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7 Parte II – Una ricognizione critica alla dimensione regionale Uno

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7 Parte II – Una ricognizione critica alla dimensione regionale Uno
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Parte II – Una ricognizione critica alla dimensione regionale
Uno sguardo preoccupato alla dimensione regionale:
le condizioni di degrado dei suoli in Lombardia e nel quadro ambientale italiano,
a cura di Pier Luigi Paolillo1
1. Evidenzieremo più oltre, in questo scritto, stato e pressioni sulla risorsa suolo nelle differenti regioni amministrative italiane 2 ; vogliamo tuttavia preliminarmente richiamare un qualificato contributo di Brenna e Rasio 3 i quali, insistendo sulla nozione di suolo come “risorsa finita, la cui protezione risulta indispensabile per il mantenimento degli equilibri ambientali”, includono proprio nella
protezione “i concetti di conservazione e valorizzazione della risorsa, finalizzati ad armonizzare gli
usi attuali o previsti con le naturali limitazioni e potenzialità”; in particolare, la protezione del suolo
assume particolare rilievo nel caso italiano (“in cui coesistono fragilità ecosistemiche connesse a
intensi fenomeni di sfruttamento delle risorse ambientali in pianura per urbanizzazione e industrializzazione, e propensione al dissesto idrogeologico nelle aree alpine, prealpine e appenniniche”), ripercotendosi sulle altre risorse che col suolo interagiscono (per ottenere “acque superficiali più pulite, acque profonde più bevibili, paesaggi agrari e forestali meno degradati, aria più respirabile”4 ).
1
Dipartimento di Architettura e pianificazione del Politecnico di Milano.
Le monografie regionali pubblicate nel seguito scaturiscono dal contributo fornito all’Enea (per conto del Ministero dell’Ambiente) dal Dipartimento di Scienze del territorio del Politecnico di Milano, e sono state utilizzate nell’ambito del capitolo “Suolo e sottosuolo” della Relazione al Parlamento sullo stato dell’ambiente,
2001; il lavoro deriva dall’attività di un gruppo di ricerca composto da Pier Luigi Paolillo (coordinamento generale), Stefano Brenna e Romano Rasio (Servizio Suolo dell’Ersal Lombardia, coordinamento della ricerca),
con il rilevante ausilio dell’Osservatorio nazionale pedologico e per la qualità del suolo presso il Ministero
delle politiche agricole e forestali (Paolo Sequi, Edoardo Costantini e Gianfranco Loffredo). Questo organismo, costituito presso il Ministero Agricoltura e Foreste con Dm. del luglio l990, poi ricostituito nel 1996, che
opera (coordinato dal prof. Paolo Sequi, direttore dell’Istituto sperimentale per la nutrizione delle piante di
Roma, avvalendosi della collaborazione dell’Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo di Firenze
e delle regioni italiane) nell’ambito dei problemi della fertilità e vulnerabilità dei suoli alla luce delle tendenze
comunitarie e internazionali; a seguito della sua ricostituzione l’Osservatorio annovererà tra i suoi membri rappresentanti di diversi ministeri, delle regioni, degli istituti sperimentali richiamati, del mondo universitario,
dell’Anpa, del Cnr, dei Servizi tecnici nazionali e dell’Autorità di bacino del Po. L’Osservatorio: i ) ha formato
diverse decine di pedologi, facendo nascere una sensibilità pedologica, ponendo a disposizione competenze
prima assenti e costituendo gli embrioni di servizi pedologici di grande rilevanza per i possibili successivi sviluppi; ii) ha provveduto (anche con apporti esterni tra cui, in particolare, si ricorda quello della Società italiana
della scienza del suolo) alla fondamentale standardizzazione e ufficializzazione dei metodi analitici del suolo,
pubblicando manuali d’uso e interpretazione; iii) ha redatto un manuale di guida e indirizzo per la costituzione
di servizi pedologici regionali, integrati in un servizio nazionale distribuito sul territorio (nell’elaborato sono
espresse motivazioni, stato dell’arte e orientamenti realizzativi, tenuto presente che diverse regioni dell’Italia
settentrionale e centrale mancano ancora di veri servizi pedologici); iv) ha prodotto un inventario della cart ografia pedologica esistente sul territorio nazionale (denominato “Moncapri” e costituito con i contributi del
Ministero, delle regioni e di studiosi diversi); v) ha realizzato con le regioni meridionali, anche tramite contributi comunitari, una cartografia pedologica al 50.000 e carte tematiche in particolari Unità territoriali, esprimendo anche importanti funzioni di training e rafforzamento delle conoscenze e capacità professionali dei pedologi di nuova formazione; vi) ha definito con le regioni l’assai complessa e articolata metodologia di redazione della Carta dei Suoli d’Italia, georeferenziata e standardizzata alla scala comunitaria del 250.000; vii) ha
attivato presso l’Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo di Firenze (nell’ambito delle attività del
progetto Carta dei Suoli d’Italia) un coordinamento tra Osservatorio nazionale pedologico, servizi pedologici
regionali e Centro nazionale per la cartografia pedologica, tale da costituire il nucleo di un Servizio Nazionale
Pedologico Distribuito; viii) ha curato, tramite l’Issds, la traduzione e armonizzazione agli ambienti italiani del
Manuale dell’European Soil Bureau per la costituzione di un database europeo dei suoli, nonché la traduzione
italiana del manuale di classificazione dei suoli World Reference Base for Soil Resources raccomandato
dall’Unione Internazionale delle Scienze del Suolo e scelto come riferimento europeo; ix) collabora con 1’Ocse
per la definizione di indicatori agroambientali relativi allo stato del suolo; x) una recente delibera del Cipe, infine, individua l’Osservatorio come organismo di raccolta dei dati sul suolo per contribuire al programma nazionale di lotta alla desertificazione.
3
Brenna S. e Rasio R., 1997, Contributi per la protezione del suolo: applicazioni al caso della Lombardia,
Quaderni di agrometeorologia e pedologia applicata, Ersal, Milano.
4
E concorrendo a raggiungere obiettivi sovraregionali e comunitari di “contenimento dell’inquinamento da ni2
8
Tre domande di fondo si pongono gli autori (“quali sono le funzioni del suolo nei nostri ecosistemi?
quali pericoli corrono tali funzioni se il suolo si degrada? quali sono i fattori che possono indurre
degradazione nel suolo?”), individuando nella gestione appropriata della risorsa suolo un momento
“fondamentale non solo per mantenere la produttività agricola, ma anche per la protezione delle risorse idriche e la valorizzazione degli ecosistemi naturali”.
Vengono dunque qui identificate le tre principali funzioni ecologiche dei suoli (produttiva 5 , protettiva6 e naturalistica7 ), in atto contemporaneamente e tali da doversi considerare nella loro multifunzionalità proprio per apprezzarne la particolare valenza complessa8 , al punto che nel 1992 il Consiglio
d’Europa raccomandava di proteggere la risorsa suolo a causa della sua facile danneggiabilità per
pratiche agronomiche inadeguate, erosione, inquinamento e degrado causato dagli insediamenti
umani, in grado di generare alterazioni irreversibili (o solo parzialmente reversibili) delle funzioni
della pedosfera.
2. Circa i suoli lombardi (alla sola ricognizione regionale si rivolge il lavoro di Brenna e Rasio, ma
vogliamo richiamarlo proprio per l’efficacia descrittiva dell’interezza dei fenomeni e, dunque, per la
sua estensibilità ad altri contesti consimili), s’intravvedono preoccupanti alterazioni chimiche per riduzione del tenore in sostanza organica degli orizzonti coltivati: “i sistemi agricoli intensivi caratterizzati da assenza di colture prative e da modeste restituzioni di residui colturali, l’eccessivo uso di
deiezioni animali a basso rapporto carbonio/azoto, le lavorazioni troppo profonde o troppo spinte,
l’alterazione della naturale stratificazione del suolo ” riducono la funzione depuratrice del suolo, ne
trati e pesticidi, valorizzazione dello spazio rurale, pianificazione di bacino, conferendo a quest’ultima
un’accezione più adeguata al concetto di difesa del suolo”.
5
Scrivono Brenna e Rasio: “il suolo è il serbatoio d’acqua e la riserva di elementi nutritivi per la crescita delle
piante. Il suolo assicura quindi il necessario per la produzione di alimenti, foraggio, fibre, biomassa ed energia rinnovabile. I suoli più fertili hanno, in generale, un’adeguata disponibilità in acqua, un accettabile livello
di acidità e alcalinità, una composizione granulometrica equilibrata, un buon contenuto in sostanza organica e
una sufficiente attività biologica, sono permeabili all’acqua e all’aria, poco erodibili e non saturati dall’acqua
per lunghi periodi di tempo. Altri suoli, peraltro, pur presentando una o più caratteristiche sfavorevoli, possono convenientemente ospitare specie vegetali che in condizioni estreme o sfavorevoli alla maggior parte delle
altre piante esprimono più compiutamente il loro potenziale produttivo o estrinsecano al meglio le loro qualità
organolettiche: è questo il caso, frequentemente, di colture di pregio quali vite e olivo”.
6
Ancora in Brenna e Rasio: “il suolo protegge dall’inquinamento l’ambiente, il sistema delle acque superficiali e profonde e le catene alimentari, agendo da filtro e da tampone e favorendo le trasformazioni biochimiche. La funzione protettiva dipende dalla capacità del suolo di controllare il trasporto dei soluti in profondità,
il movimento dell’acqua in superficie, l’adsorbimento dei composti chimici; in modo simile, la microflora e la
microfauna sono responsabili dell’inattivazione delle sostanze tossiche di origine organica. L’azione di filtrazione di liquidi e solidi è prevalentemente il risultato di proprietà fisiche e meccaniche dei suoli, l’effetto tampone si manifesta per adsorbimento e precipitazione fisico-chimica, mentre la biodegradazione e la decomposizione biochimica sono correlate all’attività biologica. Quando la capacità meccanica di filtrazione, fisicochimica di tamponamento e microbiologico/biochimica di trasformazione sono esaurite, gli inquinanti organici
e inorganici possono essere trasferiti e così contaminare corsi d’acqua, falde e catene alimentari attraverso la
loro assimilazione da parte delle piante e della microfauna. Meno conosciuta è la funzione di regolazione dei
flussi idrologici e di protezione dei substrati rocciosi: in assenza di questa funzione le acque raggiungono più
velocemente la rete drenante superficiale, aumentando l’erosione e i rischi di inondazione”.
7
“Attraverso il suolo avviene uno scambio continuo di materia ed energia. Il suolo regola questo scambio
controllandone i flussi, trattenendoli nel suo spessore o in superficie o riflettendoli, condiziona il bilancio
energetico a livello della superficie terrestre ed è così un importante modulatore del clima; il suolo è il luogo
ove si chiudono i cicli del carbonio, dell’acqua e degli altri elementi naturali, è anche un fondamentale protettore del nostro patrimonio biologico e una riserva genetica; costituisce l’habitat di molti organismi vegetali
e animali e, in connessione con le altre risorse naturali (acqua, aria, vegetazione, litosfera) concorre a formare e far vivere gli ecosistemi terrestri. Il suolo, infine, fa parte dell’eredità culturale dell’uomo; conserva tesori
paleogeografici, paleoclimatici, archeologici e paleontologici che sono testimonianze uniche della storia della
terra e dell’umanità”.
8
“Il suolo, infatti, è una risorsa ben difficilmente rinnovabile e costantemente messa in pericolo dalle attività
umane: struttura e composizione chimica vengono alterate con l’agricoltura; il suolo viene contaminato da rifiuti e inquinanti, rimosso e scavato per trarne materiali da costruzione (ghiaia, argilla, sabbia), minerali o
altro; il suolo viene irreversibilmente perduto quando serve da base e sostegno per le costruzioni, gli impianti
industriali, per i sistemi di trasporto e per tutte le altre attività antropiche, comprese quelle ricreative e sportive, spesso consumatrici di molto spazio”.
9
accrescono la compattazione ed erosione e incidono sulla sua attività biologica; in effetti, giacché i
suoli “ospitano numerosi organismi viventi, dai microrganismi batterici e fungini fino a insetti, artropodi e anellidi”, sono indubbi gli effetti tossici dei pesticidi agricoli sui processi metabolici degli
organismi cellulari, oltre agli apporti eccessivi di fertilizzanti azotati in forma ammoniacale (che
possono ridurre l’entità degli esseri terricoli, fra cui i lombrichi), e ancor più gravi sono le conseguenze ecotossicologiche della contaminazione dei suoli con sostanze e rifiuti d’origine industriale 9 .
Anche l’acidificazione 10 s’intravvede negli scenari lombardi, e (con poche eccezioni) tutti i processi
antropogenici e le attività umane tendono a incrementarla, sicché valori di pH inferiori a 5,5 sono
sfavorevoli alla generalità colturale e alla più parte delle specie prative: “quando il pH si abbassa
troppo diminuiscono i livelli di cationi scambiabili e l’attività microbiologica, mentre aumentano la
solubilità e la tossicità dell’alluminio e della maggior parte degli altri metalli pesanti, che così possono entrare nelle catene alimentari, assorbiti a esempio dalle radici delle piante ”; oltretutto “le acque di drenaggio di suoli molto acidi possono contenere alluminio o altri metalli in grado di nuocere alle popolazioni vegetali e animali, e in particolare ai pesci dei fiumi e laghi”; in più, “grande
attenzione dev’essere riservata alle deposizioni acide, che risultano da un complesso di composti
chimici organici e inorganici dominato dalla presenza di uno o più acidi forti”, sostanze che raggiungono il suolo con le piogge o sotto forma di particolati, potendo innestare o accelerare i processi
di acidificazione soprattutto nei suoli più a rischio.
Si pone poi, per i suoli lombardi, il rischio della loro contaminazione: “metalli, scorie, inerti, plastica, rifiuti solidi e liquidi, residui di lavorazioni industriali e agricole possono essere incorporati nel
suolo o esservi veicolati da acque irrigue e alluvionali; polveri e inquinanti possono depositarsi
sulla sua superficie trasportati dal vento e dalle piogge”, alterando la composizione fisica e chimica
del suolo e potendo rilasciare, nel loro degradarsi o decomporsi, altri contaminanti11 ; in effetti, la
concentrazione di metalli nel suolo “può essere innalzata da distribuzioni eccessive e ripetute di liquami ricchi di rame e zinco (utilizzati come integratori alimentari del bestiame allevato), da spandimenti incontrollati di fanghi di depurazione urbana, da stoccaggio o smaltimento di scorie e residui di lavorazioni industriali”12 ; peraltro, sono assai differenziati numero e natura dei composti organici contaminanti, talvolta per cause accidentali (perdite da oleodotti o incidenti industriali), so-
9
Chiariscono gli autori che “per una crescita soddisfacente, le piante necessitano di un bilanciato contenuto in
elementi nutritivi; in un sistema agricolo in equilibrio, gli elementi asportati dalla biomassa vegetale prodotta
vengono restituiti con la fertilizzazione, mentre i processi di azoto-fissazione, mineralizzazione della sostanza
organica e alterazione della componente minerale del suolo, deposizioni atmosferiche e irrigue concorrono a
pareggiare il bilancio tra flussi in entrata e uscita. Sono tuttavia difficilmente quantificabili, e spesso sottovalutati, i rischi di fitotossicità e degradazione chimica dei suoli dovuti per esempio ad accumulo di fosforo, rame e cadmio causati da eccessive e persistenti concimazioni fosfatiche e spandimenti di reflui zootecnici. In
altri casi si può invece assistere alla minaccia di degrado chimico per carenza: il fenomeno, osservato prevalentemente per microelementi quali boro e molibdeno, ma possibile anche per fosforo e potassio, è a sua volta
complesso e condizionato da pH, natura e attività delle argille, contenuto in sostanza organica ed eccesso in
elementi antagonisti”.
10
Ossia quel “processo naturale il cui risultato è la graduale perdita di basi scambiali (Na, K, Ca, Mg) e
l’accumulo di composti insolubili di Si, Al e Fe. Questa alterazione porta a un graduale spostamento
dell’equilibrio del sistema suolo verso condizioni acide e alla sostituzione sul complesso di scambio dei cationi
con Al e H”.
11
“E’ stato osservato che anche i materiali apparentemente più inerti, come il vetro, possono causare nel tempo rilasci del piombo utilizzato nella sua lavorazione; oppure ancora che l’uso protratto di fungicidi a base di
rame e carbammati in alcuni vigneti ha determinato tenori nel suolo in metalli pesanti più elevati che in terreni
analoghi diversamente coltivati. I contaminanti chimici possono essere suddivisi in due categorie: composti
inorganici, in particolare metalli pesanti, che tendono ad accumularsi in modo definitivo nei suoli, pur modificando il loro stato chimico-fisico; composti organici, costituiti generalmente da molecole di sintesi come pesticidi o solventi industriali, che vengono più o meno rapidamente attaccati e trasformati dai microrganismi del
suolo con sintesi, spesso, di nuove molecole diverse da quelle originarie ma in grado di essere a loro volta dei
contaminanti”.
12
“Oltre certe concentrazioni, i metalli pesanti hanno effetti fitotossici (nickel, rame, zinco, cadmio, arsenico)
e possono nuocere agli animali e all’uomo (mercurio, cadmio, cromo, selenio, molibdeno, rame, fluoro e
piombo). Spesso i metalli esercitano azioni antagoniste verso l’assimilazione radicale di altri elementi, causando fenomeni di carenza; alcuni, come cadmio e arsenico, interferiscono con l’attività microbiologica; per
altri, a esempio piombo e cadmio, è stata dimostrata la diretta responsabilità per danni alla salute umana”.
10
vente per applicazioni ripetute di scarichi urbani o pesticidi13 , o per ricaduta radioattiva 14 , o infine
per microrganismi patogeni, antibiotici e altre sostanze medicinali contenute in liquami o reflui di
varia origine 15 .
Forme di erosione severa non sono comuni in Lombardia, anche se possono comunque generarsi
moderati rischi erosivi in contemporanea presenza di più fattori predisponenti (“suoli sottili, evolutisi
su roccia dura poco o non alterata, suoli ricchi di limo o sabbia molto fine e con poca sostanza organica, substrati argillosi, copertura vegetale assente o insufficiente, pendenza elevata, morfologia
accidentata, piogge di forte intensità, elevati carichi di pascolamento, lavorazioni e sistemi colturali
che espongono i suoli all’azione degli agenti atmosferici”); l’erosione è causata dallo scorrimento
superficiale di acque (il cosiddetto run-off che trasporta particelle fini solide 16 ): ove vengano adattati
i metodi colturali e si limiti l’impermeabilizzazione e il degrado fisico dei suoli, è possibile controllare lo scorrimento superficiale e l’erosione, ma laddove ciò risulti insufficiente non resta che orie ntare la gestione territoriale verso la forestazione e la conservazione naturalistica17 .
Hanno poi luogo in Lombardia frequenti fenomeni di costipazione, intesa come quella
“compressione della massa del suolo in un volume minore” tale da generare “cambiamenti signific ativi nelle proprietà strutturali, nel comportamento, nella conduttività idraulica e termica,
nell’equilibrio e nei caratteri delle fasi liquide e gassose del suolo”, inducendo così “maggior resistenza meccanica alla crescita e all’approfondimento delle radici, e contrazione e alterazione della
porosità con conseguente induzione di condizioni di asfissia ”18 a causa dell’eccessiva pressione
esercitata sui suoli dalle macchine agricole le cui conseguenze, a parità di caratteri pedologici, sono
maggiori quando “vengono utilizzate attrezzature assai pesanti, molti cantieri di lavoro si susseguono in tempi ravvicinati sulla stessa superficie, la costipazione come nel caso delle risaie è addirittura ricercata, le lavorazioni vengono effettuate in condizioni di umidità non ottimali”; e dunque,
“conservare un buon livello di sostanza organica ed evitare lavorazioni intempestive rappresentano
le principali misure preventive; quando invece la costipazione si verifica a carico di orizzonti sotto13
“Le molecole organiche hanno una tossicità variabile per le piante e la microflora del terreno; in generale
esse sono destinate, seppur con velocità molto diverse, a essere degradate, inattivate o a volatilizzarsi, e tuttavia le sostanze più persistenti, o i loro metaboliti, possono accumularsi nel suolo, deprimendone la fertilità, o
essere traslocate per lisciviazione nelle acque profonde oppure trasportate per ruscellamento ed erosione nelle
acque di superficie, inquinandole”.
14
“Da quando, negli anni 50’, i test e gli incidenti nucleari sono cominciati, il livello di radionuclidi nei suoli è
in continuo aumento; accanto a isotopi di elementi naturalmente presenti nel suolo è stata infatti osservata la
crescente presenza di isotopi di origine esterna. Di questi, Cs-137 e Sr-90 sono i più significativi per il lungo
tempo di dimezzamento e la possibilità d’interferire nel sistema suolo-piante-animali”.
15
La contaminazione dei suoli rappresenta pertanto un rischio di degrado composito, e verosimilmente il più
gravoso; infatti, se già erosione, acidificazione, perdita di fertilità, inquinamento delle acque sono in sé preoccupanti, ove s’innestino su suoli contaminati la loro pericolosità aumenta enormemente; “non a caso nelle società industriali avanzate grandi attenzioni vengono riservate all’identificazione, messa in sicurezza, bonifica e
riutilizzo dei siti contaminati e alla gestione, agricola e non, del territorio che può generare forme di inquinamento diffuso delle risorse pedologiche”.
16
“In molti casi non si osservano in campagna evidenze particolari del fenomeno; dove il processo è più intenso o più prolungato o insiste su risorse pedologiche più fragili, è facile invece notare minori spessori delle coperture, la comparsa di solchi o rigagnoli, oppure l’affioramento in superficie del substrato”.
17
L’erosione consiste nel distacco e allontanamento di particelle solide dalla superficie del suolo, azione addebitabile al vento o all’acqua e per il cui effetto “diminuiscono negli orizzonti superficiali del suolo la sostanza
organica, l’argilla e le altre frazioni colloidali, si riducono lo spessore utile per le radici delle piante, la riserva di nutrienti e la capacità in acqua utile”. Tuttavia, se è vero che l’erosione è fenomeno naturale appart enente al ciclo di vita della terra, è anche vero che “il vero pericolo sta invece nell’erosione accelerata che, se
innescata, è più difficilmente contrastabile. L’accelerazione del processo può dipendere da fattori geofisici o
da fattori antropici e, il più delle volte, da una cattiva interazione tra di essi; non a caso la gravità dei fenomeni erosivi è in genere correlabile a un’eccessiva pressione antropica e alla gestione inadeguata rispetto alla
capacità di sopportazione del territorio e all’inerzia del sistema suolo-vegetazione-clima”.
18
“Ciò può deprimere lo sviluppo delle piante, con effetti negativi sulla produttività delle colture agricole, e
ridurre la infiltrazione dell’acqua nel suolo. Con un effetto a catena, ciò può a sua volta contrarre le attività
biologiche, prolungare le condizioni di anaerobiosi favorendo, ad esempio, la denitrificazione e la mobilizzazione dei metalli pesanti, accentuare la perdita di struttura del suolo, incrementare lo scorrimento superficiale
e quindi il convogliamento nelle acque superficiali di contaminanti, favorire i ristagni idrici superficiali e, anche, rendere più elevati i rischi di inondabilità e sommersione dei suoli”.
11
superficiali durante il ripristino dell’originaria stratificazione di un suolo, per esempio a seguito di
una bonifica agricola, allora i danni possono essere molto più gravi e difficili da correggere”19 .
Hanno inoltre luogo in Lombardia fenomeni di eutrofizzazione (quel fenomeno di “arricchimento
delle acque in azoto e fosforo, tale da provocare la proliferazione algale e di altre forme di vita vegetale e da causare disturbi negli equilibri degli ecosistemi acquatici e compromissione della qualità
delle risorse idriche”)20 , e i rischi di eutrofizzazione delle acque per erosione e ruscellamento verso
la rete idrica superficiale sono notevoli quando l’arricchimento in nutrienti dei suoli supera i fabbisogni delle piante; difatti, “per quanto l’eutrofizzazione delle acque sia in buona parte imputabile a
scarichi urbani e industriali, una quota di responsabilità e di rischio può derivare anche dall’attività
agricola giacché spandimenti ripetuti di reflui zootecnici su superfici limitate e l’uso squilibrato di
concimi minerali possono causare un arricchimento eccessivo in nitrati e fosfati, potenzialmente
soggetti a essere veicolati dallo strato superficiale del suolo nelle acque”.
Infine, sussistono processi di alterazione fisica associati alla più o meno spinta modifica antropica
dello spessore del suolo o della sua naturale stratificazione in orizzonti; infatti, nel corso della loro
storia evolutiva, “entro i suoli si differenziano strati con specifiche proprietà fisiche, chimiche,
idrologiche, pedotecniche, e le funzioni esercitate dai suoli nell’ecosistema terrestre dipendono in
gran parte dalle relazioni intercorrenti tra le qualità e i comportamenti degli orizzonti che li compongono”.
La forma estrema di degrado fisico del suolo consiste, infine, nel suo totale asporto per cava, copertura, impermeabilizzazione da processi urbanizzativi, traducendosi in una perdita netta, totale e irrecuperabile di risorse pedologiche; nell’economia di un territorio, le espansioni urbane debbono essere quindi contenute per la perdita di funzioni e di valore pedologico che inevitabilmente ingenerano,
oltre al maggiore impatto che altrettanto inevitabilmente si produce sui suoli circostanti; peraltro, anche in caso di copertura dei suoli con altro materiale terroso, o peggio, con detriti, il sotterramento
degli orizzonti superficiali induce in genere perdita di fertilità e alterazione del comportamento fisico
e idrologico, così come nel disturbo dei suoli per asportazione del cotico erboso, per livellamento o
abbassamento superficiale, per asporto di materiale sottosuperficiale, per rimescolamento degli strati,
producendo in tal modo la modifica del regime idrologico e l’incremento dei rischi di degrado strutturale.
Aggiungono Brenna e Rasio che “anche lavorazioni troppo profonde, tali da intaccare il substrato
pedologico o da distruggere orizzonti illuviali arricchiti in argilla e quindi in grado di fungere da
serbatoio per l’acqua e gli elementi nutritivi, possono favorire il rimescolamento degli strati con
danni gravi soprattutto nei suoli sottili e fragili; pietre, ciottoli, materiali inerti possono essere portati in superficie e ostacolare le operazioni colturali o l’emergenza delle colture; la fertilità del
suolo può diminuire; la permeabilità, la sensibilità all’erosione e i fabbisogni irrigui possono invece
aumentare anche in modo considerevole”.
E, dunque, “le proprietà del suolo, la sua sensibilità all’erosione e la capacità di attenuare i processi
percolanti per limitare il rilascio di nutrienti coincidono, in gran parte, coi fattori che ne determinano l’attitudine a controllare il trasporto di pesticidi e altri contaminanti nelle acque; nell’insieme,
tali proprietà, dipendenti prevalentemente da permeabilità e comportamento idrologico, densità apparente e ricchezza in sostanza organica, spessore e natura degli orizzonti e strati costitutivi, pro19
Tuttavia, “la costipazione non è un problema esclusivo dei suoli agricoli. Nelle aree urbane e periurbane
ampie superfici sono soggette a compressione continua e molto intensa senza, in genere, interventi mitigatori;
ciò si verifica soprattutto a causa del transito di autoveicoli e mezzi pesanti come in parcheggi, cantieri, aree
industriali ma anche in parchi, giardini e aree ricreative per effetto del calpestamento, con alterazioni della
struttura e del comportamento dei suoli che possono anche divenire irreversibili”.
20
Per Brenna e Rasio, “azoto e fosforo sono elementi della fertilità del suolo; tuttavia, quando sono presenti in
eccesso possono essere trasportati dalle acque di percolazione o per ruscellamento superficiale o sottosuperficiale (il ciclo dell’azoto è alquanto complesso ed è caratterizzato da numerosi processi dinamici; quando le
precipitazioni superano l’evapotraspirazione e si creano nel suolo condizioni favorevoli ai movimenti discendenti dell’acqua, l’azoto in forma di nitrato non assorbito dalle piante e non fissato dai microrganismi può essere trasportato lungo il profilo verso le falde idriche sottosuperficiali), mentre il fosforo, al contrario
dell’azoto nitrico, è invece poco mobile ed è soggetto ad adsorbimento oppure a una lenta fissazione o retrogradazione; il fosforo è dunque trattenuto fortemente nel suolo per la sua affinità in ambiente acido con gli ossidi di alluminio e di ferro e, in ambiente neutro e alcalino, con il calcio che tende a formare dei ‘ponti’ col
complesso argillo-humico; i rischi di lisciviazione sono quindi contenuti, a condizione peraltro che l’accumulo
di fosfati nella parte superficiale del suolo non conduca alla saturazione fosfatica del complesso di scambio”.
12
fondità della falda e pendenza, sintetizzano la funzione protettiva delle risorse pedologiche nei confronti del sistema delle acque”.
Emergono allora in Lombardia accentuati fabbisogni di adeguate misure protettive per i suoli più
fragili, valorizzando le loro attitudini e contenendo i rischi previsti o prevedibili (che Brenna e Rasio
nel loro saggio evidenziano in dettaglio); in particolare, è noto l’uso agricolo dei liquami zootecnici
per il loro contenuto in elementi nutritivi, pratica preferibile a quella della depurazione purché i liquami siano ben maturi e privi di sostanze inquinanti o nocive al consumo dei vegetali prodotti; tuttavia, affinché non si confonda tale pratica con lo “smaltimento”, i liquami dovrebbero essere inseriti
in un oculato ciclo produttivo e di gestione della fertilità del suolo, diventando complementari o sostitutivi della fertilizzazione minerale.
In questo caso, il rischio possibile per la qualità ambientale risiede “nel fatto che, una volta dimostrato che un allevatore dispone di una certa superficie per lo spandimento, vi sia in effetti poco interesse a valutare la sua attitudine agli utilizzi agronomici e agli effetti fertilizzanti del liquame prodotto ”, e proprio per questo le strutture di autorizzazione e controllo 21 devono valutare i requisiti dei
suoli proposti dall’allevatore come recettori di liquami zootecnici per integrare il proprio programma
di fertilizzazione, in maniera da evitare il peggioramento delle condizioni dei suoli (es. per accumulo
di rame) e delle acque superficiali (es. per inquinamento da fosforo) e profonde (es. per inquinamento da azoto).
Esplicite misure di controllo devono poi seguire alla valutazione preventiva, curando in particolare
che suoli e acque non vengano ulteriormente degradati da spandimenti effettuati in momenti inadatti,
che i nutrienti contenuti nel liquame entrino a far parte di un piano di fertilizzazione, supportando un
primo bilancio della fertilità, che le quantità di nutrienti siano correlate alle naturali limitazioni e
proprietà presentate dai diversi suoli e pedopaesaggi; mentre accurate strategie di protezione devono
condurre alla scala del sito all’accurata valutazione del piano di utilizzo agronomico dei liquami
zootecnici aziendali e, alla scala territoriale, alla formazione di un quadro di orientamento generale,
per valutare le eventuali incongruenze con gli spandimenti proposti e attivare azioni di prevenzione e
monitoraggio.
3. Per offrire al lettore un’esemplificazione esaustiva dell’utilizzo delle banche dati sul suolo, illustriamo ora un lavoro dell’Ersal22 riferito all’individuazione delle zone vulnerabili da nitrati provenienti da fonti agrozootecniche diffuse (in applicazione del D.Lgs. 152/1999 e s.m.i. 23 , che costituisce anche strumento ricettivo per l’Italia della cosiddetta “Direttiva nitrati” 676/91, il cui allegato
VII, parte AII, punto 2, individua i criteri metodologici affinché le Regioni individuino gli ambiti
vulnerabili).
Nel lavoro considerato vengono inizialmente richiamati gli elementi principali su cui si fondano i
termini correnti della metodologia proposta, per cui:
a) l’individuazione delle aree di vulnerabilità dev’essere effettuata considerando i carichi e fattori
ambientali concorrenti a determinare lo stato di contaminazione idrologica, dipendente dalla vulnerabilità intrinseca delle formazioni acquifere24 , dalla capacità di attenuazione del suolo, dalle condizioni climatiche e dal tipo di gestione agricola del territorio;
b) in prima approssimazione (la cosiddetta “indagine preliminare di riconoscimento”), la scala prescelta è al 1:250.000 e i fattori critici di considerazione prioritaria sono identificati nella presenza di
acquiferi liberi o parzialmente confinati, di litologie di superficie a permeabilità elevata, di suoli a
capacità di attenuazione tendenzialmente bassa, di situazioni accertate di compromissione qualitativa
delle acque sotterranee per fattori prevalentemente agricoli e zootecnici; sono infine previsti aggior21
Tale pratica è regolata in Lombardia dalla Lr. 37/1993 e dal conseguente Regolamento attuativo;
all’allevatore viene richiesto un piano di utilizzazione agronomica, più o meno semplificato, e specifiche strutture (Ussl, Spafa) sono responsabili del controllo, mentre il Sindaco è invece competente per l’autorizzazione.
22
L’attività è stata realizzata nel quadro della convenzione tra Regione Lombardia – Direzione generale Agricoltura ed Ente di sviluppo agricolo della Lombardia per la redazione della “Prima approssimazione della base
dati georeferenziata dei suoli d’Italia alla scala 1:250.000”.
23
Ci si riferisce al D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (“Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e
recepimento della direttiva 91/271/Cee concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva
91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento dei nitrati provenienti da fonti agricole”),
commentato nel precedente paragrafo 3.1.4..
24
Caratteri litostrutturali, idrogeologici e idrodinamici del sottosuolo.
13
namenti successivi, con indagini a scala di maggior dettaglio integrando le conoscenze sul sistema
ambientale complessivo (acquiferi, clima, suolo, colture)25 .
Il lavoro dell’Ersal ha incentrato l’interesse sulla capacità d’attenuazione del suolo alla luce di due
considerazioni preliminari: i) la consapevolezza dell’importanza assunta dalla vulnerabilità della risorsa suolo nell’analisi dei rischi di contaminazione delle acque da nitrati, e i) l’effettiva possibilità,
in Lombardia, di effettuare valutazioni del comportamento dei suoli approfondite, affidabili ed estese
a tutto il territorio regionale.
Nell’intento di procedere secondo gli stadi indicati dal D.Lgs. 152/1999, è stata effettuata l’indagine
preliminare di riconoscimento valutando la capacità di attenuazione − nei confronti dei nitrati di or igine agricola in pianura e prima collina lombarda − in base alla funzione protettiva dei suoli (che si
manifesta attraverso la loro capacità di regolare i flussi di materia ed energia e di agire da filtro e da
tampone nei confronti di potenziali inquinanti).
Sono qui coinvolti processi fisici, chimici e biochimici articolati, e nel caso dei composti azotati (e
dei nitrati in particolare) il quadro è complicato dal fatto che si tratta di sostanze connesse ai cicli
naturali degli elementi; d’altra parte, rientrando la fertilizzazione e lo spandimento dei reflui zootecnici tra le ordinarie pratiche di gestione dei suoli, consegue che la valutazione della loro capacità
d’impedire o limitare il rilascio nell’ambiente di composti azotati inquinanti è a maggior ragione
determinante per identificare sia gli effettivi rischi di impatto potenziale generati dall’agricoltura, sia
le più adatte misure di mitigazione da attivare.
Le proprietà pedologiche più direttamente correlabili con la capacità dei suoli di ostacolare il trasporto di nitrati (verso le falde con le acque di percolazione e, verso il reticolo idrografico superficiale, per ruscellamento) sono rappresentate dalla granulometria (tessitura, presenza di scheletro),
permeabilità, drenaggio e presenza di idromorfia nel suolo, reattività chimico-biologica, assetto morfologico (pendenza).
Per valutare la funzione protettiva dei suoli regionali sono stati utilizzati tre modelli interpretativi
delle informazioni pedologiche: i) la capacità protettiva nei confronti delle acque sotterranee,
espressiva della capacità “intrinseca” dei suoli di proteggere le falde − e le acque contenute nel suolo
e nel sottosuolo in genere − dalla contaminazione dovuta a inquinanti idroveicolati, fra i quali i nitrati26 ; ii) la capacità protettiva nei confronti delle acque superficiali, complementare alla precedente
ed espressiva della capacità dei suoli di evitare i movimenti laterali delle acque e il trasporto di potenziali inquinanti nella rete drenante superficiale 27; iii) l’attitudine allo spandimento agronomico dei
liquami, interpretazione nata a supporto della gestione dei reflui zootecnici e differente dalle precedenti per capacità di fornire indicazioni prevalentemente applicative e gestionali 28 .
I tre modelli interpretativi sono stati applicati al database georeferenziato dei suoli in scala 1:250.000
relativo all’intero spazio lombardo di pianura e prima collina (1.350.000 ha circa), dove l’agricoltura
è più intensiva e più elevata è la concentrazione zootecnica; si tratta di un inventario pedologico che
presenta i seguenti caratteri: x) è il risultato di un processo di contrazione delle informazioni pedologiche allestite per il medesimo territorio a scala più dettagliata (1:50.000 – Progetto Carta Pedologica), con le quali conserva coerenza e congruità informativa; y) si tratta di una copertura informatizzata unica e continua, perfettamente coerente con i limiti amministrativi regionali e quindi facilmente integrabile con altri strati informativi; z) formalizza una geografia dei suoli costituita da unità
cartografiche che identificano, ciascuna, caratteri e distribuzione della tipologia di suolo dominante
e, ove presenti, eventuali suoli subordinati.
25
In presenza di questo quadro di riferimento, L’Ersal richiama la necessità di considerare anche il fatto che,
per la definizione della vulnerabilità intrinseca delle formazioni acquifere, vengono indicati strumenti specifici
(es: metodo Cnr-Gndci) con cui sono già state allestite o sono in corso di redazione, nell’ambito di progetti
promossi dall’Autorità di Bacino del fiume Po, anche carte relative alla Lombardia.
26
Ciò corrisponde, pertanto, al concetto di “capacità di attenuazione dei suoli” fatto proprio dal D.Lgs.
152/1999, e prevede tre classi: capacità protettiva elevata, moderata e bassa.
27
Anche questa interpretazione prevede tre classi: capacità protettiva elevata, moderata e bassa.
28
In grado, quindi, di esplicare la propria utilità soprattutto nella definizione dei Programmi d’Azione, che lo
stesso D.Lgs. 152/1999 prevede siano adottati nelle zone vulnerabili. Infatti, tiene conto dell’impatto potenziale
sulle acque sotterranee e superficiali, partendo dal presupposto che dei reflui, e quindi dell’azoto e dei nitrati in
genere, sia fatto un uso agronomico nell’ordinarietà delle pratiche di fertilizzazione delle colture (es: interramento dei reflui, ecc.). Prevede quattro classi: suoli adatti, moderatamente adatti, poco adatti e non adatti.
14
Le nuove basi cartografiche prodotte 29 muovono a partire dalla Carta della capacità protettiva dei
suoli nei confronti delle acque sotterranee; in questo caso, suoli a bassa capacità protettiva si rinvengono prevalentemente nelle aree moreniche e in alta pianura (dove dominano sedimenti sabbiosoghiaiosi con permeabilità conseguentemente elevata), nella media pianura (soprattutto dove la presenza di idromorfia nei suoli accentua la vulnerabilità ambientale), nella bassa pianura occidentale
(Lomellina e parte del Pavese e del Lodigiano, i cui suoli sono sabbiosi e molto permeabili) e nelle
valli fluviali (in presenza di depositi grossolani e/o di falde superficiali).
Si nota, in particolare, che nella porzione centro-orientale dell’alta pianura la presenza nei suoli di
orizzonti sottosuperficiali a tessitura media (argillici) li rende relativamente più protettivi rispetto a
quanto avviene più a occidente, dove gli orizzonti argillici si rinvengono meno frequentemente e la
tessitura è comunque in genere più grossolana; la funzione protettiva delle acque profonde è invece
espressa al meglio soprattutto nella bassa pianura centro-orientale e nella piana alluvionale del Po
(Oltrepo Mantovano e Pavese), dove i suoli hanno granulometria equilibrata o fine e non sono interessati dalla presenza di falda.
La Carta della capacità protettiva dei suoli nei confronti delle acque superficiali assume un aspetto
sostanzialmente complementare alla precedente, il valore protettivo è generalmente minore nella
porzione centro-orientale della Regione e, invece, più elevato dove la permeabilità dei suoli e la conseguente tendenza delle acque meteoriche a infiltrarsi sono più alte.
Circa la Carta dell’attitudine dei suoli allo spandimento agronomico dei liquami, occorre consapevolezza del fatto che la lisciviazione dei nitrati è processo naturale non impedibile del tutto; deve
preoccupare quindi l’entità del fenomeno che, a parità di altre condizioni, dipende inevitabilmente
dalla quantità di nitrati immessi in suolo e dalla velocità di percolazione idrologica verso il sottosuolo; di conseguenza, e nell’ipotesi che i reflui zootecnici (e, in genere, i fertilizzanti azotati) rivestano utilizzo esclusivamente agronomico, possono essere considerati inadatti allo spandimento solo
i suoli a elevata fragilità ambientale (permeabilità molto elevata, pendenza eccessiva, falda molto
superficiale) che tra l’altro caratterizzano, in genere, aree naturali o semi-naturali dove le attività
agricole non sono (o non dovrebbero essere) intensive: aree umide, golene, cordoni morenici.
Grandi attenzioni gestionali (riduzione e frazionamento delle dosi di reflui apportati, massima cura e
tempestività nelle pratiche colturali, ecc.) sono richieste dai suoli classificati “poco adatti” che, per
lo più, connotano aree agricole con limitate capacità di contrasto della lisciviazione di elementi
molto mobili come i nitrati, o a pendenze eccessive con trasporto dei nitrati tramite le acque di scorrimento superficiale; i suoli “poco adatti allo spandimento dei liquami” caratterizzano le aree moreniche, quelle più pietrose e grossolane e gli spazi a intensa idromorfia di pianura e delle valli fluviali.
I suoli “adatti” sono invece prevalentemente distribuiti nella bassa pianura centro-orientale, sui depositi alluvionali del Po e sulle superfici terrazzate antiche a nord di Milano: i loro caratteri (tessitura, drenaggio, pendenza) possono essere ritenuti tali da non determinare, nella ordinaria e “buona”
pratica agricola, un’accentuazione dei rischi di rilascio di nitrati nell’ambiente.
I suoli classificati “moderatamente adatti” (che occupano tra l’altro la maggior superficie) esprimono, infine, caratteri intermedi e richiedono, per poter generare efficacemente le funzioni di protezione ambientale, l’adozione di alcuni accorgimenti gestionali specifici, dipendenti dalle proprietà e
dalla morfologia dei suoli stessi (lavorazioni poco profonde, introduzione o conservazione di colture
prative su suoli ghiaiosi e sottili, ecc.).
Gli apparati cartografici descritti forniscono un quadro d’insieme sufficientemente dettagliato dei caratteri e del comportamento funzionale dei suoli lombardi; tuttavia, per agevolarne l’integrazione con
altri strati informativi (es.: mappe della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi, carichi zootecnici per
comune, ecc.) permettendo l’ulteriore delimitazione di zone vulnerabili a maggior dettaglio, l’Ersal
ha ritenuto opportuno proporre in parallelo aggregazioni informative sulla funzione protettiva dei
suoli per ambiti spaziali più ampi, continui e omogenei; sono state così assunte a riferimento porzioni territoriali caratterizzate da specifiche relazioni tra paesaggi e suoli (definite “sottoambiti di pedopaesaggio ”); successivamente, la classificazione del comportamento funzionale dei suoli (capacità
protettiva e attitudine allo spandimento dei liquami) è stata rielaborata rispetto alla superficie relativa
29
Le carte sono state consegnate, in formato numerico e, per le più significative, anche in formato cartaceo,
alla Direzione Generale Agricoltura della Regione Lombardia il 3 aprile 2000; in totale sono state elaborate 38
carte, nel quadro della redazione della “Prima approssimazione della base dati georeferenziata dei suoli d’Italia
alla scala 1:250.000” (Programmi Agricoltura e Qualità).
15
occupata da tutti i suoli (dominanti e subordinati) identificati nell’inventario pedologico a scala
1:250.000; sono stati quindi allestiti, per tutte e tre le interpretazioni pedologiche, alcuni scenari tali
da descrivere e classificare i sottoambiti: i) evidenziando le situazioni in cui le classi di capacità
protettiva (o attitudine allo spandimento dei liquami) bassa o, viceversa, elevata fossero significativamente dominanti (più di 2/3 o della metà della superficie occupata); ii) attribuendo un peso a ciascuna classe di capacità protettiva (o attitudine allo spandimento dei liquami), in modo da ottenere
una valutazione ponderata del comportamento dei suoli di ciascun sottoambito.
Dall’esame comparato delle carte è possibile trarre le seguenti considerazioni sintetiche:
a) l’alta pianura costituisce lo spazio di ricarica delle falde, ed è per lo più considerata altamente
vulnerabile sotto il profilo idrogeologico; i suoli di quest’area manifestano una dominante bassa
capacità di protezione, soprattutto nella parte più occidentale, mentre in quella centro-orientale
hanno una più diffusa e discreta capacità di filtro e tampone verso potenziali inquinanti (capacità
protettiva moderata dominante), e tuttavia attente pratiche conservative di tale funzionalità devono essere considerate necessarie: infatti, la sua alterazione o eccessive pressioni possono rendere il sistema ambientale assai fragile, per via dell’elevata permeabilità dei materiali litologici
superficiali;
b) negli anfiteatri morenici la capacità protettiva dei suoli è simile a quella osservata nell’alta pianura; nei terreni pendenti possono poi sussistere rischi d’impatto sulle acque superficiali;
c) tutta la media pianura e la parte occidentale della bassa (a ovest dell’Adda) evidenziano, sotto il
profilo pedologico, una certa vulnerabilità, più accentuata in Lomellina (per la granulometria
grossolana dei suoli) e nella fascia delle risorgive tra la pianura bergamasca e cremasca;
d) il sistema delle grandi valli fluviali che incidono la pianura è, anch’esso, caratterizzato da suoli a
limitata funzione protettiva nei confronti delle acque; in tal senso, le condizioni di maggior fragilità si riscontrano nelle valli del Ticino e del Mincio e, in parte, dell’Adda, ma si tratta in tutti i
casi di ambienti in cui le relazioni tra suoli e acque sono inevitabilmente intense e ravvicinate;
e) anche se caratterizzati da una storia evolutiva del tutto differente, i suoli delle superfici terrazzate antiche al margine alpino, della bassa pianura centro-orientale e della piana alluvionale del
Po pavese e cremonese-mantovano presentano, con poche eccezioni (per esempio nelle aree golenali) un’elevata capacità di attenuazione nei confronti degli inquinanti; data la natura fisica dei
suoli, in queste aree attenzioni prevalenti vanno riservate ai possibili impatti negativi sulle acque
superficiali.
L’interpretazione e valutazione del comportamento delle risorse pedologiche regionali, avendo definito il quadro conoscitivo completo della capacità d’attenuazione dei suoli rispetto ai nitrati di orig ine agricola, consente – in linea col D.Lgs. 152/1999 – di completare l’indagine preliminare di ric onoscimento delle zone vulnerabili e, a tal fine, si potranno confrontare e integrare i risultati di questo
lavoro dell’Ersal con le informazioni sugli altri fattori critici da considerare nell’individuazione delle
zone vulnerabili30 .
Ma introduciamo ora le valutazioni d’esperto, riguardanti lo stato della risorsa suolo e i principali rischi del suo degrado negli spazi regionali italiani.
4. La Valle d’Aosta 31 (estesa su 3.260 kmq) è com’è noto collocata all’estremità nord-occidentale del
paese, e i principali gruppi montuosi che la interessano fanno parte delle Alpi Pennine e Graie con
altitudine media intorno ai 2100 m s.l.m. – maggiore che in qualsiasi altra regione italiana – e con
intervalli altimetrici estremi dai 310 m nella vallata principale della Dora Baltea, a valle di Pont St.
30
Ex D.Lgs. 152/1999, Allegato VII – parte AII, punto 2. Peraltro, le informazioni allestite appaiono effettivamente in grado di assolvere con efficacia agli scopi propri delle valutazioni preliminari, del tipo di quelle prev iste dal D.Lgs. 152/1999, per quanto rappresentino un primo stadio nello sviluppo delle conoscenze sulla vulnerabilità dei suoli e sulle complesse interazioni esistenti tra suolo, clima, colture e destino dei composti azotati
utilizzati nei sistemi agricoli e zootecnici. In prospettiva, invece, in particolare per allestire un sistema di conoscenze idoneo a supportare approfondimenti e aggiornamenti delle misure attivate in materia, si ritengono prioritarie le seguenti azioni: i) l’attivazione di una rete di monitoraggio per il suolo; ii) l’analisi della vulnerabilità
specifica dei suoli, attraverso l’uso di modelli deterministici di simulazione del comportamento delle combin azioni suolo-clima-colture rappresentative.
31
Report a cura di Ermanno Zanini (Dipartimento di valorizzazione e protezione delle risorse agroforestali,
Università degli Studi di Torino) e Rita Bonfanti (Assessorato all’agricoltura, Regione autonoma Valle
d’Aosta).
16
Martin, fino ai 4.810 del Monte Bianco.
Tutta la Valle è di natura glaciale (i ghiacciai attuali sono assai estesi – nonostante la regressione degli ultimi anni per le scarse precipitazioni nevose – occupando ancora circa 1/20 della superficie regionale) e presenta un profilo trasversale asimmetrico, col versante idrografico sinistro della Dora
meno inclinato del destro e assai più ampio; i versanti si presentano piuttosto scoscesi, con scarsità
di zone pianeggianti o a lieve pendenza, il che limita l’attività agricola.
L’intera valle può essere divisa in due tronchi legati a un brusco cambiamento di regime del ghia cciaio balteo nel suo moto di regresso: il tronco a monte di Verrès presenta abbondanti depositi glaciali su entrambi i versanti della valle principale (anche se in sinistra idrografica della Dora Baltea
sono molto più sviluppati che in destra), mentre del tutto subordinati risultano gli arrotondamenti e le
striature delle rocce cristalline; per contro, a valle di Verrès gli arrotondamenti, le montonature, le
levigature e le striature sono assai più sviluppate, ma mancano grossi corpi di deposito glaciale.
Nel corso dei secoli, ovviando alle situazioni più avverse dal punto di vista morfologico, gli abitanti hanno realizzato imponenti trasformazioni terrazzate per aumentare la superficie coltivabile, e un elemento morfologico caratteristico – di notevole rilevanza per gli usi agricoli – è rappresentato dalla presenza di conoidi di deiezione allo
sbocco dei torrenti nella valle principale: per quanto riguarda i suoli corrispondenti, si tratta delle forme più fertili per granulometria e gradazione del sedimento e, fin dall’antichità, essi hanno rappresentato meta ambita di
insediamenti umani; inoltre:
a) circa i fattori climatici, le precipitazioni che raggiungono il territorio regionale vengono direttamente influenzate dalla particolare situazione geografica della valle, dove le imponenti catene
montuose sbarrano la più parte delle perturbazioni atlantiche che, quindi, si scaricano di preferenza in prossimità delle cime più elevate e sul versante opposto; nel fondovalle aumentano le
condizioni di aridità e di scarsa piovosità: il settore centrale della valle, tra Aymavilles e Châtillon, presenta una media annua di precipitazioni inferiore ai 600 mm, condizione di siccità che
determina un massiccio ricorso all’irrigazione artificiale delle colture, consentita dalle acque di
fusione dei ghiacciai; le precipitazioni che si verificano sopra la quota dei 2000 m sono per lo più
a carattere nevoso, e costituiscono le riserve strategiche d’acqua per il sistema acquifero superficiale e profondo;
b) circa i fattori pedologici, il glacialismo coi suoi fenomeni di rimodellamento e deposizione
esprime il principale condizionamento della pedogenesi; il corrispondente materiale di deposito e
l’affioramento del cristallino sono presenti sui versanti di tutto l’asse vallivo e nel piano di fondovalle, con litotipi misti da carbonatici ad acidi su cui opera un clima semi-continentale di
montagna di tipo temperato-freddo, con precipitazioni scarse soprattutto nevose e con notevole
grado di aridità; il regime termico dei suoli varia da mesico a cryico e il regime idrico da xerico a
udico; in linea del tutto generale i suoli si distinguono in: i) suoli vulnerabili all’erosione e potenzialmente soggetti a desaturazione, poco profondi, scheletrici e instabili (soprattutto Entisols
secondo l’Usda, ovvero Cryosols, Leptosols e Regosols secondo il Wrbsr) o stabilizzati di prateria d’alta quota (per lo più Inceptisols, ma talora Mollisols o Umbrisols e Phaeozems/Kastanozems) o sotto copertura forestale di conifera (con presenza anche di caratteri spodici criptopodzolici); ii) suoli colluvio-alluviali più profondi, meno scheletrici e più stabili (soprattutto Inceptisols-Cambisols sui conoidi ed Entisols-Leptosols/Fluvisols sulle falde di detrito e
sulle alluvioni recenti); iii) rare condizioni di idromorfia periglaciale a quote medio-alte, così
come ristagni in aree umide di fondovalle anche di origine antropica, determinano la presenza di
Histosols;
c) circa i rischi pedo-ambientali presenti e diffusi, benché molto influenzati dalla copertura vegetale
i fattori di vulnerabilità della copertura pedologica sono rappresentati dalla modesta profondità,
dalla debole struttura in ambiente crionivale, dal tenore in scheletro, dal grado di carbonatazione,
dall’evoluzione della sostanza organica e dell’acidificazione del profilo; in particolare:
d) riguardo alla crioturbazione, destrutturazione e/o compattazione crio-nivale, destano qualche
preoccupazione le vaste superfici prative innevate, anche artificialmente, su cui incide crioturbazione con effetti diretti sulla pedogenesi; sempre più spesso il peso delle pratiche di gestione
ricreativa e sportiva dei suoli (per l’esercizio dello sci) porta al progressivo degrado dei caratteri
soprattutto fisici, chimici e biologici degli orizzonti superficiali; la porosità utile risulta drammaticamente compromessa con innesco di processi degradativi dei cotici erbosi, di dilavamento e
desaturazione del profilo e di erosione; la biodiversità microbica risulta alterata e le popolazioni
corrispondenti denunciano una tendenza alla mineralizzazione più che all’umificazione della
materia organica, con possibile compromissione degli edifici strutturali; le perdite di suolo e di
fertilità, nonché i rischi legati a questo problema sono ancora scarsamente indagati e solo da po-
17
co tempo, ma risultano dalle prime risultanze potenzialmente rilevanti;riguardo alle perdite di
suolo per erosione, i danni ambientali attualmente più evidenti concernono la perdita di suolo per
erosione lungo i versanti, i soliflussi crio-nivali, i movimenti in massa valanghivi di suolo e/o
neve, gli scoticamenti, l’accumulo colluviale compatto di materiali fini siltoso-argillosi, la selezione delle specie del manto erboso e la variazione della bio-diversità microbica; l’impatto avviene alla interfaccia suolo-neve durante il periodo invernale, ma prosegue con dinamiche diverse in quello estivo interessando le superfici alterate o denudate;
f) circa i rischi pedo-ambientali potenziali, si presentano accentuati processi di consumo/spreco di
suolo agricolo ; la popolazione attualmente residente in Valle d’Aosta raggiunge circa 115.000
abitanti, con una densità di circa 35 persone per kmq, e la più parte dei residenti vive concentrata
nel fondo della valle principale, dove le condizioni morfologiche e climatiche risultano meno avverse per le pratiche agricole, mentre i vecchi villaggi di montagna vengono progressivamente
abbandonati o sostituiti da centri turistico-residenziali il cui impatto ambientale è scarsamente
valutato; benché rappresentata in importanti settori agro-industriali, l’agricoltura oggi esprime
importanza secondaria rispetto alle attività commerciali, industriali e soprattutto turistiche invernali; fenomeni climatici particolari – quali l’accentuata ventosità (Phon) e le inversioni termiche
estive – determinano l’acuirsi delle condizioni di aridità, accentuando così la caratteristica xericità del clima valdostano; la varietà colturale agraria risulta ridotta e spesso possibile solo grazie
alla fitta rete irrigua (aspersione a pioggia), che aumenta la lisciviazione dei suoli con possibili
perdite di fertilità chimica e/o necessità d’integrazioni minerali onerose (rischio non ancora sufficientemente indagato); l’elevato numero di aziende zootecniche con eccessiva concentrazione di
animali su piccole superfici (15 Uba/ha) sostiene il mercato dei prodotti tipici, ma comporta un
elevato impatto della notevole massa di liquami smaltiti direttamente sul suolo o, d’inverno, sulle
superfici innevate alle quote medio-basse (< 1800 m s.l.m.), e troppo modesto o impossibile è lo
smaltimento sotto forma di letami; analogo rischio si ha per le praterie pascolate d’estate in alta
quota, specie intorno alle aree di concentrazione del bestiame e ai centri produttivi caseari temporanei; soprattutto dove il suolo è poco tamponante, più drenante e meno ricco di biomassa microbica, appare assai elevato per i corpi idrici sub-superficiali il rischio di contaminazione legato
alla forte presenza di patogeni, ma anche il ciclo dell’azoto risulta alterato con un condizionamento della normale attività microbica, più marcata nelle praterie di alta quota e all’interfaccia
suolo-neve; il rischio è attualmente indagato col sostegno regionale, e metodi di prevenzione sono in avanzata fase di studio e a livello di pre-fattibilità;
g) si presentano anche contaminazioni dei corpi idrici; i numerosi impianti caseari di varia dimensione per la produzione di formaggio tipico, soprattutto fontina, e l’attività enologica di qualità
fortemente incentivata producono abbondanti reflui inquinanti con grave rischio ambientale; i reflui hanno in genere un elevato BOD5, ed elemento di preoccupazione è rappresentato dai nitrati
e dal fosforo; la depurazione è assai onerosa, ed esiste il rischio di immissione abusiva nei corpi
idrici e/o sui suoli (rischio non ancora indagato a sufficienza);
g) circa lo stato delle conoscenze e gli studi esistenti, la cartografia è carente: è in completamento la
Carta dei suoli 1:50.000 dell’area di fondovalle più interessata dall’agricoltura (Progetto Interreg
II Italia/Francia n. 213) e i suoli caposaldo delle varie associazioni sono descritti secondo l’UsdaSoil Taxonomy e il Wrbsr (Fao-Isric-Isss, 1998); accompagnano lo strumento di base le carte derivate dell’attitudine alla coltura del melo (con elementi di dettaglio per le aree già coinvolte) e
allo smaltimento dei reflui zootecnici; si stanno poi mettendo a punto nuovi sistemi bio-pedotecnologici sostenibili di abbattimento della contaminazione da reflui zootecnici e caseari (Interreg II Italia/Francia n. 106), e vari impianti-pilota sperimentali hanno confermato la possibilità di
abbattere sensibilmente e in termini eco-compatibili la contaminazione azotata, fosfatica e microbica; un impianto in scala aziendale è già in funzione da 30 mesi, e di recente è stata coinvolta
nella valutazione della sua efficacia anche l’Amministrazione sanitaria; per la miglior definizione
del rischio derivante dalla gestione delle piste da sci sono in via di approntamento dei modelli
quantitativi di valutazione della vulnerabilità e delle ipotesi di intervento nell’area-pilota Monterosaski (Valle del Lys).
Riferimenti bibliografici del paragrafo 4
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18
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Zanini, E., Bonifacio, E., Albertson, J.S. and Nielsen, D.R. (1998), “Topsoil aggregate breakdown under watersaturated conditions”, Soil Sci, 163, 4, 288-298.
5. Il territorio del Piemonte32 (esteso su 2.539.923 ettari) può essere suddiviso in sei principali ambienti: le zone alpina, prealpina e appenninica, i terrazzi antichi, la collina e la pianura, in cui si sono sviluppati suoli di tipologie estremamente varie in relazione alla notevole variabilità dei fattori
pedogenetici (in particolare litologia, morfologia, clima, uso delle terre); un esempio di variabilità –
inerente al clima – può essere dato dalle precipitazioni: in Piemonte sono presenti aree a forte piovosità (nella zona insubrica le precipitazioni medie annue sono di oltre 2.000 mm) e assai più aride
(nell’alessandrino si registrano precipitazioni annue inferiori ai 600 mm).
Nelle zone alpina, subalpina e montana i suoli presentano, nel loro insieme, condizioni soddisfacenti
di sostenibilità delle risorse naturali; i dissesti – conseguenti all’esodo delle popolazioni montane (in
particolare negli anni 1960-70) – si sono per lo più fermati e, in molti casi, la foresta si è riappropriata dei suoli giovani e poco evoluti un tempo accolturati: la forte acclività determina infatti nel
tempo una lenta ma continua traslocazione di materiale mentre il clima tendenzialmente freddo rallenta i processi della pedogenesi; i suoli sono quindi per lo più dei Cryortents nella fascia alpina e
subalpina, mentre in quella montana prevalgono i Dystrudepts ed Eutrudepts, a seconda dei materiale
parentale di riferimento; in quest’ultima fascia, sui calcari compatti appaiono dei suoli ricchi di sostanza organica a diretto contatto con la roccia (Rendolls); non sempre, tuttavia, il quadro è rassic urante; per esempio, assumendo come caso di studio la valle di Susa si possono evidenziare i seguenti
aspetti di degradazione della risorsa suolo:
a) una sottrazione di suolo alla sua normale funzione produttiva di risorsa primaria; è il caso delle
numerose piste da sci (e connesse infrastrutture) che interessano – nei 42.574 ettari corrispondenti alla superficie dei sette comuni dell’alta valle interessati da impianti sciistici – ben 2.500
ettari circa occupati da piste (per il 5,9% della superficie);
b) un aumento delle superfici urbanizzate od occupate da infrastrutture viarie in misura tale da ripercuotere sull’ambiente – oltre al consumo di risorsa – anche la nota accentuazione del rischio
di erosione del suolo nelle aree contigue dovuto all’impermeabilizzazione delle superfici, con
conseguente aumento del potenziale erosivo delle acque di scorrimento superficiale;
c) lo scavo di materiali litoidi in alveo che, modificando il livello di base, determina un aumento
dell’erosione a monte;
d) la perdita di terreno dovuto alla realizzazione di alcune importanti infrastrutture (come la diga in
Val Clarea che, oltre all’occupazione del fondovalle da parte dell’invaso, ha reso necessario il
taglio e lo scotico totale di una parte del bosco ceduo ubicato sul ripido versante che sovrasta
l’invaso);
e) il notevole aumento del traffico veicolare, i cui rischi (connessi al maggior inquinamento atmosferico da idrocarburi) devono ancora essere valutati appieno, anche in relazione ai cambiamenti
nei carburanti di nuova produzione e nei loro prodotti di combustione.
Nella fascia prealpina sono presenti in gran parte Inceptisuoli (Dystrudepts ed Eutrudepts), anche se
aumenta rispetto ai bacini alpini la presenza di suoli più evoluti (Udalfs); è qui accentuata la tendenza
all’urbanizzazione – incoraggiata dalle migliori condizioni climatiche rispetto alla pianura – e, inoltre, è particolarmente alta la frequenza degli incendi a fine inverno: ne consegue la degradazione
biologica e l’erosione dei suoli, a motivo della combustione della sostanza e del peggioramento della
copertura vegetale e della struttura del suolo.
32
Report a cura di Fabrizio Cassi (Timesis S.r.l., Torino) e Andrea Giordano (Dipartimento di Economia, ingegneria, idraulica, agraria, forestale e ambientale dell’Università degli Studi di Torino).
19
Nel bacino appenninico (l’area sud-orientale della regione, caratterizzata da suoli poco o moderatamente evoluti: Eutrudepts e Dystrudepts, talora Ruptic-alfic) l’abbandono delle attività agricole è risultato molto intenso e, come del resto è accaduto in tutta la montagna piemontese, la perdita
dell’equilibrio ambientale a marcata impronta antropica ha generato due effetti contrastanti: i) la crescita dei dissesti, dovuta all’abbandono dell’attività antropica (e in particolar modo del sistema di regimazione delle acque); i) il recupero della vegetazione forestale, aspetti che possono coesistere oppure che, più frequentemente, appaiono in successone diacronica con la vegetazione che si sviluppa
dopo il dissesto.
La parte collinare (le note aree delle Langhe, del Monferrato e del Tortonese) presenta una serie di
rilievi dalla tipica configurazione “franapoggio-reggipoggio”; sulla prima si determinano frane di
scivolamento e colate di fango facilitate dall’alternanza di strati marnosi e arenacei a diversa permeabilità, mentre sulla seconda si hanno – con minor frequenza – frane di crollo; tale delicato equilibrio, risultato di movimenti tettonici in tempi relativamente recenti, può essere reso più precario da
una gestione disattenta ai problemi della stabilità dei versanti: dove gli strati sedimentari sono tendenzialmente argillosi prevalgono i movimenti di massa, mentre dove sono sabbiosi, franchi o limosi
è molto diffusa l’erosione del suolo che di solito – va osservato – accompagna anche i movimenti di
massa; i suoli sviluppati in questi ambienti sono prevalentemente poco evoluti (Ustepts e Xerepts,
frequentemente Entisuoli) e, a differenza dei rilievi alpini, nella collina piemontese la situazione della
risorsa suolo è peggiorata a motivo: i) del livellamento iniziale delle superfici su versante; ii) del diffuso impiego di meccanizzazione pesante; iii) della necessità di arare a rittochino quando si vuole
superare una certa pendenza (30%); iv) della non proporzionata rete drenante sui campi e della sua
inadeguata manutenzione; v) dell’insufficiente apporto di sostanza organica a contrasto della sua cronica diminuzione nei suoli; vi) dell’uso (anche se appare in diminuzione) della fresatura per favorire
la conservazione dell’acqua nel suolo.
L’erosione costituisce quindi ancora la principale forma di degrado del suolo in questa parte della regione; nel caso delle colture arboree (tra cui i famosi vigneti oppure i corileti), l’erosione superficiale
è favorita dalle lavorazioni del terreno (arature e fresature), ancora largamente diffuse; recenti indagini hanno permesso di registrare una seppur limitata inversione di tendenza e si stanno diffondendo,
seppur molto lentamente, alcune tecniche quali il mantenimento di una copertura erbacea a strisce,
talora totale, che risulta assai efficace nella protezione del suolo dall’erosione; infine, una nota positiva è data dalla recente tendenza alla tutela delle aree interessate dalla tartuficoltura, che si sviluppa
sui suoli poco evoluti e calcarei (Udorthents e Udepts) delle stazioni fresche sotto copertura di querce, pioppi, tigli, noccioli.
I terrazzi antichi, alluvionali e fluvio-glaciali – tra cui devono essere citate le “vaude”, le “baraggie”
e i terrazzi di Bricherasio e Fossano – a motivo dei loro suoli molto evoluti e argillificati (Typic e
Aquic Fragiudalfs) presentano condizioni ottimali per la collocazione di discariche controllate, con
l’inevitabile consumo di risorsa suolo; in alcuni casi esiste un regime di protezione ambientale che
vincola l’ambiente per usi naturalistici e agricoltura sostenibile (va citato al proposito, tra le numerose aree protette create dall’Amministrazione regionale, il Parco regionale delle Vaude che si aggiunge
al più vecchio e noto Parco della Mandria).
Anche nella pianura piemontese la diminuzione di materia organica nei suoli agricoli non ha ancora
conosciuto una significativa inversione di tendenza; il recepimento e l’applicazione di alcuni regolamenti comunitari ha favorito – anche se in misura molto limitata – l’espansione dell’arboricoltura, in
seguito alla quale è probabile che il suolo possa avvantaggiarsi della nuova situazione.
La coltura del riso coinvolge superfici molto ampie nelle province di Vercelli, Novara e Alessandria;
la distribuzione della coltura è determinata essenzialmente dalla disponibilità di acqua (e non tanto
dai caratteri dei suoli interessati, di tipo Udifluvents, Udorthents, Eutrudepts e Dystrudepts, ma anche
Udalfs e Fragiudalfs per le aree a risaia ubicate sui terrazzi antichi); tali suoli, generalmente, sono di
natura molto diversa (per quanto riguarda la tessitura, per esempio, i suoli di risaia possono variare
da sabbiosi a franchi, a limoso-argillosi); la coltura per sommersione è di gran lunga la più diffusa e
ciò comporta, in particolar modo nei suoli a tessitura più grossolana, oltre all’alterazione degli orizzonti superficiali (acidificazione e perdita di fertilità) anche rischi di inquinamento delle falde acquifere da fertilizzanti e fitofarmaci.
A questa ripartizione di tipo geografico occorre inoltre sovrapporre i bacini industriali a rischio di inquinamento e contaminazione del suolo; manca al momento un quadro conoscitivo completo anche
se gli spazi di rischio non sono pochi, soprattutto in corrispondenza delle maggiori aree metropolita-
20
ne (si ricordi come esempio l’episodio di inquinamento da oli minerali di Trecate, presso Novara, avvenuto nel 1993).
Anche in pianura, il consumo di risorsa suolo da parte dei processi urbanizzativi non ha ancora subìto
una significativa inversione di tendenza, e da questo punto di vista il Piemonte non si discosta dalla
tendenza nazionale; al fenomeno hanno contribuito sia le nuove urbanizzazioni e il sotto-utilizzo dei
centri storici, sia l’aumento delle seconde case e delle aree industriali.
Per quanto riguarda il quadro conoscitivo della risorsa suolo in Piemonte esiste, estesa a tutto il territorio regionale, la Carta della capacità d’uso dei suoli e delle loro limitazioni in scala 1:250.000, redatta dall’Ipla e pubblicata dall’Amministrazione regionale nel 1982; sempre l’Ipla ha realizzato, nel
corso degli anni, dei rilevamenti a scala maggiore (comprensorio torinese-canavese al 100.000) e,
inoltre, sono in corso di pubblicazione i risultati di un progetto di zonazione vitivinicola riferita ai vigneti del Barolo e del Barbera d’Asti (nella fattispecie lo studio ha riguardato circa 200.000 ha di territorio piemontese, indagato alla scala di semidettaglio 1:50.000, e cinque zone di approfondimento a
maggior dettaglio 1:25.000, ciascuna di circa 2.000 ha); completano il quadro conoscitivo diverse tesi di laurea riguardanti il rilevamento dei suoli, e altri lavori professionali eseguiti da società private
operanti nel campo della pedologia).
Riferimenti bibliografici del paragrafo 5
Ipla (1982), La capacità d’uso dei suoli del Piemonte ai fini agricoli e forestali, Regione Piemonte, Assessorato alla pianificazione del territorio, Torino.
Ipla (1989), Possibilità colturali alternative in terre di risaia, Quaderno n. 1.
Regione Piemonte (1999), Piano di sviluppo rurale 2000-2006, adottato con deliberazione di Giunta regionale
n. 61/28990 del 20 dicembre 1999.
6. La Liguria33 ha un territorio compreso tra due linee ad arco (la curva costiera del Mar Ligure e
quella meno accentuata della displuviale alpina e appenninica), mentre le valli del Roja e della Magra
la separano rispettivamente dalla Francia e dalla Toscana, e si sviluppa per una superficie complessiva di circa 541.000 ha così ripartiti tra le 5 classi contemplate dalla cartografia Corine: 1) 23.779 ha
di spazi modellati artificialmente; 2) 92.307 ha di spazi agricoli; 3) 424.427 ha di territori boscati e
ambienti seminaturali; 4) 21 ha di zone umide; 5) 540 ha di corpi idrici.
Il territorio ligure, per oltre il 65% montano, risulta caratterizzato dall’elevata acclività poichè, in
spazi brevi, si passa dalla fascia costiera a quella montana e – nelle Alpi marittime – si raggiungono
anche altitudini prossime ai 2000 metri; i pochi spazi pianeggianti, situati in prossimità della fascia
costiera o in corrispondenza dei bacini fluviali (come nelle piane della Magra e di Albenga) risultano
densamente abitati e occupati dagli insediamenti antropici e dalle coltivazioni agricole di maggior
rilevanza economica.
La morfologia e i caratteri idrologici del territorio ligure – contrassegnato da un arco montano percorso da brevi corsi d’acqua, generalmente a elevata pendenza e disposti perpendicolarmente alla linea di costa – rappresentano una concausa del danno da eventi alluvionali, in quanto le urbanizzazioni delle zone costiere (soprattutto nelle zone focive) interferiscono in modo negativo con la regimazione idraulica dei corsi d’acqua; in particolare, gli eventi alluvionali verificatisi negli anni recenti
nei bacini liguri (in alcuni casi di notevole entità) hanno evidenziato gradi di vulnerabilità sensibilmente più elevati rispetto al passato (e sovente per l’inadeguatezza delle misure protettive); tra le tipologie di danno si possono ricordare le esondazioni, l’erosione di sponde e i fenomeni di dissesto e
mobilizzazione con trasporto (in effetti l’elevato trasporto solido che caratterizza gli eventi di piena,
originato dalla erosione dei versanti, determina il susseguirsi di fenomeni di intasamento dell’alveo
con conseguenti onde di piena eccezionali).
Queste situazioni di rischio sono certamente favorite dall’incremento delle circostanze di instabilità
del suolo derivanti dalla carenza di manutenzione di tutte le opere di sistemazione idraulico-agraria
(es. muretti di contenimento degli appezzamenti terrazzati) e dagli effetti degli incendi boschivi; entrambe le cause, purtroppo ben affermate nell’ambito ligure, possono essere ricondotte al problema
dell’abbandono agro-colturale e abitativo delle zone collinari o montane interne, a favore di quelle
costiere; a tal proposito, va ricordato che la densità insediativa ligure – pari a 300 ab/kmq – è assai ir33
Report a cura di Giuseppe Stoppelli (Dirigente del Servizio ispettorato funzioni agricole) e Stefano Pini (Servizio ispettorato funzioni agricole, Laboratorio regionale analisi terreni e produzioni vegetali di Sarzana).
21
regolare aumentando notevolmente in prossimità della costa (il solo comune di Genova comprende
addirittura il 41% della popolazione regionale).
Il rischio di erosione costiera rappresenta un fenomeno di notevole importanza per la Liguria in
quanto comporta la perdita della risorsa suolo in ambiti territoriali dove essa costituisce un capitale
importante per le attività economiche implicate; peraltro, i processi erosivi in atto in gran parte dello
spazio costiero sono imputabili solo in minima parte alle cause naturali, che in genere agiscono in
tempi molto lunghi a differenza degli interventi antropici in grado di operare in tempi notevolmente
più ridotti (gli interventi dell’uomo a tal proposito possono essere ricondotti sia a quelli realizzati nei
bacini fluviali – briglie, estrazione di inerti –, che comportano un minor apporto di sedimenti, sia alle
opere realizzate direttamente nei litorali per correggere gli effetti dinamici).
Per quanto riguarda i fenomeni legati al rischio chimico, esistono aree contaminate nel territorio regionale (in genere derivanti da attività industriali); un censimento effettuato al 1992 individuava 15
siti, di cui 8 risultano essere stati bonificati di recente, ma la nuova rilevazione del 1998 ne individuava altri 8 non censiti in precedenza; è stato predisposto un piano di bonifica e l’archiviazione informatizzata dei principali dati relativi a ciascun sito contaminato.
La salinizzazione può rappresentare un fattore di rischio reale in alcuni bacini regionali; in particolare
nell’ambito della foce della Magra, particolarmente nel periodo estivo, a causa della risalita del cuneo salino si possono verificare danni ad alcune colture più sensibili; in altri areali (es. zona CerialeAlbenga) sono stati verificati livelli di salinità meritori d’attenzione nei pozzi utilizzati per
l’irrigazione, sebbene ancora entro i limiti di tolleranza per gli impieghi irrigui; un altro tipo di salinizzazione del suolo può derivare dall’impiego eccessivo di fertilizzanti in aree limitate e coltivate
intensivamente, fenomeno particolarmente evidente in serra dove, oltre all’elevata intensità colturale,
s’aggiunge l’assenza dell’azione dilavante dovuta alle precipitazioni piovose.
Infine, i fenomeni di compattazione, perdita di sostanza organica o desertificazione rappresentano
avvenimenti di scarso rilievo per l’ambito ligure in quanto i caratteri del territorio e i tipi di colture
praticate (coltivazioni in serra, od olivicoltura e viticoltura in ambito collinare) non generano l’uso di
mezzi tali da favorire processi compattativi, e il contenuto in sostanza organica – per i frequenti apporti nelle colture specializzate e per l’estensivizzazione delle altre (es. inerbimento) – è mantenuto a
un buon livello (peraltro riscontrato analitic amente).
Pur non esistendo al momento in ambito regionale una carta pedologica relativa all’intero territorio,
sono stati effettuati studi parziali su alcuni ambiti territoriali (es. piani di bacino e/o di assestamento
forestale) e si possiede un corredo di rappresentazioni ben definito, con uno specifico quadro ambientale individuabile nel repertorio cartografico regionale; esistono inoltre modelli o specifiche basi
dati informatizzate (es. archivio frane, modello erosione costiera, archivio analisi suolo e valutazione
stato fertilità) che possono fornire ulteriori conoscenze; altre iniziative utili al riguardo sono in corso
e o sono previste a tempi brevi (es. completamento carta forestale, carta pedologica 1:250.000).
Riferimenti bibliografici del paragrafo 6
Aa. Vv. (1998), I Relazione sullo stato dell’ambiente in Liguria, Dipartimento ambiente e territorio della Regione Liguria, Genova.
Aa. Vv. (1999), Il territorio e l’ambiente (Internet: http://www.regione.liguria.it/territor/frameset.htm), Genova.
7. Il territorio della Lombardia 34 è costituito, per un verso, dai rilievi prequaternari che concorrono a
formare le catene alpine, prealpine e appenniniche coinvolgendo una superficie di circa 10.000 km2 e
– nella parte montana della regione – clima, vegetazione, caratteri litologici, energia del rilievo, morfologia e altitudine si riflettono in suoli generalmente sottili o poco profondi, soggetti prevalentemente a processi di erosione; occupano poi la restante parte del territorio regionale, per poco meno di
14.000 km2 , gli ambienti padani e pedecollinari, formati da depositi di origine glaciale (gli anfiteatri
morenici), fluvioglaciale (la pianura vera e propria) e alluvionale (le valli del Po e dei suoi affluenti);
in questa parte del territorio regionale i processi evolutivi dei suoli sono principalmente condizionati
dalla granulometria, dal chimismo dei sedimenti e dall’idromorfia dovuta, a seconda dei casi, alle
esondazioni dei corsi d’acqua o alle oscillazioni delle falde freatiche.
Consumo di suolo per urbanizzazione, escavazione di materiali terrosi e altre forme di utilizzazione
34
Report curato da Stefano Brenna e Romano Rasio (Ersal della Regione Lombardia, Servizio suolo).
22
delle terre, erosione idrica, compattazione e contaminazione sono i più gravi e diffusi rischi di degrado qualitativo e quantitativo delle risorse pedologiche presenti in Lombardia; fattori predisponenti
l’acidificazione dei suoli si verificano sui versanti altimetricamente più rilevati dei rilievi alpini
mentre, anche per la forte diffusione della zootecnia – che assicura apporti regolari e considerevoli di
materia organica ai suoli – attualmente non sembrano sussistere se non localmente significativi rischi
di perdita di sostanza organica; in particolare:
a) per quanto riguarda il consumo di risorsa suolo , da rilevamenti recentemente conclusi risulta
che nel territorio pianeggiante e collinare le aree urbanizzate ammontano a quasi 230.000 ha e
quelle sterili (cave, discariche, ambiti degradati, aree sabbiose ecc.) a circa 12.000 ha, con una
percentuale di suolo occupato o degradato superiore al 17%; la quota sale ancora – raggiungendo valori del 27% – nell’area metropolitana milanese, dove in particolare si evidenziano i danni
causati da un’urbanizzazione diffusa che provoca marginalizzazione e degrado anche delle superfici non direttamente occupate da manufatti o infrastrutture; consumi di suolo preoccupanti si
osservano poi anche in molti dei principali fondovalli alpini e prealpini;
b) severi rischi di erosione reale non sono molto frequenti nella montagna lombarda; infatti le Alpi,
nonostante l’acclività e la frequente presenza di suoli erodibili, sono caratterizzate da un clima
moderatamente erosivo e da una copertura vegetale generalmente consistente, mentre sui rilievi
appenninici si osserva un’erosione controllata dove vi sono boschi e pascoli, che diviene rilevante solo in assenza di copertura vegetale; fenomeni erosivi si verificano anche sulle morene e
sui terrazzi antichi rilevati sulla pianura, in aree con dislivelli poco accentuati ma caratterizzate
da suoli a tessitura limosa che favoriscono il ruscellamento delle acque in superficie, accrescendo il contributo di queste superfici agli eventi alluvionali, qui peraltro abbastanza frequenti; in
tutti questi ambienti, i processi erosivi si generano soprattutto quando elevati carichi di pascolamento, lavorazioni e sistemi colturali espongono i suoli all’azione degli agenti atmosferici;
c) relativamente alla compattazione, vari elementi di conoscenza indicano che forme più o meno
intense di degradazione fisica degli orizzonti superficiali sono frequenti dove l’agricoltura è intensiva e fortemente meccanizzata: nei suoli coltivati a riso gli effetti della costipazione indotta
dalle pratiche agricole è particolarmente evidente, mentre negli altri casi è invece difficile valutare quanto essa incida sulla funzionalità dei suoli, deprimendone la produttività o riducendone
la capacità protettiva; infine, anche nelle aree urbane e periurbane ampie superfici sono soggette
a compressione continua e molto intensa senza, in genere, interventi mitigatori;
d) grande preoccupazione destano i rischi di contaminazione e inquinamento dei suoli; in Lombardia sono stati censiti oltre 300 siti che denotano livelli di contaminazione in atto tali da rappresentare, nel breve periodo, una minaccia per la salute umana e per gli ecosistemi sensibili; per
altri 300 circa si stima che il pericolo si manifesterà tra due o più anni e, infine, s’individuano
più di 1.500 altri siti nei quali per ora non si constatano evidenze di contaminazione, che potrebbero tuttavia porre seri problemi in futuro; potenziali rischi di contaminazione diffusa dei suoli
agricoli derivano invece dallo spandimento dei fanghi di depurazione urbana, pratica che in
Lombardia interessa prevalentemente le province sud-orientali e che risulta in forte espansione:
gli studi finora effettuati sembrano confermare l’insussistenza di particolari rischi allo stato attuale, ma si auspica che le conoscenze sul comportamento dei suoli siano accompagnate da più
vasti programmi di monitoraggio e da indagini finalizzate a una sempre migliore comprensione
della dinamica dei metalli pesanti nelle coperture pedologiche regionali;
e) relativamente all’acidificazione non vi sono dati che evidenzino con certezza la sussistenza di
processi in atto di acidificazione accelerata; va tuttavia segnalato che negli orizzonti superficiali
di suoli alpini sono stati frequentemente misurati valori di pH inferiori a 4,5 (soglia generalmente considerata quella sotto cui i suoli presentano un’elevata suscettibilità all’acidificazione).
L’allestimento di un quadro di conoscenze sui suoli regionali sistematico e approfondito ha preso avvio intorno alla metà degli anni 80 col “Progetto Carta pedologica a scala di semidettaglio
(1:50.000)” dell’Ente regionale di sviluppo agricolo della Lombardia, tuttora in corso e che ha ormai
assunto la fisionomia di un’azione permanente finalizzata a integrare informazioni aggiornate sui
suoli nel Sistema informativo territoriale (Sit) della Regione; finora il rilevamento ha interessato il
territorio regionale di pianura e collina per complessivi 1.367.900 ha, di cui circa 1.000.000 sono al
momento digitalizzati; l’Ersal ha elaborato inoltre una cartografia dei suoli alla scala di riconoscimento (1:250.000) che rappresenta, di fatto, la sintesi delle informazioni pedologiche delle aree rilevate al semidettaglio e costituisce un concreto strumento di conoscenza territoriale per gli interventi
23
pianificatori di livello regionale e sovraregionale; una versione di tale inventario pedologico, aggiornata ed estesa anche al territorio montano della Lombardia, sta per essere allestita nel quadro del
progetto “Carta dei suoli d’Italia” previsto nel Programma interregionale agricoltura e qualità del
Mipa; infine, di recente è stata completata dall’Ersal in collaborazione col Servizio informativo regionale la predisposizione in scala 1:25.000 di altre basi informative ambientali (uso del suolo, geomorfologia, litologia di superficie, degrado ambientale, idrografia superficiale, rilevanze naturalistiche e paesaggistiche), che arricchiscono il quadro delle conoscenze strettamente correlate al suolo
nella pianura e collina lombarda.
Nonostante il grande patrimonio conoscitivo sui suoli allestito in Lombardia appaia ancora poco
sfruttato rispetto alle potenzialità informative insite, l’interesse e l’attenzione per la risorsa suolo e
per le opportunità che la sua conoscenza offre a supporto delle decisioni cominciano a essere più diffusi; non sono infrequenti infatti i casi in cui le interpretazioni pedologiche sono state elaborate e utilizzate a supporto delle decisioni assunte dalla Regione e/o da altri organismi di livello locale in
campo ambientale (rischi d’inquinamento da fitofarmaci e nitrati, standard di qualità dei suoli), agricolo (misure agroambientali, valorizzazione delle produzioni tipiche, gestione delle risorse irrigue e
del patrimonio forestale) e urbanistico-territoriale (piani territoriali di coordinamento di alcune provincie e di parchi regionali, piani regolatori generali di alcuni comuni, pre-valutazioni di impatto ambientale).
Tuttavia mentre, col passar del tempo, si fa meno episodica l’utilizzazione di informazioni pedologiche in analisi preliminari alle scelte di piano (anche sotto la spinta di normative regionali che, sotto
questo profilo, si sono dimostrate innovative come la Lr. 37/1993 “Norme per il trattamento, la maturazione e l’utilizzo dei reflui zootecnici” e la Lr. 41/1997 “Prevenzione del rischio geologico, idrogeologico e sismico mediante strumenti urbanistici generali e loro varianti”), non si sono ancora
constatati esempi concreti e significativi dell’uso di tali conoscenze per verificare e stimare la congruenza degli strumenti urbanistici comunali rispetto alle esigenze di tutela dei suoli.
Riferimenti bibliografici del paragrafo 7
Rasio R., “La valorizzazione di un investimento peculiare della Lombardia: la base informativa pedologica”, in
Paolillo, P.L., ed. (2000), Terre lombarde. Studi per un ecoprogramma in aree bergamasche e bresciane, Giuffrè, Milano.
Relazione sullo stato dell’ambiente (www.ambiente.regione.lombardia).
8. La superficie provinciale di Trento 35 interessa circa 6.207 km2 (per il 2,9 % del territorio nazionale), di cui il solo 30,3% insiste sotto i 1000 m e il 19,6% supera la quota dei 2000 m s.l.m.; oltre il
50% del territorio provinciale è ricoperto da boschi e circa il 25% è occupato da alpi-pascolo, mentre
le aree agricole condotte a colture specializzate interessano solo il 6%; infine, Sau, boschi e superficie improduttiva risultavano complessivamente pari a 481967 ettari nel 1991.
Lo stato delle conoscenze in materia appare piuttosto datato (la carta dei suoli risale addirittura al
1965) perché non esistono organismi preposti a tali finalità, pur in presenza di diversi soggetti che
operano nel settore e conducono studi sul territorio trentino; le tipologie di suolo esistenti (Ronchetti,
1965) coinvolgono indicativamente 36 : 1. suoli da substrati carbonatici (rocce calcaree e dolomitiche,
morenico e fluvio-glaciale prevalentemente calcareo e dolomitico), di cui: 1.1. roccia affiorante 50%,
litosuoli 30%, protorendzina 20% (kmq 490); 1.2. rendzina 45%, rendzina bruni 30%, suoli bruni
calcarei 15%, litosuoli 10% (kmq 2.100); 1.3. suoli bruni calcarei 50%, suoli bruni 35%, rendzina
15% (kmq 840); 2. suoli da substrati silicati (rocce silicate sedimentarie, eruttive, metamorfiche,
morenico e fluvio-glaciale prevalentemente silicato), di cui: 2.1. roccia affiorante 50%, litosuoli 30%,
protoranker 20% (kmq 420); 2.2. ranker 35%, ranker bruni 30%, podzoli bruni 20%, litosuoli 15%
(kmq 490); 2.3. podzoli umo-ferrici 50%, podzoli bruni 35%, litosuoli 15% (kmq 680); 2.4. podzoli
bruni 70%, suoli bruni lisciviati 20%, litosuoli 10% (kmq 585); 2.5. suoli bruni lisciviati, suoli bruni
acidi, suoli bruni (kmq 250); 3. suoli torbosi -suoli idromorfi (kmq 150); 4. suoli alluvionali sabbioso
e sabbioso-ghiaiosi (kmq 200).
I tipi di suolo forestali precedentemente descritti sono riferibili a Letsolols (Rendzic , Umbric , Mollic
e Dystric ), Cambisols (Humic, Calcaric, Dystric e Eutric), Podzols (Haplic , Cambic e Carbic) e Luvisols (Haplic e Chromic); tipi di suolo meno frequenti in provincia di Trento sono i Phaeozems (Ha35
Report curato da Duilio Porro (Istituto agrario di S. Michele all’Adige).
Per approfondimenti si rimanda a studi più recenti (Sartori et al., 1997), che analizzano i suoli forestali presenti secondo una classificazione più moderna.
36
24
plic e Calcaric ), Histosols (Fibric, Terric e Folic), i Gleysols (Umbric, Eutric e Dystric), Cambic
Arenosols, così come Alisols (Humic e Haplic), fasi a fragipan di Podzols, Cambisols e Luvisols, e
fasi placic di Podzols; la distribuzione geografica di tali suoli e i paesaggi corrispondenti sono in relazione ai materiali di origine, alle fasce di vegetazione, ai micro-ambienti climatici, all’attività dei
ghiacciai quaternari, alle frane, alla neotettonica e alle attività antropiche passate; dove l’impatto antropico è stato più pronunciato, e soprattutto laddove le pendenze sono maggiori, il suolo può presentarsi troncato in superficie dall’erosione, con frequenza alta anche sotto foresta in relazione alle
antiche pratiche di raccolta e asportazione della lettiera; i suoli bruni-lisciviati sono presenti con
maggior frequenza dove esiste un deficit idrico elevato, ovvero quando la piovosità assume distribuzione equinoziale e maggiore è l’evapotraspirazione estiva.
Per quanto riguarda i principali rischi di degrado ambientale va precisato che, nella realtà trentina, i
problemi di acidificazione, salinizzazione e desertificazione sono inesistenti, mentre invece:
a) si è constatato un consumo di suolo in direzione urbanizzativa piuttosto frequente negli ultimi
anni, anche se la trasformazione d’uso dei suoli agro-forestali per lo sviluppo delle aree urbane
risulta vincolata da una legislazione piuttosto rigorosa; a scopo esemplificativo si riportano i dati
tratti dal Rapporto sullo stato dell’ambiente 1995 relativi al decennio 1985-1994, periodo in cui
la superficie disboscata ha coinvolto circa 717 ettari, di cui il 22% a scopo agricolo, il 3% a scopo edilizio, il 56% per la realizzazione di infrastrutture (strade, acquedotti ed elettrodotti) e il
19% per la costruzione di piste da sci e impianti turistici;
b) la propensione al dissesto geologico è tipicamente legata al contenuto e alla percentuale di minerali o di interstrati argillosi, alla fratturazione delle rocce, alle pendenze accentuate dei versanti
nonché all’azione dell’acqua (di imbibizione e di scorrimento); dall’era quaternaria, la più recente, le glaciazioni hanno esercitato un’azione modellatrice scavando le valli a “U” e causando
altri fenomeni quali laghi, marmitte dei giganti, rocce montonate, morene ecc.; dopo lo scioglimento dei ghiacciai più antichi le modificazioni continuano, facendo riscontrare su alcuni fia nchi delle montagne – non più compresse dai ghiacciai– crolli ed enormi frane; le rocce inoltre,
esposte agli agenti atmosferici, vengono continuamente degradate da processi variabili secondo
le condizioni atmosferiche e la natura rocciosa, attivando così processi di erosione, trasporto e
sedimentazione dei materiali; i dissesti più frequenti sono quelli in forma di colata di fango o di
detrito ed i crolli di masse rocciose; la prima causa è la naturale evoluzione geomorfologica del
territorio, mentre la seconda, di incidenza quantitativa sempre maggiore, è rappresentata
dall’antropizzazione con le connesse rotture dell’equilibrio naturale derivanti sia dall’eccessiva
presenza dell’uomo (insediamenti turistici, piste da sci, viabilità) sia dal progressivo abbandono
delle zone di montagna; grazie agli interventi di regimazione delle acque e ai provvedimenti atti
a restituire al bosco la sua insostituibile azione di difesa dall’erosione del suolo e di effetto regimante nei confronti del bilancio idrologico, negli ultimi anni la situazione è andata migliorando notevolmente;
c) tra gli altri rischi di degrado, va ricordato che in Trentino erosione, perdita di sostanza organica
e compattazione assumono livelli assai ridotti in quanto quasi tutta la superficie utilizzata a livello agricolo è “vestita” (ossia inerbita) e, pertanto, tale tipo di gestione del suolo impedisce il
verificarsi di tali rischi; a livello forestale il problema non sussiste;
d) rischi relativi alla contaminazione di suoli possono verificarsi in prossimità dei centri urbani o
nelle vicinanze di reti stradali a intenso traffico come l’autostrada lungo l’asta dell’Adige, generando aumento delle concentrazioni in piombo; recenti ricerche nel settore non hanno però evidenziato valori allarmanti mentre una ricerca di Silpa ha riscontrato, viceversa, una preoccupante crescita dei valori di rame nei suoli agricoli in cui è presente la vite, dove si fa largo uso di
tale elemento per i trattamenti antiparassitari; valori significativamente sopra la norma sono stati
ritrovati in superficie (nei primi trenta centimetri), mentre nella parte di suolo sottostante i livelli
rientravano nei limiti normali;
e) l’impiego di fanghi in agricoltura è piuttosto limitato, se non nullo, e pertanto i rischi
d’inquinamento da metalli pesanti imputabili al fattore risultano piuttosto scarsi.
Nel 1994 il Museo tridentino di Scienze naturali ha avviato un progetto finalizzato alla creazione di
un “Catalogo dei suoli della provincia” per fornire una sintesi dello stato attuale locale delle conoscenze in campo pedologico, porre le basi per cartografie pedologiche o sintetiche (Carte delle unità
di paesaggio) a scala provinciale o di bacino idrografico e creare una banca dati dei suoli e dei relativi ambienti fisici della Provincia tramite un collegamento logico e mediante un software adeguato
per colloquiare col Sistema geografico informativo pr ovinciale.
Molti sono gli ettari vitati investi da progetti di zonazione, soprattutto quelli relativi alle valli
dell’Adige e di Cembra (messi a punto dalla Cantina di La Vis), alla collina di Faedo e all’area di
produzione del Marzemino (curati dall’Istituto agrario di San Michele all’Adige), alla zona di produzione del Teroldego Rotaliano, a quella di Rovereto (messa a punto dalla Cantina Sav di Rovereto).
Il primo progetto (Falcetti et al., 1998) ha interessato una superficie di 2.000 ettari ubicati lungo
25
l’asta dell’Adige, da Trento a Salorno, e del torrente Avisio da Lavis a Segonzano, producendo carte
dei suoli in scala 1:50.000; il fondovalle tra Salorno e Zambana è costituito in prevalenza da sedimenti alluvionali sabbiosi fini e molto fini, e più grossolani in corrispondenza dei paleoalvei; i suoli
sono giovani, da profondi a molto profondi, a tessitura prevalente franca o franco-limosa; in corrispondenza dello sbocco dei principali corsi d’acqua in pianura si ritrovano coni di deiezione con
suoli più evoluti, profondi, a tessitura franco-sabbiosa; in collina, tra Pressano e Sorni, dominano le
siltiti rosse del Werfen con suoli più evoluti a tessitura franca o franco-argillosa; negli ambienti dominati da dolomia, rocce porfiriche e porfidi (val di Cembra e Pochi di Salorno), per contro, si ritrovano suoli meno evoluti a tessitura franco-sabbiosa e ricchi in scheletro.
L’elevata erodibilità di questi ultimi – ongiuntamente alla pendenza dei versanti – causa un elevato
rischio di erosione, particolarmente grave in quanto la coltre dei sedimenti è talvolta limitata poggiando o su rocce compatte (porfidi) o su livelli di ghiaie cementate di origine fluvioglaciale; in questi ambienti risulta di fondamentale importanza la manutenzione dei terrazzamenti in pietra e dei ciglioni inerbiti.
La zonazione di Faedo ha prodotto una carta pedologica in scala 1:10.000 su circa 50 ettari (Scienza
et al., 1991); tra i suoli destinati alla produzione del vino Marzemino è stato possibile evidenziare
un’ampia variabilità (Casati, 1991) osservando per lo più terreni alluvionali su tutta l’area mentre, localmente, sono presenti vigneti su conoide (Ala), su basalto (Ravazzone) e su detriti misti (Isera);
inoltre, lo studio relativo alla Piana Rotaliana (Fuganti et al., 1992) ha prodotto una carta litologica in
scala 1:10.000 e il progetto di zonazione del vigneto Sav, non ancora ultimato, ha investito una superficie vitata di circa 1000 ettari producendo carte pedologiche in scala 1:50.000; molte altre indagini pedologiche sono state portate avanti in questi ultimi anni per zone forestali e per altri ambienti,
e si sta infine appontando un progetto di zonazione relativo al melo, in Val di Non, in collaborazione
col Consorzio Melinda..
Per quanto riguarda i dati informativi effettivamente disponibili, relativi a questi studi, va precisato
che essi sono presenti e molteplici ma occorrerebbe un coordinamento per renderli gestibili alla informatizzazione e trattabilità Gis, in maniera da predisporre una carta pedologica multifunzionale.
Riferimenti bibliografici del paragrafo 8
Casati P. (1991), Approccio integrato per lo studio della vocazionalità di un comprensorio viticolo: applicazione alla zona classica di produzione del Marzemino trentino Doc, tesi di laurea, Facoltà di Agraria
dell’Università degli Studi di Milano.
Falcetti M., De Biasi C., Aldrighetti C., Costantini E. e Pinzauti S., eds. (1998), Atlante viticolo. Il Contributo
del progetto di zonazione alla conoscenza, gestione e valorizzazione del vigneto della Cantina La Vis.
Fuganti A. e Defrancesco F., eds. (1992), Le rocce da vino della Piana rotaliana. Un’indagine geologica
sull’unicità dei vigneti del Teroldego Rotaliano, Centro di studi rotaliani, Cantine Mezzacorona, Stampa Temi,
Trento.
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abitativa e protezione dell’ambiente, Trento.
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studio e la difesa del suolo, Tipografia Coppini, Firenze.
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Trento”, in Studi trentini di scienze naturali, Acta Geologica v. 72, pp. 41-54.
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Trentino, Grafiche Artigianelli, Trento.
9. La provincia di Bolzano37 si estende su 740.000 ha caratterizzati da un paesaggio di tipo prevale ntemente alpino (l’86% della superficie si colloca sopra i 1000 m) e articolati su 270.000 ha destinati
alla produzione agricola, 290.000 ha coperti da boschi e, per la restante parte, spazi d’alta montagna,
insediamenti urbanizzati, vie di comunicazione e corsi d’acqua; l’uso agricolo prevalente é dato dai
pascoli e prati permanenti, seguito poi dalle coltivazioni legnose e dai seminativi; la distribuzione
colturale é principalmente legata ai caratteri morfologici e climatici del paesaggio.
Sulla base dei tipi di terreno, della vegetazione e dell’attuale forma di utilizzo, il territorio provinciale può essere suddiviso nelle fasce paesaggistiche degli insediamenti urbani (1,3% della superficie
37
Report a cura di Martin Thalheimer, Centro di sperimentazione agraria e forestale Laimburg, Ora.
26
totale), fondivalle e pendii bassi a specializzazione frutticola e viticola (3,2%), fondivalle a prevalente coltura foraggiera o arativa (2,8%), pendii delle valli a vegetazione submediterranea (3,1%),
pendii delle valli aride alpine interne (0,7%), zona agricola di montagna (5,1%), bosco (44,0%), ambiente alpino ed alte quote (39,8%).
Circa l’analisi dei rischi di degrado esistenti, si constata che – in base ai loro caratteri geomorfologici
– le zone teoricamente più vulnerabili dal punto di vista idrogeologico sono sicuramente quelle ad
alta quota o situate in aree a forte pendenza; in realtà, i fenomeni erosivi che qui possono manifestarsi
sono di entità generalmente limitata, in quanto si tratta di ambiti territoriali incolti o coltivati in modo
assai estensivo e, generalmente, non interessati da insediamenti urbani; localmente si possono tuttavia manifestare fenomeni di degrado, talvolta anche riconducibili agli elevati utilizzi ricreativi; dunque, i fenomeni erosivi su ampie superfici sono relativamente rari, per lo più situati sopra i limiti del
bosco e comunque su aree da anni soggette a misure di stabilizzazione e recupero da parte dei competente Ufficio provinciale per la sistemazione dei bacini montani dell’Amministrazione forestale,
che negli ultimi anni ha effettuato rimboschimenti tra i 10 e i 26 ha annui in aree sensibili, insieme a
rinverdimenti di zone erosive e opere di risemina e cura degli inerbimenti tra i 100 e i 137 ha annui
(come esempio rappresentativo di una zona erosiva a estensione relativamente ampia, e attualmente
in fase di stabilizzazione e parziale recupero, si potrebbe citare il comprensorio di Merano 2000 situato nei comuni di Avelengo e di Sarentino).
Non esistono carte tematiche rappresentative delle aree soggette a fenomeni erosivi oppure a rischio;
è stato tuttavia redatto di recente un catasto delle frane (Progetto Carfra) che, seppur non evidenzia i
fenomeni di erosione del suolo in senso stretto, tuttavia riporta tutti i maggiori eventi documentati dei
fenomeni franosi verificatisi nella provincia di Bolzano.
Le attuali strategie di intervento delle autorità competenti si basano comunque, principalmente,
sull’attenta osservazione del territorio (tramite i vari organi di controllo) e su interventi mirati nei casi di constatata necessità; peraltro, un punto cardinale per la salvaguardia dei suoli è sicuramente rappresentato da un quadro legislativo che – per il tramite di un’oculata pianificazione territoriale – ha
provveduto a favorire uno sviluppo relativamente ordinato degli insediamenti, ostacolandone la dispersione; ben tre quarti della superficie provinciale sono infatti posti sotto tutela, benché con vincoli
differenziati (monumenti naturali, biotopi, parchi naturali, aree protette a livello comunale o sovracomunale), nella misura che segue:
Per quanto concerne l’inquinamento del suolo i principali fattori da considerare sono sicuramente
rappresentati dalle condizioni atmosferiche derivanti dalle emissioni gassose da traffico e industrie;
per valutare la contaminazione del terreno da traffico stradale é già stato condotto uno studio dettagliato dal Centro di sperimentazione Laimburg, da cui risulta che il piombo é sicuramente il contaminante più importante, inoltre sembra che lo zinco e il rame possano diventare in futuro elementi
problematici, mentre meno importante risulta la contaminazione da cadmio.
La maggiore causa di consumo del suolo in Alto Adige negli ultimi decenni é sicuramente riconduc ibile al notevole sviluppo dell’attività edilizia; sebbene l’espansione degli insediamenti in Alto Adige
sia avvenuta fino a oggi sulla base di un relativo rispetto del paesaggio, grazie alla già richiamata
pianificazione territoriale e legislazione urbanistica, la necessità di creare nuovi spazi abitativi ed
aree dedicate alle attività produttive ed al turismo ha inevitabilmente portato ad un notevole consumo
di suolo. Anche se non sono reperibili dati precisi in termini di superfici urbanizzate, qualche deduzione può essere effettuata dall’osservazione di indicatori dell’attività edilizia come p.e. il volume
delle opere ultimate negli ultimi decenni.
La provincia di Bolzano non dispone di una carta strettamente pedologica con copertura dell’intero
territorio; a parte le carte geologiche, che per alcune zone sono attualmente in fase di revisione, si dispone di una carta di copertura del suolo in scala 1:100.000 (Corine - Land Cover) sulla base di dati
satellitari, Landsat TM. Inoltre si trova in fase di elaborazione un progetto di carta d’uso del suolo in
scala 1:10.000. La carta è destinata all’impiego come base tematica per la pianificazione settoriale in
generale ed in particolare per la pianificazione urbanistica a livello comunale e territoriale a livello
provinciale, la pianificazione paesaggistica, la tutela della natura, la pianificazione forestale ed agraria. Attualmente la carta è disponibile per un primo lotto dell’estensione di ca. 1.100 km² (su un totale di 7.400 km²).
Nell’ambito di un altro progetto di ricerca pluridisciplinare, rivolto a monitorare gli effetti della contaminazione atmosferica su ecosistemi naturali (“Un-Ece convention on long-range transboundary
air pollution”), sono stati analizzati a partire dal 1983 dei campioni di terreni forestali per rilevare
27
eventuali variazioni dei caratteri chimici; il programma si basa su campionamenti a tre livelli
d’intensità: una rete a maglie di 4 x 4 km per il primo livello (239 aree), una rete di 16 x 16 km (13
aree) per il secondo e due aree di saggio per il terzo.
Un ulteriore progetto in corso di attuazione da parte del Laboratorio agrochimico del Centro di sperimentazione di Laimburg prevede l’allestimento di un catasto dei terreni a uso agricolo, nell’ambito
del quale su 10 aree di saggio per ogni comune verranno rilevati i più importanti parametri chimici
dei suoli; analogamente al citato progetto riguardante i terreni forestali questa banca dati permetterà
un futuro monitoraggio di eventuali fenomeni di inquinamento dei suoli.
Riferimenti bibliografici del paragrafo 9
Aichner M. (1995), UN-ECE convention on long-range transboundary air pollution, Laboratorio Agrochimico
di Laimburg, Ora.
Huber W. (1991), La contaminazione del terreno e il traffico stradale, Monografie Laimburg n. 2, Centro Sp erimentale di Laimburg, Ora.
Provincia Autonoma di Bolzano/Alto Adige, Istituto provinciale di statistica – Astat (1999), 40 anni di attività
edilizia in Provincia di Bolzano, Bolzano.
Provincia Autonoma di Bolzano/Alto Adige (1995), Alto Adige – Obiettivo 2000. Piano provinciale di sviluppo
e di coordinamento territoriale, Suppl. ord. n. 1 al Bollettino ufficiale 21 febbraio 1995, n. 8.
Provincia Autonoma di Bolzano/Alto Adige, Linee guida natura e paesaggio Alto Adige, Bolzano
Provincia Autonoma di Bolzano/Alto Adige (1999), Progetto Carfra, Ufficio geologia e prove materiali, Bolz ano.
Provincia Autonoma di Bolzano/Alto Adige, Rapporto annuale della Ripartizione 30, Opere idrauliche, 19901998.
10. Nella regione Veneto38 (estesa su una superficie complessiva di 18.400 kmq) il suolo risente di
un’intensa e crescente competizione d’uso fra i differenti settori produttivi e di servizio, da quello
primario fino alle funzioni turistiche, e la pressione derivante comporta una progressiva riduzione
delle aree coltivate, una generalizzata dispersione insediativa nello spazio regionale e un incremento
progressivo dei suoli consumati per fini urbanizzativi.
Si riscontrano qui tre principali processi di deterioramento del suolo:
a) una degradazione chimica (intesa come apporto di sostanze contaminanti); il fenomeno riguarda
principalmente l’accumulo di metalli pesanti, in particolare a ridosso dei grandi insediamenti in dustriali e nei siti di discarica ma anche in alcune parti del territorio agricolo (limitatamente ad
alcuni metalli);
b) una degradazione fisica, comprensiva dell’erosione − operata dal vento e dall’acqua − e della
compattazione; l’erosione rappresenta un fenomeno moderatamente presente nei bacini montani
e collinari, mentre la compattazione si manifesta nelle aree di bassa pianura in cui l’elevata
meccanizzazione si accompagna a scarsi apporti di sostanza organica e alla monocoltura;
c) una degradazione biologica che include la diminuzione della sostanza organica insieme alla riduzione delle biodiversità, fenomeno peculiare della bassa pianura (province di Rovigo, Verona,
Padova e Venezia) dove la scomparsa della zootecnia si è accompagnata a una generalizzata intensificazione colturale.
Per un’adeguata analisi del livello di degradazione raggiunto è necessario intensificare gli sforzi per
mettere in rete le fonti dei dati, in modo da raccogliere e validare i dati sul suolo in maniera sistematica e omogenea (in questo senso il Veneto partecipa al lavoro del Centro tematico nazionale sul
suolo e sui siti contaminati, promosso dall’Anpa); sono state finora condotte indagini pedologiche
nelle province di Padova, Venezia, Rovigo, Treviso; in quella di Verona si constata solo una limitata
porzione di territorio esaminata, mentre nessun rilevamento è stato mai fatto nella provincia di Vicenza.
Tutti i rilevamenti finora eseguiti appaiono disomogenei per scala e obiettivi del lavoro perchè realizzati da committenti diversi; l’Osservatorio pedologico regionale, istituito presso il Centro agroambientale Arpav, ha costituito una banca dati in cui vengono omogeneamente archiviate tutte le informazioni raccolte nel corso dei rilevamenti e aggiorna periodicamente la Banca dati terreni, contenente i risultati delle analisi-campione sullo strato superficiale del terreno per conoscerne la fertilità e
38
Report a cura di Ialina Vinci e Paolo Giandon, Centro agroambientale dell’Arpav, Regione Veneto.
28
ricavare indirizzi per la concimazione (l’archivio contiene circa 100.000 dati corrispondenti a 10.000
campioni prelevati in zone diverse del Veneto).
Tra i progetti in via di realizzazione si richiama la Carta dei suoli del bacino scolante della laguna di
Venezia, comprendente una porzione significativa dello spazio regionale (nelle provincie di Venezia,
Padova e Treviso) dall’alta pianura veneta – tra i bacini del Brenta e Piave – fino alla laguna, per lo
più ambienti di pianura caratterizzati dalla presenza di alcuni importanti fiumi di risorgiva; in tale bacino fortemente antropizzato è andata via via crescendo l’esigenza di una maggior salvaguardia dal
possibile apporto di metalli pesanti derivante dall’utilizzo di reflui zootecnici, fitofarmaci, fanghi di
depurazione e compost sui suoli agricoli; perciò sono stati analizzati nel rilevamento gli orizzonti superficiali di tutti i profili descritti, e alcuni orizzonti profondi, per determinare la concentrazione dei
metalli pesanti e, in particolare, il livello di arsenico, cadmio, cobalto, cromo, mercurio, nichel,
piombo, rame e zinco presente relazionandolo ai limiti previsti dalla normativa d’uso di sostanze organiche di scarto sul suolo (Dl. 99/1992 e Dci 27 luglio 1984 in applicazione del Dpr. 915/1982; la
stessa procedura è stata estesa anche ad alcune aree viticole a Doc di particolare pregio in provincia
di Treviso, Venezia e Padova.
Il contenuto di cadmio, mercurio e nickel è risultato sempre basso rispetto ai limiti normativi (più del
90% dei campioni ricade nelle prime due classi e più del 60% nella prima), che appaiono superati
solo in alcuni casi.
La presenza di cromo, piombo e zinco è mediamente più elevata (solo negli orizzonti superficiali); in
particolare più del 90% dei campioni ricade sempre nelle prime due classi ma risulta più frequente la
seconda; anche in questo caso solo pochi campioni superano i limiti di legge; in particolare, la distribuzione del piombo risulta concentrata nelle zone più urbanizzate dell’entroterra veneziano.
Nel caso del rame, invece, si è riscontrata la presenza di valori elevati soprattutto nelle zone tradizionalmente viticole (Colli Euganei e Piave) e frequentemente sopra i limiti; merita un discorso a parte
l’arsenico, per il quale si è fatto riferimento al limite di 10 mg/kg fissato dal Dci 27 luglio 1984, non
essendo previsto un limite dal Dl. 99/1992; dei 306 campioni analizzati più del 60% è risultato sopra
il limite (situazione riscontrata anche negli orizzonti profondi), con un’elevata concentrazione probabilmente imputabile alla composizione del materiale di partenza: i suoli che presentano i valori più
elevati di concentrazione (al di sopra del limite) si sono sviluppati su materiale alluvionale del Brenta, mentre in quelli sviluppatisi sulle alluvioni del Piave e sulle rocce vulcaniche e carbonatiche dei
Colli Euganei l’arsenico si trova in concentrazioni inferiori, e comunque sempre sotto i 10 mg/kg.
Riferimenti bibliografici del paragrafo 10
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di Rovigo, Centro Quadrifoglio, Rovigo.
Costantini E.A.C., Castelli F., Castaldini D., Rodolfi G., Napoli R., Panini T., Bragato G., Pellegrini S., Arcara
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tabacco di tipo Virginia Bright: uno studio interdisciplinare nel comprensorio veronese (Italia Settentrionale),
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Esav (1996), I suoli dell’area a Doc dei Colli Euganei, Serie Pedologia, n. 4.
Esav (1996), I suoli dell’area a Doc del Piave – Provincia di Treviso, Serie Pedologia, n. 2.
Esav (1996), I suoli dell’area a Doc del Piave – Provincia di Venezia, Serie Pedologia, n. 3.
Mozzi P., Ortolani R., Ragazzi F. e Vinci I. (1996), I suoli di Piombino Dese e Trebaseleghe – Dall’analisi pedologica alla consulenza agronomica, Esav, Serie Pedologia, n. 1.
Regione Veneto (1997), I sistemi di terre nei paesaggi forestali del Veneto, Venezia.
11. Il territorio del Friuli-Venezia Giulia 39 comprende sia una parte pianeggiante, estrema propaggine
39
Report a cura di Giuseppe Michelutti e Sara Zanolla (Servizio di sperimentazione dell’Ersa, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia). Esulano da questo lavoro considerazioni sull’impatto socio-economico della perdita di suolo, ossia sul fenomeno in termini di perdita di spazi atti alla coltivazione e allo sviluppo di altre attività antropiche ad essa connesse a favore di altri utilizzi o destinazioni, perché l’argomento richiede una trattazione di gran lunga più approfondita di quella richiesta in questa sede. Sono stati invece considerati, in maniera
qualitativa, i principali fattori che intervengono nell’impoverire un territorio della risorsa suolo senza entrare
nel merito del ruolo da essa svolto allo stato attuale delle conoscenze. I diversi processi sono stati relazionati
29
della pianura padano-veneta la cui costruzione è riferibile al tardo Pleistocene e all’Olocene, sia una
parte montana afferente alle Alpi Meridionali. La porzione apicale del conoide tardo pleistocenico
del paleo-Tagliamento è occupata dal coevo anfiteatro morenico. La fascia collinare è estremamente
ridotta o assente nella porzione occidentale, mentre si articola nelle regioni dei Colli Orientali, del
Collio e del Carso procedendo rispettivamente dall’anfiteatro morenico verso est.
Le problematiche che investono questi territori sono pertanto molteplici in relazione alla complessità
dell’area e, soprattutto in relazione al fattore antropico, rivestono importanza variabile:
a) la perdita di suolo nella zona montana è imputabile principalmente a fenomeni franosi. Il fattore
che maggiormente influenza la tipologia di distacco è, in prima approssimazione, la caratterizzazione geomeccanica del litotipo. Si possono distinguere materiali a comportamento prevale ntemente rigido, come le rocce carbonatiche, che danno luogo prevalentemente a fenomeni di
crollo. L’entità del fenomeno è funzione di fattori locali di complessa trattazione e comunque,
date la modalità di movimento e la natura del materiale coinvolto, non è solitamente tale da implicare una significativa perdita di suolo;
b) più problematici sono i movimenti relativi a versanti in rocce a comportamento prevalentemente
plastico, piuttosto comuni ma generalmente molto lenti, ascrivibili alla classe degli scivolamenti. La superficie di scorrimento può essere profonda e coinvolgere un’ampia porzione di versante
oppure interessare solo la porzione superficiale alterata. Nel secondo caso si parla generalmente
di soil creep. Sebbene entrambe le tipologie possano rivestire carattere di gravità qualora vadano
a interessare manufatti e proprietà, rappresentano la naturale evoluzione di un versante e, a
esclusione dei movimenti repentini oppure più estesi, determinano solo una traslazione del materiale pedogenizzato da una zona a un’altra con modalità che normalmente non pregiudicano il
normale sviluppo delle piante. Si ha perdita di suolo qualora il materiale mobilizzato debba essere asportato per stabilizzare il sito o perché costituisce un ingombro per la normale prosecuzione dell’attività umana (es. invasione di una sede stradale);
c) un maggiore impatto è dovuto alla presenza di manifestazioni a carattere franoso estese e ricorrenti che, provocando il denudamento dei versanti e impedendo lo sviluppo della vegetazione, lo
espongono all’azione degli agenti meteorici. Si ha così l’innesco di un processo di degradazione
la cui mitigazione richiede spesso l’intervento umano, soprattutto a causa delle intense precipitazioni che caratterizzano la regione. Sono inoltre segnalati alcuni fenomeni franosi molto estesi,
in attività o in fase di quiescenza, che possono rivestire notevole importanza in relazione alla
perdita di suolo. Si tratta per lo più di situazioni d’instabilità conclamata, già note per l’impatto
su infrastrutture o sulla pubblica incolumità. Una menzione particolare spetta a fenomeni tipo
debris-flow localizzati in bacini dove ingente è la produzione di materiale sciolto. Questi trasporti in massa di materiali incoerenti, anche di notevoli dimensioni, avvengono per opera di
corsi d’acqua a regime torrentizio che, in occasione di intense precipitazioni, possono tramutarsi
in vettori caratterizzati da grande densità e notevolissima energia, e quindi da un’aumentata capacità di trasporto. Lungo gli impluvi interessati da fenomeni di questo tipo avvengono profonde
modificazioni, con ingente asporto di materiale a monte e deposizione caotica di sedimenti a
valle. L’entità della perdita di suoli da essi implicata è funzione delle dimensioni del fenomeno;
d) la perdita di suolo in relazione a mareggiate o all’evoluzione delle coste è insignificante. La porzione afferente alla provincia di Trieste è rappresentata da coste alte in litotipi più o meno erodibili senza significativi processi di arretramento in atto. Una significativa porzione di costa è
stata modificata dall’azione umana in funzione delle attività portuali, e pertanto non è soggetta a
fenomeni di evoluzione naturale. Le coste basse delle provincie di Udine e Gorizia presentano
invece problematiche complesse e degne di nota, visto l’impatto che esse possono avere sia in
termini antropici – vista l’importanza turistica dei centri maggiori – sia dal punto di vista naturalistico, per il delicato equilibrio che permette la conservazione di un ambiente peculiare come
quello lagunare. Da molti decenni le aree soggette a erosione sono state interessate da opere la
cui valutazione esula dalle nostre competenze. Anche le zone perilagunari a scolo meccanico
poste sotto il livello medio mare sono protette da arginature erette in occasione delle opere di
bonifica. Mareggiate sufficientemente intense da coinvolgerle in maniera significativa sono state
tuttavia osservate solo in concomitanza di eventi particolarmente sfavorevoli;
e) per quanto riguarda gli eventi alluvionali, le opere di regimazione sono generalmente sufficienti
con la morfologia degli ambiti in cui agiscono, essendo questo il fattore che maggiormente ne regola l’entità.
30
f)
g)
h)
i)
j)
a contenere le piene ordinarie e, anche per fenomeni a carattere straordinario, gli effetti sono essenzialmente costituiti da apporto di sedimenti non pedogenizzati tanto più abbondante e grossolano quanto più si è in prossimità dell’alveo. Vasti spazi indicati, nella cartografia ufficiale
delle aree a rischio, come esondabili in caso di eventi eccezionali con rottura degli argini sono
caratterizzate dalla presenza di suoli piuttosto evoluti, sia nell’alta sia nella bassa pianura. Simili
eventi non sono pertanto significativi ai fini di una sostanziale perdita di suolo, mentre possono
arrecare notevoli danni alle colture e agli insediamenti umani. Per ovviare a tali fenomeni è allo
studio delle Autorità competenti la realizzazione di casse di espansione occupabili dalle acque in
occasione delle piene di maggiore intensità. Un aumento delle stesse e l’accumulo di ingenti
quantitativi di materiale non pedogenizzato nel passaggio del moto da turbolento a laminare potrebbe implicare, in queste aree, una perdita di suolo;
i fenomeni di salinizzazione legati all’infiltrazione di acque salmastre in aree bonificate a scolo
meccanico sono confinati in una ristretta fascia litoranea, e pertanto non comportano in maniera
significativa una perdita del suolo utilizzabile;
in relazione alla composizione per lo più carbonatica del substrato nelle aree montane,
l’acidificazione dei suoli generalmente non si manifesta. Nelle zone interessate da formazioni
silicoclastiche, sebbene presente, non pregiudica il normale sviluppo della vegetazione forestale
acidofila. In collina, le aree caratterizzate da acidità più spinta sono normalmente adibite a bosco; nelle zone di rilevante interesse viticolo vengono effettuate correzioni del pH del suolo ove
il procedimento può risultare redditizio. In pianura il materasso alluvionale è costituito essenzialmente da materiale carbonatico. Fenomeni di acidificazione sono limitati alla zona pedecollinare dov’è più intenso l’apporto di materiale terrigeno o in ristrette zone ove predominano
fattori locali. Se economicamente vantaggioso, il pH viene normalmente elevato mediante correttivi;
per quanto riguarda la contaminazione dei suoli da parte di inquinanti, sono disponibili dati sulla
concentrazione dei metalli pesanti sia in pianura, sia negli orizzonti organici dei suoli forestali. I
valori misurati in pianura sono quasi sempre sotto i limiti di riferimento posti dal Dpr. 915/1982
e dal Dl. 99/1992 per quanto riguarda la concentrazione dei metalli pesanti. Fa eccezione il nichel che, soprattutto nella fascia orientale, presenta valori piuttosto alti, legati comunque a fattori geogeni. Solo localmente si osservano per cromo e rame valori sopra quelli stabiliti. In montagna, sebbene non siano noti i valori geogenici dell’area, le concentrazioni misurate non si discostano nella maggior parte dei casi dai dati bibliografici relativi a rocce di composizione analoga. Fa eccezione il piombo, per il quale sono stati rilevati valori diffusamente sopra i limiti di
legge. In alcune zone, la presenza di alte concentrazioni di piombo può essere legata a mineralizzazioni di origine naturale note dalla letteratura, in altri a inquinamento dovuto alla presenza
di grandi vie di comunicazione. Nella fascia prealpina aumentano le concentrazioni di cadmio di
origine presumibilmente industriale. Valori elevati di altri metalli si osservano solo localmente;
il consumo di suolo imputabile all’attività antropica è localizzato principalmente nelle aree periferiche dei maggiori centri urbanizzati e lungo le principali direttrici di comunicazione. La te ndenza attuale permane in parte quella protrattasi nei decenni passati, con un progressivo abbandono delle aree montane a favore della pianura. In tempi recenti si è verificata una parziale inversione di tendenza per quanto riguarda i rapporti città/campagna dove, a una riduzione
dell’accrescimento delle periferie dei maggiori centri, hanno corrisposto sia una riqualificazione
dei nuclei storici minori e degli insediamenti sparsi sia la realizzazione di nuove lottizzazioni in
aree decentrate. Una stima di questo fenomeno in termini di perdita di suolo è molto problematica, tuttavia è possibile supporre che, a uno spostamento delle richieste da abitazioni plurifamiliari a unità mono-bifamiliari, sia seguito un aumento del consumo di suolo per la conversione a
fini insediativi di aree adibite alla coltivazione;
perdite di suolo relative a fenomeni di compattazione e perdita di sostanza organica non sono
documentate, nè imputabili alla desertificazione.
Riferimenti bibliografici del paragrafo 11
Aa. Vv. (1996), Gli aspetti fisici del territorio regionale, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Michelutti G., Gottardo E. e Bellantone P. (1997), Inventario sullo stato dei suoli forestali del Friuli-Venezia
Giulia, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
31
Sanna S. (1994), Le calamità naturali nei bacini montani del Friuli-Venezia Giulia, Chiandetti Editore.
Stefanini, Gerdol e Stefanelli (1978), Studio per la definizione dei pericoli naturali nella regione Friuli-Venezia
Giulia, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
12. Dei 22.124 kmq che rappresentano la superficie regionale dell’Emilia-Romagna40 , circa il 94%
(20750 kmq) è interessato da suoli, mentre le rimanenti aree sono costituite principalmente da affioramenti litoidi, alvei fluviali, corpi d’acqua e aree urbanizzate.
I suoli di pianura, che interessano una superficie pari alla metà di quelli regionali, occupano una fascia continua che si estende dal fiume Po e dalla costa adriatica fino agli ampi fondivalle e ai primi
rilievi appenninici che a essa si raccordano, con quote che presentano valori estremi di circa – 3 m
nella pianura deltizia e di circa 150 m in corrispondenza dei fondivalle appenninici. La gran parte dei
suoli di pianura presenta un tipo di utilizzo agricolo ad alto livello di produttività, in linea con le regioni europee più avanzate nel settore, pur con vaste aree occupate da suoli il cui uso agricolo è condizionato dal mantenimento in efficienza delle sistemazioni idrauliche con ricorso, localmente, anche
a sistemi di presollevamento meccanico per il deflusso delle acque.
In base ai principali processi evolutivi ed al contesto geografico i suoli emiliano-romagnoli sono stati
suddivisi dall’Ufficio pedologico regionale in sette raggruppamenti:
a) suoli nella pianura deltizia e nella pianura costiera, a idromorfia poco profonda (Thionic Fluvisols; Thionic Histosols; Gypsic, Eutric Vertisols; Haplic Calcisols; Calcaric Arenosols) e utilizzati prevalentemente a seminativo, orticoltura di pieno campo, frutteti e risaie;
b) suoli in aree morfologicamente depresse della pianura alluvionale, con fenomeni più o meno
accentuati di contrazione e rigonfiamento delle argille (Eutric, Gypsic, Calcic Vertisols; Haplic
Calcisols) e utilizzati prevalentemente a cerealicoltura e bieticoltura;
c) suoli in aree morfologicamente rilevate della pianura alluvionale, ad alterazione biochimica con
riorganizzazione interna dei carbonati (Calcaric, Chromic Cambisols; Haplic Calcisols), utilizzati prevalentemente a seminativi e colture specializzate (frutteti, vigneti, orti) e ad alta densità
di urbanizzazione;
d) suoli del margine appenninico, antichi, con tracce di alterazione geochimica e ricchi in sesquiossidi, completamente decarbonatati o con accumulo di carbonati negli orizzonti profondi
(Haplic, Ferric Luvisols; Vertic Cambisols) utilizzati a seminativi, a prati poliennali, a vigneti.
e) suoli del basso Appennino, ad alterazione biochimica con riorganizzazione interna dei carbonati
(Haplic Calcisols; Calcaric Cambisols), a cui sono subordinati suoli poco evoluti per ruscellamento concentrato e discontinuo (Calcaric Regosols), utilizzati a seminativi, frutteti e vigneti;
f) suoli del medio Appennino, ad alterazione biochimica con decarbonatazione da incipiente a
completa (Calcaric, Eutric Cambisols), a cui sono subordinati suoli poco evoluti d’erosione
(Calcaric Regosols), utilizzati a seminativi e a prati poliennali o interessati da boschi misti a
prevalenza di cerro, roverella, castagno;
g) suoli dell’alto Appennino, ad alterazione biochimica con diverso grado di acidificazione (Dystric, Eutric Cambisols; Umbric, Eutric Leptosols), interessati da boschi a dominanza di faggio
e pascoli.
I suoli di pianura sono interessati al contempo da intensi processi di urbanizzazione e da una agricoltura ad alti livelli di produttività; dal secondo dopoguerra a oggi, in particolare il settore orientale
della pianura ha visto succedersi una serie di fenomeni che hanno inciso sull’uso e, presumibilmente,
sulla fertilità dei suoli: i) cambiamento degli ordinamenti colturali; ii) l’accentuazione della meccanizzazione e l’intensificazione delle lavorazioni, col conseguente aumento delle dimensioni degli
appezzamenti; iii) l’abbandono dei piccoli allevamenti zootecnici aziendali; iv) l’incremento dell’uso
dei fitofarmaci dovuto all’intensificazione degli ordinamenti a colture specializzate; negli ultimi anni, poi, sono intervenuti alcuni fattori in grado di influire diversamente sulla fertilità (quali le applicazioni dei nuovi strumenti di politica agricola comunitaria, che favoriscono una gestione agroambientale più responsabile, e l’esigenza dell’utilizzo di sostanza organica di origine e qualità eterogenee (reflui zootecnici, fanghi di depurazione, verde urbano, materia organica proveniente dalla
40
Report a cura di Gilmo Vianello (Csass dell’Università degli Studi di Bologna), Nicola Filippi (Ufficio pedologico della Regione Emilia-Romagna), Andrea Giapponesi (Servizio sviluppo sistema agroalimentare della
Regione Emilia-Romagna), Marina Guermandi (Ufficio pedologico della Regione Emilia-Romagna), Antonio
Nassisi (Arpa, Sezione provinciale di Piacenza, A.A.S. Agropedologia), Licia Rubbi (Arpa, Sezione provinciale
di Ravenna), Giampaolo Sarno (Servizio sviluppo sistema agroalimentare della Regione Emilia-Romagna).
32
raccolta differenziata di rifiuti, compost, rifiuti dell’industria agro-alimentare).
Un rischio di degrado della risorsa suolo è dunque rappresentato dalla progressiva contaminazione
dei terreni da parte di metalli pesanti, le cui sorgenti più importanti si rinvengono in fanghi di depurazione, industrie e veicoli a motore, peraltro attualmente nel territorio emiliano-romagnolo, eccezion fatta per i suoli originatisi da rocce di particolare origine igneo-metamorfica (ofioliti), raramente si rinvengono casi in cui un singolo metallo pesante o microelemento superi i limiti dettati
dalle norme comunitarie o nazionali. Inoltre:
a) nella pianura deltizia di recente bonifica del ferrarese e del ravennate e nella pianura costiera il
combinarsi del fenomeno della subsidenza con la frequente rottura dell’equilibrio idrostatico
dell’interfaccia acqua di infiltrazione piovana/acqua di ingressione marina evidenzia superfici
interessate da processi di salinizzazione; l’utilizzo agricolo di questi suoli è in larga parte condizionato dai costi energetici da sostenere per mantenere in efficienza il sistema artificiale di
smaltimento delle acque, che spesso richiede il sollevamento meccanico mediante idrovore. Sono frequenti suoli non più soggetti a inondazioni e ad apporti sedimentari in seguito alle divagazioni e all’abbandono degli alvei da parte dei fiumi. I suoli sabbiosi sulle dune nella zona costiera sono inoltre interessati da erosioni e deposizioni eoliche spesso generalizzate anche se poco
intense.
b) Nelle aree morfologicamente depresse della pianura alluvionale l’uso agricolo dei suoli richiede
sistemazioni idrauliche a livello aziendale e, nelle situazioni più frequenti, anche consortile. La
densità di urbanizzazione è bassa o molto bassa in quanto, nei suoli con elevato ritiro e rigonfiamento dei materiali argillosi, le fondazioni degli edifici e altri manufatti come strade e canali
sono sottoposti a tensioni e rotture, che comportano alti costi di manutenzione.
c) Le aree morfologicamente rilevate della pianura alluvionale sono interessate da intensi processi
di urbanizzazione; la struttura insediativa è caratterizzata dallo sviluppo, oltre che dei capoluoghi provinciali, di centri intermedi, nuclei e case sparse nelle aree rurali;
d) molti suoli del basso Appennino sono stati interessati nell’ultimo trentennio dall’evoluzione dei
sistemi e delle tecniche di conduzione agricola. Si sono eseguiti rimodellamenti delle superfici
che hanno favorito la meccanizzazione delle operazioni colturali; l’impianto di colture specializzate, in genere associato a un incremento delle dimensioni dei campi, è spesso avvenuto senza ricorrere agli inerbimenti o ad altre tecniche conservative dei suoli, con una riduzione delle
opere di regimazione idraulico-agraria. Fenomeni di scoscendimento gravitativo, smottamento,
erosione per ruscellamento concentrato e discontinuo, comportano particolari cautele
nell’utilizzazione dei suoli.;
e) nei suoli del medio Appennino la diminuzione progressiva e consistente della popolazione residente ha portato in questi ultimi trent’anni a usi sempre più estensivi ovvero all’abbandono
dell’agricoltura. Questo, unitamente ad altri fattori (mancanza del presidio umano, scadente regimazione delle acque, introduzione di una meccanizzazione non idonea a terreni agricoli acclivi, sfavorevoli condizioni climatiche, espansione edificatoria) ha determinato il ripetersi di fenomeni di dissesto idrogeologico con conseguente accentuazione dei movimenti di massa. Le
superfici in dissesto interessano più del 25% dei territori collinari e montani delle provincie di
Piacenza, Parma, Reggio e Modena, per poi calare progressivamente dal 18% al’8% procedendo
verso est dalla provincia di Bologna a quella di Rimini;
f) nell’alto Appennino negli ultimi decenni, diminuendo l’intensità e la frequenza degli interventi
di utilizzazione forestale e a pascolo, il rivestimento vegetale ha esercitato con maggiore effic acia il suo ruolo stabilizzatore sul suolo. Benché la regolare crescita di una fitta copertura vegetale sia garantita nel corso dell’anno dalla pressoché continua disponibilità d’acqua nei suoli , il
rischio di erosione dei suoli comporta cautele nelle utilizzazioni forestali, a pascolo e nei movimenti in terra;
g) infine, circa il più generale problema del consumo di suolo, in Emilia-Romagna risaltano zone
più esposte alle pressioni urbane e a più alto rischio di compromissione del suolo agricolo, ric onoscibili nelle aree a forte intensità insediativa e a sviluppo produttivo accelerato: così i comuni
di cintura periurbana, l’area di pianura centrale tra Reggio Emilia e Bologna, la fascia costiera
romagnola; lo sviluppo delle strutture insediative ha portato negli ultimi cinquant’anni a una
sottrazione irreversibile del suolo (superiore al 15%) nei confronti delle sue altre molteplici funzioni. Le ricadute sono anche di tipo indiretto, con effetti complessi, tra i quali: i) facilità di accesso ai servizi e al mercato, per la diffusione del reticolo delle infrastrutture e dei sistemi di
33
trasporto; ii) frammentazione delle aree di suolo, per la crescita delle strutture insediative e delle
vie di comunicazione; iii) difficoltà di smaltimento degli eccessi idrici nei suoli, aggravati dalla
progressiva impermeabilizzazione urbana.
Nell’arco di venticinque anni la Regione Emilia-Romagna ha effettuato attraverso il proprio Servizio
pedologico un inventario della “risorsa suolo” concretizzato in prodotti cartacei e divulgativi. Si ricordino al proposito: i) la carta dei suoli in scala 1:250.000 dell’intero territorio regionale che, accompagnata da un volume di note illustrative, consente una visione di sintesi dell’informazione sui
suoli; ii) la carta dei suoli alla scala 1:50.000 disponibile per l’intero territorio regionale di pianura a
diversi livelli di approfondimento, secondo l’avanzamento dei lavori previsti dal programma pluriennale; iii) i cataloghi regionali dei suoli che riportano, per i principali suoli agricoli, considerazioni in merito alla gestione agro-forestale sostenibile per l’ambiente; iv) alcune carte derivate di tipo
applicativo, per lo più alla scala 1:50.000 (carte della capacità dell’uso dei suoli, carte dell’attitudine
delle terre ad alcuni tipi di coltivazione, ecc.) a supporto della pianificazione territoriale, della tutela
delle risorse idriche superficiali e sotterranee, degli interventi agronomici, dei piani di irrigazione e
bonifica, dei progetti relativi alla gestione dei parti e delle aree per il tempo libero41 .
In settori più consoni alla ricerca, l’Università di Bologna ha sviluppato (prima nei Progetti Finalizzati del Cnr Ipra e Raisa e ora nell’ambito del Pf. Panda del MiPa, indagini intese a valutare il grado
di consumo e di vulnerabilità della risorsa suolo in funzione dei diversi impatti agricoli ed extragricoli, utilizzando al meglio le potenzialità dei sistemi informativi geografici: ne sono scaturite procedure metodologiche atte a definire in termini quali-quantitativi i trend evolutivi dello sviluppo urbano correlati alla valutazione del consumo della risorsa, le modificazioni di alcuni caratteri chimicofisici dei suoli e la valutazione del rischio di inquinamento degli acquiferi a causa della distribuzione
sul suolo di sostanze contaminanti.
Riferimenti bibliografici del paragrafo 12
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geografici nella valutazione delle modificazioni ambientali e territoriali, Pf. Raisa-Cnr, Angeli, Milano.
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suolo, Pf. Raisa-Cnr, pubbl. n. 1425, Grafiche Zanini, Bologna.
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del suolo della provincia di Bologna: l’applicazione di un sistema informativo geografico”, Pf. Raisa-Cnr,
pubbl. n. 609, in Genio Rurale, n. 2, pp. 11-18.
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suolo: il quadro regionale in Emilia-Romagna, Pf. Ipra-Cnr, pubbl. n. 1284, Pitagora, Bologna.
13. Il territorio toscano42 è interessato per circa 525.000 ettari da affioramenti di depositi sabbiosi e
argillosi di origine fluviolacustre o marina, e di questi circa 210.000 sono utilizzati dall’agricoltura;
caratterizzate prevalentemente da Inceptisuoli e Vertisuoli, e in misura minore da Entisuoli e Alfisuoli, queste superfici manifestano una certa propensione al dissesto – prevalentemente per fenomeni
gravitativi – e all’erosione da parte delle acque meteoriche.
Gli elementi morfologici prevalenti sono rappresentati, secondo la legenda del progetto Sistemi territoriali (Bigi et al., 1987), da versanti complessi con frane e movimenti di massa e da versanti con
canali di erosione di notevoli dimensioni; la naturale propensione al dissesto di queste aree può essere esaltata, nei circa 65.000 ettari di superfici coltivate con pendenza superiore al 15%, dalle lavorazioni a rittochino e dalla formazione di consistenti suole di lavorazione spesso destinate a rappresentare, ad esempio nei depositi lacustri del Valdarno, la superficie di scivolamento di frane superficiali e colamenti.
41
Per maggiori e specifiche informazioni l’utente può accedere ai seguenti siti internet:
www.regione.emilia-romagna.it selezionando il settore “Cartografía” e poi il link “Cartografía Interattiva”;
www. gias.net selezionando il settore “suoli” e poi il link “Catalogo dei suoli di pianura”.
42
Report a cura di Andrea Vinci (Dipartimento sviluppo economico della Regione Toscana).
34
Per l’area della Val d’Era, interessata dall’affioramento di depositi marini di età pliocenica, Lulli
(1978) segnala rischi di degrado del suolo a causa di interventi di rimodellamento delle superfici che
possono portare all’affioramento del substrato, caratterizzato da una ridotta capacità di immagazzinamento dell’acqua, da una scarsa struttura e da un contenuto in sali tali da compromettere seriamente la resa delle colture. Effetti analoghi si riscontrano anche nelle aree interessate da depositi a
prevalente componente sabbiosa dove l’esposizione del substrato, caratterizzato da uno scarso grado
di strutturazione, può innescare, soprattutto in coincidenza con eventi piovosi di particolare intensità
o durata, vistosi fenomeni di erosione.
Nella fascia costiera, dal promontorio di Piombino al Monte Argentario, la forte richiesta di acqua a
scopi idropotabili, che nel periodo estivo subisce un notevolissimo incremento a causa della presenza
turistica, ha portato al progressivo deterioramento della qualità delle acque di falda a causa
dell’ingressione di un cuneo salino. Tale fenomeno ha subito una sensibile accelerazione in questi
ultimi anni, ponendo seri problemi per il mantenimento dei requisiti di qualità previsti dalle normative vigenti.
Per circa 15.000 ettari esiste dunque un consistente rischio di salinizzazione sia a seguito
dell’utilizzo di acque di scarsa qualità, sia per la presenza di piccole falde sospese a elevata salinità
che possono avvicinarsi alla superficie a causa di interventi irrigui non razionali o a seguito, per
esempio, della realizzazione di risaie; oltre agli effetti diretti sulle colture, in alcuni casi – come alla
foce dell’Ombrone – il rischio è rappresentato da un completo collassamento della struttura degli aggregati del suolo, con la conseguente formazione di croste superficiali e l’instaurarsi di condizioni di
asfissia radicale.
Allo scopo di incentivare una pratica irrigua più razionale e una più attenta gestione di una risorsa
qualitativamente a rischio, l’Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione nel settore agricoloforestale (Arsia) ha da tempo avviato un servizio di assistenza e consulenza agli agricoltori sui temi
dell’irrigazione, che consente di dimensionare e programmare gli interventi sulla base delle caratteristiche della coltura, dell’andamento climatico e delle caratteristiche del terreno.
Utilizzando la base dati relativa all’Inventario forestale della Toscana è possibile, confrontando i dati
di uso e copertura del suolo relativi al 1978 con quelli relativi al 1990, osservare i cambiamenti
nell’uso del territorio verificatisi nell’arco di poco più di un decennio; la perdita di circa 128.000 ettari di superficie coltivata è da imputarsi solo in parte al consumo di territorio per espansione urbana
o realizzazione di infrastrutture e insediamenti produttivi, e il fenomeno ha interessato circa 48.000
ettari di cui poco più della metà in pianura, con particolari concentrazioni in Versilia e lungo la valle
dell’Arno, fra Firenze e Pisa.
Di maggior rilevanza appare la riduzione della superficie agricola per motivi diversi, che ha interessato oltre 80.000 ettari concentrati prevalentemente nella Toscana centro-meridionale; si tratta, in
questo caso, del risultato di un progressivo abbandono dell’agricoltura in situazioni di marginalità
economica, corrispondente talvolta a condizioni di marginalità fisica ma, nella maggior parte dei casi, generata da una consistenza aziendale non in grado per dimensioni e per assetti produttivi di garantire livelli di reddito paragonabili con quelli offerti da altri settori produttivi.
Il fenomeno porta da un lato a un “impoverimento” della risorsa paesaggistica, con la scomparsa di
quel mosaico di utilizzi del territorio che da sempre ha caratterizzato il paesaggio toscano e,
dall’altro, accresce il livello di rischio idrogeologico del territorio; se per un verso si assiste alla
“riconquista” degli ex-coltivi da parte della vegetazione naturale, è pur vero che in alcuni casi la velocità del fenomeno è inferiore a quella con cui, a seguito della mancata manutenzione delle sistemazioni idraulico-agrarie, si instaurano fenomeni di dissesto soprattutto in quelle situazioni nelle quali
proprio le sistemazioni agrarie rappresentavano lo strumento più efficace per contrastare l’azione
degli agenti atmosferici.
La Regione Toscana43 ha realizzato, nel corso degli anni 80, il progetto Sistemi territoriali (Bigi et
al., 1987) nel cui ambito sono stati raccolti e organizzati dati relativi ai caratteri climatici, geologici,
morfologici e pedologici di tutto il territorio regionale. Tali informazioni possono interagire con le
altri basi informative contenute nel Sistema informativo territoriale regionale e, in particolar modo,
con la base dati relativa all’uso e copertura del suolo realizzata nell’ambito dell’Inventario forestale
della Toscana (Hofmann, 1998).
Pur non disponendo di una cartografia pedologica confrontabile, per dettaglio e contenuti informati43
Report a cura di Andrea Vinci (Dipartimento sviluppo economico della Regione Toscana).
35
vi, con quelle di altre regioni (come per esempio l’Emilia-Romagna), il livello conoscitivo disponibile consente una analisi e valutazione dei caratteri del territorio a scale dell’ordine dell’1:100.000 o
più piccole; i fenomeni e i rischi di degrado del suolo non sono stati, per il momento, esattamente localizzati o rilevati ma è comunque possibile, sulla base delle informazioni disponibili, esaminare il
problema a scala regionale anche sulla scorta di studi e indagini di maggior dettaglio svolte in passato da soggetti diversi dalla pubblica amministrazione.
Riferimenti bibliografici del paragrafo 13
Bigi L., Favi E., Maiani S., Rustici L. e Vinci. A. (1987) “Il progetto Land System per l’analisi fisicoambientale del territorio toscano”, in Mem. Soc. Geol. It., 37 583-593.
Hofmann A. (1998) “L’inventario forestale”, in Boschi e macchie di Toscana, Dipartimento dello sviluppo
economico, Giunta regionale della Toscana, Firenze.
Lulli L. e Delogu F. (1978) “Differenze nello sviluppo e nella produzione del frumento duro (var. Appulo) indotte dalle pratiche di livellamento”, in Annali Ist. Sper. Studio e Difesa del Suolo, Vol. IX, 139-161.
14. La morfologia del territorio marchigiano 44 appare caratterizzata da un forte contrasto tra la porzione occidentale, prevalentemente montuosa, e quella orientale essenzialmente fondata su morfologie collinari che si estendono fino al mare Adriatico.
Nelle zone montuose sono presenti due dorsali, con quote spesso superiori ai 1.000 m. s.l.m., costituite in prevalenza da rocce calcaree mesozoiche separate da depressioni collinari costituite da sedimenti terrigeni; nell’area meridionale della regione le dorsali si uniscono per costituire il massiccio
dei Monti Sibillini (dove sono presenti le vette piu elevate coime il Monte Vettore, che raggiunge
2422 m); la fascia a oriente delle dorsali è caratterizzata da un paesaggio assai più dolce, modellato
su un’estesa struttura monoclinalica costituita da terreni pelitici e arenacei plio-pleistocenici.
Nell’area posta nella parte nord occidentale, a confine con la Toscana e l’Emilia-Romagna, i caratteri
geomorfologici e geografici sono condizionati dall’affioramento delle argille scagliose (rappresentative della Colata Gravitativa della Val Marecchia) e dei rilievi montuosi isolati costituiti da litoidi
alloctoni (Sasso Simone e Simoncello, M. Carpegna, ecc.).
La maggior parte dell’area drena le acque verso l’Adriatico, infatti tutti i corsi d’acqua scorrono in
direzione ovest-est e attraversano le dorsali carbonatiche determinando una tipica morfologia caratterizzata da forre e gole; in queste zone interne le valli fluviali sono per lo piu strette e approfondite
mentre nelle aree collinari poste a oriente esse sono piu aperte. Il reticolo idrografico principale è
ben sviluppato ed è caratterizzato, in funzione di un clima in cui le piogge sono concentrate nel periodo autunnale-invernale, da un regime torrentizio, da una limitata lunghezza e da un profilo trasversale asimmetrico delle valli.
Per quanto riguarda i suoli, nelle aree esterne alle dorsali carbonatiche sono stati condotti studi su
bacini campioni che hanno rilevato la presenza di: i) suoli poco evoluti (Tipic Xerorthents; Tipic Xerorchrepts) a causa di fenomeni erosivi dovuti a condizioni geomorfologiche sfavorevoli e a effetti
negativi del clima e della litologia; ii) suoli poco evoluti d’apporto su substrati alluvionali attuali
(Tipic Xerofluvents; Tipic e Fluventic Eutrochrepts); iii) suoli lisciviati (Tipic Hapludalfs), cioè formatisi in condizioni di clima e vegetazione differenti da quelli attuali; iv) suoli fersiallitici (Tipic
Paleustalfs) corrispondenti a sedimenti alluvionali terrazzati.
I principali fenomeni di degrado del territorio e del suolo che interessano le Marche sono riconducibili ai tre seguenti principali fattori: i) caratteristiche litologiche; ii) condizioni meteoclimatiche; iii)
attività antropiche; poiché i primi due elementi sono da considerarsi costanti, in quanto difficilmente
modificabili o al massimo assoggettati a tipi di trasformazioni assai lenti, il fattore che più condiziona il rischio di degrado della risorsa suolo in senso lato risulta in stretto rapporto con le modalità di
utilizzo e di sviluppo degli insediamenti e delle infrastrutture; infatti:
a) uno dei principali problemi emersi negli ultimi decenni è quello del dissesto idrogeologico le
cui cause derivano da una cattiva gestione del territorio in termini di mancato controllo e diminuzione di attività manutentive: lo sviluppo tecnologico ha comportato il passaggio da una tipica coltivazione promiscua (ad es. cereali e filari di vigneti) alla monocoltura estensiva (grano,
barbabietola, vigneti, ecc.), e il cambiamento ha necessitato di una diversa organizzazione di
campo per un più razionale uso delle macchine; inoltre, con l’impiego delle macchine è nata la
44
Report curato da Marcello Principi (Servizio urbanistica e cartografia della Regione Marche).
36
convinzione che si potesse coltivare, senza alcuna cautela, tutti o quasi i terreni fossero essi pianeggianti o molto acclivi: non si è tenuto conto, ad esempio, che un versante con pendenza superiore al 30% sarebbe stato, se coltivato, comunque interessato dall’erosione del suolo;
b) associata al fenomeno dell’erosione si è constatata – in un quadro di generale denudamento dei
versanti argillosi e arenacei – la forte riduzione della produzione zootecnica insieme alla diminuzione di sostanza organica, fattore che condiziona direttamente la fertilità del suolo e non
solo; il livello di fertilità e le capacità produttive del suolo sono state comunque garantite dalla
concimazione con fertilizzanti di sintesi i quali però, dilavati dalle piogge, sono stati trasportati
a valle e in profondità (contribuendo alla riduzione delle qualità chimico-fisiche delle acque di
subalveo) o addirittura hanno provocato un diffuso inquinamento delle stesse per la presenza di
nitrati e di atrazina;
c) inoltre, l’introduzione di diversi sistemi produttivi (arature profonde, eliminazione di filari e
siepi), la generale differente configurazione dei versanti e la ridotta manutenzione della rete viaria e del sistema di drenaggio delle acque meteoriche hanno determinato un aumento dei fenomeni franosi; nello stesso tempo la maggior capacita di erosione delle acque ha determinato un
notevole incremento di trasporto solido, ricco di sostanze nutritive, dai versanti ai fiumi per cui
all’interno degli alvei si sono formate delle aree di sovralluvionamento in cui si è sviluppata una
vegetazione arbustiva e arborea, che ha ridotto le sezioni di deflusso aumentando il rischio di
inondazione delle aree di fondovalle;
d) infine, ha avuto luogo un processo di consumo di suolo da parte degli insediamenti residenziali
e produttivi, per valutare il quale sono state analizzate e confrontate le informazioni contenute
nel database dell’uso del suolo nell’ambito dell’Ufficio cartografia e informazioni territoriali
della Regione Marche, in cui sono distinte a scala regionale le aree di sviluppo insediativo per
soglie diverse (1978-1984 e 1994 ); dalla verifica risulta che, alla prima soglia, la superficie occupata dai processi urbanizzativi risultava di circa 460 kmq su 9.900 complessivi, mentre dai
dati dell’aggiornamento 1994 emerge un incremento urbanizzato di 18 kmq., pari a circa il 4%,
prevalentemente localizzato nelle aree pianeggianti della costa e nelle vallate lungo i corsi
d’acqua;
e) da quanto finora esposto risulta evidente che nel territorio della regione Marche sono individuabili i seguenti fenomeni: elevata erosione e denudamento, perdita di fertilità, inquinamento,
frane ed esondazioni, consumo di suolo, il tutto in elevata correlazione.
A fronte di questa situazione di degrado del territorio regionale, le conoscenze di tipo pedologico sono assai scarse e possono venire riferite solo a esperienze specifiche in alcune aree (l’Università di
Perugia nel territorio ascolano, l’Associazione intercomunale di Pesaro, le Associazioni di comuni
delle Valli Misa e Nevola e del Recanatese).
Riferimenti bibliografici del paragrafo 14
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Calandra R. (1983), “Capacita d’uso dei suoli della provincia di Ascoli Piceno”, in Annali Facolta di Agraria,
Vol. XXXVII, Perugia.
15. Le informazioni relative ai tipi di suolo dell’Umbria 45 sono piuttosto scarse e non permettono di
affrontare l’argomento in maniera efficace ed esaustiva a scala regionale. Sulla base dei lavori già
pubblicati o in fase di stesura presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Perugia è
possibile tuttavia effettuare una prima e sommaria descrizione dei suoli umbri, consentendo di ricondurli a tre diverse tipologie: Entisuoli, suoli poco evoluti con profili pedologici di tipo A-C oppure
A-R, diffusi lungo tutti i versanti collinari e montuosi, in coincidenza di superfici di erosione, come
pure nelle aree interessate da ricoprimenti; Inceptisuoli, suoli più evoluti con profili pedologici di tipo A-Bw-C, dove è presente l’orizzonte Bw di alterazione, diffusi soprattutto nelle aree collinari e
45
Report a cura di Claudio Nardoni e Francesco Grohmann (Ufficio produzioni vegetali della Regione Umbria).
37
lungo le basse pendici montane dove l’inclinazione del versante assume valori medio-bassi; Alfisuoli, suoli evoluti con profili pedologici di tipo A-E-Bt-C o più differenziati, dove è presente
l’orizzonte Bt di accumulo di argille eluviali, particolarmente diffusi nelle aree pianeggianti stabili
quali i terrazzi alluvionali; suoli tipici di specifiche e ristrette aree, prodottisi aseguito di particolari
condizioni ambientali, sono poi gli Histosuoli dei piani di Colfiorito, i Vertisuoli rilevabili in piccole
aree depresse della Valle Umbra e i Mollisuoli tipici di alcune radure sommitali dei principali rilievi
calcarei.
Il Servizio programmazione forestale, faunistico-venatoria ed economia montana ha inoltre realizzato alcuni elaborati a finalità pratico-applicativa basati, fra l’altro, su indagini pedologiche (in particolare, la ricerca Eco.T. finalizzata alla conoscenza della potenzialità produttiva del territorio regionale relativamente al tartufo bianco e al tartufo nero pregiato, e la carta della suscettibilità
all’imboschimento realizzata su circa 150.000 ha).
Relativamente ai rischi di degrado e inquinamento dei suoli le problematiche di maggiore rilievo sono rappresentate dall’erosione dei terreni agrari, dal carico chimico dovuto ai fertilizzanti e fitofarmaci e dal carico di fosforo e azoto dovuti all’attività zootecnica:
a) in considerazione della morfologia collinare e montana, è l’erosione idrica laminare a produrre i
maggiori effetti, in parte limitati dalla diffusa copertura forestale (35,6% del territorio regionale); su questo argomento sono stati effettuati studi dall’Istituto di pedologia dell’Università di
Perugia (Rondelli, 1991, 1992 e 1995), finalizzati ad adeguare ai climi italiani la cosiddetta
“equazione universale per la perdita di suolo”, nata e sperimentata per gli ambienti pedoclimatici degli Stati Uniti d’America;
b) vista l’assenza di reti di monitoraggio nella realtà agricola umbra, la previsione del pericolo di
inquinamento chimico del suolo è stata effettuata con l’applicazione di modelli matematici previsionali solo per alcune situazioni particolari. A proposito si possono citare gli studi di Veschetti e Businelli (1992) e Businelli (1995), concernenti rispettivamente la Simulazione del
movimento e della persistenza di alcuni erbicidi s-triazinici nei suoli umbri e gli Aspetti previsionali dell’inquinamento da fitofarmaci;
c) gli effetti dell’attività zootecnica rappresentano un argomento su cui sussiste particolare sensibilità anche da parte dell’opinione pubblica, e pertanto sono stati oggetto di maggiori approfondimenti individuando le aree a più alto rischio d’inquinamento e quelle che presentano i più alti
carichi di azoto e fosforo; partendo dalla consistenza del patrimonio zootecnico regionale è stata
effettuata una stima del potenziale inquinante degli allevamenti sul suolo e sull’ambiente idrico,
attraverso il calcolo dei carichi teorici di fosforo e azoto prodotti e della popolazione equivalente; per la loro valutazione si è fatto riferimento a una metodologia indiretta che prevede
l’utilizzo di coefficienti (Marchetti e Verna, 1990) che tengono conto dei pesi medi delle varie
specie; per l’inquinamento organico si è fatto ricorso all’uso di coefficienti denominati “abitanti
equivalenti” che indicano il contributo inquinante di ciascun capo espresso come il numero di
abitanti. Dall’analisi dei dati relativi ai censimenti dell’agricoltura del 1980 e 1992 emerge che
le aree a maggiore rischio di inquinamento derivante dalle attività zootecnica, come pure il numero degli abitanti equivalenti, si collocano nella parte centrale della regione e nelle aree circostanti il lago Trasimeno.
Riferimenti bibliografici del paragrafo 15
Aa. Vv. (1997), Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria, Regione dell’Umbria.
16. Il territorio dell’Abruzzo 46 può essere suddiviso in quattro province geomorfologiche: i) le colline terrigene plio-pleistoceniche adriatiche; ii) i rilievi flyschoidi miocenici dei Monti della Laga e
della fascia pedomontana adriatica; iiii) i rilievi miocenici dei complessi alloctoni e flyschoidi
dell’Appennino molisano; iv) i rilievi montuosi dei massicci carbonatici appenninici; in particolare:
a) le colline terrigene sono colline più o meno pronunciate, a seconda del litotipo prevalente, con
quote comprese tra 100 e 400 metri, incise dalle valli alluvionali dei principali fiumi adriatici
(Tronto, Vomano, Sangro, Trigno, ecc); i sedimenti, da cui hanno origine, risalgono al ciclo di regressione marina: argille, sabbie e conglomerati del Pleistocene, argille plioceniche che formano
46
Report a cura di Igino Chiuchiarelli e Paolo Verna (Arssa della Regione Abruzzo).
38
anche il parent material degli ampi fondivalle alluvionali come sedimenti incoerenti e chiaramente sabbie costiere. Le colline si sviluppano in direzione NNW-SSE e i rilievi hanno diversa
energia e sono disposti a quote differenti in funzione dell’entità e degli eventi neotettonici seguenti al periodo di deposizione. La loro morfologia è legata alle modalità e all’intensità degli
agenti esogeni ed è condizionata dai materiali affioranti, che determinano un’erosione selettiva. I
suoli prevalenti sono fortemente calcarei e hanno profondità da molto elevata a elevata e tessitura
fine; si sono formati su sedimenti a tessitura fine di spessore superiore al metro e mezzo e hanno
subito, rispetto al materiale di origine, un’alterazione biochimica non molto pronunciata, data
l’epoca relativamente recente a cui risale la fine della deposizione. Col variare dell’umidità,
l’alternarsi dei fenomeni di rigonfiamento e contrazione dei materiali argillosi comporta una
strutturazione del suolo di tipo meccanico che tende a uniformare il profilo, pur provocando fessurazioni negli orizzonti superficiali (intergradi vertici). Oltre a questi suoli ve ne sono diversi altri con alcune peculiarità: minor profondità, tessitura più grossolana e minore evoluzione, problemi di idromorfia, suoli antichi e paleosuoli ecc.;
b) i rilevi montuosi flyschoidi dei monti della Laga hanno quote comprese tra 1700 metri e 2400
metri, con elevata energia di rilievo, mentre quelli della fascia pedomontana si elevano tra 400 e
700 metri con media energia di rilievo; i sedimenti che li costituiscono sono dati da alternanze
pelitico-arenacee e marne calcaree del Miocene;
c) i rilevi montuosi e collinari miocenici, media montagna argillosa, hanno quota prossima ai 1000
metri, eccezionalmente 1800; sono formati da sedimenti alloctoni pelagici argilloso-siltosi e flyschoidi emipelagici pelitico-arenacei;
d) i rilievi montuosi dei massicci carbonatici raggiungono con il Gran Sasso 2.912 metri di altezza,
hanno aspetto spesso aspro con versanti assai acclivi, scarpate e forte energia del rilievo, sono
intercalati da bacini di origine carsica e da grandi conche intramontane con sedimenti carbonatici
appartenenti alla piattaforma laziale-abruzzese del mesozoico.
Per gli altri ambienti delle zone interne, non ricadenti nella fascia peri-adriatica, i dati rilevati per la
carta dei suoli di prima approssimazione al 250.000 sono in fase di elaborazione.
Il principale rischio di degrado dei suoli è sicuramente legato al fenomeno erosivo, seguito dal consumo di suolo per urbanizzazione che in alcune zone è da ritenersi di rilevante consistenza.
L’erosione, in regione, si riscontra in tutte le sue diverse componenti: superficiale o fogliare, per rigagnoli, fossi e burronamenti, intersecandosi con il fenomeno franoso; nella fascia peri-adriatica, sui
sedimenti precedentemente descritti, è possibile osservare al variare dell’inclinazione del versante
l’accentuarsi del fenomeno erosivo che percorre tutti i suoi gradi fino al verificarsi del fenomeno
franoso; è evidente che le diverse condizioni geolitologiche, geomorfologiche, climatiche, vegetazionali e di antropizzazione caratterizzano la distribuzione e l’entità di detti fenomeni, e oltretutto
l’erosione è sicuramente collegata alla perdita di sostanza organica del suolo tale che il suo valore,
nella fascia peri-adriatica, è intorno allo zero; un discreto aggravamento della situazione è collegabile alle operazioni di sbancamento e livellamento per l’impianto dei vigneti, coltura molto diffusa
nel territorio delle colline plio-pleistoceniche.
Dai dati storici è riferibile che la maggior franosità spetta alla provincia di Chieti, in cui si riscontra
il 56% dei movimenti franosi dell’intera regione, seguita da quella di Pescara, Teramo e infine
L’Aquila. La tipologia degli eventi è riconducibile a frane di colamento, scivolamento e in parte di
smottamento e crollo, soprattutto a causa della tipologia di suolo e di substrato presente nella zona
peri-adriatica (famosi sicuramente sono i cala nchi di Fossacesia e di Atri).
Per quanto riguarda l’erosione nelle zone interne dei massicci calcarei, l’entità del fenomeno è sic uramente minore per sostanza e per consumo di suolo; l’unica nota d’interesse è data dal fatto che, nei
versanti, il suolo è poco profondo e derivante, in molti casi, da parent material vulcanici. Tale suolo
permette di sostenere una copertura forestale di discreto vigore per cui, se l’evento erosivo si dimostra particolarmente aggressivo, dopo un incendio (p. es. pineta di Celano o Monte Salviano) o un errato disboscamento sarà necessario aspettare una nuova eruzione per riformare un suolo, seppur minimo, dotato di tale fertilità. In ogni caso anche le rocce coerenti, come i calcari e le dolomie possono dar luogo a frane, se fortemente tettonizzate o affioranti a franapoggio, anche per l’elevata quantità delle precipitazioni che in dette zone raggiungono valori superiori a 1000 mm di pioggia.
La compattazione è un altro fenomeno do degrado di minor rilevanza, sia per estensione che per gravità. Essa interessa in parte tutte le zone soggette ad agricoltura intensiva, su suoli con tessitura fine
o molto fine. Il problema è legato alla scelta di tecniche colturali inadeguate alle condizioni pedolo-
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giche e all’utilizzo di sistemi di raccolta molto invasivi, che non tengono conto delle caratteristiche
strutturali e tessiturali e di umidità del suolo. Il fenomeno peggiora di anno in anno, imponendo una
sempre maggiore intensità di spesa a livello di lavorazioni e di contenimento delle fitopatologie, e
tutte le valli fluviali e le conche intramontane, dove l’agricoltura rappresenta una buona fonte di reddito, si trovano ad affrontare il problema della compattazione.
Riguardo al degrado e alla perdita di suolo per urbanizzazione, il fenomeno assume contorni preoccupanti nelle zone di pianura e quindi neri confronti dei suoli di maggior valore agricolo (d’altronde
la regione Abruzzo si ritrova circa il 75 % del territorio occupato dai rilievi); dai dati desunti da
un’indagine condotta dall’Arrsa sull’uso del suolo (metodologia Corine), si rileva che nel 1954 la
superficie regionale occupata da aree urbanizzate era di circa 8.500 ettari mentre nel 1996 tale superficie si aggira sui 26.000 ettari; inoltre le discariche, non rilevabili al 1954, occupano 1.950 ettari nel
1996.
Lo stato delle conoscenze e dei lavori di indagine ambientale, come risulta all’Arssa, è il seguente: i)
carta geologica regionale al 100.000; ii) carta geologica regionale al 25.000 di prossima pubblicazione; iii) carta geomorfologica al 25.000; iv) carta del rischio di erosione nella provincia dell’Aquila al
100.000; v) carta dell’uso del suolo al 25.000; vi) carta dell’uso del suolo al 100.000; vii) carta tecnica regionale al 25.000; viii) ortofotocarte al 10.000; ix) atlante del territorio rurale (I/II approfondimento); x) carta dei suoli per il bacino del Fucino, Val Vomano, Valle del Trigno; xi) prima approssimazione della carta dei suoli al 250.000 della regione; xii) prima approssimazione del rischio potenziale dei suoli al 250.000 della regione.
Tutti questi documenti sono già disponibili in formato digitale o in via di informatizzazione per il loro utilizzo tramite i Gis più comuni.
17. Il suolo 47 , in quanto corpo naturale che costituisce la parte superiore della crosta terrestre, è un
sistema aperto sottoposto a continui flussi di materia ed energia. A causa di fattori naturali e antropici, esso è sottoposto a un insieme di processi che ne modificano l’aspetto strutturale e funzionale
(Tosco e D’Antonio, 1995). Tali processi “in funzione del grado di reattività del suolo alle sollecitazioni prodotte dagli agenti perturbanti esterni (sensibilità), determinano delle modificazioni fino ad
un limite oltre il quale tendono a manifestarsi forme di degrado in una o più delle sue funzioni chimico, fisiche e biologiche (vulnerabilità)” (Sequi e Vianello, 1998).
Tuttavia, mentre sono solo il tipo, il grado e la velocità d’interazione che si instaurano tra suolo e
agente modificatore a determinare la sensibilità del suolo, introducendo il concetto di “vulnerabilità”
l’uomo stabilisce, per specifiche esigenze o necessità, il livello o la soglia oltre il quale un suolo è
definibile come tale (Lulli, 1996). In altre parole, la soglia di vulnerabilità è una quantità o una qualità dell’agente modificatore che nulla ha a che fare con gli aspetti interni del “sistema suolo”, quanto
piuttosto con una visione “funzionale” all’utilizzazione umana.
Pertanto, solo conoscendo le componenti di un suolo e la loro l’organizzazione spaziale (aspetto
strutturale) e avendone compreso i processi e i meccanismi interni (aspetto funzionale), è possibile
valutarne la sensibilità.
Successivamente, per definire la vulnerabilità del suolo e il livello di degradazione da esso raggiu nto, è necessario individuare i fattori di modificazione esterni. In tal senso, e con un elevato grado di
generalizzazione, ai fattori naturali si possono ascrivere i processi geologici catastrofici e lenti, climatici e chimico-fisici, geomorfologici, di salificazione e alcalinizzazione, di contaminazione da
metalli pesanti; ai fattori antropici si possono attribuire i processi di modificazione dell’assetto
idraulico, delle linee costiere, di dissesto idrogeologico indotto, di erosione e squilibrio chimicofisico indotto da attività agronomiche, contaminazione organica o da metalli pesanti (Sequi e Vianello, 1998).
Negli approfondimenti successivi si evidenziano dunque gli aspetti della sensibilità dei suoli e della
vulnerabilità di alcuni ambienti dell’Italia meridionale e insulare che, più visibilmente, si sono mani47
Contributo di Domenico Tosco (Se.S.I.R.C.A. dell’Assessorato all’agricoltura, Regione Campania), Giovanni Aramini (Agenzia regionale sviluppo e servizi in agricoltura, Regione Calabria), Franco Bellino (Servizi di
sviluppo agricolo, Assessorato all’agricoltura, Regione Puglia), Fabio Guaitoli (Assessorato all’agricoltura,
Regione Puglia), Giuseppe Antonino Di Lisa (Consulente Ersa, Regione Molise), Giosuè Loj (Settore difesa
del suolo dell’Ersat, Regione Sardegna), Antonino Pumo (Assessorato all’agricoltura, Regione Sicilia), Tito
Reale (Laboratorio cartografico pedologico dell’Ersa, Regione Molise), Luigi Viviano (Agenzia lucana di sviluppo e innovazione in agricoltura, Regione Basilicata).
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festati negli ultimi anni, nonché si prospettano i possibili scenari e i temi prioritari che, nell’ambito
della degradazione e della protezione del suolo, dovranno essere affrontati negli anni a venire in ambiente mediterraneo.
Il mezzogiorno d’Italia, com’è noto, è caratterizzato da condizioni climatiche mediterraniche: forte
contrasto tra temperature invernali ed estive, piovosità concentrata in autunno e inverno. Altre peculiarità sono rappresentate da serie climatiche con anni molto o poco piovosi e dall’intensità della
pioggia che può essere molto elevata, il che determina che gran parte della precipitazione annuale si
può concentrare in pochi eventi.
Pertanto il sud Italia, come ogni altro ambiente mediterraneo, manifesta una specificità per alcuni dei
processi di degradazione dei suoli: tra questi, l’erosione idrica. Diversi sono i fattori predisponenti e
scatenanti intensi processi di erosione in questi ambienti (Torrent, 1995): in primis l’erosività delle
piogge, con eventi piovosi intensi e brevi, talvolta anche estremi, nei periodi di minore copertura vegetazionale (fine estate). Poi l’erodibilità dei suoli, in genere poveri in sostanza organica, talvolta
connessa ad aspetti morfologici quali l’esposizione dei versanti (Panicucci e Maletta, 1987) che ne
determina un differenziale di erosione (le superfici orientate a sud sono più erodibili di quelle orie ntate a nord). Infine l’uso e la gestione dei suoli nei sistemi colturali agrari e forestali non correttamente praticata (anche se nell’ambiente del sud Italia numerose opere di conservazione, come terrazzamenti e ciglionamenti, testimoniano una lunga storia a riguardo dei problemi di erosione).
Altro fattore importante di degradazione comune ai suoli alle regioni del sud Italia, come per tutta
l’area del Mediterraneo, è rappresentato dagli incendi sia dei pascoli, dove sono utilizzati come vera
e propria pratica agronomica (“pulizia dei pascoli”) (Pulina et al., 1997) che delle aree boscate. Oltre
all’effetto immediato sui fenomeni erosivi, soprattutto nei terreni declivi dove le perdite di suolo
possono aumentare anche di 34 volte (Talamucci, 1984), il fuoco ha effetti indiretti non meno pericolosi come la drastica riduzione della sostanza organica da cui, per pirolisi, si possono produrre sostanze idrorepellenti negli orizzonti sottosuperficiali che formano pellicole impermeabili sui cui
l’acqua di infiltrazione scorre lateralmente (Talamucci, 1984; Torrent, 1995), aumentando quindi la
vulnerabilità dei suoli all’erosione. Ne consegue che, per gli ambienti caratterizzati da un tipo climatico “Cs” della classificazione del Köppen, attribuibile al bacino del mediterraneo, Torrent (1995) riporta un valore in sedimenti asportati pari a 832 t km-2 anno-1, molto basso se confrontato con quello
degli ambienti tropicali, ma molto alto se confrontato con gli ambienti del centro e nord Europa.
Altro aspetto importante di degrado dei suoli delle aree meridionali e insulari italiane è rappresentato
dalla salinità , sia naturale ma più spesso indotta dall’uso di acque irrigue di bassa qualità. Già nel
caso di un’irrigazione con acqua “dolce”, contenente lo 0,5% di sali, considerando che per una coltura vengono somministrati 4000÷5000 m3 ha-1 anno-1, si apportano al suolo 2-2,5 t ha -1 di sali i quali,
se non vengono dilavati con le precipitazioni nel periodo autunno-vernino, possono determinare pericolosi accumuli. Tuttavia, a fronte di una riconosciuta importanza del fenomeno, non è possibile
determinare con una sufficiente accuratezza l’estensione delle terre affette da salinità o sodicità nelle
regioni del Sud Italia, non solo per l’aumento delle aree rese irrigue in questi ultimi decenni, ma anche per il ricorso sempre maggiore di acque di minore qualità, quando non anomale (Fierotti, 1999).
Per contro, ben conosciuti sono gli effetti che elevate concentrazioni di elettroliti determinano sul
suolo e sulle colture (Aringhieri, 1999; Fierotti, 1999).
18. Nel Molise è possibile individuare tre principali sistemi ambientali: il sistema della montagna
appenninica centro-meridionale, il sistema dell’alta e media collina (Molise centrale), il sistema costiero e della bassa collina che degrada verso il mare Adriatico (Reale et al., 1999).
Il sistema della montagna (150.000 ettari), caratterizzato dalla presenza di litologie carbonatiche con
i sottosistemi ad esso collegati, non è interessato da fenomeni di particolare rilevanza sotto l’aspetto
della vulnerabilità dei suoli grazie a un buon assetto geopedologico complessivo, alla presenza di
una discreta superficie silvopastorale e alla maggior salvaguardia introdotta con l’istituzione dei piani regionali paesistici che ne hanno tutelato l’integrità.
Fenomeni degenerativi dovuti all’erosione si riscontrano in gran parte nel sistema dell’alta e media
collina (230.000 ettari), dove formazioni calcareo-marnoso-selciose, complessi flyscioidi arenaceomarnosi e argillo-marnosi sovrastano i termini delle Argille Varicolori (Patacca et al., 1991). I principali fattori che concorrono alla predisposizione a tali fenomeni sono: la natura del corpo roccioso
(litotipo argilloso), la pendenza dei versanti, la distribuzione pluviometrica irregolare, l’errata pro-
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grammazione delle modalità di lavorazione agricola. In particolare, la presenza delle Argille Varicolori, o scagliose, rende i terreni instabili dando luogo frequentemente a estesi movimenti franosi
(colamenti, scoscendimenti e misti) anche in versanti con debole pendenza, nonché a fenomeni di
erosione accelerata che portano anche alla formazione di calanchi. Tale fenomeno impedisce, specialmente nei versanti, la normale alterazione chimico-fisica dei minerali e l’avvio dei processi di
formazione del suolo.
A ciò si devono aggiungere le scelte inidonee nella programmazione agricola che hanno contribuito,
in modo significativo, ad aggravare il degrado di tale ambiente. L’aumento della meccanizzazione
agricola, anche in versanti predisposti naturalmente al franamento, oltre a produrre un sovrasfruttamento ha causato un peggioramento degli assetti complessivi i cui tentativi di sistemazione idraulico-forestale (rimboschimento, viminate ecc.) non sempre hanno fornito buoni risultati poiché i fenomeni di erosione e di dissesto idrogeologico hanno già compromesso del tutto la stabilità dei versanti. In tali aree sarebbe opportuno intervenire mediante scelte “politiche” rivolte a incrementare la
vegetazione spontanea o seminaturale in modo da non esporre le superfici argillose all’azione degli
agenti atmosferici, permettendo così al sistema roccia-suolo-vegetazione di riequilibrarsi.
Il sistema costiero e della bassa collina (64.000 ettari), in cui le formazioni argillose e sabbiosoconglomeratiche si alternano ai terrazzi fluviali delle valli dei fiumi Biferno e Trigno, è soggetto
all’uso agricolo intensivo e a utilizzi sempre maggiori da parte dei settori extragricoli (industriali e
artigianali).
I problemi di sensibilità e vulnerabilità dei suoli sono anche in questo sistema legati a una maggiore
esposizione dei suoli a fenomeni di erosione. Ai fenomeni di erosione naturale si aggiungono problemi legati alle tecniche di lavorazioni di alcuni tipi di suoli: in molte aree, infatti, gli orizzonti pr ofondi sono ricchi di carbonato di calcio (croste di calcare polverulento) che, con lavorazioni profonde del terreno, viene riportato in superficie provocando un notevole peggioramento generale delle
caratteristiche dei suoli. Si può ipotizzare che in tali aree, precedentemente a tali lavorazioni, i suoli
appartenessero in gran parte all’ordine dei mollisuoli con migliori caratteristiche chimico-fisiche e
senza grosse limitazioni all’uso; successivamente, l’elevato contenuto in calcare totale e calcare attivo presente anche negli orizzonti superficiali ha creato forti limitazioni alle scelte colturali (Cocchiarella et. al., 1996; 1997).
Infine, l’uso talvolta eccessivo di fertilizzanti azotati e antiparassitari possono ripercuotersi sulla
qualità delle acque di falda e dei corsi d’acqua prossimi al mare. Quindi la vulnerabilità dei suoli deve essere affrontata in termini di “pressione chimica”, come in parte attuato dalla Regione Molise
con l’applicazione del regolamento comunitario 2078/92. La permeabilità dei terreni e la presenza di
acquiferi superficiali impongono una maggiore attenzione in questo senso anche per valutare la
“capacità di attenuazione dei suoli” secondo l’allegato 7 del D.L. 152/1999.
19. Fattori climatici e, soprattutto, litologici rendono i suoli della Campania tra i più fertili delle regioni agricole del meridione d’Italia: la reddittività della terra – 6,8 milioni di lire per ettaro di Sau –
è la più alta non solo rispetto a tutte le altre regioni del sud Italia, ma si colloca ben oltre la media
nazionale – 4,2 milioni di lire per ettaro di Sau – (Istituto Nazionale di Economia Agraria, 1999).
I suoli, infatti, risentono fortemente del vulcanesimo dei principali distretti vulcanici campani (Roccamonfina, Campi Flegrei, Somma-Vesuvio e Isola d’Ischia) anche quando non sono direttamente
prodotto di vulcaniti: pressoché ovunque in Campania si riscontrano suoli con caratteristiche e proprietà, più o meno evidenti, ereditate da tali materiali e che quindi manifestano una elevata fertilità
naturale (Lulli, 1999).
Tuttavia, i fenomeni di vulnerabilità a cui soggiacciono i suoli della Campania non si discostano
molto da quelli dell’ambiente del bacino del Mediterraneo e, anzi, in taluni casi sono maggiormente
accentuati. Processi di erosione, di decadimento della fertilità, avanzamento dei fenomeni di salinizzazione e, non ultimo, la forte urbanizzazione della fascia costiera, costituiscono causa primaria di
degrado.
Il sistema ambientale più sensibile ai processi di erosione è certamente quello dei rilievi carbonatici,
appenninici e preappenninici, caratterizzati dalla presenza di suoli evolutisi non dalla roccia calcarea
sottostante ma da vulcaniti (piroclastiti di ricaduta e vulcanoclasti) provenienti dai distretti vulcani
(D’Antonio et al., 1992; Di Gennaro et al., 1995), un sistema che si stima occupi più di 500.000 ettari del territorio campano.
L’attuale paesaggio di tale sistema ambientale (versanti meridionali con rada vegetazione xerofila
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associata a roccia affiorante e versanti settentrionali boscati) rappresenta la testimonianza di un processo di perdita irreversibile dei suoli avvenuto nel passato, ma che è ancora in atto. Cessata infatti
l’azione di ricoprimento, la forte pressione antropica operata con gli intensi disboscamenti in epoca
romana e medievale, ma che in misura minore permane tutt’oggi, ha innescato intensi fenomeni erosivi a causa dell’elevata erodibilità dei suoli (tendenzialmente sabbiosi) e dell’erosività delle piogge
(la Campania è tra le regioni meridionali quella con maggiore piovosità). Tuttavia il grado di erosione si manifesta differentemente a seconda dell’esposizione dei versanti in quanto questa determina
un diverso soleggiamento e, conseguentemente, significative differenze di evapotraspirazione. Ne
consegue che i suoli dei versanti a nord, con maggiore disponibilità idrica indotta dalle condizioni
morfoclimatiche, permettono un più rapido ricostituirsi della vegetazione tagliata (il ceduo del bosco
è l’uso prevalente) rispetto ai versanti esposti a sud (D’Antonio et al., 1992). In tal modo l’effetto
antierosivo e regimante della vegetazione permette di contenere le perdite erosive più efficacemente
sui suoli dei versanti settentrionali rispetto ai suoli dei versanti meridionali i quali, più esposti alle
piogge, perdono progressivamente lo spessore originario sino a essere completamente erosi, come si
rileva lungo tutti i rilievi calcarei del versante tirrenico.
Tale processo è tutt’ora in corso, anche con movimenti di massa, talvolta catastrofici, ma assolutamente comuni per queste litologie (Del Prete et al., 1998): i suoli sono al massimo grado di vulnerabilità, in quanto sono destinati ad esaurire il substrato pedogenetico (a meno di eventi naturali che
rinnovino la coltre piroclastica), e quindi devono essere gestiti con tutte le pratiche conservative utili
al mantenimento dell’erosione a livelli naturali.
Di altra natura è la vulnerabilità del sistema ambientale costituito da ampie pianure, prossime alla
costa, tra gli apparati vulcanici e i rilievi carbonatici dove si sono formati suoli molto profondi su
depositi di piroclastiti, vulcanoclasti e ignimbrite - circa 146.000 ettari - (Terribile e Adamo, 1999).
Qui l’urbanizzazione e l’intensivizzazione agricola sono le principali cause di degrado anche se i
suoli sono in grado di sopportare forti pressioni antropiche, fatta eccezione per il processo di impermeabilizzazione dovuto all’espansione urbana.
Nella sola provincia di Napoli, l’urbanizzazione e l’industrializzazione hanno sottratto dal 1961 al
1991 più della metà delle superfici agricole utilizzate (Di Gennaro et al., 1995). Non meno drammatici appaiono gli effetti sottrattivi dell’urbanizzazione nelle pianure del Volturno e del Sele, soprattutto lungo le fasce costiere (Regione Campania, dati non pubblicati), interessando i suoli delle fasce
dunari e retrodunari, notoriamente appartenenti ad ambienti estremamente vulnerabili. Oggi tale
espansione si attua mediante la realizzazione delle grandi infrastrutture (interporti, grandi centri
commerciali, alta velocità), ancora più consumatrici di suolo per i grandi spazi di cui necessitano.
Tutto ciò non solo determina la perdita irreversibile di suoli ma provoca nelle aree periurbane, dove
cioè l’ecosistema urbano viene a contatto con quello agricolo, una serie di effetti perturbanti e, spesso, degenerativi come l’inquinamento dei suoli da fonti non agricole o l’abbandono delle pratiche
agricole conservative (Tosco e D’Antonio, 1995).
Infine, l’intensivizzazione agricola che, favorita dall’eccezionale fertilità dei suoli e dalla notevole
disponibilità idrica, permette di raggiungere produzione qualitativamente e quantitativamente elevate, ma il cui impatto sui suoli solo oggi comincia ad essere evidente. L’agricoltura delle pianure costiere campane è di tipo intensivo, a ciclo continuo, con colture industriali, ortive o frutticole ad alto
valore a cui si associa la floricoltura protetta. Ne consegue che l’impiego di mezzi tecnici (concimi
minerali, fitofarmaci ed acque irrigue) raggiunge valori estremi: dati raccolti dalla Regione Campania suffragano le osservazioni di altri autori (Postiglione, 1995), secondo i quali i quantitativi di
azoto utilizzati in alcune aree di pianura possono raggiungere e superare il valore di 1 t ha -1 anno-1.
Gli effetti di tale intensità agricola si manifestano inoltre con una marcata riduzione negli orizzonti
coltivati dei contenuti di sostanza organica associata frequentemente a una più preoccupante perdita
di attività biologica. Ciò determina ulteriori degradi fisici, come ad esempio l’incrostamento superficiale per gli elevati valori della frazione limosa che questi suoli contengono.
Inoltre, si registra un incremento delle aree che manifestano problemi di salinizzazione, non solo
lungo la fascia retrodunare costiera dove i suoli a diretto contatto con la falda manifestano una conducibilità anche di 10 dS cm-1, ma anche nelle aree più interne dove l’elevato numero di pozzi opera
un intenso prelievo dalle falde profonde determinando un aumento dell’ingressione marina.
20. La Puglia è una delle regioni maggiormente esposte al problema della sodicizzazione e salinif icazione dei suoli. Diversi fattori concorrono al fenomeno: i) la lunghezza delle coste (circa 500 km)
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che determina non solo ampie superfici di contatto tra le acque di falde dolci e le acque marine ma
anche la deposizione di sali per opera dei venti sui suoli in prossimità della costa; ii) le formazioni
geologiche, soprattutto calcareo-dolomitiche attraversate da una serie di cavità e fiumi sotterranei
che mettono in contatto le acque dolci con quelle salate; iii) il forte utilizzo delle acque di falda a
scopi agricoli, industriali e civili, che determina lo spostamento del fronte nei confronti dell’interno e
verso l’alto; iv) i lunghi periodi di siccità.
A risentire maggiormente dei fenomeni di salinizzazione sono i suoli della fascia costiera delle Murgie baresi e salentine (circa 400.000 ettari). Nelle Murgie baresi, caratterizzate dalla presenza di un
rilievo moderato, da una pianura costiera ampia e da una serie di altopiani fortemente antropizzati,
viene praticata un’intensa attività agricola che comporta l’emungimento di grandi quantitativi di acqua dalle falde per mezzo di pozzi profondi anche 700-800 metri a profondità inferiore al livello del
mare. In questa situazione, il fronte dell’acqua salata è avanzato in entroterra anche di alcuni chilometri, e risente molto dell’andamento della piovosità durante l’anno. Ne deriva che molti pozzi in
prossimità della costa attingono acque salmastre con valori di conducibilità dell’acqua compresa da
1 a 4 mS cm-1. Nelle Murgie salentine il fenomeno è ancora più accentuato, per il rilievo più moderato e poiché sono bagnate sui due lati dal mare.
Il degrado dei suoli è evidente soprattutto per il peggioramento della struttura a causa della deflocculazione delle argille. I suoli più sensibili sono quelli privi di carbonati e con tessitura argillosa o
tendente all’argillosa. In Puglia questi suoli sono presenti sull’intero territorio murgese: essi vengono
comunemente denominati “terre Rosse”, (Rodoxeralfs secondo la Soil Taxonomy). I danni maggiori
si avvertono nelle aree dove si pratica una orticoltura intensiva ma anche su uliveti, vigneti e frutteti.
Per tale motivo, gli agricoltori cominciano a introdurre opportune tecniche per la correzione di questi
suoli: scassi profondi per aumentare la permeabilità, ricarbonatazione del suolo, apporti di sostanza
organica e zolfo che facilitano il dilavamento del sodio.
In Puglia sono inoltre segnalati seri problemi di inquinamento dei suoli da metalli pesanti in seguito
all’applicazione della legge 992/1992 sullo smaltimento dei fanghi derivanti dai depuratori urbani. In
molti casi il mancato rispetto dei limiti quantitativi previsti dalla legge e l’arrivo nel depuratore di reflui extraurbani ha contribuito ad aggravare ulteriormente la situazione. Le superfici interessate dal
problema non sono mai state mai quantificate, ma si presume che possano superare i 2.000 ettari. I
danni maggiori si sono verificati agli uliveti, con stentata vegetazione e scarsa produzione, parziale
necrotizzazione delle foglie accompagnata da filloptosi fino alla completa defogliazione che, nei casi
più gravi, porta al disseccamento e morte della pianta. Notevoli danni si sono verificati anche sulle
altre colture arboree (vite, mandorlo, ciliegio e pesco), mentre non sono state segnalate fitopatie sulle
colture erbacee. Il problema desta particolare preoccupazione in considerazione della persistenza dei
metalli pesanti sulla frazione argillosa.
Nelle aree dell’Alta Murgia barese, dove gli investimenti produttivi non sono elevati e le colture
prevalenti sono grano e colza, è praticata una tecnica di trasformazione dei suoli che può provocare
la perdita della risorsa suolo. Essa consiste nella rimozione dei massi e nella macinazione dei primi
10 cm del substrato. In tal modo si predispone il terreno a fenomeni erosivi molto gravi in quanto la
superficie, a seguito di questi interventi, si presenta livellata e priva di asperità. L’erosione delle particelle più fini lascia il suolo molto ricco di scheletro calcareo. Ne deriva che il rischio di desertific azione di questi ambienti è estremamente elevato in considerazione della lenta pedogenesi che subiscono i substrati calcarei. E’ stato stimato che il fenomeno interessi una superficie di circa 100.000
ettari.
21. Due sono i sistemi ambientali della Basilicata in cui si evidenziano con maggiore significatività
problemi di vulnerabilità dei suoli: l’ambiente della pianura alluvionale ionica e quello delle argille
plio-pleistoceniche.
I suoli delle alluvioni ioniche, originati dall’espandimento dei fiumi lucani sui depositi costieri al sciati dalla regressione marina nel Quaternario antico e rappresentativi dell’area di maggiore interesse agricolo dell’intero territorio lucano, sono interessati da fenomeni di salinizzazione. Anche se non
è possibile allo stato delle conoscenze quantificare la superficie interessata dal processo ne tanto meno descriverne l’intensità, appaiono evidenti le forti limitazioni d’uso alla maggior parte delle colture
agrarie da parte dei suoli di alcune aree del sistema considerato. Ciò è dovuto a fattori concomitanti:
l’apporto dei materiali di erosione provenienti dai terrazzi marini posti a monte della pianura che, a
causa della natura del substrato pedogenetico (argille grigio-azzurre plio-pleistoceniche), sono ricchi
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di sali solubili, in particolare di sodio, le infiltrazioni di acque marine ed infine la tessitura dei suoli
che, laddove risulta più fine, determina un accumulo dei sali lungo il profilo. Queste aree, localmente definite come “terra bruciata”, sono diffuse lungo tutto la zona costiera da Policoro a Scanzano fino a Metaponto e interessano una fascia che si estende nell’entroterra per circa 1 km (circa
4.000 ettari). Nel fondovalle del fiume Cavone (Mt), ad esempio, si riscontrano suoli con valori di
EC1:2 di 3 mS cm-1 a 40 cm di profondità. Attualmente le acque di irrigazione, provenienti dal locale
Consorzio di Bonifica, risultano di buona qualità, mentre trascurabili sono i quantitativi di acqua irrigua provenienti da pozzi locali che rappresentano un pericolo per l’elevato contenuto di sali.
Un’intensa sodicità costituzionale è tipica anche dei suoli dell’ambiente delle argille pliopleistoceniche il quale interessa una superficie di circa 200.000 ettari nella parte sud-orientale della
regione; tuttavia i problemi di tale ambiente sono di ben altra natura: molto estese, infatti, sono le
formazioni calanchive. Sugli entisuoli dei versanti esposti a sud e sui crinali arrotondati, le estati
calde e siccitose aprono una fitta rete di fessure, la cui profondità è in relazione con l’orientamento
geografico. Si genera così un forte aumento di superficie soggetta all’aggressione pluviale estiva ed
autunnale e, quindi, una elevatissima erosione: da 2 a 20 mm anno-1, secondo l’acclività (Viviano e
De Donato, 1995). Per contro inceptisuoli vertici si riscontrano sulle superfici pianeggianti o con debole pendenza, dove minore è l’intensità dei processi di demolizione del rilievo.
Ciò, unitamente alle difficoltà di gestione dovute alle particolari condizioni morfologiche dell’area,
determina una marginalità produttiva di queste terre; è per tali motivi che esse risentono maggiormente dei recenti orientamenti delle direttive comunitarie subendo un nuovo intenso allineamento
verso l’estensivizzazione e la forestazione produttiva (Marano et al., 1996). Ad esempio, con
l’entrata in vigore del regolamento comunitario 2078/92, ampie superfici vengono sempre più destinate alla misura che prevede il ritiro ventennale dei seminativi, in quanto economicamente conveniente agli imprenditori agricoli rispetto all’attuale utilizzo di questi terreni.
Tuttavia, ciò ha innescato forti processi erosivi di tipo incanalato in suoli di per se già estremamente
vulnerabili a tali fenomeni. A causa, infatti, dell’assenza di corrette lavorazioni del terreno che interrompono le vie di scorrimento preferenziale che l’acqua trova sul terreno, solchi e rigagnoli si approfondiscono e si allargano a ritroso, ramificandosi e moltiplicandosi, determinando una rapida perdita
degli orizzonti superficiali prima, e la formazione dei calanchi dopo.
Lo stesso regolamento citato aggiunge ulteriori “guasti” all’ambiente delle argille pliopleistoceniche. Al fine di usufruire dei contributi comunitari gli agricoltori tentano di aumentare la
superficie a loro disposizione attuando il livellamento delle aree calanchive: ciò oltre a determinare
la perdita dei pur sottili suoli che le compongono, risulta inutile in quanto tali formazioni hanno una
risposta di stabilità e un’elevata resilienza (Ceccanti et al., 1995) che le rendono espressione tipica di
un ambiente particolare quale quello lucano.
Anche i regolamenti che prevedono la forestazione (come il 2080/92) possono determinare in questi
ambienti fenomeni di erosione di massa, proprio per la natura del substrato. L’introduzione del bosco
infatti, se da un lato diminuisce l’erosione superficiale, dall’altro aumenta la permeabilità del terreno
e appesantisce le pendici con il suo sviluppo; fattori questi ultimi che contribuiscono all’instabilità
delle pendici stesse (Viviano e De Donato, 1995).
22. In Calabria, fino alla prima metà del secolo, il sistema ambientale più vulnerabile era rappresentato dalle colline e dalle montagne interne della Sila delle Serre e dell’Aspromonte.
La forte pressione antropica (deforestazione, incendi, pascoli eccessivi, sistemi colturali non conservativi), associata a condizioni morfologiche (versanti molto acclivi) e climatiche (alta erosività delle
piogge) particolarmente predisponenti, determinava un alto rischio di erosione. Il progressivo degrado degli ecosistemi naturali “a monte” culminava frequentemente in eventi alluvionali di estrema
gravità “a valle”.
Negli anni ‘50 fu avviata una forte azione di ripristino ambientale con la ricostituzione di ben
153.000 ettari di bosco proprio nelle aree a maggior vulnerabilità. I risultati in termini di protezione
del suolo e di regimazione delle acque sono stati presto tangibili. Da un punto di vista strettamente
pedologico si è verificato un netto cambiamento nell’indirizzo evolutivo dei suoli. Da situazioni di
forte degrado con versanti in gran parte denudati o con suoli sottili caratterizzati da profilo troncato,
si è passati, nelle zone rimboschite, a situazioni molto più stabili in cui la presenza di un orizzonte
superficiale arricchito di sostanza organica è l’elemento caratterizzante.
L’evidente aumento della capacità di ritenuta idrica dei suoli e la capacità di regolare i deflussi di
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piena da parte dei boschi ha determinato, in tali aree, positivi riflessi sull’idrologia superficiale e
profonda. Dall’analisi della cronosequenza degli eventi alluvionali di una certa portata, verificatisi in
un arco temporale intercorrente dal 1920 al 1990, emerge un sostanziale cambiamento: infatti da una
media di sei eventi alluvionali per decennio avvenuti fino al 1960 si è passati a un solo evento per
decennio nel periodo successivo (Aramini et al., 1998).
Ma proprio quest’ultimo dato evidenzia un importante cambiamento: infatti, gli eventi alluvionali
degli ultimi anni hanno interessato, quasi esclusivamente, le aree costiere. L’emergenza quindi si
sposta dalle aree interne al sistema ambientale delle colline argillose-limose plioceniche del versante
ionico, un bacino di circa 250.000 ettari. Agli inizi degli anni ‘60 le trasformazioni socioeconomiche e le politiche di sostegno del reddito hanno incentivato il ricorso al modellamento delle
pendici, alla meccanizzazione spinta e al cambiamento radicale di destinazione d’uso: si è passati dal
pascolo alla cerealicoltura effettuata, peraltro, secondo criteri tradizionali di coltivazione che lasciano la superficie del suolo priva di copertura vegetale proprio nel periodo dell’anno in cui si verific ano le precipitazioni massime.
In un clima marcatamente mediterraneo e con tipologie pedologiche vulnerabili a processi produttivi
non appropriati, sono stati innescati gravi fenomeni di dissesto con erosione idrica accelerata e soliflussione. Indagini pedologiche mirate hanno evidenziato, tra l’altro, valori medi di sostanza organica dello 0,7% nell’epipedon dei suoli più esposti ai fenomeni erosivi (condizione particolarmente
grave se si considera che si tratta di suoli messi a coltura solo da pochi decenni), contro l’1,6% che
invece si riscontra negli stessi ambienti in suoli più conservati.
Tali differenze si riflettono in modo evidente sulle colture con difformità vegetazionali diventate
ormai tipiche del paesaggio. Non sono rari i casi in cui suoli, ormai privi di capacità produttiva ed
interessati da gravi fenomeni di dissesto, vengono riabbandonati. Suoli certamente poco produttivi
(pascoli), ma fondamentali per l’equilibrio dell’agrosistema, in pochi anni di gestione non sostenibile
sono stati trasformati in aree irreversibilmente improduttive. Ai danni diretti al settore agricolo si
aggiungono le conseguenze legate al degrado paesaggistico e i danni all’infrastrutture.
23. In Sicilia sono riscontrabili diversi processi di degradazione dei suoli, tipici dell’area del mediterraneo: tra questi l’erosione idrica è il più importante e diffuso.
Ricerche condotte da diversi autori (Dazzi e Raimondi, 1989; Fierotti e Dazzi, 1989) su tipi pedologici rappresentativi dell’ambiente collinare argilloso (inceptisuoli vertici e vertisuoli), realizzate con
un simulatore di pioggia, hanno evidenziato che nei vertisuoli è sufficiente un solo evento piovoso
ad alta intensità (circa 70 mm h-1) per raggiungere abbondantemente il limite massimo tollerabile di
perdita di suolo (T factor), fissato da Hudson in 12,5 t ha -1 anno-1. Nel caso di piogge di media intensità (circa 46 mm h-1) e bassa intensità (circa 28 mm h-1) è stato osservato che bastano 6-8 eventi
piovosi, eventualità frequente nei nostri ambienti durante la stagione delle piogge, perché il limite
succitato venga superato. Queste osservazioni sull’alta erodibilità dei suoli dell’ambiente collinare
argilloso hanno trovato ulteriori conferme nei risultati di una ricerca realizzata da Dazzi (1993) sul
fattore di erodibilità K della USLE relativo ai suoli del bacino del fiume Belice.
La vulnerabilità del sistema ambientale collinare è anche determinata dalla pratica agricola:
l’utilizzazione prevalente del suolo è rappresentata in larga misura dal seminativo semplice, basato
sull’alternanza grano-maggese pascolativo, e dalla rotazione grano-foraggere (generalmente sulla
veccia e favino); in questo sistema colturale le lavorazioni del terreno sono realizzate secondo tecniche poco razionali e non finalizzate al contenimento dei fenomeni erosivi (generalmente a rittochino). In tal senso si sta sviluppando un’attività di divulgazione finalizzata alla razionalizzazione delle
tecniche colturali e alla riconversione degli arativi marginali e più acclivi verso forme di utilizzazione più conservative ed ecocompatibili.
Da quanto esposto risulta evidente come questo sistema ambientale, e in particolare i paesaggi collinari delle argille mioceniche e plioceniche (circa 700.000 ettari), nonché i paesaggi della serie gessoso-solfifera (circa 150.000 ettari), presenti un alto grado di vulnerabilità e necessiti di urgenti interventi in linea con le nuove direttive di politica agricola comunitaria.
Anche il sistema ambientale della pianura, e in particolare quello delle piane costiere, mostra preoccupanti segnali di degradazione dei suoli. In Sicilia le pianure occupano il 14% della superficie regionale, e in esse è concentrata l’agricoltura tecnicamente ed economicamente più avanzata.
L’utilizzo intensivo in alcuni casi ha determinato la degradazione delle caratteristiche chimico-
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fisiche dei suoli. Nelle pianure alluvionali di Gela e Licata e in alcune piane alluvionali di minor
estensione, tutte caratterizzate dalla presenza di suoli a tessitura argillosa e da una agricoltura irrigua
che spesso vede l’utilizzo di acque anomale (in particolare per quanto riguarda il contenuto in sali),
sono stati riscontrati suoli con salinità indotta dall’irrigazione. Attualmente queste aree sono oggetto
di indagine da parte dell’Amministrazione regionale in collaborazione con l’Università di Palermo
per monitorare i suoli salini (che, secondo Dazzi e Fierotti, 1994, occupano in Sicilia una superficie
di circa 250.000 ettari, inclusi i suoli che evolvono sulla serie gessoso-solfifera), e fornire una corretta gestione irrigua e agronomica delle acque anomale, in particolare quelle saline.
Nei paesaggi dei terrazzi calcarenitici tipici delle fascie costiere (circa 120.000 ettari) sono stati osservati, in particolare lungo la fascia sud-occidentale, su suoli di elevato valore agronomico e ambientale (alfisuoli profondi, adatti a sostenere colture di pregio), fenomeni di forte degradazione
strutturale dello strato superficiale che si manifestano con forti indurimenti durante la fase di disseccamento del suolo e collasso della struttura in condizioni di saturazione idrica (hardsetting). Tali fenomeni di degradazione strutturale sono probabilmente da ascrivere all’effetto combinato di situazioni di particolare sensibilità dei suoli alle ripetute lavorazioni superficiali con attrezzi rotanti, spesso eseguite in condizioni di tempera non ottimali, che determinano la polverizzazione dell’epipedon
nonché il depauperamento della riserva di sostanza organica. La degradazione strutturale è spesso
accompagnata dalla sigillatura della superficie del suolo e conseguente scorrimento superficiale delle
acque piovane. La grave conseguenza di questo complesso di fenomeni è l’erosione, che si osserva
in questi suoli dopo eventi piovosi di forte intensità e che determina spesso l’asportazione degli strati
superficiali più fertili.
24. Il pascolo ha rappresentato per la Sardegna la destinazione d’uso prevalente per tutte quelle aree
dove la morfologia, il clima, la copertura vegetale e il suolo le rendeva inadatte ad un uso agricolo
intensivo (Madrau et al., 1999).
Fino agli anni ‘60 tali aree, quasi sempre diffuse in situazioni di media e alta collina, durante la stagione estiva erano soggette al pascolo delle stoppie o erano interessate da rotazioni, biennali a quadriennali, nel cui ciclo era previsto un turno di riposo a pascolo. Nei decenni successivi le migrazioni
verso il continente, ma soprattutto quelle interne verso le aree costiere metropolitane e industriali,
hanno portato all’abbandono di vaste superfici agricole: negli anni 1961-1991 si è registrata infatti
una progressiva diminuzione della superficie occupata dai pascoli, passati dai 1.482.629 ettari del
1961 ai 789.499 ettari del 1991, ossia rispettivamente dal 61,5% al 32,8% della superficie regionale.
Nel contempo, una politica regionale finalizzata alla creazione ed estensione della proprietà diretta
delle terre, attuata con ingenti finanziamenti pubblici, ha favorito il crescere del livello tecnologico
del settore agropastorale, determinando l’incremento del carico animale gravante sui pascoli: Il numero di capi è passato dai 3.059.301 del 1961 ai 3.923.080 del 1991, con un aumento del 28%.
L’intensivizzazione ha condotto alla costante necessità di foraggi freschi per gran parte dell’anno,
particolarmente di erbe da pascolo, costringendo l’allevatore a mantenere inerbito il pascolo e ad
estenderne la superficie interessata attraverso le classiche pratiche dell’aratura e dell’incendio;
quest’ultima, in particolare, determina che in Sardegna le aree a pascolo sono quelle con la maggiore
incidenza di superficie percorsa dal fuoco (Aru et al., 1998).
Conseguentemente il sovrapascolamento, l’erosione, gli incendi e l’utilizzo di aree non adatte
all’agropastorizia di tipo intensivo hanno portato alla desertificazione di oltre il 50% della superficie
totale delle aree a pascolo in Sardegna, soprattutto sui substrati più difficilmente alterabili (quarziti,
graniti, dolomie) che non permettono la ricostituzione, se non in tempi lunghissimi, dei suoli erosi in
parte o totalmente (Aru et al., 1998).
È da evidenziare come il fallimento di molti degli interventi di miglioramento attuati nel passato ha
oggi indirizzato l’amministrazione pubblica a erogare i finanziamenti nel settore agropastorale nelle
aree dove è possibile associare alla massima risposta produttiva la conservazione della fertilità dei
suoli (Madrau et al., 1999).
Altro aspetto importante è rappresentato dai processi di modifica di caratteristiche e proprietà dei
suoli all’esercizio prolungato dell’irrigazione. Ciò concerne non solo i problemi di salinizzazione di
alcuni suoli nelle zone costiere (Cagliaritano, Muravera), ma anche di idromorfia nonché di formazione di orizzonti calcici in aree che si originano da substrati carbonatici (Aru et al., 1998).
25. Le considerazioni espresse sui territori meridionali consentono l’individuazione dei grandi siste-
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mi pedoambientali che, più di altri, mostrano di essere vulnerabili a fattori naturali e, soprattutto,
antropici. Esse ci consegnano un significativo e importante dato quantitativo: nel sud Italia una superficie pari a circa 3,7 milioni di ettari è, attualmente o potenzialmente, interessata a vario grado da
evidenti forme di degrado.
Nel medio e lungo termine potranno inoltre manifestarsi nuovi problemi riguardo al degrado dei
suoli per uso di fonti organiche non tradizionali provenienti dall’attività umana, come i residui solidi
urbani e i fanghi di depurazione, e dall’uso delle acque reflue e di minore qualità. In particolare
quest’ultimo appare essere, proprio per la peculiarità degli ambienti considerati, l’aspetto di maggiore importanza, in quanto da un lato cresce la competizione per l’acqua da parte di altri settori (industriale e civile), dall’altro diminuisce la disponibilità idrica complessiva. Si avrà, quindi, sempre più
la necessità di utilizzare in agricoltura risorse idriche non convenzionali. Tuttavia il loro uso, anche
dopo opportuni trattamenti, dovrà essere attentamente valutato considerando non solo i benefici per
la fertilità e confidando nella funzione di filtro dinamico e vivente del suolo (Senesi e Brunetti,
1995), ma soprattutto i rischi di degrado che nel lungo periodo potranno subire alcune qualità del
suolo. Ciò dovrà essere possibilmente realizzato con un approccio globale e integrato migliorando,
in particolare, i criteri di valutazione dei suoli ai fini irrigui (Baldaccini, 1999; Fierotti, 1999; Pereira
et al., 1995).
In relazione agli incendi, dovrebbero essere condotte maggiori ricerche sulle relazioni “vegetazionetipo di suolo” in funzione della formazione di sostanze idrofobiche, non solo per gli effetti che esse
determinano in aree forestali o a pascolo, ma anche in quell’agricoltura che utilizza ancora la pratica
dell’incendio controllato come mezzo di miglioramento agronomico.
È da rilevare come su pressoché quasi tutte le superfici interessate da fenomeni di degradazione dei
suoli agiscono sistemi colturali, agrari e forestali che se, da un lato, agiscono direttamente operandone un’accelerazione, dall’altro possono essere individuati come la possibile soluzione a molti dei
problemi trattati. Infatti, le nuove linee di politica agricola comunitaria, così come espresse da
“Agenda 2000”, spostano le funzioni produttiva e sociale affidate dal Trattato di Roma
all’agricoltura verso un ruolo multifunzionale: produrre alimenti più sani e di qualità nel rispetto
dell’ambiente fisico e della salute dei consumatori, e verso la conservazione delle risorse ambientali
e territoriali che essa utilizza e con cui interagisce (Istituto Nazionale di Economia Agraria, 1999). Si
va quindi affermando il concetto di un’agricoltura sostenibile.
In un simile scenario, è difficile stabilire se l’agricoltura dei paesi dell’area del Mediterraneo, soprattutto quella non irrigua, evolverà verso sistemi a medio input e medio-alto output o verso forme
a basso input e medio-basso output: ciò dipenderà in gran parte dai fattori economici, ambientali e
sociali che si determineranno a livello regionale e locale (Torrent, 1995). In tal senso sono da rilevare alcune significative differenze tra le agricoltura delle regioni meridionali e insulari rispetto a
quelle centro-settentrionali dell’Italia (Ministero per le Politiche Agricole, 1999):
a) una relativamente più bassa intensità e un minor contenuto tecnologico, determinabile dalla bassa incidenza dei consumi intermedi (20,5% della produzione vendibile del sud contro il 33,2%
del centro-nord);
b) una redditività della terra più contenuta (3,6 milioni di lire correnti per ettaro di Sau a fronte dei
4,7 delle regioni centro-nord);
c) il peso più limitato della Sau di pianura sul territorio agricolo (21% del sud a fronte del 39% del
centro-nord);
d) la superficie irrigabile (16% della Sau del sud mentre il centro-nord presenta un’incidenza del
34%).
Appare quindi chiaramente come il ritorno dell’agricoltura verso sistemi di gestione più
“conservativi”, soprattutto nei confronti della risorsa suolo, trova le regioni del sud Italia più pronte
al cambiamento. Spesso si tratta di porre in essere pratiche che già per molti secoli sono state attuate
nella lunga “storia agricola” dei paesi del bacino del Mediterraneo (circa 8.000 anni), come a esempio terrazzamenti, rotazioni, sovesci, fertilizzazioni organiche, a cui si potranno aggiungere tecniche
colturali di recente concezione (lavorazioni minime, non lavorazione, ripuntatura, ecc.).
È tuttavia evidente che, almeno per alcuni ambienti del sud Italia, l’applicazione tout court dei regolamenti comunitari che prevedono l’introduzione di sistemi colturali “estensivi” può rappresentare
fattore di degrado in aree con particolari caratteristiche. Tale introduzione deve essere valutata attentamente per stabilirne l’idoneità e gli impatti ambientali che nel lungo periodo potranno determinarsi. Ciò è stato dimostrato sperimentalmente da diversi autori (Landi, 1984; Pagliai e Vignozzi,
48
1996). In tal senso la realizzazione della carta dei suoli d’Italia al 250mila potrà essere finalizzata al
riconoscimento di questi pedoambienti e quindi alla possibilità di introdurre una politica agricola più
adatta che tenga conto del contesto ambientale e sociale e superi la logica esclusiva del mercato.
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