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Le idee di nazione - Osservatorio Scolastico Provinciale di Pisa

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Le idee di nazione - Osservatorio Scolastico Provinciale di Pisa
Alberto Mario Banti
Le idee di nazione
Non era facile sentirsi parte di una comunità nazionale italiana alla fine del Settecento. E però,
proprio a partire da quegli anni l’idea di nazione italiana comincia a circolare, diventa l’oggetto di
progetti politici, è la ragione stessa dell’esistenza di un movimento nazionale. Anzi, finisce per esser
considerata come il criterio fondamentale sulla base del quale si costruisce la geografia politica in
Italia nella prima metà del XIX secolo, nel senso che chi si interessa di politica allora o è a favore
dei diritti della nazione e della costruzione dello stato-nazione, o è contro quei diritti, cioè contro
l’ipotesi di formazione di uno stato-nazione. Dunque, questa idea che appena alla fine del ’700 non
esisteva, diventa il motivo politico fondamentale intorno al quale si distribuiscono le appartenenze.
Come fa questa idea a imporsi? Il veicolo principale è la formazione di una «estetica della politica».
Con questo termine si indica una modalità della comunicazione politica che sollecitata dalla constatazione secondo la quale strumenti che normalmente servono per divertirsi e rilassarsi (romanzi,
poesie, drammi teatrali, pitture, statue e opere liriche) possono anche riempirsi di messaggi politici,
senza per questo perdere niente del loro fascino.
Per la formazione di una nuova «estetica della politica» è essenziale lo stretto rapporto che il nazionalismo intreccia con l’esperienza intellettuale comunemente nota col termine di «romanticismo».
Dei molti aspetti che connotano l’elaborazione romantica, uno merita di essere particolarmente
sottolineato: gli intellettuali che vi si avvicinano mettono ben presto a fuoco l’idea di «un’arte per
il popolo», termine che in questo caso non vuol dire altro che «un’arte per il più largo numero
possibile di persone».
Si tratta di un programma estetico che è certamente sollecitato anche dal nuovo statuto socioprofessionale del letterato o dell’artista della Restaurazione: non più sostenuto da un mecenate,
non più assunto stabilmente da una famiglia nobile, deve essere capace di vendere le sue opere
sul mercato se vuole procacciarsi di che vivere. Ma ciò che è importante osservare, è che diversi
intellettuali e artisti romantici danno a questo chiaro programma professionale una declinazione
nettamente nazionalista. È, dunque, attraverso il lavori di veri e propri geni creativi come Giovanni
Berchet, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, Francesco Hayez, Giuseppe Verdi e molti altri,
che il nazionalismo risorgimentale può avvalersi di un’«estetica della politica», che si traduce in
una vasta costellazione di romanzi, poesie, drammi teatrali, pitture, statue e melodrammi di ispirazione nazional-patriottica. Sono questi gli strumenti comunicativi che riescono a fare del nazionalismo un discorso mitico di grande impatto. La mitografia che ne deriva è efficace perché riesce a
proporre delle nuove, potenti, suggestioni: e sono proprio queste che danno al discorso nazionale
un grande impatto emotivo.
Ma quale definizione di «nazione» sorregge questa straordinaria vicenda politico-culturale? È una
definizione articolata in tre declinazioni fondamentali:
1) La prima, che si ripresenta costantemente, la descrive come comunità essenzialmente etno-culturale: si immagina, cioè, la nazione italiana come un soggetto collettivo che ha alle spalle una
lunga storia comune; si dà quindi per scontato che la storia della penisola sia stata quella di un
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gruppo coeso, e che tale coesione sia stata garantita dalla comunione di confessione religiosa,
dalla comunanza linguistica (questo almeno è quanto asseriscono gli intellettuali di orientamento nazional-patriottico, autori delle opere cui ho alluso prima), dalla trasmissione dello
stesso sangue, della stessa razza, della stessa terra. Questi sono elementi connotativi molto forti,
che si incontrano con regolarità nelle definizioni di che cos’è la nazione. Il contesto fondamentale all’interno del quale si svolgerebbe la storia nazionale, diciamo dal VI secolo in avanti, lo
si considera, poi, scandito dalla vicenda di un’incessante oppressione inflitta agli Italiani da
popoli o potentati stranieri; è così che viene presentata la storia della nazione, come una lunga,
dolorosa catena di momenti di oppressione da parte di stranieri.
2) Inoltre, la nazione viene descritta anche nelle sue componenti di genere, attraverso un’operazione che attribuisce agli uomini della nazione il compito di difenderla armi alla mano, e alle
donne della nazione il compito di riprodurre – in forma casta e virtuosa – le linee genealogiche
che strutturano la nazione come comunità di parentela.
3) Infine, la nazione viene presentata come una comunità i cui membri devono essere pronti a
soffrire per la patria, fino all’estremo sacrificio della propria vita. Il richiamo alla necessità del
sacrificio è un’operazione che consente di presentare il discorso nazionale come un discorso politico para-religioso: i militanti morti per la causa diventano subito dei «martiri», cioè in senso
proprio dei soggetti che hanno «testimoniato» con la morte la propria «fede» politica; in tal
modo le guerre nazionali si trasformano in «guerre sante» o «crociate»; l’azione di propaganda
diventa «apostolato» (termine largamente usato da Mazzini, in particolare); e la rinascita della
nazione diventa «resurrezione» (questo il senso etimologico originario del termine «Risorgimento»)
Descrivere in questo modo la comunità nazionale, e l’azione politica che è necessario fare per essa,
significa presentare il tutto con tratti di plausibilità molto forti, poiché su una proposta politica
enormemente innovativa si proiettano valori e simboli molto ben radicati nella mentalità diffusa
all’inizio del XIX secolo: chiunque capisce subito di cosa si parla se si dice che la nazione è una «famiglia» e che perciò i suoi membri sono «fratelli», legati dal «sangue» e dal «cor»; inoltre proiettare
nello spazio della nazione il valore dell’onore (gli uomini combattono e difendono la rispettabilità
delle proprie donne) è ricorrere a una passione che all’epoca è profondamente radicata, una passione per la quale non si esista a combattere dei duelli; e infine associare l’ideologia nazionale a specifici simboli della tradizione cristiana significa presentare la nazione con i caratteri di un linguaggio
che tutti conoscono e quasi tutti apprezzano.
Al termine del Risorgimento tutti questi elementi del discorso nazionale non vanno perduti, ma
vengono pienamente incorporati nel processo di «nazionalizzazione delle masse» che viene realizzato dopo la costituzione dello stato unitario. Un esempio molto chiaro della forza di questo sistema simbolico viene dalle pagine di uno dei grandi best sellers dell’Italia liberale, Cuore di Edmondo
De Amicis. Pubblicato nel 1886, il libro ha la struttura di un diario tenuto dal piccolo Enrico Bottini, scolaro di una terza elementare di Torino nell’anno scolastico 1881-82. Il diario di Enrico parla
dei piccoli fatti che accadono a scuola e fuori; ospita i racconti del mese che il maestro legge alla
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classe e che Enrico trascrive; e talora accoglie anche qualche pagina di commento del padre, della
madre e della sorella. Gli interventi del padre sono quelli che hanno il massimo valore pedagogico
e normativo. E in uno di questi l’ing. Bottini spiega a suo figlio che cosa sia l’amor di patria:
L’amor di patria
24, martedì
Poiché il racconto del Tamburino t’ha scosso il cuore ti doveva esser facile, questa mattina, far bene
il componimento d’esame: – Perché amate l’Italia? Perché amo l’Italia? Non ti si son presentate subito
cento risposte? Io amo l’Italia perché mia madre è italiana, perché il sangue che mi scorre nelle vene è
italiano, perché è italiana la terra dove son sepolti i morti che mia madre piange e che mio padre venera,
perché la città dove sono nato, la lingua che parlo, i libri che m’educano, perché mio fratello,
mia sorella, i miei compagni, e il grande popolo in mezzo a cui vivo, e la bella natura che mi circonda, e tutto ciò che vedo, che amo, che studio, che ammiro, è italiano. Oh tu non puoi ancora
sentirlo intero quest’affetto! Lo sentirai quando sarai un uomo, quando ritornando da un viaggio lungo, dopo una lunga assenza, e affacciandoti una mattina al parapetto del bastimento,
vedrai all’orizzonte le grandi montagne azzurre del tuo paese; lo sentirai allora nell’onda impetuosa di tenerezza che t’empirà gli occhi di lagrime e ti strapperà un grido dal cuore. Lo sentirai
in qualche grande città lontana, nell’impulso dell’anima che ti spingerà tra la folla sconosciuta
verso un operaio sconosciuto, dal quale avrai inteso, passandogli accanto, una parola della tua
lingua. Lo sentirai nello sdegno doloroso e superbo che ti getterà il sangue alla fronte, quando
udrai ingiuriare il tuo paese dalla bocca d’uno straniero. Lo sentirai più violento e più altero il
giorno in cui la minaccia d’un popolo nemico solleverà una tempesta di fuoco sulla tua patria,
e vedrai fremere armi d’ogni parte, i giovani accorrere a legioni, i padri baciare i figli, dicendo:
– Coraggio! – e le madri dire addio ai giovinetti, dicendo: – Vincete! – Lo sentirai come una
gioia divina se avrai la fortuna di vedere rientrare nella tua città i reggimenti diradati, stanchi,
cenciosi, terribili, con lo splendore della vittoria negli occhi e le bandiere lacerate dalle palle,
seguiti da un convoglio sterminato di valorosi che leveranno in alto le teste bendate e i moncherini, in mezzo a una folla pazza che li coprirà di fiori, di benedizioni e di baci. Tu comprenderai
allora l’amor di patria, sentirai la patria allora, Enrico. Ella è una così grande e sacra cosa, che
se un giorno io vedessi te tornar salvo da una battaglia combattuta per essa, salvo te, che sei
la carne e l’anima mia, e sapessi che hai conservato la vita perché ti sei nascosto alla morte, io
tuo padre, che t’accolgo con un grido di gioia quando torni dalla scuola, io t’accoglierei con un
singhiozzo d’angoscia, e non potrei amarti mai più, e morirei con quel pugnale nel cuore.
Tuo Padre
Si tratta di una pagina ad altissima temperatura emotiva, che ripercorre con grande efficacia la
costellazione simbolica risorgimentale. Impressionante tanto la prima sequenza descrittiva, che
presenta la patria come una comunità fatta in primo luogo di rapporti parentali (la madre, il padre,
il fratello, la sorella), di sangue, di un suolo consacrato ai defunti delle passate generazioni, e solo
dopo anche di lingua e di cultura. Non meno impressionante è l’esercizio di pedagogia sacrificale
che occupa la parte finale dell’intervento, denso di esaltazione bellico-eroica. Sono immagini forti,
che non abitano solo questo libro di De Amicis, ma che occupano uno spazio comunicativo vasto,
che va dalle opere di Carducci e D’Annunzio ai sussidiari che si usano nelle scuole elementari del
Regno. Ed è proprio nel costante ripetersi di queste fondamentali figure simboliche che occorre
vedere sia le ragioni del grande impatto del discorso nazionale risorgimentale, sia le ragioni della
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sua duratura presenza anche nella storia dell’Italia post-unitaria.
Bibliografia essenziale
Anderson B., Comunità immaginate. Origini e diffusione dei nazionalismi, Roma, Manifesto Libri,
1996 [ed. or. 1983-92].
Banti A.M., La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita,
Torino, Einaudi, 2000.
Mosse G.L., La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1812-1933), Bologna, il Mulino, 1975 [ed. or. 1975].
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