DIMMI - una storia mai scritta Monologo di Laura Forti ATTRICE
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DIMMI - una storia mai scritta Monologo di Laura Forti ATTRICE
DIMMI - una storia mai scritta Monologo di Laura Forti Luci illuminano di volta in volta, come a presentarli, i luoghi dello spettacolo: un tavolo, un pannello per videoproiezioni, una scatola di cartone, il proscenio. Durante il monologo l’attrice sarà sia narratrice che interprete, ovvero userà il proscenio per dialogare con il pubblico, discutere la legge, commentare gli eventi storici e la zona del tavolo come luogo intimo per evocare i suoi fantasmi, i personaggi della famiglia che vengono ricreati con l’aiuto di pochi oggetti: uno scialle per Aida, un mazzo di chiavi per Augusto, un fiocco per la bambina, un giornale per Alfredo, il suono lontano di un pianoforte per Chaja. Sul pannello si alterneranno, come in un grande album, le foto dei familiari ed i documenti relativi all’esproprio dei mobili (la lista di cui si parla): tutto quello che resta della famiglia. L’ambiente si rischiara. In proscenio, appare l’attrice che si rivolge direttamente al pubblico. Ha in mano una voluminosa cartellina piena di appunti . ATTRICE: Oggi sono qui per ricostruire una storia, la 38836. Non è una storia tragica, non parla di deportazioni e neanche di lager; no, è una piccola storia, e la tragedia sta nel fatto che poteva essere una storia tragica. L’attrice apre la cartellina, la posa, ne mostra il contenuto: fogli, lettere, appunti, una mole notevole. Eh si, oggi vi parlerò dei vivi non dei morti. Di quelli che sono rimasti e che sono la memoria di tante piccole storie. E poi vi parlerò anche dello Stato italiano, che con questa memoria continua a non volere fare i conti. Buio. LA STORIA 38836 Luce sull’attrice che estrae fogli dalla cartellina Questa storia inizia con una Legge italiana, la legge Terracini, la 96 del 1955, che riconosce ai perseguitati politici e razziali durante il fascismo un assegno vitalizio mensile, in pratica una pensione pari alla minima INPS, circa settecentomila delle vecchie lire. Non è un grande cifra, certo, però è un simbolo; il simbolo di una responsabilità precisa dello Stato nei confronti di tutti quelli che furono perseguitati perché avevano lottato per la libertà o che furono discriminati in quanto ebrei. Questa legge l’aveva scritta Umberto Terracini1, ebreo e comunista che era stato addirittura sedici anni in carcere e che una volta diventato Presidente della Costituente aveva sentito il bisogno che il popolo italiano restituisse alle vittime del fascismo qualcosa di concreto, di tangibile, qualcosa aldilà delle parole: un segno di solidarietà e gratitudine. Si comincia a sentire impercettibilmente un frammento di discorso di Terracini, nel momento di fondazione dell’Assemblea Costituente (1947)2. L’attrice resta in ascolto delle ultime parole di Terracini, le ripete tra sè. Democrazia, giustizia... Bello, vero? Terracini che parla ci commuove, ci fa sentire fieri di essere italiani... Ora però ci sono alcuni fatti accaduti dopo che non sono così chiari. Consulta i suoi appunti Il primo assegno dato ad un cittadino ebreo discriminato, il triestino Wolfang Gruner, licenziato dai Cantieri di Monfalcone nel 1938, risale al 1994, esattamente trentanove anni dopo l’approvazione della legge. Le cinquecento domande presentate da ebrei in prima battuta sono state tutte respinte e nel 2002, quando è iniziata la mia ricerca, soltanto dodici erano state approvate, tutte dopo una lunga battaglia legale. Ci sono ben quattro revisioni della legge, del 56 del 61 del 67 e dell’80. Ci sono ricorsi e pronunciamenti discordi delle Corti dei Conti delle varie Regioni. 1 Umberto Tearrcini (1919-1983), storico fondatore del Partito Comunista Italiano, nominato Presidente dell’ Assemblea Costituente l’8 febbraio 1947. 2 (sono in attesa di sbobinare il discorso, che tra l’altro usiamo in registrato nello spettacolo). Insomma quella che doveva essere una legge pulita, simbolica, di facile applicazione si trasforma nell’arco di sessanta anni in una babele burocratica. E intanto i protagonisti, che poi sono loro la vera memoria di queste piccole storie, muoiono di vecchiaia e entro pochi anni nessuno chiederà più un risarcimento allo Stato Italiano. Posa la cartellina, prende una lettera dalla tasca. Io sono qui perché mia madre è una di queste cinquecento domande respinte. La 38836. Eccola qui la sua lettera. Tornata indietro senza particolari spiegazioni, solo che “non era conforme ai requisiti richiesti”. Eppure mia madre è ebrea, le persecuzioni le ha subite in pieno, aveva dieci anni. E allora perchè la sua domanda è stata respinta? Io mi ricordo che lei era stata una delle prime a scrivere al Ministero del Tesoro, poi c’era stata l’attesa di settimane, che erano diventate mesi, anni. Eppure quando era arrivata la risposta negativa non aveva detto una parola, solo che c’era da preparare la cena, cose pratiche, e aveva appoggiato la busta sulla sua scatola di documenti in attesa di archiviazione. “Si potrebbe fare ricorso” “Si, forse, domani”. Si avvicina alla scatola di cartone che è sul tavolo, la osserva. La scatola dei documenti, di solito stava chiusa nell’armadio. Io sapevo che lì dentro c’era tutto un mondo nascosto, il mondo della famiglia invisibile, metà italiana metà polacca, andato distrutto con la guerra. C’erano le chiavi di case che non esistevano più, le foto di parenti mai visti: ma per me non eran persone, erano fantasmi perché appunto non li avevo mai visti. Parlavano una lingua diversa dalla mia e pregavano preghiere che io non capivo. Noi figli sapevamo che quello era un mondo di ricordi e che mia madre quel mondo voleva tenerlo chiuso nell’armadio. “Cosa c’è in quella scatola, mamma”? “Ma niente, non lo so più nemmeno io, carte, lettere: documenti. Bisognerà che la butti via prima o poi”. Guarda ancora la scatola, pensierosa, poi si rivolge al pubblico. La Storia della guerra, quella dei fatti e delle date, quella concreta, quella invece la conoscevo bene. La chiedevo a mia madre come se fosse Cappuccetto Rosso. Dimmi. Dimmi di quando caddero le bombe, di quando eravate nascosti. E lei la ripeteva come un mantra, come un mito, sempre uguale, sempre la stessa. C’erano i partigiani, i fascisti, le fughe, c’era l’erba dei campi mangiata con l’aceto... “Dimmi” e partiva la storia della guerra. Però crescendo ho cominciato a chiedere di più, a fare anche delle altre domande: per esempio, di che colore era quel vestito, com’era quella voce o quel modo di dire, oppure come faceva la poesia per la visita dell’Ispettore Fascista si, quella del ruscelletto oppure com’era avere paura. E mia madre a quel punto si fermava e diceva che lei non lo sapeva. Che quelle non erano cose importanti da sapere. Paura, poesie! Erano cose astratte. Non erano cose pratiche. Pratico per lei era mangiare, trovare un paio di scarpe, salvarsi. Il resto, i particolari, dovevano restare nel silenzio. La luce sulla scatola si spenge, l’attrice torna in proscenio. Però quando lo Stato italiano ha dato questa risposta e mia madre l’ha appoggiata sulla scatola, che sarebbe sparita per sempre nell’armadio, a me è venuta voglia di parlare, di dire qualcosa di questa storia, della 38836, perché il silenzio è una coperta troppo pesante e non è possibile che una persona, la sua vita, la sua memoria, finiscano archiviate e diventino un numero, un documento. Si appunta la lettera sul petto. E allora, 38836: si, stasera sarò io il ricorso a questa domanda respinta! Certo, io non so niente di leggi, di tribunali, non son mica Perry Mason... E poi non è questo il punto. Il punto è se sia giusto dimenticare. Il punto è se sia giusto lasciarsi alle spalle le colpe dell’Italia fascista, come se fossero quelle di un altro paese. Il punto è la responsabilità. Quindi questa storia, la 38836, io stasera vorrei provare a raccontarvela. E qui c’è un primo problema perchè per raccontare bene una storia i particolari, quelli, ci vogliono. Di Cappuccetto Rosso noi ci ricordiamo il panierino pieno di cose buone da portare alla nonna, i denti grandi del lupo. E io invece questi particolari non ce l’ho. Ho solo gli appunti di una legge, qualche foto, i silenzi di mia madre e voi. Qualcuno che questi silenzi li ascolti insieme a me e che giudichi se la storia 38836 debba essere archiviata, come ha tentato di fare lo Stato italiano oppure no... Insomma, caro pubblico, questa sera lo Stato Italiano siete voi. LA LEGGE TERRACINI Sullo schermo appare il primo articolo della legge Terracini Legge l’ articolo n.1 “Ai cittadini Italiani i quali dopo il 28 ottobre 1922 siano stati perseguitati a seguito dell’attività politica contro la dittatura fascista e abbiano subito una perdita della capacità lavorativa in misura non inferiore al 30% verrà concesso a carico del bilancio dello stato un assegno vitalizio di benemerenza... Tale assegno sarà attribuito qualora causa immediata e diretta della perdita della capacità lavorativa siano stati: A) La detenzione in carcere per reato politico B) L’assegnazione a confino di polizia o a casa di lavoro inflitte esclusivamente in dipendenza dell’attività politica C) Atti di violenza o sevizie da parte dei persone a dipendenze dello stato o appartenenti a formazioni militari o paramilitari fasciste. Un assegno della stessa misura sarà attribuito nelle identiche ipotesi ai cittadini italiani che dopo il 7 luglio 1938 abbiano subito persecuzioni per motivi di ordine razziale. Gli articoli dal 2 al 7 specificano come si attribuiscono gli assegni. L’articolo 8 invece dice che le domande verranno sottoposte all’esame di una Commissione. Il Presidente della commissione è il Signor Canali... Appare la lettera della Commissione, che è appena stata citata. Canai... Canati... Cunari... voi che ci leggete in questo frego? In questa lettera3 il Presidente della Commissione... il signor... Frego... risponde al signor Giovanni Dambrosi di Trieste, un deportato che si è visto bocciare la pratica e che quindi giustamente chiede spiegazioni, che lui non ha il diritto di conoscere i nominativi dei componenti della Commissione. E conclude la lettera con questa firma illeggibile. Quindi, chi giudica questi casi in Italia è una commissione fantasma guidata dal signor Frego. Insomma, me ne frego. Parte un frammento della canzone fascista “Me ne frego”4 Una cosa però la sappiamo: tutte le pratiche di risarcimento, prima di arrivare alla Commissione fantasma devono passare dall’Ufficio VII del Ministero del Tesoro, che fino a qualche tempo fa era diretto da Ugo Adinolfi. Un nome che tornerà spesso in questa storia. Estrae dalle tasche un articolo apparso su Repubblica, lo mostra al pubblico e legge: “Menzogne e calunnie. Io applico solo le regole”5. Così su Repubblica Ugo Adinolfi. Il “due volte dottore” Ugo Adinolfi. Il Re Sole dell’Ufficio VII. Qualcuno in sala forse conosce questo signore, forse addiruttura ci ha avuto a che fare. Ma io no e allora devo ricostruire anche Adinolfi. Un burocrate, nervoso per tutte queste pratiche da sbrigare Tira fuori un fazzoletto, lo usa perdetergersi il sudore. E’ nel suo studio di Roma, è preoccupato perchè lo Stato, con questa storia, ci sta facendo una figuraccia. Sospira. Eh! La polvere, che esce da tutti questi faldoni. Eh! Apre le braccia. E poi… Il telefono che suona Anna! Anna! (imitando una segretaria) “Ministero del Tesoro Ufficio VII. Spiacente, Il Signor Adinolfi è uscito” (come Adinolfi) “Macché uscito son sempre qui con ‘ste pratiche degli ebrei. Gisella, Gisella”!!! (come Gisella, con forte accento 3 Abbiamo potuto visionare la lettera della Commissione grazie alla disponibilità del Signor Italo Vascotto dell’ADPPIA di Trieste. 4 Da “Me ne frego” (1920) “(…) Franchezza di marca italiana/Non vana baldanza chedisprezza/Chi sa bene quel che vuole/Non può dir tante parole/Per sbrigarsi gli conviene dir così/Me ne frego non so se ben mi spiego/Me ne frego fo quel che piace a me”. 5 “Il calvario degli ebrei dimenticati dallo Stato” in “La Repubblica”, sabato 6 luglio 2002. romano)“Ufficio VII Ministero del Tesoro, spiacente il Signor Adinolfi è impegnato mi ha detto di non passarje nessuna chiamata”. (come Adinolfi) “Impegnato è dir poco, impegnatissimo. Ho sul tavolo pile di domande. Il telefono che continua a suonare. E qui ci facciamo notte. Qui si rischia il danno erariale. Son miliardi che partono. Perchè se lo dai a uno il rimborso lo dai anche all’altro. D’altra parte, qui lo Stato Italiano ci rimette la faccia. Come si fa? (Tira fuori fogli dalla cartellina) E poi son duri, son stupidi ‘sti ebrei non capiscon nulla, e scrivono, e telefonano. C’è, F…F…6 ‘sto Fiorentini cacciato da scuola a 14 anni, e allora, che ci deve fare adesso lo stato italiano? E poi, ecco, P..P..(cerca nei faldoni in ordine alfabetico) la Prister licenziata e sopravvissuta grazie a un’amica, e via, daremo la medaglia a ‘sta amica, si fa una bella cerimonietta per la giornata della memoria, tutti contenti a casa e non se ne parla più, S...S...‘sta Sermoneta, che si buttò dalla finestra di casa per sfuggire ai nazisti… L’ha per caso spinta qualcuno? Qui ci facciamo un alfabeto. Bisogna uscirne”. E Adinolfi si mette a lavorare. Con calma. E così ogni pratica aspetta da un minimo di cinque a un massimo di dodici anni. E intanto il tempo passa... Cinquecento domande respinte. Tutte quelle degli ebrei. Perchè, per I perseguitati politici la legge parla chiaro: devono aver fatto attività politica antifascista e aver subito il carcere o l’esilio o le violenze. Ma cosa succede per gli ebrei, che furono perseguitati per il semplice fatto che erano ebrei? “Eh, ‘sti ebrei sono un problema”. Si avvicina alla Legge e indica il pannello. Si sente un rumore di macchina da scrivere, come se fossimo in un ufficio. Problema: nell’ultimo capoverso la legge parla di identiche ipotesi per i perseguitati politici e razziali. Ma per identiche ipotesi si intende solo l’aver subito il carcere, il confino, gli atti di violenza e le sevizie o anche essere stati militanti antifascisti? Perchè, ad esempio (cerca tra i suoi documenti), il Signor Funaro era ebreo ma non faceva un’attività politica specifica. “Eh, allora... Respinta! Respinta! Respinta”! 6 Stenio Fiorentinii, Laura Prister, la signora Sermoneta, tutti citati dall’articolo di Repubblica, sono tra le vittime beffate dalla burocrazia.. Problema: la legge Terracini indica una data di inizio (7 luglio ‘38), ma non una fine. E che, pensa Adinolfi, se il rabbino Disegni oggi si prende una manganellata da un naziskin ci tocca dargli l'assegno di benemerenza? “Eh, no! Son miliardi che partono! Bisogna mettere un limite”. “Il venticinque aprile del quarantacinque”? “Ma Signorina, le leggi razziali le ha fatte il Fascismo; caduto il Fascismo, sparite le leggi. E quando è caduto il fascismo? Ma l’ 8 settembre ’43! Quindi le persecuzioni successive, i deportamenti, le rastrellazioni, Austriz, tutto questa robaccia è colpa dei tedeschi. Che glielo diano loro l'assegno a ‘sti ebrei! (con il naso nelle pratiche) “44, ‘44, ‘45... Respinta! Respinta! Respinta”! Problema: la legge Terracini parla di atti di violenza e sevizie compiute da persone appartenenti al Partito Fascista. E qui Adinolfi e c. sfiorano il capolavoro: chiedono di dimostrare che queste violenze siano realmente avvenute. E come si fa a dimostrarlo? I fascisti non rilasciavano certificati di avvenuto pestaggio e a cinquant’anni di distanza chi li ritrova i testimoni? “Eh allora! Respinta, respita, respinta”! Problema. Che cosa si intende per violenze e sevizie? Perchè essere pestato col manganello è violenza. Ma essere cacciato di scuola come il Signor Fiorentini, aver perso il lavoro come la Signora Prister? E’ violenza questa? Sentiamo cosa dice a questo proposito la Commissione fantasma (tira fuori dalla cartellina): “La commissione ha ritenuto di mantenere il costante orientamento secondo cui NON configurano atti di violenza e sevizie l'allontanamento dalla scuola pubblica, l'abbandono della propria abitazione con conseguente espatrio e/o il ricovero clandestino e tutte le altre discriminazioni di carattere generale che, a causa del fascismo o delle leggi razziali, i cittadini italiani di religione ebraica hanno patito. In caso contrario, tutti gli appartenenti alla razza ebraica per ciò solo avrebbero diritto a percepire l'assegno vitalizio di cui all'articolo 1 della legge n. 96 del 1955”.7 Così il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, On. Daniele Molgora rispondendo ad un’interpellanza parlamentare di Franca Chiaromonte. Lascia cadere a terra la cartellina, i fogli si spargono a terra. Cinquecento domande respinte. Anche quella di mia madre. 7 La dichiarazione è del 24 gennaio 2002. E io stasera faccio ricorso. rilegge l’ultimo documento. “In caso contrario, tutti gli appartenenti alla razza ebraica per ciò solo avrebbero diritto a percepire l'assegno vitalizio di cui all'articolo 1 della legge n. 96 del 1955” L’onorevole Molgora nel 2002 scrive proprio la razza ebraica. Senza virgolette. Vuol dire che esiste una razza ebraica? Ecco, queste son le cose che ti fanno piacere, che ti fan sentire fiero di essere italiano. Eppure l’onorevole Molgora non è il solo. La pensano come lui anche i 62312 utenti del sito italiano KOMMANDO FASCISTA, quelli di HITLER IL PADRE DEI FASCISMI PADRONI DI ROMA C’ERAVAMO CI SAREMO CI SIAMO ETERNAMENTE DEGNI. Che esistono le razze è un pensiero che viene da lontano. Chamberlain, De Gobineau, quanti propugnatori degli occhi azzurri e dei capelli biondi. Ma forse il più poetico di tutti, il più convinto, è un grande artista, il compositore tedesco Richard Wagner. Sul pannello scorrono immagini di propaganda nazista fino ad arrivare ad un ritratto di Wagner (come Wagner) “L’ebreo ci sorprende con qualcosa di spiacevolmente strano. Inconsciamente proviamo il desiderio di non avere niente in comune con essi. Egli si è mescolato con altre razze ma ciò che rimane è sempre l’ebreo: il demone plastico della caduta dell’umanità in trionfante certezza”8. Adesso sul pannello compare una raffigurazione della Razza Ebraica. La Razza Ebraica! Si guarda la lettera appuntata. Sono un ricorso di razza ebraica. 8 Tra l’altro Chamberlain aveva sposato Eva, la figlia di Wagner e Cosima Lizst. Ho trovato questa affermazione di Wagner nel sito www.holywar.org (il cui motto è “In the name of God, Holy war! Arise, God, judge thy own cause” Psalm 73), dove, oltre ai soliti luoghi comuni antisemiti (terorismo ebraico, mafia ebraica, congiura massonica degli ebrei di conquistare il mondo) si passano in rassegna varie affermazioni antisemite famose, allo scopo di avvalorarne il contenuto. Guarda la scatola. In questa scatola c’è la razza ebraica. Guarda la scatola. Guarda il pubblico. Si avvicina alla scatola con fare preoccupato. Tira fuori dalla scatola un foglio ingiallito. Legge Un cassettone con marmo bardiglio Un armadio con tre specchi Un fornello a gas marca Fargas Una macchina fotografica Kodak. Un quadro con diploma Un pianoforte Ditta Otto e Karl Philipp Berlino coperto con un coltrone.9 Come chiedendo ad un’immaginaria Madre-Dio ATTRICE: Cos’è? REGISTRATO della MADRE: Una lista. ATTRICE: Che è una lista lo vedo anch’io ma... dove stavano questi mobili? REGISTRATO: In una casa, dove vuoi che stessero. ATTRICE: E di chi era la casa? REGISTRATO: Di nonna Aida, la tua bisnonna. ATTRICE: E com’era questa Aida? REGISTRATO: Era una donnona. ATTRICE: E dove stava questa casa? REGISTRATO: A Firenze. Via Giampaolo Orsini, 93. ATTRICE: Si, ma... Di chi era la macchina Kodak? Com’era il marmo bardiglio? Cos’era un fornello Fargas? Dimmi. Silenzio. Beh, però almeno abbiamo un inizio per la storia 38836. E non cose astratte, cose pratiche. Mobili di legno. I mobili della casa dove è nata mia madre. La casa della bisnonna Aida. NELLA SCATOLA C’E’ UNA CASA Compare l’immagine della bisnonna Aida 9 Questa lista, da cui parte in effetti la mia ricostruzione della casa e della storia di mia madre, fu effettivamente fatta fare dal Comune di Firenze alla famiglia Orvieto come a tutti gli Ebrei che, il 30 Novembre 1944, dovettero lasciare le loro proprietà alle vittime dei bombardamenti alleati. Non era alta, bionda e con gli occhi azzurri, questo è vero signor Wagner. Che so di lei? Che era nata nel 1870, un tempo che mi sembra lontano come le guerre puniche ed era figlia di Giuditta e di Roberto Pacifici. Roberto faceva il macellaio kashèr10, cioè macellava la carne com’è scritto nella Torah. Perchè noi ebrei sul mangiare abbiamo un sacco di regole, questo si può mangiare, questo no... Insomma, era una famiglia religiosa. La mia bisnonna si chiamava Elisa ma tutti la chiamavan Aida perché aveva la passione per Giuseppe Verdi, il musicista. Era anche andata alle Terme di Montecatini da piccola a conoscerlo, gli aveva chiesto l’autografo e lui LE AVEVA FATTO UNA CAREZZA.. Questa storia della carezza del Verdi aveva fatto il giro del mondo. Perché forse a voi non dice nulla ma nell’Italia del Risorgimento, con gli austriaci, Verdi era una star come i Beatles. Per non correre il rischio di essere arrestata, questo si impara anche alle elementari, la gente gridava “VIVA VERDI”: Vittorio Emmanuele Re d`Italia". Quindi Verdi si ritrova davanti una piccola patriota ebrea di dieci anni. Allora, ricapitolando... Verdi, il Risorgimento italiano, la famiglia religiosa... (Rivolgendosi alla Madre) “Si, ma com’era questa Aida?” MADRE: “Era una donnona”. ATTRICE: Che era una donnona lo vedo anch’io, ma poi? Dimmi! MADRE: “E che ti dico, ah si, che aveva una voglia sulla schiena e le altre bambine le dicevano che era sporca, perché la sua famiglia veniva dal ghetto” ATTRICE: (immaginando la voce di ragazzine odiose) “Struscia, struscia che tanto non viene via”. MADRE: E allora lei si metteva un dito in bocca e urlava tutta rossa di rabbia: “Manzertà”. ATTRICE: E che vuol dire manzertà? Silenzio! Meno male che ci sono i dizionari. Va in proscenio, tira fuori dalla tasca un piccolo dizionario di ebraico. Manzér, manzertà. Nel ghettaiolo che si parlava allora nei ghetti, un gran misto di dialetto locale e ebraico, voleva dire “infame, disgraziata”. 10 Il significato di “kashèr” è “adatto” ma qui si usa in riferimento al cibo. La carne per essere “kashèr” deve ricevere un particolare tipo di macellazione, che non faccia cadere a terra il sangue dell’animale. E ce ne son tante di espressioni bellissime, di parole… Sempre nella scatola ne ho trovato un elenco, fatto da mio nonno, che non se le voleva dimenticare... 11“essere arrà avito” voleva dire avere fame, “non capire davar” essere duri di comprendonio, invece “avere sekhel”, essere eccezionalmente furbi... Quindi... Una manzertà era una poco di buono, una che non capisce davàr, una che se non la smette le si tiran due schiaffi. Ve la immaginate l’Aida con la sua mole che tira uno schiaffo! Manzertà! E tutti zitti. Allora, ricapitolando. La cultura dei ghetti. Le espressioni in ebraico. Si, ma poi com’era questa Aida? MADRE: “Era una donnona”! ATTRICE: Che era una donnona lo vedo anch’io ma che aveva un grande cuore va detto. Aveva sposato Augusto, un fornaio che era diventato cieco. Appare il bisnonno Augusto. L’attrice si sovrappone all’immagine proiettata. Piano piano la vista era andata via e anche il negozio era andato in malora.. COME AUGUSTO: …perché fare il pane è una cosa complicata, non bastano le mani, ci vogliono anche l’anima e gli occhi… ATTRICE: …e l’altro socio aveva contribuito al disastro portandosi via tutti i soldi della cassa. COME AIDA: Agli zoppi grucciate negli stinchi! COME AUGUSTO: Aida, a questo mondo c’ è chi a vedere e chi non ha a vedere. Augusto non ha a vedere. ATTRICE: Un rischio mettere su una famiglia con un marito cieco a quei tempi. Ma lei lo aveva sposato lo stesso, per amore. Eh si, doveva proprio amarlo il suo Augusto. Tira fuori dalla scatola un vecchio mazzo di chiavi. Le chiavi di casa sono tutte attaccate alla sua cintura. E’ lui il capofamiglia. Nessuno può aprire e chiudere neanche un cassetto senza il permesso di Augusto! fa rumore con le chiavi 11 Sono solo alcune delle frasi del linguaggio colloquiale che si usava nei ghetti, detto perciò “ghettaiolo”. Anche se le butta via il fagotto della carne scambiandola per spazzatura. rumore di chiavi Anche se fuma il sigaro e si riempie il panciotto di cenere. rumore di chiavi Anche se l’insalatiera finisce per terra. Fa risuonare le chiavi come se ogni volta che le agita Augusto si muovesse, cammina come un cieco sul palco seguendo la voce di Aida. COME AIDA: Augusto. Sono qua gioia mia. Tre passi ancora. Un po’ più a destra. No, no, no. Più a sinistra. Si, bravo, però lascialo stare il vaso, quello con il bordo d’argento, quello costato tanti soldi, quello di crist.. CORE MIO!!! raccoglie da terra le chiavi che ha fatto cadere, come se fossero il vaso infranto. ATTRICE: Chissà cosa chiudevano queste chiavi. Quali cassetti, quail segreti.. Com’era fatta quella casa? Ha la fissazione delle chiavi questa bisnonna, perché qualcuno può sempre entrare a rubare, a portare via la roba, COME AIDA: come quel manzèr del commesso, umach bsh'mo, maledetto il suo nome, che ha fatto sparire i soldi della cassa. ATTRICE: La roba della casa che cresce grazie al lavoro a cottimo: i goyim, così gli ebrei chiamano i cristiani, le danno le pezze di stoffa e lei ci fa camicie e mutande, con la macchinona da cucire, che ci vuol la forza dell’Aida per farla funzionare, i suoi piedi e i suoi muscoli. Le mani dei Pacifici: corte, energiche, fatte per il lavoro. comincia a sentirsi il rumore di una vecchia cucitrice Lavora, conserva, chiudi, chiudi, conserva lavora e alla fine quella casa si crea. Cominciano ad esserci le tendine alle finestre, ta ta ta ta, le pedane scendiletto, ta ta ta ta, il primo servizio da té in porcellana per sei persone (mette una tovaglia sulla tavola) Certo, tutti i mobili della lista non c’erano. Ma di sicuro c’era il grammofono per sentire Verdi. Gioco musicale sui primi accordi di Và pensiero. La cucitrice si interrompe Un lusso avere in casa un grammofono. Ma Aida si era tolta il pane di bocca per averlo. Perchè c’è tutto un rito da fare, non è mica come mettere su un CD, no, c’è il tampone di velluto per pulire il disco, la puntina da cambiare, la manovella da girare... COME AIDA: Ecco, assediti qui Augusto core mio, te sulla poltroncina di damasco giallo e io...(si guarda intorno ma non ci sono altre poltrone) io sto in piedi qui vicino a te e ci ascoltiamo Va’pensiero.. ATTRICE: E la bisnonna Aida col suo Augusto ascoltando Va pensiero non era più un’ebrea uscita dal ghetto, che cuciva camicie e mutande, ma un’italiana in un palchetto di velluto a sentire l’opera. Certo, perché gli ebrei in Italia ma anche in Europa fino alla fine dell’Ottocento mica erano cittadini come gli altri, no, stavano ancora nei ghetti e non potevano avere beni stabili, fare le professioni degli altri, I goyim, e nemmeno avere una lapide quando morivano. Potevano fare solo I cenciaioli, gli sciastri12, oppure quel mestiere scomodo, un po’ schifoso, che la chiesa aveva proibito e che solo gli ebrei potevano fare: prestare denaro, fare l’ usuraio, come Shylock del Mercante di Venezia che le filodrammatiche generalmente fanno parlare così tira fuori dalla tasca un grottesco naso finto, lo indossa poi molto caricaturale “Signor mio bello voi mi sputaste addosso lo scorso mercoledì, il talaltro giorno mi prendeste a calci e il talaltro ancora mi deste del cane e ora per tutte queste cortesie dovrei prestarvi io una somma così considerevole?”13 Brutti, vecchi, avari, cattivi, con un grosso naso adunco (toglie il naso, lo osserva) Sugli ebrei pesava l’accusa di essere assassini di Gesù e se c’era un malanno, il colera, la peste bubbonica o semplicemente se qualcosa andava storto era sempre colpa degli ebrei. Il ghetto c’era anche a Firenze, la città di Aida, in Piazza della Repubblica e la prima volta è stato aperto nel 1797 con Napoleone. Si lottava per l’Unità d’Italia. Tutti uniti nelle strade, ebrei e italiani, a combattere l’Austriaco oppressore della libertà. Viva Verdi. Vittorio Emanuele Re di Italia!! 12 13 Lo sciastro è il sarto, una delle professioni più comuni nel mondo ebraico del ghetto. W.SHAKESPEARE, Il Mercante di Venezia, I,3. La musica di Và pensiero Per questo per la bisnonna Verdi era un mito e Và pensiero era più di una musica, era un simbolo. Parlava di Nabucodonosor che aveva costretto il popolo d’Israele alla schiavitù. La melodia esplode. L’attrice la ascolta rapita, come Aida. Essere Italiani. Essere come tutti gli altri. Che importava se la macchina da cucire lavorava anche lo shabbàt14, il giorno del riposo, se in casa poteva entrare un po’ di felicità? Anche se il padre di Aida, Roberto, il macellaio kashèr, che era religioso, ve lo ricordate, non era per niente contento di questa assimilazione e quando entrarono in casa le rificolone per la festa della Madonna, per far contenti i bambini, lui gliele prese a calci e le sfondò con i piedi. COME ROBERTO, IL PADRE: In questa casa si è ebrei non si è pagani. COME AIDA: Ma babbo, le avete rotte. ATTRICE: E lui la maledisse. COME ROBERTO: Fottiti tu e l’animaccia tua. ATTRICE: Ma che importava, che importava delle maledizioni dei vecchi? L’importante era che i giovani, i figli di Aida nel ghetto, in chazèr, non ci avrebbero messo piede mai più. Avrebbero fatto gli agricoltori, i militari, i politici ma gli sciastri no!... (come Aida) “Augusto, senti questa, sai cos’è un israelita? Un italiano che non va a messa la domenica”. Appaiono sullo schermo, come prese da un album di famiglia, le fotografie di Noemi, Enrico e Alfredo: i figli. Noemi il violino. Enrico il calzaturificio. E Alfredo. Beh, Alfredo era diverso. Sarebbe diventato qualcuno, lui. Eccolo. Mio nonno. Il padre di mia madre. (avanzando verso il pubblico, come a dire un segreto) Quando nasce un bambino è una gran festa e tutti gli augurano grandi cose. Vede Signor Adinolfi? Era un bambino normale, come tutti i bambini del mondo e la sua testa sarebbe stata 14 E’ il giorno del riposo per gli Ebrei, che comincia il venerdì sera e termine il sabato sera, quando compare la prima stella. Durante questo giorno di festa, non si possono accendere fuochi e si dedica il tempo soprattutto alla cura della famiglia e alla preghiera. piena di sassi, foglie, fiori e ricordi come quella di tutti i bambini. Ma era soprattutto il figlio del riscatto dal ghetto e su di lui stavan tante speranze. rumore della macchina da cucire. L’attrice cammina come Aida assecondando il rumore ossessivo della macchina. COME AIDA: Cos’è cambiato, cos’è cambiato? Prima vendevamo vestiti usati, adesso li vendiamo nuovi. 15Chi di meglio non ha, con la negra moglie shocchei. Il ragazzino è bravo a scuola, come si può fare per farlo studiare? Me lo prendono garzone in bottega. Si, farà lo sciastro! Ma ha più sekhel di così. Non può finire tra i cenci. Sai che facciamo Augusto? Io vendo le pezze di stoffa. Lo so che non son nostre, che sono dei goyim, ma poi le riscatto. Non sono impazzita, le porto al Monte dei Pegni e intanto qualche soldo me lo danno. Forza, presto! Dammi, la chiave dell’armadio. Non è una bella idea? Macché cenci e cenci. Così studia il mio Alfredo. ATTRICE: E così mio nonno prese il benedetto diploma di ragioniere e si iscrisse alla Facoltà di Economia. E il sogno dell’integrazione si stava realizzando. Una luce abbagliante. Rumori di guerra. Quando scoppia la prima Guerra mondiale, anche gli ebrei combattono e danno l’oro alla Patria: ci sono ben cinquanta generali ebrei nell’esercito e uno di loro Emanuele Pugliese sarà il più decorato di tutti. E anche i figli di Aida e Augusto... (scoppia una bomba) Beh, no, a dire la verità, per niente eroici, Alfredo è riformato perché ha un padre cieco e alla vigilia della visita militare a Enrico, uno dei famosi ragazzi del 99 (altra bomba) durante la notte scoppia una febbre misteriosa. Certo, l’Aida si era sfatta le mani a strusciargli le ascelle con ortiche e patate!! E quando la guerra finisce, gli affari cominciano a marciare (tira fuori un candeliere e una candela, mette sulla tavola un fiasco di vino) e nella casa entra la domestica goyà16 la Tina, l’havertà, che vuol dire compagna. Perché i domestici a quel tempo non erano servi e basta, no, erano gli angeli della casa, quelli che la facevano crescere, perché portare avanti una casa era come creare un mondo. E Aida osserva, dispone, controlla, come Dio. 15 16 Espressione del ghettaiolo: “Chi non ha di meglio, beva con la moglie brutta”. Femminile da “goy”, termine usato dagli Ebrei per designare i Cristiani. COME AIDA Qui le poltroncine di damasco giallo, lì una coperta in seta celeste, laggiù l’orologio con campana di vetro e sul tavolo, mi raccomando Tina, i piatti Ginori... Accende una candela Appare l’immagine di Alfredo giovane COME AIDA: Bello sei, proprio bello. Se lo vedessi il nostro figliolo Augusto. Bello. Una bella faccia, con quegli occhi scuri che sembra... Somiglia un po’ a Verdi. Si, nei modi. Serio eh! Un po’ troppo serio. Ci vorrebbe una ragazza con cui andar fuori ma è difficile trovarne una che sia abbastanza...che vada bene per il mio Alfredo. Una iafà17 come la Wanda, che ha sposato mio cugino Riccardo. E’ diventato rabbino sai. Iafà la Wanda. O la Emma che ha sposato mio fratello Samuele. Invece queste manzertòt che gli girano intorno son tutte robina, scampoli. Ci vorrebbe una challà 18speciale. Anche se poi, mica mi lascia se si sposa vero? Mica se ne va di casa? Perché noi Augusto in questa casa ci dobbiamo restare tutti. Tutti uniti. Per sempre. Una porta che si apre, una folata di vento che diventa brusio... ATTRICE: Ma usciamo dalla porta di casa di Aida e Augusto. Lasciamoli lì chiusi, a creare il loro piccolo mondo domestico, fatto di marmo bardiglio e fornelli fargas e a cercare una sposa degna del loro Alfredo. Cosa succede fuori? Sentite? Appare un’immagine indistinta che a poco a poco si definisce, è Lenin. Il brusio cresce fino a diventare tumulto. Va ai suoi appunti e tira su un libro di poesie. Legge. “Udite il grido ferreo e nichelato che dei secoli squarcia lo spessore della proava di Bromley e Goujon della prima macchina a vapore? Il Capitale, sua Altezza, senza corona né tiara assoggettata dichiara la forza rurale. La città, arraffava, sgraffignava, ingorgava la cassa della pancia ma accanto ai torni tutta gobba e magra 17 18 Da iafè, bello. sposa venne sorgendo la classe operaia”.19 Indossa un berretto da operaio. Così descrive Lenin il poeta Majakowsky. Succede che alla fine della prima guerra mondiale, l’Italia è un paese devastato. Gli operai e i braccianti agricoli che hanno pagato il prezzo più alto in guerra vogliono un cambiamento di vita. Lo esigono, protestano, scioperano. Le fabbriche agli operai, la terra ai contadini. E d’altra parte in Russia nel 1917 la classe operaia è andata al potere. In Russia ce l’hanno fatta. Guidati da Lenin hanno cacciato lo zar. Anche in Italia c’è il partito socialista che però non sa decidersi: guidare gli operai alla rivoluzione come dicono Gramsci e Togliatti o difendere gli interessi della piccola borghesia come va predicando un ex giornalista dell’Avanti, un certo Benito Mussolini? Il partito socialista si spacca. Nel 1919 Mussolini fonda il Partito Fascista e nel 1921 nasce il Partito comunista italiano, creato da Gramsci, Togliatti e Terracini, sì proprio il responsabile della legge 96 del 55.“Comunismo”, altra bella parola astratta che ci fa venire in mente bandiere rosse che sventolano sul Cremlino, l’Internazionale, Berlinguer (in parabola discendente), Occhetto, Veltroni, la festa dell’Unità. Ma a quei tempi non erano parole astratte, eran cose pratiche. Si voleva davvero cambiare il mondo. E mentre Mussolini rafforzava il suo potere alleandosi con gli industriali e facendo pestare gli operai dalle sue squadracce, nelle classi popolari riecheggiava il nome di una città, lasciapassare contro l’ingiustizia, parola d’ordine degli oppressi: a Mosca a Mosca. LA FAMIGLIA DELL’EST In sottofondo si comincia a sentire impercettibile una musica chassidica che salirà sulla descrizione del volo. Tira fuori un vecchio scialle a fiori, di foggia russa. La capitale della Russia, un grande impero che comprendeva la Bielorussia la Crimea la Bessarabia e l’Ucraina e la Polonia. E lì vicino a Varsavia in un piccolo villaggio che si chiama Kolbiel c’era l’altra parte della famiglia invisibile, quella del bisnonno Giulio, il padre di mia nonna. Il ribelle che era diventato socialista e dormiva con il Capitale di Karl Marx sotto il cuscino. E qui mi fermo perché il mondo dell’Est, degli ebrei dell’Est è un mistero. 19 Da “Lenin” di Majakowsky. Alla Madre Com’era il bisnonno Giulio? Dimmi. MADRE: Era un genio. Sapeva quattordici lingue. Guarda il pubblico interdetta ATTRICE: Un ribelle, figlio di un rabbino! passeggia dubbiosa, cercando ispirazione Un rabbino, un ribelle. Un rabbino del Baalshem Tov20, il grande Maestro, (comincia a immaginare) proprio uno di quei rabbini vestiti di nero, con il cappello di pelo e i riccioli che si chiamava guarda un po’ Israel. Più stereotipo di così. E portava una barba lunga e bianca che non tagliava mai perché sarebbe stato rompere il legame con il cielo. Quei rabbini però erano magici: sapevano guarire con la forza del pensiero, cacciavano gli spiriti, riuscivano a sollevarsi da terra e pregavano danzando. E credevano che il mondo fosse pieno di luce. E che gli uomini non erano nati per le sofferenze ma per la gioia e per danzare. Bastava solo riuscire a vederla quella luce. la Musica diventa sempre più ritmata e crea un ritmo cadenzato su cui si appoggia il testo seguente E così il rabbino Israel aveva insegnato al figlio Giulio, il ribelle, a vedere quella luce danzando. E gli aveva detto che quella musica ce l’avevano dentro tutti gli esseri, i rabbini con la loro torah e gli scemi del villaggio di Chelm, e anche i goyim ce l’avevano, anche gli animali, tutte le creature di Dio, quella musica è come un fuoco che ti infiamma, che riscalda quando fuori fa freddo, è la gioia che viene fuori e giri, giri, giri finché le case diventano lontane e ti accorgi che stai volando insieme agli angeli, li vedi gli angeli, ecco Michal e là c’è Gabriel, li vedi, ed è tutto pieno di fiori e di innamorati che si abbracciano e di animali li vedi, le vedi le colombe, e si è liberi e fa molto caldo quassù, fa molto caldo, già. La Musica cessa. Resta rumore di vento 20 Il più importante rabbino di questa corrente è stato Isreal Ben Eliezer (1700- ?), fondatore del Chassidismo: questi rabbini aderivano ad una spiritualità mistica, studiavano la kabbalah ed erano anche dei guaritori. L’ATTRICE (come sentendo all’improvviso il freddo nelle ossa) Ammazza che caldo che fa in questo villaggio della Russia... Adesso sullo schermo è proiettato il famoso violinista di Chagall Per questo Chagall mette sempre un violinista nei suoi quadri perché la musica dell’ anima è l’unica cosa che può far volare sulla miseria. Quindi suonala adesso, finché sei vivo. Se non ora quando? La vita è molto breve. Ma in quei villaggi cominciano a entrare i cosacchi, i soldati dello zar e i contadini che vogliono togliere la terra agli ebrei. E al grido di hep hep hep, che è quello dei cristiani contro i turchi alle crociate, distruggono tutto quello che trovano. Hep hep hep. Hep hep hep. E Chagall non disegna più soltanto fiori. Appare “La crocefissione bianca” di Chagall. I pogrom, primo passo di distruzione del mondo degli ebrei dell’est. E il mio bisnonno Giulio comincia a non vedere più tanta gioia nel mondo di Dio. E decide che da grande non farà il rabbino ma il ribelle perché nel mondo del suo Dio gli uomini la libertà la conquistano con le armi. Uno spettro si aggira per l’Europa. COME ISRAEL, IL RABBINO : Cos’è questo libro che tieni sotto il cuscino? Chi sarebbe questo Karl Marx? Avanti, spiegati. tenendo aperto il fazzoletto di stoffa di foggia russa come se fosse un sipario di un teatrino di marionette dove interpreta il ribelle e il rabbino COME GIULIO, IL RIBELLE: “I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti soltanto con il rovesciamento violento di tutto l’ordinamento sociale. Le classi dominanti tremino al pensiero di una rivoluzione. I proletari non hanno da perdere che le loro catene. Proletari di tutto il mondo unitevi”! COME ISRAEL: E che vorrebbe dire? COME GIULIO: Che io non mi farò portare come pecora al macello. COME ISRAEL: C’è poca gioia nel tuo cuore. COME GIULIO: Hep hep hep. La gente muore di fame. I bambini vengono uccisi. Hep hep hep. Non dice niente il tuo Dio? COME ISRAEL: Possiamo dividere quello che abbiamo, come facciamo per ogni shabbes. COME GIULIO: Non è togliendoci il cibo di bocca che si sazierà la fame di giustizia. COME ISRAEL: Il male non esiste. La vita può essere molto bella. COME GIULIO: Non starò qui fermo senza combattere. COME ISRAEL: E cosa vuoi fare? Non sa effettivamente cosa rispondere, contempla lo scialle. ATTRICE: Un ribelle. Un rabbino. Che dicevano la stessa cosa. Tutti e due volevano volare sopra la miseria. Non erano così distanti. Ma lo spirito ribelle porta il mio bisnonno Giulio a dire una parola di troppo “Viva la libertà”. E a volte le parole non volano affatto, anzi sono pesanti come il piombo. Le guardie dello zar lo rincorrono, lo cercano. Prende le sue poche cose, i suoi volantini, il libro di Marx e anche... COME ISRAEL: La mia berrakha21. Noi non ci rivedremo più. Una luce stroboscopica crea un effetto di cinema anni 20, sulla battuta seguente. ATTRICE: (molto veloce, correndo sul posto) E iniziò il viaggio. Scapparono in Germania, ma anche qui era pericoloso per gli ebrei e poi in Ungheria, in Svizzera e poi in Francia, dove era scoppiato da poco il caso Dreyfus, un ufficiale ebreo accusato di alto tradimento e la Croix un giornale cattolico diceva (leggendo un giornale immaginario) che 22“gli ebrei sono i serpenti, non si possono distinguere i buoni dai cattivi così bisogna schiacciarli tutti” e ancora (sempre sul giornale immaginario) “Giuda ha venduto il Dio di misericordia e d’amore, dopo 18 secoli non è cambiato nulla” e si grida morte agli ebrei e anche qui non è tranquillo. E tutto sommato ci sono pochi posti dove stare tranquilli in Europa. E decidono di andare in Italia, perché gli italiani si sa non sono antisemiti. (si ferma all’improvviso, rivolgendosi al pubblico) “Sai che cos’è un israelita? Un italiano che non va a messa la domenica”. (di nuovo veloce) E nacque mia nonna che chiamarono in ebraico Chaja, vita. E successe davvero, non rividero mai più quel piccolo villaggio. 21 Benedizione data dal capofamiglia. “La Croix”, organo della Confraternita assunzionista era uno dei giornali più moderni e diffusi e diffondeva un antisemitismo fanatico ed elementare (gli ebrei avevano portato il materialismo, il socialismo, l’anticlericalismo etc) 22 Si rivolge alla Madre E allora abbiamo parenti in Polonia? MADRE: No, non ci sono più. ATTRICE: E perché? Dimmi. MADRE: Se ne sono andati, ecco perché. ATTRICE: E dove sono andati? MADRE: Sono partiti, su un carro di fieno per arrivare in Italia. ATTRICE: E gli altri? Che è successo agli altri? Cos’è successo al rabbino Israel? Eh mamma? Dimmi. Dove sono finiti tutti gli ebrei dell’est? CHAJA Un suono di pianoforte. L’attrice tira fuori un secondo candeliere, accende la candela. Mia nonna Chaja è l’unica di cui ho ricordi diretti. Lei non era solo un documento, l’ho conosciuta. Viveva in una casa strana, piena di gatti e faceva le stregonerie che fanno tutte le nonne. Mangiava kasher, anzi kosher, come dicono gli ebrei dell’Est. Leggeva il futuro nei fondi del caffé, cucinava il gefilte fish,23 uno strano pasticcio di pesce agrodolce, sapeva parlare molte lingue ed era una grandissima ribelle. E si sa, le donne ribelli hanno una vita dura. Ma la nonna pensava che le cose si potessero sempre cambiare, combattendo. E che la vita fosse molto breve e quindi vivila adesso perché se non ora quando? E un giorno è morta e io non sapevo che dire perché quegli antenati della scatola parlavano una lingua diversa dalla mia e pregavano preghiere che non capivo. E la sera ascoltava cassette di musica yiddish e piangeva perché la sua anima era rimasta là, in Polonia, insieme al rabbino del Balshem e sono sicura che insieme avrebbero danzato fino a volare la danza della luce. Per questo aveva regalato a mia madre il libro di Peter Pan: “perché volare è essere liberi. Viva la libertà”. Per questo quando fu combinato il matrimonio con Alfredo pretese, condizione fondamentale, che nella casa di via Giampaolo Orsini entrasse il pianoforte Otto e Philips di Berlino. Quello della lista. Perché su quel pianoforte l’anima doveva continuare a esercitarsi per non morire. 23 Gefilte fish, piatto della cucina polacca, è un pasticcio fatto con varie parti del pesce. Si mangia soprattutto per Pesach, la pasqua ebraica. CHAJA +ALFREDO L’attrice compone finalmente il tavolo della casa, aggiungendo due sedie, alle quali saranno seduti idealmente Alfredo e Augusto e collocando sul tavolo un giornale, occhiali, chiavi - oggetti contenuti nella scatola. Da questo momento l’azione si concentra in questa zona: il tavolo si riempie via via di oggetti, con il passare degli anni e si indagano i rapporti tra i personaggi della famiglia. E così ecco la famiglia tutta riunita nella casa di via Giampaolo Orsini 93: eccoli qui i miei fantasmi della scatola. E’ il 27. Si festeggia la laurea di Alfredo, dottore in economia con una tesi sulla Palestina. Da un lato il festeggiato (poggia un giornale che sarà il simbolo di Alfredo sul posto a tavola), dall’altro Augusto (fa risuonare e poggia le chiavi), e ovunque come una presenza divina, Aida, che non si siede mai, sempre attenta con la Tina che tutto sia in ordine. E poi la sposina, l’ultima arrivata, la polacca, ma dov’è? passaggio di pianoforte, come se Chaja lo suonasse. COME AIDA: È sempre al pianoforte, quella! Mica lo sa suonare eh! Lo strimpella con due dita! Però l’ha voluto! passaggio di pianoforte. Sta delle ore a dire canzoncine in quella lingua strana di quegli iodii24. Lo so so che sono iodii come noi, però mi sembrano peggio di noi. passaggio di pianoforte Sono esagerati, col loro coscer. Son diversi, via. passaggio di pianoforte E poi sospira sempre! Speriamo che Alfredo abbia fatto bene a metterla sotto talled25. Speriamo che non sia una manzertà! passaggio di pianoforte scatenato 24 Sta per “ebrei”, Sposarla. Il tallet è il mantello sotto il quale lo sposo accoglie la futura sposa durante la cerimonia religiosa. 25 Certo noi a preparare e lei bella seduta al pianoforte. Avanti Tina, deve essere tutto iafé. E’ diventato dottore il mio Alfredo! Dottore in economia. Dopo tanti anni senza mai achiare nè sciocheiare. Certo, il titolo della tesi non l’ho proprio capito, core mio. “Il movimento sionista e il mandato sulla Palestina. Bisogna che gli iodii vadano in Palestina? E chi l’ha detto? Alfredo alza una pagina del giornale: una svastica COME ATTRICE: Perchè per quegli ebrei là era difficile vedere le nubi che si stavano addensando sull’Europa. Il movimento nazista fondato molti anni prima in Germania era lontano, non era così spaventoso. Certo Hitler già nel 27 aveva cercato di ammazzare il primo ministro e di prendere il potere. Ma Aida di queste cose non voleva neanche sentir parlare. COME AIDA: Ma che vuoi che faccia quell’imbianchino, quell’Hitler. Già l’hanno messo in galera una volta quello. E poi noi siam qui da generazioni e non ci butta fuori nessuno. Macché antisemitismo. L’ha detto anche Mussolini, c’era qui, sul giornale (cerca nel giornale di Alfredo): "La nuova Sionne, gli ebrei italiani, l’hanno qui, in questa nostra adorabile terra". Non mi diventerai mica un bolscevico? Sarebbe levarmi el core dal petto. Per carità, Alfredo, te è meglio che stai lontano da questi betsìm26. Io non so chi te le mette in testa queste idee. Casa tua è questa! In Palestina si va un’altra volta, ora assaggia questi carciofi, senti come sono buoni i carciofi che t’ha fatto mamma. Sei arrà avito? Te starai sempre qui con la tua mamma e il tuo babbo, vero core mio? Si sposta al giornale. Gira una pagina come Alfredo. Grande scritta in rosso: “1928”. CHAJA +ALFREDO=MIA MADRE.LA STORIA 38836 (Si rialza, diventa Aida. Crea con lo scialle un fagotto, come se fosse un neonato) COME AIDA: Che bella bambina! Che channuchà, com’è iafà27. Assomiglia tutta al mio Alfredo... E anche un po’ a Verdi... (ad Augusto) Perché lei, la polacca non so, ci ha qualcosa... Ci ha un pirzùf.28… una faccia polacca, insomma... Quegli zigomi sporgenti, quella bocca dura, stretta... Si vede che non è di qui, insomma. Certo, è figlia di un uomo importante, che sa 26 Noi lo tradurremmo “rotture di scatole”. Channuchà è la festa delle luci, che cade quasi negli stessi giorni del Natale cristiano. Una bambina “channuchà” è quindi bella, luminosa, festosa. 28 Ghigno, faccia a punta. 27 dabberare29 le lingue, ha viaggiato tutto el ‘olam30, è pieno di zechujod31... Dicono che il padre sia un socialista di quelli... Di quelli convinti... E’ gente matta, certo gente coi ma’od, però quante arie!... Augusto, ma a te la polacca, che ti piace? COME AUGUSTO: Al mondo c’è chi è polacco e chi non è polacco.. (fa rumore con le chiavi) COME AIDA: Tarchè e tarchà, è tutta una mispahà!32... viene in proscenio, con il fagotto/bambina in mano ATTRICE: Eccola, la storia 38836. Miracolo del teatro! Sto tenendo in braccio mia madre. Perché vede signor Adinolfi, queste persone avevano piccole storie: un’infanzia, una casa, una famiglia. Era una bambina normale, come tutti i bambini del mondo e la sua testa sarebbe stata piena di sassi, foglie, fiori e ricordi, come quella di tutti i bambini. (come se sentisse le voci dei parenti) “Nessuno gli dirà mai che è sporca” “Vedrà cose diverse: lei deve vederle” “Si impegnerà. Studierà” “Sarà una donna libera. Viva la libertà”. Su di lei stavano tante speranze. Ma mai nessuno, signor Adinolfi, le avrebbe augurato di diventare la storia 38836. Adesso la riporto a casa e faccio anche passare un po’ di tempo. REGISTRATO AIDA: A tavola! Su, è pronto! Tina! Tina!!! L’avete messi i piatti Ginori? E le porcellane? Non quelli, vi avevo detto i Ginori. L’attrice riprende la postazione di Aida, versa dal fiasco toscano un immaginario vino in un calice e comincia a doppiare il registrato che dissolve lasciando solo la voce dal vivo. COME AIDA: E via questo giornale dal tavolo, Alfredo. Oggi niente preoccupazioni: è festa. Lekhaim33. Buon Chanukkà. Venite anche voi babbo, non fate quel muso. E va bene, abbiamo fatto anche l’albero ma che male c’è? COME ROBERTO, IL PADRE: In questa casa si è ebrei non si è pagani! COME AIDA: Oh quante storie. E’ Natale, si fanno i regali e io mi sento lo stesso iodia. 29 Da “davar”, parola e “ledabber”, parlare. Il mondo. 31 Pregi. 32 Proverbio, il cui senso è “Dove ti giri, la famiglia è sempre la stessa” 33 “Alla vita”, è il classico brindisi di buon augurio. 30 ATTRICE: Perchè per quegli ebrei là essere ebrei era un fatto interiore e non aveva bisogno di grandi segni. Per la generazione di Aida un israelita era un italiano che non andava a messa la domenica, punto e basta. La tradizione ebraica si trasmetteva con le feste, le canzoni, i brindisi e non aveva bisogno dell’ortodossia che invece caratterizzava la cultura degli ebrei dell’est, che erano stati scacciati, perseguitati nei pogrom e si erano visti costretti a far sopravvivere quelle tradizioni. Per la nonna Chaja era importante salvare quel mondo, era importante mangiare il gefiltefish, suonare al pianoforte le sue canzoni in yiddish e per lo shabbat, il giorno del riposo, come segno di benvenuto aprire la casa a tutti quanti… COME AIDA… le porte, le finestre, così entrano gli spifferi e anche gli sguardi di chi mi intendo io. Allo shabbàt lei apre la porta. Io la chiudo e lei la riapre. E apparecchia un posto in più a tavola. Che fai bellina? Aspetti visite? E lei mi ha detto. E’ per l’oreach! Per l’ospite! Capito Augusto? Per l’ospite che potrebbe arrivare! Come se noi si fosse una trattoria! Facile venire qui, e dire per l’oreach. Noi questi piatti, questi bicchieri, si son guadagnati con il sangue e il sudore. Vedi a cosa porta essere socialisti? passaggio di pianoforte provocatorio Cosa? Non le piace l’arrosto? Hai sentito, core mio? Dice che la carne del babbo non le piace. Ah, se non le piace questa scusi ma non le piace proprio niente! E’ prima scelta, con tutti li ta’ammim34, che voi laggiù da dove viene, da quei villaggi di morti di fame, ve la sognate anche la notte. Certo, se preferisce quel gefilte-coso... Gefiltefish, si io non le so dabberare le lingue strane... Bella schifezza, sembra colla e poi puzza. Che se lo mangi lei, quella, quella, quella MANZERTA’. Eh no, quel che va detto va detto. COME ATTRICE: E così mia madre si ritrova a crescere tra due fuochi: il fuoco mistico di Chagall e lo scoppiettante fornello elettrico della cucina marca Fargas. Cose pratiche! Un accordo secco di pianoforte. COME AIDA: Ecco, ora mi sette a piangere anche la bambina. S’è tutta stranita per questi dibburìm. Bona core mio! Ti sei impachadita35? 34 35 Con tutti i crismi. Spaventata. Tira fuori un fiocco, lo mette sul lato destro come la bambina che piange, poi, voltandosi di nuovo come Aida: La creatura piange! Si, figurati. Ma non roviniamoci la festa. E te, gioia mia, vieni qui che la nonna c’ha un regalo. Una bella cartella per la scuola, che ti piace tanto. Una cosa pratica. Mica come quei libri di gente che vola. Quel Peter-coso. Macché volare e volare. Piedi per terra. Prende la cartella come bambina. La apre. La voce passa al registrato REGISTRATO AIDA: Quanto sekhel che ha questa bambina. Ora si sgombra tutto e si fa una bella tombola! L’attrice si mette sotto il tavolo. La voce registrata si abbassa progressivamente, divenendo un brusio di sottofondo e poi sparendo completamente. REGISTRATO AIDA: Chi lo tiene il piattino stasera? 17. Besimav tov36. 45 Iodio. 32, 47, 25. Chanuccà. Cinquina!... COME LA BAMBINA: (Tira fuori dalla cartella il libro di Peter Pan, legge) “Non piangevo per il fatto di non avere madre, piangevo perché non posso riattaccarmi l’ombra. E poi non piangevo affatto”. “Bisogna cucirla”. “Che cos’è cucire” “Sei terribilmente ingorante” “No che non lo sono” “Ebbene te la cucirò io mio piccolo uomo” promise Wendy e prese il suo cestino da lavoro; “Solo che ti farà un po’ male”. “Stai tranquilla che non piangerò” promise Peter convinto di non avere mai pianto in vita sua37”. REGISTRATO AIDA: (di nuovo a volume alto) Guarda Alfredo, guarda che bel regalo ti abbiamo fatto io e il babbo. L’attrice, come bambina, sbircia da sotto il tavolo incuriosita. Una macchina fotografica Kodak! Eh? E’ alla moda questa! E’ da signori! Dov’è la bimba. Ma dove si è cacciata? Esci da sotto il tavolo! Che mi diventi come tua mamma? 36 37 Formula augurale; nel caso della tombola, l’immagine che evoca è il matrimonio. La citazione è tratta dal Peter Pan di J.M.Barrie. L’attrice esce dal tavolo con un rotolamento veloce, fa il giro della tavola e riprende come Aida. COME AIDA: Davvero? Una fotografia? No, io no... Non vengo bene... Via, son tutta spettinata. Dovrei cambiarmi vestito. Va bene, allora io mi metto qui con le bambine, poi viene Augusto, Alfredo... Scatta! Dai scatta! Che aspettiamo, il prossimo Kippur38? Ah, è tornata la polacca Almeno si metta uno scialle su quelle spalle nude. Accanto a me? Certo che gli faccio posto. Anzi, sapete che vi dico? Fatela voi la fotografia, voi che siete nearim39! Appare un’immagine di Hitler ATTRICE: Nel 1935 la Germania vara le prime leggi razziali contro gli ebrei: le “leggi di Norimberga”. Hitler è andato al potere due anni prima, nel ‘33. La macchina nazista ha iniziato il suo cammino. In Italia però la situazione per gli ebrei è ancora tranquilla. Mussolini addirittura crea una legge sulle Comunità Israelitiche, la legge Falco, dove si lascia piena libertà di culto. Gli ebrei si sentono al sicuro nella loro Sionne. E la vita della casa, sempre uguale, ripartiva, con i soliti pranzi cucinati dalla Tina, le solite feste,Verdi, e gli interminabili litigi tra Aida e la nonna polacca. Parte un balletto meccanico intorno al tavolo, che richiama l’atmosfera delle comiche del muto, dove l’Attrice interpreta mimicamente tutti i personaggi. COME AIDA: “Dov’è finita la polacca? Dove s’è scofandata40 con le bambine e Augusto! Toh, picchiano, forse sono loro. Ha di nuovo comprato i cetrioli al barroccino! Macché gurken, la pianti di dabberare in coso, in ostrogoto, in quella lingua di dove vien lei. Qui siamo in Italia e quelli si chiaman CE-TRIO-Li e fan venire l’acidità di stomaco. E poi dove siete stati finora? Al cinema! Hai sentito Alfredo dove ha portato Augusto la tua challà? Al cinema! Un cieco al cinema! Meno male che lei è colta e sa dabberare le lingue! (alla bambina) Dimmi core mio? Che avete visto al cinema? ATTRICE: Già, che si vedeva allora al cinema? Telefoni bianchi: amanti tradite, gelosie, passioni, le soap dell’epoca insomma... oppure i film tratti dalla scrittrice più in voga del momento, Carolina Invernizio, come... 38 Nel calendario ebraico è il momento dell’espiazione, in cui si chiede perdono a Dio dei peccati compiuti durante l’anno. 39 Giovani. 40 Dove si è cacciata, dove è andata a finire… COME AIDA: L’Angelo delle Alpi? Ma che le pare adatto a delle creature innocenti? Li ho visti sa i libracci che tiene nascosti sotto al letto. “Splendori e miserie delle cortigiane! I bassifondi di Parigi! I miserabili”! Emile Zola. COME ALFREDO (correggendola, serafico): “Victor Hugo”. COME AIDA: E’ lo stesso, poi si diventa noi i miserabili. Eccola, si è rimessa al pianoforte! Strimpella e sospira nel suo ostrogoto! Glielo do io l’Angelo delle Alpi! E alle bambine il bagno chi lo fa? L’attrice, diventando la bambina, si guarda intorno preoccupata REGISTRATO AIDA: Bambine! Nearot! A fare il bagno! Puzzano di cetriolo che sembrano uscite dall’immondizia! L’attrice si rifugia sotto al tavolo e legge il suo libro di Peter Pan, mentre l’immagine di Hitler si trasforma in altre immagini di Hitler, sempre più minacciose. COME BAMBINA: ”In mezzo ai pirati si distingue come la gemma più nera e più grande in una collana di gemme nere Giacomo Uncino. Il suo volto è cadaverico e di colore verdastro, i suoi capelli neri, l’azzurro dei suoi occhi rammenta quello dei non ti scordar di me. Una profonda malinconia gli vela lo sguardo tranne quando conficca il suo uncino nella carne di qualcuno: allora due luci rosse appaiono nelle sue pupille e le accendono in un modo spaventoso. Serba un nobile stile persino quando sgozza il nemico”. Mette il libro di Peter Pan in cartella, indossa una mantella nera, finge di scrivere con fatica con la destra. REGISTRATO AIDA: Augusto, ma non ti pare che Alfredo sia un po’ troppo preoccupato per questa storia di quell’imbianchino, quell’Hitler? Non sorride più, è sempre attaccato al giornale. E’ diventato cancelliere, va bene, ma qui siamo in Italia! Siamo italiani noi mica tedeschi. Abbiamo dato l’oro alla Patria noi, abbiam fatto le guerre. Han detto che hanno spaccato tutte le vetrine a dei commercianti. Che li hanno chiusi di nuovo nel ghetto gli ebrei. Ma non qui. Qui a noi non ci rinchiudono più. Son tutti dibburìm. Li ho sentiti io in strada gridare “abbasso l’Austria, viva gli ebrei”! Questa è casa nostra. E poi io non ci vado in Palestina!! Con tutti quegli arabi. Ma che li hai visti gli arabi? Ci hanno un pirzùf. Casa nostra è questa. Zitti adesso, che arriva la bambina… L’attrice riemerge da sotto il tavolo. Nel dialogo che segue interpreta ora Aida, ora la bambina. COME AIDA: Fammi vedere la pagella, core mio! Appare l’immagine di una vecchia pagella del periodo fascista. COME AIDA: (leggendo da un immaginario documento) Storia e Cultura fascista lodevole, lavori donneschi e manuali sufficiente. E guarda che bella poesia che hai scritto, per la visita dell’ispettore. “Il ruscelletto”. Come fa questa poesia? COME BAMBINA: “Un ruscelletto bianco scorre della mia casa al fianco... al fianco...” COME AIDA: (interrompendola) E con la destra! Hai capito Augusto la bimba ha scritto con la destra! Perché era mancina, certo è anche figlia di sua madre dopo tutto. E allora per premio ti metteranno fuori con la divisa da piccola italiana, quando verrà l’ispettore in visita? Ma che bravo il mio ometto, il core mio! Quanto sekhel che ha! Sempre, qualunque cosa succeda, mi raccomando! Piedi per terra. Prendi due orecchi di Ammann41, ecco. Senti come sono buoni i dolcini della nonna? Mica come quei cetriolacci! Adesso vai a dire l’askivenu e poi a mittà42. Visto? L’han fatta diventare capoclasse! E dov’è che ci buttano fuori a noi? Se mi voglion buttare fuori mi ci devono trascinare a forza via da casa e non è facile trascinare me, caro il mio Hitler! Non ci posso neanche pensare di tornare in chazèr43. Comincia a riecheggiare la musica di Vaì pensiero. E’ venuta su una casa da signori. Ecco core mio, ci assedemo sulle nostre 2 POLTRONCINE IN DAMASCO GIALLO e ci ascoltiamo Và pensiero. Và pensiero si incanta Ma che succede? Cos’è questo graffio? Chi è stato a rovinarmi Va pensiero? Si comincia a sentire il pianoforte di Chaja che suona un fox trot. 41 Dolci fatti per Purim. L’askivenu è una preghiera e mittà è il letto. 43 Ghetto. 42 E questi dischi da dove vengon fuori? Cosa sarebbe il fox trot? Che bavel! Qui si esagera. Il cinema, il pianoforte, adesso anche il mio Verdi col singhiozzo e poi il fox e poi il trot!! E non ridere tu Augusto, tippésc, che sennò ci sarà merivà stasera in questa casa!44 Manzertà!! il fox trot diventa incalzante ATTRICE: E mentre ripartivano le solite discussioni mia mamma sognava Peter Pan e l’Isola che non c’è. Che doveva essere un’isola in cui i bambini scrivevano poesie con la sinistra, avevano bei voti e volavano felici. Ma c’era anche un pirata pericoloso, un certo Capitano Uncino, che ce l’aveva con tutti perché un coccodrillo gli aveva mangiato una mano. E lui era molto arrabbiato e gridava sempre e dabberava in una lingua strana e faceva ,l’imbianchino e una notte era andato nel villaggio dell’isola che non c’è e aveva rotto tutto e poi con il suo uncino aveva scritto sulle case dei bambini DOVETE LASCIARE L’ISOLA. Ma i bambini non potevano lasciare l’isola perché quella era la loro isola. E Peter Pan non l’avrebbe permesso perché era un ragazzino molto furbo. Era pieno di sekhel e di sicuro avrebbe trovato un modo per sconfiggerlo. Perché Peter Pan sapeva volare e non aveva paura di niente, di nessun pericolo. esplode il fox trot. L’attrice lo balla, lanciandosi nei passi caratteristici che imitano i movimenti degli animali Turkey trot...Trotto del tacchino Grizzley bear...Orso grigio Donkey trot...Passo dell’asino Fish step... Passo del pesce Geechie Walk...Passo dell’oca. Il fox trot si interrompe di colpo. Rumore di vento. Rumore di soldati che marciano; la voce di Hitler. L’attrice viene in proscenio come se fosse la bambina a scuola. COME BAMBINA: Perché? Perché devo fare la cartella? Io ho scritto la poesia. Ho imparato a scrivere con la destra. Devo dire “Il ruscelletto” all’Ispettore. 44 Bavel è il caos. Tippesc, sciocco.Merivà, discussione, litigio. E poi cosa faccio a casa? Io mi annoio. Ci sono sempre i dibburim e la nonna che litiga con la mamma. E quando torno? Quando torno a scuola? Maestra, perché ti nascondi? Delia, Giovanna, non dite nulla? Domani? La settimana prossima? Eh, maestra? Si toglie la mantella nera, la getta. ATTRICE: E così la mantella da piccola italiana diventò un tailleur. Cose pratiche. Appare sullo schermo il manifesto della razza “Le razze umane esistono” Nel 1938 Hitler viene in visita a Mussolini a Roma e pochi mesi dopo, nel luglio del ‘38 un gruppo di scienziati fascisti scrive il “Manifesto della razza”. È l’inizio delle discriminazioni razziali. Sale sulla sedia imitando Mussolini. “L'appartenenza alla razza ebraica deve essere denunziata ed annotata nei registri dello stato civile e della popolazione” “Il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza è proibito.” “I cittadini italiani di razza ebraica non possono: essere proprietari di terreni; essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende.” “Gli ebrei stranieri debbono lasciare il territorio del Regno entro il 12 marzo 1939. Coloro che non avranno ottemperato a tale obbligo entro il termine suddetto saranno puniti con l'arresto fino a tre mesi e saranno espulsi” Non c’è più spazio per gli ebrei in Europa. Neanche per la famiglia polacca della mia nonna. E loro decidono di andare in Cile, perchè lì c’era un grande partito comunista. Quel partito comunista che sarebbe stato perseguitato da Pinochet. Era questo il loro destino: essere ribelli. Si erano salvati come ebrei e sarebbero morti come comunisti. E la nonna Chaja? Perché non andò con loro insiema al nonno? Dimmi? Si siede sulla sedia come Aida COME AIDA: La casa non si lascia! Non se ne parla nemmeno! Io da qui non mi muovo! E’ solo un momento! L’Italia non ha mai tradito gli ebrei! Can che abbaia non morde! Cosa saranno poi ‘ste leggi razziali? Noi resisteremo. Siam resistiti al chazèr! Basta avere pazienza. Tu che ne dici Augusto? COME AUGUSTO: Dico che al mondo c’è chi ha a vedere e chi non ha a vedere. Augusto non vuole vedere. ATTRICE: Ma la nonna Chaja, la polacca, quella separazione non gliela perdonò mai. COME CHAJA (seduta ad un immaginario pianoforte) : Noi non ci rivedremo più. Pausa ATTRICE: Con la partenza della famiglia polacca era finitta anche l’infanzia, erano finiti i pranzi le cene cucinate dalla Tina, i ritmi di fox trot al pianoforte i voli di Peter Pan e restava l’ansia, l’angoscia, l’incertezza del giorno dopo, i racconti dei profughi tedeschi, i non è possibile, non ci credo, gli zitti zitti che arriva la bambina. Ma queste cose i bambini le capiscono, i perché non capiscono, ma le frasi preoccupate del padre, gli sguardi tristi della madre, i sospiri della nonna, i silenzi, queste cose si che a dieci anni si sentono. COME AIDA: (andando al tavolo e sfogliando il giornale) Bisogna avere pazienza. REGISTRATO: L'esercizio professionale da parte dei cittadini italiani di razza ebraica deve essere esercitato esclusivamente a favore di persone appartenenti alla razza ebraica; Aida gira una pagina COME AIDA: Bisogna avere pazienza. REGISTRATO: è vietata qualsiasi forma di associazione e collaborazione professionale tra i professionisti non appartenenti alla razza ebraica e quelli di razza ebraica. COME AIDA: Anche il lavoro! Com’è possibile che gli abbiano tolto il lavoro? Non era bravo il mio Alfredo? Era il più bravo di tutti! E sai cos’ha fatto il suo collega? S’è strusciato le mani. Ha detto meglio, così c’è più spazio per gli italiani. Che non siamo italiani noi? Gira una pagina REGISTRATO: Gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana. COME AIDA: Tina...Va via? Dopo tanti anni... Prenda almeno qualcosa, prenda un... E’ andata. Piangeva anche lei, hai visto? Ma già, te non puoi vedere. E meno male che non puoi vedere Augusto mio. La casa non è più la stessa. Tutti sono tristi. Anche la polacca non suona più il pianoforte. E sai Augusto, quasi mi dispiace. E’ dura per tutti. Ho dovuto vendere tante cose, per due lire. Come se chiedessi la carità. Sai cosa mi manca tanto Augusto? Mi manca l’Opera. Mi manca il mio Verdi. Si sente il canticchiare di Augusto che intona Va’pensiero. Che fai Augusto? Perché ti sei messo il frac? Non si va più all’Opera. Vuoi ballare? Ma dove, qui, in questa stanza vuota? Ma che ti sei ammattito, povero core mio? Ci hai tutta la cravatta storta... Ma smettila... Mi vuoi far piangere, Augusto... Aida balla con un immaginario Augusto. Cambio di luce. L’attrice è di nuovo in proscenio. ESCLUSIONE ATTRICE: “Esclusione”! Parola vuota astratta. Però, signor Adinolfi, per un attimo provi, provi a immaginarla questa parola. Alzi la testa dalle sue scartoffie, stacchi il telefono che suona, smetta di urlare contro chi non capisce il linguaggio della burocrazia. Faccia un respiro e SENTA questa parola per lei astratta: esclusione. L’esclusione del Signor di Gioachino45 nascosto in convento per un anno e strappato dalla sua famiglia a cui lei ha detto che in fondo stare coi preti non può che avergli giovato, l’esclusione della signora Padoan cui lei ha detto che fare la scuola ebraica era meglio per gli ebrei, perché tanto si sa, loro sono più intelligenti, l’esclusione del Signor Vivante, diciassette familiari morti nei campi, a cui lei ha risposto, che si lamenta lei che è sopravvissuto? Sente, sente salire un formicoloio sul collo, un rossore alle orecchie? Sente la rabbia? Sente le vergogna? 45 Il Signor Di Gioachino e la Signora Padoan sono due membri della Comunità Ebraica di Firenze. Il caso del Signor Vivante mi è stato segnalato dal Signor Italo Vascotto, dell’ADPPIA di Trieste. mette di nuovo il naso da ebreo, usato per Shylock. Quando all’improvviso il tuo nome viene scritto in rosso in fondo a una lista, la lista degli ariani. E tu vai a dare gli esami in una scuola ariana, con professori ariani e i tuoi compagni ariani, la Delia, la Giovanna, adesso camminano sull’altro marciapiede e non ti guardano neanche in faccia e non ti salutano e non ci saranno più merende e sassi e foglie e animali e uscite insieme e ti senti dire che sei ebrea, che non c’è più spazio per gli ebrei in Europa, e circolano giornaletti in cui ti vedi raffigurata come un topo e la Civiltà Cattolica, il giornale della Chiesa, quella dove vanno ogni domenica gli altri, gli italiani, gli ariani, le famiglie di Delia e Giovanna, adesso va in giro a dire che gli ebrei fanno il pane con le ossa dei bambini cattolici. E gli ebrei fanno sacrifici umani, e per questo la Delia e la Giovanna non ti salutano più, perché tu sei ebrea e non c’è spazio per gli ebrei in Europa. Si toglie il naso. E così siamo arrivati al famoso 8 settembre 1943. La data finale di Adinolfi. La data su cui il mio ricorso dovrebbe chiudersi. Badoglio firma l’Armistizio e scappa con il Re.Gli Alleati occupano la Sicilia e preparano lo sbarco.Mussolini fonda Salò. I tedeschi sono al centro nord compresa Roma. Per gli ebrei comincia il periodo peggiore di tutta la guerra. Sono in balia dei tedeschi.Da questo momento li aspettano il sequestro dei beni, i rastrellamenti, la deportazione: 5951 ad Auschwitz, ne torneranno solo 356, 408 a Bergen Belsen, 99 a Ravensbrueck, 39 a Flossenburg. Ne tornerà 1 solo. E poi Treblinka, Buchenwald, Mathausen... “Sono stati i Tedeschi, che glielo diano loro il rimborso a ‘sti ebrei” E ha ragione Adinolfi. Ma dimentica che i Nazisti erano in Italia perchè alleati del regime Fascista. Dimentica anche che per i loro rastrellamenti i tedeschi utilizzavano le liste create dal regime fascista con il censimento degli ebrei dell'agosto del 1938. Dimentica che nella Repubblica Sociale Italiana, “i membri della razza ebraica sono stranieri e parte di una nazione nemica”. Meno male che in Italia avevano trovato la nuova Sionne! Insomma: Adinolfi dimentica. L’30 novembre 43 l’ordine di polizia numero 5 della Repubblica di Salò stabilisce che tutti gli ebrei sarnno inviati ai campi di concentramento. Le loro proprietà saranno sequestrate e assegnate alle vittime dei bombardamenti alleati. Devono andarsene anche Augusto, Aida, Alfredo, Chaja e mia madre che ha appena compiuto 15 anni. Una voce registrata recita la lista. Eccola la lista. Tutti i mobili della casa, da lasciare al Comune (la prende) Quanti ricordi mentre Aida detta e Alfredo scrive. Quante liste come queste ci sono state. Quanti piccoli mondi caduti in mano ad estranei. Spenge le candele, sta per calare un lenzuolo sul tavolo. COME AIDA: Un momento! Non possiamo andar via così. C’è ancora da fare il kiddush 46per shabbàt. In questa casa si è ebrei, non si è pagani! Versa dal fiasco toscano un immaginario vino nel calice dello shabbat. Ogni fantasma beve dal bicchiere. La bambina porta via una scodella con immaginari dolci Aida copre la tavola con un telo. BUIO. Da questo momento siamo in un senza tempo. Accende un fiammifero. LUCE COME BAMBINA: Ma dove siamo? Siamo nell’isola che non c’è. BUIO Accende un fiammifero. LUCE E che giorno è oggi? Lo stesso di ieri. Accende un fiammifero. LUCE Il coccodrillo ha mangiato la sveglia e nessuno può più sapere che ora è. Nel buio Dove sono la nonna e il babbo? Siamo rimaste sole. Luce fiammifero. La bambina ha in mano il libro di Peter Pan e per terra la scodella. Legge un brano dal libro. 46 Il Kiddush è la benedizione fatta dal capofamiglia sul vino e sul pane per lo shabbat. COME BAMBINA: “L’Isola che non c’è è un’isola con meravigliose macchie di colore qua e là e banchi di corallo e vascelli pirati al largo e selvagge tane solitarie e gnomi che per lo più esercitano il mestiere di sarto e caverne attraverso le quali scorre un fiume e principi con sette fratelli e una capanna che sta andando in rovina...” Ma questa non è l’isola che non c’è. E’ una stanza. La chiamano la stanza degli ebrei. E’ piccola. E’ fredda. Non ci sono letti, solo reti. Non possiamo uscire di qua? No. Non c’è più spazio per gli Ebrei in Europa. Io ho fame. (Gira la scodella, è vuota; strappa una pagina del libro, la assaggia) Ma questi non sono cibi veri. Dove sono i carciofi che sa fare la nonna e gli orecchi di Amman? Che giorno è? Lunedì? (strappa una pagina) Giovedì? (strappa una pagina) Siamo vicini a shabbàt? Io ho paura. Stai piangendo? No, è che non riesco a tenere incollata la mia ombra. Non riesco a ricordare più niente. Come si chiamava la maestra? Come faceva la poesia? Com’era il sapore dei cetrioli? La mia ombra sta scivolando via. L’attrice si alza e va a porsi davanti allo schermo, su cui appaiono immagini di guerra che le si proiettano addosso. IL TEMPO DELLE COSE PRATICHE ATTRICE: Siamo nel tempo dei fatti concreti, della cose pratiche. Qui non c’è spazio per le lacrime, la poesia del Ruscelletto per l’ispettore, le scoperte, i ricordi, le cose che abitano la testa dei bambini. (mette la scodella in testa come se fosse un elmo) Peter Pan è un bravo soldato. Inizia una corsa affannosa sul posto. Alle sue spalle si susseguono in videoproiezione immagini di guerra. 16 ottobre 1943, milleduecentocinquantanove ebrei vengono rastrellati a Roma; due giorni dopo milleeventitre sono deportati ad Auschwitz; tornano in diciassette. Mia madre, sua sorella e la nonna si nascondono in una vecchia miniera a Baccinello, in provincia di Grosseto. Fanno la fila per il latte ma quando tocca a loro la donna che lo distribuisce le rimanda sempre in fondo. “E’ finito”! “Ma non è vero che è finito”! “In fondo”!!! A Peter Pan non importa niente se gli altri non le vedono.. Un giorno incontra due soldati che stanno scappando verso il sud. Le regalano un paio di scarpe sfondate. Sono rotte e puzzano. Sono pesanti, ma tanto ormai non può più volare. Ha la sciatica. Le porterà per due anni. A Peter Pan non importa dei vestiti da ragazza. 5 Novembre 1943. I tedeschi fanno una retata di tutti gli ebrei fiorentini, anche i vecchi dell’ospizio. i più attivi nella caccia all’ebreo sono i fascisti della banda Carità, ma si macchiano di delitti anche la polizia, la prefettura, i carabinieri. Un ebreo consegnato vale cinquemila lire. Non c’è spazio per gli ebrei nel mondo. Trovare qualcosa da mangiare diventa sempre più difficile. Mangiano l’erba dei campi con l’aceto. Peter Pan resta giorni interi a letto, aspettando che il coccodrillo arrivi. Un giorno il dottore del paese le chiede se sa parlare inglese e fare la stenografia. Si. Ci sono i messaggi di radio Londra da portare, hai paura? Peter Pan non ha mai paura signore! Le dà una pistola. Peter Pan ha la pistola. Peter Pan non ha paura degli animali e del buio. 24 marzo 1944: per rivendicare l’attentato partigiano di Via Rasella, I nazisti comandati da Kappler uccidono trecentotrentacinque italiani alle Fosse Ardeatine con un colpo alla nuca: settantacinque sono ebrei. 4 giugno 1944 Roma è liberata,gli alleati sono alle porte, lo scontro si fa sempre più violento. Una notte i partigiani a Baccinello aprono il granaio dei fascisti e dividono il grano tra la popolazione. Peter Pan va a nascondere i sacchi sotto un ponte! (Tira fuori una sigaretta) Non basta fare cose da soldato. Ti devi anche comportare da soldato. Sennò che soldato sei? Sei forse una femminuccia? (Prova a mettersi la sigaretta in bocca, fuma goffamente, tossisce) “Non si fuma così. Guarda come si fa”. Lui ha diciassette anni, è grande, fa il partigiano. E’ molto, molto carino… “Come ti chiami?” Bocca chiusa e piedi per terra. “Io sono Enrico. Tanto lo so che sei di quelli nascosti nella miniera. Hai freddo”? Bocca chiusa e piedi per terra. “Me lo daresti un bacio”? (si stacca un bottone dalla giacca, glielo porge). “Ma questo è un bottone. Allora”?” E’ come in Peter Pan”. “Come in chi”? E’ carino ma proprio scemo, un goy scemo. “Vabbé, io vado, ciao”. COME BAMBINA: Enrico,Enrico, Enrico. E’ proprio bello come un re della Bibbia Enrico. Enrico, Enrico, Enrico. Domani lo rivedo il mio Enrico. Imparo a fumare come Enrico. E la prossima volta glielo dò un bacio a... Ma Enrico il giorno dopo lo trovano impiccato. Qualcuno gli ha infilato per dispetto una sigaretta in bocca. Spenge la sigaretta. Peter Pan non ha tempo per innamorarsi. L’attrice esegue come una macchina varie azioni che sintetizzano la vita in quegli anni: porge la bacinella, corre, la pistola, mette l’elmo, dorme etc Peter Pan è un bravo soldato. Peter Pan non ha paura. Peter Pan non porta vestiti da ragazza. Peter Pan aspetta che il coccodrillo arrivi... etc Lo schermo diventa all’improvviso bianco. ATTRICE: Ti prego mamma. Dimmi. Com’era la poesia per l’Ispettore? Un lungo silenzio. Rumore di pianoforte che riaffiora da lontano e che suona, interrotto da un colpo come se qualcuno si divertisse a sfondarlo. Suono. Colpo. Suono... I colpi diventano sempre più presenti. L’attrice va al tavolo, scopre il telo, prende il bicchiere usato per il Kiddush e lo lascia cadere in terra. Il bicchiere si rompe. Quando tornarono a casa, la trovarano distrutta. Qualcuno si era divertito a fare a pezzi con un rasoio il divano in pelle e le poltroncine di damasco giallo. Il pianoforte Otto Philip di Berlino era sfondato. Degli altri mobili non c’era traccia. Dopo varie ricerche riuscirono a ritrovarli e chiesero la restituzione. Ne tornarono la metà. Il nuovo proprietario si rifiutò di pagare le spese di trasporto. L’attrice raccoglie i pezzi del bicchiere caduto, come se ognuno fosse una persona. Samuele Pacifici, il fratello di Aida con la moglie Emma e la figlia Nuccia Auschwitz Riccardo Pacifici, il cugino di Aida con la moglie Wanda Auschwitz Il rabbino del Balshem, Israel Dresner con la moglie Anna e tutta la famiglia Buchenwald Augusto non resse a quello che alla fine dovette vedere. Morì d’infarto nel ‘45. Mette i pezzi nella scatola, si stacca la lettera dal petto e la mette dentro. Si reca al proscenio per prendere anche il libro di Peter Pan. Quando lo prende la musica cessa. Scende tra il pubblico. Apre il libro, che ha le pagine strappate e legge. “Sarebbe facile disegnare la pianta dell’isola che non c'è se fosse tutto qui, ma c’è anche il primo giorno di scuola, papà e mamma, una vasca rotonda, il ricamo, assassini, impiccati, verbi che reggono il dativo, il giorno della torta al cioccolato, i primi pantaloni, le caselline, i tre soldi se ti levi da solo il dentino da latte. Tutte queste cose fanno parte dell’isola o formano un’altra pianta che appare attraverso la prima e ciò è abbastanza confuso perché non c’è nulla di stabile a questo mondo”. Richiude il libro. Prende la scatola. Questa è la storia 38836. Oggi qualcosa si è mosso*. Adinolfi per esempio ha lasciato la sua poltrona all’Ufficio VII. Forse per l’attuale governo la questione si stava facendo imbarazzante. Mia madre ha ottenuto il suo risarcimento. Nel giugno 2004, a sessantasei anni dall’inizio delle persecuzioni. L’ha ottenuto in base alla legge 96 del 55 e dell’articolo 16 della legge 903 del 21 luglio 1965 e dell’articolo 2 del DPR 448 del 27 aprile de4l 68 e della legge. 153 del 30 aprile 69 e del DPR 915 del 23 dicembre del 78 e successive modifiche e della legge 932 del 1980 e infine del DPR 377 del 30 settembre del 99. Mia madre aveva dieci anni. Ora ne ha settantasette. Quante di queste cinquecento storie avranno ancora la possibilità dei trovare chi ascolta i loro silenzi? Vi lascio un ultimo silenzio E’ la poesia di una bambina. Per favore ascoltatela con attenzione. Si allontana.. Una voce infantile declama: REGISTRATO BAMBINA: “Il ruscelletto” “Un ruscelletto bianco scorre della mia casa al fianco ed è così libero e giocondo che io lo amo tra tante cose al mondo ah, la mattina quando al risvegliare sento presso di me il suo scrosciare che alle erbe e ai gelsi dà la vita e le pecorelle a bere a sè invita il sole che lo bacia quasi l’indora e io lo ammirerei di ora in ora”. Mentre la poesia termina, si susseguono foto d’epoca di bambini (prima della guerra, in guerra). L’ultima foto è un piccolo Peter Pan. BUIO Lo spettacolo è dedicato alla bambina che mia madre non potè essere. • E’ vero, oggi qualcosa si è mosso. La Corte dei Conti a Sezioni Riunite nel marzo 2003 ha spiegato cosa si deve intendere per violenza morale, ad esempio la perdita del posto di lavoro o la mancata iscrizione a una scuola pubblica o l’espulsione: tali ipotesi concretizzano ove dimostrate il diritto del perseguitato a vedersi riconosciuto l’assegno di benemerenza e così è accaduto che parecchie centinaia di ebrei dalla primavera 2003 ad oggi hanno avuto l’assegno ma a fronte di questa situazione positiva c’è stato un restringimento dei criteri concessivi. In particolare non vengono concesse benemerenze a chi ha subito persecuzioni anche gravi dopo l’8 settembre 1943 e ciò costituisce un grande handicap perchè sono molti a richiedere e dimostrare che cosa hanno subito dopo l’armistizio, ma il governo non pare propenso al momento ad emettere alcuna legge chiarificatrice sull’argomento o una qualche direttiva. Anche le domande ci chi ha dovuto emigrare già nel 38-39 all’estero vengono perlopiù non accettate, perchè la Commissione sostiene che in fondo non si sono subite specifiche persecuzioni in Italia perchè si sarebbe “preferito” andare all’estero (!). E così, il mio ricorso teatrale, continua.