...

Stima fiducia perdono e perdono permanente.

by user

on
Category: Documents
7

views

Report

Comments

Transcript

Stima fiducia perdono e perdono permanente.
Stima fiducia perdono e perdono
permanente.
Non c’è miglior modo di iniziare questa catechesi nel ricordare a tutti noi
che questa comunità nasce ne da voler di carne ne da voler di sangue ma
per volontà del Padre.( Matteo 16:17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di
Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio
che sta nei cieli). Questo in pratica dovrebbe bastare per farci
comprendere il meraviglioso ed incontenibile momento storico che sta
vivendo la mia famiglia le tua famiglia. Cioè: la conclusione logica della
Pentecoste: "Erano assidui nella
preghiera, nell'insegnamento degli Apostoli, nella frazione del pane, nella
vita fraterna..." (cfr At 2, 42 ss).
Come si presenta oggi la nostra comunità che nasce dal sacrificio di Gesù
ed è consacrata dalla Pentecoste? Si presenta come l'insieme di due
movimenti, centripeto e centrifugo, in un certo senso contrapposti, ma il
cui equilibrio fa la nostra comunità cristiana. Questa comunità è
contraddistinta da un movimento centripeto,( Diretto verso il centro |
Forza centripeta, in un sistema in moto rotatorio, quella che si manifesta
come reazione alla forza centrifuga e mantiene unito il sistema);
. cioè di coesione tra i credenti e dunque anche di distacco dal mondo; è
un gruppo di persone che sono tirate via dal mondo e messe insieme con
una solidarietà nuova, che si chiama Amore, la condivisione fraterna, il
mettere insieme, il gioire insieme. Sono uomini tratti dal mondo, e questo
momento intimo della comunità cristiana è costituito da alcuni fattori
precisi: sono insieme perché li tiene insieme una realtà fortissima, la più
forte del mondo, che si chiama Spirito Santo, che agisce attraverso
l'insegnamento degli Apostoli, perché quando gli Apostoli parlano è lo
Spirito che fa eco nella loro parola, nel cuore di chi ascolta, e dunque
questa parola è fortissima, è diversa da tutte le altre; sono uniti da
un'unione fraterna, cioè dalla carità, che è anch'essa frutto dello Spirito;
sono uniti nella frazione del pane, cioè intorno all'Eucarestia e nella
preghiera. Questa unione si manifesta anche all'esterno, centrifuga con
segni visibili, perché condividono anche i beni: quelli che hanno dei beni li
vendono per poter fare comunità, condivisione, sicché non c'è nessuno
povero tra di loro.
("Nessuno tra loro era bisognoso..."). La comunità cristiana è
fondamentalmente una comunità di preghiera, di vita interiore, di
comunione fraterna che sprigiona gioia, letizia. Per la prima volta, si
comincia a parlare di letizia: "...prendevano i pasti in letizia..." e in
questo brano ogni singola parola deve essere da noi presa per quello che
vale, cioè la sintesi di tutto un atteggiamento di vita; c'è gioia, gioia, gioia
profonda tra questi fratelli, e la loro gioia costituisce il motivo di maggiore
attrazione per gli altri che li guardano "con simpatia", e "ogni giorno si
aggiungevano alla comunità numerosi altri che erano chiamati", chiamati
dal Signore, ma attraverso i segni che vedevano di questa gente nuova, di
questi uomini nuovi.
Gesù è l’inviato del Padre e che è vivo tra noi. Vedendo un gruppo di
fratelli, che vivono uniti in felice armonia, tutti ammetteranno che Gesù è
senz’altro vivo. In tal modo la fratellanza diventa sacramento, segno
sicuro e profetico della potenza liberatrice di Dio.
Il popolo ha una grande sensibilità. Percepisce con sicurezza quando ci
sono invidie tra i fratelli, quando c’è indifferenza quando c’è armonia. La
gente sa per esperienza quanto sforzo occorre per amare le persone
difficili, quanta generosità esige l’amore che si dona. Una comunità unita
diventa subito agli occhi del popolo di Dio un segno esclamativo, che
indica ammirazione, ma anche un punto interrogativo, che impegna il
popolo e lo costringe, appunto, a interrogarsi sull’azione redentrice di
Gesù, i cui frutti sono così evidenti.
Carissimi Oggi la fede, il cristianesimo, ha bisogno vitale di queste
Comunità, perché il cristianesimo è fatto per essere
vissuto in comunità, non da soli; è fatto per essere un corpo! Gesù è
venuto sulla terra per costruirsi un corpo, una sposa, un popolo, non
tanti individui ("single").
I veri cristiani fanno l'esperienza che è impossibile vivere cristianamente
nel mondo d'oggi se non c'è qualcosa di più: non basta andare a messa la
domenica senza conoscere nessuno e poi tornare a casa... La fede sembra
non reggere il ritmo della vita moderna, l’evoluzione la tecnologia
innovativa è così rapida che viene da chiedersi che cosa sia la fede in
questo mondo.
Credo oggi più che mai dopo 20 anni di vita comunitaria che Gli elementi
della vita fraterna che ritengo necessari quale "roccia" sulla quale
costruire la nostra vita e la missione sono: la povertà, il perdono
permanente, la costruzione dell'amore, il servizio.
POVERTA'
La condizione primaria e necessaria per vivere la vita fraterna in Comunità
è la povertà. Essa si esprime nella dipendenza da Dio in uno stile di vita
semplice e sobrio che sia segno per il mondo.
“La fine di tutte queste cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri per
dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una grande
carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati" (1 Pt 4,7-11).
Carissimi la povertà intesa in questo senso, sia la nostra priorità per
essere autentici cristiani. Non andiamoci a ingarbugliare in progetti o
situazioni o affari al di sopra delle nostre forze e possibilità economiche
che ci tolgono quasi sempre quella serenità che appanna la nostra anima
e il nostro spirito e ancora più grave mette in stato di agitazione la nostra
famiglia e un’intera comunità. <esempio della preoccupazione della comunità>. Nella
Scrittura non troveremo da nessuna parte il termine stile di vita, tuttavia
sono presenti moltissimi modelli di comportamento che vengono
suggeriti o, addirittura, fortemente consigliati:
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli
uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere
in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà,
nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del
nostro grande Dio e salvatore.
Dunque Lo stile di vita evangelico deriva direttamente dal fatto della
inabitazione divina in noi (“io sono in loro e tu in me” che partecipa
all’uomo le scelte di Dio, trasferisce all’uomo le stesse scelte di Gesù
(“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù…” – scrive
l’inno della Lettera di Paolo ai Filippesi).
Gli stili di vita evengelici sono l’espressione dell’uomo nuovo (“vita
nuova”), dell’azione divina dentro di noi. Questa radice si incarna nel
tessuto delle scelte concrete e operative, per cui lo stile di vita diventa
uno degli
elementi fondamentali della testimonianza cristiana. Dunque, quando noi
agiamo in maniera totalmente indipendente da questo stile di vita stiamo
tradendo il principio del nostro essere cristiani cioè non appartenenti a
Cristo ma a noi stessi.
Carissimi per mantenere lo stile di vita di cui abbiamo appena menzionato
penso che siano necessari 3 specifici punti:
- l'umiltà (E' una condizione preliminare, poiché l’uomo orgoglioso viene
eliminato dal combattimento una volta per tutte).
- la vigilanza (E' necessaria per riconoscere subito i nemici e custodire il
proprio cuore libero dai vizi).
- La volontà di resistere(Deve essere presente fin dall’istante in cui ci si
accorge del nemico. Ma
Poiché «senza di me non potete far nulla» [Gv 15,5]... la preghiera è...)
- la preghiera (...l'arma letale da cui dipende il buon esito della battaglia).
Gesù stesso ci avverte:
«State attenti, vegliate perché non sapete quando sarà il momento
preciso… Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa
ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al
mattino, perché non giunga all’improvviso trovandovi addormentati.
Quello che dico a voi lo dico a
tutti: Vegliate!» (Mc 13,33-37)
Il perdono permanente.
Parlando ai discepoli dell'efficacia della preghiera un giorno Gesù disse:
"In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per
domandare qualunque
cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perchè dove sono due
o tre riuniti nel mio nome,
io sono in mezzo a loro" (Mt 18,19-20)
Dinanzi a questa affermazione Pietro prese la parola introducendo un
argomento solo apparentemente poco attinente:
"Signore quante volte dovrò perdonare al mio fratello se pecca contro di
me? Fino a sette volte?".
(Mt 18,21)
ricevendo l'immediata risposta di Gesù:
"Non ti dico fino a sette ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,22)
Da questo dialogo notiamo come il perdono sia il collante dell'unità,
elemento quest'ultimo indispensabile
perchè Gesù sia "in mezzo".
Che abisso di differenza tra le parole di Gesù e il canto di Lamech della
stirpe di Caino:
"Ho ucciso un uomo per una mia scalfitura ed un ragazzo per un mio
livido. Sette volte sarà
vendicato Caino, ma Lamech settantasette" (Gn 4,23-24)
Il Catechismo della Chiesa Cattolica al punto 2844 recita:
Il perdono è il culmine della preghiera cristiana.
Il perdono da accordare al fratello diventa addirittura ‘conditio sine qua
non’ per ottenere il perdono divino:
Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro
celeste perdonerà anche a voi; ma se non perdonerete agli uomini,
neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe. (Mt 6,14-15)
Il Card. Ravasi afferma che “il cristianesimo è soprattutto la celebrazione
del perdono”.
Già nell’Antico Testamento vediamo quanto sia inscindibile la relazione
tra perdono fraterno e perdono divino:
"Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti
saranno rimessi i peccati. Se qualcuno conserva la collera verso un altro
uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore?
Egli non ha misericordia per l’uomo suo simile, e osa pregare per i suoi
peccati? Egli che è
soltanto carne, conserva rancore; chi perdonerà i suoi peccati?" (Sir
28,2-5)
Da questo brano del Libro del Siracide vediamo come la misericordia di
Dio è bloccata dal nostro
risentimento è non può produrre i benefici che da essa derivano in
termini, per esempio, di guarigione.
Ormai da decenni gli psicologi riconoscono che il perdono è una chiave
per ottenere sia la salute fisica sia
l'equlibrio emozionale. Di contro la mancanza di perdono ha un impatto
devastante sul corpo umano generando quelle malattie che tecnicamente
chiamiamo "psicosomatiche", cioè di quelle malattie fisiche che
hanno inizio dallo stress e dalla sofferenza. Queste malattie stanno ad
indicare la grande influenza che gli stati emotivi esercitano sul corpo;
immaginate poi su quella spirituale che è molto più delicata e bisognosa
di attenzioni. La mancanza di perdono (risentimento) sollecita certamente
due sentimenti primari che appartengono alla sfera umana: la rabbia e la
colpa. Questi due sentimenti, dicono gli esperti, controllano buona parte
del nostro sistema psicologico e emotivo.
La rabbia si manifesta quando non riesco a perdonare qualcuno. La colpa
(il senso di colpa) quando non riesco a perdonare me stesso.
COSTRUZIONE DELL'AMORE.
Nel "famoso" inno alla carità, San Paolo afferma
“…la carità (cioè l’amore) non avrà mai fine” (1 Cor 13, 8)
e che quando verrà la conoscenza perfetta, quando cioè “la profezia
scomparirà, le lingue cesseranno e la
scienza svanirà”, di ciò che resterà, cioè la fede, la speranza e la carità, la
cosa più grande di tutte sarà la carità (cf 1 Cor 13, 8 ss).
Per cogliere l'anima che unifica tutti i rimandi che Paolo fa sulla carità e
l'idea di fondo che ha della carità,
bisogna partire da una parola iniziale: La carità non abbia finzioni (Rm
12,9) Essa non è una delle tante esortazioni, ma la matrice da cui derivano
tutte le altre. Essa contiene il segreto della carità.
Il termine originale usato da san Paolo (anhypokritos) e che viene
tradotto «senza finzioni», alla lettera vuol dire: “senza ipocrisia”. Questo
vocabolo (anhypokritos) è una specie di luce-spia; è, infatti, un termine
raro che troviamo impiegato, nel Nuovo Testamento, quasi
esclusivamente per definire l'amore cristiano. Questa espressione
(anhypokritos) ritorna, tra gli altri, nel testo della prima lettera di Pietro:
Dopo aver santificato le vostre anime con l'obbedienza alla verità, per
amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero
cuore, gli uni gli altri (1 Pt 1,22)
Quest'ultimo testo permette di cogliere, con tutta certezza, il significato
del termine in questione; l'amore sincero - dice - consiste nell'amarsi
intensamente «di vero cuore». San Paolo, dunque, con quella semplice
affermazione: «la carità non abbia finzioni!», porta il discorso alla radice
stessa della carità: quello che si
richiede dall'amore è che sia vero, autentico, non finto.
La difficoltà di amare come Dio ci chiede di fare, si basa sulla lunga
abitudine che abbiamo ad amare in modi diversi da quelli che Dio ci
chiede.
A tal proposito, questo è quanto scrive Massimo il Confessore, un Padre
della Chiesa:< <San Massimo il Confessore (Palestina, 579/580 – Lazica, 13 agosto 662) è
venerato come santo dalle Chiese cattolica e ortodossa che lo ricordano il 13 agosto. Egli è chiamato il
Confessore perché ebbe tagliate la mano destra e la lingua come condanna per aver rifiutato il monotelismo.
>
Gli uomini si amano reciprocamente per questi cinque motivi, alcuni
lodevoli, altri degni di biasimo, cioè: per Dio, come il virtuoso che ama
tutti e l’uomo non ancora virtuoso che tuttavia ama il virtuoso; o per
natura,
come i genitori amano i figli e ne sono amati; o per vanagloria, come chi
è onorato ama chi lo onora; o
per amore del denaro, come chi ama il ricco per interesse; o per amore
del piacere, come chi è servo del
ventre e dei piaceri sessuali. Il primo è lodevole; il secondo, indifferente;
gli altri passionali. Queste nostre abitudini di amare in modo non
corretto purtroppo non ci fanno entrare nella logica dell’amore
secondo Dio.
Il teologo cristiano contemporaneo Dietrich Bonhoeffer, autore dell’opera
Vita Comune parla di due diversi
tipi di amore che caratterizzano le relazioni tra fratelli, l’amore spirituale
e l’amore “psichico”:
…esiste un amore del prossimo su basi “psichiche”. E’ un amore capace dei
massimi sacrifici, spesso
supera di molto il vero amore in Cristo dal punto di vista dell’entusiasmo
nella dedizione e dell’evidenza dei
risultati, è un amore che parla il linguaggio cristiano con eloquenza
trascinante, entusiasmante. Ma è quell’amore di cui l’Apostolo dice:
“Distribuissi a bocconi i miei beni ai poveri e il mio corpo dessi a bruciare”
– cioè: se mettessi insieme i più straordinari atti d’amore e la più
straordinaria dedizione – “se l’amore non
ho (cioè l’amore di Cristo), niente mi giova” (1 Cor 13,2). L’amore psichico
ama l’altro per amore di se
stesso, l’amore spirituale ama l’altro per amore di Cristo. Per questo
l’amore psichico cerca il contatto
immediato con l’altro, non lo ama nella sua libertà, ma lo lega a sé, vuol
conquistarlo, sopraffarlo con ogni
mezzo, lo opprime, vuol essere irresistibile, vuol dominare….L’amore
psichico ha come fine solo se stesso,
fa di se stesso opera e idolo da adorare, a cui subordina inevitabilmente
qualsiasi cosa. Non si cura
dell’altro, non coltiva e non ama niente altro che se stesso al mondo.
Mentre l’amore spirituale viene da
Cristo, lui solo serve. L’amore spirituale non è brama, ma servizio, perciò
ama il nemico come il fratello. Non
trae origine né dal fratello, né dal nemico, ma da Cristo e dalla sua
Parola…L’amore psichico determina
asservimento umano, vincoli di dipendenza, indurimento. [Dietrich
Bonhoeffer, Vita Comune, Comunione,
pagg. 27 – 29]
L’ostacolo più pesante però è costituito dal fatto che Gesù ci invita ad
amare, addirittura, i nostri nemici:
Ma a voi che ascoltate, io dico: “Amate i vostri nemici, fate del bene a
coloro che vi odiano, benedite Coloro che vi maledicono, pregate per
quelli che vi maltrattano”. (Lc 6,27-28)
Il cristiano - diceva san Pietro - è colui che ama «di vero cuore»: ma con
quale cuore? Con il cuore nuovo, “il
cuore di carne che, per opera dello Spirito, prende il posto in noi del
cuore di pietra” (cf Ez 36,26).
Questo cuore nuovo è stato creato, è una realtà di fatto, esistente in ogni
battezzato. Bisogna farlo entrare in azione, esercitarlo, motivarlo
attraverso l’effusione dello Spirito Santo. Quando noi amiamo «dal
cuore», è Dio, presente in noi con il suo Spirito, che ama in noi; attraverso
di noi passa l'amore stesso di Dio.
L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo (Rm 5, 5)
Quando Gesù dice: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati (Gv 15,
12) quel «come» non vuol significare «allo stesso modo», o «nella stessa
misura» (cosa che sarebbe impossibile), ma «con lo stesso amore con cui
io vi ho amati».
Scrive sempre Bonhoeffer:
Nel momento in cui Dio ha rivolto a noi la sua misericordia, rivelandoci
Gesù Cristo come fratello e
conquistando il nostro cuore con il suo amore, allora è iniziato anche
l’insegnamento all’amore fraterno.
Dalla misericordia di Dio verso di noi abbiamo potuto apprendere la
misericordia nei confronti dei nostri
fratelli. Nel ricevere perdono, anziché incorrere nel giudizio, siamo stati
resi pronti al perdono dei fratelli. Ciò
che Dio ha fatto per noi, ora lo dobbiamo ai fratelli. La nostra capacità di
dare è proporzionata a quanto abbiamo ricevuto; tanto più povero risulta
il nostro amore per i fratelli, tanto meno evidentemente siamo
vissuti della misericordia e dell’amore di Dio. [Dietrich Bonhoeffer, Vita
Comune, pag. 20]
L'amore cristiano si distingue, dunque, da ogni altro amore per il fatto che
è amore di Cristo: non sono più io che amo, ma Cristo che ama in me! Io
stesso posso essere, se lo voglio, un centro di irradiazione dell'amore
di Dio perché, afferma San Giovanni:
“…Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”. (1^
Gv 14,16)
Fly UP