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1. Non so voi, ma io sono sinceramente preoccupato dell
RAFFAELE BOTTA
IL CONTRADDITTORIO NEL PROCEDIMENTO DI APPLICAZIONE DEL TRIBUTO
1. Non so voi, ma io sono sinceramente preoccupato dell’incom-prensibile
innamoramento che lega da qualche tempo questo paese, e non solo esso, ad una
parola che in realtà nell’utilizzo astratto che comunemente se ne fa, mi appare
assolutamente priva di significato. Questa parola è “riforme”, un indefinito plurale
che allude ad un infinito inconoscibile.
Chiunque abbia a cuore la ricerca di senso come appagamento di vita non
può non restare smarrito dinanzi a questo incommensurabile “vuoto”, pronto a
riempirsi di qualsiasi contenuto che possa volta per volta apparire strumentalizzabile per il controllo delle umane attività. Nessun giudizio può darsi se non si chiarisce quale sia il concreto ed effettivo oggetto delle riforme. Altrimenti esse restano
ami per pesci distratti.
Lo stesso può dirsi per altre parole che immeritatamente riempiono l’orizzonte dei nostri giorni: queste parole esprimono altresì una intensa (pur se non
immediatamente svelata) sinonimia. Esse sono “nuovo” e “giovane”, secondo molti
capaci di esprimere, senz’altre aggettivazioni qualificative, il “bello” e il “buono” in
una ideale scala valoriale che si innalzi dai detriti della “rottamazione” dell’esperienza, valore ormai desueto e condannato senza appello.
Anche qui il richiamo ad una maggior prudenza meriterebbe ascolto, perché
non ogni “nuovo” (così come il “giovane”) è, in quanto tale e perché tale, necessariamente “buono” (necessariamente “migliore”): né positivo può intendersi in ogni
caso il disprezzo che ha sostituito nel tempo attuale il rispetto che si dovrebbe a
chi più giovane non sia.
Il “nuovo” (inteso anche come ringiovanimento delle esperienze) si nutre di
“memoria”: non arriva al cielo alcuna pianta senza la spinta delle radici.
Quando la “pianta” sia poi una “struttura sociale”, queste “radici” sono costituite da “valori” capaci di trasformare un “aggregato umano” in una “comunità”,
perché ne rendono immediatamente riconoscibile l’identità e per questo assumono
1
carattere di “non negoziabilità”. Questi “valori non negoziabili”, stante la loro capacità di identificazione della comunità, il loro essere indici del “riconoscimento”,
si determinano nella dimensione di “diritti fondamentali” che fanno di una “società
umana” una “società civile” (quella “società civile” e non un’altra), trasformano ogni
“uomo” in “persona” e trovano la propria sede naturale nella carta costituzionale
dello Stato del quale rappresentano ad un tempo l’ “impronta digitale” e il DNA.
E sono questi i diritti che innervano una “democrazia”.
Eppure oggi questa espressione – democrazia – consuma, nell’in-differenza
generale, il suo valore significante, alleggerita di senso e di “evocativa magia
dell’anima”. Con essa si “alleggeriscono” anche i diritti (in particolare i c.d. diritti
sociali costituzionalmente garantiti) perché “monetizzati” nel quadro di una “decostruzione sociale” nella quale il “lavoro” appare esclusivamente un mezzo di produzione e la persona del lavoratore una risorsa (semplice materiale umano, avrebbe
forse detto Dostoevskij). Fino al punto di promuovere un pericoloso confronto tra
diritti e necessità di bilancio, quasi a suggerire che quest’ultime ben potrebbero
imporre legittime limitazioni – anche estreme – alle tutele ai primi apprestata dalla
Costituzione1 (implicitamente individuando nel-l’art. 81 Cost. una sorta di “superprincipio” capace di prevalere perfino sui diritti iscritti nei primi dodici articoli
1
Sintomatico di tale situazione è la presentazione di un disegno di legge al Senato, il n. 1952 del
9 giugno 2015, prima firmataria la sen. Linda Lanzillotta, con il quale, proprio alla luce della
nuova formulazione dell’art. 81 Cost. (come dichiaratamente afferma la relazione al disegno in
questione), si propone di modificare la legge n. 87 del 1953 (recante Norme sulla Costituzione e
sul funzionamento della Corte costituzionale) prevedendo l’aggiunta all’art. 13 di un comma in
cui si dispone che: «La Corte (costituzionale) dispone altresì ordinanze istruttorie ai fini dell’acquisizione di dati e informazioni. Nell’ipotesi in cui la soluzione della questione di legittimità
costituzionale possa comportare maggiori oneri o minori entrate per la finanza pubblica, la Corte,
anche su richiesta dell’Avvocatura generale dello Stato o del rappresentante della Regione interessata, ha facoltà di chiedere all’Ufficio parlamentare di bilancio di cui all’articolo 16 della legge
24 dicembre 2012, n. 243, una relazione sugli effetti finanziari dell’eventuale dichiarazione di
illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto dell’istanza o del ricorso».
Il disegno di legge prevede altresì di modificare il comma 13 dell’art. 17 della legge n. 196 del
2009 (recante Legge di contabilità e finanza pubblica) nel seguente modo: «Il Governo, allorché
sulla base di una specifica relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio riscontri che dall’attuazione di leggi ovvero dall’esecuzione di sentenze definitive di organi giurisdizionali o della Corte
costituzionale possano derivare oneri non contabilizzati nei bilanci approvati, adotta tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell’articolo 81 della
Costituzione. Tali iniziative legislative, con riferimento alle sentenze definitive degli organi giurisdizionali e della Corte costituzionale, indicano modalità e tempi della loro esecuzione tali da
2
della carta repubblicana, la sede propria di quelli che comunemente si definiscono
i principi supremi dell’ordinamento costituzionale2).
Un modo surrettizio per sottrarre al giudice (persino al giudice delle leggi)
l’autonoma funzione di controllo, cercando di snaturarne la “fastidiosa” funzione
di “sentinella” sul “confine dei diritti”.
In un clima simile non può sorprendere che l’affermazione – contenuta della
sentenza n. 19667 del 2014 delle Sezioni Unite – dell’imma-nenza nell’ordinamento
tributario di un principio fondamentale sul doveroso rispetto del contraddittorio
nel procedimento di formazione della pretesa erariale – anche in difetto di una
espressa e specifica previsione normativa – abbia per taluni avuto il sapore di
un’eresia3. Tant’è che una delle reazioni “più forti” è stata quella di rimettere nuovamente, con l’ordinanza n. 527 del 2015, la questione alle Sezioni Unite4.
2. Confesso, tuttavia, che sono rimasto colpito dalla reazione suscitata. Forse
è stata frutto del timore che le Sezioni Unite – per ripetere un mantra di successo
in questi ultimi tempi – non si fossero preoccupate delle “conseguenze” del loro
“dire diritto”, della possibilità di mettere in crisi una serie indefinibile di accertamenti sui quali fosse in corso il controllo giurisdizionale (con supposte ripercussioni, immagino, sulle esigenze di bilancio)? Ma, ove ciò fosse, non bisognerebbe
forse chiedersi quali siano le “colonne d’Ercole” oltre le quali il giudice, nel rendere
effettiva la tutela dei diritti come pur l’ordinamento gli impone, possa spingersi?
assicurarne la coerenza con gli articoli 11, 81, 97, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione. Resta fermo quanto disposto in materia di personale dall’articolo 61 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».
2
Per una serrata critica di simili eventualità cfr. G. PALMA, L’incompatibilità tra Costituzione
italiana e trattati dell’Unione europea, in www.Diritto.it, 9 settembre 2015, p. 29 ss.
3
La sentenza n. 19667 del 2014 è pubblicata in Corriere tributario, 2014, p. 3019 ss., con nota di
A. MARCHESELLI, Il contraddittorio deve precedere ogni provvedimento tributario.
4
L’ordinanza è pubblicata in Rassegna di giurisprudenza tributaria, 2015, p. 297 ss., con nota di
M. BEGHIN, Alle Sezioni Unite le modalità di attuazione del contraddittorio negli accertamenti “a
tavolino”.
3
Nel caso di specie, in verità, l’affermazione contenuta nella ricordata sentenza delle Sezioni Unite n. 19667 del 2014 non mi era sembrata un inatteso e
imprevedibile overulling.
C’era già stata la dichiarazione di nullità di un avviso di mora non preceduto
dalla notifica dell’atto presupposto (Cass. S.U. n. 16412 del 20075) o l’ancor più
significativo riconoscimento del contraddittorio (endoprocedimentale) come elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione
normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa nell’accertamento mediante standard (Cass. S.U. n. 26635 del 20096) o, infine, per rimanere alle posizioni espresse dalle Sezioni Unite, la dichiarazione di nullità della
notifica ante tempus dell’accertamento in violazione di quanto previsto dall’art. 12,
comma 7, dello Statuto del contribuente (Cass. S.U. n. 18184 del 20137).
C’era già stata, da parte della Sezione Tributaria, la dichiarazione di nullità
della cartella di pagamento, che non sia preceduta dalla comunicazione dell’esito
del controllo ex art. 36-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: tale comunicazione,
secondo la Corte, assolve ad una funzione di garanzia e realizza la necessaria interlocuzione tra l’Amministra-zione finanziaria ed il contribuente prima dell’iscrizione a ruolo e ciò in attuazione di un principio immanente nell’ordinamento e
relativo alla garanzia connessa alla previsione della comunicazione quale momento
5
La sentenza è pubblicata in Rivista di diritto tributario, 2007, fasc. 10, p. 967 ss., con nota di
G. INGRAO, L’omessa notifica dell’“atto presupposto” fra vizio del procedimento e vizio proprio
dell’ “atto consequenziale”, nonché in Corriere giuridico, 2008, fasc. 4, p. 525 ss., con nota di O.
FITTIPALDI, Rispetto della sequenza fra atti presupposti e atti consequenziali nel diritto tributario.
6
La sentenza è pubblicata in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, 2010, II, p. 33
ss., con nota di F. MONTANARI, Un importante contributo delle Sezioni Unite verso la lenta affermazione del “contraddittorio difensivo” nel procedimento di accertamento tributario, nonché in
Giurisprudenza italiana, 2010, fasc. 3, p. 710 ss., con nota di A. MARCHESELLI, Natura giuridica
degli accertamenti mediante studi di settore e "giusto procedimento" tributario: quattro sentenze
capitali delle Sezioni unite della Corte di cassazione.
7
La sentenza è pubblicata in Rassegna tributaria, 2013, fasc. 5, p. 1129 ss., con nota di F. TESAURO,
In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accertamento notificato ante
tempus, nonché in Diritto e pratica tributaria, 2014, II, p. 3 ss., con nota di A. RENDA, Contraddittorio endoprocedimentale e invalidità dell'atto impositivo notificato ante tempus: le sezioni
unite e la prospettiva del bilanciamento dei valori in campo.
4
di instaurazione del contraddittorio anteriore all’iscrizione a ruolo (Cass. n. 15311
del 20148).
Un quadro confortante, non c’è dubbio, se si tiene anche conto delle posizioni assunte dalla Corte in materia doganale nello stabilire che il diritto al contraddittorio anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente riconosciuto dal codice doganale comunitario, si evince dalle espresse previsioni dell’art.
11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374 e costituisce “un principio generale del diritto
comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga
di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo”» (Cass. nn. 14105
del 20109 e 6621 del 2013).
Secondo la Corte di Giustizia, invero, il diritto a una buona amministrazione
(art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti
venga adottato un provvedimento individuale lesivo: e mi sembrerebbe davvero
strano che si dovesse dare una diversa interpretazione all’art. 97 Cost. che stabilisce
appunto il principio di buona amministrazione nell’ordinamento nazionale, principio che trova sostanza attuativa nella previsione, da parte del c.d. Statuto del con-
tribuente, del principio di (leale) collaborazione tra amministrazione e contribuente, che fonda la legittimità della pretesa tributaria nel fatto che si sia ad essa
pervenuti mediante un procedimento di formazione partecipata.
Nonostante tutto questo facesse apparire giustificata l’opinione che la pronuncia delle Sezioni Unite sul contraddittorio endoprocedimentale costituisse
un’ulteriore tassello nell’evoluzione della giurisprudenza verso una più piena tutela
8
La sentenza è pubblica in Bollettino tributario d’informazione, 2014, fasc. 20, p. 1492 ss., con
nota di L. LOVECHIO, La nullità del controllo non preceduto dal contratto con il contribuente e
la centralità del principio del contraddittorio preventivo, nonché in Corriere tributario, 2014,
fasc. 37, p. 2843 ss., con nota di F. TUNDO, L’omessa comunicazione dell’esito del controllo
formale compromette il diritto di difesa del contribuente.
9
La sentenza è pubblicata in Corriere tributario, 2010, fasc. 34, p. 2812 ss., con nota di A.
MARCHESELLI, Il diritto al contraddittorio nella procedura doganale, nonché in Rivista di giurisprudenza tributaria, 2010, fasc. 10. P. 875 ss., con nota di M. BASILAVECCHIA, Si rafforza il contraddittorio in materia doganale, e in Diritto e pratica tributaria, 2012, II, p. 274 ss., con nota di
F. CERIONI, L’obbligo del contraddittorio nel procedimento di accertamento delle imposte doganali.
5
dei diritti del contribuente, l’ordinanza n. 527 del 2015 della Sezione tributaria ha
dubitato che se ne potesse fare applicazione con specifico riferimento ai c.d. “accertamenti a tavolino”.
3. L’ordinanza ora ricordata ritiene che «in materia tributaria, non operando
le disposizioni generali del capo terzo della legge n. 241/90, non (possa) addossarsi
all’Amministrazione l’obbligo di instaurare il contraddittorio endoprocedimentale
al di fuori dei casi espressamente previsti da specifiche disposizioni in tal senso»:
anche quando si voglia far ricorso ad una interpretazione costituzionalmente orientata, occorre aver presente che questo tipo di esegesi presuppone «pur sempre un
testo normativo al quale sia possibile attribuire una pluralità di significati, di cui
(almeno) uno conforme a Costituzione e non consenta, quindi, l’intro-duzione per
via giurisprudenziale di regole procedimentali non espressamente previste dalla
legge».
Che una siffatta noma, allo stato, non esiste, lo proverebbe il fatto che «la
legge 11 marzo 2014, n. 23, di delega al Governo per la riforma fiscale, inserisce tra
i principi e criteri direttivi della delega la “previsione di forme di contraddittorio
propedeutiche alla adozione degli atti di accertamento dei tributi” (articolo 1, primo
comma, lettera “b”10), nonché il rafforzamento del “contraddittorio nella fase di
indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione
all’esaurimento del contraddittorio procedimentale” (articolo 9, primo comma, lettera “b”11)». Ma ciò, mi domando, non potrebbe essere forse (almeno) un indizio
10
La norma così esprime i principi e i criteri direttivi cui deve essere ispirata l’azione del governo:
« b) coordinamento e semplificazione delle discipline concernenti gli obblighi contabili e dichiarativi dei contribuenti, al fine di agevolare la comunicazione con l’amministrazione finanziaria in
un quadro di reciproca e leale collaborazione, anche attraverso la previsione di forme di contraddittorio propedeutiche all’adozione degli atti di accertamento dei tributi».
11
La citata norma dispone che il legislatore delegato debba: b) prevedere l’obbligo di garantire
l’assoluta riservatezza nell’attività conoscitiva e di controllo fino alla completa definizione dell’accertamento; prevedere l’effettiva osservanza, nel corso dell’attività di controllo, del principio di
ridurre al minimo gli ostacoli al normale svolgimento dell’attività economica del contribuente,
garantendo in ogni caso il rispetto del principio di proporzionalità; rafforzare il contraddittorio
nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione
all’esaurimento del contraddittorio procedimentale».
6
proprio del fatto che nell’ordinamento già “esiste” quel principio generale affermato
dalla sentenza n. 19667 del 2014 delle Sezioni Unite, al quale la legge delega imperativamente sollecita il Governo ad adeguare la concreta normativa di sistema? Ed
ora che quel principio è stato chiaramente sancito dal d.lgs. n. 128 del 2015 attuativo
delle delega, diverse dovrebbero essere le conclusioni del ragionamento?
Un dubbio di questo tipo deve esservi stato, se l’ordinanza in qualche modo
“ripiega” poi su una posizione più prudente, formulando l’au-spicio che le Sezioni
Unite, pur confermando il principio, ne riducano nella sostanza pratica la portata
applicativa.
Il suggerimento adombrato sembrerebbe quello di seguire la “strada” prefigurata dalla sentenza Kamino della Corte di Giustizia, secondo cui: «Il giudice nazionale, avendo l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, può,
nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare
del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione
determina l’annul-lamento della decisione adottata al termine del procedimento
amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale
procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso» (sentenza del 3
luglio 2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV
e Datema Hellmann Wortdwide Logistics BV, punti 80-8212).
Si tratterebbe cioè di limitare le conseguenze dell’eventuale omissione del
contraddittorio endoprocedimentale alle ipotesi nelle quali siffatta “lesione” abbia
precluso lo svolgimento di difese non temerarie o pretestuose, da valutarsi sulla
base di un giudizio prognostico ex ante: in altre parole la lesione del diritto al
contraddittorio endoprocedimentale non si realizzerebbe nel caso in cui il soggetto
passivo eccepisca la violazione del proprio diritto ad essere avvisato o sentito in
fase istruttoria e non alleghi alcuna difesa nel merito, ovvero indichi circostanze
manifestamente pretestuose, indici di difesa temeraria. Il principio europeo del
contraddittorio troverebbe, cioè, come ha osservato un’attenta dottrina, «ingresso
12
Per un commento alla sentenza v. A. MARCHESELLI, Il contraddittorio va sempre applicato ma
la sua omissione può eccepirsi in modo pretestuoso, in Corriere tributario, 2014, p. 2536 ss.
7
nel nostro ordinamento con il limite della “non totale irrilevanza” funzionale del
confronto preliminare con l’Amministrazione»: e che questa possa essere l’idea lo
rivela la recente sentenza della Sezione tributaria della Corte – la n. 16036 del 2015
– che alla sentenza Kamino fa esplicito riferimento per rigettare un ricorso nel
quale da parte del contribuente si sosteneva la nullità dell’atto impositivo per difetto di contraddittorio endoprocedimentale, in una ipotesi di accertamento induttivo conseguente ad omessa presentazione della dichiarazione fiscale.
4. Pur restando convinto che la strada migliore resti quella di assicurare una
più possibile completa tutela del diritto di difesa del contribuente nel procedimento
di formazione della pretesa tributaria – ritenendo che il rispetto del contraddittorio
risponda anche all’interesse della stessa amministrazione a disporre di un modulo
organizzativo dell’a-zione improntato alla piena obiettività e compiutezza
dell’istruttoria stessa in attuazione dei valori costituzionali dell’imparzialità e del
buon andamento – mi sembra che ci si possa muovere nella prospettiva indicata
dalla sentenza Kamino solo con riferimento ad ipotesi limite.
Si tratterebbe di quei casi in cui ci si trovi di fronte ad atti non contestabili
da alcun versante, ipotesi che possono riguardare più gli accertamenti analitici o
analitico-contabili, «qualora l’interessato non abbia proprio seri motivi di censura
per fronteggiare i riscontri diretti e puntuali dell’Erario», che gli accertamenti di
tipo presuntivo, «i quali rivelano (ex se e strutturalmente) aperture a margini difensivi, se non altro per consentire al destinatario quell’adeguamento delle risultanze istruttorie alla situazione reale, imposto dal principio di (effettività della)
capacità contributiva»13.
Sul piano processuale ciò significa che l’impugnazione di un atto impositivo
per supposta omissione del contraddittorio endoprocedimentale non potrebbe essere motivata con la sola denuncia della lesione del “diritto del contribuente ad
essere sentito”, ma dovrebbe comprendere la sostanza del merito della pretesa
13
R. IAIA, I confini di illegittimità del provvedimento lesivo del diritto europeo al contraddittorio preliminare, in Rivista di giurisprudenza tributaria, 2014, n. 11, p. 841.
8
tributaria contrastata, in modo da consentire la valutazione da parte del giudice
della “non irrilevanza” radicale sul provvedimento delle difese che il contribuente
avrebbe potuto rappresentare ex ante all’Amministrazione (“c.d. prova di resistenza”).
Spetterebbe poi all’Ufficio provare, se non vuole vedersi annullare il provvedimento, l’assoluta inidoneità delle difese allegate dal contribuente a condurre ad
un risultato diverso, laddove fosse stato permesso l’esercizio del contraddittorio: e
significa anche una “espansione” del contenuto motivazionale dell’atto impositivo
che deve dimostrare un effettivo esame delle difese del contribuente, con l’esposizione delle ragioni per le quali siano state disattese le eccezioni formulate da
quest’ultimo nella specifica fase procedimentale.
Bisognerà anche tener conto della sentenza n. 132 del 7 luglio 2015 con la
quale il giudice delle leggi ha dichiarata non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 37-bis, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 600, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con ordinanza del 5 novembre 2013.
La posizione espressa dalla Corte costituzionale sembra “aperta” ad una
considerazione in senso “forte” della garanzia del contraddittorio nel procedimento
di formazione della pretesa tributaria: «dall’origine comunitaria del principio generale del divieto di abuso del diritto in materia tributaria», afferma la Corte, «non
deriva, di per sé, l’incompa-tibilità con lo stesso diritto dell’Unione europea di una
norma nazionale (come può esserlo l’art. 37-bis, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973),
che prevede misure a garanzia del contraddittorio preventivo con il contribuente.
Al contrario, il rispetto dei diritti di difesa costituisce un principio generale del
diritto comunitario, che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto per esso lesivo, con la
conseguenza che i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di
vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria
9
decisione (ex plurimis, Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 18 dicembre 2008, in causa C-349/07)».
Ricordata poi l’affermazione da parte delle Sezioni Unite secondo cui «l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento, operante anche in difetto di una espressa e
specifica previsione normativa, a pena di nullità dell’atto finale del procedimento,
per violazione del diritto di partecipazione dell’interessato al procedimento stesso
(Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 18 settembre 2014, n. 19667)», il
giudice delle leggi conclude che «il principio generale antielusivo, … non impedisce
affatto, con riguardo alle fattispecie non riconducibili all’art. 37-bis del d.P.R. n.
600 del 1973, che debba essere instaurato il previo contraddittorio fra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, né esclude che il vizio del contraddittorio
conseguente alla violazione del termine produca la nullità dell’atto impositivo».
Osservando altresì, e ciò ha una sicura valenza interpretativa del sistema, che la
mancata espressa previsione nell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 del contraddittorio
anticipato «non sarebbe comunque d’ostacolo all’applicazione del principio generale
di partecipazione del contribuente al procedimento».
Peraltro la Corte costituzionale rileva che la sanzione della nullità dell’atto
conclusivo del procedimento assunto in violazione del termine dilatorio previsto
dalla norma (art. 37-bis, d.P.R. n. 600 del 1973) trova ragione «in una divergenza
dal modello normativo che, lungi dall’essere qualificabile come meramente formale
o innocua, o come di lieve entità, è invece di particolare gravità, in considerazione
della funzione di tutela dei diritti del contribuente della previsione presidiata dalla
sanzione della nullità, e del fatto che la violazione del termine da essa previsto a
garanzia dell’effettività del contraddittorio procedimentale impedisce il pieno svolgersi di tale funzione»: sicché «la sanzione prevista dalla norma censurata non è …
posta a presidio di un mero requisito di forma del procedimento, estraneo alla
sostanza del contraddittorio, … ma costituisce invece strumento efficace ed adeguato di garanzia dell’effettività del contraddittorio stesso, eliminando in radice
l’avviso di accertamento emanato prematuramente. La necessità che al contribuente
10
sia consentito di partecipare al procedimento e la ragionevolezza della sanzione in
caso di violazione del termine stabilito per garantire l’effettività di tale partecipazione, sono ancora più evidenti se si considerano le peculiarità dell’accertamento
delle fattispecie elusive e il ruolo decisivo che in esso possono svolgere gli elementi
forniti dal contribuente, in particolare in vista della valutazione che l’amministrazione è chiamata a compiere dell’esistenza di valide ragioni economiche sottese alle
operazioni esaminate».
Appare evidente da siffatte considerazioni il favor della Corte costituzionale
per una piena realizzazione nel procedimento della garanzia del contraddittorio e
per la generalizzazione di siffatta tutela in una prospettiva esegetica più vicina a
quella indicata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19667 del 2014 che ad altre
proposte maggiormente “restrittive”.
In questo senso mi sembrano significativi due passaggi soprattutto: l’affermazione che il principio del contraddittorio debba trovare applicazione, sulla scorta
di quanto prescritto dal diritto comunitario, ogniqualvolta l’amministrazione si
proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto per esso lesivo e la
riconosciuta infondatezza del richiamarsi sul punto a quella «giurisprudenza di
legittimità che ha più volte escluso, in materia processuale, la legittimità di soluzioni interpretative dirette a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive garanzie difensive».
Tale orientamento giurisprudenziale è, secondo il giudice delle leggi, da ritenersi limitato strettamente ai casi di eventuale nullità delle notificazioni degli atti
processuali, la quale è, essa e non altra, suscettibile di essere sanata dall’intervenuto
raggiungimento dello scopo ai sensi del-l’art. 156 cod. proc. civ.
5. Il legislatore sembra aver sentito il fascino di questa innegabile moder-
nizzazione del rapporto tra fisco e contribuente e nel disciplinare l’accertamento
dei comportamenti elusivi ha dato uno spazio assai rilevante alla tutela del contraddittorio endoprocedimentale.
11
In attuazione della delega fiscale, con l’art. 1 del d.lgs. n. 128 del 2015 è stato
introdotto nello Statuto del contribuente – ed anche la collocazione “topografica”
della norma ha un suo senso – un art. 10-bis, il quale oltre a definire, diciamo
subito, non in modo soddisfacente sotto il profilo della determinatezza e chiarezza,
l’abuso del diritto, prevede che l’accertamento della fattispecie sia eseguito dall’Ufficio con «apposito atto preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente
di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui
sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto»
(comma 6). I chiarimenti forniti dal contribuente assurgono a contenuto obbligatorio e specifico dell’atto impositivo che sia poi eventualmente emesso (comma 8).
L’applicazione delle citate disposizioni – espressamente esclusa per gli accertamenti e controlli aventi ad oggetto i diritti doganali14 di cui all’articolo 34
d.P.R. n. 43 del 1973 (art. 1, comma 4, d.lgs. n. 128 del 2015) – è prevista con
decorrenza retroattiva in quale le stesse «si applicano anche alle operazioni poste
in essere in data anteriore alla loro efficacia per le quali, alla stessa data, non sia
stato notificato il relativo atto impositivo» (art. 1, comma 5, d.lgs. n. 128 del 2015).
Un’ulteriore testimonianza dell’importanza che il legislatore annette al rispetto del
principio del contraddittorio.
Peraltro sono convinto che solo una integrale – e quanto più generale possibile – tutela del principio del contraddittorio riesca ad assicurare una maggiore
efficacia dell’azione accertatrice, in quanto il contradditorio endoprocedimentale
garantisce, attraverso la partecipazione del contribuente alla formazione della pretesa tributaria, che vengano emessi avvisi di accertamento sempre più “raffinati”
nella motivazione e nel quantum, con un aumento dei casi in cui i contribuenti
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In proposito, infatti, il contraddittorio endoprocedimentale è già specificamente previsto
dall’art. 11, coma 4-bis, l. n. 374 del 1990, a norma del quale «Nel rispetto del principio di cooperazione stabilito dall’articolo 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, dopo la notifica all’operatore
interessato, qualora si tratti di revisione eseguita in ufficio, o nel caso di accessi - ispezioni verifiche, dopo il rilascio al medesimo della copia del verbale delle operazioni compiute, nel quale
devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche posti a base delle irregolarità,
delle inesattezze, o degli errori relativi agli elementi dell’accertamento riscontrati nel corso del
controllo, l’operatore interessato può comunicare osservazioni e richieste, nel termine di 30
giorni decorrenti dalla data di consegna o di avvenuta ricezione del verbale, che sono valutate
dall’Ufficio doganale prima della notifica dell’avviso di cui al successivo comma 5».
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preferiscono pagare subito, piuttosto che imbarcarsi in contenziosi lunghi, costosi
e dall’esito probabilmente soccombente. Un modo anche per avviare ad effettività
un rapporto trasparente tra cittadino e fisco, sottraendolo alle “secche della reciproca diffidenza” sulle quali è da tempo immemorabile arenato: mi auguro, pertanto, che la recentissima scelta legislativa possa favorire questo processo di crescita del cittadino in un quadro di asseverazione di diritti che trasformino lo Statuto del contribuente in ciò che questa legge fondamentale avrebbe dovuto rappresentare per il funzionamento di un fisco moderno.
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