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porta cortesia la parola ovviamente io mi scuso io mi scuso a nome
BOZZA NON CORRETTA
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MISSIONE A NAPOLI
28 MARZO 2012
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIOVANNI FAVA
La seduta inizia alle 12.40.
Audizione del comandante della legione Carabinieri Campania, generale Carmine Adinolfi e
del comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli, Colonnello Marco Minicucci.
PRESIDENTE. Buongiorno. Innanzitutto, vorrei scusarmi, anche a nome della Commissione, per il
ritardo accumulato, di cui mi assumo la responsabilità. Le testimonianze rese dalla magistratura
questa mattina hanno posto la necessità di una serie di approfondimenti ulteriori che sono andati al
di là delle previsioni, dal punto di vista temporale, quindi, vi prego ancora di accettare le nostre
scuse per il ritardo (so che siete molto impegnati e non avremmo voluto farvi perdere tutta la
mattina qui con noi, soprattutto per il rispetto che abbiamo verso l’Arma). Premetto che, al di là di
ciò che direte, qualsiasi documento ci vogliate consegnare verrà acquisito agli atti, divenendo parte
integrante dell’audizione odierna (vi anticipo ciò anche nell’ottica dell’economia dei nostri lavori,
laddove riteneste utile farci piuttosto una sintesi di quanto è scritto). Avverto i nostri ospiti che
della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico che sarà pubblicato on-line e che, se
lo riterranno opportuno, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta,
invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale
dell’audizione. Do, quindi, la parola al comandante della legione Carabinieri Campania, generale
Carmine Adinolfi e al comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli, colonnello Marco
Minicucci, per le loro relazioni. Al termine della vostra relazione, avremo la possibilità di fare
delle domande o formulare delle osservazioni, per poi lasciare a voi una conclusione, nei tempi
necessari che riterrete utili per lo svolgimento regolare dei lavori della Commissione.
CARMINE ADINOLFI, comandante generale della legione Carabinieri Campania. Abbiamo un
documento, approntato dal comando provinciale di Napoli, quello più direttamente interessato al
discorso odierno, che il Comandante provinciale vi potrà far pervenire, in modo che possa essere
acquisito agli atti.
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Mi limito a una panoramica di carattere generale alla quale, poi, magari, il collega, come
comandante provinciale, potrà unire qualche aspetto più specifico di tipo operativo. È chiaro che
noi, qui in Campania, abbiamo due realtà diverse: una riguarda Napoli e la provincia di Napoli e
un’altra riguarda il resto del territorio. Napoli e la sua provincia sono le realtà che maggiormente
possono toccare questo problema e che fanno registrare certi fenomeni, i quali sono poi oggetto di
particolare attenzione da parte dell’Arma. Altre aree sensibili le abbiamo a sud di Caserta,
scendendo verso l’Aversano, o anche nella parte a nord di Salerno, dove pure registriamo fenomeni
più o meno simili. Qui in Campania, l’Arma ha oltre 400 presìdi, di cui 349 stazioni che, per la
maggior parte - quelle più impegnate - sono proprio nell’area napoletana. Sono proprio le stazioni
dei carabinieri che ci consentono di fare quell’azione di monitoraggio e quegli interventi più
concreti sul territorio, perché sono quelle che poi riescono meglio a garantire un controllo,
soprattutto con riferimento a fenomeni di mobilità, che oggi è il problema principale connesso alla
criminalità e che determina difficoltà abbastanza serie. Con riguardo al settore specifico, come
Arma dei carabinieri, noi siamo più presi da attività investigative riguardanti fenomeni di
criminalità organizzata come l’usura e le estorsioni, che quindi riguardano altri settori; mentre i
colleghi della Guardia di finanza sono un po’ più specializzati in questo tipo di interventi. Questo
non vuol dire che noi non facciamo tali interventi, come attestano i dati che abbiamo riepilogato.
Per esempio, in una data situazione abbiamo fatto, solo come provvedimenti restrittivi, oltre cento
arresti riguardanti proprio il settore specifico. Teniamo presente che l’Arma, in un anno, ha
effettuato oltre 13.000 arresti legati al contrasto non solo della criminalità organizzata, ma anche
della criminalità comune. Tra le realtà che maggiormente sono oggetto di attenzione, in particolare,
vi è quella dei cinesi, che hanno praticamente sviluppato un tipo di organizzazione sul territorio,
soprattutto nella fascia periferica di Napoli, che naturalmente sono oggetto di attenzione da parte
nostra, con interventi e con sequestri che sono stati operati nel corso del 2011 e anche del 2012. Lo
stesso vale anche per altre realtà, come quelle dei pachistani, degli africani e nordafricani,
anch’essi, comunque, interessatati a questo tipo di attività. C’è da dire che, se facciamo un’analisi
storica per raccontare la realtà di Napoli e provincia, sotto il profilo economico, a una fase in cui
c’era un’attività orientata maggiormente al contrabbando delle sigarette, è seguita poi una fase di
attività di maggiore interesse, con lo spaccio di sostanze stupefacenti; a ciò si è unito, oggi in modo
particolare, il fenomeno delle contraffazioni e quindi del commercio abusivo e delle attività
connesse. Sono aspetti che hanno un loro peso, non soltanto per quanto riguarda i fenomeni di
contraffazione e altri reati collegati, ma anche sul lato occupazionale, perché comunque queste
situazioni portano a una crisi del settore produttivo e quindi a problemi che si riflettono anche sul
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livello di occupazione, perché si crea un sistema di concorrenza sleale. Basta vedere cosa accade
quando ci troviamo di fronte a prodotti che vengono immessi sul commercio a un prezzo che non si
giustifica assolutamente sul piano di una produzione corretta, che ovviamente sopporta dei costi
che non si potrebbero giustificare quando poi ci troviamo di fronte a questi prodotti, che arrivano
alla vendita con prezzi che non giustificano il costo iniziale nella fase produttiva.
C’è un’attività di continuo coordinamento, sul piano investigativo da parte delle procure, e
sul piano operativo anche in ambito di comitato provinciale. C’è, inoltre, una stretta operatività
soprattutto con la Guardia di finanza. In genere facciamo i nostri interventi nel quadro dell’attività
di controllo del territorio, che viene fatta quotidianamente, tuttavia, se poi si deve approfondire, in
particolare quando si è in presenza di fenomeni di evasione fiscale o di altri aspetti più tecnici, ci
coordiniamo con i colleghi della Guardia di finanza, con i quali c’è poi un intervento congiunto
anche sul piano investigativo. Quanto alla parte generale, io mi fermerei qui e passerei la parola al
collega Minicucci per quanto riguarda gli aspetti più pratici e tecnico-operativi, tenuto conto che,
come comandante provinciale, è lui a seguire in prima persona queste attività. Grazie.
PRESIDENTE. Prego, comandante.
MARCO MINICUCCI, comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli. Per quanto riguarda il
comando provinciale di Napoli, che utilizza 3.700 uomini circa per contrastare tutte le forme di
criminalità, da quella organizzata a quella che fino a qualche anno fa veniva chiamata
«microcriminalità» ma che non è più tale, atteso che la criminalità organizzata – stando alle
risultanze delle attività investigative delle altre forze di polizia – ha ormai messo le mani su tutti i
settori delinquenziali, quindi, in questo caso specifico, anche sulla contraffazione. Tra tutte queste
attività svolte dai reparti del comando provinciale di Napoli, quella premiante è data dal controllo
del territorio dove, sfruttando la potenzialità e la capillarità di distribuzione delle stazioni, noi
riusciamo a intercettare il venditore – per la maggior parte dei casi extracomunitario – in possesso
di materiale contraffatto e da lì cerchiamo di risalire ai depositi di stoccaggio, quindi, a coloro che
utilizzano l’extracomunitario. Attraverso l’opera di coordinamento della procura della Repubblica,
indirizziamo poi tutto quello che abbiamo acquisito da un punto di vista informativo o da un punto
di vista di raccolta probatoria (nel caso dei sequestri), a quell’organo di polizia che, in quello
specifico settore, in quella specifica area, sta indagando, al fine di rendere non inutili e non
sovrabbondanti le attività su determinati clan delinquenziali presenti in provincia.
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La provincia di Napoli ha settantotto clan di criminalità organizzata censiti, alcuni dei quali
sono conosciuti per attività connesse alla droga, altri addirittura al settore degli appalti e altri ancora
al settore, per esempio, dei panifici. Altri, invece, sono indirizzati più allo sfruttamento della
manodopera, che va da quella dei reati predatori a quella della contraffazione. L’Arma dei
carabinieri, in quest’ultimi anni, non ha intercettato clan dediti alla contraffazione, per cui
veicoliamo le nostre informazioni, attraverso la procura, alle altre forze di polizia. Quello che,
invece, abbiamo cercato di fare insieme alle altre forze di polizia e sotto il coordinamento della
prefettura, è stato creare una rete di contrasto del commercio al minuto, partendo da quella che può
sembrare forse la considerazione più banale, cioè, la regola base del mercato, per cui dove c’è
un’offerta, dietro c’è una domanda, che in questo settore e in questo territorio è particolarmente
fiorente. Questo significa che indichiamo agli operatori sul territorio di procedere non solo alla
cattura dell’extracomunitario di turno, venditore magari della borsa Gucci o di altra griffe, ma
anche a sanzionare il compratore, spesso straniero. Infatti, nel periodo che va da aprile a ottobre,
circa 3 milioni di stranieri approdano al porto di Napoli con navi da crociera e un buon milione di
loro scende e si trova nella zona centrale, dove tale commercio è fiorente (parlo di via Toledo,
corso Umberto, la stazione Garibaldi e, fino a qualche giorno fa, di via Caracciolo, da dove adesso,
per i lavori dell’America’s Cup, naturalmente il mercato si è spostato).
ANNA TERESA FORMISANO. Mi scusi, lei ha nominato via Toledo. In proposito, ieri, abbiamo
sentito la notizia, che ci ha fatto enormemente piacere, secondo cui su quella via non è più possibile
fare alcun tipo di vendita mercatale «abusiva», grazie ad un’azione posta in essere, ormai, da sette o
otto mesi. Lei ci nomina, però, ancora via Toledo e ciò è in contrasto con quello che abbiamo
sentito ieri. Vorrei capire meglio.
MARCO MINICUCCI, comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli. No, non è in contrasto,
nel senso che via Toledo è una delle aree che era utilizzata, essendo una delle aree più belle. Oggi,
viene presidiata dalla polizia locale (fino al mese di gennaio lo era, a turno, a giorni alterni, da parte
delle quattro forze di polizia, considerando anche la polizia locale tra esse). Oggi, quindi, via
Toledo è sicuramente più pulita di corso Umberto, ma è pur vero che, per fare questo, devono stare
lì dai quaranta ai cinquanta vigili urbani, perché l’extracomunitario è sempre pronto a ritornare, non
appena vede che vanno via. Sottolineo nuovamente che l’obiettivo dell’intervento delle forze di
polizia e, per quello che mi compete, dell’Arma dei carabinieri, non è soltanto sul venditore che
scappa e che ritorna, ma è anche sul compratore. Se, infatti, si riesce a convincere il cittadino che
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comprare una borsa Gucci contraffatta è comunque un’illegalità, ancorché punita solo con una
sanzione amministrativa (forse è poco, forse è tanto, non lo so, ma di certo, il fatto che sia solo una
sanzione amministrativa porta qualcuno a non volerla considerare un’irregolarità così importante).
Io sono invece convinto che, per quanto riguarda l’Arma dei carabinieri, questo è uno dei compiti
principali che dobbiamo dare al personale, che spesso va motivato. Si tratta, infatti, di un fenomeno
grave, che crea una concorrenza sleale e sicuramente dà vita a un sottobosco di persone che ci
guadagnano molto di più del venditore ambulante, il quale, invece, alla fine viene pagato con un
euro per tutto il suo sforzo. Noi dobbiamo convincere i cittadini – e lo stiamo facendo – attraverso
la prefettura, le riunioni del comitato e la sensibilizzazione dei commercianti ad esporre dei cartelli
sempre più grandi - inizialmente, infatti, erano veramente molto piccoli - dove i compratori
vengono allertati sulla violazione che stanno commettendo. Parlavo di regole base del mercato, di
domanda e offerta: se si riesce ad evitare la domanda, si fa quello che si fa per la prostituzione, si
riesce cioè ad incidere sull’offerta e, quindi, a stimolare un cambiamento. Mi diceva il comandante
della Guardia di finanza - ma credo che lo abbia ribadito anche qui ieri - che alcuni gruppi
delinquenziali hanno preferito abbandonare l’attività di spaccio, perché l’attività di gestione del
mercato della contraffazione è meno rischiosa e più redditizia. Questo fatto è stato verificato
attraverso delle indagini. Noi abbiamo cercato di portare a casa un risultato, ancorché condiviso
con tutte le altre forze di polizia, anche per convincere il personale ad attenzionare comunque il
settore, il che rientra all’interno di una tutela del sistema economico della provincia. Pur non
essendovi contraffazione pura, i controlli che andiamo a fare negli opifici – tra stazioni, nuclei
investigativi e reparti specializzati tipo quello di tutela del lavoro, visto che abbiamo la fortuna di
avere uomini dell’Arma dei carabinieri all’interno di ogni struttura provinciale –, in provincia (a
Terzigno, San Sebastiano al Vesuvio, Ottaviano, per quanto riguarda la zona di Napoli est; oppure,
per quanto riguarda la zona di Napoli nord, Arzano, Melito, Casoria, Casandrino, Grumo Nevano,
che sono altre zone dove gli opifici sono numerosi), simulando dei controlli per la sicurezza del
lavoro, hanno anche un’importanza particolare sia per trovare il lavoratore in nero e sia per andare
a capire se quell’imprenditore non sia diventato, per caso, manovalanza al servizio della
contraffazione. Viene quindi fatto un controllo attento su ciò che si produce, verificato con il
contributo della Guardia di finanza, sulla veridicità di quanto affermato da colui che dichiara di
essere un produttore per conto di Gucci piuttosto che di Prada: andiamo, insomma, a vedere se ciò
che ci viene detto corrisponde al vero e, quindi, se vi siano dei collegamenti, anche solo attraverso
una semplicissima lettura delle fatture.
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Pertanto, attraverso l’intercettazione di questi opifici per motivi di sicurezza del lavoro,
possiamo trovare degli elementi da sottoporre ai colleghi della Guardia di finanza, che non
riguardano solo l’evasione ma potrebbero riguardare, invece, anche la contraffazione.
Paradossalmente, parlando in questi giorni, quando ci è stato detto che avremmo partecipato a
questa audizione della Commissione, è venuta fuori un’idea, cioè quella di coinvolgere i grandi
marchi in quest’opera: ci siamo infatti resi conto che la contraffazione è più frequente quando i
prezzi di determinati prodotti sono alti. In altre parole, più tali prezzi sono alti e più il cittadino,
consapevolissimo di andare a comprare un prodotto contraffatto e di trovarsi di fronte a un prodotto
che la persona esperta riesce a capire non essere, ad esempio, un vero Rolex, lo compra lo stesso.
Napoli, ogni anno, soffre tra le settantacinque e le ottanta rapine di Rolex: mai una volta il
rapinatore ha portato via un Rolex falso, perché dal riflesso del vetro si capisce se il prodotto è
contraffatto o meno e anche in ciò sta la bravura del napoletano che fa la rapina (volevo
sottolineare questo dato). Alla fine, il compratore sa, quindi, perfettamente di portare a spasso un
prodotto contraffatto. I turisti, peraltro, sono seguiti da quando scendono dalla nave di crociera e
poi, a distanza di un chilometro, in maniera mirata, questi signori portano loro via l’orologio: non
hanno mai sbagliato, questo è un dato di fatto. Sono arrivato in questa provincia il 20 ottobre e
questa è stata una delle prime curiosità che mi sono voluto togliere, cioè perché vi fosse il furto del
Rolex piuttosto che del Tudor, ma mai di orologi di secondo piano: sempre orologi di un certo
valore, dai 40.000 euro in giù, ma mai al di sotto dei 5.000. Questi orologi rubati non sono mai
risultati falsi, a dimostrazione che c’è un occhio attento, quello del compratore che sa perfettamente
che il negro – non parliamo in termini dispregiativi, ma ci riferiamo al venditore che usualmente
troviamo nelle strade di Napoli – non gli sta vendendo un prodotto rubato. Il prodotto rubato si
trova a Pignasecca, dove viene fatta la rapina al camion della Gucci, reimmettendo, poi, la refurtiva
nel mercato. Questo descritto, quindi, è un altro aspetto importante: occorre attenzionare i prezzi
dei negozi leciti, ovvero bisogna andare a vedere, con la Confcommercio, laddove il venditore
legale mi vende la borsa di Gucci a 10 euro perché, probabilmente, mi sta vendendo un prodotto
che è stato rubato o rapinato (ma questa è un’altra tipologia di truffa al cittadino).
PRESIDENTE. Scusi, colonnello, vorrei farle una domanda, posto che, più di altri sicuramente, voi
avete un quadro chiaro della situazione sul territorio (cosa avviene e come si muove la criminalità,
al di là del fatto che, senza dubbio, si tratta di un territorio complicato da gestire). Lei ci diceva che
avete avuto la possibilità, anche attraverso i nuclei di tutela del lavoro, di andare direttamente nelle
imprese e via dicendo. Potete confermare la percezione, che ci è stata peraltro comunicata da altri
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soggetti, del fatto che la criminalità organizzata, in particolare la camorra su questo territorio, abbia
un controllo totale del ciclo della contraffazione? Avete una percezione diversa su questo?
MARCO MINICUCCI, comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli. La percezione su
questo specifico settore me la danno le indagini degli altri colleghi, mediante le riunioni di
coordinamento che facciamo in procura perché, come le dicevo, negli ultimi tre anni, tra le
tantissime indagini che abbiamo fatto, non abbiamo però avuto casi di contraffazione. Abbiamo
intercettato clan che si occupano, per esempio, a Torre del Greco, di estorsioni; a Torre
Annunziata, di estorsioni e droga; o il clan Polverino Giuseppe, egemone nella zona di Marano,
Quarto e nel Vomero, che gestiva la panificazione nella città di Napoli, quindi, la farina e tutto ciò
che attiene ai panifici (Polverino era, tra l’altro, un latitante importante che abbiamo arrestato due
settimane fa in Spagna). Noi, anche per una sorta di coordinamento con la procura distrettuale
antimafia, abbiamo sempre intercettato clan che si dedicano più all’aspetto economico-finanziario:
della contraffazione si è occupata più la Guardia di finanza. Circa cinque o sei anni fa, l’Arma dei
carabinieri ha svolto delle attività sul clan Mazzarella (quindi, parliamo della zona del mercato di
piazza Garibaldi), che aveva un interesse nella contraffazione. Ho letto degli atti che parlavano di
questo clan Mazzarella che gestiva la filiera intera, a partire dalla gestione dell’opificio. Questo
oggi non accade più. Ottaviano, che è patria e luogo di nascita della Camorra o, quanto meno, della
NCO di Cutolo, ha tantissimi opifici nel triangolo tra San Sebastiano, San Giuseppe e OttavianoTerzigno, molti dei quali, oggi, impiegano manodopera a gestione cinese: sono circa 2.500 i cinesi
gestiti in questi tre comuni. Su questi, facciamo delle attività specifiche, dal controllo della
clandestinità di questi soggetti, al controllo del prodotto, che viene venduto a bassissimo costo: non
è contraffatto, bensì veramente scadente e perciò segnaliamo tali casi anche al comando dei
Carabinieri di tutela della salute, presente con un gruppo e con un comando di nucleo (spesso ci si
preoccupa anche della colorazione che viene utilizzata nel prodotto). Tutto questo lo facciamo in
sintonia anche con la Guardia di finanza la quale, invece, intercetta al porto, containers con prodotti
di natura tessile già stampati, quindi indirizzati a questi opifici. Non parliamo, però, di
contraffazione, bensì, forse, di prodotti non idonei alla salute pubblica. Si tratta, quindi, di prodotti
che non sono marchiati - non abbiamo trovato il marchio della grande griffe italiana - bensì di
prodotti scadenti, di qualità scadente, che poi vengono immessi nel mercato a cifre veramente
ridicole (6, 7, 10 o 15 euro), che non giustificano neanche la manodopera. Si capisce, poi, il perché
la compagnia di Nola, lo scorso anno, abbia focalizzato la sua attenzione su lavoratori e opifici
cinesi e abbia captato e intercettato dei poveretti che vivevano in loculi. Si capisce, cioè, il perché si
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può rivendere un prodotto a un prezzo tanto basso: perché a basso costo è il lavoro vero, questo è
un dato di fatto. I nostri sequestri, che dal 2010 al 2011 sono notevolmente aumentati, passando da
17.000 a 144.000, sono dovuti all’impegno che abbiamo posto nel controllo del territorio, nei
mercati rionali, nei mercati cittadini. La stazione dei carabinieri, anche in questo caso, è un punto di
forza.
PRESIDENTE. Si può dire, quindi, che vi siete occupati della distribuzione in particolare e del
commercio al dettaglio?
MARCO MINICUCCI, comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli. Ci siamo concentrati
esattamente su distribuzione e acquisto, laddove la stazione dei carabinieri diventa un fattore di
successo. Noi crediamo che la stazione dei carabinieri – ci vantiamo di essere una delle poche, se
non l’unica, istituzione dello Stato che da quasi 200 anni, dal 1814, ha sempre mantenuto lo stesso
nome e la stessa organizzazione – anche in questo settore possa dire la sua, come dicono i numeri,
che in alcuni settori merceologici sono triplicati; la pattuglia che controlla il mercato rionale
settimanale, oltre a evitare lo scippo e la rapina o quanto meno a diminuirne i numeri, interviene
infatti anche su questo settore della contraffazione mediante sequestro. Vero è che poi non
sappiamo dove mettere tale materiale sequestrato o non sappiamo come distruggerlo, senza negare
il fatto che spesso ci dispiace anche distruggere un prodotto così ben fatto, che non è mai quello
cinese, bensì quello italiano (gli esperti ci dicono che tra i due si capisce la differenza). A volte,
infatti, quando si chiama qualche esperto della società interessate, egli conferma che il prodotto è
contraffatto talmente bene da essere fatto, probabilmente, in Italia e non in Cina (la qualità stessa
della pelle è buona e il prezzo un po’ più alto). Tuttavia, dove mettiamo questo prodotto? Abbiamo
cominciato a buttarlo fuori dalle caserme. Per quanto riguarda il prodotto contraffatto alimentare, si
tratta di un altro settore: tale contraffazione è molto sentita in provincia di Napoli. A Natale
abbiamo affrontato la contraffazione dello champagne, siamo cioè stati allertati e sensibilizzati dal
Ministero della salute perché le bottiglie di champagne venivano vendute con all’interno del vino
bianco normale. Ciò avviene all’ordine del giorno a Napoli, che penso faccia scuola da questo
punto di vista. Del resto, sono state fatte qui le prime magliette con la cintura di sicurezza
stampigliata: benché le prime furono fatte al contrario, perché non erano abituati a metterle, queste
magliette sono state inventate qui. Al di là di tutto, sono ingegnosi.
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Il prodotto alimentare contraffatto, una volta verificato che, tutto sommato, è genuino, si
può dare alle associazioni di beneficenza, ma il prodotto dell’abbigliamento e tessile va distrutto,
anche se ciò, alla fine, è un peccato.
CARMINE ADINOLFI, comandante generale della legione Carabinieri Campania. Il comandante
Minicucci ha toccato tanti aspetti pratici, concreti, che sono riferiti ovviamente all’aspetto
operativo. Come sempre, di fronte a certi fenomeni, mi pongo una duplice riflessione. Una riguarda
il contrasto, perché se c’è il contrasto, vuol dire che il fenomeno già esiste, cioè, siamo già di fronte
a un «fallimento», per cui l’azione di contrasto diventa inevitabile e necessaria per cercare di
eliminare quel fenomeno o, quanto meno, di contenerlo. Il problema principale, che riguarda poi in
modo particolare la realtà di Napoli e provincia, di cui ora parliamo - ma forse anche altre aree - è,
secondo me, quello della prevenzione di certi fenomeni. Finché ci saranno dei bacini di utenza,
infatti, quei fenomeni esisteranno sempre. Potremmo fare questo discorso con riferimento a
qualsiasi altro aspetto. Finché ci sarà un uso di sostanze stupefacenti, il fenomeno della droga ci
sarà sempre, così per la prostituzione e per la contraffazione. Il problema non è allora solo quello
del contrasto – che chiaramente bisogna fare, anche per cogliere poi quegli aspetti significativi che
vanno dalla produzione al lavoro in nero, al problema della concorrenza sleale e via dicendo – ma
ci dobbiamo domandare perché c’è questo fenomeno sul territorio. Andiamo a fare uno studio
storico della realtà della Campania - ma non solo di questa - e, in particolare, dell’area napoletana:
perché c’è questo forte bacino di utenza nell’acquisto di questi prodotti contraffatti? Probabilmente,
non c’è solo la ricerca della borsa Gucci con l’etichetta contraffatta, ma c’è anche, a monte, la
necessità di una buona parte della popolazione che non può permettersi il lusso di andare a
comprarsi scarpe che costano 150 o 200 euro, per cui, se le trova a 20 o 30 euro, le compra
facilmente. C’è proprio uno stato di necessità, come molto spesso quando si arriva ad accettare
forme di lavoro in nero: è perché non ci sono alternative. A mio avviso, quindi, l’esame di questi
fenomeni ci dovrebbe portare anche a uno studio delle loro cause, del perché hanno origine e del
perché si diffondono facilmente, dato che, forse, con la sola azione di contrasto non ne usciremo
mai fuori: bisogna fare qualcosa di più sul piano della prevenzione vera, che non viene realizzata
dal maggior numero di pattuglie sul territorio, che comunque servono. Sotto questo aspetto, sono
dell’avviso - non parlo da carabiniere, bensì da cittadino - che la funzione storica delle stazioni sia
fondamentale. Se noi non avessimo le stazioni, non avremmo il controllo del territorio: su questo,
non ci sono dubbi. Quando parliamo di controllo del territorio, ci riferiamo a qualsiasi tipo di
attività illecita, per cui il riferimento della stazione dei carabinieri rimane storicamente un elemento
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dal quale non si può prescindere, neanche in proiezione futura. A questo fatto, però, si devono poi
accompagnare altri interventi di natura strutturale, che partono dalla formazione, dalla
sensibilizzazione, dall’educazione. Per esempio, noi come Arma, stiamo sviluppando sul territorio
un programma – ma questo rientra in una direttiva a carattere nazionale del comando generale – che
ci sta portando presso tutte le scuole, dove parliamo di legalità e anche di queste cose in un
rapporto diretto con i giovani, proprio per migliorare la loro formazione.
Nel 2011, abbiamo tenuto delle conferenze, in ambito regionale, ad oltre 60.000 giovani:
questo è un punto di partenza fondamentale. Se noi diamo per scontato che il napoletano, che nasce
in un certo quartiere e vive in una certa famiglia, possa capire il valore della legalità e l’esigenza di
evitare certi comportamenti, partiamo da un punto di vista sbagliato. Bisogna cercare di partire,
invece, dall’educazione, dalla formazione, per operare la svolta che porti a quel rispetto e a quella
cultura della legalità che, purtroppo, non ci sono. Quando io mi affaccio dal comando della regione
e sotto vedo il Cavone, mi domando cosa sarebbe diventato mio figlio se fosse nato in quel
quartiere, in quella data famiglia. È troppo facile arrivare a delle conclusioni: se i fenomeni non
vengono studiati e se non si cercano di capire quali sono le cause, non arriveremo mai a una
soluzione dei problemi. Un’altra questione, poi, riguarda gli interventi strutturali, perché bisogna
dare delle prospettive ai giovani. È facile dire loro che non devono fare una certa scelta, ma
dobbiamo metterli, invece, in condizione di non fare una certa scelta, dandogli un’opportunità, una
possibilità di uscire fuori da quel sistema. Ciò che per noi è ovviamente illegale, per una buona
fetta di napoletani, non dico che non sia considerato un’illegalità, ma è di fatto una situazione
inevitabile. Pertanto, dobbiamo cercare di immedesimarci, di metterci nella testa altrui e chiederci:
se fossimo nati e vissuti in quel contesto, quale concezione avremmo avuto oggi della legalità?
Quale concezione avremmo avuto rispetto alla necessità di osservare certe regole: di non andare,
per esempio, a comprare le scarpe sottocosto? Per fare tutto questo, probabilmente, la vita avrebbe
dovuto dare a queste persone delle opportunità diverse, non ultima anche la possibilità di andare a
fare la spesa, cosa che non tutti riescono a fare. Questa è, secondo me, l’essenza del problema.
Quindi, se è vero che ci dobbiamo porre il problema del contrasto, da una parte, mi conforto a
pensare che l’Arma, sul piano operativo, fa quasi 14.000 arresti all’anno, d’altra, mi domando se
questa sia la soluzione ai problemi che abbiamo. Grazie.
LUDOVICO VICO. Generale, siamo molto d’accordo con le cose che ha detto, tuttavia, il contrasto
non è solo il numero degli arresti o delle azioni, è anche l’offerta di un modello; dico ciò,
ovviamente, condividendo le cose che dice lei. L’azione di contrasto deve evitare che questi
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fenomeni penetrino tra i giovani di cui parlava, in giro per tutto il paese, soprattutto nel
Mezzogiorno, così come anche per tutto il mondo occidentale e altrove,. L’offerta vincente è un
altro modello, che non si basa solo sull’offerta di scarpe che costano meno, ma propone soldi facili
e subito. Le sentinelle, lei lo sa meglio di me, quando arriva il camion, guadagnano tanto che allora,
forse, non vale più la pena andare a scuola. Pensando al contrasto, nella situazione di Napoli, la mia
domanda è questa: perché la parte del controllo della città non la fanno più i vigili urbani, cioè
perché non la fanno esclusivamente o in maniera rilevante costoro, sapendo che i carabinieri hanno
un sistema di relazioni e di funzioni dove l’azione di contrasto, di intelligence e di indagine può
andare tanto verso il basso estremo, quanto verso l’alto? Pongo questo elemento di riflessione,
signor presidente, proprio perché, dopo avere ascoltato l’assessore ieri, il cittadino va convinto. Si
diceva, un tempo – spero che valga ancora –, che vi era il bisogno dei vigili di quartiere: poi
abbiamo avuto i poliziotti di quartiere e infine anche i carabinieri di quartiere. Parlo di una
relazione che consenta un sistema diretto di reciproco controllo e di governo del quartiere,
dell’angolo e della strada. Penso, però, che i soggetti fondamentali per far ciò siano il vigile urbano,
il comune, il sindaco, la polizia municipale. I carabinieri, invece, che hanno una funzione non
sostituibile, sono un veicolo straordinario di relazione nell’ambito interforze ma, soprattutto, di
autonomia rispetto all’investigazione, ai fini di un contrasto al modello proposto, che è quanto a noi
interessa.
MARCO MINICUCCI, comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli. Sulla polizia locale o
municipale si potrebbe parlare per lunghissimo tempo, nel senso che la convinzione – lo dico senza
polemica alcuna – di non essere considerati una forza di polizia, spesso porta questi corpi a
ricercare una visibilità in tantissimi altri settori. Probabilmente, se si dedicassero al traffico o al
controllo dell’extracomunitario su strada o all’abusivismo edilizio nella città, lasciando da parte il
settore della droga o altre attività, dove probabilmente ci vuole molta più professionalità e una
maggiore conoscenza del territorio, che è data dalle stazioni, probabilmente, si riuscirebbe a fare
meglio tante altre cose. Adesso, però, abbandonerei la questione della polizia locale per parlare,
invece, di ciò che l’Arma dei carabinieri riesce a fare, senza sostituirsi alla polizia locale, bensì
facendo ciò che spetta all’Arma dei carabinieri. Il carabiniere di quartiere è stata una felicissima
intuizione del 1814, che abbiamo poi replicato agli inizi degli anni 2000. La famosa icona della
pattuglia di carabinieri nella tormenta non è altro che quello, ovvero, rimettere il carabiniere a
piedi, tra le persone, per parlare con la gente e acquisire quelle informazioni che poi sono
necessarie in qualsiasi tipo di indagine. Se il carabiniere di quartiere è un buon osservatore –
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potrebbe farlo il vigile urbano di quartiere, il poliziotto di quartiere, che già esiste –, è in grado di
indirizzare i colleghi dei reparti che naturalmente devono svolgere le indagini su determinati
settori: la contraffazione è uno di quelli. Se vedo uscire sette, otto o dieci extracomunitari da un
appartamento, probabilmente, lì potrebbe esserci il punto di smistamento del materiale. Partendo da
questa segnalazione, poi si va a vedere, si sottopone la questione alla Guardia di finanza, oppure,
magari, ce ne occupiamo noi personalmente, ci si coordina, ma comunque, la conoscenza del
territorio è sicuramente una cosa importante. I vigili urbani potrebbero avere tutte le capacità per
poter garantire questo controllo, ma qui ritorniamo a quella necessità da parte dei comuni di entrare
nell’aspetto della sicurezza, forse, in maniera un po’ più energica. Il sindaco di oggi è diverso dal
sindaco di ieri, dal sindaco del calendario ultimo di quest’anno dell’Arma dei carabinieri che,
insieme al farmacista, al parroco, e al comandante della stazione governava la cittadina. Il bisogno
di sicurezza è stato messo ormai in cima ai programmi per le elezioni dei sindaci, perché è un
aspetto per cui il cittadino ha un interesse maggiore. Alla percezione di sicurezza non
contribuiscono più soltanto le forze di polizia, ma un sistema integrato, dove i cittadini devono fare
la loro parte. Per questo, noi, intervenendo sui cittadini, potremmo avere l’alleato migliore per
frenare la crescita della contraffazione, così come stiamo facendo con la droga, con il sequestro e le
confische dei beni, andando ad incidere su un interesse della criminalità organizzata. Se è vero che
a Napoli, oggi, la criminalità organizzata ha incominciato a controllare anche i reati patrimoniali, le
rapine e i furti, significa che l’impegno della magistratura e delle forze di polizia in questo
territorio, è stato così efficace che tali associazioni devono trovare altri spazi per accaparrare
denaro. Questo significa, quindi, che è importante il ruolo di tutti e che tutti compiano le loro
funzioni al meglio delle proprie capacità. Prima parlavo di motivazione del personale: affinché
chiunque venga preposto a fare qualcosa, bisogna fornire una motivazione, altrimenti, abbiamo
soltanto delle persone che camminano e ciò non porta assolutamente a nulla. Napoli e la sua
provincia sono la patria della contraffazione. Avrete letto, stando qui, che hanno contraffatto anche
i pass della ZTL, per passare in via Chiaia. Parlare solo di contraffazione nel mondo tessile e della
moda è forse riduttivo…..
PRESIDENTE. Non è questa la nostra intenzione: siamo nella fase dell’approfondimento.
MARCO MINICUCCI, comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli. Qui si ritrova un
ingegno maggiore su cui intervenire, andando nelle scuole, tra i giovani, offrendo loro qualcosa in
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cambio: ciò è importante. Oggi, un osservatore di una piazza di spaccio - una sentinella - si prende
200 euro al giorno, che sono tanti.
CARMINE ADINOLFI, comandante generale della legione Carabinieri Campania. Con
riferimento a quanto diceva lei, cioè al fatto che bisogna fare sistema, penso che bisognerebbe fare
due cose. In primo luogo, occorre disciplinare meglio le competenze, per cui, giustamente, lei
chiedeva che cosa fa la polizia municipale. Il punto di partenza è dire chi ha quali compiti,
disciplinando meglio le competenze, in modo che ognuno vada nella direzione stabilita, perché
anche l’azione di coordinamento del prefetto deve avere un punto di partenza. Bisogna allora dire
alla polizia municipale che cosa deve fare esattamente e di non andare al di là di tale limite. Il
secondo aspetto è quello formativo perché, chiaramente, per fare certe cose ci deve essere una
formazione: un’organizzazione e una formazione. È chiaro che noi carabinieri ci portiamo dietro
una storia, quindi, dei criteri di organizzazione, formazione e operatività: probabilmente, nei corpi
della polizia municipale c’è, invece, qualche problema in più da risolvere. A volte, le difficoltà del
coordinamento e dell’attribuzione di competenze specifiche nascono anche da questo aspetto. Una
maggiore disciplina di questi due aspetti può, forse, aiutare a realizzare meglio quel sistema di cui
parlava lei.
PRESIDENTE. Grazie, generale. Vorrei fare una considerazione finale per dire che noi abbiamo
colto le sue sollecitazioni, insieme alle considerazioni del colonnello. Vorremmo dirvi che siamo
assolutamente consci del fatto che la sfida sia prima di tutto culturale. Abbiamo analizzato a fondo
la nostra legislazione, prima di tutto perché siamo legislatori, e ci siamo posti, fin dall’inizio, nella
condizione di chiederci se dovevamo cambiare le leggi. In realtà, le leggi ci sono, così come le
forze dell’ordine sono impegnate. Ciò vuol dire, allora, che bisogna agire al contrario, cioè non è
ipotizzabile pensare di risolvere il problema solo sul versante repressivo. Di questo siamo
assolutamente consci. È chiaro che, probabilmente, nel vostro territorio, che per certi versi presenta
delle criticità e che ha una storia e una tradizione in questo settore, il compito diventa ancora più
difficile perché dobbiamo fare fronte anche alla fantasia degli attori che sono in campo (una
fantasia che, molto spesso, è mossa anche dalla necessità). Se si parte da questo ragionamento, è
chiaro che le conclusioni della nostra relazione saranno in questo spirito. Penso, cioè, che su questo
versante ci sia da combattere soprattutto una battaglia culturale, di informazione al compratore, ma
anche di informazione verso chi entra in questa filiera, mettendo bene in chiaro il fatto che con
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questa modalità non ci si limita a compiere un reato, ma si distrugge un tessuto economico in modo
quasi irreversibile. Vi ringrazio per la vostra disponibilità. Dichiaro conclusa l’audizione.
La seduta termina alle 13.20.
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