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LA NUOVA SARDEGNA LA NUOVA SARDEGNA Reportage

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LA NUOVA SARDEGNA LA NUOVA SARDEGNA Reportage
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna
Rassegna sta mpa
Beni culturali
della Sardegna
Segni di una grande civiltà
a cura del Servizio Promozione
Testata
LA NUOVA SARDEGNA
Data
14 marzo 2013
Sezione
Cultura
Reportage Sardegna abbandonata
L’estetica della decadenza che ci obbliga a riflettere
Lo sguardo sul paesaggio che cambia, zone disabitate e nuove espansioni
di SANDRO ROGGIO
Lo conosciamo il sentimento, tra malinconia e disappunto, che ci prende ogni volta che scopriamo un pezzo del
paesaggio naturale e storico dell'isola che si degrada irreversibilmente. Ma questa raccolta, “sardegnaabbandonata.it”,
va oltre e provoca un turbamento inatteso. Funziona l'effetto moltiplicatore della densa mappa - la quantità e il valore
delle cose inspiegabilmente abbandonate - e fa pensare a come arginarla questa decadenza riguardante chissà quanti
altri manufatti. Colpisce la dichiarazione degli autori in premessa, combattuti tra l'idea di salvare quei luoghi o di
accettarne la lenta estinzione: non solo per il rischio di interventi controproducenti - spiegano - ma perché «la verità è
che i posti abbandonati ci piacciono così, abbandonati». Eppure non suscita rassegnazione questo messaggio, e al di là
delle intenzioni non vince la retorica della rovina, la spettacolarizzazione passiva del disfacimento. L'estetica della
decadenza ad uso della fotografia non sminuisce ma esalta il lavoro di censimento, che si fa critica, mette interrogativi.
Obbliga a riflettere su cosa farne delle rovine "al culmine dell'arte" - secondo Marc Augé in "Rovine e macerie" - «nella
misura in cui i molteplici passati ai quali si riferiscono in modo incompleto ne raddoppiano l'enigma esacerbandone la
bellezza». D'altra parte come la rovina ha contribuito alla nascita del paesaggio come genere pittorico - da Poussin a
Piranesi - , le rovine della contemporaneità possono indurre la costruzione di un nuovo paesaggio in grado di accoglierle
con un ruolo. Impossibile misconoscere la capacità di adattamento dell'architettura nei secoli, dei più specializzati edifici
che hanno smesso una funzione e ne hanno accolto un'altra. Caserme, conventi, ospedali, opifici, macelli, stazioni,
palazzi aristocratici trasformati in sedi istituzionali, scuole, musei, alberghi (in un capitolo a parte le abitazioni adattate
innumerevoli volte a stili di vita diversi). Talvolta con riguardo, altre volte in danno dei caratteri originali, ma questa è
un'altra storia. Un processo che ha consentito a manufatti più o meno preziosi di conservarsi: per una diffusa
propensione al riuso prima che la cultura della conservazione più progredita e le leggi ponessero attenzione ai beni della
cultura materiale. D'altra parte perché la storia di un edificio continui non basta decretarlo. Servono comunità che se ne
prendano cura, e risorse economiche. I luoghi derelitti indicano una condizione di disagio. In Sardegna l'abbandono di
edifici è in costante crescita anche per effetto dello spopolamento di vaste aree, specialmente all'interno dell'isola,
spesso per la forza attrattiva delle nuove espansioni. Intere parti di nostri paesi sono disabitate. Lo si vede dai numerosi
cartelli di case in vendita e dai segni inconfondibili dell'assenza di manutenzione, ma ancora poco appariscenti per
meritarsi inquadrature suggestive. Per questo ci serve l'attenzione pioniera degli artisti.
LIDO IRIDE DI PLATAMONA
Malinconici ricordi col sapore di sale
Claudio Villa, Teddy Reno e Nilla Pizzi: nomi che rimandano agli anni '60, quando il Lido Iride viveva il suo periodo
d'oro. Costruito nel 1953, lo stabilimento comprendeva un ristorante, campi da tennis, un'area da ballo, una pista da
pattinaggio e una piscina, a pochi metri dal bagnasciuga, dove i più piccoli potevano fare il bagno in sicurezza. Per
alcuni decenni è il simbolo dell'estate ed è frequentato dai cantanti più popolari. Nel 1987 però il demanio aumenta
l'affitto e il proprietario è costretto a rinunciare. Risultato: il lido viene abbandonato. Nel corso degli anni sono tanti i
progetti di riqualificazione, ma al momento il vecchio stabilimento giace sulla spiaggia abbandonato, tra vento, sabbia e
mareggiate. E in quella che era la piscina oggi cresce un rigoglioso canneto. (m.p.)
ALBERGO ESIT DI SAN LEONARDO
Siete Fuentes: il relitto del turismo montano
All'inizio degli anni 50 la regione decise che per la Sardegna era giunto il momento di lanciarsi nell'industria del turismo.
Solo qualche anno prima l'isola aveva il triste primato nazionale di vittime della malaria, ma ora il morbo era stato
sconfitto e le coste sarde diventavano improvvisamente appetibili. Il primo passo del neonato "Ente Sardo Industrie
Turistiche" è la costruzione di alcuni alberghi. Non solo al mare, ma anche in montagna. Così, nel bel parco di San
Leonardo di Siete Fuentes, nel monte di Santu Lussurgiu, nasce nel 1950 uno dei primi alberghi Esit. Per circa trent'anni
l'albergo funziona più che bene e fa il pieno di turisti, italiani e stranieri. Fino al 1987. Quando, dopo una gestione
privata, torna nelle mani dell'amministrazione pubblica e viene abbandonato all'oblio. (m.p.)
VILLAGGIO ASPRONI
L’epopea delle miniere universo in oblio
Di MARTINO PINNA
La storia di questo piccolo paese fantasma è legata alla figura dell'ingegner Giorgio Asproni, uno dei pionieri
dell'industria mineraria sarda di fine '800. Ci troviamo nella zona di Gonnesa, nel sud della Sardegna. Qui Asproni dirige
la miniera di Seddas Moddizzis, dove si estrae la calamina. È un padrone autoritario ma ben voluto dai suoi dipendenti.
Non lontano dalla miniera fa costruire un villaggio dove alloggiare i minatori e le loro famiglie. Oltre alle abitazioni, ci
sono la scuola, lo spaccio, la chiesa e gli uffici della direzione. A dominare il villaggio è la bella villa che ospitava Asproni
e la sua famiglia. Con la morte dell'ingegnere, nel 1936, muore anche la miniera e così il villaggio viene abbandonato.
Oggi è frequentato solo da pecore e, si dice, da un fantasma.
SA FABBRICA DI TRESNURAGHES
L’antica cartiera una cattedrale tra i rovi
"Sa Fabbrica", in passato era una cartiera. O almeno doveva esserlo. In realtà, probabilmente per mancanza di fondi, la
fabbrica non entrò mai in funzione. L'impresa viene avviata a inizio '800 su iniziativa dei Savoia per favorire lo sviluppo
dell'industria sarda. Il luogo viene scelto per la presenza di corsi d'acqua, in parte navigabili, che consentivano l'utilizzo
dell'acqua come forza motrice. Nel 1809 la costruzione è quasi ultimata. Ma, dopo qualche prova, la struttura viene
abbandonata. Seguono due secoli di oblio. La vegetazione nel corso degli anni ha avvolto l'imponente struttura
arrivando quasi a nasconderla. Oggi, questo monumento di archeologia industriale, fa pensare più a un'antica cattedrale
diroccata che a una cartiera mai nata.(m.p.)
VILLA WEBER, LA MADDALENA
Il castello dell’inglese rifugio per Mussolini
Nella notte tra il 6 e il 7 agosto 1943 la corvetta Persefone è diretta a La Maddalena con una scorta di circa 80
carabinieri. Trasporta un passeggero molto speciale: è Benito Mussolini, da poco destituito. A La Maddalena il dittatore
sarà imprigionato per venti giorni in una villa di stile moresco-italiano, fino al 27 agosto, quando sarà trasferito sul Gran
Sasso. È la villa Webber, dal nome del suo primo proprietario, il ricco commerciante inglese James Philipps Webber,
che la fece costruire a fine '800 in uno dei punti più alti dell'isola. Si trova immersa in un bel parco di pini. Nonostante
l'abbandono, ancora oggi la villa colpisce per l'insolito aspetto, che la fa assomigliare a un castello medievale, e per la
bellezza dei pavimenti, delle ampie stanze e degli affreschi. (m.p.)
PRATOBELLO
Dopo la rivolta restano i ruderi delle caserme
Ci sono luoghi che sono diventati dei simboli. È il caso di Pratobello. Una chiesa e diversi edifici diroccati, tra Fonni e
Orgosolo, raccontano la storia di una rivolta pacifica e non violenta. Siamo nel 1969, quando l'esercito italiano decide di
occupare una vasta area - utilizzata da generazioni per il pascolo delle greggi - per installare un poligono di tiro.
L'entrata in funzione del poligono significherebbe l'evacuazione di circa 40mila capi di bestiame. Ma la popolazione di
Orgosolo, compatta e unita, nel giugno del '69 occupa i terreni opponendosi così a quella che considerano un'ingiustizia.
Dopo una settimana, l'esercito si arrende e lascia Pratobello. Oggi restano solo quei ruderi che avrebbero dovuto
ospitare i militari, ma che non sono mai stati abitati. (m.p.)
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