poi lo Stato, la programmazione, la riforma agraria, la creazione della Cassa per il Mezzogiorno, le aziende statali, quelle che il fascismo aveva nazionalizzato, si fa per dire, negli anni 30, specialmente l’Iri e l’Enel, le aziende statali. Questi erano i soggetti. Se fossimo andati in giro nei primi anni 60 a parlare su chi sono i soggetti di sviluppo, il piccolo imprenditore non lo avrebbe menzionato nessuno. In Italia quella era l’ideologia e del resto le cose che vedevi - l’autostrada, l’auto nuova, il televisore davano la sensazione che il nostro sviluppo fosse fatto dalla grande impresa, o soltanto dallo Stato che finanziava le autostrade, o soltanto dalle aziende a partecipazione statale che le costruivano, quelli erano i soggetti. 40 GIUSEPPE DE RITA Poi, lentamente questo processo è cambiato. E soprattutto perché si è capito che la grande impresa non ce la faceva. Non ce la faceva più perché anche l’ultimo tentativo di fare grande impresa - la Montecatini Edison nell’anno 1977 - fu un fallimento totale. L’idea della grande impresa come soggetto di sviluppo è crollata negli anni tra il 77 e l’80. L’idea dello Stato come ente programmatore di intervento è finita, è crollata con l’esperienza ruffoliana della programmazione di cui sono stato anch’io partecipe. L’illusione che se non c’era l’impresa privata, se non c’era la capacità dei privati di fare impresa, lo poteva fare lo Stato con la partecipazione statale, è finita con l’esperienza dell’Iri. Per quelli della mia generazione, quando ho cominciato a lavorare, l’Iri era la potenza assoluta. Tutti noi ragazzotti di quegli anni In Italia abbiamo visto avevamo l’ambizione di lavorare all’Iri e che nel lungo percorso quindi vederlo poi disfarsi era una tristezza. chi fa lo sviluppo Ma era nella realtà delle cose. Perché anche la è il piccolo imprenditore grande impresa, per ragioni sue, o per ragioe là dove c’è una vita ni di programmazione è chiamata a fare delle locale forte cose altrettanto improbabili di grandi dimensioni. E la grande dimensione di Montecatini Edison non partiva, non decollava, la grande dimensione si andava addirittura disarticolando. Pensate alla Fiat degli anni 70. La ragione era che anche la grande dimensione era chiamata dalla programmazione, dalla politica, dagli accordi internazionali a fare delle cose che in Italia non avremmo mai fatte. Ma pensate ai testi che anch’io ho scritto sullo sviluppo della bionica, ossia pensavamo che la grande impresa fosse in grado di fare delle cose come la bionica. Di fatto non eravamo in grado di fare né la bionica né la grande impresa. E non era un gap di professionalità. Ancora oggi i sostenitori dello Stato e della partecipazione statale sono quelli che reggono l’impalcatura di qualche impresa italiana. “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 41 SVILUPPO LOCALE E MODERNIZZAZIONE Erano bravi. Soltanto che le condizioni non c’erano, per fare quello cui erano stati chiamati: grande impresa e industria tecnologicamente avanzata. Non funzionava. E ancora oggi se leggete i giornali ci sono gli orfani: avessimo fatto la grande impresa! Siamo rimasti alla piccola impresa! Avessimo fatto il settore di tecnologia avanzata e invece dobbiamo fare mobili e abbigliamento. I soggetti italiani si sono nel tempo trasformati. Non più la grande impresa, non più la tecnologia avanzata, con il modello di lavoro fordista, con il concetto dei grandi sindacati. Quello che abbiamo vissuto fino al 74 è andato spostandosi verso la piccola impresa. Quanta gente se n’è accorta? Pensate che nel censimento del 1971, le imprese industriali in Italia, i capannoni, le unità locali dell’industria, per usare un termine statistico, erano 490mila. Al censimento Il modello italiano dell’81 erano diventate 980mila. Si erano si è sviluppato raddoppiate. Lo stock di industria che avevaindipendentemente mo costruito in cento anni di unità nazionada chi lo governava. le, in dieci anni fu raddoppiato. Ce ne siamo E questo politicamente accorti? No. In quegli anni noi parlavamo di è difficile da accettare terrorismo, di morti ammazzati, del nuovo modo di fare le automobili, del nuovo m o d e l l o d i s v i l u p p o. E r a l ’ a u t u n n o dell’Italia? No! L’Italia senza che nessuno se ne accorgesse è diventata un Paese di co-imprenditori. E notate che non è stata soltanto l’industria. È stato tutto il commercio, tutto il trasporto. È stato l’artigianato e, in gran parte, anche l’agricoltura. Per cui oggi possiamo dire: l’Italia ha 5 milioni di imprenditori, un imprenditore ogni 12 abitanti. Questa è l’Italia. Ma l’abbiamo voluto? Io, Aldo Bonomi e i nostri collaboratori, l’abbiamo cantato questo processo. Se ci dovessero dire: voi siete gli ideologi diremmo, no, non è vero. Noi siamo solo i cantori ex post, non siamo gli ideologi. L’abbiamo visto crescere, l’abbiamo raccontato. È arte del racconto la nostra, come dice Bonomi, non è arte “ ” 42 GIUSEPPE DE RITA della previsione. Eppure è avvenuto. E allora quando vai in un Paese amico e ti dicono: «Ma diteci il modello della piccola impresa», io non mi fiderei mai di dire qualcosa come un teorema. Racconto la nostra esperienza, racconto la nostra esperienza partendo dal fatto che la nostra idea sui soggetti di sviluppo negli anni 1958-60 era tutta sbagliata. E se non avessimo seguito quella logica non saremmo finiti come finì la Montecatini Edison nella fusione del 67-68. È questo il punto. Quindi il vero problema è tenere il radar aperto sul processo a chi fa lo sviluppo, saper annusare se magari in una realtà, in una zona marginale dell’Albania o del Montenegro c’è qualche soggetto nuovo, c’è qualche piccolo nucleo di imprenditori che stesse crescendo. Insomma, noi in Italia abbiamo lo stesso problema di allora. E quindi lo start up italiano dove arriva? Bisogna vedere quali sono i soggetti nuovi. Se avete letto gli ultimi testi di Bonomi sul NordEst, si capisce che anche noi ricercatori siamo attenti a vedere se ci sono soggetti nuovi, soggetti diversi dal vecchio imprenditore. Questa è la prima cosa che io richiederei di fare. Posso dire, sì prendete nota di come il modello italiano si è sviluppato indipendentemente da chi lo governava. E questo politicamente è difficile da accettare. Abbiamo visto anche in Italia delle resistenze politiche a questo modello. Abbiamo ancora i grandi direttori dei giornali che urlano dicendo: maledetto sia De Rita che ha inventato il piccolo modello. Ma non è questo il problema. Il problema è che in ogni fase dello start up - chi di voi ha un’azienda, chi di voi deve far partire un’iniziativa - nel momento in cui parte un processo - e voi state partendo negli ultimi vent’anni - la prima domanda è: chi è che me lo porta avanti, chi porta avanti e chi agisce in questo processo. Se non c’è questo, non c’è sviluppo. Potete fare anche 10, 15 aziende grandi pubbliche per l’acqua, per l’energia, per il nucleare, per i cioccolatini... noi in Italia abbiamo fatto aziende a partecipazione statale anche per i cioccolatini. Tante ne abbiamo fatte. Ma dopo vent’anni si chiude. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 43 SVILUPPO LOCALE E MODERNIZZAZIONE Il secondo punto è dove farlo lo sviluppo. Anche qui noi italiani, se dovessimo andare in giro a dire: «Ragazzi, voi albanesi, o voi egiziani, fate sviluppo locale», dobbiamo guadarci bene negli occhi, perché lo sviluppo locale non è un’ideologia da esportare, è un processo da individuare e da sostenere. È un po’ come la crescita di quella piccola impresa che è avvenuta stranamente negli anni 70 e non ce ne siamo accorti e che poi abbiamo coltivato, sostenuto, incentivato e che poi è diventata protagonista. Negli anni 60 l’Italia aveva una concezione banale per lo sviluppo territoriale. L’Italia pensava che lo sviluppo nazionale sarebbe stato fatto nel triangolo Torino-Milano-Genova, il triangolo industriale, il triangolo della grande impresa, dei grandi soggetti, delle grandi infrastrutture, il Porto di Genova, l’autostrada Milano-Torino, una delle autostrade più grandi del Paese, i luoghi della finanza, tutte le banche di Torino, le banche milanesi e le banche genovesi. Tutti sanno che il credito italiano era nelle banche genovesi. E noi pensavamo che quello fosse il luogo. Era come la polpa e l’osso, la polpa era la zona ricca da sfruttare al massimo, il triangolo industriale era polpa, il resto era osso. E invece questa distinzione - radicale per noi che studiamo queste cose da un bel po’ - tra zone di sviluppo integrale, cioè le città, e zone di sviluppo ulteriore, questa distinzione non ha funzionato. Perché? Perché lo sviluppo si è andato a collocare in realtà territoriali che non avremmo pensato. Lo sviluppo italiano non è più stato MilanoTorino-Genova, non è stato l’asse Milano e dintorni, lo sviluppo italiano è andato a collocarsi in quello che nei primi anni 70 noi chiamammo «localismo» e che la letteratura chiamava «distretti», parola che non voglio imporre. Perchè? Perché il vero problema era il localismo, non il distretto organizzato. Il localismo è un fatto spontaneo. Abbiamo l’esempio di Prato con questi grandi camion che portavano ogni settimana delle grandi balle, migliaia di balle e le riciclavano e facevano tessuti stravaganti, le pellicce sintetiche, oppure Montebelluno, la capitale delle scarpe da montagna, conosciute in 44 GIUSEPPE DE RITA tutto il mondo e poi Fermo con le calzature. Abbiamo visto nascere tutte queste cose. E dove è finito il triangolo industriale? E dove sono finite tutte le razionalizzazioni: qui facciamo sviluppo integrale, qui sviluppo ulteriore, qui sistemiamo. Quelle realtà che sembravano in qualche modo estremamente marginali non sono poi risultate essere così. Ci sono state zone con problemi dal punto di vista ambientale, ma che poi avevano delle ricchezze enormi. Ci siamo resi conto - almeno noi che studiamo questo argomento, perché gli altri continuavano a parlare di terrorismo - a metà degli anni 70 quando il governo della Banca d’Italia ordinò di non accettare - allora era prassi - i pagamenti per le droghiere di Napoli perché non avevano i soldi per pagare. Siamo andati a vedere chi incassava soldi nella bilancia attiFare sviluppo locale va dei pagamenti, chi invece esborsava soldi e va bene, ma lo sviluppo scoprimmo, cosa estremamente stravagante, locale è una cosa che il bilancio attivo di solo due imprese, difficilissima da fare. due, e non parlo di altre 50 o 60, compensaPrima cosa: non si fa va tutta la bilancia negativa dell’alimentare e sviluppo locale sul nulla dell’energetico. Erano delle grandi potenze. Ma, ce ne siamo accorti a metà degli anni 70. Alcuni in Italia ancora non se ne sono accorti perché per accorgersi il dibattito deve nutrirsi di pensiero e di attenzione. Questa è la realtà. Il “dove” ce l’ha imposto la realtà, non l’abbiamo deciso noi. E quindi dirvi fate sviluppo qui o qui è lì, è difficile ma è possibile. Fare sviluppo locale va bene, ma guardate che lo sviluppo locale è una cosa difficilissima da fare. Prima cosa: non si fa sviluppo locale sul nulla. Noi italiani non abbiamo fatto sviluppo locale in alcune zone del Mezzogiorno dove non c’era nulla. L’abbiamo fatto a Prato, l’abbiamo fatto a Fermo, in zone che avevano una storia, dove la cultura della comunità si era formata, dove la solidarietà comunitaria si era formata. È molto “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 45 SVILUPPO LOCALE E MODERNIZZAZIONE importante l’antropologia della dimensione locale, dello sviluppo locale. Quindi inutile dire: «Fatelo qui, fatelo là, qui c’è posto per l’agriturismo, qui c’è una piccola città commerciale, fate un centro commerciale». No. Perché non ci sarebbe quell’incrocio fra il “chi” e il “dove”. Negli anni 90 poi - ne parlerà Bonomi - quando c’è stata l’esportazione del localismo, dei distretti dal Nord al Sud, attraverso le esperienze dei patti territoriali, il meccanismo fondamentale era che non si faceva sviluppo locale, si faceva un patto locale. Noi avevamo deciso di fare al massimo 15-20 patti. Poi dopo che tutto passò al ministero del Tesoro ne hanno fatti cento. E quando fai cento patti di sviluppo locale, significa che non ne fai nessuno. Ma quello che è importante è che in quei 15-20 che redigemmo e che firmammo, Per fare sviluppo locale c’erano tutti i soggetti possibili dello svilupe piccola impresa po. Veniva il vescovo a firmare a Roma. Si collettiva ci vuole sentiva che lo sviluppo locale ha bisogno di attenzione una progettualità collettiva e non soltanto e radar sempre accesi. del presidente della Camera di commercio e E un po’ di intelligenza del segretario della Cisl. Ma probabilmente anche lì c’era un errore nostro, l’errore di esportare un modello. Anche solo da una provincia all’altra, non dico fino in Tunisia. Il problema era proprio questo, che il “dove” non può essere definito con il pennarello sulla carta geografica. Va definito in un processo profondo, lento, di maturazione dell’antropologia locale, dell’esigenza locale, dei potenziali locali. Questo è, diciamo, il miracoloso intreccio tra la moltiplicazione imprenditoriale e l’articolazione locale che ha fatto il modello italiano. Se dovessimo andare in giro per il mondo - ogni tanto ci dicono: «Venite qui, andate là» - per applicarlo, non saremmo corretti. Possiamo solo spiegare, come ho provato a fare qui, quali sono le varianti fondamentali di questi due processi legati tra di loro e “ ” 46 GIUSEPPE DE RITA nello stesso tempo con cultura interna estremamente diversa. Quello che è importante è che per fare sviluppo locale e piccola impresa collettiva ci vuole attenzione e radar sempre accesi. E un po’ di intelligenza. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 47 LO SVILUPPO ITALIANO IN QUATTRO MOSSE Confrontarsi sul tema dello sviluppo in generale, e di quello locale in particolare, è un modo per fare un vero scambio culturale. Uno scambio che, almeno per me, si traduce sempre in racconto e interpretazione della peculiare via allo sviluppo italiana. Uno sviluppo quello italiano che non è stato “costruito” con politiche dall’alto, governate dallo Stato, ma attraverso la proliferazione dell’iniziativa privata “dal basso”. Un racconto che mi auguro utile per consolidare le visioni sul futuro dell’Albania di Aldo Bonomi direttore Communitas A premessa del mio intervento compio un paio di osservazioni relative al senso di questo incontro. Quando ho incontrato l’ambasciatore e i ministri - che ringrazio per avermi invitato qui per preparare questa giornata essi hanno voluto sottolineare il carattere di scambio culturale di questi incontri sul Mare Corto (così io chiamo l’asse Puglia - Albania). Ebbene, da questo punto di vista ritengo che confrontarsi sul tema dello sviluppo in generale e di quello locale in particolare sia un modo per fare scambio culturale. Uno scambio che, almeno per me, si traduce in racconto e interpretazione della peculiare via allo sviluppo italiana, così da offrire materiale di discussione e, mi auguro, utile ad apprendere elementi utili per consolidare le visioni sul futuro dell’Albania. La seconda premessa rimanda al mio incontro con l’amico Flavio Lovisolo a Milano qualche mese fa. Ricordo infatti di avere accettato con curiosità l’incontro e di avere ascoltato con grande interesse COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 49 LO SVILUPPO ITALIANO IN QUATTRO MOSSE le sue parole cariche di esperienza. Parole di fronte alle quali mi sono domandato quale potesse essere il mio eventuale contributo. Non volevo, insomma, venire qui per fare una qualche lezione magistrale sullo sviluppo, quanto appunto riportarvi il senso di un’esperienza professionale che si misura con lo sviluppo locale da quasi un trentennio. Volevo evitare di trovarmi nella stessa situazione in cui mi sono venuto a trovare durante una recente visita a Shanghai quando un componente di una delegazione cinese mi ha posto la domanda: «Ma voi, quando avete deciso di fare i distretti industriali? Come avete costruito il Nord-Est?» e così via. In quell’occasione non è stato affatto semplice fare capire a questi signori che Prato, Mirandola, Montebelluna o Como non sono stati “costruiti” con politiche dall’alto, governate dallo Stato o cose di questo genere. Non si Caratteristica del modello tratta di progetti di urbanizzazione e di induitaliano è la proliferazione strializzazione pianificati sulla carta, bensì il dell’iniziativa privata prodotto di derive storiche di lunghissimo “dal basso” con periodo. Gli opifici tessili pratesi o comaschi la formazione di micro sono vecchi di secoli, e cito questo caso pere piccole imprese ché si tratta di produzioni che c’erano anche in Cina, salvo che l’evoluzione del tessuto produttivo all’interno delle vicende storiche è stato piuttosto diverso. Fatto è che gran parte dell’apparato produttivo italiano, in particolare del Centro-Nord, affonda le sue radici nella storia di tante comunità locali, nel rapporto tra città e contado e così via. Tutto ciò mi serve per dire che non sono venuto qui per invitare gli albanesi a copiare gli italiani, perché la vostra storia è diversa dalla nostra, così come lo è l’assetto socioeconomico attuale. Certo ciò non impedisce di apprendere reciprocamente elementi utili a tracciare prospettive di sviluppo e a delineare sentieri di cooperazione. Volendo schematizzare sulla base della mia esperienza, credo che il discorso sullo sviluppo possa essere inquadrato, soprattutto dalla fondazione degli Stati-nazione, in tre processi che, nella loro dialettica, “ ” 50 ALDO BONOMI tracciano diversi possibili scenari. C’è un’innovazione dall’alto, quella governata in modo più o meno rigido dallo Stato con i suoi apparti politico-istituzionali e le diverse articolazioni burocratiche che stabilisce quale sia il modello da seguire. Ovviamente, e come ben sappiamo, non sempre dall’alto arriva “innovazione”, anzi questo può rivelarsi una cappa terribile. Diciamo che dall’alto può arrivare innovazione nella misura in cui la politica e le istituzioni più che “comandare” si limitano ad “accompagnare” la vitalità sociale ed economica, proprio perché se la comandano inevitabilmente la soffocano. Del resto è un po’ questa anche la morale politica della lezione di storia che ci ha proposto De Rita: la politica deve imparare l’arte dell’accompagnare i soggetti e deve uscire dalla pura logica di comando. C’è poi un’innovazione dall’alto che viene dalle grandi imprese (pubbliche e private). Da questo punto di vista l’esperienza italiana è significativa sino ad un certo punto. Voglio dire, il nostro modello di capitalismo ha avuto una breve, seppure intensa, stagione in cui la grande impresa, il modello fordista, è stata motore di modernizzazione per il Paese. Parlo, in particolare, del periodo postbellico in cui imprese come Fiat, Montedison, Alfa Romeo, Olivetti, Falck etc. e le imprese di Stato raggruppate nell’Iri hanno rappresentato la spina dorsale della rinascita italiana e del cosiddetto “miracolo economico” degli anni 60. Dico però che il massimo del fordismo è probabilmente quello espresso dal modello renano in cui grande capitale, grande sindacato, grande banca e lander hanno costituito una coalizione formidabile di co-governo dei processi. Ovviamente ci sono, in Europa, altri modelli come quello francese, a forte guida pubblica, quello inglese fortemente finanziarizzato-terziarizzato o quello anseatico in cui abbiamo il meglio del mix welfare-high tech. La caratteristica del modello italiano, e qui arrivo al terzo processo di innovazione, è la proliferazione dell’iniziativa privata “dal basso” con la formazione di centinaia di migliaia di micro e piccole imprese che si sono evolute nei distretti produttivi specializzati, sistemi di pic- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 51 LO SVILUPPO ITALIANO IN QUATTRO MOSSE cola impresa, oltre a migliaia di piccoli commercianti. Questo tessuto, in tempi recenti, si è trasformato con l’arrivo della globalizzazione, intendo in questo particolare contesto l’apertura internazionale dell’economia. Molto in sintesi, questo nuovo scenario ha portato con sé: selezione, innovazione, riposizionamento del tessuto produttivo in una quindicina di piattaforme produttive, in cui è emerso il protagonismo di quello che io chiamo “capitalismo delle reti”, alludendo a tutti quegli attori che svolgono funzioni strategiche per i sistemi territoriali e perciò gestiscono risorse fondamentali per competere: reti infrastrutturali, reti finanziarie, reti informatiche, reti dell'energia e così via. Ebbene, a proposito dell’Albania, da quel poco che ho capito sulla base degli incontri preliminari e di un po’ di dati acquisiti e, ribadisco, senza voler in questo modo suggerire l’esportazione di modelli, che qui di innovazione dall’alto ce n’è abbastanza. Energia, strade, aeroporti, reti, rimesse dei migranti (non dimentichiamo che anche questo è un flusso globale) mi sembrano risorse presenti. Così come mi pare che ci sia un dibattito costruttivo su come lo Stato debba fare due cose: primo l’accompagnamento di questo processo in Europa; secondo come ricostruire una struttura amministrativa decentrata. Aggiungo un terzo tema, se mi è permesso: fare attenzione alla debole innovazione dal basso. Se guardiamo ai dati che mi ha fornito Lovisolo, vedo che in Albania sono attive 370mila impresine agricole (magari costituite da due vacche e un trattorino), 87mila microimprese del manifatturiero e un boom di imprese del commercio trainate dai flussi delle rimesse. L’innovazione dal basso mi sembra quindi piuttosto debole. Su questo versante mi pare però di poter dare un contributo utile alla discussione, se non altro perché sono tra quelli, con De Rita e pochi altri, che hanno sempre tenuto sotto osservazione e raccontato l’emergere di questo mondo misconosciuto. Tornando alla genesi dello sviluppo italiano del dopoguerra, devo dire che negli anni 50 abbiamo potuto contare su una forte innovazione dall’alto. Le grandi imprese del Nord, concentrate nel triango- 52 ALDO BONOMI lo industriale Milano-Torino-Genova e quelle di Stato dislocate nel Mezzogiorno si sono riprese grazie alla spinta del Piano Marshall. Questa situazione aveva monopolizzato le politiche pubbliche, ma anche l’attenzione pubblica: lo sviluppo locale era veramente qualche cosa di marginale. Lo sviluppo di comunità - a parte pochi pionieri come De Rita, nato professionalmente come operatore di comunità, e figure come Danilo Dolci o Giovanni Mottura, che accompagnavano le comunità agricole del Mezzogiorno nel loro sforzo di ottenere le risorse minime per sopravvivere al bracciantato - era poca cosa. Ma cosa facevano questi operatori di comunità? Facevano sviluppo rurale, si inerpicavano negli entroterra petrosi descritti da De Rita e si occupavano di elettrificazione, di acqua, di scuole, di rotazione agraria. Sono cose che ho ritrovato nelle chiacchieL’apertura internazionale re con Lovisolo relative alle esperienze portadell’economia te avanti qui dalla Cooperazione: si finanziaha portato selezione, no scuole, sanità leggera, modernizzazione innovazione, agricola e così via. Non so qui, ma gli operariposizionamento tori di comunità degli anni 50 italiani non del tessuto produttivo contavano nulla, erano frati scalzi laici invisibili rispetto alla potenza dell’innovazione dall’alto. E non erano operatori che lavoravano solo nei contesti rurali, basti ricordare cosa erano i Sassi di Matera, oggi patrimonio dell’Unesco, in quegli anni. A quel tempo la gente abitava dentro questi tumuli, queste caverne, e gli operatori di comunità si posero il problema di fare uscire questa povera gente e inserirla nella comunità dei cittadini materani. Mi pare questa una bella metafora di ciò che facevano gli operatori di comunità a quel tempo: rendere materialmente visibili persone che vivevano negli anfratti e nel sottosuolo per portarli alla luce del sole della modernità. In questi pochi giorni di permanenza qui a Tirana ho potuto vedere cose simili. Sempre sotto la guida di Flavio ho visitato gli interventi eseguiti nel quartiere Lapraka. Quando sono stato portato lì, mi “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 53 LO SVILUPPO ITALIANO IN QUATTRO MOSSE son detto: questi sono i Sassi di Matera di Tirana. Capite cosa intendo dire? Sono i Sassi di Matera di Tirana dove vive la gente venuta giù dalle montagne dell’interno in cerca di opportunità, che ha costruito fogne, strade, asili. Immagino che alcuni film italiani neorealisti che avete proiettato possano avervi dato un’idea di ciò che era l’Italia in quegli anni. Questo per dire che la rappresentazione culturale di queste cose è importantissima perché trasmette una memoria che altrimenti andrebbe persa o si fossilizzerebbe nei testi di storia. In quegli anni tutti noi eravamo attenti a ciò che accadeva nel triangolo industriale, ma vi garantisco, per quanto io sia nato proprio nel 1950 e quindi non abbia vissuto in prima persona il periodo, che c’era grande entusiasmo. Perché si era poveri ma ci si pensava in ascesa sociale e sulle soglie del benessere economico. Quando De Rita mi La logica fordista parla di quel periodo, rievoca gli entusiasmi di modernizzò il Paese allora: «Allora eravamo convinti di cambiare approfondendo la il Paese, di fare missione di comunità dentro frattura tra Nord e Sud un grande movimento collettivo, con dietro le con la quale facciamo grandi culture popolari, quella cattolica e i conti ancora oggi quella socialista, culture che si facevano in quel momento motore di cambiamento». Gli anni 50 furono quindi un grande momento da questo punto di vista. Ma non fuori solo rose e fiori, anzi. E qui arrivo alla dialettica tra innovazione dall’alto e innovazione dal basso. A partire dalla fine degli anni 50, infatti, innovatori dall’alto ebbero la meglio relegando di fatto lo sviluppo locale in una zona d’ombra dalla quale è riemerso qualche decennio dopo. Di fatto, la cultura del fordismo, quella del triangolo industriale, è diventata culturalmente egemone provocando l’esatto contrario di ciò che gli operatori di comunità promuovevano nel Mezzogiorno: al posto della modernizzazione delle aree deboli si optò per la migrazione di milioni di lavoratori dal Sud al Nord. Questo fenomeno credo abbia qualche assonanza con ciò che è accaduto o accade anche qui in Albania “ ” 54 ALDO BONOMI oggi. Per ritornare alla cinematografia dell’epoca basti pensare a Rocco e i suoi fratelli o a Mimì metallurgico. In questo quadro la logica dello sviluppo di comunità e i suoi operatori diventano marginali, ridotti a “crocerossina” dello sviluppo che cercava di governare (si fa per dire) le conseguenze dell’esodo migratorio: spopolamento, impoverimento delle energie sociali, desertificazione culturale e così via. La logica fordista modernizzò il Paese lasciando intatta, anzi approfondendo, una frattura tra Nord e Sud del Paese con la quale stiamo ancora a fare i conti oggi. Gli anni 60 sono stati gli anni del boom economico che si è retto sull’industria del Nord che ha attratto traumaticamente, con lo sradicamento, tanti braccianti del Sud nelle fabbriche del triangolo industriale. Dopodiché gli innovatori dall’alto, quelli pubblici, hanno ben pensato di trapiantare parte della grande industria pubblica nel Mezzogiorno pensando in questo modo di compensare lo squilibrio determinato dal fordismo privato. Un tentativo di crescita a due velocità che si è rivelato fallimentare dal punto di vista del governo delle dinamiche territoriali. Lo dico proprio perché il ministro ha citato i quattro sottosistemi territoriali: montagne, città, aree turistiche di costa e aree rurali. Io dico, attenzione! Il governo equilibrato, complessivo della dimensione territoriale è fondamentale! Altrimenti si approfondiscono fratture magari già esistenti, così come accaduto da noi, dove anzi la frattura economica e sociale è diventata frattura politica. Attenzione quindi a manovrare con dolcezza la potenza degli interventi esogeni, quelli che magari fanno guadagnare consenso elettorale nel breve periodo, e a non sottovalutare la potenza dell’accompagnamento dolce, che porta benefici stabili nel lungo periodo. Arrivo ora agli anni 70, gli anni del ritorno sulla scena dell’innovazione dal basso. In Italia furono tre i soggetti che avevano compreso quello che stava avvenendo, e li voglio citare. Mi pare giusto. Uno lo avete appena ascoltato, è Giuseppe De Rita che, da operatore di comunità qual era tornò al centro, a Roma, si mise a studiare le dinamiche profonde del Paese, i suoi mutamenti viscerali. Scoprì i locali- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 55 LO SVILUPPO ITALIANO IN QUATTRO MOSSE smi, poi diventati nell’accademia “distretti industriali”. E fu proprio un professore come Giacomo Becattini a dare dignità accademica alle tante piccole imprese che nei territori competevano e cooperavano, coniugando sviluppo economico e coesione sociale. Erano imprese, come diceva Giorgio Fuà, altro economista del territorio, che erano altrettanti progetti di vita, non erano semplici molecole del capitale. Se chiedete a De Rita: «Chi fa lo sviluppo?», lui vi risponderà: «Fa sviluppo locale chiunque ritenga che fare impresa significa fare un progetto di vita. L’identificazione con l’impresa non è priva di rischi, evidentemente. Basti pensare ai fenomeni estremi accaduti ancora recentemente sulla scia della crisi in alcune aree del Paese, dove piccoli imprenditori che non ce la facevano a reggere all’urto della selezione del mercato hanno subìto crolli personali drammatici, tanto è simbiotico il rapporto tra persona e impresa. Istituzionalmente siamo sempre andati avanti in una specie di schizofrenia. Fino a dieci anni fa c’era un patto non scritto, ovvero il federalismo, che affidava «allo Stato centrale e ai partiti il rapporto con la grande impresa pubblica e con la grande impresa privata; alle banche l’interesse nazionale; alle Regioni il rapporto con i piccoli». Per fortuna che c’era quel patto, perché ha fatto sì che l’Italia abbia “tenuto” e sia cresciuta: l’Italia dei distretti, l’Italia del territorio. Il dialogo era con Fiat, con Iri e con le tre banche principali. Nel frattempo, dentro al capitalismo molecolare crescevano tante piccole banche di credito cooperativo, tante banche popolari e milioni di imprese e microimprese. Poi questo patto non scritto si è rotto ed è rimasto il capitalismo di territorio, che ha continuato a crescere e che oggi supporta la sfida della globalizzazione. Non sono più Fiat o Iri a competere nella globalizzazione, ma i soggetti di quel capitalismo di territorio, di quel patto non scritto. Ma da un po’ di tempo i distretti non esistono più, o perché sono implosi verso il basso (erano distretti dove, a essere competitivo, era unicamente il costo del lavoro e l’autosfruttamento: a Carpi, per esempio, c’era il distretto della maglieria, ora in mano ai rumeni e ai 56 ALDO BONOMI cinesi) o perché, fortunatamente, sono esplosi verso l’alto. Dentro i processi di globalizzazione il capitalismo di territorio si è però evoluto, e oggi è composto, in primo luogo, da un capitalismo di medie imprese. Se non siamo falliti come sistema-Paese lo dobbiamo a 3.500 imprese che ne controllano altre 135mila. È il cosiddetto «capitalismo a grappolo». L’impresa italiana non cresce? Se c’è il capitalismo a grappolo vuol dire che le imprese sono cresciute. Il problema è che sono cresciute all’italiana, non concentrandosi dentro le mura e facendo la grande impresa, ma crescendo dentro ai distretti in cui è avvenuto un processo di verticalizzazione e selezione. Le medie imprese acquistano “fuori dalle mura” il 70% delle merci e dei servizi. Il vero problema è che le medie imprese sono cresciute aggregando o acquistando altre imprese similari o competitor, e che acquistaSe non siamo falliti no fuori dalle mura dentro un capitalismo di come sistema-Paese filiera. Fuori dalle mura ci sono le piccole e lo dobbiamo a 3.500 medie imprese, gli artigiani e il sommerso. Il imprese che ne sommerso non sta solo a Napoli, sta anche controllano 135mila. È il nella pedemontana lombarda e nel Veneto. «capitalismo a grappolo» Purtroppo non è una patologia ma una funzionalità. Se si ricostruisce il ciclo della filiera vediamo che dentro ci sono questi elementi: medie imprese leader, piccole imprese, “pulviscolo artigiano” e sommerso. Le filiere portano lontano e partono da lontano. Partono per esempio da Valdagno, come nel caso della Marzotto, con la testa a Milano, pezzi del ciclo produttivo e di filiera nel Nord-Est per finire, successivamente, in Egitto e in India. Le filiere sono ormai transnazionali. Il capitalismo di filiera si è irrobustito dentro la dimensione territoriale e sta avendo una fenomenologia molto interessante dove è in atto un conflitto tra aziende «molla» e aziende «trivella». Le aziende «molla» sono quelle imprese dove non conta la dimensione ma che, posizionate dentro la filiera, hanno capito l’importanza di agganciarsi con chi va dal locale al globale e poi torna indietro. “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 57 LO SVILUPPO ITALIANO IN QUATTRO MOSSE Chi sta dentro quella filiera sta benissimo, indipendentemente dal settore merceologico. Per queste imprese la rete di commercializzazione e di penetrazione globale è fondamentale. Le aziende «molla» sono dentro la filiera. Le aziende «trivella» sono invece quelle che hanno ancora il mito che sia possibile riprodurre automaticamente la proliferazione capitalistica sul modello capannone-villetta-Bmw in garage, ovvero il modello tipico del capitalismo di territorio che oggi è in difficoltà. Lo scontro è tra questi due tipi di impresa. La bandiera del capitalismo molecolare è il capannone. Mentre il problema oggi è fare aggregazione (e non un altro capannone!) facendo, quindi, «molla». Questo è stato sedimentato dal modello di territorio. Se nell’economia delle nazioni completavamo la stessa con un mercato interno e un mercato europeo partendo dai distretti e, a sua volta, la Asse Malpensa - Orio al rete era un mercato nazionale, oggi la conSerio - Milano: qui ci si densa avviene in quello che chiamo «città è sollevati dal territorio infinita», ma che si può indicare anche con e dal localismo. «piattaforme produttive». Si è cominciato a fare Ho analizzato l’asse che va dall’aeroporto condensa di sistema di Malpensa fino all’aeroporto di Orio al Serio con Milano: 4 milioni di abitanti, 3 milioni e 800mila autoveicoli. Tra breve il rapporto sarà tale che ci saranno o gli uni o gli altri. In quella zona c’è una fabbrica enorme, solo che è dentro alle filiere, alle imprese e così via, e deve essere ricostruita dal punto di vista sociale e della rappresentanza. Lì le persone non sono rappresentate dal sindacato ma sono una piattaforma produttiva con il più alto numero di sportelli per il lavoro interinale e il più alto numero di sportelli bancari. Se si prende quella piattaforma e la si quota nel mercato globale, si può notare che c’è un enorme numero di investimenti diretti all’estero sia in entrata sia in uscita. Ci si è sollevati dal territorio e dal localismo. Si è cominciato a fare condensa di sistema. Ritengo che se non siamo falliti è perché in questo Paese esistono 12 piattaforme produttive, 12 “ ” 58 ALDO BONOMI geocomunità che competono nella globalizzazione. Dobbiamo alle merci e al lavoro dei tanti capitalismi di territorio di queste 12 piattaforme produttive se non siamo falliti. Qui c’è un capitalismo di territorio fatto di medie e di piccole imprese, di artigiani organizzati in filiera. Qui comincia a crescere un rapporto tra sviluppo territoriale, sviluppo locale e funzioni metropolitane. Queste ultime sono quelle per cui si andava in città per andare in banca, soprattutto ora che le banche si sono alzate dal territorio. Ci sono banche “buone” che interagiscono con il territorio e banche “cattive” che non interagiscono con il territorio. È tutta qui la differenza. Il rapporto è tra le funzioni finanziarie e il territorio. Nelle metropoli c’è la produzione di conoscenza e c’è il terziario. Ugualmente, il terziario “buono” è quello che interagisce con il territorio e il terziario “cattivo” è quello che sta dentro solo ai flussi a “somma zero”. Funzioni metropolitane sono la commercializzazione, il marketing, la pubblicità e la comunicazione. Le piattaforme produttive devono essere innervate da funzioni metropolitane. Questo è il vero problema, perché quel capitalismo - da solo - non ce la fa. Il rapporto tra cittàregione e piattaforma produttiva è uno dei nodi da sciogliere nei prossimi anni. Importante è che ci siano almeno le strade. Non credo al fatto che si passerà alle reti telematiche. È auspicabile che vengano realizzate le pedemontane. Questo capitalismo è stato così animalesco da andare oltre la capacità dei servizi di seguirlo. Il capitalismo renano prosegue con la programmazione. Ma da noi questo non accade. La lunga deriva del cambiamento non è mai un percorso lineare. È invece sempre costellata di fratture, divisioni, conflitti. Braudel e Polanyi le hanno chiamate «faglie», proprio a indicare le discontinuità che nel corso di una lunga deriva hanno determinato una «grande trasformazione». Discontinuità non solo nel senso di cambiamenti radicali rispetto ai precedenti assetti, ma anche nel senso di divisioni tra interessi, contrapposizioni tra stili di vita, conflitti tra differenti visioni del mondo. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 59 LO SVILUPPO ITALIANO IN QUATTRO MOSSE Credo che anche l’Albania abbia intrapreso una piccola-grande trasformazione dopo il crollo del muro di Berlino. L’economia albanese, a partire dagli anni 90, è interessata da più cicli di trasformazione, che accompagnano la lunga fase di deindustrializzazione seguita alla fine del regime comunista. Da una parte proseguono gli sforzi per definire assetti regolativi di un’economia di mercato e dotare l’Albania dei beni collettivi di base per la competizione economica (lo sviluppo del comparto energetico, della rete dei trasporti e del sistema idrico-fognario sono le priorità). Dall’altra parte i programmi si basano sullo sviluppo delle Pmi, in un Paese caratterizzato nel decennio chiusosi da tassi di crescita elevati (mediamente con una crescita del Pil annuo intorno al 6%), ma con un settore industriale ancora oggi poco sviluppato (il Pil deriva per il 43% dai servizi, per il 21,5% dall’agricoltura, l’8% dai trasporti, il 17% dall’edilizia e solo per il 10% dall’industria). I comparti maggiormente sviluppati sono il tessile e l’agroalimentare. Il primo è fortemente intrecciato (e dipendente) con l’economia italiana: nel 2008 l’Italia ha assorbito il 62% dell’export albanese, con un’importante componente di prodotti tessili, delle calzature e dell’abbigliamento, legati al subcontracting con le imprese italiane del settore. L’agroalimentare è in sviluppo e negli anni più recenti si è registrato un piccolo boom turistico. L’Albania si configura quindi come un pezzo di piattaforma produttiva adriatica in fieri. Base di questa piattaforma è l’asse di quel “mare corto” cui accennavo all’inizio e che separa l’Albania dalla Puglia per risalire da lì verso il Centro-Nord Italia e l’Europa continentale. Dall’esperienza italiana possiamo evincere che la costruzione di uno spazio di rappresentazione dentro la globalizzazione occorre tenere insieme tre aspetti, potremmo dire tre dimensioni che si intrecciano sul territorio: • gli aspetti identitari, quelli più eminentemente legati alla memoria dei luoghi, fanno riferimento alle lunghe derive della memoria collettiva, una specie di comunità di destino alla quale le persone si richiamano per sapere da dove vengono. La questione dell’identità può apparire una questione secondaria ma non lo è, e credo che per 60 ALDO BONOMI voi sia evidente. Basti pensare al significato tragico che il termine identità ha assunto nella storia recente dei Balcani. Si tratta di una questione che se dimenticata o rimossa si trasforma in un mostro ingestibile; • gli aspetti legati alla competizione, intendendo con ciò riferirmi all’organizzazione produttiva, alle sue intrinseche risorse modernizzanti quando governate senza eccedere nelle discontinuità. Mi rendo conto che per un Paese impegnato a rincorrere il benessere economico sia difficile evitare le scorciatoie offerte da una globalizzazione (anche di provenienza italica) che ricerca le migliori condizioni locali per atterrare e distribuire opportunità di occupazione e sviluppo sociale, tuttavia occorre “mettersi in mezzo”, cioè accompagnare, armonizzare il contatto tra flussi e luoghi; Non c’è un modello • gli aspetti legati alle funzioni, intendo con preciso da seguire, non ciò quelle dotazioni di rete (infrastrutturale, c’è più né lo sviluppo logistica, informatica, di saperi alti, etc.) che a stadi, né un sentiero permettono al Paese e ai suoi territori di virtuoso da seguire agganciarsi ai flussi della globalizzazione, in modo automatico senza i quali oggi si rischia di rimanere tagliati fuori dal mondo. Tenere insieme queste tre grandi complessità credo sia il compito che oggi aspetta la classe dirigente, in Italia come in Albania. Ma, come potete vedere, non c’è un modello preciso da seguire, non c’è più né lo sviluppo a stadi, né un sentiero virtuoso da seguire in modo automatico (con l’aiuto di qualche algoritmo), come piace pensare a tanti economisti. Concludo dicendo che le mie brevi ma ricorsive visite in Albania rendono evidenti, all’occhio esterno, i cambiamenti in atto, un’effervescenza sociale e una voglia di fare che fanno ben sperare. Occorre concimare questi filamenti di futuro affinché sappiano trasformarsi in alberi dalle radici profonde e dai rami aperti sul mondo. “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 61 SCAMBIO E SVILUPPO NELLA PROSSIMITÀ L’Albania è importante per l’Italia intera, ma soprattutto per la Puglia con la quale ha un rapporto di relazioni molto stretto. Così come immagino che l’Italia sia importante per l’Albania. Credo che questo “mare corto” serva a farci parlare più facilmente e farci guardare insieme all’Europa. L’ambizione deve essere comune: guardare oltre i confini e non chiuderci. di Alessandro Laterza presidente Confindustria Bari C redo che le considerazioni fatte da Giuseppe De Rita e da Aldo Bonomi vi abbiano chiarito abbastanza bene quelle che sono state le dinamiche evolutive del capitalismo italiano fino alla soglia degli anni 2000 o certamente fino agli anni 90. Condivido con loro la considerazione che non è assolutamente possibile individuare una ricetta facilmente esportabile in alcun Paese, in Albania o altrove. Tuttavia mi preme sottolineare un paio di aspetti, forse banali. In primo luogo, l’Albania è importante per l’Italia intera, ma per la Puglia - e io vengo dalla Puglia - è ancora più importante che per l’Italia perché c’è un sistema di relazioni molto stretto. Così come immagino che l’Italia sia importante per l’Albania, se è vero che siamo su una quota di scambi pari al 35% del volume complessivo e se è vero che il 26% di quello che si importa in Albania viene dall’Italia e che il 60% di quello che viene esportato dall’Albania viene in Italia. Questo è un processo che può sembrare storico anche COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 63 SCAMBIO E SVILUPPO NELLA PROSSIMITÅ perché io vorrei - e qui cominciamo ad entrare più in campo psicologico più che economico - che questo venga considerato più come un punto di partenza che come un punto di arrivo. Perché credo che sia importante infittire il sistema di collaborazioni in atto. Tra l’Albania e la Puglia c’è uno scambio importante di merci e di persone, il cui perno è il porto di Bari, un porto di grande rilievo appunto perché è il mezzo di questi scambi. Quindi questa discussione e queste considerazioni meritano di essere fatte, magari prendendo il rischio di dire qualcosa su ciò che non si deve fare in Albania, o quali sono alcune esperienze italiane che possono costituire materia di riflessione per le scelte o per le linee di comportamento che si decideranno. Prima questione: quanto sono importanti i soldi, i fondi per accendere o per accelerare Qualunque sia un processo di sviluppo. La solita risposta la politica di sviluppo «I soldi non sono importanti, contano le territoriale che idee» - è falsa. I soldi servono, c’è poco da si persegue, l’assenza discutere. Servono ed è interessante il fatto di politiche nazionali che esista una sorta di complesso di colpa. è un problema Per esempio noi in Italia diciamo sempre che vengono dati troppi incentivi alle imprese. Questo può essere anche vero. Se vediamo i dati, però, in Germania gli incentivi alle imprese sono il doppio o più del doppio di quello che viene dato in Italia. Stranamente questo non emerge come problema in Germania. Quindi oggettivamente i soldi servono, ma poi bisogna discutere su che fine e che sorte fanno, e se vengono più o meno efficacemente impiegati. Questo effettivamente è un punto chiave. E non do un suggerimento, riporto un’analisi. Nel Mezzogiorno d’Italia, e non mi riferisco solo agli incentivi alle imprese ma in generale alle politiche di trasferimento verso un’area del Paese, è fuori discussione che siano state trasferite nel tempo massicce quantità di risorse ed è certo che se questo non ha peggiorato le cose, non le ha certo migliorate in termini tali da ridur- “ ” 64 ALESSANDRO LATERZA re il divario tra il Sud e il Centro d’Italia. Possiamo poi distinguere diverse zone. Io vi potrei dire che Bari è meglio, ma in sostanza questa differenza non si è attenuata. In una recente analisi la Banca d’Italia osserva che probabilmente per quelle che possono essere le politiche di sviluppo locale, qualunque sia il sistema di incentivazione, di push dall’alto, qualunque sia la politica di sviluppo territoriale che si persegue, l’assenza di politiche nazionali è un problema. Cioè, in altri termini, in Italia che offro come spunto di riflessione agli amici albanesi - se non c’è una politica nazionale di istruzione, giustizia, sicurezza e sanità, noi possiamo inventarci tutte le formule che vogliamo, ma, almeno dalle nostre parti, se questo non c’è, qualunque tentativo di sviluppo, e comunque formulato, sarà destinato all’insuccesso. Credo sia un punto da approfondire anche nel contesto albanese. Questo per dire che, dal mio punto di vista, se il piano di intervento locale non incrocia le politiche nazionali e - scusate se complico la vita - se le politiche nazionali non incrociano le politiche europee - e qui in Albania ovviamente con l’ingresso in Europa la questione è molto rilevantee non si riesce a fare questa operazione di interazione tra piani di azione o, se vogliamo, di governo, io credo che sarà molto difficile ottenere un cambiamento significativo. Ovvero, siccome sono molto d’accordo con quello che dicevano De Rita e Bonomi, non sono sicuro che senza questo tipo di attenzione si riesca poi a cogliere o semplicemente ad accompagnare i processi di sviluppo che nascono evidentemente da occasioni di difficile intuizione. Oggi raccontavo di un’azienda pugliese che si trova in difficoltà, il Gruppo Natuzzi, il più grande produttore dei divani nel mondo, che è in Santeramo in Colle in provincia di Bari, che è un paesetto arrampicato sulle montagne. Si può dire: ma come è possibile?! Logisticamente non ha senso che quella impresa nascesse lì, eppure è nata e si è sviluppata lì, e non c’è nessuna spiegazione razionale per dire come mai. In alcuni casi le spiegazioni le troviamo, ma spesso grossi processi di sviluppo non sono del tutto spiegabili. Però, non COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 65 SCAMBIO E SVILUPPO NELLA PROSSIMITÅ creare un contesto in cui i processi di sviluppo possano nascere, in questi tempi, in questo momento, con tutta questa vicenda della globalizzazione che si vive talvolta come un’opportunità, talvolta come una sciagura, dobbiamo avere la complessità per affrontarla. Quali sono le mie considerazioni conclusive? Io guardo l’Albania. Faccio l’osservatore esterno. Vedo un grande numero di imprese agricole. Sono una risorsa? Sì. Ma sono moltissime e piccole e con piccole doti. Questo è stato accertato, come dire, anche da noi in Italia dove la situazione ovviamente è diversa, ma è accertato che questo è un problema. Lo si può interpretare variamente, si può dire che questo è il tipo di agricoltura che serve a tutela del paesaggio e del territorio. Può andare anche bene. Ma il punto non è quello di intervenire dal punto di vista economico per lo sviluppo economico, ma in un’altra prospettiva. Questo è un grande tema, perché così come viene descritta freddamente è una situazione di debolezza, non un punto di forza. Manifattura: noi ne abbiamo tante, come pugliesi, come italiani, ma nel sistema manifatturiero albanese le imprese sono poche; è, se vogliamo, anche un fatto di responsabilità, di opportunità, lo considero un problema comune, non una questione di interesse esclusivamente albanese. Sono poche e sono piccolissime. Io vengo da un Paese che è il trionfo della piccola impresa. Ma qui è ancora più piccola di una realtà come la nostra in cui trionfa la piccola impresa. È una situazione di debolezza che poi a sua volta - ed è questo il punto che mi colpisce di più - è gravata dal peso enorme che ha il terziario “commerciale” (tipo ristorazione): che è chiaro che va bene a breve termine, ma poi quando non si potrà più contare sulle rimesse, l’economia ne risentirà, se è vero che il 15% del Pil albanese proviene dalle rimesse dall’estero, componente positiva, ma non a lungo termine. Dopo un po’ di tempo, infatti, le rimesse si riducono perché giustamente le persone si integrano, si fanno la propria vita, costruiscono le cose altrove. Allora quali suggerimenti si possono dare? Io parlo da persona 66 ALESSANDRO LATERZA che guarda con grande interesse e con grande fiducia all’Albania e dico che probabilmente dobbiamo lavorare su come approntare un sistema di aggregazione delle imprese, tema peraltro fortemente sentito anche da noi in Italia. Non ci diamo formule precise. Il punto è che qualunque occasione utile a far sì che la piccola o piccolissima impresa riesca a lavorare, a cooperare con altre e a creare un progetto produttivo più grande, è una cosa positiva. Quindi non è un dirigismo centralista, ma il favorire processi di aggregazione. Questo credo sia un fatto su cui discutere ancora e riflettere. Questo è un tema che noi in Puglia cerchiamo di affrontare molto seriamente. Bene, dove la grande impresa non c’è, dove la media è rara, se la piccola è un valore, custodiamolo questo valore, però diamogli l’opportunità, la capacità di avere una forza di penetrazione maggiore. Far sì che la piccola o Qui parliamo di una rete, di costruzione di piccolissima impresa reti. Che servono, tra l’altro, per uscire da riesca a lavorare non quel localismo che se può essere virtuoso, ma è dirigismo centralista, che può però diventare un cappio che stranma il favorire processi gola. Noi ora stiamo comparando l’Italia e di aggregazione l’Albania, ma dobbiamo tener conto delle differenze. L’Albania ha una superficie pari a circa la metà di quella della Puglia, con una popolazione di 3 milioni di abitanti, contro i 4 di cittadini pugliesi; è una realtà territorialmente piccola ma con una percentuale di montagne alta, il 60%. Perciò quando noi parliamo di Albania dobbiamo considerare anche questa configurazione, dobbiamo capire che si tratta di una situazione molto specifica che non si può ignorare. Quindi ancora una volta torno a proporvi il sistema delle reti, un sistema altrettanto importante del Corridoio VIII. Le reti energetiche per esempio. Problema per noi, problema per voi. La Puglia è il principale produttore delle energie rinnovabili d’Italia. Ma ha una piccola difficoltà, non ha una efficiente rete di trasmissione al di fuori della regione e all’interno della regione. Vi “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 67 SCAMBIO E SVILUPPO NELLA PROSSIMITÅ ricorda qualcosa questo? È così anche qua, no? Non è importante solo produrre ma anche come si distribuisce. Ed infine c’è il grande tema di questa Agenda europea 20x20 sulla quale io spero che ci sia un dialogo intenso tra Italia ed Albania, anche se sembra una cosa molto lontana. In realtà io sono convinto che tutte le grandi decisioni dell’Europa saranno fatte sulle direttrici di questa Agenda 20x20. Quindi, oltre a discutere su ciò che c’è oggi - i piani, i fondi strutturali, i fondi per l’integrazione - dobbiamo fare questo sforzo di fantasia di ragionare sul futuro, perché altrimenti siamo fuori, il Sud Italia di sicuro. Su quelle che saranno le direttrici di massa ci dobbiamo essere - Italia e Albania insieme -, valorizzando le nostre specificità locali, dalla montagna albanese alla Natuzzi, a Bari, guardando francamente in un orizzonte più ampio. Credo che questo “mare corto” serva a farci parlare più facilmente e farci guardare l’Europa, non per farci guardare solo in casa o tra noi e noi. L’ambizione deve essere comune, per andare fuori, non per ritirarci al coperto. 68 COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 69 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA Sin dall’inizio della transizione, il settore privato è la forza trainante dello sviluppo economico albanese. In costante crescita, oggi produce circa l’80% del Prodotto interno lordo ed impiega più dell’80% della forza lavoro. Ma le grandi imprese, ad esempio del settore elettrico e degli altri servizi pubblici, rimangono prevalentemente statali. C’è però anche un’altra peculiarietà: all’interno della percentuale di Pil prodotta dal settore privato, il commercio ha un peso maggiore dell’industria di Marco Ranieri ricercatore INTRODUZIONE Sin dall’inizio della transizione, il settore privato è la forza trainante dello sviluppo economico albanese. In costante crescita, oggi produce circa l’80% del Prodotto interno lordo ed impiega più dell’80% della forza lavoro. Il governo albanese è ben cosciente dell’importanza di questo settore ed è dunque impegnato nel suo rafforzamento. Guardando al tipo di proprietà (pubblica o privata) delle attività economiche, è possibile dividere l’economia albanese in due segmenti: da un lato le piccole e medie attività industriali e commerciali che sono quasi del tutto private, dall’altro le grandi imprese, ad esempio del settore elettrico e degli altri servizi pubblici, che rimangono prevalentemente statali. Questa situazione dicotomica emerge anche dalle analisi dell’Ebrd - Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, che assegna all’Albania un indicatore da «economia di mercato industrializzata standard» con riferimento alla privatizzazione COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 71 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA delle piccole attività commerciali e produttive, mentre un indicatore ancora sotto lo standard delle economie di mercato (3,33 su 4,5) con riferimento alla privatizzazione delle grandi imprese. Un altro elemento utile a chiarire le peculiarità dell’economia albanese è che all’interno della percentuale di Pil prodotta dal settore privato, il commercio ha un peso maggiore dell’industria (che stenta a svilupparsi e contribuisce per circa il 10%). È infatti interessante notare che in Albania, a differenza degli altri Paesi che sono passati dall’economia pianificata a quella di mercato, la diminuzione del contributo del settore agricolo al Pil non è stata bilanciata da un aumento del contributo del settore industriale, ma bensì da quello del commercio. Una delle cause del maggiore sviluppo del commercio rispetto all’industria è data dal A partire dagli anni 90 fatto che l’Albania dipende per la sua cresciil sistema elettrico ta in misura importante dalle rimesse degli albanese è caratterizzato emigrati. Tali flussi di capitale privato hanno da una produzione infatti generato una domanda crescente di insufficiente e da un beni di consumo, quasi sempre importati, a elevato livello di perdite scapito dell’accumulazione di capitale da immettere nel sistema industriale locale. Prima di analizzare la struttura del settore privato albanese che coincide, di fatto, con il settore delle piccole e medie imprese, sarano illustrati due importanti settori (elettrico ed idrico) in cui la presenza pubblica è ancora maggioritaria, ma che in futuro prevedranno spazi crescenti per i privati. Un breve focus è inoltre dedicato all’agricoltura. “ ” IL SETTORE ELETTRICO: STRATEGIE E PRIVATIZZAZIONE A partire dagli anni 90 il sistema elettrico albanese è caratterizzato da una produzione insufficiente e da un elevato livello di perdite, dovuto sia a motivi di natura tecnica sia a comportamenti illeciti, tra 72 MARCO RANIERI cui allacci illegali e mancata riscossione delle bollette (ancora a gennaio 2009 meno del 50% dell’energia distribuita è stata pagata). Per anni le perdite nel sistema di distribuzione sono state tra le peggiori in Europa e soprattutto la bassa performance nella distribuzione di elettricità ha causato frequenti blackout ad abitazioni private e imprese, condizionando i processi produttivi e lo sviluppo del Paese. Solo dal 2000 il governo albanese, con il sostegno dei Paesi donatori, ha avviato un’ampia riforma del settore fissando alcune linee guida che includono: l’ammodernamento del quadro normativo, la creazione di un Ente regolatore dell’energia (Ere) sotto controllo del parlamento, la riforma delle tariffe, l’integrazione nel mercato europeo e internazionale, la riorganizzazione della Compagnia elettrica albanese (Kesh) e la promozione di misure e comportamenti per ottimizzare il consumo di energia e realizzare uno sviluppo sostenibile. Anche sulla base di tali linee guida, Kesh e ministero dell’Economia, commercio ed energia hanno sviluppato l’Action Plan 2003-2015, che prevede investimenti per 1,2 miliardi di dollari per la riabilitazione del sistema e la realizzazione di nuove centrali e nuove linee di interconnessione con i Paesi confinanti. Il governo si è poi impegnato nella separazione di Kesh in unità legalmente autonome, con l’intento di creare tre differenti società per la produzione, la trasmissione e la distribuzione di energia, al fine di rendere il settore più efficiente ed avviare il processo di integrazione nel mercato energetico europeo. Negli ultimi anni Kesh ha registrato dei progressi sia negli indicatori di performance, sia nel processo di ristrutturazione organizzativa e gestionale: sono infatti state create, accanto a Kesh stessa, una società per la trasmissione (Ost) e una per la distribuzione (Ossh) di energia. Tale processo di riforma ha registrato un importante passo avanti l’11 marzo 2009, con la firma del contratto per la privatizzazione di Ossh a favore della società ceca Cez. In particolare, il contratto ha previsto la cessione alla Cez del 76% delle azioni di Ossh per 102 milioni di euro. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 73 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA La privatizzazione e il conseguente ingresso della compagnia ceca sono state le uniche azioni possibili per migliorare la fornitura di energia elettrica riducendo, nel contempo, le perdite dovute ai mancati pagamenti. Va tuttavia ricordato che, poiché le tariffe attuali sono di circa il 20-25% inferiori al costo reale dell’energia, Cez ha già avviato le procedure per poter richiedere all’Ente regolatore dell’energia un aumento delle stesse nel corso del 2010. Altre azioni per migliorare la performance del settore energetico, accanto alla privatizzazione delle imprese esistenti, comprendono la creazione di centrali idroelettriche di piccole dimensioni in aree remote del Paese e l’aumento dell’uso di fonti energetiche rinnovabili, tra cui eolico e solare. Quello delle energie rinnovabili è un settore in cui sarebbe possibile costituire, senza grandi difficoltà, partnership pubblico/privato anche con imprese estere. IL SETTORE IDRICO: CARENZE E POTENZIALITÀ Anche l’altro principale settore delle public utilities ancora di proprietà statale, ovvero l’idrico-fognario, registra situazioni di inefficienza accanto a delle possibilità per gli operatori privati. Il settore soffre di carenze tecniche e gestionali sia a livello locale che a livello centrale; basti pensare che la produzione di acqua pro capite giornaliera raggiunge i 350 litri circa, di cui solo 108 vengono venduti, a fronte di una normativa europea che fissa in 120 litri al giorno il fabbisogno per abitante. Questa enorme differenza tra quantità d’acqua prodotta e utilizzata è causata dalle rilevanti perdite (raggiungono anche picchi del 70%) che sussistono nel sistema di approvvigionamento e distribuzione. Va sottolineato, inoltre, che spesso il costo totale della produzione non viene recuperato sia a causa delle elevate perdite della rete, sia perché le aziende applicano prezzi fissi forfettari senza considerare il consumo effettivo per famiglia. In conseguenza dei citati fenomeni, si calcola che nel sistema degli acquedotti albanesi entrino 308 milioni metri cubi d’acqua 74 MARCO RANIERI all’anno, di cui solo 95,8 milioni fatturati e 60 milioni effettivamente incassati. Prima del processo di decentralizzazione, la proprietà delle aziende idriche era detenuta al 100% dal ministero dell’Economia, che è anche l’organo preposto al rilascio delle concessioni necessarie per la gestione del servizio idrico-fognario, in coordinamento con il ministero dei Lavori pubblici e con il ministero delle Finanze. Regioni, Comuni e municipalità avevano quindi un ruolo marginale, solo di sorveglianza e senza poteri decisionali, nella gestione del servizio idrico. La delibera del Consiglio dei ministri n. 660 del 12 settembre 2007 ha modificato radicalmente il ruolo degli enti locali che, dalla fine del 2007, sono diventati (teoricamente) proprietari delle aziende idriche. Ad oggi, più dell’80% delle imprese idriche sono Anche il settore, ancora dotate di un’assemblea di azionisti. statale, idrico-fognario Tuttavia, per un’analisi realistica, non bisoregistra situazioni di gna solo considerare la mera condizione di inefficienza. E gli proprietà delle singole aziende, ma anche operatori privati non l’effettiva condizione di autonomia operativa, sono ancora autonomi gestionale, tecnica ed economica delle stesse. Molte aziende, infatti, non possiedono le capacità necessarie per essere indipendenti dal governo. Al momento è difficile prevedere quali saranno le tempistiche per la realizzazione effettiva del decentramento e dell’autonomia delle autorità locali, poiché manca una reale pianificazione e le variabili che potrebbero modificarne l’andamento sono diverse, non ultimi i delicati equilibri politici susseguenti alle elezioni parlamentari del giugno 2009. Attualmente sono in tutto 54 le aziende idriche nel territorio albanese, di cui 28 forniscono un servizio idrico integrato che comprende approvvigionamento d’acqua e servizio fognario e 26 offrono solo servizi idrici. Delle 54 aziende, 16 servono unicamente le municipalità (ovvero i Comuni propriamente detti e ufficialmente “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 75 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA riconosciuti) e 38 servono anche le zone periferiche delle città (spesso cresciute senza alcun piano regolatore). Nonostante il generale miglioramento del servizio idrico-fognario, soprattutto a livello infrastrutturale, molte aziende fanno fatica a garantire al cittadino un’erogazione d’acqua continuativa nelle 24 ore; inoltre la qualità dell’acqua fornita raramente raggiunge gli standard europei. Risulta comunque difficile tracciare un quadro comune per tutte le aziende idriche albanesi: ognuna ha infatti una situazione a sé stante per quanto riguarda il passaggio della proprietà dal governo centrale alle municipalità, per la condizione di indipendenza e sostenibilità finanziaria, per la capacità gestionale e per le condizioni infrastrutturali dei territori serviti. Le aziende di Tirana e Korça, ad esempio, hanno aumentato il livello di efficienza Il settore agricolo, nel management e godono di una maggiore pur essendo autonomia dal governo centrale, autonomia per la maggior parte ancora lontana da raggiungere per le aziende privato, rimane uno di Elbasan, Valona e Durazzo. dei comparti economici In chiave di possibile presenza privata nelmeno avanzati l’erogazione del servizio idrico-fognario, è interessante il caso dell’azienda idrica di Tirana (Utk), quella con il maggior bacino d’utenza dell’Albania. Ad oggi l’Azienda gode di una situazione finanziaria stabile ma non è dotata di un’assemblea di azionisti (il ministero dell’Economia ne è a tutti gli effetti il proprietario che ne approva il bilancio). La proprietà dell’azienda, che copre Tirana e altri 16 comuni, sarà suddivisa secondo percentuali tra le diverse municipalità (Tirana riceverà circa il 70% della proprietà). Va comunque sottolineato che secondo la legge albanese bisognerà attendere due anni dal momento del passaggio di proprietà prima di poter rivendere le azioni e poter modificare il bacino di utenza servito. Anche grazie ad una riorganizzazione interna e l’arrivo di un nuovo direttore generale, Ukt è oggi un’azienda la cui indipendenza “ ” 76 MARCO RANIERI dal voverno è sempre maggiore e la cui gestione potrebbe nel futuro essere affidata a privati. Il coinvolgimento del settore privato potrebbe essere realizzato tramite un processo graduale, iniziando con contratti di gestione per poi passare, successivamente, a contratti di concessione propedeutici alla privatizzazione. La Cooperazione italiana ha concesso un credito d’aiuto di circa 27 milioni di euro attraverso il «Programma di riabilitazione della rete idrica e fognaria di Tirana» per assistere Ukt nella riorganizzazione gestionale e la progettazione di interventi strutturali. Nella futura apertura al settore privato (anche tramite gestioni e concessioni), è evidente la possibilità di coinvolgere le imprese italiane che potrebbero essere favorite dal canale di dialogo privilegiato che la Cooperazione italiana ha costruito con Ukt. IL SETTORE AGRICOLO Il settore agricolo costituisce un caso particolare nell’economia albanese: pur essendo per la maggior parte privato, esso rimane uno dei comparti economici meno avanzati. Dall’inizio della transizione, il settore è cresciuto dal punto di vista degli occupati, poiché ha assorbito la forza lavoro espulsa dalla chiusura e ristrutturazione delle grandi imprese di Stato, ma è rimasto caratterizzato da un basso tasso di produttività e da una bassa performance generale. Il settore necessita di riforme strutturali, solo parzialmente intraprese dai governi che si sono succeduti negli anni, per rafforzarsi e modernizzarsi. Inoltre, una gestione più razionale e organizzata delle risorse non solo ne aumenterebbe il rendimento, ma faciliterebbe gli operatori e le autorità a trarre il maggior beneficio possibile dai fondi a cui il Paese potrà accedere durante il processo di pre-adesione all’Unione europea, ad esempio attraverso lo Strumento di assistenza preadesione Ipa, ed in seguito nell’ambito delle regole della Politica agricola comune (Pac). In confronto agli altri Paesi europei, la struttura economica alba- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 77 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA nese rimane pesantemente dipendente dal settore agricolo: sebbene la quota di Pil prodotta dall’agricoltura sia scesa dal 33% del 1996 all’attuale 20% circa, tale percentuale è ancora molto alta se confrontata con le economie europee, in cui il valore di questo aggregato è solitamente inferiore al 5%. Inoltre, nonostante il settore produca un quinto del Pil, esso impiega quasi tre quinti della forza lavoro e questo, insieme al fatto che la produzione agricola cresce ad un tasso minore di quello dell’economia nel suo insieme, è un chiaro indicatore di una produttività molto bassa. In Albania l’agricoltura è, infatti, per la maggior parte di sussistenza, praticata in piccoli appezzamenti di terreno con scarso uso di tecnologie. Si stima che in tutto il Paese vi siano circa 370mila piccole fattorie private che solitamente combinano la coltura di frutta e ortaggi con la cerealicoltura e l’allevamento (spesso con solo uno o due capi di bestiame). Tale situazione è concausa del disavanzo commerciale crescente nella bilancia dei prodotti agricoli, che l’Albania registra da anni, e del fatto che il Paese non sia autosufficiente neanche per prodotti tradizionali quali latticini, carne e verdura. Il settore agricolo è stato oggetto di privatizzazione (su un’estensione totale dei terreni agricoli di 697mila ettari, 563mila ettari sono stati privatizzati e 134mila sono ancora di proprietà statale), ma tale processo ha avuto l’effetto negativo di parcellizzare fortemente i terreni, creando una situazione in cui l’estensione media degli appezzamenti è di poco superiore ad un ettaro. Inoltre, dei 697mila ettari totali, solo 400mila circa sono effettivamente in uso. Tale parcellizzazione, accompagnata dal problema dell’incertezza dei titoli di proprietà sui terreni, preclude l’instaurarsi di economie di scala nel processo produttivo e, con questo, anche l’uso di tecnologie per meccanizzare la produzione e il conseguente incremento di produttività e competitività. Altri ostacoli alla modernizzazione del settore includono la mancanza di infrastrutture nelle zone agricole (inclusi sistemi di irrigazione e drenaggio efficienti), lo scarso uso di tecnologie per la conservazione e il trasporto dei prodotti e per il mantenimento della 78 MARCO RANIERI catena del freddo, la mancanza di organizzazione nel settore agricolo, la scarsità di informazioni a cui accedono i produttori e la debole infrastruttura commerciale. Oltre al settore produttivo dei beni agricoli, anche le imprese di trasformazione alimentare incontrano ostacoli che ne limitano l’efficienza. Innanzitutto, esse devono affrontare il problema della scarsa offerta domestica di beni agricoli, andando così incontro a costi crescenti dovuti alle spese per importare materia prima dall’estero. Esse hanno inoltre attrezzature obsolete e sono impreparate dal punto di vista manageriale (supply chain management) e della vendita (scarse conoscenze di marketing e branding). Altri problemi sono la difficoltà ad accedere a finanziamenti e la mancanza di certificati qualitativi e sanitari per l’esportazione (ad esempio Iso e Haccp). L’agricoltura è per A partire dai problemi e bisogni citati, il la maggior parte governo albanese ha individuato una serie di di sussistenza, praticata azioni e priorità strategiche per sostenere lo in piccoli appezzamenti sviluppo del settore agricolo, anche nell’ottidi terreno con scarso ca dell’esportazione. Tali azioni e priorità uso di tecnologie sono espresse in modo articolato nella National Strategy for Development and Integration 2007-2013 (Nsdi), il più importante documento programmatico del governo albanese che stabilisce gli obiettivi di governo di medio e lungo termine e le linee strategiche di intervento settoriale a livello Paese. La Nsdi auspica una crescita equilibrata di tutte le zone rurali dell’Albania e la riduzione della povertà dei cittadini occupati nel settore agricolo attraverso le seguenti azioni di politica agricola: l’aumento del sostegno finanziario alle fattorie e alle attività di produzione/trasformazione di beni agricoli; il miglioramento della gestione, dell’irrigazione e della bonifica della terra attraverso la riabilitazione di dighe e infrastrutture per il drenaggio e l’irrigazione; il miglioramento delle capacità di vendita e promozione dei prodotti “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 79 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA agricoli; l’incremento dell’uso della tecnologia utilizzata per la produzione e dell’informazione sulle possibilità di vendita per le imprese agricole; l’aumento della qualità e del livello di sicurezza dei beni agricoli e agroindustriali attraverso leggi ad hoc, la promozione di best practice rispettose dell’ambiente, il sostegno alle produzioni biologiche e dell’applicazione degli standard internazionali in termini di sicurezza e qualità. Alcuni risultati e progressi nel sostegno al settore agricolo, anche alla luce delle citate strategie indicate nella Nsdi, sono stati riconosciuti nell’EC Progress Report del novembre 2008, il documento redatto annualmente dalla Commissione Europea che contiene, tra l’altro, una valutazione dei progressi effettuati dai Paesi candidati e potenziali candidati in relazione all’adozione di leggi e politiche consonanti con le richieste dell’UE. Il documento relativo all’Albania riconosce alcuni progressi nell’ambito agricolo e dello sviluppo rurale. In particolare, l’adozione della «Legge sull’agricoltura e lo sviluppo rurale» ha fornito la base legale per ogni futura politica di settore. Il governo ha inoltre approvato la Strategia sull’agricoltura e il settore alimentare e la Strategia trasversale per lo sviluppo rurale per il periodo 2007-2013, nonché una legge (non ancora operativa) che prevede che sulle etichette dei prodotti alimentari venga indicata la zona di provenienza del prodotto. Dal 2007 il governo fornisce anche sostegno diretto ai produttori, per incentivare nuove piantagioni di ulivi, viti e alberi da frutta. IL SETTORE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE (PMI) Se il settore pubblico albanese è dominato da poche grandi imprese, analizzando la struttura del settore privato si nota immediatamente che esso è quasi esclusivamente costituito da Pmi. Secondo dati dell’Agenzia governativa per gli investimenti e lo sviluppo delle imprese Albinvest, delle 87mila imprese recensite nel 2007 in Albania, ben il 99,80% hanno dimensioni piccole o medie. Di fatto, 80 MARCO RANIERI dunque, quando si parla delle imprese albanesi, si parla di Pmi. Come mostrato nel grafico 1, circa la metà delle imprese attive opera nel commercio, seguono i settori della ristorazione e degli altri servizi e l’industria. Guardando alla distribuzione territoriale delle imprese, si rileva che esse si concentrano per circa il 50% nelle due città principali (Tirana e Durazzo). Va infine notato che la propensione alla creazione d’impresa (combinata alla legalizzazione di attività precedenGRAFICO 1 - IMPRESE ATTIVE IN ALBANIA: SETTORE DI ATTIVITÀ (2007) 13% 9% 1% 10% 5% AGRICOLTURA E PESCA INDUSTRIA COSTRUZIONI COMMERCIO HOTEL, BAR E RISTORANTI TRASPORTI E COMUNICAZIONI ALTRI SERVIZI 14 % 48% FONTE: RIELABORAZIONE DATI ALBINVEST temente non denunciate) è in crescita costante dal 2001. Per avere un quadro d’insieme e capire il contesto in cui operano le imprese albanesi, e i rischi che esse corrono, è necessario analizzare alcuni indicatori macroeconomici. Come detto, in Albania l’agricoltura ha ancora un peso importante (20% circa del Pil), mentre l’industria è concentrata in pochi settori, soprattutto tessile e agroalimentare. In particolare, i settori tessile e calzaturiero generano da soli circa il 60% dei ricavi delle esportazioni albanesi. Le imprese di questi settori ad alta intensità di lavoro operano di solito con contratti di subfornitura per imprese europee, soprattutto italiane, importando beni semilavorati, facendo in COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 81 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA loco la lavorazione e riesportandoli in Italia, o nel Paese fornitore. Da lì i prodotti, finiti e confezionati, raggiungono i mercati mondiali. Se da un lato la scarsa incidenza di esportazioni al di fuori di questi due settori indica una mancanza di competitività nella maggior parte degli altri comparti produttivi, dall’altro rende l’economia albanese particolarmente vulnerabile a shock esterni dal lato della domanda (ovvero la diminuzione del potere d’acquisto in Italia e nei mercati finali crea disoccupazione in Albania). Un altro shock esterno a cui l’Albania va incontro è causato dall’espulsione dal mercato dei lavoratori albanesi emigrati (soprattutto in Grecia e Italia) e dal conseguente calo delle rimesse: questi flussi di capitale hanno finanziato il disavanzo commerciale albanese per circa il 44% nel 2007 e per meno del 40% nel 2008. Dal punto di vista Va inoltre considerato che i lavoratori macroeconomico, albanesi in Italia sono spesso piccoli imprenè una piccola economia ditori, anche associati tra loro, che con i loro aperta dipendente capitali affiancano in maniera importante i da fattori esterni quali flussi di investimenti diretti esteri. Una poliesportazioni e rimesse tica sostenibile nel lungo periodo sarebbe dunque quella di indirizzare e pilotare, per quanto possibile, l’impiego delle risorse finanziarie private della diaspora albanese per lo sviluppo economico interno. L’Italia è già attiva in questo processo: la nuova linea di credito da 25 milioni di euro finanziata dalla Cooperazione italiana nell’ambito del «Programma di sviluppo del settore privato mediante la costituzione di una linea di credito in favore delle Pmi albanesi», ad esempio, include nei criteri di precedenza per il finanziamento il fatto che la start up richiedente i fondi sia di proprietà di cittadini albanesi residenti in Italia. La citata importazione di prodotti semilavorati e loro successiva riesportazione contribuisce, accanto ai normali scambi, a fare dell’Italia il primo partner commerciale dell’Albania (34% dell’inter- “ ” 82 MARCO RANIERI scambio complessivo albanese). In particolare, nel 2008 l’Italia ha fornito circa il 27% delle importazioni albanesi e ha assorbito circa il 62% delle esportazioni. Dal punto di vista macroeconomico, l’Albania è dunque una piccola economia aperta dipendente per la formazione del Pil da fattori esterni quali esportazioni e rimesse dall’estero. Tenuto conto di questo, il governo albanese è impegnato ad integrare il Paese nel circuito europeo e mondiale del commercio e gli investimenti esteri. I PRINCIPALI BISOGNI DEL SETTORE PRIVATO E LE MISURE DI SOSTEGNO DEL GOVERNO ALBANESE Nell’ambito del contesto macroeconomico descritto, il governo albanese ha da tempo fatta propria l’idea che lo sviluppo economico del Paese passi attraverso lo sviluppo del settore privato e delle Pmi. A questo proposito, a partire da un’analisi dei bisogni del settore, sono state messe in atto numerevoli iniziative volte a favorire il business climate e la creazione d’impresa. Accanto al generale problema del basso livello dei servizi pubblici (forniture di acqua ed elettricità, smaltimento rifiuti, sanità, educazione) soprattutto nelle zone periferiche, un elenco dei principali ostacoli per il pieno e sostenibile sviluppo del settore privato e delle Pmi comprende un alto tasso di economia informale (che crea effetti distorsivi sulla concorrenza e danni all’erario), problemi legati ai diritti di proprietà sulla terra, lungaggini burocratiche, eccessivo carico fiscale, difficoltà di accesso a formazione e informazione, scarsa possibilità di accedere al credito. Le misure varate dal governo negli ultimi anni sono proprio finalizzate a risolvere questi problemi, o almeno a diminuire il loro effetto negativo sullo sviluppo del settore privato. A livello di policy, i principi che guidano le azioni del governo albanese in materia di piccole e medie imprese sono conformi a quelli espressi nella Carta europea delle Pmi. Questo documento sug- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 83 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA gerisce, tra l’altro, lo snellimento delle procedure per licenze e registrazioni, la semplificazione delle procedure fiscali, il miglioramento del rapporto con il sistema bancario volto ad un maggiore accesso al credito, la formazione per le risorse umane e un’implementazione dei servizi online per le imprese. A livello pratico, le azioni intraprese dal governo negli ultimi anni sono politiche economiche e fiscali liberali che includono: • la costituzione nel settembre 2007, presso il ministero dell’Economia, Commercio ed Energia, del Centro nazionale di registrazione delle imprese (Cnri), un one-stop-shop che ha ridotto ad un solo giorno il tempo necessario per registrare una nuova impresa, al costo di un euro. In questi “sportelli unici” situati in tutta l’Albania viene effettuata in simultanea la registrazione della nuova attività presso tutti gli enti, nazionali e locali, coinvolti nella pratica (Ufficio delle imposte, Ispettorato del lavoro, ecc.); • l’entrata in vigore nel gennaio 2008 della riforma fiscale che ha istituito una flat tax sul reddito per privati e imprese al 10%; • la riduzione del carico fiscale per il pagamento degli oneri sociali dal 29 al 20%; • la modifica (ancora in corso) delle leggi sulle licenze e i permessi in senso meno restrittivo, in linea con l’Acquis communautaire; • altri provvedimenti che comprendono la riduzione di barriere amministrative alla creazione d’impresa, azioni volte a ridurre l’economia sommersa (tra cui il divieto di fare transazioni in contanti al di sopra di circa 2.300 euro) e misure volte a migliorare l’accesso all’informazione per le Pmi attraverso l’uso delle tecnologie informatiche. L’efficacia delle nuove misure a sostegno dello sviluppo del settore privato è confermata dall’incremento delle registrazioni di nuove imprese presso il Cnri: ben 17.773 nel 2008 e 4.256 nel primo trimestre del 2009. Altre interessanti iniziative sono affidate all’agenzia Albinvest; esse includono la creazione di un Osservatorio sulle Pmi presso l’agenzia stessa e di misure finanziarie (fondo di cost sharing, fondo 84 MARCO RANIERI di garanzia) a sostegno delle Pmi votate all’esportazione. Tali misure finanziarie sono utili, ma ancora insufficienti per far fronte alla domanda di credito proveniente dalle Pmi. Un’altra iniziativa a sostegno del settore privato e della creazione d’impresa è il progetto (ancora embrionale) per l’istituzione di parchi industriali. In particolare, secondo il governo essi potrebbero essere sviluppati in zone già dotate di infrastrutture e servizi (strade, ferrovie, porti e aeroporti) che, almeno sulla carta, sarebbero adatte a veicolare l’agglomerazione di imprese. Tra le zone individuate vi sono la regione di Spitalle (Durazzo) e le ex zone industriali di Scutari e Lezha. Anche la creazione, fin dai primi anni 90, delle Agenzie di sviluppo regionale (Rda) rientra nel processo di decentramento, sviA sostegno del settore luppo locale e sostegno alle Pmi perseguito privati e della creazione dal governo e in linea con le indicazioni d’impresa è il progetto dell’UE. Le Rda sono oggi organizzazioni (ancora embrionale) non governative che si auto-sostengono opeper l’istituzione ranti in rete che, forti del radicamento sul di parchi industriali territorio, offrono servizi di consulenza a imprese, banche e donatori internazionali. Accanto alle misure varate dal governo, anche la Banca centrale è attiva nel processo di miglioramento del business climate. A tal proposito va segnalata la messa in opera, dal gennaio 2008, del Registro del credito, un database elettronico con i dati dei clienti delle banche che hanno richiesto un prestito. Il registro favorisce la trasparenza e velocizza molto l’eventuale concessione del prestito da parte delle banche commerciali. La Banca centrale ha inoltre adottato una politica monetaria espansiva con abbassamento del tasso di interesse (a gennaio 2009 la Banca ha approvato una riduzione dello 0,5% portando il tasso al 5,75%, nuovamente abbassato dello 0,5% ad ottobre 2009). Come accennato, il governo sa che lo sviluppo dell’Albania dipen- “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 85 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA de anche dalla misura in cui il Paese riuscirà ad integrarsi nei circuito europeo e mondiale del commercio e degli investimenti esteri. Il mercato comunitario e quello balcanico sono sbocchi vitali per le esportazioni albanesi, ma anche per l’approvvigionamento di materie prime e semilavorati. Il Sistema delle preferenze generalizzate e le regole legate al commercio contenute nell’Accordo di stabilizzazione e associazione firmato nel 2006, già permettono al 95% dei prodotti industriali, agricoli e ittici albanesi di entrare nel mercato europeo duty free. Nel 2007 l’Albania è anche entrata nel Cefta, l’area di libero scambio dell’Europa centrale, facilitando le operazioni commerciali e di investimento estero con l’adozione di un unico set di regole armonizzate a quelle dell’UE. Va infine segnalato l’accordo per la creazione di un’area di libero scambio con la Turchia, in vigore dal maggio 2008. LE MISURE A SOSTEGNO DEL SETTORE PRIVATO DEI DONATORI INTERNAZIONALI Coerentemente con quanto affermato dall’Oecd, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: «Il settore privato è il principale motore della crescita e della creazione di occupazione, ha un ruolo centrale nella riduzione della povertà e nel raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Di conseguenza, i governi hanno un forte interesse a promuovere politiche che gli permettano di prosperare e agire come mezzo effettivo dello sviluppo», il Comitato per l’assistenza allo sviluppo di questa organizzazione (Oecd Dac) ha fornito alla comunità dei donatori una serie di indicazioni volte ad aumentare l’impatto dello sviluppo del settore privato sulla riduzione della povertà. Tali misure comprendono: I) la rimozione delle barriere alla legalizzazione delle imprese esistenti (in nero); II) l’implementazione di politiche per la concorrenza; III) la promozione di misure dal lato dell’offerta, ovvero di servizi per lo sviluppo delle imprese e assistenza finanziaria; IV) lo svi- 86 MARCO RANIERI luppo del settore finanziario per la lotta alla povertà; V) la valorizzazione dell’accesso al mercato per le donne; VI) la costruzione di un dialogo pubblico-privato inclusivo. Sulla scia di queste indicazioni, in Albania la comunità dei donatori ha affiancato alla cooperazione nei settori più “tradizionali” (infrastrutture, sanità, educazione, ecc.) dei programmi di sostegno allo sviluppo del settore privato e delle Pmi. Tra le azioni più importanti in corso vanno citati: • il Programma BAS (Business Advisory Services) amministrato dall’Ebrd e sostenuto finanziariamente dal governo olandese: è volto alla crescita del settore delle Pmi e allo sviluppo professionale di consulenti locali, per prepararli ad affrontare i bisogni futuri delle imprese. Il Programma, lanciato in Albania nel giugno 2006, ha iniLa comunità dei donatori ziato più di 70 progetti (dei quali circa 50 già ha affiancato alla terminati) e individuato più di 70 potenziali cooperazione più consulenti locali; “tradizionale” programmi • il Credito Ebrd Western Balkans SME di sostegno del settore Finance Facility: avviato nell’agosto 2006 con privato e delle Pmi il contributo italiano, prevede un credito di Ebrd alla Banka Popullore (oggi parte del Gruppo Société Générale) di 5 milioni di euro per garantire maggiore accesso al credito alle Pmi; • le tre iniziative di UsAid Small Business Credit and Assistance Program, Development Credit Authority e Servicing MicroEntrepreneurs in Albania (finanziamento totale di circa 18 milioni di dollari, attualmente è ancora in corso solo il Development Credit Authority per un impegno di circa 714mila dollari); • il progetto Global Compact and Corporate Social Responsibility del Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite (Undp): è volto a facilitare il dialogo tra il settore privato e quello pubblico e il coinvolgimento della business community in tutti gli aspetti socio-economici dello sviluppo. L’iniziativa, a cui ha contribuito anche l’Italia, “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 87 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA promuove inoltre una partnership di lungo termine tra il settore privato albanese, i governi centrali e locali, le organizzazioni del lavoro e dei dipendenti pubblici, l’accademia e i media (120mila dollari); • il programma Support for Enhancing Regional Trade and Attracting New Investment to Albania, sempre dell’Undp: nel contesto dell’Accordo di stabilizzazione e associazione sostiene il governo a migliorare la capacità dell’economia albanese di integrarsi e competere sui mercati regionali e attrarre nuovi investimenti (440mila euro); • il progetto ELISA E-Learning for Improving Access to Information Society, finanziato dal Programma europeo INTERREG IIIB CADSES: è volto a migliorare l’accesso alla formazione e all’information society per le Pmi del Sud-Est Europa Dall’Italia linea di credito attraverso una stretta cooperazione con la alle Pmi albanesi: per business community e l’accademia a livello crescere e per passare transnazionale; dall’economia informale • lo strumento di assistenza preadesione a quella formale Ipa, attraverso l’area d’intervento socio-ecodelle attività produttive nomica dalla Componente 1-Transition and Institutions: finanzia un fondo 3,4 milioni di euro volto allo sviluppo delle Pmi (Supporting SMEs to Become More Competitive in the EU Market). La prima componente del progetto è la fornitura di assistenza tecnica e formazione alla gestione di impresa. La seconda componente, gestita dall’Ebrd, prevede il sostegno diretto a circa 20 Pmi attraverso il Programma Tam, che offre servizi di consulenza per aiutare il trasferimento di competenze manageriali e know how e la diffusione dei principi del corporate governance; • il progetto Business Environment Reform and Institutional Strengthening: è finanziato dalla Banca Mondiale per assistere il governo a facilitare l’entrata delle imprese nell’economia formale e rafforzare la capacità delle imprese di esportare (9,8 milioni di dollari); “ ” 88 MARCO RANIERI • il fondo da 10 milioni di euro messo a disposizione dell’Unione Albanese di Risparmio e Credito (Asc Union) dal governo spagnolo, nel febbraio 2009, per il finanziamento di micro progetti agricoli in 14 aree dell’Albania. LE MISURE A SOSTEGNO DEL SETTORE PRIVATO DELLA COOPERAZIONE ITALIANA La Cooperazione italiana ha contribuito ai processi di privatizzazione e sviluppo del settore privato in Albania sin dall’inizio della transizione. Oggi essa prosegue questa sua linea di intervento attraverso il citato Programma di sviluppo del settore privato mediante la costituzione di una linea di credito in favore delle Pmi albanesi. Il Programma risponde alle ultime indicazioni Oecd Dac, sopra menzionate, soprattutto con riferimento alla I) rimozione delle barriere alla legalizzazione delle imprese esistenti e alla III) promozione di misure dal lato dell’offerta, ovvero servizi per lo sviluppo delle imprese e assistenza finanziaria. Il Programma, infatti, sostiene lo sviluppo economico albanese tenendo in considerazione due esigenze: da un lato la crescita del settore privato attraverso l’accesso al credito per le Pmi, dall’altro la legalizzazione del settore, favorendo il passaggio dall’economia informale a quella formale delle attività produttive. In particolare, la linea di credito istituita dal Programma finanzia l’acquisto da parte delle Pmi albanesi di beni e servizi di origine italiana. Le condizioni offerte non sono distorsive rispetto al mercato locale del credito, sia per rendere il prestito appetibile per le banche che lo devono offrire, sia per portare avanti un’azione che non sia di assistenzialismo ma che sia sostenibile nel tempo, ovvero che possa fornire buone pratiche per future iniziative simili da svolgersi senza (o con limitata) assistenza italiana. Il programma - tra l’altro - dà priorità alle Pmi manifatturiere che esportano almeno per il 50% del fatturato, che siano imprese nuove o che siano localizzate nelle aree COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 89 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA più svantaggiate del Paese (ovvero fuori dall’area Tirana-Durazzo). Il progetto coinvolge il settore privato anche nella parte relativa all’erogazione del finanziamento, in quanto cinque banche commerciali private sono preposte al controllo delle richieste di credito e all’esborso dello stesso. Strumento complementare alla linea di credito, ma non meno importante, il fondo di garanzia favorisce l’accesso al credito per le Pmi coprendo parte delle garanzie richieste dalle banche per i progetti ritenuti finanziabili (precedenza è data alle Pmi che accedono alla linea di credito). Esso inoltre incrementa il numero di imprese locali che possono accedere ai servizi finanziari. Questo intervento a sostegno del settore privato è stato recentemente preceduto dal progetto Sviluppo sostenibile attraverso il Global Compact (320mila euro, oggi concluso) e potrebbe essere in futuro affiancato dal progetto BAS Albania, da un milione di euro, attualmente in fase di identificazione. CONCLUSIONI L’iniziativa in corso della Cooperazione italiana a sostegno delle Pmi risponde alle più recenti indicazioni dell’Oecd in materia di sviluppo del settore privato come mezzo di lotta alla povertà. Inoltre, l’ammontare dell’impegno finanziario (circa 30 milioni di euro) rende l’Italia un protagonista di primo piano nella comunità dei donatori in questo settore di avanguardia. Considerando inoltre che nei prossimi anni l’Albania passerà da potenziale candidato a candidato dell’Unione Europea, essa potrà usufruire anche delle componenti 3, 4 e 5 dello Strumento di assistenza preadesione Ipa (rispettivamente Regional, Social and Rural Development), che offrono fondi strutturali e agricoli. Nei prossimi anni, dunque, il sostegno allo sviluppo del settore privato e delle piccole imprese, in grado di creare condizioni endogene di sviluppo, acquisirà una sempre maggiore importanza per la cooperazione bilaterale in generale ed italiana in particolare. 90 MARCO RANIERI BIBLIOGRAFIA ALBINVEST Annual Report 2007, 2008 Main economic indicators Fact sheet, marzo 2008 Company registration Fact sheet, marzo 2008 Presentazione SME and export promotion program, Gavril Lasku 2008 BANK OF ALBANIA Annual Report 2007, 2008 Economic Bulletin, dicembre 2008 BUKOVEC SONJA, MINISTERO DELL’AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE CONSUMATORE ALBANESE Mission Report n. 2, aprile 2008 E PROTEZIONE DEL COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITY Albania 2008 Progress Report, 2008 Decision on a Multi-annual Indicative Planning Document (MIPD) 2009-2011 for Albania, 2008 CONSIGLIO DEI MINISTRI, REPUBBLICA D’ALBANIA National Strategy for Development and Integration 2007-2013, 2008 ECONOMIST INTELLIGENCE UNIT Albania Country Profile 2008, 2008 Albania Country Report 2008, 2008 EUROPEAN BANK FOR RECONSTRUCTION Albania Country Factsheet, 2008 Transition Report 2008, 2008 AND DEVELOPMENT EUROPEAN COMMISSION DG ENTERPRISE AND INDUSTRY E ORGANISATION FOR ECONOMIC CO-OPERATION AND DEVELOPMENT (OECD) - INVESTMENT COMPACT FOR SOUTH EAST EUROPE SME Policy Index 2007 - Report on the Implementation of the European Charter for Small Enterprises in the Western Balkans, 2007 EUROPEAN COUNCIL European Charter for Small Enterprises, 2000 INSTAT, UFFICIO STATISTICO NAZIONALE ALBANESE Quarterly GDP Publication, settembre 2008 COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 91 IL SETTORE PRIVATO IN ALBANIA INTERNATIONAL MONETARY FUND Albania Country Report 2008 N°. 08/128, aprile 2008 Albania Country Report 2008 N°. 08/270, agosto 2008 ISTITUTO PER IL COMMERCIO ESTERO Albania - Nota congiunturale, aprile 2009 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, DGCS La cooperazione italiana allo sviluppo nel triennio 2009-2011. Linee-guida e indirizzi di programmazione, 2008 Relazione previsionale e programmatica sulle attività di cooperazione allo sviluppo nell’anno 2008, 2007 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, ISTITUTO PER IL COMMERCIO ESTERO Albania - Rapporto Paese congiunto, primo semestre 2008 MINISTERO DELL’AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE E PROTEZIONE Albania agricolture in figures, 2008 SME Development Startegy Program 2007-2009, 2007 DEL CONSUMATORE ALBANESE MOLLA ARBEN Albania’s Agricultural Potential - Assessment Report, gennaio 2009 ORGANISATION FOR ECONOMIC CO-OPERATION AND DEVELOPMENT, DEVELOPMENT ASSISTANCE COMMITTEE (OECD DAC) Promoting Pro-Poor Growth - Private Sector Development, 2006 WORLD BANK Country Brief 2008, 2008 Doing Business 2009 - Albania, 2008 92 MARCO RANIERI COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 93 LO SVILUPPO AGRARIO E RURALE Aree rurali e sviluppo agricolo sono criticità del sistema economico albanese. Dopo le collettivizzazioni forzate, la «Legge per la terra», con la redistribuzione parcellizzata dei terreni. Il modello economico agricolo del Paese cambia e va verso il soddisfacimento dei fabbisogni di consumo della famiglia contadina, basato non sul fattore dell’alta tecnologia, ma su quello della forza-lavoro dei membri della famiglia di Artan Fuga docente all’università di Tirana, membro dell’Accademia delle Scienze N elle aree rurali del Paese sono avvenuti profondi cambiamenti, una vera e propria rivoluzione che ha trasformato sia i rapporti di proprietà che tutti gli altri rapporti di natura economica e sociale, politica e psicologica. Tuttavia, prima di giungere ad alcune conclusioni sulle attuali caratteristiche della società agraria e delle aree rurali del Paese, si cercherà di raccontare che cosa sia successo in tali aree nelle ultime due decadi. DELLE TRASFORMAZIONI RADICALI RISPETTO AL PRECEDENTE MODELLO DELL’ECONOMIA SOCIALISTA Tali cambiamenti, avvenuti subito dopo il 1990 e successivamente in via graduale, segnano la caduta del sistema cooperativistico, che rappresentava in realtà un percorso centralizzato e burocratico dell’economia agricola dello Stato, nonché delle aziende che costituivano la forma più evidente e netta di tale amministrazione gerarchica. Gli COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 95 LO SVILUPPO AGRARIO E RURALE anni 80 del secolo appena passato sono stati forse i più difficili per la popolazione rurale dell’Albania, che costituiva la maggior parte della compagine demografica del Paese. La pressione politica sul settore agrario è stata assai notevole, visto che si tentava di garantire attraverso questo settore e quello dell’industria mineraria esportazioni tali che rendessero possibile il funzionamento di un’economia generalmente autarchica ed isolata dalla divisione internazionale del lavoro. La meccanica agricola debole di fronte agli sviluppi tecnologici del tempo, l’attività dell’agricoltura basata sulla faticosa forzalavoro del contadino impegnato nei campi delle aziende o delle cooperative agricole, prevalentemente delle donne, gli scarsi redditi delle famiglie contadine, che poco alla volta si sono viste non solo private dalle libertà economiche che un’economia di mercato porta, Negli anani 80, ma anche spoglie di ogni genere di proprietà a situazione economica, individuale o familiare, persino dalle forme sociale, culturale, di sfruttamento di ciò che si definiva “l’orto della popolazione rurale di casa”, hanno reso incontenibile la situazioera caratterizzata ne economica sia nelle città che nei paesi, dalla povertà dove iniziava a mancare quasi del tutto il latte, il formaggio e il burro, la carne e gli altri prodotti agricoli. La situazione economica, sociale, culturale, di approvvigionamento della popolazione rurale, nonché di quella urbana degli anni 80 era caratterizzata chiaramente dalla povertà. In realtà, tale decade concluse da un lato, processi che da tempo avevano luogo nella società albanese e, dall’altro, li portò fino al degrado definitivo. La pressione demografica, la crescita della popolazione, in particolare di quella rurale, durante gli anni 50 e 60, sono state avvertite soprattutto sull’economia centralizzata albanese esattamente una generazione dopo, durante gli anni 80, quando il regime politico dell’epoca si è trovato di fronte a un drammatico bivio: accettare di seguire il modello di allora, quindi tollerare una sorta di economia domestica “ ” 96 ARTAN F UGA della famiglia contadina basata su un pezzo di terra limitato e poca pastorizia, economia questa che si sarebbe oramai moltiplicata di tre o quattro volte - corrispondendo più o meno all’aumento della popolazione rurale e a fronte di un processo di disgregazione della famiglia contadina dove, una volta sposati, almeno due o tre dei figli si separavano dai propri genitori - oppure disfarsi del tutto di questo modello orientandosi verso l’eliminazione del meccanismo reale che rendeva possibile la sopravvivenza del contadino, quindi verso l’eliminazione “dell’orto di casa”, facendo decadere definitivamente tutte le risorse di cui si nutriva la famiglia contadina. Nel contesto politico del tempo si è visto chiaramente che non vi era alcuna volontà politica per indirizzarsi alla prima alternativa, visto che avrebbe moltiplicato l’economia familiare di f ronte alla quale, ingrandita e consolidata, non avrebbe avuto più alcun senso l’economia cooperativistica. Sarebbe successo quanto in realtà è successo: si sarebbero avviate le cosiddette politiche di “collettivizzazione”, il che avrebbe concluso l’evoluzione di allora come la fine logica di un modello economico senza futuro. In un certo modo si può affermare che il modello dell’economia socialista del tempo è decaduto innanzitutto per via della sua stessa evoluzione naturale, dunque per le sue stesse contraddizioni immanenti e, fra queste, per via di una non corrispondenza drammatica tra il boom demografico, la crescita e la suddivisione della famiglia contadina, conseguenza interna e delle strategie politiche atte a mantenere sempre più stretta ed atrofizzata proprio questa economia familiare. L’inizio degli anni 90, esattamente dopo i cambiamenti politici democratizzanti, ha segnato profondi cambiamenti anche nelle aree rurali del Paese. Si è trasformata, soprattutto dopo la legge 7501, entrata in vigore nel 1991, la proprietà della terra. La sua logica giuridica consisteva nella restituzione della proprietà dei beni non sulla base del rispetto del diritto del primo proprietario, ma sull’alterazione del detentore della terra nelle condizioni di un’economia socialista, sulla base di divisioni paritarie della terra per ogni singolo paese COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 97 LO SVILUPPO AGRARIO E RURALE e pro capite della famiglia contadina. Dalla grande proprietà delle aziende e dalla cooperativa su un terreno quale bene nazionalizzato, quindi di proprietà dello Stato, si stava passando ad una nuova fase, quella della proprietà della terra da parte della famiglia contadina, con la ridistribuzione di questo bene immobile su base pro capite della famiglia e a seconda dei terreni appartenenti ad ogni singolo paese. La piccola proprietà contadina della terra, su un limitato spazio di pochi ettari, è stata resa il modello prevalente di proprietà per le aree rurali. Da un lato, ciò ha calmato in un certo modo i contandini ed ha consentito che le riforme politiche ed economiche postcomuniste nelle zone urbane si realizzassero generalmente senza la pressione della popolazione rurale. Il contadino si sentiva oramai libero e gioiva sia della libertà politica che della terra riacquisita, dopo tante e tante decadi, sotto il suo controllo, ma era anche un po’ rassicurato perché una volta uscita dalla scena politica l’élite politica comunista rurale, non avrebbe più bussato alla sua porta l’esattore della città e il grande latifondista degli anni 30, per chiedergli di sgomberare gli spazi agricoli sui quali era pronto a far valere i titoli di proprietà basati su atti legali. Però, d’altro canto, questa sorta di razionalità politica contenuta nella «Legge per la terra», nascondeva anche delle acute problematiche sotto il profilo delle logiche di proprietà, del titolo di proprietà, sotto il profilo economico, ecc.. Il modello economico agricolo del Paese stava tuttavia cambiando: da quello basato sulle grandi culture agricole a un’economia contadina familiare, basata sulle policolture agricole, non orientata al mercato della città ed all’industria trasformativa agroindustriale, ma verso il soddisfacimento dei fabbisogni di consumo della famiglia contadina, basato non sul fattore dell’alta tecnologia, ma su quello della forza-lavoro dei membri della famiglia contadina. Il lavoro non sarebbe più stato ricompensato con denaro, a forma di salario per il lavoro svolto, perché ritenuto un valore della famiglia; l’economia agricola familiare si vede come un bene di famiglia e non ha senso 98 ARTAN F UGA che qualcuno paghi gli altri per un lavoro che si considera sia nell’interesse di tutti e che si svolge sul bene comune di famiglia. Gradualmente, all’interno della famiglia albanese inizia a ravvisarsi anche la logica dell’occupazione polivalente, perché i redditi della famiglia contadina non provenivano più di tanto dal lavoro in agricoltura, ma soprattutto dall’occupazione dei membri della famiglia in altre attività professionali. Sono numerosi i dati statistiche di quel periodo dai quali si osserva un fenomeno riscontrato forse per la prima volta nella storia albanese, ossia che nella famiglia contadina i redditi generati dal lavoro agricolo siano molto inferiori ai redditi trasferiti alla famiglia rurale da alcuni suoi membri che lavorano nelle zone urbane e all’estero. I rendimenti sono molto scarsi sia in agricoltura che in pastorizia, il che fa sì che La piccola proprietà l’agricoltura albanese conosca un processo di contadina della terra, mancato ammodernamento proprio quando su uno spazio di pochi la società albanese registra un ammodernaettari, è il modello mento politico, nonché l’apertura verso i prevalente di proprietà mercati e la cultura occidentale, un processo per le aree rurali di emancipazione delle proprie infrastrutture nei servizi, nella comunicazione di massa, nelle varie attrezzature, nelle merci di consumo, ecc.. La «Legge per la terra» esprime forse qui anche la sua drammaticità, esattamente perché contiene per il suo tempo una specie di efficacia - per quanto discutibile - politica, mentre esprime anche una forte mancanza di razionalità economica, le cui conseguenze restano paradossalmente e generalmente contradditorie. Anche sotto il profilo macrosociale si registrano importanti processi che fanno sì che l’economia agricola dell’Albania, ancor più le sue aree rurali, funzionino in modalità del tutto differenti rispetto a prima. Non si ha né la profonda arretratezza e la povertà economica e culturale degli anni 30, che specie nelle zone di pianura del Paese si basa sui grandi latifondi, né l’economia agricola secondo il model- “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 99 LO SVILUPPO AGRARIO E RURALE lo socialista dove si richiedono all’agricoltura alti rendimenti sulla base della proprietà statale della terra e dei mezzi di produzione, obbligando il contadino ad un lavoro estremamente faticoso. Sognando di sottrarsi a questi due modelli superati, il contadino si orienta al terzo modello, quello della transizione postcomunista. Cresce il peso specifico della produzione agricola rispetto a quella industriale, non perché si ha una crescita assoluta della produzione agricola, ma perché, specie nel primo decennio della transizione, a differenza di prima si registra un calo assai più notevole della produzione industriale rispetto a quella agricola. Una seconda caratteristica ha a che fare con il fatto che ormai le esportazioni agricole e pastorizie si effettuano anche per lo stesso genere di prodotto. Nel frattempo, sulla base di una logica di mercato, diventano sempre La famiglia rurale più evidenti le forti ineguaglianze fra le zone si divide in due parti: rurali di pianura e costiere da un lato, e quelquella maschile emigra, le di montagna e collina, a Nord e a Sud-Est quella femminile dell’Albania, dall’altro. Trovandosi ormai o anziana custodisce priva anche dell’assistenza dello Stato sociala casa e fa da retrovia le, punita economicamente dalla «Legge per la terra», la popolazione rurale delle zone di montagna e collina inizia una migrazione di massa, quasi obbligata, verso le aree di periferia delle metropoli, occupando terreni che una volta appartenevano allo Stato o ai legittimi proprietari. Le aree urbane subiscono la pressione demografica giunta ancora una volta dalle periferie: potrebbe definirsi la quarta migrazione di massa del XX secolo avvenuta dalle zone rurali verso le zone urbane dell’Albania. L’Albania si stava urbanizzando in forme virulenti e incontrollate. La popolazione rurale non andava stavolta verso la città alla ricerca di lavoro, come nel periodo delle precedenti rivoluzioni industriali, ma si orientava invece verso un centro di cultura dove, dopo aver occupato terreni, si sarebbe insediata proprio lì sul bene che avrebbe trovato libero e indifeso. Forse all’interno di “ ” 100 ARTAN F UGA quella che si è definita rivoluzione democratica, questo insediarsi illegale su terreni non di appartenenza rappresenta l’atto fondamentale della violazione del quadro normativo, o dello stare al di sopra di ogni precedente atto normativo, che distingue in realtà le rivoluzioni. L’economia agricola sopravvive ormai attraverso la divisione della famiglia rurale in due parti. La prima, quella maschile, inizia a migrare nel Paese o all’estero, mentre la seconda parte, prevalentemente quella femminile, o della generazione più anziana, resta vicino alla sua proprietà nella zona rurale, la conserva e la coltiva anche per garantirsi la sua sopravvivenza e per fungere da retrovia per la parte migrata. La popolazione rurale fa i suoi più grandi investimenti di capitale costruendo le proprie case a più piani dove risiede, composto di alcune sub-famiglie più piccole, il clan familiare di una volta. Il terreno inizia a cementizzarsi e l’urbanizzazione della zona rurale avviene a danno del fondo del terreno agricolo, perché i centri abitati si espandono, privi di pianificazione e concentrazione. In questo modo, volendo o meno, con finanziamenti legali o illegali, su terreni legalmente acquisiti o posseduti con l’uso della forza, ciò che una volta si considerava terreno agricolo, contiene in larga misura investimenti e funzioni che per il loro peso finanziario ed il ruolo che occupano nella vita degli abitanti non hanno più come prima legami con l’agricoltura, ma con altre sfere di servizio. Per la prima volta inizia a distaccarsi notevolmente il rurale dall’agricolo. Da un lato aumentano i beni che non hanno a che fare con la produzione agricola, ottenuti da finanziamenti estranei all’area in oggetto, dall’altro la stessa produzione agricola cambia la sua natura e i suoi flussi. Soprattutto, la superficie del Paese si frammentarizza. In una certa misura la città decade dalla sua precedente funzione di centro economico e culturale che organizza, sotto questi aspetti, le zone rurali ad essa adiacenti. Resta più che altro un centro amministrativo svuotato di altre precedenti funzioni. La cultura giunge ormai sempre più come informazione dai media di massa, specie dalla tv COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 101 LO SVILUPPO AGRARIO E RURALE che prevale sull’habitat rurale, mentre i prodotti industriali giungono più che altro dalle importazioni e non sono più prodotti della città industriale vicina. La città non ha più bisogno dei paesi adiacenti, perché è spoglia dell’industria ed è rimasta come un guscio svuotato della produzione, trasformandosi in un centro di servizi in più, ma anche il paese osserva la città vicina con una sorta di indifferenza, non aspettandosi quasi più nulla da essa. Tuttavia, si è avuta l’ennesima conferma che il piccolo proprietario terriero è assai resistente alla concorrenza globale. Con l’apertura dei mercati l’industria albanese, concepita in limiti economici definiti, fallisce quasi del tutto, mentre il piccolo proprietario nella zona rurale regge ai flussi globali perché la terra non è per lui semplicemente un mezzo di lavoro, ma un bene dal forte simbolismo familiare e storico. Le leggi della concorrenza agiscono, in tali circostanze, assai lentamente. Le incertezze nella configurazione della proprietà della terra e la loro sovrapposizione, assieme al primo fattore, ostacolano la nascita di un vero mercato del terreno agricolo. Gli appezzamenti restano piccoli e al di fuori delle opportunità di realizzarvi dei profondi investimenti. Volta essenzialmente al consumo familiare dei prodotti agricoli e pastorizi, l’economia agricola si accredita poco, il che la rende poco dinamica sul mercato. Però, d’altro canto, la salva dallo sprofondarsi in debiti e la rende sostenibile e resistente alle crisi finanziarie globali. Si basa di più su beni materiali, che su flussi virtuali finanziari. I migliori prodotti agricoli e pastorizi del Paese sono di qualità migliore rispetto alle produzioni meno costose, acquistate o fatte venire dall’estero. Su questa base si avvia la rivitalizzazione della produzione agricola locale dove iniziano gli investimenti nelle serre, nei laboratori di trasformazione di prodotti di pastorizia, ecc.. Nel frattempo, attraversata da assi stradali che diventano importanti, la zona rurale inizia a pensare, benché solo agli inizi di questa 102 ARTAN F UGA idea, di ampliare i servizi e le offerte ad essi collegati per quanto riguarda il turismo, il settore alberghiero, i grandi spazi commerciali, la lavorazione del legno, della calce, ecc., ma attende che siano le politiche pubbliche e gli investitori urbani a volgere lo sguardo a queste risorse quasi del tutto non sfruttate. LO SPAZIO ECONOMICO NAZIONALE HA BISOGNO DI REINTEGRARSI Il progetto per la ristrutturazione dell’infrastruttura stradale e del suo miglioramento è in linea con questo. La città comprenderà un giorno che volgendo le spalle alle zone rurali ha perso molto, in primo luogo il mercato e poi le sue risorse naturali. L’attuale crisi La popolazione, finanziaria è in larga misura la crisi della città esausta dal socialismo, che, spoglia dell’industria di una volta, proha vissuto cesso questo forse comprensibile, si è isolata per un periodo dalla sua periferia urbana autosegregandosi la disoccupazione entro le proprie mura, come una volta nel come libertà Medioevo, sprofondata in processi degradanti culturali, economici e finanziari. In questo modo, la zona urbana spesso circola al suo interno più che espandere la propria creatività verso le zone rurali adiacenti. Vi è soprattutto spazio per correggere il modello di comportamento umano. La popolazione, esausta dal socialismo, ha vissuto per un periodo la disoccupazione come libertà. Libertà dall’obbligo statale di lavorare al di là della libera volontà umana. Si è diffusa l’illusione che il modello della vita urbana fosse migliore di quello rurale. Ciò riguardava il paese di una volta dove si racchiudeva, amministrativamente parlando, la vita della popolazione rurale. Però, ormai in libertà, è giunto il momento di considerare che forse la cultura è in città, ma il lavoro e le nostre risorse naturali sono più nelle zone rurali. “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 103 LO SVILUPPO AGRARIO E RURALE Si è visto che il lavoro può essere fatto fuori dall’Albania, mentre in Albania può avvenire solo la ridistribuzione dei flussi finanziari che ritornano nel Paese. Anche per questa illusione si avvicina la fine, sia perché la migrazione di seconda generazione ha logiche di funzionamento differenti da quelle della prima generazione, sia anche perché la crisi finanziaria sta dimostrando i limiti di questo modello secondo il quale l’Albania esporta, fino ad oggi, manodopera ed importa merci, attendendo flussi finanziari dall’estero. La rinascita del culto del lavoro - nei servizi, ma anche nella produzione diretta - resta parte della riforma culturale senza la quale si soffrirà perché una gran parte della popolazione attiva si lamenta del fatto che non vi sia lavoro, ma non vuole nemmeno lavorare proprio laddove è possibile trovare lavoro. La zona rurale si aspetta certamente un processo di ripopolamento su nuove basi di funzionamento. 104 COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 105 POLITICHE DI SVILUPPO RURALE IN ALBANIA Sia le grandi politiche pubbliche, che le politiche di accompagnamento e le analisi dei fenomeni che si adottano, necessitano di concetti chiari, precisi. Per quanto spesso si discuta in Albania, talvolta si adottano delle decisioni senza avere prima dei concetti chiari, ben definiti su quello che dovremmo fare, dando soluzioni populiste, congiunturali, che vanno bene per l’oggi ma non guardano lontano: di Adrian Civici rettore Università europea di Tirana V orrei fare una rapida presentazione di uno studio fatto sul modo in cui sono evoluti in questi ultimi vent’anni in Albania i concetti dello sviluppo rurale e territoriale, spiegando da dove siamo partiti subito dopo gli anni 90 per realizzare la grande e radicale trasformazione in cui ci troviamo oggi. Perché evoluzione dei concetti? Perché si ritiene, anche secondo tutti gli interventi che abbiamo sentito qui oggi, che a prescindere dalle due strategie e dalle due potenziali vie - da un lato la pianificazione e dall’altro l’intervento delle autorità pubbliche e l’orientamento dello sviluppo attraverso le politiche per lo sviluppo -, o la comprensione o il suggerimento delle piccole dinamiche territoriali, sono entrambe raccolte nello sviluppo. Infine, c’è qualcosa che noi avvertiamo di più. Cioè che sia le grandi politiche pubbliche, sia le politiche di accompagnamento che quelle di analisi dei fenomeni che si adottano, necessitano in fin dei conti di concetti chiari, preci- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 107 LE POLITICHE DI SVILUPPO RURALE IN ALBANIA si. Nulla è solo frutto della buona volontà di fare qualcosa di buono, ma in sostanza quando tu adotti una politica, quando suggerisci una via di sviluppo, ciò che conta è lo sviluppo. Il tutto va considerato in linea generale anche alla luce delle esperienze di cui ci hanno parlato i nostri colleghi italiani. Per quanto spesso si discuta in Albania, talvolta si adottano delle decisioni e delle politiche senza avere prima dei concetti chiari, ben definiti su quello che dovremmo fare, dando alle cose delle soluzioni populiste, delle soluzioni congiunturali, che vanno bene per oggi o per domani ma non vedono più lontano. Se dovessi riassumere quanto è successo in questi vent’anni con le politiche dello sviluppo rurale, direi che sono state due le linee principali. Noi siamo passati dal concetto settoriale a quello territoriale, e dal concetto verticale al concetNulla è solo frutto della to orizzontale. Ed è stata questa la chiave dei buona volontà di fare nostri grandi cambiamenti. qualcosa di buono, Consentitemi di esprimere anche una mia ma quando adotti considerazione in merito all’intervento del una politica, ciò che professor Fuga. Un intervento, a parer mio, conta è lo sviluppo molto interessante. Ci sono voluti forse vent’anni di cambiamenti sul concetto dello sviluppo rurale perché ci si potesse appropriare e arrivare oggi a quanto il professor Fuga realizza con tanta convinzione. Per molti anni l’agricoltura in Albania è stata considerata proprietà degli agricoltori, degli agronomi, dei veterinari e degli zootecnici, quindi un settore dove solo si produceva, e sembrava una faccenda del tutto straordinaria che un filosofo, con connotazioni di sociologo o antropologo, si occupasse di un settore considerato dominio di queste professioni. Proprio oggi, dopo vent’anni, ormai evoluti nei nostri concetti di sviluppo rurale e territoriale, tutto questo è fattibile e molto positivo per dimostrare che la nostra valutazione di oggi interessa il territorio e la popolazione, e tanti altri elementi e non solo un singolo set- “ ” 108 ADRIAN CIVICI tore. Allora, ritornando di nuovo alla tematica di questa evoluzione, si potrebbe affermare che durante i primi dieci anni di transizione visto che il 2010 segna anche i venti anni della transizione albanese - per la prima metà dunque si potrebbe affermare che in tutte le azioni abbiano predominato i concetti delle politiche agricole. Il che significa che tutti i problemi delle zone rurali si equiparavano alla problematica dell’agricoltura, vista come settore. Tutti i fondi, gli investimenti, i progetti venivano assegnati solo in funzione dello sviluppo dell’agricoltura. Anche in molte istituzioni o indicatori, le valutazioni facevano prevalente riferimento alla logica dello sviluppo dell’agricoltura. Giungendo al secondo periodo - 2000-2009 e 2010, appena iniziato - si osserva una nuova tendenza che fa rilevare che nelle zone rurali, tramite le politiche agricole - che mi auguro che, con l’evoluzione del linguaggio, possano ora definirsi politiche agrarie - non potevano risolversi molti problemi che iniziavano a manifestarsi o, più precisamente, esistevano anche prima, ma dei quali la gente prendeva coscienza solo in quel momento e li considerava sotto uno sguardo generale. Primo fra tutti, il problema dell’occupazione della popolazione delle zone rurali. Nelle nostre statistiche tutt’oggi la nostra popolazione si considera al 100% occupata. Basta che la singola famiglia disponga di una superficie di terra, per quanto modesta, perché ogni persona suo membro possa considerarsi occupata. Abbiamo in realtà una sub-occupazione, o un’occupazione parziale per una parte dell’anno, perché il resto dell’anno questa popolazione non saprebbe dove andare a lavorare. Quindi, secondo le statistiche si considerano occupati, ma in realtà succede esattamente il contrario. In secondo luogo, l’agricoltura da sola non poteva risolvere tutti i problemi dello sviluppo economico e sociale di tutte le aree che non erano aree urbane. In terzo luogo, vi erano in queste aree, oltre alle attività agricole, anche delle buone potenzialità sociali, economiche e naturali che necessitavano di un altro concetto. Sussistevano inoltre grandi diffe- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 109 LE POLITICHE DI SVILUPPO RURALE IN ALBANIA renze fra le stesse aree rurali, nonché fra le aree rurali e quelle urbane, che necessitano anch’esse di una nuova ottica risolutiva. Un problema è la diversificazione delle entrate in queste aree, perché visto che per tanto tempo le entrate provenivano solo dall’agricoltura, nel primo periodo della transizione - come è stato già sottolineato queste entrate sono venute diminuendosi rispetto alle altre entrate provenienti da settori esterni all’agricoltura o alla stessa area rurale. La problematica della conservazione dei valori culturali e storici è riapparsa in scena e ciò era naturalmente al di fuori del quadro delle politiche agricole. Vi erano inoltre due fattori molto rilevanti: il freno all’abbandono di queste aree, dunque il freno dell’esodo rurale, perché si sa che l’Albania in questi vent’anni, ma specie nei primi dieci, ha conosciuto un considerevole esodo rurale e l’abbandono di molte aree rurali alle quali le politiche agricole da sole non potevano provvedere. Ed infine, puntare allo sviluppo dell’infrastruttura e dei servizi in generale per ottenere un migliore tenore di vita, avere dei servizi più o meno equi. L’Albania, considerando tutte queste sfide, anche sotto l’influsso dell’Unione Europea e, soprattutto, grazie all’inizio di un intenso processo di integrazione europea dopo aver fatto proprie le esperienze regionali, inclusa la ricca esperienza italiana in tema di politiche di sviluppo rurale, è passata al concetto delle politiche di sviluppo rurale, la cui data di nascita coincide con il momento in cui il ministero dell’Agricoltura, così chiamato storicamente, ha cambiato nome in ministero dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale, quando al suo interno sono stati istituiti degli appositi settori per il trattamento delle questioni dello sviluppo rurale e quando, allo stesso tempo, per la prima volta, nel 2002 la strategia per lo sviluppo rurale è stata concepita come una strategia intersettoriale dove sono stati coinvolti anche altri ministeri, dimostrando che i problemi relativi all’area rurale non potevano essere risolti solo dall’agricoltura e da un unico ministero. Tutto ciò ha fatto sì che alle politiche dello sviluppo agricolo si 110 ADRIAN CIVICI aggiungessero altri tre nuovi elementi. Il primo riguarda la partecipazione diretta allo sviluppo dei fattori e delle istituzioni locali, il che rappresentava una nuova esperienza per l’Albania, specie quando si tratta di attori locali che hanno gradualmente portato alle strategie di sviluppo locale e territoriale ed hanno iniziato ad essere assistiti quali attori dello sviluppo. Il secondo elemento riguarda l’introduzione e l’applicazione del concetto dello sviluppo territoriale. Questo concetto, nonostante in Europa si elaborasse da tempo, è per noi nuovo, degli ultimi anni, e stiamo ora costruendo gli strumenti per poterlo ampiamente applicare. La logica della divisione del territorio in Albania è stata, almeno in questi ultimi vent’anni, una pura logica elettorale; quando si è trattato della divisione del territorio o quando durante il periodo del Per la prima volta, socialismo o del comunismo si aveva la nel 2002 la strategia famosa suddivisione per distretti, oppure per lo sviluppo rurale appena abbiamo provato a fare delle riforme è stata concepita territoriali, la logica predominante è stata come una strategia quella elettorale, la quale richiedeva una sudintersettoriale divisione secondo gli interessi della politica e non in funzione delle caratteristiche del territorio o delle caratteristiche dello sviluppo. ora si continua a discutere sul fatto che ci serve una nuova suddivisione territoriale in funzione dello sviluppo e non in funzione dei fattori finora considerati. Infine, due parole sull’introduzione del concetto di orizzontalità nell’ambito dell’integrazione dei vari settori dell’economia e delle strategie di sviluppo. Non sono pochi i casi in cui la nostra esperienza ha dimostrato che in un dato territorio ogni settore aveva politiche sue e obiettivi suoi e che si poteva tranquillamente intervenire a danno di un altro settore. Non è forse il caso di portare molti esempi, ma oggi tanti territori sono incidentati dal punto di vista delle opportunità di sviluppo, visto che si è agito con una mancata armo- “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 111 LE POLITICHE DI SVILUPPO RURALE IN ALBANIA nizzazione fra gli interessi dei diversi settori insistenti su quel territorio. Il risultato che si sta consolidando nel 2010 è la creazione di un nuovo modello rurale albanese, il quale sta tentando, talvolta con successo e talvolta con problemi, a creare un nuovo legame, a tre, fra l’agricoltura, la ruralità e il territorio. Quali sono le sue principali componenti? Anche in questo caso, si potrebbe accennare a tre componenti. In primo luogo, la diversità: le politiche dello sviluppo rurale sono in funzione dello sviluppo economico sociale e geografico di ogni Paese. Noi stiamo cercando di applicarle nelle zone montane, nelle zone in difficoltà, nelle zone costiere, evitando di avere una politica unica, in bianco e nero, dello sviluppo rurale, ma di renderla invece in funzione delle caratteristiche del territorio; in secondo Il principio della multiluogo, il concetto della multiattività a cui si funzionalità attribu isce sta mirando sempre più, affinché le multiatall’agricoltura anche tività agricole, economiche e la cultura delle altri compiti, oltre a entrate nelle aree rurali siano quanto più quello della produzione diversificate, per rendere lo sviluppo più agroalimentare armonico e per introdurre in campo più attori, il che si traduce in maggiori opportunità di sviluppo. Infine, un principio presente da tanto tempo nell’esperienza agricola europea: il principio della multifunzionalità, che attribuisce all’agricoltura anche tanti altri compiti, oltre a quello della produzione dei prodotti agroalimentari. Compiti che riguardano la tutela dell’ambiente e lo sviluppo, direi urbano, delle aree rurali. Una delle ragioni per cui oggi assistiamo nelle zone montane a molti fenomeni negativi è che in nome degli interessi dell’economia di mercato abbiamo abbandonato molti dei settori tradizionali, cosa che ha portato all’inquinamento dell’ambiente, alla non protezione delle foreste, della flora, della fauna, alla non ricomposizione o conservazione del paesaggio, a barriere nella creazione delle condizioni favorevoli “ ” 112 ADRIAN CIVICI per un turismo sostenibile ed altro simile a questo. È mia impressione che, dall’analisi dei documenti relativi al tema dello sviluppo rurale, come sottolineava nel suo intervento anche il ministro Ruli, si sta abbandonando sempre più l’idea che le politiche dello sviluppo rurale sono concentrate al ministero dell’Agricoltura e si sta ponendo l’accento sulla cooperazione degli altri attori di tutti gli altri campi, quale l’ambiente, l’educazione, la sanità, l’infrastruttura, il turismo e molti altri ancora. Se dovessimo pensare ad una tipologia delle politiche per lo sviluppo rurale in Albania, a quanto è stato fatto finora e a quanto si sta cercando di fare, direi che potremmo in primo luogo mirare a delle politiche per la compensazione delle difficili condizioni naturali, in considerazione della posizione periferica delle aree rurali; in secondo luogo ad una apposita strategia per le zone montane; abbiamo già una strategia speciale per le zone non favoreggiate, per le zone in difficoltà, che significa che stiamo adeguando sempre più il territorio alle politiche di integrazione europe del Paese; pensare anche alle politiche per la diversificazione delle attività agricole e la promozione dei prodotti biologici. È oggi rappresentato in questa conferenza anche l’Istituto agronomico Mediterraneo di Bari, uno dei partner principali e promotore di queste politiche in Albania, apportandovi non solo l’esperienza italiana ma anche quella mediterranea ed europea. Le politiche per la tutela dell’ambiente si riferiscono in generale a zone di particolare pregio naturale e diventano sempre più presenti. Lo stesso si potrebbe affermare per le politiche per il miglioramento delle condizioni di vita attraverso la crescita della gamma dei servizi pubblici e della qualità dell’infrastruttura. Se dovessimo considerare la strategia per lo sviluppo del Paese, si può affermare che in questi ultimi 4 o 5 anni, termini quale sviluppo dell’infrastruttura rurale o delle vie rurali, divengono sempre più presenti negli investimenti pubblici e nella promozione degli investimenti esteri. In breve, vi sono altre quattro politiche: la politica per la valorizzazione dei prodotti regionali alimentari, la politica per lo sviluppo dell’agri- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 113 LE POLITICHE DI SVILUPPO RURALE IN ALBANIA turismo, la ristrutturazione e la composizione territoriale, nonché la politica per l’aumento delle entrate. Per concludere, direi che questo cambiamento di concetti ha prodotto terreno fertile per uno sviluppo positivo del Paese, innanzitutto per la valorizzazione delle potenzialità interne locali, per la creazione di una visione territoriale più strategica, per una gestione finanziaria in cui la componente pubblica si abbina a quella decentrata o locale. Vorrei soprattutto sottolineare la formazione delle polarità orizzontali e l’allontanamento dalla logica verticale, ed infine la trasformazione dello sviluppo rurale in uno strumento dello sviluppo e della modernità democratica e politica delle stesse aree rurali. Il tutto potrebbe così riassumersi: se si prosegue con questa visione, allora significa che avremmo compiuto un ulteriore passo in avanti verso l’integrazione dell’Albania all’Unione Europea, perché questo percorso comune non sia semplicemente un andar avanti artificiale, ma un co-viaggiare con la politica agricola condivisa verso le trasformazioni per il periodo 2013-2010. 114 COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 115 LE POLITICHE DI SVILUPPO RURALE IN ALBANIA 116 ADRIAN CIVICI COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 117 UN NUOVO FOCUS PER LE POLITICHE INDUSTRIALI Dopo circa due decadi di riforme economiche e risultati ottenuti, sembra che le politiche ortodosse abbiano manifestato le proprie insufficienze e, forse, oggi occorre volgere lo sguardo alle politiche eterodosse. Due le insufficienze principali: la questione del coordinamento e quella delle deviazioni del mercato. L’esigenza di una riconsiderazione delle politiche industriali ha quindi assunto un nuovo profilo di Selami Xhepa deputato e membro commissione Economia e Finanze del parlamento albanese S i è poco parlato delle politiche per lo sviluppo industriale dall’inizio della transizione. Si è invece parlato di ristrutturazione e ammodernamento, e direi che i due termini sono tra loro intercambiabili. La ragione di tale “negligenza” si trova nel trionfo della teoria neoclassica - secondo cui il settore privato si sviluppa in modo naturale, basterebbe applicarvi il trinomio liberalizzazione - privatizzazione - stabilizzazione. Però, dopo circa due decadi di riforme economiche e risultati registrati, sembra che le politiche ortodosse abbiano manifestato le proprie insufficienze e forse, occorre volgere lo sguardo alle politiche eterodosse. Le teorie neoclassiche ne hanno fatto rilevare le due insufficienze principali: la questione del coordinamento e quella delle deviazioni del mercato. L’esigenza di una riconsiderazione delle politiche industriali ha assunto un nuovo profilo, attribuitole non solo da organizzazioni multilaterali quali Unido, Adb, ma anche da importanti think tanks (l’Iniziativa per il COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 119 UN NUOVO FOCUS PER LE POLITICHE INDUSTRIALI dialogo politico di Stiglitz ha istituito una task force per le politiche industriali). In questa mia presentazione mi soffermerò su tre questioni relative alla natura dello sviluppo economico del Paese: 1. I fattori dello sviluppo economico ed il ruolo della storia: quanto è rilevante il ruolo di path-dependence? 2. Qual è la tipologia dell’attuale economia del Paese? Quale capitalismo si addice meglio al nostro sistema economico? 3. L’esigenza di una nuova visione, formale, delle politiche per il futuro sviluppo industriale del Paese. 1. I FATTORI DELLO SVILUPPO ECONOMICO: QUANTO È RILEVANTE IL RUOLO DELLA DIPENDENZA STORICA? La storia dello sviluppo economico nel corso degli scorsi 50 anni, e le esperienze di diverse parti del globo ci hanno dato parecchie lezioni sulla comprensione dello sviluppo. Lo sviluppo è possibile, ma purtroppo non inevitabile, afferma Stiglitz. La questione si è posta anche ad un tavolo di dibattito che ha avuto luogo alla fine degli anni 80, sul Lago di Como. Un tavolo di dibattito circa le differenze nello sviluppo dell’Est e dell’Occidente dell’Europa. Il professore di Storia dell’economia, Eric J. Hobsbawn ha sollevato una domanda sorprendente: «Perché l’Albania non è sviluppata quanto la Svizzera? Entrambi i Paesi hanno una popolazione ed una geografia simili, sono poveri nelle risorse, hanno storie simili di uno Stato debole ed autonomo, si sono nutriti di soldati a servizio di Paesi stranieri». Più di 60 miliardi di euro vengono ogni anno investiti dai fondi del governo centrale e locale nella parte est della Germania per risanare le regioni depresse e non sviluppate. Nonostante ciò, restano alti i tassi di disoccupazione e forte l’emigrazione verso la parte occidentale. La conclusione è evidente - lo sviluppo non è semplicemente questione di denaro, di fondi. Occorre cercare più a fondo per sco- 120 SELAMI XHEPA prire i problemi fondamentali dello sviluppo. La letteratura e le ricerche economiche nel campo dell’economics comparato, hanno evidenziato l’importante ruolo delle istituzioni, le quali non creando gli adeguati incentivi per la crescita economica, diventano fonte di sottosviluppo per i Paesi. Quando si parla di istituzioni, le variabili maggiormente studiate comprendono i diritti di proprietà (North), gli ordinamenti giuridici (La Porta) e le barriere per l’accesso al mercato o le oligarchie (Olson). Però l’altra questione irrisolta ed ampiamente discussa che resta è se le istituzioni possono disegnarsi e, di conseguenza, trapiantarsi da fuori, dall’esterno, oppure se una cosa simile sia negativa; dunque, la migliore delle possibilità sarebbe la loro evoluzione naturale adeguandosi in via naturale alle caratteristiche ed all’habitat del Paese (Hayek; Rodrik). La Lo sviluppo non è riforma istituzionale applicata nella forma semplice questione del Big Bang nei Paesi ex comunisti ha subìdi denaro, di fondi. to dei fallimenti in Russia, nell’America Occorre cercare più a Latina ed in alcuni Paesi dell’Africa. Ciò fondo per scoprirne spinse il dibattito sull’esigenza di un adeguai problemi fondamentali mento graduale e sulla teoria evolutiva delle istituzioni, un dibattito condotto da Rodrik e da Haussman. Ma Paesi come l’Albania, i quali aspirano all’adesione all’UE e che, di conseguenza occorrerà che si avvicinino e adottino le istituzioni dei Paesi membri, si aspettano che questo fattore si trasformi in un generatore di crescita economica e di sviluppo economico a lungo termine del Paese. Quale sarà allora l’effetto atteso di un tale processo di trasposizione istituzionale? È altrettanto sorprendente vedere in che modo i Paesi ricchi di risorse e materie prime non siano riusciti a svilupparsi più rapidamente rispetto ai Paesi privi delle stesse. Questo fenomeno è ormai battezzato con il nome Natural Resource Curse. Non solo i casi di studio e le specifiche esperienze di Paesi (quali la Russia, il Venezuela, “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 121 UN NUOVO FOCUS PER LE POLITICHE INDUSTRIALI ecc.,), ma l’azione di questo fenomeno è stata anche empiricamente studiata dal professore dell’università di Harvard, Jeffrey A. Frankel. Egli ha analizzato sei degli aspetti caratterizzanti un’economia dominata dalla mentalità delle risorse (la mentalità dell’offerente, come la etichetta Ohmae - The borderless world), e dove ciascun fattore agisce quale percorso che potrebbe condurre ad una performance economica sub-ottimale. I fattori sono: le tendenze a lungo termine dei prezzi delle merci sui mercati internazionali, la volatilità dei prezzi, l’effetto crowding put dell’attività produttiva, le guerre civili, le istituzioni deboli ed il Dutch Disease. Gli economisti hanno scoperto gli effetti della dipendenza storica (path-dependence) sullo sviluppo del Paese. È evidente che ciò va contro l’economics classico dove il risultato dello sviluppo di un Paese Lo sviluppo economico è dovuto ad una ragione ben precisa, addiritassomiglia a una “scatola tura quantificabile, e non vi è spazio per nera” dove è difficile incertezze. Un economista dell’Istituto di per la mente umana Santa Fè, Brian Arthur, scrive che sarà il penetrare e comprenderdestino, il fato, accompagnato da una reazione facilmente la causa ne positiva, più della superiorità tecnologica, a determinare la superiorità dello sviluppo economico di un Paese. La sua spiegazione segue più o meno la logica del gioco della roulette: il successo della sera prima non accresce le opportunità di successo anche per la sera dell’indomani. Forse questa è una ragione del perché i modelli econometrici che intendono spiegare lo sviluppo economico (si ricordano i grandi economisti quali Walras, Debreu e Samuelson) hanno fallito nel dare una risposta esatta. Nel modellamento secondo i principi della teoria neoclassica, gli effetti della dipendenza storica sono stati studiati anche per le economie in via di transizione, dove le condizioni iniziali della transizione sembra siano state dei fattori determinanti per il successo delle riforme di stabilizzazione e di tutta la transizione. Di nuovo, le determinazioni delle teorie economiche “ ” 122 SELAMI XHEPA sono coerenti tra di loro. È per queste ragioni che lo sviluppo economico assomiglia ad una “scatola nera” dove è difficile per la mente umana penetrare e comprendere facilmente la causa dello sviluppo o del mancato sviluppo. 2. QUALE CAPITALISMO SI ADDICE MEGLIO AL NOSTRO SISTEMA ECONOMICO? I cambiamenti essenziali verificati sulla tipologia dell’economia sono (a) il passaggio da un ambiente economico industriale dominato da un grande numero di aziende statali (la gigantomania) ad una miriade di aziende piccole e medie (le Pmi); (b) da una struttura economica predominata da attività industriali, specie dell’industria pesante, verso un’economia predominata dai servizi e da un’industria prevalentemente trasformativa; (c) da uno sviluppo economico condotto e realizzato dallo Stato ad uno sviluppo del tutto soggetto all’azione delle forze del mercato. Quando si parla della tipologia dell’attuale sistema economico dell’Albania, caratterizzato da una grande presenza di microimprenditori nonché da piccole e medie imprese, non si esita definirla come quella di un’economia della piccola imprenditoria privata. Baumol ci dà una descrizione dettagliata dei tratti delle varie tipologie del capitalismo: statale (di tipo asiatico), corporativista (europeo), oligarchico (il capitalismo russo), e quello in cui si ha una combinazione delle piccole e medie imprese e di un piccolo numero di grandi imprese (di tipo americano), sottolineandovi anche l’indiscussa prevalenza di quest’ultimo. Il contributo delle Pmi nello sviluppo economico e sociale della società e la prevalenza di quest’ultima sono ormai ben evidenziati dalla letteratura. Tuttavia, quale sistema economico capitalistico si addice meglio ad una società, credo resti tuttora oggetto di dibattito. Però è forse necessario definire il termine imprenditore. J.B. Say (il primo ad aver usato questo termine), Schumpeter e Drucker intendono con imprenditore una persona che non accetta, una persona COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 123 UN NUOVO FOCUS PER LE POLITICHE INDUSTRIALI che cambia radicalmente, che capovolge e disorganizza, che si oppone. Partendo esattamente da questa accezione Schumpeter ha tratto il termine «distruttore creativo». «L’equilibrio dinamico creato dall’impresa innovativa, più che l’equilibrio e l’ottimizzazione», scrive Drucker, «è una regola per un’economia sana e la realtà di base per la teoria e la pratica economica». Mentre l’imprenditore cui, nel quotidiano, facciamo riferimento è semplicemente un uomo d’affari replicativo, un uomo d’affari che fa la stessa cosa che fanno anche gli altri, numerosissimi in un’economia capitalista, lo stesso uomo d’affari dal significato che spesso riscontriamo nelle descrizioni del noto scrittore (economista) inglese del XVIII secolo, Richard Cantillon. Come già sottolineato, questi imprenditori giocano un ruolo fondamentale nella vita economica e sociale del Paese. Sarebbe però sufficiente per un’economia che cerca di crescere con ritmi più elevati rispetto alle altre economie del continente, affinché possa superare l’arretratezza e ottenere la convergenza con gli indicatori reali dello sviluppo? La risposta è No. La performance di un’impresa dipende prima di tutto dalla sua capacità di innovazione; dalla capacità dei suoi manager di orientare gli investimenti dell’impresa, dalla formazione dei dipendenti, dal marketing, da R&D, ecc.. Con lo sviluppo economico si intende una trasformazione strutturale, esattamente da attività di scarsa produttività in attività ad alta produttività, sostenute dall’innovazione portata da imprenditori innovatori. Riflettendo sui dati di un recente studio della Banca mondiale (2009) sulla situazione della competitività dell’economia, potremmo ricorrere ad alcuni suoi indicatori per riportare il ritratto dell’imprenditore locale. Le imprese albanesi hanno un livello assai scarso di utilizzo dell’Ict (web pages ed emails) nella loro attività economica, sia nei rapporti con i fornitori che in quelli con i loro clienti. Solo il 37% delle aziende ha un sito web, rispetto all’86% che rappresenta il livello medio per le CEE5 (Polonia, Repubblica Slovacca, Repubblica 124 SELAMI XHEPA Ceca, Ungheria, Slovenia). Inoltre, nonostante il livello di formazione della mano d’opera sia problematico (risulta tale in tutte le osservazioni effettuate sul mercato del lavoro), solo una piccolissima percentuale delle imprese (il 20%) offre formazione, rispetto all’80% della Slovacchia o del 47% della Bosnia. La formazione sembra essere un servizio offerto prevalentemente dal settore pubblico, visto che la quota di dipendenti che ricevono formazione è di circa il 51,4%, identica agli altri Paesi della regione (la Croazia con il 52%, la Bulgaria con il 63%, ecc.). In generale le aziende hanno poche conoscenze sul trasferimento della tecnologia e non investono in servizi di consulenza, operando quindi con scarsi livelli di produttività. Secondo un case study di questo rapporto, un’azienda che era ricorsa a consulenza esteL’equilibrio dinamico ra, era riuscita a raddoppiare la sua produtticreato dall’impresa vità in meno di un mese. Tuttavia, il ricorso ai innovativa, servizi di consulenza resta ancora una rarità. più che l’equilibrio e L’Albania ha migliorato la sua posizione l’ottimizzazione, è regola competitiva in World Competitiveness Report. per un’economia sana Invece del 108° posto negli anni 2008-2009, per gli anni 2009-2010 occupa il 96° posto. Ma la posizione è notevolmente peggiore quando si parla dei fattori che determinano l’innovazione e l’ammodernamento del business (121° posto). Tuttavia, gli indicatori dell’innovazione e della presentazione di nuovi prodotti sono incoraggianti. Circa il 59% delle imprese intervistate ha presentato dei nuovi prodotti durante gli ultimi tre anni, indicatore questo più elevato rispetto a quello degli altri Paesi della regione (Bulgaria il 50%, Romania il 33%). Tale è l’indicatore del miglioramento dei prodotti esistenti, evidente soprattutto nella fabbricazione dei metalli ed in altre attività di trasformazione. Gli indicatori dell’innovazione sono generalmente più alti tra le imprese straniere o laddove vi sono delle joint ventures con dei partner stra- “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 125 UN NUOVO FOCUS PER LE POLITICHE INDUSTRIALI nieri, nonché nelle attività di esportazione. Un altro importante elemento per stabilire la tipologia dell’economia sono i cambiamenti strutturali verificati in economia durante questi anni. Dare una risposta sulla natura e l’intensità del cambiamento nella struttura produttiva, significherebbe per noi sviluppare dei modelli di tipo input-output, sia per la domanda che per l’offerta, che vista l’assenza di dati diviene un’impresa impossibile. Introdurremo in seguito i cambiamenti strutturali dell’economia, nonché i ritmi della creazione di imprese, a seconda della natura delle attività economiche, con un’interpretazione semplificata degli indicatori statistici. In primo luogo, le dinamiche della creazione di nuove imprese hanno registrato dei tassi elevati, facendo sì che lo stock delle È giunto il momento per imprese, entro un periodo di 6 anni, aumenuna nuova concezione, tasse di circa 1,5 volte. formale, delle politiche In particolare, i ritmi più dinamici sono industriali, equidistanti stati registrati dai settori dell’agricoltura, dei alla teoria neoclassica e servizi e della ristorazione, dove è cresciuto il all’intervento dello Stato numero delle imprese che hanno avviato una loro attività economica con ritmi più elevati rispetti a quelli medi per l’istituzione di una società. La distribuzione delle imprese dimostra una prevalenza delle microimprese, che hanno manifestato una densità di 30,6 imprese per mille abitanti, mentre le Pmi e le grandi imprese hanno mantenuto ritmi assai bassi. La prevalenza delle microimprese è stato un fattore costante per l’intero periodo della transizione, riflettendo nel contempo la struttura dell’economia, che è passata al processo di divisione delle grandi imprese e dove l’iniziativa privata è limitata dall’offerta del capitale, mentre le microimprese sono fiorite per via dei bassi costi di accesso sul mercato (Xhepa, Agolli, 2002). La vita economica del Paese è dominata da tante imprese albane- “ ” 126 SELAMI XHEPA si, dove il peso delle imprese estere resta minore, specie nei settori terziari. Sembra che la maggior presenza di imprese estere stia nel settore produttivo, specie in quelle di esportazione. Tuttavia, il capitalismo albanese assomiglia, sotto tale ottica, più al modello indiano, basato essenzialmente sull’impresa locale, che al modello cinese, dominato dalle multinazionali straniere. In conclusione, sembra che i cambiamenti importanti della tipologia dell’economia del Paese, cioè il passaggio dalla gigantomania o dalle grandi impresi alle microimprese, sono un evidente e significativo indicatore delle differenze fra i due tipi di politiche applicate nel Paese: quella dell’intervento dello Stato e quella della liberalizzazione neoclassica. È evidente che mentre il primo modello ha condotto verso il pieno fallimento dell’economia, il secondo sembra si sia bloccato, laddove le forze del mercato da sole sembrano inabili a realizzare quel misto necessario di impresa, risorse economiche e politiche pubbliche che dovrebbe trasportare l’economia verso una nuova traiettoria di sviluppo e modernità. 3. L’ESIGENZA DI UNA NUOVA VISIONE, FORMALE, DELLE POLITICHE PER IL FUTURO SVILUPPO INDUSTRIALE DEL PAESE Quindi, per muoversi dall’attuale fase dell’economia verso una nuova fase (o un nuovo equilibrio) più elevata, è necessario avviare una riforma dell’attuale sistema delle politiche e delle istituzioni, con l’obiettivo di ottenere un’economia competitiva, di imprenditoria, con gli elementi sopra sottolineati. È giunto dunque il momento per una nuova concezione, formale, delle politiche industriali, equidistanti alla teoria neoclassica ed all’intervento dello Stato. Si tratta di un’impresa complessa, non solo e semplicemente sotto il piano teorico ed ideologico, ma anche sotto quello pratico, visto il ruolo essenziale che spetta alla cultura, al patrimonio, allo stato delle istituzioni ed alla valutazione che ne ha la società, ecc.. La sfida consiste nel disegnare un quadro istituzionale che sia in grado di fornire delle soluzioni ai “fallimenti del mercato” e che sia contestualmente COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 127 UN NUOVO FOCUS PER LE POLITICHE INDUSTRIALI il “market frendly” e, per lo più, lontano dalle possibilità di corruzione della burocrazia e dello stesso sistema economico. La questione si potrebbe così porre: è possibile sviluppare un quadro di politiche pubbliche che siano complementari alle forze del mercato, senza provocare quindi delle distorsioni del mercato (market distortions), politiche che accelerano lo sviluppo economico rafforzando gli effetti allocativi delle risorse economiche e della produttività dei fattori produttivi? L’approccio tradizionale della politica industriale consisteva nell’identificare le barriere e le esternalità, e nel disegnare delle politiche pubbliche per il loro indirizzamento. Il processo di specializzazione porta ad uno sfruttamento migliore delle risorse e si trasforma in una forza di sviluppo. I fatti però ci dimostrano che mentre i Paesi si sviluppano di più economicamente, la produzione e l’occupazione tendono ad essere meno concentrate per i vari settori. Solo dopo che il Paese ha raggiunto un livello di redditi affine a quello dell’Irlanda, la produzione tende a orientarsi verso la concentrazione. Questo tipo di diversificazione nel processo dello sviluppo, come osserva Rodrik, va contro la logica della specializzazione che scaturisce dalla teoria dei vantaggi comparativi. È la specializzazione a liberare le risorse economiche incanalandole verso un loro utilizzo più efficiente. Klinger e Lederman (2004) sottolineano di nuovo questa tesi con cifre e dati relativi alle esportazioni, rilevando che il numero dei prodotti nuovi di esportazione in rapporto alle entrate si presenta con la curva a forma di U. Nei Paesi con redditi bassi c’è il classico problema del coordinamento. Lo sviluppo nel Paese di un nuovo prodotto (non nel senso dell’innovazione, ma dell’imitazione dello stesso prodotto che si sviluppa in un altro Paese), richiederebbe la presenza delle industrie collegate (i servizi infrastrutturali - strade, energia, telecomunicazione, offerente di input, ecc.) che non possono essere offerte da investitori privati fino a quando non vi sia sul mercato un sufficiente 128 SELAMI XHEPA numero di operatori. Quindi questi investimenti upstream e downstream richiedono l’intervento del governo. I parchi industriali ed i clusters sono una modalità per ridurre al minimo il problema del coordinamento degli investimenti pubblici. L’esperienza albanese in questo senso è tuttora ai suoi primi passi. Alcune iniziative politiche avviate nel 1996 per la creazione delle zone economiche franche hanno riscontrato due ostacoli: il primo, il momento delle elezioni politiche e il successivo degrado della situazione politica nel Paese; il secondo, nell’obiezione dell’Fmi per l’attribuzione degli incentivi fiscali a favore dello sviluppo di queste zone. Anche un progetto per la creazione di un parco industriale esteso su circa 22 ettari a Durazzo, sviluppato dalla Bers durante questo periodo, per via del mancato riconoscimento da parte delle È possibile sviluppare autorità locali di incentivi fiscali volti al suo un quadro di politiche sviluppo, non è stato sviluppato dall’investipubbliche che siano tore, facendo sì che i parchi industriali e le complementari alle zone economiche franche divenissero uno forze del mercato, senza strumento da archiviare fino al 2007, anno in provocare distorsioni? cui il governo si è impegnato per la loro rivitalizzazione quali strumenti di sviluppo economico e regionale e di una migliore gestione della terra e dell’ambiente. Finora il governo ha approvato la creazione dei parchi industriali a Koplik di Scutari (con sviluppatore un consorzio di aziende italiane), a Lezha (con sviluppatore un’azienda privata tedesca), a Valona (con sviluppatore il settore privato locale) nonché a Durazzo dove sono state proclamate due zone franche, per la cui realizzazione non hanno ancora manifestato interesse investitori esteri e le autorità governative stanno promuovendo e cercando degli sviluppatori interessati. Altri due progetti con finanziamento di donatori (UsAid) intendono sviluppare i concetti dei clusters delle industrie collegate, evidenziando alcuni prodotti che presentano potenzialità di sviluppo “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 129 UN NUOVO FOCUS PER LE POLITICHE INDUSTRIALI nel Paese, e più nello specifico nell’industria calzaturiera, del turismo, della trasformazione della carne e del vino. Una serie di attività di supporto sono state realizzate a beneficio di queste industrie, sensibilizzando le imprese sul fatto che la competitività dei loro prodotti va ricercata in tutta la catena del valore aggiunto dei loro prodotti finali. Il secondo problema riscontrato dagli investitori nello sviluppo dei prodotti nuovi è quello dell’informazione. Come si potrebbe sapere ex ante che lo sviluppo di un prodotto sarà redditizio? La sperimentazione, da parte del settore privato, nelle condizioni di una tale incertezza creerebbe grandi benefici sociali se il progetto risultasse di successo, ma provocherebbe invece delle grosse perdite qualora fallisse. La questione che si pone è quindi se riusciamo noi a disegnare dei meccanismi pubblici che incoraggino l’assunzione del rischio da parte del settore privato, ma che possano anche influenzare l’attenuazione di tale rischio grazie a interventi dello Stato. È naturale che il danno morale (moral hazard) sarebbe presente e la crisi asiatica ha testimoniato che i rischi di tali politiche sono enormi e dannosi. Il superamento di tali fallimenti del mercato richiede, anche nelle esperienze di altri Paesi, un ruolo attivo da parte dello Stato. Il problema essenziale in tal caso è trovare una cornice istituzionale idonea, la quale abbia come sua caratteristica l’interazione con il settore privato nel processo di formulazione delle politiche, ma che mantenga l’equidistanza della burocrazia e la salvaguardia dalle tendenze e dalle pratiche corruttive. Una tale sfida, per una società in cui il fenomeno della corruzione si considera ancora endemico fino alla fatalità, mi sembra resti una sfida irrisolvibile, almeno quando si tratta di mettere a fuoco first-best policies. Ciò che importa, sottolinea Rodrik (2004), «sono tanto il processo quanto il risultato della politica». La ricetta politica standard per la cura delle malattie: 1. Sovvenzionamento dei costi di “auto-rivelazione” 2. Sviluppo dei meccanismi finanziari per gli investimenti ad alto 130 SELAMI XHEPA rischio (per esempio, garanzie pubbliche per gli investimenti a lungo termine) 3. Coordinamento delle esternalità attraverso l’istituzione dei Consigli per lo sviluppo o dei forum di consulta pubblici-privati, garantendo la trasparenza e la responsabilità delle agenzie attuative 4. R&D con finanziamenti pubblici 5. Sovvenzionamento della formazione della manodopera 6. Incoraggiamento del rimpatrio degli emigrati. BIBLIOGRAFIA BAUMOL, WILLIAM J., LITAN, ROBERT E., SCHRAMM, CARL J. Good Capitalism, Bad Capitalism, and the Economics of Growth and Prosperity, Yale University Press, 2009 WILL BARTLETT SME development policies in different stages of transition, in «Economic Policy in Transition Economies», Vol. 11, Nr. 3, September 2001 WORLD BANK Albania - Building Competitiveness in Albania in «Report 47866-AL», October 2009 INBS, J., WACZIARG, R. Stages of Diversification in «American Economic Review», 2003 RODRIK, D. Industrial Policy for the twenty first century, Harvard University, September 2004 COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 131 SVILUPPO REGIONALE E FINANZE LOCALI Le finanze giocano un ruolo importante nello sviluppo regionale. Esse sono garantite dal settore pubblico e da quello privato. Il settore pubblico contribuisce attraverso le risorse finanziarie generate dal governo locale e da quello centrale, destinate a tal fine. Mentre il settore privato si sviluppa e contribuisce laddove trova il clima adatto e l’infrastruttura tecnica. Quindi, il ruolo principale per lo sviluppo regionale spetta agli enti del governo locale in quanto sono essi a incidere sui servizi pubblici e sulla creazione di un clima idoneo di Sherefedin Shehu deputato e membro della commissione di Economia e Finanze del parlamento albanese L e finanze giocano un ruolo importante nello sviluppo regionale. Esse sono garantite dal settore pubblico e da quello privato. Il settore pubblico contribuisce attraverso le risorse finanziarie generate dal governo locale e da quello centrale, destinate a tal fine. Mentre il settore privato si sviluppa e contribuisce laddove trova il clima adatto e l’infrastruttura tecnica. Quindi, il ruolo principale per lo sviluppo regionale spetta agli enti del governo locale, in quanto sono essi a incidere sui servizi pubblici da essi offerti e sulla creazione di un clima idoneo allo sviluppo dell’impresa privata. IL RUOLO E LE FUNZIONI DEL GOVERNO LOCALE Il governo locale esercita funzioni stabilite dalla legge. La legge incarica esclusivamente il governo locale in Albania a fornire i servizi locali più importanti i quali producono dei benefici locali, quali l’infrastruttura urbana e rurale, i servizi pubblici tra cui la nettezza, l’ac- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 133 SVILUPPO REGIONALE E FINANZE LOCALI qua potabile e le canalizzazioni, lo sport e la cultura, lo sviluppo economico locale e la protezione civile, nonché fornendo servizi di beneficio nazionale quali l’istruzione, la sanità e l’assistenza sociale. Servizi, questi ultimi, di grande impatto sul benessere della popolazione locale, ma anche sul consolidamento delle capacità e delle competenze del governo locale. Le unità del governo locale giocano un ruolo importante nel servizio dell’istruzione. Esse provvedono all’operatività ed alle attività di manutenzione delle scuole, nonché a realizzare gli investimenti in edilizia e dotazione delle scuole tramite dei fondi allocati dal budget pubblico centrale. Nell’anno accademico 2007-2008 c’erano in Albania 2.093 scuole di istruzione preuniversitaria, 226 delle quali erano private. Vi erano inoltre 1.752 scuole d’infanzia, di educazione prescolastica, 86 delle quali private. Una importante componente dell’infrastruttura sociale locale sono anche le case per gli anziani, le residenze sociali, i centri di riabilitazione, le istituzioni ed i beni culturali e sportivi, i musei, ecc.. Oltre all’infrastruttura sociale, gli enti del governo locale possiedono una parte considerevole dell’infrastruttura fisica quali le strade urbane e rurali, gli acquedotti, le canalizzazioni, gli impianti di depurazione e trattamento delle acque nere, le discariche per lo smaltimento dei rifiuti solidi, ecc.. Questa infrastruttura è legata all’ottenimento dei servizi pubblici più importanti. La situazione dell’infrastruttura locale e dello sviluppo economico è notevolmente migliorata, ma si è ancora lontano dagli standard europei. Una parte degli assetti sono ereditati dal precedente sistema e soddisfano le condizioni minime per la loro funzione. I sistemi tecnici e tecnologici sono vetusti e, in più di un caso, non sono stati resi nemmeno i servizi minimi di manutenzione e non soddisfano gli standard contemporanei tecnici, ambientali e della salute. Le scuole e le istituzioni non dispongono di impianti di riscaldamento o raffreddamento e non offrono talvolta le condizioni minime sanitarie e di sicurezza. 134 SHEREFEDIN SHEHU Il miglioramento dell’infrastruttura e l’esercizio delle funzioni da parte del governo locale rendono possibile un migliore sfruttamento delle risorse naturali locali e l’attrazione di più risorse private alla loro località. Ma ciò è innanzitutto subordinato alle capacità istituzionali e alla forza di investimento del governo locale. Nella tabella 1 sono indicate le risorse a disposizione del governo locale a seconda della loro natura. TABELLA 1 - IL BUDGET DEGLI ENTI DEL GOVERNO LOCALE A SECONDA DELLA NATURA DELLE ENTRATE (milioni di euro) A. Totale entrate A.1. Proprie di cui imposte tasse A.2. Trasferte del budget pubblico B. Grant concorrenti C. Allocate dai Minesteri di Linea Risorse totali 2005 177 101 28 76 0 16 193 2006 205 90 50 115 30 18 253 ANNI 2007 2008 273 232 105 91 57 45 168 141 45 35 38 30 356 297 2009 308 135 76 173 41 39 388 2010 332 154 86 178 44 51 427 Come si evince dai dati contenuti nella tabella, la portata del budget degli enti del governo locale non garantisce un miglioramento rapido dell’infrastruttura locale. Resta contestualmente limitato anche il ruolo degli enti del governo locale per l’economia e lo sviluppo locale. Anche nella struttura delle risorse si osserva il peso, relativamente alto, delle trasferte dal governo centrale e le entrate dalle tasse e imposte appartengono più alle città ed alle zone urbane. Gli enti del governo locale delle zone rurali (i Comuni), assicurano le proprie entrate prevalentemente dalle trasferte, visto che le loro capacità fiscali ed istituzionali sono più scarse ed il governo centrale interviene per restringere l’ineguaglianza fra le regioni. Il ruolo degli enti del governo locale nella vita economica e sociale della loro comunità si vede anche nella dimensione del budget locale rispetto al budget nazionale ed al Pil, in progressivo incremento, ma tuttavia ancora basso. Il peso specifico del budget locale è superiore a quel- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 135 SVILUPPO REGIONALE E FINANZE LOCALI lo delle risorse proprie degli enti del governo locale: tale differenza si spiega con politiche attuate e volte a restringere l’ineguaglianza fra le regioni e la delega delle competenze e dei fondi dal governo centrale. IL MIGLIORAMENTO DELL’INFRASTRUTTURA Come già detto, spetta agli enti del governo locale il ruolo primario nella creazione, nel miglioramento e nella manutenzione dell’infrastruttura locale. Pertanto, gli enti del governo locale allocano una parte delle loro risorse agli investimenti. A partire dal 2006 il governo centrale ha istituito, oltre all’allocazione generale, un fondo speciale per gli investimenti, il quale viene destinato a forma di grant concorrenti. Le risorse finanziarie allocate dal budget centrale a sostegno del budget locale possono considerarsi quale compensazione e bilanciamento delle entrate locali e degli investimenti nazionali a supporto degli investimenti locali. Ma, d’altro canto, gli enti del governo locale devono dar prova della loro volontà per il miglioramento della vita socio-economica della comunità incrementando la parte delle proprie entrate impiegata per gli investimenti. Come si evince nella tabella 1, i grant concorrenti e i fondi delegati dai ministeri per gli investimenti sono notevolmente cresciuti negli ultimi cinque anni e, nel 2010 ammontano a 95 milioni di euro. Mentre sul totale del budget locale gli investimenti occupano circa il 45%, ma nel totale degli investimenti locali più della metà sono investimenti del governo centrale a forma di grant concorrenti e di investimenti delegati al settore dell’educazione e per gli acquedotti. In generale, gli enti del governo locale hanno incrementato gli investimenti in infrastruttura con le proprie entrate. Così, nel 2009, gli investimenti sono cresciuti del 47% rispetto al 2008, di cui il 35% è rappresentato da investimenti nell’infrastruttura fisica. Però i fondi a disposizione sono ancora insufficienti in rapporto alle esigenze ed in molte zone l’infrastruttura è povera. In tal senso, ciò che si aspetta è che i prestiti abbiano un ruolo importante, visto che la legge è 136 SHEREFEDIN SHEHU stata approvata nel 2008, e nel 2009 sono iniziati gli sforzi per l’ottenimento dei prestiti. L’INEGUAGLIANZA REGIONALE Circa il 49% della popolazione albanese abita nelle zone urbane, ma molte città si sono create o ampliate durante il precedente regime - la loro urbanizzazione è avvenuta negli anni 70 - e, di conseguenza, si è ben lungi dagli standard contemporanei. Quasi un terzo della popolazione risiede nelle città e nell’area Tirana-Durazzo. La differenza a livello di vita economica e sociale che esisteva nel sistema precedente si è resa più profonda, risultato dello sviluppo più rapido delle città tradizionali e delle aree urbane in rapporto alle nuove città ed alle aree rurali. Pertanto, una buona parte della popolazione delle aree povere è migrata nelle grandi città, particolarmente nell’area di TiranaDurazzo. Circa l’80% delle imprese si è concentrato in questa area e la maggior parte di esse si è creata dopo il 1995. La tabella 2 offre una visione completa degli indicatori di ineguaglianza fra le regioni. TABELLA 2 - INDICE DEGLI INDICATORI PRINCIPALI PER LA MISURAZIONE DELL’EGUAGLIANZA FRA LE REGIONI REGIONE POPOLAZIONE INDICATORE INDICATORE INDICATORE PIL INDICATORE CLASSIFICA LONGEVITÀ EDUCAZIONE PRO CAPITE SVILUP. UMANO PER ISU 597,676 382,483 0.825 0.825 0.928 0.914 0.713 0.626 0.822 0.788 1 2 245,112 192,739 93,934 381,213 193,020 265,125 0.813 0.835 0.816 0.795 0.825 0.802 0.942 0.915 0.924 0.91 0.895 0.918 0.600 0.543 0.544 0.575 0.558 0.551 0.785 0.764 0.761 0.76 0.759 0.757 3 4 5 6 7 8 159,169 256,022 189,854 111,393 0.806 0.815 0.798 0.788 0.921 0.922 0.907 0.908 0.53 0.486 0.497 0.459 0.752 0.741 0.734 0.719 9 10 11 12 ISU ALTO Tirana Fier ISU MEDIO Durazzo Valona Argirocastro Elbasan Berat Korcia ISU BASSO Lezha Scutari Dibra Kukes COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 137 SVILUPPO REGIONALE E FINANZE LOCALI Come si evince dai dati, nonostante l’Albania sia un Paese con superficie e popolazione piccole, vi sono delle grosse differenze negli indicatori del livello dello sviluppo economico e sociale. Pertanto, è stata formulata nel 2007 la strategia per lo sviluppo regionale, nella quale sono stati stabiliti i programmi e le risorse necessarie per l’attenuazione dell’ineguaglianza. La suindicata tabella e la strategia per lo sviluppo delle regioni stabiliscono anche una serie di percorsi ed altri mezzi che contribuiscono alla riduzione della povertà ed allo sviluppo delle zone rurali remote. Pertanto, si considerano importanti, oggi come per il futuro, i finanziamenti comunitari sia quelli utilizzati fino ad oggi a forma di Programmi di cooperazione transfrontaliera (Programme Phare Cbc) e degli Strumenti di pre-adesione (Programme Ipa), che di attesi fondi strutturali. Il governo centrale ha La riduzione della povertà e dell’ineguausato il finanziamento a glianza fra le regioni si raggiunge attraverso il forma di grant concorrenti miglioramento dell’infrastruttura e la promoquale strumento per zione degli investimenti interni ed esterni, che lo sviluppo e la riduzione consentiranno lo sfruttamento delle risorse delle ineguaglianze locali. Visto che la dimensione degli enti del governo locale in Albania è piccola, lo sviluppo rapido delle regioni richiede una maggiore cooperazione e la realizzazione di progetti comuni fra gli enti del governo locale nel Paese, ma anche fra quelli dei Paesi di prossimità. Si creeranno in questo modo delle regioni economiche sempre più grandi e crescerà l’interesse dei grandi capitali all’investimento. Oltre ai finanziamenti ed ai programmi dell’UE, sono stati anche i vari donatori, incluso il governo italiano, a contribuire all’incremento delle capacità locali ed allo sviluppo delle regioni. Così, sin dai primi anni di transizione è stato istituito il Fas - Fondo albanese di sviluppo, il quale, con il sostegno dei donatori, ha contribuito alla riduzione della povertà ed alla promozione dello sviluppo regionale. Gli strumenti impiegati sono stati gli investimenti diretti per il “ ” 138 SHEREFEDIN SHEHU miglioramento dell’infrastruttura, i crediti di circolazione per gli individui e l’assistenza per la formulazione e l’attuazione dei piani di sviluppo locale e regionale. Il Fondo albanese di sviluppo è stato istituito quale agenzia autonoma di implementazione del Progetto per la riduzione della povertà nelle zone rurali all’inizio del 1993, per trasformarsi ora in un’istituzione volta a promuovere lo sviluppo economico e sociale sostenibile, bilanciato e coeso, a livello regionale e locale, a sostegno delle politiche pubbliche di sviluppo. I suoi obiettivi principali sono: a) il miglioramento dell’infrastruttura socio-economica locale; b) il miglioramento dei servizi pubblici locali; c) il rafforzamento istituzionale degli enti del governo locale; d) la promozione della buona governance a livello locale. A partire dal 1993 il Fas ha realizzato progetti per un valore di 227 milioni di lek, che insieme a quelli in corso di realizzazione ammontano a circa 318 milioni di dollari Usa. I progetti, finanziati da 12 donatori, incluso il governo italiano, sono ad oggi 1.730. Sono progetti su strade, acquedotti, scuole, centri sanitari, ecc. di cui hanno beneficiato 374 enti locali con una media di 4 progetti per ogni ente. Sono stati formati circa 3.200 dipendenti locali, rappresentanti della comunità, progettisti, ditte di esecuzione, e sono stati formulati 26 piani di sviluppo locale, settoriale e del turismo. A partire dal 2008, il Fas, sta implementando il progetto per le strade regionali, di 400 milioni di euro, il quale rappresenta il più grande progetto di sviluppo regionale. Come sopra affermato, il governo centrale ha impiegato il finanziamento a forma di grant concorrenti quale strumento per lo sviluppo regionale e la riduzione delle ineguaglianze fra le regioni. A far tempo dal 2010 questo strumento è stato sostituito dal Fondo per lo sviluppo delle regioni. Lo scopo di tale fondo è duplice: in primo luogo, continua ad essere una risorsa complementaria per il miglioramento dell’infrastruttura regionale, ed in secondo luogo vengono COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 139 SVILUPPO REGIONALE E FINANZE LOCALI a crearsi le capacità per un migliore e rapido utilizzo dei futuri fondi strutturali. Nell’istituzione e nell’utilizzo di tale fondo si applica il concetto dello sviluppo integrato, in quanto rientrano in esso tutti i finanziamenti effettuati negli enti del governo locale destinati a strade urbane e rurali, acquedotti, scuole, centri sanitari, beni socio-culturali, opere di drenaggio e irrigazione, e lavori di assestamento forestale. LE FINANZE RURALI, LA RIDUZIONE DELLA POVERTÀ E LO SVILUPPO REGIONALE Nonostante l’importante ruolo del potere locale, lo sviluppo delle regioni non può avvenire senza la promozione dello sviluppo delle imprese e dell’infrastruttura finanziaria. Gli enti del governo locale dispongono di ben pochi assetti per promuovere le attività di sviluppo regionale sia di marketing, informazione, consulenza per le imprese, che per la formazione delle zone economiche e dei parchi industriali. D’altro canto, la rete delle istituzioni finanziarie o l’incremento della possibilità di avere dei servizi finanziari nelle zone montane e rurali moltiplicano le opportunità di sviluppo. All’inizio degli anni 90 è stato utilizzato il credito circolante quale strumento per la riduzione della povertà nelle zone rurali. Il credito veniva concesso da un dipartimento istituito all’interno del Fondo albanese per lo sviluppo ed ha contribuito ad introdurre nel sistema di credito anche le zone marginalizzate in cui prevale l’agricoltura, a livello di sopravvivenza o con attività a basso tasso di utile. Tuttavia, da questo processo si sono tratte delle lezioni per l’ulteriore sviluppo degli istituti di credito e risparmio in diverse regioni del Paese. Abbiamo capito fra l’altro che le persone estremamente povere possono essere assistite più efficacemente tramite il trasferimento delle entrate, dei sussidi e dell’aiuto economico, il miglioramento dell’infrastruttura, che tramite il sistema di credito. Si è allo stesso tempo giunti alla conclusione che in queste zone sono più idonee le strut- 140 SHEREFEDIN SHEHU ture di proprietà degli associati o gli istituti piccoli basati sui risparmi, i quali operano a bassi costi. Sulla base di queste conclusioni, il dipartimento di credito del Fas è stato ristrutturato ed ha iniziato a funzionare come un’associazione di credito e risparmio in possesso dei suoi associati. Prosegue la sua attività raccogliendo risparmi ed accreditando i suoi associati. Ma l’azione di questa istituzione è rimasta comunque localizzata ed è nata così la necessità di avere dei veri e propri istituti di credito. Anche l’esperienza degli altri Paesi ha provato che dalla concessione di crediti sovvenzionati per lo sviluppo dell’agricoltura occorre passare alla crescita sostenibile dei servizi finanziari per i poveri attraverso lo sviluppo di un’infrastruttura e di istituti finanziari forti nelle zone rurali. Nelle zone agricole più ricche, si considerano più Nelle zone rurali sono adeguati degli istituti di microcredito privati più idonee le strutture di o di proprietà della comunità, gestiti profesproprietà degli associati sionalmente. Pertanto, sono state avviate nel o gli istituti piccoli basati 2002 delle politiche, le quali hanno influito sui risparmi, i quali sullo sviluppo regionale e sull’incremento dei operano a bassi costi servizi finanziari nelle zone rurali. Così, il governo ha sostenuto l’istituzione della fondazione privata Besa per il credito delle piccole imprese nelle zone urbane ed in cooperazione e con finanziamento dell’Ifad - Fondazione internazionale per lo sviluppo dell’agricoltura sono state istituite due agenzie per lo sviluppo delle zone montane, rispettivamente la Mada - Agenzia per lo sviluppo delle zone montane e la Maff - Fondazione per il finanziamento delle zone montane. Questo programma ha creato nella sua prima fase, fino al 2006, una rete di microcredito ed ha finanziato piccoli progetti nelle zone più remote del Paese. Dal 2006, con un nuovo prestito di circa 24 milioni di dollari Usa, dove hanno partecipato anche la Banca del Consiglio d’Europa per lo sviluppo ed il Fondo Opec, la Fondazione Maff si è trasformata “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 141 SVILUPPO REGIONALE E FINANZE LOCALI in un istituto di microcredito moderno, della cui attività hanno beneficiato 24.700 famiglie. In questa attuale fase sta avvenendo l’ampliamento dei servizi finanziari attraverso la Posta albanese. Vi rientrano i servizi di trasferimento di denaro e di pagamenti, nonché la vendita di titoli del governo. Gli obiettivi sono di creare PostBank e di raccogliere anche depositi dalle zone in cui mancano gli istituti bancari di raccolta depositi. Gli istituti di cui sopra hanno posto le basi per ampliare i propri servizi, ma le riserve sono ancora tante. In queste zone non sono sviluppati, o addirittura mancano i servizi di assicurazione nonché i crediti al consumo. Questi servizi sono però il miglior indicatore del livello di integrazione e sviluppo delle regioni. Pertanto, il Fas si sta approntando ad essere anche l’istituto di credito del governo locale, affinché possano moltiplicarsi le capacità e le opportunità di sviluppo delle zone arretrate. Tali sviluppi richiedono che il governo centrale e quello locale sostengano lo sviluppo integrato regionale. Il che sottintende che oltre agli attuali schemi e sistemi che sostengono essenzialmente lo sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia, vengano creati degli schemi di supporto per lo sviluppo dell’industria, di quella trasformativa, dell’agriturismo e del turismo montano. L’Albania dispone di grandi potenzialità in questi campi ed il supporto finanziario e tecnico volto al consolidamento delle capacità ed al miglioramento del clima di investimento nelle aree marginalizzate, contribuirebbe ad un loro migliore e più rapido sfruttamento. 142 COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 143 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE In vent’anni di transizione è cambiato l’identikit del migrante albanese. Giovane, istruito, ora ha già un chiaro progetto pre-partenza. Non è in fuga, ma vuole formarsi all’estero e acquisire know-how e professionalità da spendere poi una volta rientrato in patria. Diventa pertanto interessante creare le condizioni perché chi torna sia incentivato a investire i propri risparmi e a creare opportunità imprenditoriali. L’atteggiamento del governo e dei principali donatori di Alessia Montanari esperta presso l’Ufficio di Cooperazione allo Sviluppo dell’Ambasciata d’Italia a Addis Abeba INTRODUZIONE A quasi vent’anni dalla caduta del regime e dalla contemporanea apertura delle frontiere pochi ancora nutrono dubbi sull’importanza della migrazione come risorsa per lo sviluppo albanese. D’altra parte, i cambiamenti evidenti nelle forme, dimensioni e finalità degli spostamenti di popolazione non consentirebbero la staticità né del pensiero né delle politiche di sviluppo. Se in passato il flusso migratorio, principalmente diretto verso Grecia ed Italia, avveniva sottoforma di esodi di massa in corrispondenza dell’acuirsi delle crisi socio-politiche o economiche del Paese, negli ultimi anni la raggiunta stabilizzazione macroeconomica ed il dinamico ritmo di crescita nazionale hanno modificato completamente gli scenari della migrazione albanese. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 145 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE CARATTERISTICHE E OBIETTIVI DELLA MIGRAZIONE ALBANESE Molti studi concordano sul profilo dell’attuale migrante albanese: giovane, dal livello di istruzione medio o medio alto e con un chiaro progetto migratorio pre-partenza. Prevale, in genere, il desiderio di completare la formazione all’estero e/o acquisire quei know-how ed esperienza professionale che consentano di rientrare in patria con strumenti utili a vivere meglio e, soprattutto, a far vivere meglio la famiglia. La fotografia della migrazione albanese, d’altra parte, non differisce da una tendenza riscontrata a livello globale, che mostra come tra il 1990 ed il 2000 il numero dei migranti in generale sia cresciuto del 41% e, tra questi, coloro che possiedono un titolo di studio alto siano aumentati del 63,7%. Quando si fa poi riferimento a migranti provenienti dai soli Paesi non Oecd, i 6,3 milioni di laureati del 1990 diventavano 11,8 milioni nel 2000, con una crescita dell’86,4%. Il riferimento alla famiglia induce ad analizzare la questione migratoria da una prospettiva non “individuale” ma strettamente connessa al contesto d’origine del migrante. Oggi, la gran parte della letteratura in materia preferisce al tradizionale approccio neoclassico il modello della New Economics of Labour Migration (Nelm), che prende la famiglia ad unità di analisi del fenomeno. Secondo tale teoria, la decisione di lasciare il Paese viene maturata all’interno del nucleo familiare ed i relativi costi e benefici sono poi condivisi e ripartiti in tale contesto. La presenza di uno o più familiari all’estero consente al clan di migliorare le disponibilità finanziarie ed il reddito complessivo, godendo inoltre dell’accesso a capitali non esposti al rischio di eventuali fallimenti del mercato. Il migrante, dunque, spesso rappresenta nell’immaginario di chi resta un’importante fonte di denaro, sotto forma di rimesse o di risparmi fruibili al momento del rientro in patria. Tale modello ben si applica al caso dell’Albania, dove è andata affermandosi una forma “ciclica” di migrazione, articolata in più epi- 146 ALESSIA MONTANARI sodi migratori (stagionali o circolari) che tendono a ripetersi fino a quando il migrante non abbia accumulato esperienze e capitali tali da consentirgli di raggiungere la stabilità e la sicurezza economica per il proprio nucleo familiare. Il ciclo di partenze, permanenze temporanee e rientri si conclude generalmente con la scelta di insediarsi stabilmente nel Paese natìo o in quello di destinazione, sulla base di una serie di fattori di ordine psico-sociale (vincoli in patria, grado di integrazione nel Paese di destinazione e di fiducia nelle istituzioni, successo/fallimento dell’esperienza migratoria, livello di formazione etc.) e politico-economico (stabilità del Paese, potenzialità di crescita e di investimento, efficacia dei programmi di rientro per migranti o delle politiche di accoglienza, contesto giuridico-istituzionale, etc.). Un altro dato significativo per comprenL’attuale migrante dere la complessità della migrazione albanealbanese: giovane, se è l’aumento recente di donne migranti, che livello di istruzione spesso vanno a raggiungere il coniuge o i medio/medio alto e con familiari all’estero. Tale tendenza è indice da un chiaro progetto un lato dell’evoluzione del contesto di origimigratorio pre-partenza ne della migrazione, dall’altro dell’avvenuta integrazione di gran parte della diaspora espatriata a fine anni 90, ora stabilmente residente in Europa o in Nord America ed attivamente inserita nel contesto socio-economico dei Paesi di destinazione. Ciò è particolarmente evidente per la cosiddetta diaspora “matura” (ovvero all’estero da 6-10 anni) o “integrata” (all’estero da oltre 10 anni). “ ” UNA DIASPORA BEN INTEGRATA L’analisi svolta da Barjaba nel 2000 sulle cause della migrazione e sul livello di integrazione delle comunità albanesi nei due principali Paesi di destinazione (Grecia ed Italia) appare oggi sorpassata. In tale studio si evidenziavano costanti comuni all’accoglienza ed alla COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 147 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE percezione dei migranti albanesi - posizione marginale nel contesto sociale di arrivo, povera vita sociale organizzata, bassa percentuale di rientri significativi in patria e disparità di trattamento da parte della popolazione locale - che oggi vengono in gran parte smentite da indagini sia quantitative sia qualitative. Prendendo a riferimento l’Italia, i numeri mostrano uno scenario completamente diverso: 441.396 presenze albanesi (seconda nazionalità dopo il Marocco), di cui 85.195 studenti, 10mila studenti universitari, 216mila occupati netti e 15mila lavoratori autonomi iscritti alle Camere di commercio. Uno studio Ifad-Iadb parla di circa 2 miliardi di dollari Usa di rimesse inviate in Albania nel 2006, di cui il 30% proveniente dall’Italia, secondo stime della Banca centrale d’Albania. Inoltre, sempre più cittadini albanesi ottengono la cittaIn Italia: 441.396 albanesi dinanza italiana per motivi di residenza o a (seconda nazionalità), seguito di matrimonio (nel 2009, 8.745 perdi cui 85.195 studenti, sone). 10mila universitari, Con riferimento all’imprenditoria stranie216mila occupati ra in Italia, nonostante la difformità di alcue 15mila autonomi ni dati, tutte le maggiori fonti concordano nell’attribuire un peso rilevante alla migrazione nell’allargamento della base imprenditoriale nazionale. Confcommercio, ad esempio, riferisce che tra il 2000 ed il 2006 l’8,1% delle nuove imprese avviate in Italia era gestito da immigrati, con 25.257 attività guidate da cittadini albanesi (pari al 6,4% dell’imprenditoria straniera). Una indagine della Fondazione Ethnoland, aggiornata al giugno 2008, pur ridimensionando tali cifre (delle 165mila nuove imprese avviate da immigrati in Italia tra il 2003 e il 2008, 17.931 sarebbero oggi gestite da albanesi), conferma l’aumento vertiginoso dell’imprenditoria albanese nella Penisola (+48,5% nel quinquennio di riferimento). A sostegno del buon livello di integrazione socio-economica della comunità albanese in Italia possono citarsi inoltre il basso tasso di “ ” 148 ALESSIA MONTANARI disoccupazione a confronto con altre nazionalità di immigrati, così come la varietà dei settori di impiego, specialmente nel lavoro subordinato (industria, costruzioni, manodopera non qualificata e servizi per gli uomini; lavoro domestico, pulizie e baby-sitting per le donne). Tuttavia, anche per la diaspora albanese vale una tendenza, comune al più vasto fenomeno migratorio, secondo cui raramente ad un alto grado di istruzione corrisponde un’occupazione coerente con la qualifica professionale (il titolo di studio, tuttavia, consente talora l’accesso a lavori d’ufficio o di livello tecnico elevato). MIGRAZIONE E SVILUPPO: STRATEGIA DEL GOVERNO E POSIZIONE DEI MAGGIORI DONATORI I dati enunciati nel complesso confermano il potenziale della migrazione albanese per l’ulteriore sviluppo e la crescita tanto dell’Albania quanto del Paese di arrivo. Secondo lo Iom - Organizzazione internazionale per le migrazioni, il fenomeno albanese presenta caratteristiche da tenere in considerazione e su cui far leva nella definizione e nella successiva attuazione delle politiche migratorie nazionali. Tra queste, l’aumentato livello di qualificazione della diaspora albanese e delle sue reti, l’alto volume delle rimesse ed il significativo trasferimento di saperi e tecnologie attraverso l’affermarsi della migrazione circolare. A tal proposito, vale la pena ricordare che la più recente teorizzazione del concetto di migrazione circolare si deve alle stesse istituzioni europee che, alla luce dei massicci movimenti di popolazione che hanno interessato il bacino del Mediterraneo fin dai primi anni 90, hanno sentito il bisogno di ricorrere a riferimenti teorici formali. Comunemente, si distingue tra due forme di migrazione circolare: la prima si riferisce a coloro che, risiedendo in uno Stato membro pur provenendo da un Paese terzo, intendono avviare un’attività nel Paese d’origine senza rinunciare alla propria residenza; la seconda contempla la possibilità, per cittadini extracomunitari, di entrare COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 149 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE temporaneamente in uno Stato membro per motivi di studio o lavoro a condizione che, al termine di tale periodo, tornino a stabilire residenza e principale attività lavorativa nel Paese di provenienza. Il potenziale di tale forma migratoria viene peraltro messo in luce anche nella Strategia nazionale per le migrazioni (Snm) e nel relativo Action Plan, elaborati nel 2004-2005 dal governo albanese con l’assistenza di Iom e della Commissione Europea. La stesura di questa Strategia, prevista fin dal 2002, rappresenta il momento ufficiale di superamento da parte dell’Albania del precedente approccio al fenomeno migratorio, concentrato in prevalenza sul contrasto al traffico di esseri umani ed alla migrazione clandestina. Obiettivo della Snm è delineare il quadro di intervento per una moderna e innovativa gestione del fenomeno, in un’ottica di sviluppo del Paese ed allineamento agli standard comunitari. Questo documento copre sei maggiori aree di intervento: la tutela dei diritti dei migranti all’estero, il rafforzamento dei legami della diaspora albanese, l’attrazione delle rimesse come fonte di investimento, l’organizzazione di un’efficiente politica di migrazione orientata al lavoro, l’incentivo all’agevolazione del rilascio di visti temporanei e la definizione di un moderno quadro legale ed istituzionale. Particolare attenzione viene poi riservata alle misure di indagine e risposta alle ragioni profonde della migrazione, di supporto alle comunità albanesi all’estero, di potenziamento delle capacità e competenze della rete consolare e di sostegno al reintegro socio-economico dei migranti di ritorno. Per ciascuna delle aree di indagine, la Strategia individua una serie di misure volte a perseguire gli obiettivi prefissati. Fra i principali interventi previsti si ricordano la messa a punto di un sistema moderno ed efficace di raccolta/analisi dei dati sulla diaspora e sui rientri; il potenziamento dei Centri nazionali e regionali per l’impiego, responsabili di facilitare l’integrazione socio-lavorativa dei potenziali migranti e dei migranti di ritorno; il rafforzamento e l’ampliamento di competenze dell’Istituto nazionale per la dia- 150 ALESSIA MONTANARI spora e l’integrazione della questione migratoria come tematica trasversale a numerosi settori di intervento (pertanto utile riferimento nella realizzazione di politiche di sviluppo, ad esempio, nei settori rurale, privato, della formazione scolastica e professionale, nonché nella tutela dei diritti umani o nelle politiche sociali e di integrazione delle minoranze). Nonostante l’approvazione di tale Strategia ed il suo recepimento all’interno della Strategia nazionale per lo sviluppo e l’integrazione (Nsdi), lo Iom ha recentemente rilevato come molte delle misure delineate non abbiano ancora trovato attuazione. Pertanto la stessa agenzia, attraverso un progetto finanziato dall’UE e co-finanziato dalla Cooperazione italiana, ha fornito nuova assistenza alle istituzioni albanesi per favorire la realizzazione di quanto previsto dalla Snm. Obiettivo della Snm Non va infatti dimenticato che, nel giugno è delineare il quadro 2006, con la firma dell’Accordo di stabilizzad’intervento per una zione ed associazione, l’Albania si è impemoderna e innovativa gnata ad attuare politiche e misure conformi gestione del fenomeno ai parametri richiesti per proseguire il promigratorio cesso di integrazione europea. Al Paese si richiedono pertanto una maggior efficacia nella gestione dei confini e l’osservanza dei termini dell’EC Albania Readmission Agreement che, in vigore dal maggio 2006, disciplina il ritorno di cittadini albanesi e di nazionalità terze entrati irregolarmente in uno o più Paesi membri. Da ciò, oltre che dalla considerevole quota di finanziamenti destinata dall’UE al cosiddetto External Border Fund, si deduce che il sostegno che la stessa Unione Europea garantisce all’Albania nel settore della migrazione riguarda soprattutto quelle componenti di tale fenomeno strettamente connesse alla sicurezza ed alla lotta al crimine organizzato, alla regolamentazione del regime di visti e delle pratiche di diritto d’asilo ed al potenziamento istituzionale per la creazione di un sistema nazionale di registrazione dei migranti. “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 151 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE A livello di cooperazione bilaterale, molti Paesi donatori sono ancora invece fortemente legati agli aspetti cosiddetti “sociali” od “umanitari” della migrazione, che vengono affrontati attraverso la realizzazione di programmi di assistenza alle vittime e prevenzione del traffico di esseri umani o di facilitazione del rientro (Gran Bretagna, Svezia, Paesi Bassi, etc.). Solo recentemente le Nazioni Unite, attraverso Undp, hanno promosso e stanno realizzando un programma di lotta al fenomeno del brain drain, che prevede la creazione di meccanismi per coinvolgere direttamente la diaspora nello sviluppo economico, scientifico ed amministrativo del Paese. L’approccio della Cooperazione italiana a tale settore differisce in larga misura da quelli sino ad ora presentati. I legami con l’Albania - rafforzati da ragioni di carattere geografico e storico-culturale - il Le rimesse dall’estero consolidamento istituzionale e lo sviluppo costituiscono socio-economico del Paese, infatti, ne fanno la prima e principale il principale partner balcanico dell’Italia, fonte di reddito sempre meno passivo beneficiario degli aiuti della popolazione allo sviluppo ma attiva controparte nei rapdelle aree rurali porti transfrontalieri. Pertanto, si è preferito sostenere interventi in grado di meglio valorizzare l’esperienza migratoria, in linea con gli studi di settore e le osservazioni di Iom citate in precedenza. Finora, il contributo più rilevante dell’Italia ha riguardato un intervento di rafforzamento istituzionale per la messa a punto di un sistema moderno ed efficace di gestione delle rimesse dei lavoratori migranti. L’iniziativa ha permesso ad un panel di 24 enti ed istituzioni operanti in Albania (agenzie governative e di sviluppo locale, organizzazioni internazionali e non governative, banche, istituti di credito, altri enti pubblici e privati) di definire un apposito Action Plan, ufficialmente approvato dal governo albanese nel novembre 2007 e che le autorità sono ora chiamate a porre in essere in sinergia con tutti gli enti coinvolti. “ ” 152 ALESSIA MONTANARI Le azioni individuate riguardano quattro macro aree di intervento: (I) promozione della ricerca, raccolta ed analisi di dati sulle rimesse albanesi; (II) espansione dei servizi bancari e di microfinanza legati all’investimento; (III) potenziamento dell’accesso ai canali di trasferimento ed investimento delle rimesse e (IV) rafforzamento della collaborazione tra istituzioni e diaspora nelle relazioni transfrontaliere. Al di là dei risultati ottenuti nell’ambito di tale progetto, che rappresenta solo il momento iniziale di un processo di gestione coordinata del sistema delle rimesse, occorre certamente rilevare lo sforzo compiuto dai vari enti coinvolti per inserire la propria azione all’interno di un quadro di riferimento univoco, condiviso ed ufficialmente riconosciuto dalle istituzioni. RIMESSE ALBANESI: DATI, LUCI ED OMBRE L’Albania riflette sul potenziale delle rimesse e sul loro contributo alla crescita del Paese ormai da alcuni anni. D’altra parte, secondo le stime del più recente Poverty Assessment Report, tra il 2002 e il 2005 la percentuale di popolazione albanese sotto la soglia di povertà sarebbe scesa dal 25,4% al 18,5% grazie non solo alla positività degli indicatori macroeconomici (crescita della produttività e contenimento dell’inflazione, nonostante le carenze del settore energetico), ma anche al consistente flusso di rimesse inviate in patria. Proprio le rimesse - si calcola - costituiscono la prima e principale fonte di reddito della popolazione delle aree rurali, dove la capacità produttiva rimane bassa ed è scarsa la domanda di lavoro. A tal proposito, gli analisti riconoscono pressoché unanimemente che solo in una minoranza di casi le migrazioni internazionali incidono sulle percentuali di esodo rurale, essendo proprio le rimesse una delle principali fonti di sostentamento per le comunità residenti nelle campagne o nelle aree montane. Negli ultimi anni, prima della crisi finanziaria globale, in Albania il loro flusso è cresciuto costantemente salendo dai 598 milioni di COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 153 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE dollari Usa del 2000 ai 1.481 milioni del 2007, tanto da arrivare a costituire fino al 15% del Pil nazionale. La grande maggioranza della diaspora albanese invia costantemente denaro alle proprie famiglie, in virtù di un legame che rimane forte anche a distanza di anni dalla prima migrazione: secondo uno studio di Etf - European Training Fundation, il 73,3% dei migranti rientrati in Albania manda regolarmente denaro, mentre un’indagine della Regione EmiliaRomagna rivela che l’87,5% delle famiglie albanesi residenti in regione invia rimesse ai parenti più prossimi, con un impatto stimato fino al 27% della disponibilità economica complessiva delle famiglie destinatarie. Come prevedibile, il flusso di rimesse si è leggermente ridotto nel corso del biennio 2008/2009 per effetto della crisi globale; si tratta tuttavia di una variazione congiunturale che non smentisce il trend ad oggi registrato. In merito all’impiego di tali somme di denaro, valgono per l’Albania osservazioni simili a quelle mosse per la maggior parte dei Paesi d’origine dei flussi migratori. Acquisto di beni di consumo, costruzione della casa e copertura delle spese legate a bisogni sociali primari (istruzione e salute) sono le principali destinazioni d’uso, mentre la quota rimanente viene in genere destinata al risparmio o all’investimento in attività produttrici di reddito. Con riferimento alla percentuale di denaro impiegata per l’istruzione dei giovani, pare siano le donne le principali beneficiarie in termini di formazione sia scolastica sia professionale. Il quadro delineato conferma l’importante e vasto potenziale delle rimesse nelle dinamiche di sviluppo albanese, anche se sarebbe auspicabile razionalizzarne meglio la canalizzazione ed orientarne l’investimento non solo per aumentarne l’impatto ma anche per scongiurare il rischio di effetti negativi. Occorre infatti ricordare che la letteratura sul tema è ancora controversa: proprio nel caso albanese, nonostante emerga un accordo di base sulle ricadute positive delle rimesse in termini di riduzione della povertà, stimolo alla crescita economica (indipendentemente dalla destinazione d’uso prevalente) 154 ALESSIA MONTANARI e recupero del deficit commerciale con l’estero, vanno tenute in considerazione alcune riserve. Innanzitutto è stato rilevato il rischio che la consistenza dei flussi di rimesse provochi un apprezzamento reale del tasso di cambio in grado di incidere negativamente sul trend delle esportazioni, con conseguenti ricadute anche a livello di output ed occupazione. È inoltre possibile che un eccessivo affidamento sulle rimesse si trasformi in disincentivo al lavoro ed alla produzione per i componenti di molte famiglie destinatarie dei flussi di denaro. Accanto a tali effetti di carattere macroeconomico va ricordata l’influenza delle rimesse sul sistema di distribuzione della ricchezza, tema rispetto al quale coesistono pareri differenti. Alcuni analisti sostengono che questi flussi di denaro aumentino la disuguaglianza La quota più consistente mentre altri ritengono che, nel lungo termidi rimesse va ai più ne, la distribuzione del reddito tenda abbienti. Ma la rilevanza all’equità in virtù dell’aumento di liquidità in termini di reddito è dovuto all’accumulo di capitali o delle ricamaggiore quanto più dute positive sul mercato del lavoro. In ogni povero è il destinatario caso, è vero che generalmente - ed in questo l’Albania non fa eccezione - la quota più consistente di rimesse va alle famiglie più abbienti, nonostante la loro rilevanza in termini di reddito complessivo sia maggiore quanto più povero è il nucleo destinatario. Le ragioni di tale tendenza sono molteplici: in primo luogo i movimenti internazionali, molto costosi, sono alla portata di una porzione ridotta di popolazione; secondariamente, al maggior benessere corrisponde spesso un più ampio accesso alle informazioni, tanto all’origine quanto durante il percorso migratorio; ancora, la presenza di migranti già inseriti ed integrati nel Paese di destinazione è un forte incentivo a successive partenze; infine, le famiglie che hanno più lunga esperienza di migrazione godono da più tempo dei flussi delle rimesse. “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 155 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE DAL CONSUMO ALL’INVESTIMENTO: AGIRE IN TEMPI BREVI Alla luce di tali considerazioni, proprio per aumentare l’incisività delle rimesse e ricercare altri canali di impatto della migrazione sul trend di sviluppo albanese, occorre operare in tempi brevi, oculatamente ed assicurando il coinvolgimento concreto di tutti gli enti interessati, tanto pubblici quanto privati. Il riferimento all’urgenza temporale deriva essenzialmente dal fatto che, nel complesso, i lavoratori espatriati tendano ad inviare la quota più significativa di denaro nel Paese d’origine tra i 5 ed i 10 anni dalla data di emigrazione e che tale volume sia tanto più alto quanto meno elevato è il livello di scolarizzazione del migrante. Applicando tali osservazioni al contesto albanese, caratterizzato da un’emigrazione di lungo periodo (le due più consistenti ondate In Albania occorre fare migratorie risalgono al 1991-92 ed al 1996ancora molto, 97) e da una recente tendenza allo spostasoprattutto mento di giovani con un buon livello di per aumentare la fiducia istruzione, si deduce che il potenziale delle della popolazione rimesse sta raggiungendo l’apice proprio in nelle istituzioni questi anni, per iniziare a breve una lenta ma progressiva parabola discendente. Non deve pertanto stupire il comune impegno di istituzioni e settori privato e bancario albanese a collaborare per la pianificazione e realizzazione di un’attenta strategia di gestione di tali flussi monetari. Alcune analisi possono aiutare a meglio interpretare i possibili orientamenti in proposito. Un primo dato significativo riguarda la presenza di eventuali connessioni tra impiego dei risparmi e profilo del migrante/Paese di accoglienza: il già citato studio di Etf suggerisce ad esempio una correlazione positiva tra livello di formazione del migrante e propensione all’investimento in patria (aumentando il primo cresce anche la seconda), come tra rientro e successo professionale, soprattutto nel settore dell’imprenditoria privata (il 51,5% “ ” 156 ALESSIA MONTANARI dei migranti di ritorno avrebbe avviato un’attività in proprio che spesso coincide o richiama il lavoro appreso e/o svolto all’estero). Per quanto riguarda il Paese di destinazione del migrante, inoltre, studi della Banca Mondiale evidenziano che gli albanesi rientrati in patria tendono a mettersi in proprio più facilmente se di ritorno da un Paese diverso dalla Grecia. Ciò accadrebbe per una serie di fattori, tra cui le possibilità di guadagno (minori in Grecia rispetto ad altre nazioni quali Gran Bretagna o Italia) ed il livello delle competenze professionali acquisite o di capitale umano accumulato. Un altro elemento cruciale per ottimizzare i risultati di ogni eventuale iniziativa è ricercare la coordinazione, coerenza ed univocità del complesso degli interventi pianificati. Pertanto, un ruolo di assoluto rilievo spetta alle istituzioni. Benché non esistano evidenze empiriche in tal senso, sono in molti a ritenere che l’impatto delle rimesse sull’economia di un Paese dipenda in misura considerevole dalle capacità delle autorità pubbliche di attrarne la canalizzazione formale ed il successivo investimento, così come dalla qualità delle politiche economiche attuate. A tal proposito, in Albania ancora molto occorre fare, soprattutto per aumentare la fiducia della popolazione nelle istituzioni. Sondaggi recenti mostrano infatti che fra i cittadini rimane alta la percezione di corruzione diffusa a tutti i principali settori della politica, a livello sia centrale sia locale. Insieme con la corruzione, un’altra accusa che viene comunemente mossa alle autorità è la scarsa trasparenza. L’importanza della fiducia nelle istituzioni per il buon esito delle politiche economiche e degli interventi di sostegno allo sviluppo viene esplicitamente rilevata, tra l’altro, anche nel Policy document di informazione e comunicazione sulle questioni migratorie, elaborato dal governo albanese con il supporto tecnico di Iom. Si tratta di un documento volto ad identificare azioni che soddisfino le esigenze informative dei migranti, in particolare sui temi dei diritti/doveri della diaspora, del ritorno e del legame tra migrazione e sviluppo. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 157 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE Proprio in tale Strategia, il basso livello di fiducia nelle istituzioni viene considerato un serio fattore di rischio per l’efficace realizzazione delle azioni previste, soprattutto in relazione al maggior coinvolgimento dei migranti nelle dinamiche di sviluppo. L’Istituto nazionale per la diaspora del ministero degli Affari esteri albanese, dotato di ridotte risorse umane e finanziarie, pare non riesca ad assicurare costanti e proficue relazioni con le comunità albanesi all’estero, che a loro volta non si sentono adeguatamente supportate dal Paese d’origine e rinunciano a rivolgersi ad un ente che potrebbe invece rappresentarli e farsi loro portavoce. Fermo restando che tale Istituto rimane il principale organo di riferimento per rafforzare i contatti tra l’Albania e la sua diaspora - quindi per esplorare nuove forme di partecipazione della popolazione migrante al processo di sviluppo del Paese - appare necessario suggerire sia un aumento di risorse a sua disposizione sia una maggiore e più continua integrazione con altri enti (come le Camere di commercio albanesi all’estero) che possano meglio o più facilmente comunicare con la diaspora e si impegnino a diffondere informazioni verificabili ed univoche sulle opportunità di investimento delle rimesse. Infine, altri fattori di potenziale ostacolo ad un’efficace canalizzazione dei risparmi della diaspora, come ricorda anche la Banca d’Albania, sono il diffuso e persistente ricorso a canali informali di trasferimento monetario (Western Union o MoneyGram) ed il prevalente impiego di tali risorse per l’acquisto di beni di consumo e/o case. Il caso dell’Italia e del cosiddetto “corridoio monetario” con l’Albania è stato indagato dalla Banca Mondiale, che ha confermato l’alto grado di informalità di questo canale di trasferimento, nonché la difficoltà delle banche commerciali e del sistema postale albanese a costituire un’alternativa credibile ed un’opportunità reale di diversa canalizzazione e gestione delle rimesse. 158 ALESSIA MONTANARI «BEST PRACTICES E LESSONS LEARNT», L’ALBANIA A CONFRONTO CON ALTRI PAESI La situazione albanese non si discosta da quella di molti altri Paesi in via di sviluppo o transizione e, per questo, origine di consistenti flussi migratori. L’Ifad - Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, nel 2006, pubblicando una prima mappa delle rimesse inviate dai lavoratori migranti a livello globale, rilevava come circa un terzo di tali flussi monetari (oltre 100 milioni di dollari Usa) passasse attraverso canali informali di trasferimento. Le ragioni di ciò risiedono prevalentemente nel mancato accesso alle banche da parte sia dei lavoratori emigrati irregolarmente che della gran parte dei destinatari delle rimesse, residenti in aree rurali. Pertanto, una quota considerevole dei flussi di denaro a livello globale non solo elude i Circa un terzo delle canali di controllo nei Paesi d’origine e di rimesse globali passa da destinazione, ma soprattutto viene impiegata canali informali di per l’acquisto di beni primari o di consumo, trasferimento. Ciò riduce e solo in minima parte depositata sottoforma il potenziale nesso tra di risparmio o re-investita in attività generarimesse e sviluppo trici di reddito. Ciò contribuisce a ridurre il potenziale nesso tra rimesse e sviluppo che sottolinea invece Ifad - aumenta quando diminuiscono i costi delle transazioni monetarie, cresce la competizione, si favorisce la liberalizzazione delle transazioni finanziarie e si promuovono incentivi all’investimento. A simili conclusioni giunge anche la Banca Mondiale, quando sostiene che proprio diminuire i costi delle rimesse contribuirebbe ad aumentare sia le quote di denaro inviato sia la frequenza dei trasferimenti, favorendo il ricorso ai canali formali di transazione monetaria. La stessa Banca Mondiale, peraltro, propone anche altri meccanismi di valorizzazione delle rimesse, come ad esempio le obbligazioni per la diaspora (diaspora bonds), in genere meno sensibile degli investitori internazionali ai fattori di rischio per l’intensi- “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 159 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE tà dei vincoli con la madrepatria. Evidentemente tali considerazioni di ordine generale trovano diversa applicazione a seconda del contesto di riferimento. Fino ad oggi, alcuni dei Paesi che meglio hanno potenziato il nesso rimesse-sviluppo sono: (I) Messico ed India, dove si sono ridotti i costi delle transazioni finanziarie, si è facilitato l’accesso ai servizi bancari e si è moltiplicata l’offerta di servizi aumentando la concorrenza di mercato ; (II) Kenya e Filippine, che hanno favorito l’abilitazione dei telefoni cellulari ai trasferimenti di denaro; (III) Senegal, in cui operano con successo molti istituti indipendenti di microcredito ed il principale gruppo bancario ha diversificato l’offerta dei servizi sulle rimesse a seconda delle esigenze della clientela. Vale la pena ricordare, infatti, che la Société Générale des In Italia il 67,4% Banques au Senegal (Sgbs) off re ai suoi degli albanesi risulta clienti tre differenti servizi di rimesse: il finanziariamente bonifico internazionale dalle corrispondenti integrato: è il secondo banche in Italia e Spagna (disponibile in due gruppo di migranti che giorni), la possibilità di operare come agente più si rivolge alle banche della Western Union (rendendo effettivo il trasferimento nell’arco di pochi minuti) e la transazione via internet. Inoltre, il gruppo ha attivato collaborazioni con le banche di Francia (uno dei principali Paesi di destinazione della migrazione senegalese) per l’attivazione di servizi e prodotti ad hoc: microassicurazioni sulla vita, fondi per l’istruzione dei figli o forme di risparmio-credito per maternità, feste religiose e pellegrinaggi. Nel caso del Senegal, inoltre, la stessa Cooperazione italiana ha finanziato un intervento affidato ad Iom e teso ad accrescere il contributo della diaspora senegalese in Italia allo sviluppo delle regioni di provenienza: il programma Mida Migration for Development in Africa comprende la creazione di prodotti finanziari per la raccolta, il trasferimento e l’investimento delle rimesse; l’offerta di formazione, orientamento ed assistenza tecnica a “ ” 160 ALESSIA MONTANARI quei migranti che intendano avviare iniziative economiche transnazionali (senza alcuna condizione di rientro in patria); la promozione di progetti di co-sviluppo formulati da associazioni di migranti, anche con il coinvolgimento della Cooperazione decentrata. Quest’ultima componente, di fatto, intende veicolare le rimesse verso impieghi produttivi (piccole e medie imprese), favorendo nel contempo il collegamento tra comunità di origine ed associazioni di senegalesi in Italia. BANCHE E MIGRANTI, L’EVOLUZIONE DEI SERVIZI DISPONIBILI Per non cedere a facili generalizzazioni ma ricordando che le caratteristiche di ciascun Paese interessato da fenomeni migratori e quelle della diaspora influiscono necessariamente sulla tipologia e l’efficacia degli strumenti di valorizzazione delle rimesse, si ritiene opportuno circoscrivere ora l’attenzione alla sola migrazione albanese in Italia, per meglio ipotizzare quali azioni possano rendere effettivo il nesso migrazione-sviluppo. Prima, tuttavia, occorre accennare al generale comportamento finanziario dei migranti in Italia, di cui si posseggono dati aggiornati al 2007. Uno studio Abi-CeSpi testimonierebbe una crescente fiducia nel sistema bancario nazionale: circa il 70% degli immigrati in Italia (1,4 milioni di persone) risulta finanziariamente integrato e, fra questi, lo sarebbe il 67,4% degli albanesi (il secondo gruppo di migranti che più si rivolge alle banche, dopo gli ecuadoriani). Determinanti nell’avvio del rapporto con le banche sono l’anzianità del percorso migratorio, il luogo di residenza in Italia (nelle regioni del CentroNord la bancarizzazione è più diffusa che al Sud), l’occupazione (gli indici minori corrispondono a contratti precari o stagionali) e la consuetudine al sistema bancario nel Paese d’origine. Gli stranieri residenti in Italia, tuttavia, si rivolgono alle banche essenzialmente per l’accredito dello stipendio e la garanzia di sicurezza dei risparmi; solo raramente i canali bancari sono veicolo di trasferimento delle COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 161 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE rimesse, che continuano a transitare per le agenzie di money transfer. A disincentivare un maggior accesso alle banche sono i costi elevati, gli ostacoli burocratici relativi alla documentazione richiesta ed un sistema complicato di accesso al credito. Proprio a tal proposito, si noti che il 50% dei finanziamenti richiesti serve a coprire le spese di acquisto dell’abitazione in Italia o di beni di consumo (auto, moto, etc.), il 9% a comprare casa nel Paese d’origine, mentre solo il 5,6% viene reinvestito nell’avvio di attività in proprio. Comprensibilmente, i migranti sono più attratti dalle banche che meglio riescono ad intercettare i loro bisogni, senza discriminarli rispetto agli altri clienti ma prevedendo invece servizi puntuali. Il mondo finanziario italiano, in effetti, già da tempo si interroga sul potenziale segmento di mercato rappresentato dai migranti e ha messo a punto strategie ad hoc per attirarre nuovi clienti. Il Sole 24 Ore già nell’aprile 2006 pubblicava un sondaggio condotto su un campione di banche/istituti di credito (rappresentativo del 68% degli sportelli nazionali), da cui emergeva una vasta casistica di servizi, indice di una certa apertura e dell’attenzione alle esigenze degli stranieri residenti in Italia. A tentare una classificazione ed un aggiornamento della panoramica è stata poi Unioncamere, con una suddivisione dei servizi in tre distinte categorie su base temporale: in origine i conti correnti avevano il solo scopo di attrarre i lavoratori stranieri offrendo semplici servizi di prelievo ed invio delle rimesse; con il tempo venivano aggiunte facilities come carte di debito/credito, prelievo automatico, servizi di accredito/debito, bonifico, accesso a prestiti personali e mutui, etc.; infine, e solo negli ultimi anni, sono stati pensati prodotti e servizi bancari più complessi, che articolano maggiormente l’offerta mediante forme di finanziamento e di accesso al credito o servizi di mediazione culturale. Si tratta, comunque, di una forma ancora poco diffusa di “pacchetto” (concentrata prevalentemente nel Nord Italia), che conferma tuttavia la tendenza del sistema bancario italiano ad intercettare quasi esclusivamente i bisogni di consumo del migrante piuttosto che a favorirne la propensione alla 162 ALESSIA MONTANARI microimprenditoria. Tale dato deve far riflettere, soprattutto alla luce del fatto che dal 2001 al 2006 in Italia il numero di attività private gestite da immigrati è cresciuto dell’8,1% secondo Confcommercio, del 10% secondo Unioncamere. Proprio Unioncamere parla di un contributo complessivo di tali imprese allo sviluppo italiano dell’ordine dell’1,2%-1,5% dell’investimento totale, pari a 4-5 miliardi di euro di crescita, ovvero circa 2 milioni di euro per immigrato. Oggi, le potenzialità della creazione di canali agevolati per l’investimento delle rimesse albanesi sono state recepite nell’ambito di un progetto di migrant banking promosso e realizzato da due società italiane - Microfinanza e Money2Money - e dal loro partner albanese, Opportunity Albania. A partire dal novembre 2009, l’iniziativa ha reso disponibili agli albanesi residenti in Italia servizi non solo di Le potenzialità di canali trasferimento di denaro ma anche di microagevolati per finanza per l’orientamento delle rimesse a l’investimento delle seconda delle prefenze dei singoli risparmiarimesse sono state tori. Ciò per sostenere, ad esempio, nuove recepite in un progetto imprenditorialità in Italia o in Albania di migrant banking mediante linee di credito dedicate, gli investimenti nei settori prioritari, l’offerta di prodotti previdenziali e assicurativi e percorsi educativi o formativi. Nel frattempo, anche in ambito europeo si sono registrati segnali di apertura alla sperimentazione sui mercati finanziari rivolti ai migranti ed all’avvio di iniziative coordinate a livello transnazionale. Nel luglio 2008 nove istituti di credito hanno firmato a Parigi un Protocollo di intenti per la creazione di un gruppo di lavoro atto a proporre nuove soluzioni per la valorizzazione del capitale finanziario della diaspora nell’area mediterranea. Tale intesa, sancita alla vigilia del vertice dei Capi di Stato e di governo dell’UE e dei Paesi d e l l ’ a re a m e d i t e r r a n e a p e r l a c re a z i o n e d e l l ’ U n i o n e d e l Mediterraneo (13 luglio 2008), è volta a facilitare e ridurre i costi di “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 163 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE trasferimento di denaro per i migranti che vivono in Europa, favorire la conversione dei loro risparmi in investimenti produttivi, promuovere lo sviluppo delle piccole e medie imprese e finanziare nuovi progetti infrastrutturali sulla riva Sud del Mediterraneo. Le banche firmatarie, cui potranno in futuro aggiungersi altri istituti interessati, si sono impegnate a sviluppare una gamma di prodotti e servizi dedicati alle necessità dei migranti residenti in Europa. In particolare si vogliono facilitare i trasferimenti bancari da conto a conto tra i clienti delle banche del gruppo di lavoro ed agevolare i risparmi a favore di nuovi stanziamenti a fini produttivi ed investimenti di medio e lungo termine sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Per l’Italia, il gruppo Intesa Sanpaolo ha aderito al progetto mentre dell’accordo non fa parte alcuno istituto di credito albanese. LE RISORSE UMANE, SOCIALI E FINANZIARIE DELLA MIGRAZIONE ALBANESE. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE Il fatto che la comunità albanese in Italia sia tra quelle che più si rivolgono alle banche costituisce un’informazione di assoluto rilievo per identificare i canali migliori attraverso cui intercettare quella porzione di migranti potenzialmente interessata e/o capace di investire nello sviluppo dell’Albania. Tale dato risulta ancor più appetibile quando si consideri che, in effetti, avviare e mantenere contatti con tali comunità è tutt’altro che facile. Innanzitutto la diaspora albanese, spesso anche all’estero soggetta a logiche di clan e generalmente ben integrata nel contesto di accoglienza, è poco coesa al proprio interno, “spalmata” sul territorio e difficilmente visibile. Inoltre, mentre per molte comunità e/o gruppi etnici - rumeni, polacchi, ucraini, ghanesi, nigeriani, magrebini, etc. - sono spesso identificabili luoghi di aggregazione, reti di migranti ed opinion leaders, ciò non vale per i migranti albanesi, che risultano poco rappresentati perfino dalle stesse associazioni su base etnica. Le difficoltà a relazionarsi con la diaspora aumentano anche per 164 ALESSIA MONTANARI la cronica mancanza sia di risorse per costruire ed alimentare tale rete sia di forti motivazioni ed incentivi per la diaspora a farne parte (i benefici di questa appartenenza sono infatti poco o raramente percepibili). Come da stessa strategia del governo albanese, occorre dunque ricostruire la fiducia della diaspora nelle istituzioni albanesi (pubbliche e private), riconoscerne gli interessi e proporre offerte che consentano di coniugare e combinare tali richieste con le esigenze e le opportunità di sviluppo del Paese. Si tratta di un obiettivo ambizioso, che richiede un’attenta pianificazione e la collaborazione di numerosi enti che, sia in Albania sia in Italia, promuovano iniziative convergenti e ne diano corretta informazione alla comunità dei migranti. Fondamentale appare innanzitutto il ruolo attivo del governo albanese attraverso sia numerosi ministeri di linea (ministero del Lavoro, Affari sociali e Pari opportunità; ministero degli Esteri; ministero degli Interni; ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Energia; ministero dell’Educazione e della Scienza; ministero dell’Integrazione europea) sia le proprie emanazioni nel Paese ed all’estero (rete consolare, Istituto nazionale per la diaspora, Albinvest, Camere di commercio, Poste albanesi, etc.). A ciò va affiancata la presenza cruciale del settore privato e dell’universo finanziario tanto albanese quanto italiano, nonché di agenzie internazionali specializzate e di organizzazioni della società civile che già operino nel settore e conoscano il contesto di intervento. Le difficoltà ad operare efficacemente per aumentare l’impatto delle migrazioni internazionali dipendono proprio dalla natura trasversale di tale settore, che richiede un elevato coordinamento nazionale e transfrontaliero. Inoltre, i potenziali fronti di intervento sono così ampi e variegati da rendere auspicabile procedere attraverso iniziativepilota che rispondano ad obiettivi chiari, concreti, basati su studi e dati verificabili nonché su esperienze pregresse, ed in linea con le strategie del governo del Paese beneficiario. Si deve tenere inoltre conto del fatto che la partecipazione dei migranti allo sviluppo può COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 165 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE assumere forme molteplici, complementari ed egualmente importanti: oltre alla più evidente partecipazione alla crescita economicofinanziaria (attraverso l’investimento dei risparmi e/o delle rimesse), non va sottovalutato il potenziale impatto del capitale umano e sociale della diaspora, non necessariamente misurabile in termini di ritorno in patria. In questa sede si intende dunque sostenere e promuovere il concetto di “rientro” latu senso, alimentato non da politiche di mero brain gain, ma dall’intensificarsi dei rapporti e delle relazioni (politiche, economiche, finanziarie e sociali) tra Paese di origine e Paese di destinazione, istituzioni e cittadinanza/diaspora, sistemi pubblico e privato. Concentrare l’attenzione e gli sforzi programmatici sul solo rientro, infatti, rischierebbe di “tagliare fuori” molte delle risorse disponibili, senza considerare che non sempre al ritorno in patria corrisponde una concreta possibilità di applicazione pratica delle competenze acquisite e dell’esperienza maturata all’estero. Banalmente, non sempre chi torna trova impiego nel settore di esperienza, soprattutto se la ricerca viene effettuata fuori Tirana. Ciò preclude la possibilità che il migrante non solo capitalizzi le competenze acquisite all’estero ma sia anche in grado di trasmetterle ad altri. Le variabili che incidono sul successo del percorso di rientro sono infatti numerose e tra loro variamente connesse. Pertanto, per favorire lo sviluppo albanese appare fondamentale riuscire ad intercettare tutte le diverse forme di capitale accumulato dai migranti residenti stabilmente all’estero, specialmente laddove abbiano consolidato la propria posizione lavorativa e raggiunto un buon livello di integrazione con la comunità locale (questi individui e/o nuclei familiari, infatti, detengono generalmente la quota maggiore dei risparmi e hanno avuto maggiori occasioni per sviluppare competenze ed attitudini specifiche nel proprio settore occupazionale). I vantaggi di una politica di attrazione di tali risorse potrebbero presumibilmente percepirsi anche nel Paese di accoglienza in termini di allargamento della base contributiva, stabilizzazione del merca- 166 ALESSIA MONTANARI to del lavoro (la manodopera immigrata spesso copre mansioni non specializzate ed a bassa qualifica professionale, di rado appetibili per i locali), produzione e crescita nazionale (sviluppo dell’imprenditoria immigrata, rafforzamento delle partnership commerciali con l’estero, etc.). A tal proposito, riprendiamo qui solo alcuni dei dati raccolti nel già citato studio di Unioncamere sui comportamenti finanziari e creditizi delle imprese e dei lavoratori stranieri in Italia, in cui si legge che il 67% degli imprenditori immigrati intende restare stabilmente nel Paese, mentre solo il 14% prevede di rientrare in patria. All’origine di tale decisione vi è anche il forte radicamento dell’impresa sul territorio italiano in termini di clienti, fornitori e relazioni con altri operatori. Benché tale indagine riguardi il complesso dell’imprenditoria immigrata in Italia Per favorire lo sviluppo senza alcuna distinzione su base etnica - è appare fondamentale interessante notare che gran parte dei gestointercettare tutte le ri di attività investe la maggior parte dei guadiverse forme di capitale dagni nel rafforzamento dell’impresa. Tale accumulato dai migranti comportamento assume dimensioni preponstabilmente all’estero deranti nel settore dell’edilizia, di cui una quota considerevole è detenuta dall’imprenditoria albanese. Questo dato, associato alla forza e consistenza dei legami della diaspora con la famiglia nel Paese d’origine, rende lecito supporre che, in presenza di condizioni favorevoli e di puntuali ed adeguate sollecitazioni, sia possibile attrarre in Albania una consistente quota di risorse che oggi vengono spese o investite in Italia, ma che potrebbero invece essere destinate alla creazione di joint-ventures, all’avvio di piccole attività in patria o al consolidamento dei rapporti di import-export. Inoltre, molte delle competenze tecnico-professionali acquisite all’estero dai lavoratori migranti potrebbero “giungere in patria” anche in assenza di sbocchi imprenditoriali sottoforma, ad esempio, di formazione professionale (potenziamento del sistema albanese e dei corsi già “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 167 LE RISORSE DELLA MIGRAZIONE esistenti, avvio di convenzioni per l’organizzazione di moduli formativi ad hoc, attivazione di tirocini/borse lavoro mediante la costituzione di partnership pubblico-privato etc.). Alla luce di tali osservazioni, si ritiene auspicabile che la Cooperazione italiana continui a dedicare attenzione particolare alle risorse della migrazione in relazione allo sviluppo albanese, non solo valutando la possibilità di sostenere programmi specifici nel settore ma anche ricercando sinergie con altre iniziative che si rivolgano alla diaspora come potenziale interlocutore o come beneficiario dell’intervento. In ogni caso, sarebbe importante favorire il coinvolgimento sia di organizzazioni internazionali specializzate sia di altri enti operanti nel settore, quali Regioni ed autonomie italiane già attive in Albania attraverso programmi di Cooperazione decentrata. Tale collaborazione contribuirebbe da un lato a proseguire le attività di capacity building istituzionale e ricercare una maggior responsabilizzazione delle autorità albanesi, dall’altro ad aumentare i possibili canali di collegamento con la diaspora, focalizzando l’attenzione su aree geografiche specifiche, dove già siano in corso o siano state svolte iniziative con/per i migranti (si pensi, ad esempio, alla Regione Emilia-Romagna, promotrice del già citato progetto Migravalue o alla Regione Puglia, che nel 2008 ha concluso l’iniziativa transfrontaliera Handled with Care). 168 ALESSIA MONTANARI BIBLIOGRAFIA ABI-CESPI Analisi dei bisogni finanziari e assicurativi degli immigrati in Italia - Risultati preliminari della ricerca ABI-CeSPI, gennaio 2008 BALDIN-EDWARDS, M., Sustainable Development and Emigration: the Contemporary Balkans and the European Union, in «South-East Europe Review», January 2004, 9-14 BANK OF ALBANIA Remittances Statistics: First Meeting of the Luxemburg Group, Luxemburg, June 2006 BARJABA, K. 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University of California, San Diego, Graduate School of International Relations and Pacific Studies, 2001 172 ALESSIA MONTANARI COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 173 LAPRAKA, UNA STORIA DI COOPERAZIONE Una mostra e un volume fotografico sui progetti della cooperazione italiana allo sviluppo in Albania. Attraverso l’obiettivo di Roland Tasho, free-lance albanese. Ha girato il mondo, sono 30 anni che fotografa il suo Paese. E documenta la sua storia e i suoi cambiamenti. Come quelli innestati dalle ong e dai cooperanti. Che hanno trasformato un ghetto in una comunità. Riqualificato gli insegnanti. Lavorato contro l’abbandono scolastico. Aiutato i genitori ad essere tali. Ricostruito il tessuto di un popolo di Maurizio Regosa giornalista P er avere una idea di cosa la cooperazione internazionale possa significare, di quali risultati possa produrre specie se integrata alle iniziative delle organizzazioni non governative, è sufficiente sfogliare un agile libro realizzato dal ministero degli Affari esteri in occasione del convegno a Tirana (in origine una mostra allestita al palazzo dei congressi dove si sono svolti i lavori congressuali). Un volume fotografico intitolato La cooperazione italiana allo sviluppo per l’Albania attraverso l’obiettivo di Roland Tasho. L’Italia è il primo donatore bilaterale, il terzo assoluto dopo Ue e Banca Mondiale, e ha fatto molto negli ultimi vent’anni. Attualmente sono oltre 70 le iniziative attive per circa 300 milioni di euro, 60 progetti in corso. Sono questi ultimi l’oggetto del lavoro fotografico di Tasho. UNO SGUARDO ATTENTO Roland Tasho è un fre-lance albanese. Ma ha girato il mondo. Suoi COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 175 LAPRAKA, UNA STORIA DI COOPERAZIONE scatti sono stati esposti in Francia, Germania, Argentina, oltre che in Italia. Volgendo l’obiettivo sul suo Paese, sui passi avanti che vi sono stati fatti, è comprensibile abbia avuto un moto di passione. Seguito però da un certo distacco. Per avere la giusta distanza. Per guardare ai progressi compiuti non attraverso la lente della propaganda, ma semmai con i più professionali occhi della documentazione. Il suo Paese lo conosce da sempre. E sono quasi 30 anni che lo fotografa. Alla fine, la memoria di un tempo e la voglia di raccontare un’Albania che si sta velocemente trasformato, hanno trovato la giusta sintesi. Sintesi che, parlando di fotografia, diventa subito punto di vista. Cosa esprime se non questa conciliazione la prospettiva con cui Tasho ha ritratto il grande centro elettrico in costruzione alla periferia di Tirana? La macchina per questo scatto è Lapraka diviene il grande stata quasi poggiata per terra. Sicché l’inquaquartiere che è oggi dratura mostra dal basso verso l’alto una grazie a quel fenomeno sorta di monumento ai tempi moderni. Con che è la migrazione il sole che fa capolino da un pilastro. E le regolata con i modi tipici sagome annerite dal controluce. Una forza di una società pastorale tranquilla... si sarebbe detto in altri tempi. E analoga impressione la suscita la fotografia della discarica di Sharra. Linee orizzontali che suggeriscono il divenire di colline che non c’erano e che raccolgono i rifiuti di quella che somiglia sempre più a una città occidentale. E ancora: che significano quegli uomini ripresi dall’alto, chini a sistemare il marciapiede del quartiere di Tirana, Lapraka, che solo dieci anni fa era l’emblema di un caos che non sapeva farsi sviluppo? “ ” UN QUARTIERE EMBLEMATICO Lapraka, un simbolo forse di questo cammino recente. Nel 1990, 15mila abitanti. Poi una grande migrazione interna ha travolto i luoghi, ridisegnato gli orizzonti e le strade. Dal guazzabuglio è uscito 176 MAURIZIO REGOSA quasi all’improvviso un confuso ghetto a pochi chilometri dal centro della capitale. Confuso per le molte etnie, e le tante culture - Albania, caleidoscopio umano. Ma ghetto perché la povertà ha sempre gli stessi ingredienti e sempre separa. Case che somigliano più a baracche. Bambini che giocano per le strade sterrate. Traffici più o meno leciti. E il degrado che ha ovunque lo stesso odore scomposto. Se lo visitate vi accorgerete di respirare un’aria diversa. Certo, Lapraka ha ancora l’aura lievemente provvisoria, un aspetto che condivide del resto con altre zone di Tirana. Potrete vedrete palazzine costruite in parte, e tuttavia abitate. Ma non c’è confronto. È finita l’epoca della «conquista», come la definisce Pier Paolo Ambrosi, cooperante del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo, l’associazione legata ai Salesiani di don Bosco). L’era di un «Far West» geograficamente situato a Sud e meta di un incessante pellegrinaggio. La città, sogno di tanti, tantissimi. Un movimento di popolo per comprendere il quale occorre tornare indietro. Ai primi anni 90. Alla nazione che esplode in nome di una ritrovata libertà, le persone che dal Nord, poverissimo, scendono nella capitale. «Prima, quando c’era il regime, per recarsi a Tirana magari per visitare qualche parente, dovevano avere un permesso o del sindaco della loro città o del segretario del partito», puntualizza il cooperante (che nel contributo su questo stesso numero rievoca le varie fasi della storia recente dell’Albania). Templi plumbei, non c’è che dire. Finiti i quali la mobilità senza più lacci burocratici ha briglia sciolta e spinge le masse povere alla ricerca di maggior fortuna. Dove trovarla se non nella capitale? UNA MODERNITÀ RITUALE Lapraka diviene il grande quartiere che è oggi grazie a quel fenomeno della modernità che è la migrazione regolata però con i modi tipici di una società pastorale. «Erano gli uomini ad arrivare per primi», ricorda Ambrosi, «adocchiavano un pezzo di terra che sem- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 177 LAPRAKA, UNA STORIA DI COOPERAZIONE brava non appartenere a nessuno e vi portavano mucchi di pietre. Era il loro modo per scoprire se c’era un proprietario. Se non si faceva vivo, voleva dire che quella terra era disponibile e rapidamente costruivano una baracca per sé e per la loro famiglia, che nel frattempo arrivava a Tirana». A quel punto pagavano ai vicini una specie di tassa di accoglienza e si stanziavano. Inutile dire quanto sia stata caotica questa “urbanizzazione” di un’area abbastanza grande ma priva di acqua, di fognature e di elettricità. In pochi anni i 15mila abitanti iniziali si sono moltiplicati (e a lungo nessuno è in grado di accertare quanti siano diventati, probabilmente circa 90mila). Così come si sono ampliati i problemi di convivenza. Varie etnie di albanesi, Rom, diverse forme di povertà che si intrecciano a una burocrazia lenta ma inesorabile. Il governo nel frattempo inizia a restituire le terre confiscate dal comunismo. Dunque cominciano a comparire i primi proprietari che, documenti alla mano, esigono la restituzione di pezzi di terra sui quali, nel frattempo, qualche emigrante ha sistemato la famiglia. Al caos delle strade polverose e delle case edificate in poco tempo si sovrappone una altrettanto incerta questione della proprietà. Avrebbe potuto essere la strada per una guerra dei poveri contro i poverissimi. «Una situazione esplosiva che riguardava decine di centinaia di famiglie», spiega Ambrosi, «e che perciò andava affrontata di petto». RIFARE COMUNITÀ Di fronte all’emergenza, Vis decide di “cambiare” la sua missione. E di lavorare per costruire la comunità, per infondere negli abitanti del quartiere un diverso e nuovo senso di appartenenza, a partire dal quale affrontare insieme abusivismo, rivendicazioni legittime e diritti umani. «Decidemmo di convocare una assemblea dei residenti. Ovviamente i soli a partecipare furono gli uomini». A quell’epoca la cultura albanese era ancora molto maschile e gli uomini sono padripadroni più che compagni. Lunghe discussioni permettono di met- 178 MAURIZIO REGOSA tere a fuoco i diversi problemi e le priorità. Grazie all’accompagnamento di Vis, si decide di creare una associazione. «Abbiamo spinto molto in questa direzione», spiega il cooperante, «anche perché da parte delle istituzioni locali spesso ci veniva detto: “Non sappiamo con chi trattare”. Quindi fare fronte unico era una strada in qualche modo obbligata». L’associazione nasce con 500 famiglie, circa 3mila persone che abitavano in oltre 400 case abusive. È un primo passo. Può sembrare piccolo, ma intanto comincia il confronto con il governo per discutere dell’abusivismo e di come avviare un piano di bonifica per Lapraka. Qui il colpo di genio. O, se preferite, l’intuizione levantina. Gli abusivi insistono con gli enti locali per contribuire alla spesa per il rifacimento delle strade, fin qui non asfaltate. Non è ancora amore per il quartiere. È un modo assai indiretto, Di fronte all’emergenza, levantino appunto, per legittimare la proprieVis decide di “cambiare” tà delle case. Una mossa abile dell’associaziola sua missione. E di ne (che poi nel 2007 ottenne una sanatoria lavorare per costruire la generale). Nel frattempo prende il via il lavocomunità, e un nuovo ro di bonifica. Anche grazie alla cooperaziosenso di appartenenza ne italiana, che garantisce prestiti per due milioni di euro a un tasso agevolato, si costruisce la rete stradale, quella fognaria, si porta l’elettricità. Gradualmente il ghetto prende l’aspetto di un quartiere in cui si può vivere, dal quale ci si può muovere e al quale è possibile tornare senza percepirsi esclusi. “ ” IL RITORNO ALLA NORMALITÀ A questo punto Vis può tornare alla sua missione più tradizionale. Data una risposta alle tante urgenze, individuate in un ambito geograficamente ben determinato («ci siamo fermati dove la situazione ci pareva più esplosiva»), ci si può tornare a occupare del futuro. E cioè dei minori. Nel grande caos dei primi anni, in qualche modo la questione sociale era stata messa in secondo piano. Toccava occupar- COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 179 LAPRAKA, UNA STORIA DI COOPERAZIONE si delle infrastrutture, degli abusivismi, delle strategie difensive che riguardavano centinaia di famiglie e potevano modificarne il destino. Concluso quell’impegno, Vis si dedica a varie attività sociali. Apre un asilo e un centro diurno per il recupero scolastico. Qui la scuola sarebbe obbligatoria dai 7 ai 13 anni, ma è facile intuire quanto l’obbligo sia rispettato ancor oggi. Il centro (diretto da una assistente sociale e nel quale lavorano anche una psicologa e un professore) è frequentato da 30 minori, un terzo dei quali è rom. Si studia divisi in due classi, all’interno delle quali sono anche iniziative di sostegno personalizzato. Poi si gioca un po’ e infine si pranza tutti insieme. «È un momento di riavvicinamento alla scuola magari abbandonata, la durata della permanenza nel centro varia, a seconda dei casi: in quelli più difficili o complessi può continuare per vari anni». IL “LUSSO” DI PIANIFICARE Se negli anni 90a non era possibile immaginare altro che una risposta immediata a questioni pressanti e dettate dalle diverse emergenze, con il nuovo millennio - e cambiando la situazione economicosociale dell’Albania - ci si è potuti concedere il “lusso”, definiamolo così, di pianificare gli interventi con un approccio differente. Spente le fiammate di un’immigrazione selvaggia e multiculturale, divenuto ormai un ricordo il regime e le sue regole, in corso di normalizzazione la vita quotidiana, è stato possibile per Avsi (fondazione non governativa nata nel 1972 e che si occupa di cooperazione allo sviluppo in 37 Paesi) muoversi anche a Lapraka con uno spirito diverso. Qui ha costruito il suo centro di aggregazione sociale e l’asilo, dove si occupa di minori e di accoglienza. Ma, come racconta Federico Salotti (34 anni, ex broker laureato in Bocconi e poi “pentito”), il mandato che Avsi gli ha affidato mandandolo qui tre anni fa era molto preciso: «Contribuire a realizzare anche in Albania la politica che Avsi ha impostato in 30 Paesi del mondo. E cioè quella delle adozioni a distanza». Sicché oggi Avsi in Albania lavora in tre 180 MAURIZIO REGOSA settori: il sostegno educativo dei minori, la formazione dei dirigenti e degli operatori della scuola e il sostegno alle micro-imprese femminili. Secondo una strategia di accompagnamento, di rete e di partnership definita e puntuale. UNA RETE ARTICOLATA Partnership con realtà locali, nate anche con il sostegno di Avsi e con le quali mettere a punto strategie convergenti. Shis, ad esempio, è una ong albanese costituita nel 1998 che fa parte del network Avsi (oggi è presente a Valona, Tirana e Scutari e dà lavoro a 40 persone). Nel tempo Shis ha realizzato progetti per il miglioramento della vita dei minori e la prevenzione di difficoltà psico-sociali, per l’integrazione scolastica e la riduzione dell’abbandono di quegli studenti in condizioni di disagio sociale, per il consolidamento del sistema educativo attraverso corsi di formazione per gli insegnanti. «Avsi, che voleva fornire sostegno e supporto ai soggetti locali per favorire lo sviluppo delle comunità», spiega Simon Rada, giovane presidente di Shis, «ha dato un grande contributo alla costituzione della nostra ong. Che si è sviluppata in una logica di partnership sempre più forte: oggi è una delle poche ong albanesi con bilancio certificato». Quanto all’efficacia di questa logica collaborativa che riconosce alle realtà locali responsabilità e competenze specifiche, pensate alla formazione degli insegnanti (delle scuole pubbliche e di quelle private). In Albania hanno risentito forse più che altri professionisti dell’impostazione rigida del regime. Crollati gli automatismi di carriera che in qualche modo il comunismo garantiva, eccoti una classe insegnante allo sbando. «In modo particolare sono andati in crisi i professori più anziani», si sottolinea dal Shis, «ed è su loro che abbiamo insistito in modo specifico, spingendoli ad abbandonare una visione burocratica dell’insegnamento, a preoccuparsi di più dell’aspetto relazionale e della sua efficacia per quanto riguarda la trasmissione di competenze e saperi». «I professori più giovani sono più frizzanti: sono cresciuti in un’epoca diversa, ma per loro il problema COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 181 LAPRAKA, UNA STORIA DI COOPERAZIONE è la preparazione». Chi se non un soggetto locale può pensare progetti per affrontare problemi così minuti e tuttavia così rilevanti? LAVORARE INSIEME PER IL FUTURO E questo progetto per gli insegnanti è solo un esempio. La medesima logica di integrazione delle competenze e dei saperi specifici ha governato le varie iniziative che Avsi e Shis insieme hanno messo a punto e portato avanti. Dopo aver condotto uno studio sulla qualità educativa in Albania e sull’abbandono scolastico (con risultati preoccupanti che si attestato anche al 20%), insieme hanno messo a punto una strategia di coinvolgimento dei diversi protagonisti del percorso educativo. Degli insegnanti si è detto: se n’è occupata Shis. Sui genitori si è invece concentrata Avsi, lavorando al recuChi se non un soggetto pero del dialogo con le istituzioni scolastiche locale può pensare e favorendo una più consapevole partecipaprogetti per affrontare zione da parte anche degli uomini (per culproblemi minuti e tura tradizionale molto, ma molto lontani da tuttavia rilevanti? Nasce queste questioni). Il tutto condotto nella la partnership Avsi-Shis coscienza di lavorare in una città che in pochi anni è passata da 200mila a un milione di abitanti, molti dei quali emigrati e privi perciò di relazioni comunitarie e di sostegno. Nel settore dello sviluppo economico anche. Per favorire l’occupazione femminile e sostenere l’economia per certi aspetti ancora incerta del Paese, i due soggetti hanno creato Rozafa, una fondazione che si prefigge di mettere a sistema e potenziare l’economia minuta dei laboratori di ricamo. In questo caso (il progetto è durato tre anni e si è concluso nel 2007, ha avuto il sostegno del ministero degli Affari esteri), si trattava non solo di fare formazione specifica ma anche di trasmettere informazioni e competenze manageriali. Non basta fare splendidi ricami. Occorre saperli mettere sul mercato. E venderli. Sono circa 400 le donne che hanno partecipato a que- “ ” 182 MAURIZIO REGOSA sta iniziativa. Aggiornando la tradizione artigiana e insieme rilanciando l’intraprendere (attraverso partnership con altri Paesi, ad esempio). Un’esperienza che ha dato frutti anche insperati, come la collaborazione con il ministero dell’Economia albanese: si tenta di riformare l’artigianato partendo da un assunto decisamente interessante, e cioè considerandolo come espressione della società civile. E spingendo, tra l’altro, a creare una legge simile a quella italiana sull’impresa sociale. Da tempo è aperto il confronto, mentre è andata strutturandosi, fra queste micro-imprese non solo del tessile, una rete che potremmo assimilare alla nostrana Confartigianato (uno dei primi risultati, la conferenza sull’artigianato albanese svoltasi nell’aprile 2009). ALTROVE... Nel frattempo il Nord è cambiato. Scutari, per esempio, non è più la cenerentola dell’Albania. Ha smesso i panni della città poverella dalla quale è necessario allontanarsi. Anche qui, del resto, la collaborazione fra progetti istituzionali, cooperazione italiana e iniziative delle ong ha prodotto importanti risultati. Acli, per esempio, tramite Ipsia - Istituto pace sviluppo innovazione Acli sta portando avanti due progetti sul fronte delle migrazioni (entrambi sostenuti dal Mae). «Cerchiamo di guardare al fenomeno da 360°», spiega Mauro Platè, «e quindi ci occupiamo di coloro che vogliono partire, dando loro strumenti e informazioni, e di coloro che - dopo aver affrontato un progetto migratorio - scelgono di tornare. A entrambi offriamo formazione professionale, orientamento e riqualificazione». Attraverso una rete di sportelli, Ipsia raccoglie le esigenze, cerca di dare risposte, promuove la creazione in loco di piccole imprese. Anche qui si è posto il problema delle associazioni nate dalla società civile. «Abbiamo stretto contatti con molte di esse, cercando di svolgere un accompagnamento non invasivo. Ma non è semplice», conclude Platè, «manca la cultura del terzo settore. Le istituzioni tendono a non riconoscerne il ruolo e la valenza sociale». COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 183 COSÌ NACQUE LA CARITAS ALBANIA Catapultato nel Paese delle aquile in piena emergenza, nel 1991. Per dieci giorni e una relazione. Dopo vent’anni è ancora lì, punto di riferimento per albanesi e italiani. Per accompagnarli nella transizione, da Paese bloccato e isolato dalla dittatura a Stato candidato membro dell’Unione europea. Uno sguardo non ideologico su quello che è stato e sulla sfida del futuo, sull’impegno dell’Italia, sulla situazione politica albanese, sul ruolo dell’Europa di Pier Paolo Ambrosi cooperante IL PRIMO VIAGGIO IN ALBANIA Quando il 9 giugno del 1991 sono partito per l’Albania - erano i mesi convulsi dei primi sbarchi, delle navi cariche di fuggitivi che arrivavano sulla costa italiana - non credevo che sarei rimasto per così tanto tempo. La mia frequentazione con questo Paese, ormai quasi ventennale, non era programmata. Ero arrivato in visita per conto della Caritas, che - impegnata nel soccorso ai profughi albanesi dopo il primo grande sbarco fra il 16 e il 17 marzo 1991 - aveva avvertito la necessità di mettersi a disposizione per dare una mano. Era un fenomeno al quale il Belpaese e il suo governo non erano preparati. Non c’era una struttura che intervenisse, come avviene oggi. Nel bene o nel male. Allora eravamo i primi a metterci a disposizione per dare un aiuto, per cercare di affrontare una situazione nuova nei confronti della quale non eravamo intenzionati a rimanere in attesa. Era questo l’orientamento emerso da un congresso nel COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 185 COSÌ NACQUE LA CARITAS ALBANIA quale ci eravamo confrontati. Non si poteva stare ad aspettare i profughi sulla costa. In quel convegno a Brindisi, la Caritas decise: andiamo a vedere cosa succede in Albania. E le persone scelte - perché ci occupavamo di Africa e dunque avevamo una qualche esperienza di cooperazione internazionale - fummo don Aldo Benevelli e io, che lavoravo assieme a lui in una associazione di volontariato internazionale. SULLE VIE DELLA DIPLOMAZIA Per quella prima visita sono rimasto dieci giorni. Al termine dei quali ho steso un rapporto sulla situazione del Paese. Conteneva dati raccolti dai ministeri, indicazioni su cosa fare, possibili emergenze, informazioni logistiche come le distanze medie fra un villagFu una specie gio e l’altro, la disponibilità di insediamenti, di investitura sul campo la distribuzione della popolazione, la condi(«Torni tu a portare gli zione delle strade. aiuti?»), e ho cominciato Dopo di che torno in Italia. Qualche setad essere più in Albania timana dopo ricevo una telefonata da monsiche in Italia gnor Celli, il vice del cardinale Sodano. Mi chiede di andare a Roma perché il Vaticano intende avviare un negoziato con il governo albanese per aprire nuove relazioni diplomatiche. E mi dice che posso essere d’aiuto. Rieccomi quindi, a fine agosto, di nuovo in Albania. Quindici giorni con l’obiettivo di contribuire a creare le condizioni per l’apertura delle relazioni diplomatiche. In quell’occasione, essendo rappresentante di Caritas, ebbi ulteriori contatti con le autorità e la gente. Mi rendevo conto della richiesta di aiuto («La Chiesa cosa fa per noi?»). Al di là degli impegni ufficiali e diplomatici, crebbe da parte della Caritas l’idea di portare avanti un impegno sul posto. Fu una specie di investitura sul campo («Torni tu a portare gli aiuti?») ed è da quel momento che ho cominciato ad essere più in Albania che in Italia. “ ” 186 PIER PAOLO AMBROSI LA RETE DIOCESANA Come si è mossa la Caritas? Abbiamo cercato di organizzare un sistema di aiuti diretto mediante una sorta di gemellaggio fra le diocesi italiane e quelle che ancora non erano diocesi albanesi ma che, lo sarebbero poi diventate. Così Roma si è gemellata con Tirana, Bari con Durazzo, Valona con Otranto, Cuneo e il Piemonte con Scutari. Oltre alla solidarietà concreta e costante, i gemellaggi avviarono e resero possibili molte relazioni personali tra italiani ed albanesi e fu il modo con cui molti di loro vennero finalmente in contatto con il mondo esterno. Senza dubbio avere alle spalle questa organizzazione ha consentito in pochissimo tempo di distribuire gli aiuti in maniera capillare. La Caritas era fra i maggiori donatori. Tre miliardi di lire non erano pochi, anche se le necessità erano talmente tante... In agosto di quell’anno poi fu aperta a Tirana la sede dell’Undp, una agenzia delle Nazioni Unite: chi si occupava di aiuti, le poche ong allora presenti in quel Paese cominciarono a ritrovarsi da settembre in avanti presso la sede dell’Undp, che divenne un punto di riferimento logistico. LA NASCITA DI CARITAS ALBANIA Il 12 dicembre 1991 arrivò a Tirana il primo nunzio apostolico: monsignor Ivan Dias. Era solo, con un paio di impiegate albanesi (va ricordato che in quel periodo, dopo la caduta del muro di Berlino, molti Paesi avevano recuperato la loro libertà religiosa e che quindi anche il Vaticano si era trovato a organizzare numerose delegazioni in Paesi nei quali prima non era presente. L’Albania era l’ultimo, in pratica). D’intesa con il nunzio, la Caritas si occupava dell’accoglienza quotidiana delle persone che intendevano rimanere pochi giorni ma anche di distribuire le presenze di lungo periodo su tutto il territorio nazionale. La Caritas quindi fu incaricata anche della logistica e contribuì ad organizzare la presenza di tutte le nuove realtà della COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 187 COSÌ NACQUE LA CARITAS ALBANIA Chiesa che arrivano in Albania, dove del resto c’era una scarsa capacità di accoglienza dal punto di vista delle strutture. Alla fine del 1992, il nunzio decise di formalizzare la nascita di Caritas Albania. C’era ancora una assoluta carenza legislativa in fatto di associazionismo, ma l’avvocato incaricato fece sì che nel gennaio del 1993 Caritas Albania fosse regolarmente registrata presso il Tribunale di Tirana. Fu un periodo molto intenso. Per dire: la Chiesa all’epoca rientrò in possesso di numerose proprietà confiscate dal regime. Il nunzio mi diede la procura per andare nelle diverse parti del Paese e firmare gli atti con qui si rientrava in possesso di quei beni. CON LA CISL Quella stagione doveva finire nel 1993. Avevo deciso di rientrare, cercare lavoro in Italia e ricongiungermi stabilmente con la mia famiglia. Ma nemmeno questa volta andò così. Nell’ottobre venni contattato dalla Cisl Veneto che aveva messo a punto un progetto di avvio all’imprenditorialità per quegli albanesi che erano immigrati in Italia e che volevo rientrare nel loro Paese. La Cisl si sarebbe occupata della loro formazione in Italia, io avrei dovuto seguire dall’Albania la parte legale ed organizzativa. Per occuparmene, aprii una agenzia che forniva in pratica attività di consulenza e servizi. L’agenzia nacque nel febbraio del 1994, in occasione di quel progetto con la Cisl; in pratica però si mise a disposizione di molte decine di imprese, per lo più italiane, che erano intenzionate ad aprire una attività in Albania. Il Paese era talmente in evoluzione che per queste aziende era utile avere un supporto. Voglio fare un solo esempio. Il settore agricolo, al tempo del regime, era costituito da 600 aziende, cooperative o statali, che gestivano 700mila ettari coltivabili. Con la riforma agraria del luglio 1991, la terra fu ridistribuita tra quasi 500mila famiglie, ciascuna delle quali poteva contare mediamente su poco più di un ettaro. Fu uno sconvolgimento per l’economia. Certo, fu utile - per i primi due anni - perché in questo modo molte famiglie poterono assicurarsi sosten- 188 PIER PAOLO AMBROSI tamento. Sul lungo periodo però non fu una soluzione. Ancor oggi l’agricoltura albanese sconta questa frammentazione. LE SCELTE DEL GOVERNO ITALIANO Parallelamente all’impegno che Caritas Italiana si prese in Albania, anche il nostro governo avviò sue iniziative, all’indomani della seconda ondata di migranti, quella di fine luglio. Come si mosse il governo? Essenzialmente in due direzioni, entrambe importanti. La prima si concretizzò in un accordo fra le Marine dei due Paesi per realizzare un controllo delle coste e delle acque più stringente. La seconda fu l’operazione Pellicano, portata avanti dall’Esercito. Una operazione - e lo dico da ex obiettore di coscienza - che in quel momento contribuì a salvare dalla fame l’Albania. L’operazione Pellicano durò dal settembre 1991 al 1994, un aiuto determinante conclusosi - e non ho mai capito il perché - senza nessuna forma di ringraziamento. Ci fu solo una piccola cerimonia al porto di Durazzo. LA CRISI DEL 1997 Il sistema cosiddetto “delle piramidi” - un modello basato sulla finanza, che offriva enormi profitti (interessi dell’8 - 10% mensili) che produsse la gravissima crisi del 1997, ebbe in realtà inizio nel 1993-1994. Era strutturato come una catena di Sant’Antonio, che con i soldi raccolti dagli ultimi arrivati, pagava gli interessi mensili dei versamenti precedenti. Finché funzionò garantì guadagni e interessi. Ma quando si arrivò in fondo alla catena, avvenne il crollo. L’insolvenza. La crisi bancaria. La gente nelle strade. La protesta. Quasi una guerra civile, quando a Tirana fu deciso di distribuire armi ai simpatizzanti del partito democratico. A ripensarci oggi sembra incredibile che una speculazione finanziaria così evidente abbia retto per così tanto tempo. Mi sembrano due le ragioni. La prima: quell’attività copriva in realtà il riciclaggio di denaro sporco e attività criminali come il traffico di droga ed COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 189 COSÌ NACQUE LA CARITAS ALBANIA armi, la tratta della prostituzione che fu avviata proprio in quel periodo. La seconda: per troppo tempo (fino a settembre 1996) non ci sono state operazioni di contrasto. Né da parte della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale né - tanto meno - da parte del governo albanese. Quest’ultimo in certa misura fu complice. Non gli conveniva intervenire perché il flusso di denaro pulito (proveniente dalle rimesse degli albanesi emigrati) che incrementava una straordinaria liquidità fu convogliato proprio nelle operazioni finanziarie di queste cosiddette “piramidi”. In qualche modo la finanza canalizzò queste risorse, impedendo una inflazione analoga a quella che in quegli anni si registrava in Paesi che, come l’Albania ,stavano creando un tessuto economico di tipo liberale. In sostanza, al governo le “piramidi” facevano comodo perché consentivano di tener sotto controllo il quadro macroeconomico. Di questa situazione ne approfittarono anche investitori italiani. Se si eccettua la fabbrica della Coca Cola, i primi investimenti hanno riguardato quasi unicamente la produzione di scarpe, camicie e jeans. La normalità, tuttavia, con cui operavano e prosperavano le società finanziarie “piramidali”, davano alla situazione generale del Paese un forte connotato di precarietà. Di conseguenza, l’atteggiamento prevalente scelto dagli investitori stranieri era il “mordi e fuggi”. LE ELEZIONI DEL DOPO CRISI Quel periodo convulso, con le sommosse popolari legate alla scoperta del meccanismo delle piramidi, si concluse con le elezioni del 29 giugno 1997, vinte dal socialista Fatos Nano. Il partito socialista rimase al governo fino al 2005, succedendo a un esecutivo del partito democratico che introdusse un liberismo a mio modo di vedere senza regole. Il Partito democratico cambiò sì il sistema economico, facendolo transitare da quella forma autarchica e centralizzata che era a una democrazia liberale, ma credo abbia ecceduto: l’assenza totale di regole che ne seguì finì con l’indebolire lo Stato, l’idea stessa di Stato. La vittoria dei socialisti permise allo Stato di riprendere 190 PIER PAOLO AMBROSI un ruolo, di svolgere la sua funzione. Non dico che questo non abbia creato problemi anche rilevanti - la corruzione ad esempio - ma da questo punto di vista lo Stato ha ritrovato la sua “missione”. Ancora oggi il Paese è del resto in una posizione ambigua e oscillante tra questi due estremi: il liberalismo senza regole e l’eccesso di Stato. In ogni caso fu in questo periodo che maturò una svolta importante per l’Albania. Rispetto al periodo che io chiamo “senz’anima” (1997 - 1999), con il 2000 le cose sembrano cambiare. Se prima tutti cercavano di emigrare, specialmente le persone che avevano un proprio bagaglio culturale e che potevano quindi aspirare a ruoli interessanti anche all’estero (in quel periodo, per esempio, si calcola che un contingente di 20mila tecnici qualificati abbandonò il Paese per emigrare in Canada), la guerra in Kosovo interrompe questa situaAncora oggi il Paese è zione. Come se l’Albania dimenticasse i suoi in una posizione problemi e si scoprisse solidale nei confronti ambigua e oscillante tra dei kosovari. Va ricordato che l’esodo dal questi due estremi: il Kosovo di quella primavera del 1999 portò in liberalismo senza regole Albania tra i 450mila e i 500mila profughi. e l’eccesso di Stato. Circa 300mila dei quali vennero ospitati nelle famiglie albanesi. Una percentuale altissima se si considera il numero complessivo della popolazione. Una solidarietà che ha ridato anima e orgoglio all’Albania. Non importa che magari ricevessero soldi dai kosovari, che potevano contare sulle rimesse di parenti in Germania o nei Paesi occidentali (in generale i kosovari stavano meglio degli albanesi). Quel che più conta è che da quel momento - da quella prova di solidarietà - la prospettiva inizia a cambiare. Gli emigranti di un tempo cominciano a rientrare in Albania e a investire nel loro Paese. In una parola, cominciano a crederci. A credere che il Paese abbia un futuro. Abbia delle chance. Cominciano anche a comprendere che per cambiare le cose occorre tirarsi su le maniche, darsi da fare. Con modalità anche interessanti da un certo punto di vista. Ricordo ad “ ” COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 191 COSÌ NACQUE LA CARITAS ALBANIA esempio che Edi Rama quando fu eletto sindaco di Tirana (il primo ottobre del 2000) trovò una situazione assolutamente caotica. In precedenza erano stati dati permessi per costruzioni “provvisorie” che avevano invaso ogni ambito della città. Tutti gli spazi pubblici, piazze, giardini e marciapiedi, in pratica erano coperti da queste costruzioni provvisorie. Senza troppi formalismi, lui cominciò a farli demolire, metro dopo metro, con un grande senso pratico. Alla fine ridiede alla capitale una immagine nuova ed in generale “la cosa pubblica” (Stato e municipalità) cominciò a riacquistare un po’ di funzione e di dignità. Anche questo senza dubbio contribuì a convincere gli ex emigranti che si poteva costruire un futuro nuovo e diverso. LA COOPERAZIONE ITALIANA Da operatore “dal basso”, cioè esterno alle forme istituzionali della cooperazione italo-albanese, ho potuto osservare che nel primo periodo - pressapoco fino al 1994 - la cooperazione italiana si è dedicata soprattutto all’assistenza umanitaria, successivamente - a partire dal 1997, circa - ci fu un risvolto diverso. Passata la stagione delle grandi emergenze, ha preso avvio una fase di accordi che hanno consentito all’Italia di dare una mano concreta alla organizzazione dello Stato albanese, settore per settore. Fino al 2002, in pratica, c’è stato un contributo sotto forma di formazione dei quadri: polizia, finanze, tribunali, eccetera. In questo periodo comincia anche ad avere un ruolo non irrilevante in Albania la nostra cosiddetta “cooperazione decentrata”, quella cioè degli enti locali, delle Province e soprattutto delle Regioni, e la “cooperazione scientifica” tra università italiane ed albanesi. La cooperazione decentrata non ha certo brillato per il coordinamento, tuttavia ha avuto ed ha ancora un ruolo straordinario nell’aiutare gli enti locali albanesi a comprendere il loro nuovo ruolo e ad operare di conseguenza. L’ultima fase della cooperazione tra Italia ed Albania, dal 2002 in poi, ha avuto come obiettivo il potenziamento delle infrastrutture: 192 PIER PAOLO AMBROSI l’asse viario Nord-Sud (da Valona a Scutari ed al confine con il Montenegro); l’infra-strutturazione della rete energetica, per il collegamento dell’Albania con la rete elettrica del resto d’Europa; la bonifica della vecchia discarica della città di Tirana e la costruzione di quella nuova, secondo i parametri europei. Il legame tra i due Paesi è sempre solido. E negli ultimi anni c’è stata una valorizzazione anche dell’immagine della presenza italiana. Si pensi che attualmente nelle università italiane studiano circa 20mila ragazzi albanesi. Sono gli alleati certi per il futuro. LE PROSPETTIVE FUTURE Sono due i nodi su cui è opportuno riflettere: il ruolo dell’Unione Europea e la politica interna albanese. Sul primo, l’impressione è di un eccessivo e sostanziale formalismo cui l’UE sembra indirizzare la politica albanese. Si fa un gran parlare di democrazia, di diritti umani, di società civile, eccetera e non si contano i convegni, le conferenze ed i seminari organizzati su tali temi. Mi permetto di osservare, tuttavia, che finché metà della popolazione albanese, quella delle zone rurali, vive di sussistenza ed è sostanzialmente tagliata fuori dall’economia di mercato, è improbabile che si possa presumere un reale radicamento della democrazia nella società albanese. Allo stesso modo, il Paese è costantemente richiamato ad adeguare la propria legislazione agli standard europei e regolarmente vengono forniti i dati della progressiva riduzione dello scarto percentuale. Come se la semplice introduzione di una nuova legge bastasse a migliorare di fatto una situazione. Il messaggio che in generale si riceve dal rapporto dell’UE nei confronti dell’Albania, è che il Paese deve assumere un’attitudine più rispettosa della forma che preoccupata della sostanza. Quanto al governo albanese, dovrà cominciare seriamente a porsi il problema dei profitti illeciti e più in generale della corruzione. Gli interessi in gioco sono molti e quelli locali non sono gli unici né i prevalenti. Ma è un nodo che va assolutamente affrontato e che alla fine ritarda l’evoluzione del Paese. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 193 CANTIERE LEGISLATIVO, PRESTO L’IMPRESA SOCIALE Suggerisce nuovi orizzonti anche produttivi. Coniuga la sostenibilità d’impresa e la responsabilità. Può diffondere un modo consapevole e maturo di stare in comunità. Un modo del quale in alcuni luoghi più che in altri si avverte la mancanza. Magari in termini di consapevolezza, più che di pratica. Un percorso che vede protagonista la società civile italiana. E che ridà valore al termine “cooperazione” dialogo con Franco di Maurizio Regosa Marzocchi S ono molteplici le strade di una buona cooperazione internazionale. Passano anche per la diffusione e la promozione di intuizioni importanti che possono contribuire a individuare prospettive di sviluppo equilibrato e sostenibile. L’impresa sociale, per esempio. Con il suo portato complesso e articolato - in termini economici, sociali, umani - è senz’altro una di quelle intuizioni capaci di sostenere il cambiamento. Perché suggerisce nuovi orizzonti anche produttivi. Perché coniuga la sostenibilità d’impresa e la responsabilità. Perché può diffondere un modo consapevole e maturo di stare in comunità. Un modo del quale in alcuni luoghi più che in altri si avverte la mancanza. Magari in termini di consapevolezza, più che di pratica. È il percorso che Franco Marzocchi, past president di Federsolidarietà/Confcooperative e ora a capo di Aiccon (l’Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit, che annualmente organizza le Giornate di COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 195 CANTIERE LEGISLATIVO, PRESTO L’IMPRESA SOCIALE Bertinoro), descrive in questa intervista. Arrivato in Albania per un progetto riguardante soprattutto la condizione minorile, si è trovato ad affrontare un’altra richiesta per certi aspetti molto più impegnativa: promuovere la cultura dell’impresa sociale. Communitas: Come è nata questa “avventura” albanese? Franco Marzocchi: All’interno di un progetto inserito in un pro- gramma d’intervento del ministero degli Affari esteri, condotto con alcune Regioni e del quale è capofila la Regione Emilia-Romagna. L’intervento riguardava il sostegno ai minori che, assieme alle donne, rappresentano una fascia di popolazione particolarmente a rischio in Albania. Molti sono senza famiglia o magari hanno genitori che non sono in grado di seguirli. Da parte del precedente governo albanese c’era stata anche la richiesta di inserire all’interno di questo progetto anche la promozione dell’impresa sociale. Ma in una prima fase non sono state condotte iniziative specifiche in tal senso. Communitas: Poi cosa è successo? Marzocchi: È cambiato il governo e quella che era una dichiarazio- ne d’intenti è diventata una richiesta effettiva. È stato così deciso di riprendere quel filone. Communitas: Con quali modalità? Marzocchi: La Regione Emilia-Romagna, in progetti internaziona- li come questo, individua Comuni che possano mettere a disposizione esperienze interessanti nei diversi ambiti. E che quindi facciano da referenti. Per il welfare il referente regionale è Forlì: quando si è arrivati alla formulazione della necessità di recuperare il tema impresa sociale siamo intervenuti. C’è da aggiungere che c’è stata anche una “spinta” da parte delle realtà nelle quali si interveniva. Communitas: Quali erano? Marzocchi: Oltre a Tirana, la capitale, Elbasan, Valona e Scutari. In 196 FRANCO MARZOCCHI queste province ci sono interessanti esperienze gestite da organizzazioni non profit albanesi che sono nate da progetti gestiti in gran parte da ong italiane ed europee negli anni passati. Communitas: Quindi la richiesta di impresa sociale non è nata da una conoscenza teorica quanto dall’esperienza pratica... Marzocchi: In effetti si è trattato di un bisogno che ha preso forma rispetto alla volontà di dare una prospettiva di inserimento lavorativo ai ragazzi seguiti da queste organizzazioni nei vari progetti. Progetti che sono consistiti nella realizzazione di centri diurni, di doposcuola, di centri residenziali di accoglienza ma anche di formazione professionale. Ad un certo punto è maturata la consapevolezza che era necessario fare un passo in più e occuparsi anche del loro futuro. Communitas: Quanto è partito il progetto sui minori? Marzocchi: Nel 2008. In seguito mi hanno chiesto se potevo fare un intervento rispetto al tema “impresa sociale”. Ho fatto una prima analisi della situazione. Sono andato in Albania, visitato le varie realtà coinvolte e poi ho proposto un percorso formativo centrato sull’idea di costruire, a partire dall’approccio culturale, la cornice e i presupposti dell’impresa sociale. Communitas: E cioè? Marzocchi: Mi sono accorto che c’erano molte persone potenzial- mente in grado di diventare imprenditori sociali, che però dovevano cambiare la loro prospettiva d’intervento. Quindi ho anzitutto proposto un progetto formativo agli operatori, in pratica i direttori e i presidenti delle organizzazioni. Dovevano maturare la consapevolezza che era già in atto un cambiamento profondo nella loro prospettiva professionale. Non erano più operatori ma imprenditori e quindi si dovevano rapportare con un contesto diverso da quello che avevano conosciuto all’inizio. Dovevano accorgersi che il loro modo COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 197 CANTIERE LEGISLATIVO, PRESTO L’IMPRESA SOCIALE di interpretare l’impresa sociale avrebbe contribuito a disegnare gli obiettivi di sviluppo del Paese. Communitas: Quanto è durato questo percorso formativo? Marzocchi: Circa nove mesi, da settembre 2009 a giugno 2010. Hanno partecipato oltre 20 organizzazioni. Una esperienza positiva che tra l’altro le ha spinte a maturare la consapevolezza di essere una realtà nel Paese, e non una singola esperienza. Communitas: Nel senso che si sono accorti di far parte di un movimento? Marzocchi: Infatti. Adesso spetta a loro darsi delle forme di organiz- zazione stabile per non sparpagliarsi. Una rappresentanza efficace è una buona premessa per il successo delle iniziative e dei progetti. Questo mi sembra lo abbiano capito. So che ci stanno lavorando. Parallelamente al percorso formativo, ci sono stati dei contatti con il ministero del Lavoro albanese. Nel convegno che si è svolto a Tirana, a maggio scorso, il ministro ha dichiarato il suo impegno perché sia approvata una legge sull’impresa sociale. In seguito sono stati costituiti due gruppi interministeriali di funzionari, sulla base di una griglia che gli avevo suggerito per le competenze necessarie. Questi gruppi devono preparare il progetto di legge da portare in Consiglio dei ministri. A me hanno chiesto di fare da supporto tecnico. Communitas: Un oggettivo apprezzamento per il modello italiano... Marzocchi: Assolutamente sì. Anche se devo dire che ho impostato il lavoro mettendo a confronto i diversi modelli europei. Ho inserito l’impresa sociale fra gli obiettivi che l’Albania deve perseguire per costuire le condizioni per l’ingresso nell’Unione europea. Un traguardo previsto per il 2014 ma che io considero teorico: secondo me ci vorrà qualche anno in più. Ho suggerito comunque che, proprio per creare condizioni che consentano al Paese di evolvere e quindi di avere i requisiti necessari per entrare nell’Unione europea, è fonda- 198 FRANCO MARZOCCHI mentale avere uno strumento come l’impresa sociale. Communitas: Il ministro albanese sembra aver compreso il suggerimento... Marzocchi: C’è stato anche un movimento di opinione che gli ha fatto percepire interesse e consenso in questa direzione. D’altra parte è sempre più evidente la presenza della società civile albanese attraverso le organizzazioni che lavorano nel Paese e che cominciano a manifestarsi. Communitas: Quanto tempo servirà? Marzocchi: Fonti ufficiose mi dicono che i tempi saranno abbastan- za brevi. Communitas: Tornando al percorso formativo, ha già dato risultati con- creti? Marzocchi: Non aveva l’obiettivo di promuovere imprese. Ci sono già nelle tre province che ho citato esperienze organizzate dalle varie ong. Communitas: Come sono inquadrate le non profit nella legge albanese? Marzocchi: C’è una norma del 2001 che istituisce le organizzazioni non profit. Di fatto è un misto fra la nostra legge sulle onlus e quelle sulle associazione di promozione sociale. Il risultato è che queste organizzazioni hanno un riconoscimento giuridico ma più come associazioni umanitarie che imprenditoriali. Communitas: Non c’è una legge sulla cooperazione sociale? Marzocchi: Fino a pochi anni fa parlare di cooperazione era sconsi- gliato. Si vedeva la cooperativa come strumento della dittatura. Quindi c’era una reazione assolutamente negativa. Ora le cose stanno cambiando: c’è un progetto di legge in Parlamento fatto dalla cooperazione spagnola per la cooperazione agricola. Però non c’è un quadro legislativo di riferimento cooperativo. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 199 CANTIERE LEGISLATIVO, PRESTO L’IMPRESA SOCIALE Communitas: Però lo stanno ricostruendo... Marzocchi: Si sta tornando all’idea della cooperativa ripartendo dal basso, cioè dal principio collaborativo delle persone. Un risultato possibile solo se si è interiorizzata una idea di democrazia. Cosa che sta avvenendo nella società. Communitas: Un passaggio cruciale. Marzocchi: Assolutamente. Uno dei problemi di fondo nella società albanese è il seguente: transitare dalla fase attuale, in cui la riconquistata libertà è vissuta più come possibilità di fare ciò che si vuole, alla fase in cui il concetto di libertà significa fare ciò che si può nell’ambito di una logica di democrazia e di partecipazione al bene comune. In questo momento in Albania c’è solo la cultura del bene privato. Basta vedere come si sta sviluppando dal punto di vista urbanistico. La pianificazione urbanistica non viene fatta sia perché c’è un rifiuto dell’idea di avere una direttiva centralistica, sia perché in questo momento si pensa che coi i soldi si possa fare tutto quello che si vuole. Un approccio ancora immaturo di una società che deve ancora fare il passo successivo, cioè andare verso il bene comune. Anche le ong devono sentirsi responsabili di promuovere questo cambiamento. Communitas: Quindi possono svolgere un ruolo di avanguardia rispet- to a questo percorso di maturazione? Marzocchi: Certo. Il fatto di essersi fatte carico dei problemi dei più diseredati le ha rese consapevoli dell’idea del bene comune. Già lo stanno materialmente praticando. Devono comprenderlo come scelta politica e quindi come modello culturale. In questo sono sostenute anche dalla direttiva dell’Unione Europea sull’impresa sociale. Lì possono trarre una indicazione importante: ovvero che la scelta dell’impresa sociale non ha solo a che fare con la protezione sociale, ma anche e forse soprattutto con il modello di sviluppo. Nel senso che può aiutare a costruire una democrazia economica in cui ci sia un 200 FRANCO MARZOCCHI effettivo pluralismo delle imprese, in cui il modello capitalistico non sia esclusivo ma possa esserci la compresenza, a pari dignità e con pari opportunità, del modello capitalistico e di quello non profit. COMMUNITAS 45 - IL MARE CORTO • 201 Elisabetta Belloni Ministro plenipotenziario al Ministero degli Esteri. Laureata in Scienze politiche alla Luiss di Roma il 26 novembre 1982 è la prima donna ad arrivare ai vertici della macchina diplomatica del nostro ministero degli Esteri. Per due anni ha fatto una full immersion in storia diplomatica, economia politica e diritto internazionale, le tre materie cardine per vincere il difficile concorso per entrare nel mondo delle feluche. Il primo febbraio del 1985 è entrata di diritto alla Farnesina. Oggi, la Belloni, già capo dell'Unità di crisi del Ministero degli Esteri, è dal luglio 2008 direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina COMMENTO NON PIÙ BENEFICIARIO MA PAESE PARTNER Il Protocollo firmato ad aprile 2010 è ancora un atto di Cooperazione allo sviluppo, ma può essere visto come un passo significativo per una stagione di nuovi rapporti tra due Paesi europei particolarmente vicini. Fare cooperazione non significa assistere un Paese all’infinito. Il caso Albania lo dimostra. di Elisabetta Belloni direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina dialogo con Maurizio Regosa «L ’ Albania non è più solo un beneficiario degli aiuti, è un partner con il quale si possono condividere molte altre cose», sottolinea il ministro plenipotenziario Elisabetta Belloni, a capo della Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo: «Il Protocollo firmato ad aprile 2010 è quindi ancora un atto di Cooperazione allo sviluppo ma può essere visto come un primo passo significativo per un nuovo rapporto tra due Paesi europei particolarmente vicini, e non solo geograficamente». Un rapporto, quello fra Italia e Albania, di lungo corso, inaugurato circa vent’anni fa e che ha prodotto risultati molto significativi, come testimonia il ministro in questa intervista. L’ITALIA DEGLI IMPOVERITI Communitas: Potremmo partire da un bilancio sui vent’anni di interventi della Cooperazione italiana in Albania. Elisabetta Belloni: La transizione albanese è iniziata alla fine degli anni 80 e già nei primi anni 90, subito dopo la caduta del regime, la Cooperazione italiana è intervenuta in Albania con un programma di emergenza che si è poi trasformato in assistenza alle amministrazioni per la riabilitazione di alcuni servizi essenziali. Come ricorderà, alla fine degli anni90 si è ricaduti in una grave crisi causata dal crollo delle cosiddette “piramidi finanziarie” che ha determinato nostri nuovi interventi di emergenza a fianco delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. In quegli anni assieme ad altre istituzioni italiane abbiamo avviato un forte rapporto di cooperazione con le autorità albanesi che si è via via consolidato nel tempo. Sulla base di questo rapporto, nel 2002 si è negoziato e firmato un Protocollo di cooperazione allo sviluppo che definiva un nuovo importante impegno italiano, determinante per ripristinare alcuni servizi di base e rafforzare quelle capacità amministrative e gestionali che si erano indebolite nei forti cambiamenti accaduti in quegli anni. Communitas: Grazie al Protocollo quali iniziative sono state realizzate? Belloni: Siamo intervenuti a fianco delle autorità albanesi prioritaria- mente nel settore elettrico migliorando la rete elettrica nazionale, l’interconnessione con la rete europea e la capacità gestionale degli enti preposti alla trasmissione e distribuzione di energia. Abbiamo fatto importanti investimenti nel settore idrico, assicurando l’approvvigionamento di acqua alla città di Tirana, e abbiamo contribuito con la Bei, Ebrd e la Banca mondiale a ripristinare il sistema dei trasporti. Abbiamo finanziato la costruzione di scuole, poliambulatori, creato laboratori di informatica per le scuole superiori, avviato un programma di rete telematica e di servizi per l’università, riabilitato quartieri periferici a Tirana e Valona, realizzato la prima discarica di rifiuti con standard europei, riorganizzando anche la gestione dei rifiuti nella capitale, abbiamo assistito le fasce più deboli della popolazione, si è lavorato con le donne oggetto di violenza domestica, per i bambini disabili e sordomuti, per i portato- 204 MARCO REVELLI ri di handicap, i tossicodipendenti, con gli emigranti di ritorno, insomma siamo intervenuti con importanti investimenti e non a caso siamo tuttora il primo donatore bilaterale in Albania. Non abbiamo fatto certamente tutto da soli. Come è ben emerso nelle giornate di Tirana dedicate al ventennale della Cooperazione italiana, in tutti questi anni si è lavorato con le autorità locali e la società civile, le università e i centri di ricerca, con le ong, le Regioni, le Province, le municipalità, le imprese, le altre amministrazioni e i moltissimi soggetti italiani che si sono mobilitati per aiutare, sostenere e affiancare la popolazione, le istituzioni, il settore privato e le autorità albanesi nel ripristinare nel Paese quelle condizioni di base indispensabili per creare una crescita costante e, più in generale, per avviare un processo di sviluppo che penso sia oggi considerato significativo ed anche unico nell’area balcanica. Communitas: Il nuovo Protocollo tra Italia ed Albania firmato ad aprile di quest'anno dal ministro Frattini è una nuova tappa di una lunga amicizia o è la fase finale degli aiuti italiani allo sviluppo di questo Paese? Belloni: La crescita economica albanese degli ultimi anni ci ha permesso di mettere a punto un Protocollo che non solo ponesse attenzione a settori ritenuti importanti da entrambi i Paesi, come lo sviluppo del settore privato, l’agricoltura e il sostegno ai servizi sociali, ma che fosse parte integrante e contributo attivo al processo di integrazione europea. Ricordo a questo proposito che la Cooperazione italiana è stata il “facilitatore” europeo in Albania per l’applicazione della Divisione del Lavoro tra Paesi membri e EU. Oggi l’Albania non è più solo un beneficiario degli aiuti, è un partner con il quale si possono condividere molte altre cose. Il Protocollo è quindi ancora un atto di cooperazione allo sviluppo ma può essere visto come un primo passo significativo per un nuovo rapporto tra due Paesi europei particolarmente vicini, e non solo geograficamente. Vede, fare cooperazione allo sviluppo non vuol dire assistere un Paese all’infinito. Il caso dell’Albania può essere interessante da analizzare in questo senso e penso che l’Italia abbia avuto un ruolo molto importante nell’accompagnare lo sviluppo di questo Paese. COMMUNITAS 40 - IL LAVORO DELLA CRISI • 205 L’ITALIA DEGLI IMPOVERITI Communitas: Nel Protocollo firmato con le autorità albanesi si prevede un contributo della Cooperazione italiana nello sviluppo del settore privato, in agricoltura e nei settori sociali, ma interessarsi di sviluppo del settore privato non è forse in contraddizione con i tradizionali ambiti di intervento della cooperazione allo sviluppo? Belloni: Oramai da tempo si è consapevoli che il settore privato e i suoi investimenti sono i veri motori della crescita; quest’ultima, se unita ad una buona governance, è una condizione indispensabile per creare sviluppo. È necessario quindi contribuire per costruire un contesto in cui il settore privato possa trovare le condizioni per fare questi investimenti. Ecco, vede, soprattutto nei Paesi in transizione, come sono molti Paesi nell’area mediterranea, penso che la cooperazione allo sviluppo abbia la funzione di coadiuvare le autorità locali per creare questo contesto. Non dimentichiamoci che anche la riduzione delle contraddizioni sociali interne ad una società facilita la creazione di quell’ambiente favorevole così necessario agli investimenti. Sulla base della Divisione del Lavoro, di cui ho accennato prima, l’Italia ha avuto l’incarico di essere lead donor nello sviluppo del settore privato in Albania; questo vuol dire che la Cooperazione italiana è il primo interlocutore per il governo albanese per quanto riguarda i progetti finanziati in questo settore dall’Unione Europea e dai Paesi membri. Communitas: Una nomina che riconosce anche il ruolo svolto dall’Italia... Belloni: Questo ruolo ci è stato assegnato grazie soprattutto al nostro impegno in questo settore negli ultimi anni; impegno che è stato recentemente confermato anche nell’ultimo Protocollo con un incremento per la linea di credito a favore delle piccole e medie imprese albanesi di 20 milioni di euro, che porta a 50 milioni di euro le disponibilità totali per questa linea. Mi creda, favorire lo sviluppo delle Pmi vuol dire creare posti di lavoro, far emergere settori produttivi considerati informali, sostenere le economie locali, contribuire a ridurre l’esodo dalle zone rurali e interne verso le città principali e verso altri Paesi, migliorare l’accesso ai sistemi finanziari e di credito, migliorare le produzioni e le tec- 206 MARCO REVELLI nologie utilizzate. Tutto questo mi sembra che sia un ottimo contributo allo sviluppo di un Paese, e su questo la Cooperazione italiana può fare molto. Communitas: E per quanto riguarda la governance locale pensa che la Cooperazione italiana abbia qualcosa da dire ai Paesi in via di transizione? Belloni: Se parliamo di governance non possiamo non ricordare la grande esperienza italiana sullo sviluppo locale e penso che quanto è emerso durante gli incontri di Tirana - a cui, ricordo, hanno partecipato le più autorevoli personalità italiane in questo campo - sia un buon punto di partenza per riflettere ed analizzare su quale potrebbe essere il contributo delle esperienze tipicamente italiane sullo sviluppo locale e quanto noi stiamo facendo a livello internazionale. Vorrei sottolineare inoltre che noi operiamo per creare condizioni di buona governance a livello locale in stretta collaborazione con le ong e con la cooperazione decentrata che sono gli interlocutori naturali della società civile e delle autonomie locali dei Paesi beneficiari. Queste ultime sono due principali componenti per assicurare una crescita delle capacità di governance a livello locale. Communitas: Con i tagli dei fondi che ha subìto la Cooperazione italiana pensa che sia ancora possibile intervenire dall’Africa ai Balcani, dall’Asia al Sud America, alle aree di crisi? Non è il tempo di fare delle scelte? Belloni: I soldi a disposizione sono pochissimi e vanno usati con molta attenzione e in modo selettivo. Dobbiamo cambiare il modo di fare cooperazione adeguando anche gli strumenti legislativi e normativi. Si devono fare delle scelte sia settoriali sia geografiche, per non rischiare di perdere d’incisività ed efficienza nella nostra azione. Penso che dobbiamo concentrare la nostra attenzione soprattutto sul bacino del Mediterraneo e sull’Africa, oltre alle aree di crisi. Dobbiamo accorciare la nostra rete d’interventi, per essere incisivi in aree a noi più vicine, accettando e confrontandoci con una globalizzazione “a medio raggio”, come direbbe Aldo Bonomi è emerso anche durante le giornate di Tirana per i vent’anni della Cooperazione Italiana in Albania. Stiamo lavorando per questo. COMMUNITAS 40 - IL LAVORO DELLA CRISI • 207