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Il Codice di comportamento e le sanzioni
“Il Codice di comportamento e le sanzioni”1 Il pubblico dipendente dovrebbe adeguare il proprio comportamento a parametri di lealtà, correttezza, e servizio al bene comune, così come prescrive la Costituzione, che impone di svolgere le funzione pubbliche con “disciplina e onore” (art. 54, comma 2), con imparzialità (art. 97) nonché di essere al servizio esclusivo della Nazione (art. 98). La legge anticorruzione – legge 6 novembre 2012, n. 190, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione” -‐ non sembra introdurre, da questo punto di vista, particolari novità. Quelle che sono state efficacemente (Mattarella) qualificate come “regole dell’onestà” per loro natura sono state tradizionalmente viste come strumenti non per reprimere, ma per indirizzare, con la conseguenza di dispiegare i propri effetti, non tanto sul piano della sanzione, ma su quello della reputazione e dell’educazione. Chiare in questo senso appaiono le parole di Leopoldo Elia in merito al primo codice di comportamento dei dipendenti pubblici del 1994: “l’intento è stato quello più che di sanzionare comportamenti difformi quello di dirigere, di avviare comportamenti conformi”. Il primo intervento legislativo in materia, operato con l’introduzione nel d.p.r. n. 3 del 1957 di alcune norme sulla condotta dei dipendenti (artt.11-‐17), che individuano dei doveri, alla cui violazione era connessa l’applicazione di una serie di sanzioni disciplinari, si sviluppava attorno a tre regole-‐base -‐ separazione tra la sfera privata e la sfera pubblica; separazione tra la politica e la gestione; pubblicità delle condizioni personali di coloro che assumono cariche pubbliche – frutto della sedimentazione della riflessione avvenuta nel secolo precedente. Proprio sul piano disciplinare, tra gli anni ’50 e la prima parte degli anni ‘70 si registra un approfondimento delle regole etiche, a fronte di un quadro normativo di riferimento piuttosto esiguo. Negli anni successivi si registra, invece, un sempre minor ricorso allo strumento disciplinare, a cui fa da contraltare l’aumento dei giudizi per responsabilità contabile e penale. Un momento di svolta è rappresentato, negli anni ’90, dalla privatizzazione del pubblico impiego, che ha determinato una riformulazione della disciplina dell’etica pubblica, portando 1 A cura del dott. Giovanni Guida, Magistrato referendario della Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia. La relazione riflette esclusivamente le opinioni dell’autore e non intende, quindi, in alcun modo rappresentare posizioni ufficiali della Corte dei Conti. 1 all’adozione del primo codice di comportamento, risalente al 1994, e successivamente aggiornato nel 2000. I valori ispiratori del comportamento del dipendente pubblico, secondo il codice, possono sinteticamente riassumersi in onestà, trasparenza, ed efficienza. Il codice, in particolare, stabiliva una serie di principi che così possono riepilogarsi: — il principio di imparzialità , che impone al dipendente pubblico di assicurare parità di trattamento ai cittadini che vengono in contatto con l’amministrazione; — il principio di efficienza, che impone di dedicare la giusta qualità di tempo ed energie allo svolgimento delle proprie funzioni, impegnandosi ad adempierle nel modo più efficiente ed efficace, nell’interesse dei cittadini; — il principio di responsabilità , connesso all’assunzione dei rispettivi compiti; — il principio di cura dei beni e di riservatezza delle informazioni dell’amministrazione; — il principio di collaborazione con i cittadini e gli utenti dei servizi; — il principio di semplificazione, che impone di incoraggiare la semplificazione dell’attività amministrativa, a favore di cittadini e imprese; — il principio di sussidiarietà , che impone di favorire l’esercizio di funzioni da parte dell’autorità funzionalmente più vicina ai cittadini interessati. Il codice regolamentava, inoltre, il comportamento in servizio, in particolare dei dipendenti che hanno rapporti con l’utenza, disciplinando i rapporti con il pubblico e la tutela dell’immagine dell’amministrazione; l’accettazione e la donazione di regali; l’utilizzo dei mezzi o strumenti dell’ufficio; la partecipazione ad associazioni ed organizzazioni la cui attività possa rivelarsi in conflitto con gli interessi dell’amministrazione. Dettava, infine, una disciplina specifica relativa alla trasparenza negli interessi finanziari e sui rapporti di collaborazione retribuiti nonché sulle altre attività collaterali facenti capo al dipendente. Questo primo codice non è stato inciso dalla c.d. riforma Brunetta (D.lgs. n. 150/09), che ha, invece, profondamente innovato il procedimento disciplinare, determinando una diversa lettura della funzione dell’etica pubblica, che ha assunto una finalità gestionale-‐organizzativa, che è possibile indivduare ancor più chiaramente nella legge n. 190/2012. In tale sistema, infatti, l’emanazione di regole etiche, ovvero i codici di comportamento, assurge a strumento di prevenzione della corruzione (D’alterio). L'art. 1, quarto comma, della L. n. 190/12 riscrive l'art. 54 del D.lgs. n. 165 del 2001 con lo scopo prioritario di dare al codice di comportamento un sicuro valore giuridico. Il codice di 2 comportamento, ai sensi della nuova normativa, è atto del Governo e non più di un singolo ministro; in secondo luogo, sempre da un punto di vista formale, il codice deve essere sottoscritto dal dipendente e non più semplicemente consegnato a quest’ultimo. La legge individua, poi, non solo i fini, ma anche il contenuto minimo che deve essere presente nel codice. Per quanto riguarda i fini, essi non si discostano, in vero, molto da quanto previsto dal precedente codice, e sono riassumibili: nella qualità dei servizi, nella prevenzione dei fenomeni di corruzione e nel rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. Per quanto riguarda, invece, il contenuto minimo, il codice deve espressamente prevedere il divieto dei pubblici dipendenti di accettare regali, nonché una sezione specifica relativa ai doveri dei dirigenti. Ulteriore novità rispetto al modello precedente è data dall’obbligo posto in capo a ciascuna amministrazione di adottare un proprio codice di comportamento; ciascuna amministrazione è tenuta a definirlo, con procedura partecipata e previo parere dell'organismo indipendente di valutazione. Ulteriori innovazioni sono legate alle disposizioni che individuano il valore giuridico del codice di comportamento. “Mentre la precedente formulazione dell'art. 54 si limitava a prevedere indirizzi affinché i princìpi del codice venissero coordinati con le previsioni dei contratti collettivi in materia di responsabilità disciplinare, lasciando a questi ultimi il compito di definire le conseguenze giuridiche delle violazioni, la nuova formulazione stabilisce chiaramente che la violazione è fonte di responsabilità disciplinare. Dunque, non viene meno la possibilità dei contratti collettivi di accoppiare le sanzioni agli illeciti, ma essi dovranno dare rilievo a ogni violazione dei codici di comportamento. O, anche se non lo faranno i contratti, dovranno farlo le amministrazioni: per quanto lieve, ogni violazione dovrà determinare l'apertura del procedimento disciplinare e, ove provata, una pur lieve sanzione. Deve ritenersi che, se una certa violazione non è sanzionata dai contratti, prevarrà la legge e il procedimento disciplinare dovrà comunque essere avviato alla sua commissione. In pratica, occorrerà ricondurre la violazione, che non sia espressamente prevista nei contratti, a una delle generiche previsioni normalmente contenute in essi. E, dato che la legge non dispone in ordine alla fase transitoria, deve ritenersi che l'obbligo di attribuire rilievo disciplinare alle violazioni sia immediato, senza bisogno di attendere la prossima tornata contrattuale. Ne deriva, evidentemente, una maggiore importanza del Codice di comportamento: di tutte le sue previsioni, anche di quelle finora trascurate dai contratti collettivi e che, quindi, i dipendenti 3 pubblici potevano permettersi di ignorare. Nessuna previsione può più essere ignorata, salvo incorrere in responsabilità disciplinare. Ne deriva, ovviamente, anche una maggiore importanza dell'attività di formazione e informazione sul tema e di quella di vigilanza sul rispetto del Codice. Né va trascurata la previsione secondo la quale violazioni gravi e ripetute del Codice comportano il licenziamento disciplinare. Significativa è anche la previsione secondo la quale la violazione dei doveri posti dal Codice di comportamento è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile quando queste responsabilità siano collegate alla violazione di doveri. È una previsione ricognitiva di un fenomeno già esistente, in quanto sono numerose le sentenze della Corte dei conti, dei giudici del lavoro e dei giudici penali che dal rispetto o dalla violazione del Codice di comportamento traggono elementi per affermare o negare l'una o l'altra di quelle forme di responsabilità (nonché di quella penale, non menzionata dalla norma)” (Mattarella). Il nuovo codice è stato emanato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013. Da un punto di vista sostanziale, dal confronto tra il nuovo codice ed il precedente emergono solo lievi modifiche, nell’invarianza complessiva dei doveri imposti ai pubblici dipendenti. Le novità contenutistiche riguardano, invece, la necessità di effettuare il dovuto coordinamento con la legislazione più recente sia in tema di valutazione delle performance che di piani per la prevenzione della corruzione. Maggiori novità le possiamo, invece, riscontrare per quanto attiene, in primo luogo, l’ambito di applicazione. Il codice si applica sia al personale statale, sia a quello delle regioni, degli enti locali e degli enti autonomi. In questo senso si era già espressa la legge n. 190/12, che aveva chiarito che anche le amministrazioni regionali e locali devono adottare il proprio codice di comportamento. Si è chiarito che le norme contenute nel codice costituiscono principi di comportamento, in quanto compatibili con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti, per il personale non contrattualizzato (come i professori universitari e i militari). Al codice è riconosciuta una vera e propria forza espansiva, dovendo essere applicato anche ai collaboratori e consulenti delle amministrazioni, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione e ai collaboratori di imprese fornitrici di beni o servizi. A tale fine, è previsto che negli atti di incarico o nei contratti siano inserite clausole di risoluzione o decadenza per il caso di violazione degli obblighi del codice. Si tratta di una previsione significativa, in quanto molti di questi soggetti operano stabilmente nell'ambito delle amministrazioni pubbliche e sono inseriti nella loro organizzazione; i titolari degli uffici di 4 diretta collaborazione, in particolare, sono stati finora sostanzialmente privi di regole di comportamento. La vigilanza sul rispetto del codice nazionale e dei codici delle amministrazioni è affidata ai dirigenti di ciascuna struttura, alle strutture di controllo interno e agli uffici di disciplina. Ciò premesso in termini di inquadramento generale del codice, appare opportuno analizzare come i principi generali di condotta del pubblico dipendente, di cui all’art. 3 del Codice di comportamento, siano stati declinati in una prospettiva a noi più vicina, ovvero quella del Codice di comportamento per il personale della Giunta di Regione Lombardia, approvato con D.G.R. n. 1063 del 12.12.2013 e adottato con la D.G.R. n. 1290 del 30.01.2014, di approvazione del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione 2014-‐2016. La maggiore attenzione per il Codice di Regione Lombardia deriva, poi, dalla circostanza che lo stesso costituisce documento di orientamento a cui gli Enti del sistema regionale allargato sono invitati ad adeguarsi. Principi cardine che devono essere rispettati dal dipendente regionale, che ha l’obbligo di adoperarsi nell’esclusivo interesse della Nazione e di Regione Lombardia, sono quelli di buon andamento e di imparzialità dell'attività amministrativa, avendo come finalità ultima la realizzazione degli obiettivi fissati nel documento programmatico di legislatura. Questi principi sono ulteriormente declinati nei seguenti corollari: a) spirito di servizio: consapevolezza di operare nell’esclusivo interesse della collettività; b) imparzialità: perseguimento del solo pubblico interesse, nell’ambito degli obiettivi istituzionali; c) autonomia: rispetto e sollecitazione all’assunzione della responsabilità ed orientamento al risultato; d) partecipazione: condivisione e consultazione degli interessati ai procedimenti e alle decisioni per l’adozione di soluzioni condivise ed efficaci, con particolare riferimento al principio della sussidiarietà; e) legalità: rispetto, nell’adempimento delle proprie funzioni, delle leggi e dei regolamenti regionali e statali; f) pubblico interesse: incentivazione e promozione dell’innovazione e dell’efficienza dei processi e delle prestazioni professionali, funzionali alla realizzazione dell’interesse pubblico; g) rispetto e fiducia: costruzione di relazioni fondate sul reciproco riconoscimento, sulla collaborazione e sulla solidarietà, anche in una logica di sviluppo del benessere delle persone e, più in generale, del benessere organizzativo. L’elemento unificante pare essere l’“integrità” personale, la quale si esteriorizza nelle molteplici vicende quotidiane e si manifesta in multiformi aspetti che vanno dalla lealtà nei rapporti interpersonali, alla onestà e al perseguimento dell’interesse pubblico, all’equilibrio e 5 correttezza nel comportamento verso i colleghi, collaboratori e i destinatari dell’azione amministrativa. In altre parole, il dipendente pubblico deve (Zerman): a) servire il pubblico interesse e agire esclusivamente con tale finalità; a questa previsione si riconnette quella relativa all’utilizzo dei beni materiali, che, nella lettura del codice lombardo, è così disciplinata: “Il dipendente osserva la Costituzione, le leggi dello Stato, lo Statuto della Regione Lombardia, le leggi regionali, servendo la Repubblica con disciplina ed onore, adempiendo i propri obblighi nel rispetto della legge, nell’esclusivo interesse pubblico, senza abusare, in alcun modo, della posizione e dei poteri di cui risulti titolare” (art. II, comma 2). b) coniugare l’efficienza dell’azione amministrativa con la economicità della stessa e il contenimento dei costi, ovvero con le parole del codice di Regione Lombardia (art. II, comma 4), “il dipendente esercita i propri compiti orientando l’azione amministrativa alla massima economicità, efficacia ed efficienza; la gestione delle risorse pubbliche deve sempre ispirarsi ad una logica di contenimento dei costi, che non pregiudichi la qualità dei risultati”; c) assicurare la parità di trattamento dei destinatari dell’azione amministrativa; la parità di trattamento presuppone necessariamente l’imparzialità del dipendente, a garanzia della quale un ruolo importante è, senza dubbio, da riconoscere alla disciplina relativa ai regali o altre utilità ricevibili. La normativa di Regione Lombardia prevede (art. VIII) che “il dipendente regionale non chiede né accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, fatto salvo quelli di uso di modico valore, effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia. 2. Il dipendente regionale non chiede né accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, neppure di modico valore, quale correspettivo per compiere o aver compiuto un atto del proprio ufficio o, comunque, da soggetti terzi che possono trarre benefici da decisioni o attività inerenti l’ufficio. 3. Per regali o altre utilità di modico valore si intendono quelle di valore non superiore a 150,00 €, anche sotto forma di sconti. 4. Il divieto opera anche nel caso di elargizione, in forma frazionata, in diversi periodi temporali ed in diverse soluzioni, di regali o altre utilità, non superiori, singolarmente, al valore di 150,00 €. 5. Per il personale regionale addetto agli uffici aventi competenza in materia di contratti relativi a beni, lavori o servizi pubblici, accordi e convenzioni, smaltimento rifiuti, finanziamenti e sovvenzioni, ambiente, concessioni ed autorizzazioni, è comunque assolutamente vietata l’accettazione di qualsiasi donativo, tenuto conto della particolare delicatezza delle attività svolte, al fine di garantire ulteriormente l’imparzialità e la trasparenza di quest’ultima ed in funzione preventiva di eventuali illeciti di tipo corruttivo. 6. I regali e le altre utilità ricevuti dal dipendente regionale, al di fuori dei casi 6 consentiti, sono immediatamente restituiti, a cura dello stesso dipendente a cui siano pervenuti. 7. Il dipendente regionale non accetta incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiamo o che abbiano avuto, nel biennio precedente all’anno di riferimento, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti l’ufficio di appartenenza”. d) garantire la massima collaborazione con le altre pubbliche amministrazioni. Venendo ad esaminare i doveri connessi al rapporto con il pubblico, essi sono riassumibili in: -‐ obbligo di identificazione; il dipendente in rapporto con il pubblico si fa riconoscere attraverso l’esposizione in modo visibile del badge o altro supporto identificativo messo a disposizione dall’amministrazione; -‐ obbligo di cortesia e precisione; -‐ obbligo di fornire spiegazioni; -‐ rispetto degli standard di qualità. Un’altra novità connota il codice di comportamento previsto dalla legge n. 190/12: esso deve contenere una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati secondo le funzioni attribuite. Anche nel Codice di comportamento di Regione Lombardia troviamo una particolare attenzione a tali doveri; si prevede, in particolare, che (art. IX): “1. Il dirigente adempie i propri obblighi lavorativi con buona fede diligenza, secondo i contenuti specificati dall’atto di conferimento dell’incarico, perseguendo gli obiettivi assegnati dalla Giunta regionale ed adottando un comportamento organizzativo funzionale all’assolvimento dell’incarico. 2. Il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, comunica all'Amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possano porlo in conflitto di interessi con la funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti e affini entro il secondo grado, coniuge o convivente che esercitano attività politiche, professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti con l'Ufficio che dovrà dirigere o che siano coinvolti nelle decisioni o nelle attività inerenti all'Ufficio. Il dirigente fornisce le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi soggetti all'imposta sui redditi delle persone fisiche previste dalla legge. 3. E’ obbligo precipuo del dirigente gestire il personale affidatogli curando il benessere organizzativo, l’istaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi con e tra i propri collaboratori, assumendo le iniziative appropriate alla circolazione dell’informazioni, alla formazione e all’aggiornamento professionale del personale, allo sviluppo professionale dello stesso e alla sua valorizzazione. 4. In particolare, i dirigenti regionali devono curare, 7 nell’ambito della formazione del personale, in conformità alle disposizioni di cui alla L. 06.11.2012, n. 190, i seguenti adempimenti: . a) concorrere alla definizione di misure atte a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e a controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell'ufficio cui sono preposti; . b) fornire le informazioni richieste dal soggetto competente per l'individuazione delle attività nell'ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione e formulare specifiche proposte volte alla prevenzione del rischio medesimo; . c) provvedere al monitoraggio delle attività nell'ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione, svolte nell'Ufficio a cui sono preposti, disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva. 5. Il dirigente cura periodicamente lo svolgimento di riunioni, relative all’organizzazione e alla gestione degli adempimenti, da tenersi tendenzialmente entro l’orario ordinario di lavoro. 6. Il dirigente cura l’immagine dell’Amministrazione, evitando, nei limiti delle sue possibilità, la diffusione di notizie non veritiere sull’attività amministrativa e sui dipendenti a lui affidati, potenzialmente dannose per l’immagine della stessa. 7. Il dirigente regionale favorisce la diffusione di buoni prassi amministrative, funzionali all’istaurazione di un rapporto di fiducia dei cittadini nei confronti di Regione Lombardia. 8. Con specifico riferimento al rispetto dei Codici di comportamento da parte del personale di livello dirigenziale, il relativo controllo viene periodicamente svolto dall’Organismo indipendente di valutazione della performance ai fini della misurazione e valutazione della performance, con la conseguente incidenza sulla determinazione ed erogazione della retribuzione di risultato (…)”. Come più volte evidenziato, l’elemento caratterizzante la nuova disciplina risiede nel fatto che la violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento è rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile quando le stesse siano collegate alla violazione di doveri, obblighi leggi, oltre a essere “fonte di responsabilità disciplinare”. Ai sensi dell’art. 16 del nuovo codice di comportamento, la violazione di uno qualunque degli obblighi previsti, è soggetta a contestazione disciplinare e all’applicazione di una sanzione da valutarsi, in ogni singolo caso, con riguardo alla gravità del comportamento e all’entità del pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dell’amministrazione di appartenenza. Le sanzioni applicabili sono quelle previste dalla legge, dai regolamenti e dai 8 contratti collettivi, incluse quelle espulsive per alcune violazioni elencate direttamente nel suddetto art. 16, c. 2. Lo stesso art. 16, infine, demanda ai prossimi contratti collettivi nazionali la previsione di "ulteriori" criteri di individuazione delle sanzioni applicabili in relazione alle tipologie di violazione del codice medesimo. Ai sensi dell’art. 16, c. 2, del nuovo codice di comportamento, è punibile con il licenziamento la prima violazione di ognuno dei divieti previsti nell’art. 4, qualora ricorrano gli estremi della gravità. Nell’ambito delle normali relazioni di cortesia, è fatto divieto di accettare e naturalmente di chiedere, regali che eccedano il modico valore, che il c. 5 dell’articolo in commento quantifica orientativamente, in centocinquanta euro anche sotto forma di sconto. E' soggetto a licenziamento, a prescindere invece dalla valutazione dell’entità del valore, se il regalo o l’utilità, viene richiesta o accettata "a titolo di corrispettivo per compiere o aver compiuto un atto del proprio ufficio" (Kranz). La norma si segnala sul piano sistematico perché introduce il principio in base al quale la violazione delle condotte previste dal codice è fonte diretta di responsabilità disciplinare, senza che sia necessaria la mediazione della contrattazione collettiva, con la finalità di dare nuovo vigore alla responsabilità disciplinare, alla quale, come detto, potranno affiancarsi altri titoli di responsabilità, poiché uno stesso fatto può assumere rilievo per le leggi amministrative, per quelle civili o per quelle penali, così come recita l’art. 28 della Costituzione. La disposizione, infine, si premura di riconfermare i principi generali che devono regolare il procedimento disciplinare (Palmieri): -‐ necessità che la responsabilità sia accertata all’esito di un procedimento disciplinare; -‐ gradualità e proporzionalità delle sanzioni; -‐ai fini della determinazione del tipo e dell’entità della sanzione irrogabile dovrà tenersi conto della gravità della condotta e dell’offensività della stessa, in relazione all’entità del pregiudizio anche morale, derivatone al prestigio e al decoro della P.A.; -‐ tipicità delle sanzioni, che sono solo quelle previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi; -‐ tipizzazione delle ipotesi da cui deriva l’irrogazione della massima sanzione disciplinare, quella espulsiva, in relazione alla gravità ed alla reiterazione delle relative condotte, salva la possibilità per i contratti collettivi di prevedere ulteriori criteri di individuazione delle sanzioni applicabili in relazione alle diverse tipologie di violazione del codice. Giova ricordare, al riguardo, che il codice di comportamento di Regione Lombardia rinvia per la definizione delle sanzioni applicabili per violazioni del presente Codice di comportamento si 9 richiamano, oltre agli artt. 55 e ss. del D.lgs. 30.03.2001 n. 165, gli artt. 24 del CCNL 06.07.1995 s.m.i. e 3 del CCNL 11.04.2008 Comparto Regioni – Autonomie locali per il personale non dirigente, 6 e 7 del CCNL 22.02.2010 Comparti Regioni Autonomie locali per il personale dirigente. Conclusivamente, ripercorrendo l’evoluzione dei codici di comportamento e della connessa responsabilità, si può evidenziare come in una prima fase, fino agli anni ’80 del secolo passato, il sistema sia stato connotato da una forte discrezionalità dell’amministrazione nel riempire di contenuto, attraverso un attivo ricorso allo strumento disciplinare, le regole etiche. In una secondo fase, conclusasi agli inizi degli anni 2000, si è registrata una progressiva codificazione delle regole etiche accompagnata, però, ad un minor ricorso allo strumento disciplinare. La fase attuale, infine, vede ancor di più compressa la discrezionalità amministrativa, non solo nell’individuazione delle regole di comportamento, ma anche nell’an dell’esercizio dell’azione disciplinare, tenuto conto dell’obbligatorietà, più volte richiamata, dell’esercizio dell’azione disciplinare nei casi di violazione delle norme contenute nei codici. Nelle intenzioni legislative, l’irrigidimento ora evidenziato ha lo scopo di assicurare una maggior tutela dei diritti dei cittadini, che usufruiscono dei servizi pubblici e appare, purtroppo, il chiaro riflesso della crescente e allarmante sfiducia dei cittadini nell’operato delle amministrazioni. 10