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DIMMI - una storia mai scritta Monologo di Laura Forti ATTRICE

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DIMMI - una storia mai scritta Monologo di Laura Forti ATTRICE
DIMMI - una storia mai scritta
Monologo di Laura Forti
Luci illuminano di volta in volta, come a presentarli, i luoghi dello spettacolo: un
tavolo, un pannello per videoproiezioni, una scatola di cartone, il proscenio.
Durante il monologo l’attrice sarà sia narratrice che interprete, ovvero userà il proscenio
per dialogare con il pubblico, discutere la legge, commentare gli eventi storici e la zona
del tavolo come luogo intimo per evocare i suoi fantasmi, i personaggi della famiglia che
vengono ricreati con l’aiuto di pochi oggetti: uno scialle per Aida, un mazzo di chiavi per
Augusto, un fiocco per la bambina, un giornale per Alfredo, il suono lontano di un
pianoforte per Chaja.
Sul pannello si alterneranno, come in un grande album, le foto dei familiari ed i
documenti relativi all’esproprio dei mobili (la lista di cui si parla): tutto quello che resta
della famiglia.
L’ambiente si rischiara.
In proscenio, appare l’attrice che si rivolge direttamente al pubblico.
Ha in mano una voluminosa cartellina piena di appunti .
ATTRICE: Oggi sono qui per ricostruire una storia, la 38836. Non è una storia
tragica, non parla di deportazioni e neanche di lager; no, è una piccola storia,
e la tragedia sta nel fatto che poteva essere una storia tragica.
L’attrice apre la cartellina, la posa, ne mostra il contenuto: fogli, lettere, appunti, una
mole notevole.
Eh si, oggi vi parlerò dei vivi non dei morti.
Di quelli che sono rimasti e che sono la memoria di tante piccole storie.
E poi vi parlerò anche dello Stato italiano, che con questa memoria continua
a non volere fare i conti.
Buio.
LA STORIA 38836
Luce sull’attrice che estrae fogli dalla cartellina
Questa storia inizia con una Legge italiana, la legge Terracini, la 96 del 1955,
che riconosce ai perseguitati politici e razziali durante il fascismo un assegno
vitalizio mensile, in pratica una pensione pari alla minima INPS, circa
settecentomila delle vecchie lire. Non è un grande cifra, certo, però è un
simbolo; il simbolo di una responsabilità precisa dello Stato nei confronti di
tutti quelli che furono perseguitati perché avevano lottato per la libertà o che
furono discriminati in quanto ebrei.
Questa legge l’aveva scritta Umberto Terracini1, ebreo e comunista che era
stato addirittura sedici anni in carcere e che una volta diventato Presidente
della Costituente aveva sentito il bisogno che il popolo italiano restituisse
alle vittime del fascismo qualcosa di concreto, di tangibile, qualcosa aldilà
delle parole: un segno di solidarietà e gratitudine.
Si comincia a sentire impercettibilmente un frammento di discorso di Terracini, nel
momento di fondazione dell’Assemblea Costituente (1947)2. L’attrice resta in ascolto delle
ultime parole di Terracini, le ripete tra sè.
Democrazia, giustizia... Bello, vero? Terracini che parla ci commuove, ci fa
sentire fieri di essere italiani...
Ora però ci sono alcuni fatti accaduti dopo che non sono così chiari.
Consulta i suoi appunti
Il primo assegno dato ad un cittadino ebreo discriminato, il triestino Wolfang
Gruner, licenziato dai Cantieri di Monfalcone nel 1938, risale al 1994,
esattamente trentanove anni dopo l’approvazione della legge.
Le cinquecento domande presentate da ebrei in prima battuta sono state tutte
respinte e nel 2002, quando è iniziata la mia ricerca, soltanto dodici erano
state approvate, tutte dopo una lunga battaglia legale.
Ci sono ben quattro revisioni della legge, del 56 del 61 del 67 e dell’80.
Ci sono ricorsi e pronunciamenti discordi delle Corti dei Conti delle varie
Regioni.
1
Umberto Tearrcini (1919-1983), storico fondatore del Partito Comunista Italiano, nominato
Presidente dell’ Assemblea Costituente l’8 febbraio 1947.
2
(sono in attesa di sbobinare il discorso, che tra l’altro usiamo in registrato nello spettacolo).
Insomma quella che doveva essere una legge pulita, simbolica, di facile
applicazione si trasforma nell’arco di sessanta anni in una babele burocratica.
E intanto i protagonisti, che poi sono loro la vera memoria di queste piccole
storie, muoiono di vecchiaia e entro pochi anni nessuno chiederà più un
risarcimento allo Stato Italiano.
Posa la cartellina, prende una lettera dalla tasca.
Io sono qui perché mia madre è una di queste cinquecento domande
respinte.
La 38836.
Eccola qui la sua lettera.
Tornata indietro senza particolari spiegazioni, solo che “non era conforme ai
requisiti richiesti”. Eppure mia madre è ebrea, le persecuzioni le ha subite in
pieno, aveva dieci anni.
E allora perchè la sua domanda è stata respinta?
Io mi ricordo che lei era stata una delle prime a scrivere al Ministero del
Tesoro, poi c’era stata l’attesa di settimane, che erano diventate mesi, anni.
Eppure quando era arrivata la risposta negativa non aveva detto una parola,
solo che c’era da preparare la cena, cose pratiche, e aveva appoggiato la busta
sulla sua scatola di documenti in attesa di archiviazione.
“Si potrebbe fare ricorso”
“Si, forse, domani”.
Si avvicina alla scatola di cartone che è sul tavolo, la osserva.
La scatola dei documenti, di solito stava chiusa nell’armadio.
Io sapevo che lì dentro c’era tutto un mondo nascosto, il mondo della
famiglia invisibile, metà italiana metà polacca, andato distrutto con la guerra.
C’erano le chiavi di case che non esistevano più, le foto di parenti mai visti:
ma per me non eran persone, erano fantasmi perché appunto non li avevo
mai visti.
Parlavano una lingua diversa dalla mia e pregavano preghiere che io non
capivo.
Noi figli sapevamo che quello era un mondo di ricordi e che mia madre quel
mondo voleva tenerlo chiuso nell’armadio.
“Cosa c’è in quella scatola, mamma”?
“Ma niente, non lo so più nemmeno io, carte, lettere: documenti. Bisognerà
che la butti via prima o poi”.
Guarda ancora la scatola, pensierosa, poi si rivolge al pubblico.
La Storia della guerra, quella dei fatti e delle date, quella concreta, quella
invece la conoscevo bene. La chiedevo a mia madre come se fosse
Cappuccetto Rosso.
Dimmi.
Dimmi di quando caddero le bombe, di quando eravate nascosti.
E lei la ripeteva come un mantra, come un mito, sempre uguale, sempre la
stessa.
C’erano i partigiani, i fascisti, le fughe, c’era l’erba dei campi mangiata con
l’aceto... “Dimmi” e partiva la storia della guerra.
Però crescendo ho cominciato a chiedere di più, a fare anche delle altre
domande: per esempio, di che colore era quel vestito, com’era quella voce o
quel modo di dire, oppure come faceva la poesia per la visita dell’Ispettore
Fascista si, quella del ruscelletto oppure com’era avere paura.
E mia madre a quel punto si fermava e diceva che lei non lo sapeva.
Che quelle non erano cose importanti da sapere.
Paura, poesie! Erano cose astratte. Non erano cose pratiche.
Pratico per lei era mangiare, trovare un paio di scarpe, salvarsi.
Il resto, i particolari, dovevano restare nel silenzio.
La luce sulla scatola si spenge, l’attrice torna in proscenio.
Però quando lo Stato italiano ha dato questa risposta e mia madre l’ha
appoggiata sulla scatola, che sarebbe sparita per sempre nell’armadio, a me è
venuta voglia di parlare, di dire qualcosa di questa storia, della 38836, perché
il silenzio è una coperta troppo pesante e non è possibile che una persona, la
sua vita, la sua memoria, finiscano archiviate e diventino un numero, un
documento.
Si appunta la lettera sul petto.
E allora, 38836: si, stasera sarò io il ricorso a questa domanda respinta!
Certo, io non so niente di leggi, di tribunali, non son mica Perry Mason...
E poi non è questo il punto.
Il punto è se sia giusto dimenticare.
Il punto è se sia giusto lasciarsi alle spalle le colpe dell’Italia fascista, come se
fossero quelle di un altro paese.
Il punto è la responsabilità.
Quindi questa storia, la 38836, io stasera vorrei provare a raccontarvela.
E qui c’è un primo problema perchè per raccontare bene una storia i
particolari, quelli, ci vogliono. Di Cappuccetto Rosso noi ci ricordiamo il
panierino pieno di cose buone da portare alla nonna, i denti grandi del lupo.
E io invece questi particolari non ce l’ho.
Ho solo gli appunti di una legge, qualche foto, i silenzi di mia madre e voi.
Qualcuno che questi silenzi li ascolti insieme a me e che giudichi se la storia
38836 debba essere archiviata, come ha tentato di fare lo Stato italiano
oppure no...
Insomma, caro pubblico, questa sera lo Stato Italiano siete voi.
LA LEGGE TERRACINI
Sullo schermo appare il primo articolo della legge Terracini
Legge l’ articolo n.1
“Ai cittadini Italiani i quali dopo il 28 ottobre 1922 siano stati perseguitati a
seguito dell’attività politica contro la dittatura fascista e abbiano subito una
perdita della capacità lavorativa in misura non inferiore al 30% verrà
concesso a carico del bilancio dello stato un assegno vitalizio di
benemerenza... Tale assegno sarà attribuito qualora causa immediata e
diretta della perdita della capacità lavorativa siano stati:
A) La detenzione in carcere per reato politico
B) L’assegnazione a confino di polizia o a casa di lavoro inflitte
esclusivamente in dipendenza dell’attività politica
C) Atti di violenza o sevizie da parte dei persone a dipendenze dello stato o
appartenenti a formazioni militari o paramilitari fasciste.
Un assegno della stessa misura sarà attribuito nelle identiche ipotesi ai
cittadini italiani che dopo il 7 luglio 1938 abbiano subito persecuzioni per
motivi di ordine razziale.
Gli articoli dal 2 al 7 specificano come si attribuiscono gli assegni.
L’articolo 8 invece dice che le domande verranno sottoposte all’esame di una
Commissione. Il Presidente della commissione è il Signor Canali...
Appare la lettera della Commissione, che è appena stata citata.
Canai... Canati... Cunari... voi che ci leggete in questo frego?
In questa lettera3 il Presidente della Commissione... il signor... Frego...
risponde al signor Giovanni Dambrosi di Trieste, un deportato che si è visto
bocciare la pratica e che quindi giustamente chiede spiegazioni, che lui non
ha il diritto di conoscere i nominativi dei componenti della Commissione.
E conclude la lettera con questa firma illeggibile.
Quindi, chi giudica questi casi in Italia è una commissione fantasma guidata
dal signor Frego.
Insomma, me ne frego.
Parte un frammento della canzone fascista “Me ne frego”4
Una cosa però la sappiamo: tutte le pratiche di risarcimento, prima di
arrivare alla Commissione fantasma devono passare dall’Ufficio VII del
Ministero del Tesoro, che fino a qualche tempo fa era diretto da Ugo
Adinolfi.
Un nome che tornerà spesso in questa storia.
Estrae dalle tasche un articolo apparso su Repubblica, lo mostra al pubblico e legge:
“Menzogne e calunnie. Io applico solo le regole”5. Così su Repubblica Ugo
Adinolfi. Il “due volte dottore” Ugo Adinolfi. Il Re Sole dell’Ufficio VII.
Qualcuno in sala forse conosce questo signore, forse addiruttura ci ha avuto
a che fare. Ma io no e allora devo ricostruire anche Adinolfi.
Un burocrate, nervoso per tutte queste pratiche da sbrigare
Tira fuori un fazzoletto, lo usa perdetergersi il sudore.
E’ nel suo studio di Roma, è preoccupato perchè lo Stato, con questa storia, ci
sta facendo una figuraccia. Sospira. Eh! La polvere, che esce da tutti questi
faldoni. Eh! Apre le braccia. E poi… Il telefono che suona Anna! Anna!
(imitando una segretaria) “Ministero del Tesoro Ufficio VII. Spiacente, Il Signor
Adinolfi è uscito” (come Adinolfi) “Macché uscito son sempre qui con ‘ste
pratiche degli ebrei. Gisella, Gisella”!!! (come Gisella, con forte accento
3
Abbiamo potuto visionare la lettera della Commissione grazie alla disponibilità del Signor Italo
Vascotto dell’ADPPIA di Trieste.
4
Da “Me ne frego” (1920) “(…) Franchezza di marca italiana/Non vana baldanza chedisprezza/Chi
sa bene quel che vuole/Non può dir tante parole/Per sbrigarsi gli conviene dir così/Me ne frego non
so se ben mi spiego/Me ne frego fo quel che piace a me”.
5 “Il calvario degli ebrei dimenticati dallo Stato” in “La Repubblica”, sabato 6 luglio 2002.
romano)“Ufficio VII Ministero del Tesoro, spiacente il Signor Adinolfi è
impegnato mi ha detto di non passarje nessuna chiamata”. (come Adinolfi)
“Impegnato è dir poco, impegnatissimo. Ho sul tavolo pile di domande. Il
telefono che continua a suonare. E qui ci facciamo notte. Qui si rischia il
danno erariale. Son miliardi che partono. Perchè se lo dai a uno il rimborso lo
dai anche all’altro. D’altra parte, qui lo Stato Italiano ci rimette la faccia.
Come si fa? (Tira fuori fogli dalla cartellina) E poi son duri, son stupidi ‘sti ebrei
non capiscon nulla, e scrivono, e telefonano. C’è, F…F…6 ‘sto Fiorentini
cacciato da scuola a 14 anni, e allora, che ci deve fare adesso lo stato italiano?
E poi, ecco, P..P..(cerca nei faldoni in ordine alfabetico) la Prister licenziata e
sopravvissuta grazie a un’amica, e via, daremo la medaglia a ‘sta amica, si fa
una bella cerimonietta per la giornata della memoria, tutti contenti a casa e
non se ne parla più, S...S...‘sta Sermoneta, che si buttò dalla finestra di casa
per sfuggire ai nazisti… L’ha per caso spinta qualcuno?
Qui ci facciamo un alfabeto. Bisogna uscirne”.
E Adinolfi si mette a lavorare.
Con calma.
E così ogni pratica aspetta da un minimo di cinque a un massimo di dodici
anni.
E intanto il tempo passa...
Cinquecento domande respinte. Tutte quelle degli ebrei. Perchè, per I
perseguitati politici la legge parla chiaro: devono aver fatto attività politica
antifascista e aver subito il carcere o l’esilio o le violenze. Ma cosa succede
per gli ebrei, che furono perseguitati per il semplice fatto che erano ebrei?
“Eh, ‘sti ebrei sono un problema”.
Si avvicina alla Legge e indica il pannello. Si sente un rumore di macchina da scrivere,
come se fossimo in un ufficio.
Problema: nell’ultimo capoverso la legge parla di identiche ipotesi per i
perseguitati politici e razziali. Ma per identiche ipotesi si intende solo l’aver
subito il carcere, il confino, gli atti di violenza e le sevizie o anche essere stati
militanti antifascisti? Perchè, ad esempio (cerca tra i suoi documenti), il Signor
Funaro era ebreo ma non faceva un’attività politica specifica.
“Eh, allora... Respinta! Respinta! Respinta”!
6
Stenio Fiorentinii, Laura Prister, la signora Sermoneta, tutti citati dall’articolo di Repubblica,
sono tra le vittime beffate dalla burocrazia..
Problema: la legge Terracini indica una data di inizio (7 luglio ‘38), ma non
una fine. E che, pensa Adinolfi, se il rabbino Disegni oggi si prende una
manganellata da un naziskin ci tocca dargli l'assegno di benemerenza?
“Eh, no! Son miliardi che partono! Bisogna mettere un limite”.
“Il venticinque aprile del quarantacinque”?
“Ma Signorina, le leggi razziali le ha fatte il Fascismo; caduto il Fascismo,
sparite le leggi. E quando è caduto il fascismo? Ma l’ 8 settembre ’43! Quindi
le persecuzioni successive, i deportamenti, le rastrellazioni, Austriz, tutto questa
robaccia è colpa dei tedeschi. Che glielo diano loro l'assegno a ‘sti ebrei! (con
il naso nelle pratiche) “44, ‘44, ‘45... Respinta! Respinta! Respinta”!
Problema: la legge Terracini parla di atti di violenza e sevizie compiute da
persone appartenenti al Partito Fascista. E qui Adinolfi e c. sfiorano il
capolavoro: chiedono di dimostrare che queste violenze siano realmente
avvenute. E come si fa a dimostrarlo? I fascisti non rilasciavano certificati di
avvenuto pestaggio e a cinquant’anni di distanza chi li ritrova i testimoni?
“Eh allora! Respinta, respita, respinta”!
Problema. Che cosa si intende per violenze e sevizie? Perchè essere pestato
col manganello è violenza. Ma essere cacciato di scuola come il Signor
Fiorentini, aver perso il lavoro come la Signora Prister? E’ violenza questa?
Sentiamo cosa dice a questo proposito la Commissione fantasma (tira fuori
dalla cartellina): “La commissione ha ritenuto di mantenere il costante
orientamento secondo cui NON configurano atti di violenza e sevizie
l'allontanamento dalla scuola pubblica, l'abbandono della propria abitazione
con conseguente espatrio e/o il ricovero clandestino e tutte le altre
discriminazioni di carattere generale che, a causa del fascismo o delle leggi
razziali, i cittadini italiani di religione ebraica hanno patito. In caso contrario,
tutti gli appartenenti alla razza ebraica per ciò solo avrebbero diritto a
percepire l'assegno vitalizio di cui all'articolo 1 della legge n. 96 del 1955”.7
Così il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, On. Daniele
Molgora rispondendo ad un’interpellanza parlamentare di Franca
Chiaromonte.
Lascia cadere a terra la cartellina, i fogli si spargono a terra.
Cinquecento domande respinte.
Anche quella di mia madre.
7
La dichiarazione è del 24 gennaio 2002.
E io stasera faccio ricorso.
rilegge l’ultimo documento.
“In caso contrario, tutti gli appartenenti alla razza ebraica per ciò solo
avrebbero diritto a percepire l'assegno vitalizio di cui all'articolo 1 della legge
n. 96 del 1955” L’onorevole Molgora nel 2002 scrive proprio la razza ebraica.
Senza virgolette. Vuol dire che esiste una razza ebraica? Ecco, queste son le
cose che ti fanno piacere, che ti fan sentire fiero di essere italiano.
Eppure l’onorevole Molgora non è il solo. La pensano come lui anche i 62312
utenti del sito italiano KOMMANDO FASCISTA, quelli di HITLER IL
PADRE DEI FASCISMI PADRONI DI ROMA C’ERAVAMO CI SAREMO CI
SIAMO ETERNAMENTE DEGNI.
Che esistono le razze è un pensiero che viene da lontano. Chamberlain, De
Gobineau, quanti propugnatori degli occhi azzurri e dei capelli biondi.
Ma forse il più poetico di tutti, il più convinto, è un grande artista, il
compositore tedesco Richard Wagner.
Sul pannello scorrono immagini di propaganda nazista fino ad arrivare ad un ritratto
di Wagner
(come Wagner) “L’ebreo ci sorprende con qualcosa di spiacevolmente strano.
Inconsciamente proviamo il desiderio di non avere niente in comune con
essi. Egli si è mescolato con altre razze ma ciò che rimane è sempre l’ebreo: il
demone plastico della caduta dell’umanità in trionfante certezza”8.
Adesso sul pannello compare una raffigurazione della Razza Ebraica.
La Razza Ebraica!
Si guarda la lettera appuntata.
Sono un ricorso di razza ebraica.
8
Tra l’altro Chamberlain aveva sposato Eva, la figlia di Wagner e Cosima Lizst. Ho trovato questa
affermazione di Wagner nel sito www.holywar.org (il cui motto è “In the name of God, Holy war!
Arise, God, judge thy own cause” Psalm 73), dove, oltre ai soliti luoghi comuni antisemiti
(terorismo ebraico, mafia ebraica, congiura massonica degli ebrei di conquistare il mondo) si
passano in rassegna varie affermazioni antisemite famose, allo scopo di avvalorarne il contenuto.
Guarda la scatola.
In questa scatola c’è la razza ebraica.
Guarda la scatola. Guarda il pubblico. Si avvicina alla scatola con fare preoccupato. Tira
fuori dalla scatola un foglio ingiallito. Legge
Un cassettone con marmo bardiglio
Un armadio con tre specchi
Un fornello a gas marca Fargas
Una macchina fotografica Kodak.
Un quadro con diploma
Un pianoforte Ditta Otto e Karl Philipp Berlino coperto con un coltrone.9
Come chiedendo ad un’immaginaria Madre-Dio
ATTRICE: Cos’è?
REGISTRATO della MADRE: Una lista.
ATTRICE: Che è una lista lo vedo anch’io ma... dove stavano questi mobili?
REGISTRATO: In una casa, dove vuoi che stessero.
ATTRICE: E di chi era la casa?
REGISTRATO: Di nonna Aida, la tua bisnonna.
ATTRICE: E com’era questa Aida?
REGISTRATO: Era una donnona.
ATTRICE: E dove stava questa casa?
REGISTRATO: A Firenze. Via Giampaolo Orsini, 93.
ATTRICE: Si, ma... Di chi era la macchina Kodak? Com’era il marmo
bardiglio? Cos’era un fornello Fargas?
Dimmi.
Silenzio. Beh, però almeno abbiamo un inizio per la storia 38836. E non cose
astratte, cose pratiche. Mobili di legno. I mobili della casa dove è nata mia
madre. La casa della bisnonna Aida.
NELLA SCATOLA C’E’ UNA CASA
Compare l’immagine della bisnonna Aida
9
Questa lista, da cui parte in effetti la mia ricostruzione della casa e della storia di mia madre, fu
effettivamente fatta fare dal Comune di Firenze alla famiglia Orvieto come a tutti gli Ebrei che, il
30 Novembre 1944, dovettero lasciare le loro proprietà alle vittime dei bombardamenti alleati.
Non era alta, bionda e con gli occhi azzurri, questo è vero signor Wagner.
Che so di lei? Che era nata nel 1870, un tempo che mi sembra lontano come
le guerre puniche ed era figlia di Giuditta e di Roberto Pacifici. Roberto
faceva il macellaio kashèr10, cioè macellava la carne com’è scritto nella Torah.
Perchè noi ebrei sul mangiare abbiamo un sacco di regole, questo si può
mangiare, questo no... Insomma, era una famiglia religiosa. La mia bisnonna
si chiamava Elisa ma tutti la chiamavan Aida perché aveva la passione per
Giuseppe Verdi, il musicista. Era anche andata alle Terme di Montecatini da
piccola a conoscerlo, gli aveva chiesto l’autografo e lui LE AVEVA FATTO
UNA CAREZZA.. Questa storia della carezza del Verdi aveva fatto il giro
del mondo. Perché forse a voi non dice nulla ma nell’Italia del Risorgimento,
con gli austriaci, Verdi era una star come i Beatles. Per non correre il rischio
di essere arrestata, questo si impara anche alle elementari, la gente gridava
“VIVA VERDI”: Vittorio Emmanuele Re d`Italia". Quindi Verdi si ritrova
davanti una piccola patriota ebrea di dieci anni.
Allora, ricapitolando... Verdi, il Risorgimento italiano, la famiglia religiosa...
(Rivolgendosi alla Madre)
“Si, ma com’era questa Aida?”
MADRE: “Era una donnona”.
ATTRICE: Che era una donnona lo vedo anch’io, ma poi? Dimmi!
MADRE: “E che ti dico, ah si, che aveva una voglia sulla schiena e le altre
bambine le dicevano che era sporca, perché la sua famiglia veniva dal
ghetto”
ATTRICE: (immaginando la voce di ragazzine odiose) “Struscia, struscia che tanto
non viene via”.
MADRE: E allora lei si metteva un dito in bocca e urlava tutta rossa di rabbia:
“Manzertà”.
ATTRICE: E che vuol dire manzertà?
Silenzio! Meno male che ci sono i dizionari.
Va in proscenio, tira fuori dalla tasca un piccolo dizionario di ebraico.
Manzér, manzertà. Nel ghettaiolo che si parlava allora nei ghetti, un gran
misto di dialetto locale e ebraico, voleva dire “infame, disgraziata”.
10
Il significato di “kashèr” è “adatto” ma qui si usa in riferimento al cibo. La carne per essere
“kashèr” deve ricevere un particolare tipo di macellazione, che non faccia cadere a terra il sangue
dell’animale.
E ce ne son tante di espressioni bellissime, di parole… Sempre nella scatola
ne ho trovato un elenco, fatto da mio nonno, che non se le voleva
dimenticare... 11“essere arrà avito” voleva dire avere fame, “non capire
davar” essere duri di comprendonio, invece “avere sekhel”, essere
eccezionalmente furbi... Quindi... Una manzertà era una poco di buono, una
che non capisce davàr, una che se non la smette le si tiran due schiaffi. Ve la
immaginate l’Aida con la sua mole che tira uno schiaffo! Manzertà! E tutti
zitti.
Allora, ricapitolando.
La cultura dei ghetti. Le espressioni in ebraico.
Si, ma poi com’era questa Aida?
MADRE: “Era una donnona”!
ATTRICE: Che era una donnona lo vedo anch’io ma che aveva un grande
cuore va detto.
Aveva sposato Augusto, un fornaio che era diventato cieco.
Appare il bisnonno Augusto. L’attrice si sovrappone all’immagine proiettata.
Piano piano la vista era andata via e anche il negozio era andato in malora..
COME AUGUSTO: …perché fare il pane è una cosa complicata, non bastano
le mani, ci vogliono anche l’anima e gli occhi…
ATTRICE: …e l’altro socio aveva contribuito al disastro portandosi via tutti i
soldi della cassa.
COME AIDA: Agli zoppi grucciate negli stinchi!
COME AUGUSTO: Aida, a questo mondo c’ è chi a vedere e chi non ha a vedere.
Augusto non ha a vedere.
ATTRICE: Un rischio mettere su una famiglia con un marito cieco a quei
tempi. Ma lei lo aveva sposato lo stesso, per amore. Eh si, doveva proprio
amarlo il suo Augusto.
Tira fuori dalla scatola un vecchio mazzo di chiavi.
Le chiavi di casa sono tutte attaccate alla sua cintura. E’ lui il capofamiglia.
Nessuno può aprire e chiudere neanche un cassetto senza il permesso di
Augusto!
fa rumore con le chiavi
11
Sono solo alcune delle frasi del linguaggio colloquiale che si usava nei ghetti, detto perciò
“ghettaiolo”.
Anche se le butta via il fagotto della carne scambiandola per spazzatura.
rumore di chiavi
Anche se fuma il sigaro e si riempie il panciotto di cenere.
rumore di chiavi
Anche se l’insalatiera finisce per terra.
Fa risuonare le chiavi come se ogni volta che le agita Augusto si muovesse, cammina
come un cieco sul palco seguendo la voce di Aida.
COME AIDA: Augusto. Sono qua gioia mia. Tre passi ancora. Un po’ più a
destra. No, no, no. Più a sinistra. Si, bravo, però lascialo stare il vaso, quello
con il bordo d’argento, quello costato tanti soldi, quello di crist.. CORE
MIO!!!
raccoglie da terra le chiavi che ha fatto cadere, come se fossero il vaso infranto.
ATTRICE: Chissà cosa chiudevano queste chiavi. Quali cassetti, quail
segreti.. Com’era fatta quella casa? Ha la fissazione delle chiavi questa
bisnonna, perché qualcuno può sempre entrare a rubare, a portare via la
roba,
COME AIDA: come quel manzèr del commesso, umach bsh'mo, maledetto il
suo nome, che ha fatto sparire i soldi della cassa.
ATTRICE: La roba della casa che cresce grazie al lavoro a cottimo: i goyim,
così gli ebrei chiamano i cristiani, le danno le pezze di stoffa e lei ci fa camicie
e mutande, con la macchinona da cucire, che ci vuol la forza dell’Aida per
farla funzionare, i suoi piedi e i suoi muscoli. Le mani dei Pacifici: corte,
energiche, fatte per il lavoro.
comincia a sentirsi il rumore di una vecchia cucitrice
Lavora, conserva, chiudi, chiudi, conserva lavora e alla fine quella casa si
crea. Cominciano ad esserci le tendine alle finestre, ta ta ta ta, le pedane
scendiletto, ta ta ta ta, il primo servizio da té in porcellana per sei persone
(mette una tovaglia sulla tavola) Certo, tutti i mobili della lista non c’erano. Ma di
sicuro c’era il grammofono per sentire Verdi.
Gioco musicale sui primi accordi di Và pensiero. La cucitrice si interrompe
Un lusso avere in casa un grammofono. Ma Aida si era tolta il pane di bocca
per averlo. Perchè c’è tutto un rito da fare, non è mica come mettere su un
CD, no, c’è il tampone di velluto per pulire il disco, la puntina da cambiare,
la manovella da girare...
COME AIDA: Ecco, assediti qui Augusto core mio, te sulla poltroncina di
damasco giallo e io...(si guarda intorno ma non ci sono altre poltrone) io sto in piedi
qui vicino a te e ci ascoltiamo Va’pensiero..
ATTRICE: E la bisnonna Aida col suo Augusto ascoltando Va pensiero non
era più un’ebrea uscita dal ghetto, che cuciva camicie e mutande, ma
un’italiana in un palchetto di velluto a sentire l’opera.
Certo, perché gli ebrei in Italia ma anche in Europa fino alla fine
dell’Ottocento mica erano cittadini come gli altri, no, stavano ancora nei
ghetti e non potevano avere beni stabili, fare le professioni degli altri, I
goyim, e nemmeno avere una lapide quando morivano. Potevano fare solo I
cenciaioli, gli sciastri12, oppure quel mestiere scomodo, un po’ schifoso, che la
chiesa aveva proibito e che solo gli ebrei potevano fare: prestare denaro, fare
l’ usuraio, come Shylock del Mercante di Venezia che le filodrammatiche
generalmente fanno parlare così
tira fuori dalla tasca un grottesco naso finto, lo indossa poi molto caricaturale
“Signor mio bello voi mi sputaste addosso lo scorso mercoledì, il talaltro giorno mi
prendeste a calci e il talaltro ancora mi deste del cane e ora per tutte queste cortesie
dovrei prestarvi io una somma così considerevole?”13
Brutti, vecchi, avari, cattivi, con un grosso naso adunco (toglie il naso, lo osserva)
Sugli ebrei pesava l’accusa di essere assassini di Gesù e se c’era un malanno,
il colera, la peste bubbonica o semplicemente se qualcosa andava storto era
sempre colpa degli ebrei. Il ghetto c’era anche a Firenze, la città di Aida, in
Piazza della Repubblica e la prima volta è stato aperto nel 1797 con
Napoleone. Si lottava per l’Unità d’Italia. Tutti uniti nelle strade, ebrei e
italiani, a combattere l’Austriaco oppressore della libertà. Viva Verdi.
Vittorio Emanuele Re di Italia!!
12
13
Lo sciastro è il sarto, una delle professioni più comuni nel mondo ebraico del ghetto.
W.SHAKESPEARE, Il Mercante di Venezia, I,3.
La musica di Và pensiero
Per questo per la bisnonna Verdi era un mito e Và pensiero era più di una
musica, era un simbolo. Parlava di Nabucodonosor che aveva costretto il
popolo d’Israele alla schiavitù.
La melodia esplode. L’attrice la ascolta rapita, come Aida.
Essere Italiani. Essere come tutti gli altri. Che importava se la macchina da
cucire lavorava anche lo shabbàt14, il giorno del riposo, se in casa poteva
entrare un po’ di felicità? Anche se il padre di Aida, Roberto, il macellaio
kashèr, che era religioso, ve lo ricordate, non era per niente contento di questa
assimilazione e quando entrarono in casa le rificolone per la festa della
Madonna, per far contenti i bambini, lui gliele prese a calci e le sfondò con i
piedi.
COME ROBERTO, IL PADRE: In questa casa si è ebrei non si è pagani.
COME AIDA: Ma babbo, le avete rotte.
ATTRICE: E lui la maledisse.
COME ROBERTO: Fottiti tu e l’animaccia tua.
ATTRICE: Ma che importava, che importava delle maledizioni dei vecchi?
L’importante era che i giovani, i figli di Aida nel ghetto, in chazèr, non ci
avrebbero messo piede mai più. Avrebbero fatto gli agricoltori, i militari, i
politici ma gli sciastri no!... (come Aida) “Augusto, senti questa, sai cos’è un
israelita? Un italiano che non va a messa la domenica”.
Appaiono sullo schermo, come prese da un album di famiglia, le fotografie di Noemi,
Enrico e Alfredo: i figli.
Noemi il violino. Enrico il calzaturificio. E Alfredo. Beh, Alfredo era diverso.
Sarebbe diventato qualcuno, lui. Eccolo. Mio nonno. Il padre di mia madre.
(avanzando verso il pubblico, come a dire un segreto) Quando nasce un bambino è
una gran festa e tutti gli augurano grandi cose. Vede Signor Adinolfi? Era un
bambino normale, come tutti i bambini del mondo e la sua testa sarebbe stata
14
E’ il giorno del riposo per gli Ebrei, che comincia il venerdì sera e termine il sabato sera, quando
compare la prima stella. Durante questo giorno di festa, non si possono accendere fuochi e si
dedica il tempo soprattutto alla cura della famiglia e alla preghiera.
piena di sassi, foglie, fiori e ricordi come quella di tutti i bambini. Ma era
soprattutto il figlio del riscatto dal ghetto e su di lui stavan tante speranze.
rumore della macchina da cucire. L’attrice cammina come Aida assecondando il rumore
ossessivo della macchina.
COME AIDA: Cos’è cambiato, cos’è cambiato? Prima vendevamo vestiti
usati, adesso li vendiamo nuovi.
15Chi di meglio non ha, con la negra moglie shocchei.
Il ragazzino è bravo a scuola, come si può fare per farlo studiare? Me lo
prendono garzone in bottega. Si, farà lo sciastro! Ma ha più sekhel di così. Non
può finire tra i cenci.
Sai che facciamo Augusto? Io vendo le pezze di stoffa. Lo so che non son
nostre, che sono dei goyim, ma poi le riscatto. Non sono impazzita, le porto al
Monte dei Pegni e intanto qualche soldo me lo danno. Forza, presto! Dammi,
la chiave dell’armadio. Non è una bella idea? Macché cenci e cenci. Così
studia il mio Alfredo.
ATTRICE: E così mio nonno prese il benedetto diploma di ragioniere e si
iscrisse alla Facoltà di Economia. E il sogno dell’integrazione si stava
realizzando.
Una luce abbagliante. Rumori di guerra.
Quando scoppia la prima Guerra mondiale, anche gli ebrei combattono e
danno l’oro alla Patria: ci sono ben cinquanta generali ebrei nell’esercito e
uno di loro Emanuele Pugliese sarà il più decorato di tutti. E anche i figli di
Aida e Augusto... (scoppia una bomba) Beh, no, a dire la verità, per niente
eroici, Alfredo è riformato perché ha un padre cieco e alla vigilia della visita
militare a Enrico, uno dei famosi ragazzi del 99 (altra bomba) durante la notte
scoppia una febbre misteriosa. Certo, l’Aida si era sfatta le mani a strusciargli
le ascelle con ortiche e patate!! E quando la guerra finisce, gli affari
cominciano a marciare (tira fuori un candeliere e una candela, mette sulla tavola un
fiasco di vino) e nella casa entra la domestica goyà16 la Tina, l’havertà, che vuol
dire compagna. Perché i domestici a quel tempo non erano servi e basta, no,
erano gli angeli della casa, quelli che la facevano crescere, perché portare
avanti una casa era come creare un mondo. E Aida osserva, dispone,
controlla, come Dio.
15
16
Espressione del ghettaiolo: “Chi non ha di meglio, beva con la moglie brutta”.
Femminile da “goy”, termine usato dagli Ebrei per designare i Cristiani.
COME AIDA Qui le poltroncine di damasco giallo, lì una coperta in seta
celeste, laggiù l’orologio con campana di vetro e sul tavolo, mi raccomando
Tina, i piatti Ginori...
Accende una candela
Appare l’immagine di Alfredo giovane
COME AIDA: Bello sei, proprio bello. Se lo vedessi il nostro figliolo Augusto.
Bello. Una bella faccia, con quegli occhi scuri che sembra... Somiglia un po’ a
Verdi. Si, nei modi. Serio eh! Un po’ troppo serio. Ci vorrebbe una ragazza
con cui andar fuori ma è difficile trovarne una che sia abbastanza...che vada
bene per il mio Alfredo. Una iafà17 come la Wanda, che ha sposato mio
cugino Riccardo. E’ diventato rabbino sai. Iafà la Wanda. O la Emma che ha
sposato mio fratello Samuele. Invece queste manzertòt che gli girano intorno
son tutte robina, scampoli. Ci vorrebbe una challà 18speciale. Anche se poi,
mica mi lascia se si sposa vero? Mica se ne va di casa? Perché noi Augusto in
questa casa ci dobbiamo restare tutti. Tutti uniti. Per sempre.
Una porta che si apre, una folata di vento che diventa brusio...
ATTRICE: Ma usciamo dalla porta di casa di Aida e Augusto. Lasciamoli lì
chiusi, a creare il loro piccolo mondo domestico, fatto di marmo bardiglio e
fornelli fargas e a cercare una sposa degna del loro Alfredo. Cosa succede
fuori? Sentite?
Appare un’immagine indistinta che a poco a poco si definisce, è Lenin. Il brusio
cresce fino a diventare tumulto. Va ai suoi appunti e tira su un libro di poesie. Legge.
“Udite il grido ferreo e nichelato
che dei secoli squarcia lo spessore
della proava di Bromley e Goujon
della prima macchina a vapore?
Il Capitale, sua Altezza, senza corona né tiara
assoggettata dichiara la forza rurale.
La città, arraffava, sgraffignava,
ingorgava la cassa della pancia
ma accanto ai torni tutta gobba e magra
17
18
Da iafè, bello.
sposa
venne sorgendo la classe operaia”.19
Indossa un berretto da operaio.
Così descrive Lenin il poeta Majakowsky. Succede che alla fine della prima
guerra mondiale, l’Italia è un paese devastato. Gli operai e i braccianti
agricoli che hanno pagato il prezzo più alto in guerra vogliono un
cambiamento di vita. Lo esigono, protestano, scioperano. Le fabbriche agli
operai, la terra ai contadini. E d’altra parte in Russia nel 1917 la classe
operaia è andata al potere. In Russia ce l’hanno fatta. Guidati da Lenin hanno
cacciato lo zar. Anche in Italia c’è il partito socialista che però non sa
decidersi: guidare gli operai alla rivoluzione come dicono Gramsci e Togliatti
o difendere gli interessi della piccola borghesia come va predicando un ex
giornalista dell’Avanti, un certo Benito Mussolini? Il partito socialista si
spacca. Nel 1919 Mussolini fonda il Partito Fascista e nel 1921 nasce il Partito
comunista italiano, creato da Gramsci, Togliatti e Terracini, sì proprio il
responsabile della legge 96 del 55.“Comunismo”, altra bella parola astratta
che ci fa venire in mente bandiere rosse che sventolano sul Cremlino,
l’Internazionale, Berlinguer (in parabola discendente), Occhetto, Veltroni, la festa
dell’Unità. Ma a quei tempi non erano parole astratte, eran cose pratiche. Si
voleva davvero cambiare il mondo. E mentre Mussolini rafforzava il suo
potere alleandosi con gli industriali e facendo pestare gli operai dalle sue
squadracce, nelle classi popolari riecheggiava il nome di una città,
lasciapassare contro l’ingiustizia, parola d’ordine degli oppressi: a Mosca a
Mosca.
LA FAMIGLIA DELL’EST
In sottofondo si comincia a sentire impercettibile una musica chassidica che salirà sulla
descrizione del volo. Tira fuori un vecchio scialle a fiori, di foggia russa.
La capitale della Russia, un grande impero che comprendeva la Bielorussia la
Crimea la Bessarabia e l’Ucraina e la Polonia. E lì vicino a Varsavia in un
piccolo villaggio che si chiama Kolbiel c’era l’altra parte della famiglia
invisibile, quella del bisnonno Giulio, il padre di mia nonna. Il ribelle che era
diventato socialista e dormiva con il Capitale di Karl Marx sotto il cuscino.
E qui mi fermo perché il mondo dell’Est, degli ebrei dell’Est è un mistero.
19
Da “Lenin” di Majakowsky.
Alla Madre
Com’era il bisnonno Giulio? Dimmi.
MADRE: Era un genio. Sapeva quattordici lingue.
Guarda il pubblico interdetta
ATTRICE: Un ribelle, figlio di un rabbino!
passeggia dubbiosa, cercando ispirazione
Un rabbino, un ribelle. Un rabbino del Baalshem Tov20, il grande Maestro,
(comincia a immaginare) proprio uno di quei rabbini vestiti di nero, con il
cappello di pelo e i riccioli che si chiamava guarda un po’ Israel. Più
stereotipo di così. E portava una barba lunga e bianca che non tagliava mai
perché sarebbe stato rompere il legame con il cielo. Quei rabbini però erano
magici: sapevano guarire con la forza del pensiero, cacciavano gli spiriti,
riuscivano a sollevarsi da terra e pregavano danzando. E credevano che il
mondo fosse pieno di luce. E che gli uomini non erano nati per le sofferenze
ma per la gioia e per danzare. Bastava solo riuscire a vederla quella luce.
la Musica diventa sempre più ritmata e crea un ritmo cadenzato su cui si appoggia il
testo seguente
E così il rabbino Israel aveva insegnato al figlio Giulio, il ribelle, a vedere
quella luce danzando. E gli aveva detto che quella musica ce l’avevano
dentro tutti gli esseri, i rabbini con la loro torah e gli scemi del villaggio di
Chelm, e anche i goyim ce l’avevano, anche gli animali, tutte le creature di
Dio, quella musica è come un fuoco che ti infiamma, che riscalda quando
fuori fa freddo, è la gioia che viene fuori e giri, giri, giri finché le case
diventano lontane e ti accorgi che stai volando insieme agli angeli, li vedi gli
angeli, ecco Michal e là c’è Gabriel, li vedi, ed è tutto pieno di fiori e di
innamorati che si abbracciano e di animali li vedi, le vedi le colombe, e si è
liberi e fa molto caldo quassù, fa molto caldo, già.
La Musica cessa. Resta rumore di vento
20
Il più importante rabbino di questa corrente è stato Isreal Ben Eliezer (1700- ?), fondatore del
Chassidismo: questi rabbini aderivano ad una spiritualità mistica, studiavano la kabbalah ed erano
anche dei guaritori.
L’ATTRICE (come sentendo all’improvviso il freddo nelle ossa) Ammazza che caldo
che fa in questo villaggio della Russia...
Adesso sullo schermo è proiettato il famoso violinista di Chagall
Per questo Chagall mette sempre un violinista nei suoi quadri perché la
musica dell’ anima è l’unica cosa che può far volare sulla miseria. Quindi
suonala adesso, finché sei vivo. Se non ora quando? La vita è molto breve.
Ma in quei villaggi cominciano a entrare i cosacchi, i soldati dello zar e i
contadini che vogliono togliere la terra agli ebrei. E al grido di hep hep hep,
che è quello dei cristiani contro i turchi alle crociate, distruggono tutto quello
che trovano. Hep hep hep. Hep hep hep. E Chagall non disegna più soltanto
fiori.
Appare “La crocefissione bianca” di Chagall.
I pogrom, primo passo di distruzione del mondo degli ebrei dell’est.
E il mio bisnonno Giulio comincia a non vedere più tanta gioia nel mondo di
Dio.
E decide che da grande non farà il rabbino ma il ribelle perché nel mondo del
suo Dio gli uomini la libertà la conquistano con le armi.
Uno spettro si aggira per l’Europa.
COME ISRAEL, IL RABBINO : Cos’è questo libro che tieni sotto il cuscino?
Chi sarebbe questo Karl Marx? Avanti, spiegati.
tenendo aperto il fazzoletto di stoffa di foggia russa come se fosse un sipario di un
teatrino di marionette dove interpreta il ribelle e il rabbino
COME GIULIO, IL RIBELLE: “I comunisti sdegnano di nascondere le loro
opinioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti
soltanto con il rovesciamento violento di tutto l’ordinamento sociale. Le
classi dominanti tremino al pensiero di una rivoluzione. I proletari non
hanno da perdere che le loro catene. Proletari di tutto il mondo unitevi”!
COME ISRAEL: E che vorrebbe dire?
COME GIULIO: Che io non mi farò portare come pecora al macello.
COME ISRAEL: C’è poca gioia nel tuo cuore.
COME GIULIO: Hep hep hep. La gente muore di fame. I bambini vengono
uccisi. Hep hep hep. Non dice niente il tuo Dio?
COME ISRAEL: Possiamo dividere quello che abbiamo, come facciamo per
ogni shabbes.
COME GIULIO: Non è togliendoci il cibo di bocca che si sazierà la fame di
giustizia.
COME ISRAEL: Il male non esiste. La vita può essere molto bella.
COME GIULIO: Non starò qui fermo senza combattere.
COME ISRAEL: E cosa vuoi fare?
Non sa effettivamente cosa rispondere, contempla lo scialle.
ATTRICE: Un ribelle. Un rabbino. Che dicevano la stessa cosa. Tutti e due
volevano volare sopra la miseria. Non erano così distanti. Ma lo spirito
ribelle porta il mio bisnonno Giulio a dire una parola di troppo “Viva la
libertà”. E a volte le parole non volano affatto, anzi sono pesanti come il
piombo. Le guardie dello zar lo rincorrono, lo cercano. Prende le sue poche
cose, i suoi volantini, il libro di Marx e anche...
COME ISRAEL: La mia berrakha21. Noi non ci rivedremo più.
Una luce stroboscopica crea un effetto di cinema anni 20, sulla battuta seguente.
ATTRICE: (molto veloce, correndo sul posto) E iniziò il viaggio. Scapparono in
Germania, ma anche qui era pericoloso per gli ebrei e poi in Ungheria, in
Svizzera e poi in Francia, dove era scoppiato da poco il caso Dreyfus, un
ufficiale ebreo accusato di alto tradimento e la Croix un giornale cattolico
diceva (leggendo un giornale immaginario) che 22“gli ebrei sono i serpenti, non si
possono distinguere i buoni dai cattivi così bisogna schiacciarli tutti” e
ancora (sempre sul giornale immaginario) “Giuda ha venduto il Dio di
misericordia e d’amore, dopo 18 secoli non è cambiato nulla” e si grida morte
agli ebrei e anche qui non è tranquillo. E tutto sommato ci sono pochi posti
dove stare tranquilli in Europa. E decidono di andare in Italia, perché gli
italiani si sa non sono antisemiti. (si ferma all’improvviso, rivolgendosi al pubblico)
“Sai che cos’è un israelita? Un italiano che non va a messa la domenica”. (di
nuovo veloce) E nacque mia nonna che chiamarono in ebraico Chaja, vita. E
successe davvero, non rividero mai più quel piccolo villaggio.
21
Benedizione data dal capofamiglia.
“La Croix”, organo della Confraternita assunzionista era uno dei giornali più moderni e diffusi e
diffondeva un antisemitismo fanatico ed elementare (gli ebrei avevano portato il materialismo, il
socialismo, l’anticlericalismo etc)
22
Si rivolge alla Madre
E allora abbiamo parenti in Polonia?
MADRE: No, non ci sono più.
ATTRICE: E perché? Dimmi.
MADRE: Se ne sono andati, ecco perché.
ATTRICE: E dove sono andati?
MADRE: Sono partiti, su un carro di fieno per arrivare in Italia.
ATTRICE: E gli altri? Che è successo agli altri? Cos’è successo al rabbino
Israel? Eh mamma?
Dimmi.
Dove sono finiti tutti gli ebrei dell’est?
CHAJA
Un suono di pianoforte. L’attrice tira fuori un secondo candeliere, accende la candela.
Mia nonna Chaja è l’unica di cui ho ricordi diretti. Lei non era solo un
documento, l’ho conosciuta. Viveva in una casa strana, piena di gatti e faceva
le stregonerie che fanno tutte le nonne. Mangiava kasher, anzi kosher, come
dicono gli ebrei dell’Est. Leggeva il futuro nei fondi del caffé, cucinava il
gefilte fish,23 uno strano pasticcio di pesce agrodolce, sapeva parlare molte
lingue ed era una grandissima ribelle. E si sa, le donne ribelli hanno una vita
dura. Ma la nonna pensava che le cose si potessero sempre cambiare,
combattendo. E che la vita fosse molto breve e quindi vivila adesso perché se
non ora quando? E un giorno è morta e io non sapevo che dire perché quegli
antenati della scatola parlavano una lingua diversa dalla mia e pregavano
preghiere che non capivo. E la sera ascoltava cassette di musica yiddish e
piangeva perché la sua anima era rimasta là, in Polonia, insieme al rabbino
del Balshem e sono sicura che insieme avrebbero danzato fino a volare la
danza della luce. Per questo aveva regalato a mia madre il libro di Peter Pan:
“perché volare è essere liberi. Viva la libertà”. Per questo quando fu
combinato il matrimonio con Alfredo pretese, condizione fondamentale, che
nella casa di via Giampaolo Orsini entrasse il pianoforte Otto e Philips di
Berlino. Quello della lista. Perché su quel pianoforte l’anima doveva
continuare a esercitarsi per non morire.
23
Gefilte fish, piatto della cucina polacca, è un pasticcio fatto con varie parti del pesce. Si mangia
soprattutto per Pesach, la pasqua ebraica.
CHAJA +ALFREDO
L’attrice compone finalmente il tavolo della casa, aggiungendo due sedie, alle quali
saranno seduti idealmente Alfredo e Augusto e collocando sul tavolo un giornale,
occhiali, chiavi - oggetti contenuti nella scatola.
Da questo momento l’azione si concentra in questa zona: il tavolo si riempie via via di
oggetti, con il passare degli anni e si indagano i rapporti tra i personaggi della famiglia.
E così ecco la famiglia tutta riunita nella casa di via Giampaolo Orsini 93:
eccoli qui i miei fantasmi della scatola. E’ il 27. Si festeggia la laurea di
Alfredo, dottore in economia con una tesi sulla Palestina. Da un lato il
festeggiato (poggia un giornale che sarà il simbolo di Alfredo sul posto a tavola),
dall’altro Augusto (fa risuonare e poggia le chiavi), e ovunque come una presenza
divina, Aida, che non si siede mai, sempre attenta con la Tina che tutto sia in
ordine. E poi la sposina, l’ultima arrivata, la polacca, ma dov’è?
passaggio di pianoforte, come se Chaja lo suonasse.
COME AIDA: È sempre al pianoforte, quella! Mica lo sa suonare eh! Lo
strimpella con due dita! Però l’ha voluto!
passaggio di pianoforte.
Sta delle ore a dire canzoncine in quella lingua strana di quegli iodii24. Lo so
so che sono iodii come noi, però mi sembrano peggio di noi.
passaggio di pianoforte
Sono esagerati, col loro coscer. Son diversi, via.
passaggio di pianoforte
E poi sospira sempre!
Speriamo che Alfredo abbia fatto bene a metterla sotto talled25.
Speriamo che non sia una manzertà!
passaggio di pianoforte scatenato
24
Sta per “ebrei”,
Sposarla. Il tallet è il mantello sotto il quale lo sposo accoglie la futura sposa durante la
cerimonia religiosa.
25
Certo noi a preparare e lei bella seduta al pianoforte. Avanti Tina, deve
essere tutto iafé. E’ diventato dottore il mio Alfredo! Dottore in economia.
Dopo tanti anni senza mai achiare nè sciocheiare. Certo, il titolo della tesi non
l’ho proprio capito, core mio. “Il movimento sionista e il mandato sulla
Palestina. Bisogna che gli iodii vadano in Palestina? E chi l’ha detto?
Alfredo alza una pagina del giornale: una svastica
COME ATTRICE: Perchè per quegli ebrei là era difficile vedere le nubi che si
stavano addensando sull’Europa. Il movimento nazista fondato molti anni
prima in Germania era lontano, non era così spaventoso. Certo Hitler già nel
27 aveva cercato di ammazzare il primo ministro e di prendere il potere. Ma
Aida di queste cose non voleva neanche sentir parlare.
COME AIDA: Ma che vuoi che faccia quell’imbianchino, quell’Hitler. Già
l’hanno messo in galera una volta quello. E poi noi siam qui da generazioni e
non ci butta fuori nessuno. Macché antisemitismo. L’ha detto anche
Mussolini, c’era qui, sul giornale (cerca nel giornale di Alfredo): "La nuova
Sionne, gli ebrei italiani, l’hanno qui, in questa nostra adorabile terra". Non
mi diventerai mica un bolscevico? Sarebbe levarmi el core dal petto. Per
carità, Alfredo, te è meglio che stai lontano da questi betsìm26. Io non so chi te
le mette in testa queste idee. Casa tua è questa! In Palestina si va un’altra
volta, ora assaggia questi carciofi, senti come sono buoni i carciofi che t’ha
fatto mamma. Sei arrà avito? Te starai sempre qui con la tua mamma e il tuo
babbo, vero core mio?
Si sposta al giornale. Gira una pagina come Alfredo. Grande scritta in rosso: “1928”.
CHAJA +ALFREDO=MIA MADRE.LA STORIA 38836
(Si rialza, diventa Aida. Crea con lo scialle un fagotto, come se fosse un neonato)
COME AIDA: Che bella bambina! Che channuchà, com’è iafà27. Assomiglia
tutta al mio Alfredo... E anche un po’ a Verdi... (ad Augusto) Perché lei, la
polacca non so, ci ha qualcosa... Ci ha un pirzùf.28… una faccia polacca,
insomma... Quegli zigomi sporgenti, quella bocca dura, stretta... Si vede che
non è di qui, insomma. Certo, è figlia di un uomo importante, che sa
26
Noi lo tradurremmo “rotture di scatole”.
Channuchà è la festa delle luci, che cade quasi negli stessi giorni del Natale cristiano. Una
bambina “channuchà” è quindi bella, luminosa, festosa.
28
Ghigno, faccia a punta.
27
dabberare29 le lingue, ha viaggiato tutto el ‘olam30, è pieno di zechujod31...
Dicono che il padre sia un socialista di quelli... Di quelli convinti... E’ gente
matta, certo gente coi ma’od, però quante arie!... Augusto, ma a te la polacca,
che ti piace?
COME AUGUSTO: Al mondo c’è chi è polacco e chi non è polacco.. (fa rumore
con le chiavi)
COME AIDA: Tarchè e tarchà, è tutta una mispahà!32...
viene in proscenio, con il fagotto/bambina in mano
ATTRICE: Eccola, la storia 38836. Miracolo del teatro! Sto tenendo in braccio
mia madre. Perché vede signor Adinolfi, queste persone avevano piccole
storie: un’infanzia, una casa, una famiglia. Era una bambina normale, come
tutti i bambini del mondo e la sua testa sarebbe stata piena di sassi, foglie,
fiori e ricordi, come quella di tutti i bambini. (come se sentisse le voci dei parenti)
“Nessuno gli dirà mai che è sporca” “Vedrà cose diverse: lei deve vederle”
“Si impegnerà. Studierà” “Sarà una donna libera. Viva la libertà”. Su di lei
stavano tante speranze. Ma mai nessuno, signor Adinolfi, le avrebbe
augurato di diventare la storia 38836. Adesso la riporto a casa e faccio anche
passare un po’ di tempo.
REGISTRATO AIDA: A tavola! Su, è pronto! Tina! Tina!!! L’avete messi i
piatti Ginori? E le porcellane? Non quelli, vi avevo detto i Ginori.
L’attrice riprende la postazione di Aida, versa dal fiasco toscano un immaginario vino
in un calice e comincia a doppiare il registrato che dissolve lasciando solo la voce dal
vivo.
COME AIDA: E via questo giornale dal tavolo, Alfredo. Oggi niente
preoccupazioni: è festa. Lekhaim33. Buon Chanukkà. Venite anche voi babbo,
non fate quel muso. E va bene, abbiamo fatto anche l’albero ma che male c’è?
COME ROBERTO, IL PADRE: In questa casa si è ebrei non si è pagani!
COME AIDA: Oh quante storie. E’ Natale, si fanno i regali e io mi sento lo
stesso iodia.
29
Da “davar”, parola e “ledabber”, parlare.
Il mondo.
31
Pregi.
32
Proverbio, il cui senso è “Dove ti giri, la famiglia è sempre la stessa”
33
“Alla vita”, è il classico brindisi di buon augurio.
30
ATTRICE: Perchè per quegli ebrei là essere ebrei era un fatto interiore e non
aveva bisogno di grandi segni. Per la generazione di Aida un israelita era un
italiano che non andava a messa la domenica, punto e basta. La tradizione
ebraica si trasmetteva con le feste, le canzoni, i brindisi e non aveva bisogno
dell’ortodossia che invece caratterizzava la cultura degli ebrei dell’est, che
erano stati scacciati, perseguitati nei pogrom e si erano visti costretti a far
sopravvivere quelle tradizioni. Per la nonna Chaja era importante salvare
quel mondo, era importante mangiare il gefiltefish, suonare al pianoforte le
sue canzoni in yiddish e per lo shabbat, il giorno del riposo, come segno di
benvenuto aprire la casa a tutti quanti…
COME AIDA… le porte, le finestre, così entrano gli spifferi e anche gli
sguardi di chi mi intendo io. Allo shabbàt lei apre la porta. Io la chiudo e lei la
riapre. E apparecchia un posto in più a tavola. Che fai bellina? Aspetti visite?
E lei mi ha detto. E’ per l’oreach! Per l’ospite! Capito Augusto? Per l’ospite
che potrebbe arrivare! Come se noi si fosse una trattoria! Facile venire qui, e
dire per l’oreach. Noi questi piatti, questi bicchieri, si son guadagnati con il
sangue e il sudore. Vedi a cosa porta essere socialisti?
passaggio di pianoforte provocatorio
Cosa? Non le piace l’arrosto? Hai sentito, core mio? Dice che la carne del
babbo non le piace. Ah, se non le piace questa scusi ma non le piace proprio
niente! E’ prima scelta, con tutti li ta’ammim34, che voi laggiù da dove viene,
da quei villaggi di morti di fame, ve la sognate anche la notte. Certo, se
preferisce quel gefilte-coso... Gefiltefish, si io non le so dabberare le lingue
strane... Bella schifezza, sembra colla e poi puzza. Che se lo mangi lei, quella,
quella, quella MANZERTA’. Eh no, quel che va detto va detto.
COME ATTRICE: E così mia madre si ritrova a crescere tra due fuochi: il
fuoco mistico di Chagall e lo scoppiettante fornello elettrico della cucina
marca Fargas. Cose pratiche!
Un accordo secco di pianoforte.
COME AIDA: Ecco, ora mi sette a piangere anche la bambina. S’è tutta
stranita per questi dibburìm. Bona core mio! Ti sei impachadita35?
34
35
Con tutti i crismi.
Spaventata.
Tira fuori un fiocco, lo mette sul lato destro come la bambina che piange, poi,
voltandosi di nuovo come Aida:
La creatura piange! Si, figurati. Ma non roviniamoci la festa. E te, gioia mia,
vieni qui che la nonna c’ha un regalo. Una bella cartella per la scuola, che ti
piace tanto. Una cosa pratica. Mica come quei libri di gente che vola. Quel
Peter-coso. Macché volare e volare. Piedi per terra.
Prende la cartella come bambina. La apre. La voce passa al registrato
REGISTRATO AIDA: Quanto sekhel che ha questa bambina. Ora si sgombra
tutto e si fa una bella tombola!
L’attrice si mette sotto il tavolo. La voce registrata si abbassa progressivamente,
divenendo un brusio di sottofondo e poi sparendo completamente.
REGISTRATO AIDA: Chi lo tiene il piattino stasera? 17. Besimav tov36. 45
Iodio. 32, 47, 25. Chanuccà. Cinquina!...
COME LA BAMBINA: (Tira fuori dalla cartella il libro di Peter Pan, legge) “Non
piangevo per il fatto di non avere madre, piangevo perché non posso
riattaccarmi l’ombra. E poi non piangevo affatto”.
“Bisogna cucirla”.
“Che cos’è cucire”
“Sei terribilmente ingorante”
“No che non lo sono”
“Ebbene te la cucirò io mio piccolo uomo” promise Wendy e prese il suo
cestino da lavoro; “Solo che ti farà un po’ male”.
“Stai tranquilla che non piangerò” promise Peter convinto di non avere mai
pianto in vita sua37”.
REGISTRATO AIDA: (di nuovo a volume alto) Guarda Alfredo, guarda che bel
regalo ti abbiamo fatto io e il babbo.
L’attrice, come bambina, sbircia da sotto il tavolo incuriosita.
Una macchina fotografica Kodak! Eh? E’ alla moda questa! E’ da signori!
Dov’è la bimba. Ma dove si è cacciata? Esci da sotto il tavolo! Che mi diventi
come tua mamma?
36
37
Formula augurale; nel caso della tombola, l’immagine che evoca è il matrimonio.
La citazione è tratta dal Peter Pan di J.M.Barrie.
L’attrice esce dal tavolo con un rotolamento veloce, fa il giro della tavola e riprende
come Aida.
COME AIDA: Davvero? Una fotografia? No, io no... Non vengo bene... Via,
son tutta spettinata. Dovrei cambiarmi vestito. Va bene, allora io mi metto
qui con le bambine, poi viene Augusto, Alfredo... Scatta! Dai scatta! Che
aspettiamo, il prossimo Kippur38? Ah, è tornata la polacca Almeno si metta
uno scialle su quelle spalle nude. Accanto a me? Certo che gli faccio posto.
Anzi, sapete che vi dico? Fatela voi la fotografia, voi che siete nearim39!
Appare un’immagine di Hitler
ATTRICE: Nel 1935 la Germania vara le prime leggi razziali contro gli ebrei:
le “leggi di Norimberga”. Hitler è andato al potere due anni prima, nel ‘33.
La macchina nazista ha iniziato il suo cammino. In Italia però la situazione
per gli ebrei è ancora tranquilla. Mussolini addirittura crea una legge sulle
Comunità Israelitiche, la legge Falco, dove si lascia piena libertà di culto. Gli
ebrei si sentono al sicuro nella loro Sionne. E la vita della casa, sempre
uguale, ripartiva, con i soliti pranzi cucinati dalla Tina, le solite feste,Verdi, e
gli interminabili litigi tra Aida e la nonna polacca.
Parte un balletto meccanico intorno al tavolo, che richiama l’atmosfera delle comiche
del muto, dove l’Attrice interpreta mimicamente tutti i personaggi.
COME AIDA: “Dov’è finita la polacca? Dove s’è scofandata40 con le bambine e
Augusto! Toh, picchiano, forse sono loro. Ha di nuovo comprato i cetrioli al
barroccino! Macché gurken, la pianti di dabberare in coso, in ostrogoto, in
quella lingua di dove vien lei. Qui siamo in Italia e quelli si chiaman CE-TRIO-Li e fan venire l’acidità di stomaco. E poi dove siete stati finora? Al
cinema! Hai sentito Alfredo dove ha portato Augusto la tua challà? Al
cinema! Un cieco al cinema! Meno male che lei è colta e sa dabberare le
lingue! (alla bambina) Dimmi core mio? Che avete visto al cinema?
ATTRICE: Già, che si vedeva allora al cinema? Telefoni bianchi: amanti
tradite, gelosie, passioni, le soap dell’epoca insomma... oppure i film tratti
dalla scrittrice più in voga del momento, Carolina Invernizio, come...
38
Nel calendario ebraico è il momento dell’espiazione, in cui si chiede perdono a Dio dei peccati
compiuti durante l’anno.
39
Giovani.
40
Dove si è cacciata, dove è andata a finire…
COME AIDA: L’Angelo delle Alpi? Ma che le pare adatto a delle creature
innocenti? Li ho visti sa i libracci che tiene nascosti sotto al letto. “Splendori
e miserie delle cortigiane! I bassifondi di Parigi! I miserabili”! Emile Zola.
COME ALFREDO (correggendola, serafico): “Victor Hugo”.
COME AIDA: E’ lo stesso, poi si diventa noi i miserabili. Eccola, si è rimessa
al pianoforte! Strimpella e sospira nel suo ostrogoto! Glielo do io l’Angelo
delle Alpi! E alle bambine il bagno chi lo fa?
L’attrice, diventando la bambina, si guarda intorno preoccupata
REGISTRATO AIDA: Bambine! Nearot! A fare il bagno! Puzzano di cetriolo
che sembrano uscite dall’immondizia!
L’attrice si rifugia sotto al tavolo e legge il suo libro di Peter Pan, mentre l’immagine di
Hitler si trasforma in altre immagini di Hitler, sempre più minacciose.
COME BAMBINA: ”In mezzo ai pirati si distingue come la gemma più nera
e più grande in una collana di gemme nere Giacomo Uncino. Il suo volto è
cadaverico e di colore verdastro, i suoi capelli neri, l’azzurro dei suoi occhi
rammenta quello dei non ti scordar di me. Una profonda malinconia gli vela
lo sguardo tranne quando conficca il suo uncino nella carne di qualcuno:
allora due luci rosse appaiono nelle sue pupille e le accendono in un modo
spaventoso. Serba un nobile stile persino quando sgozza il nemico”.
Mette il libro di Peter Pan in cartella, indossa una mantella nera, finge di scrivere con
fatica con la destra.
REGISTRATO AIDA: Augusto, ma non ti pare che Alfredo sia un po’ troppo
preoccupato per questa storia di quell’imbianchino, quell’Hitler? Non sorride
più, è sempre attaccato al giornale. E’ diventato cancelliere, va bene, ma qui
siamo in Italia! Siamo italiani noi mica tedeschi. Abbiamo dato l’oro alla
Patria noi, abbiam fatto le guerre. Han detto che hanno spaccato tutte le
vetrine a dei commercianti. Che li hanno chiusi di nuovo nel ghetto gli ebrei.
Ma non qui. Qui a noi non ci rinchiudono più. Son tutti dibburìm. Li ho sentiti
io in strada gridare “abbasso l’Austria, viva gli ebrei”! Questa è casa nostra. E
poi io non ci vado in Palestina!! Con tutti quegli arabi. Ma che li hai visti gli
arabi? Ci hanno un pirzùf. Casa nostra è questa. Zitti adesso, che arriva la
bambina…
L’attrice riemerge da sotto il tavolo. Nel dialogo che segue interpreta ora Aida, ora la
bambina.
COME AIDA: Fammi vedere la pagella, core mio!
Appare l’immagine di una vecchia pagella del periodo fascista.
COME AIDA: (leggendo da un immaginario documento) Storia e Cultura fascista
lodevole, lavori donneschi e manuali sufficiente. E guarda che bella poesia
che hai scritto, per la visita dell’ispettore. “Il ruscelletto”. Come fa questa
poesia?
COME BAMBINA: “Un ruscelletto bianco scorre della mia casa al fianco... al
fianco...”
COME AIDA: (interrompendola) E con la destra! Hai capito Augusto la bimba
ha scritto con la destra! Perché era mancina, certo è anche figlia di sua madre
dopo tutto. E allora per premio ti metteranno fuori con la divisa da piccola
italiana, quando verrà l’ispettore in visita? Ma che bravo il mio ometto, il
core mio! Quanto sekhel che ha! Sempre, qualunque cosa succeda, mi
raccomando! Piedi per terra. Prendi due orecchi di Ammann41, ecco. Senti
come sono buoni i dolcini della nonna? Mica come quei cetriolacci! Adesso
vai a dire l’askivenu e poi a mittà42. Visto? L’han fatta diventare capoclasse! E
dov’è che ci buttano fuori a noi? Se mi voglion buttare fuori mi ci devono
trascinare a forza via da casa e non è facile trascinare me, caro il mio Hitler!
Non ci posso neanche pensare di tornare in chazèr43.
Comincia a riecheggiare la musica di Vaì pensiero.
E’ venuta su una casa da signori. Ecco core mio, ci assedemo sulle nostre 2
POLTRONCINE IN DAMASCO GIALLO e ci ascoltiamo Và pensiero.
Và pensiero si incanta
Ma che succede? Cos’è questo graffio? Chi è stato a rovinarmi Va pensiero?
Si comincia a sentire il pianoforte di Chaja che suona un fox trot.
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Dolci fatti per Purim.
L’askivenu è una preghiera e mittà è il letto.
43
Ghetto.
42
E questi dischi da dove vengon fuori? Cosa sarebbe il fox trot? Che bavel! Qui
si esagera. Il cinema, il pianoforte, adesso anche il mio Verdi col singhiozzo e
poi il fox e poi il trot!! E non ridere tu Augusto, tippésc, che sennò ci sarà
merivà stasera in questa casa!44 Manzertà!!
il fox trot diventa incalzante
ATTRICE: E mentre ripartivano le solite discussioni mia mamma sognava
Peter Pan e l’Isola che non c’è. Che doveva essere un’isola in cui i bambini
scrivevano poesie con la sinistra, avevano bei voti e volavano felici. Ma c’era
anche un pirata pericoloso, un certo Capitano Uncino, che ce l’aveva con tutti
perché un coccodrillo gli aveva mangiato una mano. E lui era molto
arrabbiato e gridava sempre e dabberava in una lingua strana e faceva
,l’imbianchino e una notte era andato nel villaggio dell’isola che non c’è e
aveva rotto tutto e poi con il suo uncino aveva scritto sulle case dei bambini
DOVETE LASCIARE L’ISOLA. Ma i bambini non potevano lasciare l’isola
perché quella era la loro isola. E Peter Pan non l’avrebbe permesso perché era
un ragazzino molto furbo. Era pieno di sekhel e di sicuro avrebbe trovato un
modo per sconfiggerlo. Perché Peter Pan sapeva volare e non aveva paura di
niente, di nessun pericolo.
esplode il fox trot. L’attrice lo balla, lanciandosi nei passi caratteristici che imitano i
movimenti degli animali
Turkey trot...Trotto del tacchino
Grizzley bear...Orso grigio
Donkey trot...Passo dell’asino
Fish step... Passo del pesce
Geechie Walk...Passo dell’oca.
Il fox trot si interrompe di colpo. Rumore di vento. Rumore di soldati che marciano; la
voce di Hitler. L’attrice viene in proscenio come se fosse la bambina a scuola.
COME BAMBINA: Perché?
Perché devo fare la cartella?
Io ho scritto la poesia.
Ho imparato a scrivere con la destra.
Devo dire “Il ruscelletto” all’Ispettore.
44
Bavel è il caos. Tippesc, sciocco.Merivà, discussione, litigio.
E poi cosa faccio a casa? Io mi annoio.
Ci sono sempre i dibburim e la nonna che litiga con la mamma.
E quando torno? Quando torno a scuola?
Maestra, perché ti nascondi?
Delia, Giovanna, non dite nulla?
Domani? La settimana prossima?
Eh, maestra?
Si toglie la mantella nera, la getta.
ATTRICE: E così la mantella da piccola italiana diventò un tailleur.
Cose pratiche.
Appare sullo schermo il manifesto della razza
“Le razze umane esistono”
Nel 1938 Hitler viene in visita a Mussolini a Roma e pochi mesi dopo, nel
luglio del ‘38 un gruppo di scienziati fascisti scrive il “Manifesto della razza”.
È l’inizio delle discriminazioni razziali.
Sale sulla sedia imitando Mussolini.
“L'appartenenza alla razza ebraica deve essere denunziata ed annotata nei
registri dello stato civile e della popolazione”
“Il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona
appartenente ad altra razza è proibito.”
“I cittadini italiani di razza ebraica non possono: essere proprietari di
terreni; essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende.”
“Gli ebrei stranieri debbono lasciare il territorio del Regno entro il 12 marzo
1939. Coloro che non avranno ottemperato a tale obbligo entro il termine
suddetto saranno puniti con l'arresto fino a tre mesi e saranno espulsi”
Non c’è più spazio per gli ebrei in Europa. Neanche per la famiglia polacca
della mia nonna. E loro decidono di andare in Cile, perchè lì c’era un grande
partito comunista. Quel partito comunista che sarebbe stato perseguitato da
Pinochet. Era questo il loro destino: essere ribelli. Si erano salvati come ebrei
e sarebbero morti come comunisti. E la nonna Chaja? Perché non andò con
loro insiema al nonno? Dimmi?
Si siede sulla sedia come Aida
COME AIDA: La casa non si lascia! Non se ne parla nemmeno! Io da qui non
mi muovo! E’ solo un momento! L’Italia non ha mai tradito gli ebrei! Can che
abbaia non morde! Cosa saranno poi ‘ste leggi razziali? Noi resisteremo.
Siam resistiti al chazèr! Basta avere pazienza. Tu che ne dici Augusto?
COME AUGUSTO: Dico che al mondo c’è chi ha a vedere e chi non ha a
vedere. Augusto non vuole vedere.
ATTRICE: Ma la nonna Chaja, la polacca, quella separazione non gliela
perdonò mai.
COME CHAJA (seduta ad un immaginario pianoforte) : Noi non ci rivedremo più.
Pausa
ATTRICE: Con la partenza della famiglia polacca era finitta anche l’infanzia,
erano finiti i pranzi le cene cucinate dalla Tina, i ritmi di fox trot al pianoforte
i voli di Peter Pan e restava l’ansia, l’angoscia, l’incertezza del giorno dopo, i
racconti dei profughi tedeschi, i non è possibile, non ci credo, gli zitti zitti che
arriva la bambina. Ma queste cose i bambini le capiscono, i perché non
capiscono, ma le frasi preoccupate del padre, gli sguardi tristi della madre, i
sospiri della nonna, i silenzi, queste cose si che a dieci anni si sentono.
COME AIDA: (andando al tavolo e sfogliando il giornale) Bisogna avere pazienza.
REGISTRATO: L'esercizio professionale da parte dei cittadini italiani di
razza ebraica deve essere esercitato esclusivamente a favore di persone
appartenenti alla razza ebraica;
Aida gira una pagina
COME AIDA: Bisogna avere pazienza.
REGISTRATO: è vietata qualsiasi forma di associazione e collaborazione
professionale tra i professionisti non appartenenti alla razza ebraica e quelli
di razza ebraica.
COME AIDA: Anche il lavoro! Com’è possibile che gli abbiano tolto il
lavoro? Non era bravo il mio Alfredo? Era il più bravo di tutti! E sai cos’ha
fatto il suo collega? S’è strusciato le mani. Ha detto meglio, così c’è più
spazio per gli italiani. Che non siamo italiani noi?
Gira una pagina
REGISTRATO: Gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle
proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana.
COME AIDA: Tina...Va via? Dopo tanti anni... Prenda almeno qualcosa,
prenda un... E’ andata. Piangeva anche lei, hai visto? Ma già, te non puoi
vedere. E meno male che non puoi vedere Augusto mio. La casa non è più la
stessa. Tutti sono tristi. Anche la polacca non suona più il pianoforte. E sai
Augusto, quasi mi dispiace. E’ dura per tutti. Ho dovuto vendere tante cose,
per due lire. Come se chiedessi la carità. Sai cosa mi manca tanto Augusto?
Mi manca l’Opera. Mi manca il mio Verdi.
Si sente il canticchiare di Augusto che intona Va’pensiero.
Che fai Augusto? Perché ti sei messo il frac? Non si va più all’Opera. Vuoi
ballare? Ma dove, qui, in questa stanza vuota? Ma che ti sei ammattito,
povero core mio? Ci hai tutta la cravatta storta... Ma smettila... Mi vuoi far
piangere, Augusto...
Aida balla con un immaginario Augusto.
Cambio di luce.
L’attrice è di nuovo in proscenio.
ESCLUSIONE
ATTRICE: “Esclusione”! Parola vuota astratta. Però, signor Adinolfi, per un
attimo provi, provi a immaginarla questa parola. Alzi la testa dalle sue
scartoffie, stacchi il telefono che suona, smetta di urlare contro chi non
capisce il linguaggio della burocrazia. Faccia un respiro e SENTA questa
parola per lei astratta: esclusione. L’esclusione del Signor di Gioachino45
nascosto in convento per un anno e strappato dalla sua famiglia a cui lei ha
detto che in fondo stare coi preti non può che avergli giovato, l’esclusione
della signora Padoan cui lei ha detto che fare la scuola ebraica era meglio per
gli ebrei, perché tanto si sa, loro sono più intelligenti, l’esclusione del Signor
Vivante, diciassette familiari morti nei campi, a cui lei ha risposto, che si
lamenta lei che è sopravvissuto? Sente, sente salire un formicoloio sul collo,
un rossore alle orecchie? Sente la rabbia? Sente le vergogna?
45
Il Signor Di Gioachino e la Signora Padoan sono due membri della Comunità Ebraica di Firenze.
Il caso del Signor Vivante mi è stato segnalato dal Signor Italo Vascotto, dell’ADPPIA di Trieste.
mette di nuovo il naso da ebreo, usato per Shylock.
Quando all’improvviso il tuo nome viene scritto in rosso in fondo a una lista,
la lista degli ariani. E tu vai a dare gli esami in una scuola ariana, con
professori ariani e i tuoi compagni ariani, la Delia, la Giovanna, adesso
camminano sull’altro marciapiede e non ti guardano neanche in faccia e non
ti salutano e non ci saranno più merende e sassi e foglie e animali e uscite
insieme e ti senti dire che sei ebrea, che non c’è più spazio per gli ebrei in
Europa, e circolano giornaletti in cui ti vedi raffigurata come un topo e la
Civiltà Cattolica, il giornale della Chiesa, quella dove vanno ogni domenica
gli altri, gli italiani, gli ariani, le famiglie di Delia e Giovanna, adesso va in
giro a dire che gli ebrei fanno il pane con le ossa dei bambini cattolici. E gli
ebrei fanno sacrifici umani, e per questo la Delia e la Giovanna non ti
salutano più, perché tu sei ebrea e non c’è spazio per gli ebrei in Europa.
Si toglie il naso.
E così siamo arrivati al famoso 8 settembre 1943. La data finale di Adinolfi.
La data su cui il mio ricorso dovrebbe chiudersi. Badoglio firma l’Armistizio
e scappa con il Re.Gli Alleati occupano la Sicilia e preparano lo
sbarco.Mussolini fonda Salò. I tedeschi sono al centro nord compresa Roma.
Per gli ebrei comincia il periodo peggiore di tutta la guerra. Sono in balia dei
tedeschi.Da questo momento li aspettano il sequestro dei beni, i
rastrellamenti, la deportazione: 5951 ad Auschwitz, ne torneranno solo 356,
408 a Bergen Belsen, 99 a Ravensbrueck, 39 a Flossenburg. Ne tornerà 1 solo.
E poi Treblinka, Buchenwald, Mathausen...
“Sono stati i Tedeschi, che glielo diano loro il rimborso a ‘sti ebrei”
E ha ragione Adinolfi. Ma dimentica che i Nazisti erano in Italia perchè
alleati del regime Fascista. Dimentica anche che per i loro rastrellamenti i
tedeschi utilizzavano le liste create dal regime fascista con il censimento
degli ebrei dell'agosto del 1938. Dimentica che nella Repubblica Sociale
Italiana, “i membri della razza ebraica sono stranieri e parte di una nazione
nemica”. Meno male che in Italia avevano trovato la nuova Sionne!
Insomma: Adinolfi dimentica. L’30 novembre 43 l’ordine di polizia numero
5 della Repubblica di Salò stabilisce che tutti gli ebrei sarnno inviati ai campi
di concentramento. Le loro proprietà saranno sequestrate e assegnate alle
vittime dei bombardamenti alleati.
Devono andarsene anche Augusto, Aida, Alfredo, Chaja e mia madre che ha
appena compiuto 15 anni.
Una voce registrata recita la lista.
Eccola la lista. Tutti i mobili della casa, da lasciare al Comune (la prende)
Quanti ricordi mentre Aida detta e Alfredo scrive. Quante liste come queste
ci sono state. Quanti piccoli mondi caduti in mano ad estranei.
Spenge le candele, sta per calare un lenzuolo sul tavolo.
COME AIDA: Un momento! Non possiamo andar via così. C’è ancora da
fare il kiddush 46per shabbàt. In questa casa si è ebrei, non si è pagani!
Versa dal fiasco toscano un immaginario vino nel calice dello shabbat. Ogni fantasma
beve dal bicchiere. La bambina porta via una scodella con immaginari dolci Aida copre la
tavola con un telo.
BUIO. Da questo momento siamo in un senza tempo.
Accende un fiammifero. LUCE
COME BAMBINA: Ma dove siamo? Siamo nell’isola che non c’è.
BUIO
Accende un fiammifero. LUCE
E che giorno è oggi? Lo stesso di ieri.
Accende un fiammifero. LUCE
Il coccodrillo ha mangiato la sveglia e nessuno può più sapere che ora è.
Nel buio
Dove sono la nonna e il babbo? Siamo rimaste sole.
Luce fiammifero. La bambina ha in mano il libro di Peter Pan e per terra la scodella.
Legge un brano dal libro.
46
Il Kiddush è la benedizione fatta dal capofamiglia sul vino e sul pane per lo shabbat.
COME BAMBINA: “L’Isola che non c’è è un’isola con meravigliose macchie
di colore qua e là e banchi di corallo e vascelli pirati al largo e selvagge tane
solitarie e gnomi che per lo più esercitano il mestiere di sarto e caverne
attraverso le quali scorre un fiume e principi con sette fratelli e una capanna
che sta andando in rovina...”
Ma questa non è l’isola che non c’è. E’ una stanza. La chiamano la stanza
degli ebrei. E’ piccola. E’ fredda. Non ci sono letti, solo reti. Non possiamo
uscire di qua? No. Non c’è più spazio per gli Ebrei in Europa. Io ho fame.
(Gira la scodella, è vuota; strappa una pagina del libro, la assaggia) Ma questi non
sono cibi veri. Dove sono i carciofi che sa fare la nonna e gli orecchi di
Amman? Che giorno è? Lunedì? (strappa una pagina) Giovedì? (strappa una
pagina) Siamo vicini a shabbàt? Io ho paura. Stai piangendo? No, è che non
riesco a tenere incollata la mia ombra. Non riesco a ricordare più niente.
Come si chiamava la maestra? Come faceva la poesia? Com’era il sapore dei
cetrioli?
La mia ombra sta scivolando via.
L’attrice si alza e va a porsi davanti allo schermo, su cui appaiono immagini di guerra
che le si proiettano addosso.
IL TEMPO DELLE COSE PRATICHE
ATTRICE: Siamo nel tempo dei fatti concreti, della cose pratiche. Qui non c’è
spazio per le lacrime, la poesia del Ruscelletto per l’ispettore, le scoperte, i
ricordi, le cose che abitano la testa dei bambini.
(mette la scodella in testa come se fosse un elmo)
Peter Pan è un bravo soldato.
Inizia una corsa affannosa sul posto. Alle sue spalle si susseguono in videoproiezione
immagini di guerra.
16 ottobre 1943, milleduecentocinquantanove ebrei vengono rastrellati a
Roma; due giorni dopo milleeventitre sono deportati ad Auschwitz; tornano
in diciassette. Mia madre, sua sorella e la nonna si nascondono in una
vecchia miniera a Baccinello, in provincia di Grosseto. Fanno la fila per il
latte ma quando tocca a loro la donna che lo distribuisce le rimanda sempre
in fondo.
“E’ finito”!
“Ma non è vero che è finito”!
“In fondo”!!!
A Peter Pan non importa niente se gli altri non le vedono..
Un giorno incontra due soldati che stanno scappando verso il sud. Le
regalano un paio di scarpe sfondate. Sono rotte e puzzano. Sono pesanti, ma
tanto ormai non può più volare. Ha la sciatica. Le porterà per due anni.
A Peter Pan non importa dei vestiti da ragazza.
5 Novembre 1943. I tedeschi fanno una retata di tutti gli ebrei fiorentini,
anche i vecchi dell’ospizio. i più attivi nella caccia all’ebreo sono i fascisti
della banda Carità, ma si macchiano di delitti anche la polizia, la prefettura, i
carabinieri.
Un ebreo consegnato vale cinquemila lire.
Non c’è spazio per gli ebrei nel mondo. Trovare qualcosa da mangiare
diventa sempre più difficile.
Mangiano l’erba dei campi con l’aceto.
Peter Pan resta giorni interi a letto, aspettando che il coccodrillo arrivi.
Un giorno il dottore del paese le chiede se sa parlare inglese e fare la
stenografia. Si. Ci sono i messaggi di radio Londra da portare, hai paura?
Peter Pan non ha mai paura signore! Le dà una pistola.
Peter Pan ha la pistola.
Peter Pan non ha paura degli animali e del buio.
24 marzo 1944: per rivendicare l’attentato partigiano di Via Rasella, I nazisti
comandati da Kappler uccidono trecentotrentacinque italiani alle Fosse
Ardeatine con un colpo alla nuca: settantacinque sono ebrei. 4 giugno 1944
Roma è liberata,gli alleati sono alle porte, lo scontro si fa sempre più
violento.
Una notte i partigiani a Baccinello aprono il granaio dei fascisti e dividono il
grano tra la popolazione.
Peter Pan va a nascondere i sacchi sotto un ponte!
(Tira fuori una sigaretta)
Non basta fare cose da soldato. Ti devi anche comportare da soldato. Sennò
che soldato sei? Sei forse una femminuccia?
(Prova a mettersi la sigaretta in bocca, fuma goffamente, tossisce)
“Non si fuma così. Guarda come si fa”. Lui ha diciassette anni, è grande, fa il
partigiano. E’ molto, molto carino… “Come ti chiami?” Bocca chiusa e piedi
per terra. “Io sono Enrico. Tanto lo so che sei di quelli nascosti nella miniera.
Hai freddo”? Bocca chiusa e piedi per terra. “Me lo daresti un bacio”? (si
stacca un bottone dalla giacca, glielo porge). “Ma questo è un bottone. Allora”?” E’
come in Peter Pan”. “Come in chi”? E’ carino ma proprio scemo, un goy
scemo. “Vabbé, io vado, ciao”.
COME BAMBINA: Enrico,Enrico, Enrico.
E’ proprio bello come un re della Bibbia Enrico.
Enrico, Enrico, Enrico.
Domani lo rivedo il mio Enrico. Imparo a fumare come Enrico.
E la prossima volta glielo dò un bacio a...
Ma Enrico il giorno dopo lo trovano impiccato.
Qualcuno gli ha infilato per dispetto una sigaretta in bocca.
Spenge la sigaretta.
Peter Pan non ha tempo per innamorarsi.
L’attrice esegue come una macchina varie azioni che sintetizzano la vita in quegli anni:
porge la bacinella, corre, la pistola, mette l’elmo, dorme etc
Peter Pan è un bravo soldato.
Peter Pan non ha paura.
Peter Pan non porta vestiti da ragazza.
Peter Pan aspetta che il coccodrillo arrivi... etc
Lo schermo diventa all’improvviso bianco.
ATTRICE: Ti prego mamma.
Dimmi.
Com’era la poesia per l’Ispettore?
Un lungo silenzio.
Rumore di pianoforte che riaffiora da lontano e che suona, interrotto da un colpo come
se qualcuno si divertisse a sfondarlo. Suono. Colpo. Suono... I colpi diventano sempre più
presenti.
L’attrice va al tavolo, scopre il telo, prende il bicchiere usato per il Kiddush e lo lascia
cadere in terra. Il bicchiere si rompe.
Quando tornarono a casa, la trovarano distrutta. Qualcuno si era divertito a
fare a pezzi con un rasoio il divano in pelle e le poltroncine di damasco
giallo. Il pianoforte Otto Philip di Berlino era sfondato. Degli altri mobili non
c’era traccia. Dopo varie ricerche riuscirono a ritrovarli e chiesero la
restituzione. Ne tornarono la metà. Il nuovo proprietario si rifiutò di pagare
le spese di trasporto.
L’attrice raccoglie i pezzi del bicchiere caduto, come se ognuno fosse una persona.
Samuele Pacifici, il fratello di Aida con la moglie Emma e la figlia Nuccia
Auschwitz
Riccardo Pacifici, il cugino di Aida con la moglie Wanda
Auschwitz
Il rabbino del Balshem, Israel Dresner con la moglie Anna e tutta la famiglia
Buchenwald
Augusto non resse a quello che alla fine dovette vedere.
Morì d’infarto nel ‘45.
Mette i pezzi nella scatola, si stacca la lettera dal petto e la mette dentro.
Si reca al proscenio per prendere anche il libro di Peter Pan.
Quando lo prende la musica cessa.
Scende tra il pubblico.
Apre il libro, che ha le pagine strappate e legge.
“Sarebbe facile disegnare la pianta dell’isola che non c'è se fosse tutto qui, ma
c’è anche il primo giorno di scuola, papà e mamma, una vasca rotonda, il
ricamo, assassini, impiccati, verbi che reggono il dativo, il giorno della torta
al cioccolato, i primi pantaloni, le caselline, i tre soldi se ti levi da solo il
dentino da latte. Tutte queste cose fanno parte dell’isola o formano un’altra
pianta che appare attraverso la prima e ciò è abbastanza confuso perché non
c’è nulla di stabile a questo mondo”.
Richiude il libro. Prende la scatola.
Questa è la storia 38836.
Oggi qualcosa si è mosso*. Adinolfi per esempio ha lasciato la sua poltrona
all’Ufficio VII. Forse per l’attuale governo la questione si stava facendo
imbarazzante. Mia madre ha ottenuto il suo risarcimento.
Nel giugno 2004, a sessantasei anni dall’inizio delle persecuzioni.
L’ha ottenuto in base alla legge 96 del 55 e dell’articolo 16 della legge 903 del
21 luglio 1965 e dell’articolo 2 del DPR 448 del 27 aprile de4l 68 e della legge.
153 del 30 aprile 69 e del DPR 915 del 23 dicembre del 78 e successive
modifiche e della legge 932 del 1980 e infine del DPR 377 del 30 settembre del
99.
Mia madre aveva dieci anni. Ora ne ha settantasette.
Quante di queste cinquecento storie avranno ancora la possibilità dei trovare
chi ascolta i loro silenzi?
Vi lascio un ultimo silenzio
E’ la poesia di una bambina.
Per favore ascoltatela con attenzione.
Si allontana.. Una voce infantile declama:
REGISTRATO BAMBINA: “Il ruscelletto”
“Un ruscelletto bianco
scorre della mia casa al fianco
ed è così libero e giocondo
che io lo amo tra tante cose al mondo
ah, la mattina quando al risvegliare
sento presso di me il suo scrosciare
che alle erbe e ai gelsi dà la vita
e le pecorelle a bere a sè invita
il sole che lo bacia quasi l’indora
e io lo ammirerei di ora in ora”.
Mentre la poesia termina, si susseguono foto d’epoca di bambini
(prima della guerra, in guerra).
L’ultima foto è un piccolo Peter Pan.
BUIO
Lo spettacolo è dedicato alla bambina che mia madre non potè essere.
•
E’ vero, oggi qualcosa si è mosso. La Corte dei Conti a Sezioni Riunite nel marzo 2003 ha spiegato
cosa si deve intendere per violenza morale, ad esempio la perdita del posto di lavoro o la mancata
iscrizione a una scuola pubblica o l’espulsione: tali ipotesi concretizzano ove dimostrate il diritto del
perseguitato a vedersi riconosciuto l’assegno di benemerenza e così è accaduto che parecchie
centinaia di ebrei dalla primavera 2003 ad oggi hanno avuto l’assegno ma a fronte di questa
situazione positiva c’è stato un restringimento dei criteri concessivi. In particolare non vengono
concesse benemerenze a chi ha subito persecuzioni anche gravi dopo l’8 settembre 1943 e ciò
costituisce un grande handicap perchè sono molti a richiedere e dimostrare che cosa hanno subito
dopo l’armistizio, ma il governo non pare propenso al momento ad emettere alcuna legge
chiarificatrice sull’argomento o una qualche direttiva. Anche le domande ci chi ha dovuto emigrare
già nel 38-39 all’estero vengono perlopiù non accettate, perchè la Commissione sostiene che in
fondo non si sono subite specifiche persecuzioni in Italia perchè si sarebbe “preferito” andare
all’estero (!).
E così, il mio ricorso teatrale, continua.
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