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Il Populismo in Europa e nell`Unione Europea

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Il Populismo in Europa e nell`Unione Europea
Il Populismo in Europa e nell’Unione Europea
Di
Francesco Violi
Che cos’è il populismo?
La prima domanda che dobbiamo cominciare a porci è che cosa sia il populismo. Il populismo non
è un’ideologia, è un modo di fare politica. Pur essendo due cose fondamentalmente diverse,
attualmente, la parola populismo viene usato fondamentalmente come sinonimo di demagogia.
Ovvero, si intende un approccio alla politica nel quale, una volta individuato un nemico nelle
istituzioni statuali o nella classe dirigente o anche in una classe qualsiasi di cittadini, talvolta
reputate altolocate o ricche, un politico rivolge ad essi il proprio attacco facendo leva sul Popolo,
che viene visto come una vittima innocente delle istituzioni o di chi le sta conducendo in quel
frangente. Il populismo può così avere una connotazione molto negativa, specie quando parliamo
della coniugazione fra populismo e reazionarismo, ma tuttavia può anche avere delle connotazioni
positive, quando invece sorgono dei movimenti che si richiamano al popolo per chiedere maggiori
istituti di democrazia partecipativa o diretta rispetto agli istituti di democrazia rappresentativa.
Daniele Albertazzi e Duncan McDonnell Nel loro libro Twenty-First Century Populism, (Il populismo del
Ventunesimo secolo) Definiscono il populismo un’ideologia che "contrappone un popolo virtuoso e
omogeneo contro una serie di èlites e pericolosi “altri” che sono descritti come uniti nel privare (o nel
cercare di privare) il popolo sovrano dei suoi diritti, valori, prosperità, identità e voce".
Il concetto di populismo , posto in questi termini, si distingue da quello di demagogia, che secondo
Tarchi "è l’abilità dei politici ad assicurarsi dei vantaggi raggirando il popolo con discorsi
ingannevoli e quindi spingendolo ad agire contro i propri interessi. Ecco allora che di volta in volta
si alimenta l’odio verso gli immigrati, si aumenta la paura verso uno Stato autoritario, si fanno
promesse irrealizzabili, ci si dichiara contro la droga; si tratta di una tecnica molto antica conosciuta
sin dai tempi dell’antica Grecia e già allora veniva vista come una degenerazione della
democrazia”. Secondo Taguieff invece è ” uno stile politico” che fà delle virtù innate del popolo la
fonte esclusiva di legittimazione dell'azione politica e del governo. Quindi la demagogia è una
tecnica cosciente del discorso politico, l'altra è una mentalità o uno stile o piuttosto una
Weltanschauung che può essere cosciente o incosciente, l'una si basa su una strumentalizzazione del
popolo ai fini personali, l'altro su un'idea positiva del popolo inteso come unico e solo soggetto
"pulito" ed "originario" della politica. Talvolta, un demagogo può essere anche populista e può
riuscire a coniugare sia la capacità di farsi trascinatore e di portare l’elettorato dalla propria parte
facendo leva su paure e pregiudizi, sia la convinzione della superiorità e della purezza della massa
della gente comune o della società civile contro le élite.
Nella storia dell’occidente, da quando la democrazia rappresentativa si è imposta come modello
politico di riferimento, ciclicamente sono comparsi movimenti che si richiamavano al popolo o ad
una volontà popolare pura, integra, incorrotta, contrapposta ad un’élite percepita come corrotta ed
incapace di far fronte ai problemi concreti del “popolo”. Si va dal Voelkisch Bewegung nella
Germania si inizio ‘800 al populist party americano di fine ‘800 passando attraverso la Narodnaja
Volja Russa sorta nella seconda metà del XIX secolo, al qualunquismo e al poujadismo degli anni
’50, dal populismo argentino e brasiliano di Peron e di Vargas, per arrivare al contemporaneo
socialismo bolivarista di Hugo Chavez, Tea Party negli USA e alle destre europee di Umberto
Bossi, Geert Wilders, Timo Soini, Marine Le Pen, Heinz Christian Strache, Jaroslaw Kaszinsky, per
citare alcuni degli esponenti maggiormente di spicco.
Il populismo è fisiologico in un sistema di democrazia rappresentativa. Grandi leader non populisti
in più di un’occasione hanno fatto leva sul popolo contro un gruppo di potere, una lobby o anche un
partito o un sindacato. I movimenti populisti tuttavia, ovvero quei movimenti estremisti che fanno
continuamente leva sul concetto di popolo contro il sistema, cominciano a raccogliere un certo
grado di successo elettorale e ad emergere quando c’è una situazione di malessere. Se
paragonassimo il sistema politico ad un corpo umano, l’emergere di movimenti populisti e di
protesta può essere paragonabile alla percezione di dolore che si ha quando ci si ferisce o ci si
ammala. Il dolore serve affinché il cervello di una persona percepisca la presenza di qualcosa che
non va nel corpo, ad esempio una ferita, un virus, un tumore. Se però la persona in questione non ne
prende atto e non agisce in modo da curarsi, la ferita s’incancrenisce, la malattia si evolve in forme
più acute, il tumore consuma lentamente il corpo. Allo stesso modo, i movimenti populisti servono
a far capire alla classe dirigente che è presente un malessere nella società, nell’economia e nella
politica. Se la classe dirigente al governo reagisce positivamente non ignorando il problema, può
risolverlo togliendo ad eventuali movimenti populisti la possibilità di alimentarsi e di crescere.
Storicamente infatti, di fronte ad una risposta ferma e sicura da parte delle istituzioni e della classe
dirigente, volta alla risoluzione dei problemi e delle insicurezze contingenti, moltissimi di questi
movimenti scomparvero come un fuoco di paglia, ad esempio l’Uomo Qualunque in Italia, il
movimento poujadista in Francia o il partito rurale finlandese, o si sono posizionati su posizioni più
moderate, come il People’s Party americano, che si lasciò incorporare dal Partito Democratico. In
altri casi, di fronte a delle risposte non date o sbagliate ai problemi contingenti questi movimenti
non solo hanno consolidato la loro posizione nel panorama politico del paese in cui operavano, ma
sono anche riusciti a diventare maggioritari nel paese, imponendo regimi di vario genere, (il partito
Giustizialista in Argentina, ma lo stesso Partito Nazionale Fascista in Italia o il Partito
Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi e a tutti gli altri partiti nazional-socialisti e conservatori
europei degli anni ’20 e ’30, il partito socialista bolivariano in Venezuela oggi così come altri partiti
di estrema sinistra ora al governo in Bolivia, in Ecuador, in Nicaragua) o comunque ad influenzare i
processi di policy making. Pensiamo ad esempio alle recenti difficoltà che ha avuto Obama
nell’innalzamento del tetto del debito pubblico americano, o anche l’influenza che ha oggi il Partito
della Libertà nelle decisioni del governo olandese o come i Veri Finlandesi siano capaci di
condizionare il dibattito politico nel loro paese.
Il populismo nella UE e in tutta Europa oggi.
Attualmente, nello scenario politico europeo sono individuabili varie forme di populismo, che
uniscono insieme varie istanze sia di matrice statalista ed antiglobalista, sia libertaria. In alcuni di
questi partiti è prevalente l’una o l’altra, in molti sono presenti entrambe e si bilanciano fra loro.
Quando parliamo di matrice statalista, s’intende un partito o un movimento la cui offerta politica
può essere collocata in qualsiasi estremo dello spettro partitico ed ha come punto fermo il ruolo
dello stato. In questa visione la salvezza e la liberazione del popolo dal nemico, che ne insidia i
valori ed il benessere, consiste nell’intervento dello stato e nella rinazionalizzazione dello spazio
politico ed economico. In questo caso, il nemico viene individuato nelle classi politiche nazionali
cosmopolite e liberiste “traditrici” dei valori tradizionali della nazione e l’Unione Europea,
concepita come una creazione figlia della cultura che loro rifiutano. La UE è un nemico da
abbattere, il ladro della sovranità nazionale violata, colei che vuole annacquare, omologare o
cancellare le tradizioni e le culture differenti, colei che vuole rubare ai popoli la loro sovranità col
placet dei burocrati e delle classi dirigenti decadenti e corrotte, colei cha fa l’interesse delle grandi
multinazionali e delle grandi lobby finanziarie contro il benessere della gente comune. Il piano che
queste correnti populiste propongono è la restaurazione di frontiere economiche e politiche, che
siano esclusivamente nazionali. Lo stato, restituito al popolo, è l’unico depositario della sovranità e
la esercita in tutte le sue forme. Non a caso alcuni osservatori hanno catalogato tutte queste forme di
movimenti politici nella categoria “nazional-socialismo” non solo, per il contenuto anti-semita o i
collegamenti con la galassia neo-fascista, quanto per il contenuto delle proposte che essi
sostengono. Questa visione si collega fortemente con l’antiglobalismo della destra estrema e si basa
sulla dicotomia data dalla contrapposizione fra la globalizzazione/male da una parte e lo stato
nazionale/bene dall’altra. Questa visione è prevalente nelle destre dei paesi dell’Europa orientale,
dove giocano un ruolo importantissimo due componenti: l’incontenibile riemergere del sentimento
nazionale dopo cinquant’anni di egemonia sovietica, la diffidenza o l’ostilità verso l’economia di
mercato e verso i valori della democrazia liberale da parte di molti membri delle classi dirigenti ex
comuniste ed infine l’antisemitismo e l’antiziganismo presente tuttora in vasti settori della società.
Oltre all’Europa Orientale anche in Francia, dove storicamente lo stato centrale ha sempre giocato
un ruolo fondamentale e dove tradizionalmente, ritroviamo le medesime le istanze conservatrici e
reazionarie, che non sono mai venute meno e son tuttora presenti nella società. Tra i partiti populisti
di destra estrema, attualmente presenti al Parlamento Europeo e nel proprio parlamento nazionale,
che portano avanti questi valori, ci sono: Diritto e Giustizia in Polonia (cha a sua volta ha assorbito
suo malgrado altri partiti estremisti quali la Lega delle famiglie Polacche e “Autodifesa per la
Repubblica Polacca”), l’Unione Nazionale ATTACCO in Bulgaria, JOBBIK- Movimento per
l’Ungheria migliore, il Partito della Grande Romania, il Partito Nazionale Britannico, il
raggruppamento popolare Ortodosso in Grecia, il Front National Francese, il partito nazionale
slovacco ed alcune correnti interne alla Lega Nord.
Un’altra forma di populismo è di matrice libertarian (ovvero la destra liberista ed antistatalista),
nazional- liberale e conservatrice e si sposa in pieno con la visione di populismo sostenuta da
Albertazzi e McDonnell. Questa forma di populismo, prende a riferimento come valore supremo la
libertà, non tanto dell’individuo in quanto uomo, ma dell’individuo in quanto contribuente e
cittadino di un determinato stato e quindi membro di una determinata collettività linguistica e
statale ben definita. In questo caso l’attuale classe dirigente ed il potere statale vengono viste non
solo come incapaci di difendere i valori fondanti della nazione, ma anche come degli irresponsabili
incapaci di gestire le finanze pubbliche e sempre pronti a prendere soldi dal cittadino onesto, allo
scopo di pagare burocrati incapaci o corrotti ed istituzioni mal funzionanti o di finanziare politiche
economiche o di welfare reputate fallimentari. Il loro obiettivo è opporsi al “Leviatano” la politica,
il potere centrale, sia esso a Washington o a Bruxelles o in qualsiasi altra capitale nazionale: il
Leviatano è il nemico a cui la comunità dei cittadini/contribuenti deve opporsi.
Spesso, questo atteggiamento di rivolta fiscale non rimane confinato all’aspetto fiscale, ma si unisce
a delle istanze conservatrici. Sia negli USA che in Europa, movimenti di destra conservatrice son
riusciti a cavalcare quest’onda di protesta imponendo il loro carico ideologico. Negli USA, il Tea
Party, movimento originariamente costituitosi come protesta ai soldi spesi per il salvataggio delle
banche, si è trasformato ben presto in una corrente del partito repubblicano, la cui destra n’è
diventata la principale promotrice. Il Tea Party rappresenta normalmente questo modello di
americano: credente, conservatore sui diritti civili, diffidente verso il mondo al di fuori degli USA,
ostile a qualunque cosa provenga dallo stato.
In Europa, il discorso anti-statalista e libertarian presente negli USA è molto più annacquato.
Storicamente, l’Europa non è mai stata antistatalista, ed anzi partiti e movimenti europei che
potremmo, con diverse declinazioni, paragonare al Tea Party, portano avanti anche proposte
interventiste nella politica economica, volte soprattutto al mantenimento dello stato sociale e al
mantenimento del livello di occupazione. In Olanda troviamo il “Partito della Libertà”. In Austria ci
sono il “Partito della libertà” e la “Lega per il futuro dell’Austria” entrambi creazioni del defunto
Joerg Heider. Si va dal partito irlandese “Libertas”, che guidò il voto contrario al referendum sul
Trattato di Lisbona in Irlanda nel 2008, salvo poi non riuscire a concretizzare quel successo in
consenso alle Europee del 2009, allo UKIP nel Regno Unito, un partito che come programma
politico ha sia l’uscita della Gran Bretagna dall’UE, sia la realizzazione di uno stato minimo nel
Regno Unito. Nella realtà scandinava troviamo il Partito del Popolo Danese, i Democratici Svedesi
i Veri Finlandesi e il Partito del Progresso in Norvegia, di cui fu membro anche Breivik, l’autore del
massacro di Utoya. In Europa Orientale, in controtendenza rispetto allo scenario precedentemente
illustrato, abbiamo il partito “Sloboda a Solidarita” slovacco, che coniuga sia istanze liberiste sia
“anti-politiche”. “Per la patria e la libertà” in Lituania, passando per personalità quali il presidente
ceco Vaclav Klaus, che oltre ad essere famoso per aver cercato di sabotare fino all’ultimo la ratifica
del trattato di Lisbona da parte della Repubblica Ceca, è famoso anche per essere uno dei maggiori
“negazionisti” del riscaldamento globale ed essere un grande sostenitore della Scuola Economica
Austriaca. Ognuno dei partiti citati meriterebbe un discorso a parte, ma alcuni caratteri comuni sono
facilmente individuabili. Oltre l’istanza fiscale, viene vista nell’immigrazione islamica un pericolo
fondamentale per le libertà dei cittadini e per il sistema di sicurezza sociale. Si reputa che gli
immigrati di fede mussulmana siano incapaci o nolenti di apprendere la cultura nazionale dei diritti
e delle libertà e vengono visti come una categoria parassitaria verso il Welfare-state nazionale e
pronta a soverchiare i cittadini autoctoni attraverso la demografia e ad abolire conseguentemente
tutti i diritti e le libertà costituzionali e ad imporre la shaaria. Non a caso, il Freiheitspartei e il Partij
van de Vrijheid sono entrambi favorevoli a maggiori diritti civili e sono entrambi fortemente filoisraeliani. Sulla carta tutti questi partiti sono favorevoli a sistemi fiscali leggeri, ma anche, fatta
eccezione per lo UKIP, Sloboda a Solidarita e personalità come Vaclav Klaus cui va riconosciuto il
merito di essere “genuinamente” liberista, gli altri partiti, soprattutto i partiti populisti scandinavi e
del continente, compresa la nostra Lega Nord sono contrari a qualsiasi norma che vada a riformare
in senso più restrittivo o più severo il sistema sociale del proprio paese.
Allo stesso modo nell’opposizione alle Istituzioni comunitarie non c’è solo un discorso di furto di
sovranità statale, di libertà e di diritti civili, ma anche il non credere al progetto comunitario e
l’accusa di incapacità o la non volontà da parte dell’UE, di salvare l’Europa e la civiltà occidentale
dall’invasione islamica, di mettere a repentaglio il benessere dei cittadini o col mercato unico o con
l’eccesso di burocrazia.
Nel primo caso abbiamo quindi un populismo che vede nel popolo lo strumento per ricostruire la
sovranità statale e creare una dimensione nazionale e semiautarchica nel quale sovranità statale e
cittadinanza coincidano, mentre nel secondo caso si vuole rinazionalizzare la dimensione della
politica per preservare a livello nazionale, l’identità, le libertà ed i diritti del cittadino/contribuente,
creando uno stato che allo stesso tempo difenda i cittadini da tutte le minacce, dall’altra intervenga
il minimo indispensabile nella vita dei cittadini, se non per preservarne il benessere e mantenere lo
stato sociale.
Quale forma di populismo più pericolosa in questa contingenza storica?
La domanda che occorre porsi è: quale di queste forme di populismo è più pericolosa? Se l’oggetto
è la pericolosità verso il processo di integrazione federale dell’Unione Europea o verso l’esistenza
stessa delle istituzioni comunitarie, la risposta è: tutte queste forme di populismo sono pericolose.
Ma ognuna di queste è “diversamente pericolosa”.Una forma di populismo si coniuga con un
discorso nazional-socialista, etnonazionalista, autoritario, illiberale che non mette solo in dubbio
l’esistenza dell’Unione Europea, ma anche l’assetto democratico e liberale interno a quegli stati.
Ciò è dovuto principalmente al fatto che le istituzioni democratiche in quei paesi sono ancora molto
giovani e le ferite del nazionalismo sono ancora vive, soprattutto nei paesi dell’area ex-jugoslava.
Nei paesi dell’Europa Occidentale, dove i valori della democrazia liberale e parlamentare sono oggi
condivisi da tutti, questi partiti si richiamano ad una dimensione nazionale alla difese del benessere
e delle tasche dei cittadini dallo stato. La diffidenza verso le istituzioni comunitarie è data non solo
dalla loro lontananza o dal bisogno di un avversario, ma anche per il motivo che esse sono viste
come un potenziale leviatano pronto a prendersi libertà e risorse dai cittadini. Abbiamo quindi a che
fare con un populismo all’antica, che trae giovamento dalla giovinezza e non maturità delle
istituzioni democratiche e dall’altra di una forma di populismo che accetta e trae stimolo dalle
regole del gioco democratico. Non a caso Nigel Farage, leader dello UKIP, sostiene che i populisti
del ventunesimo secolo siano “gli unici veri democratici”.
Questa recente crisi, con tutto ciò che ha comportato, dalla crisi dell’Euro a quella dei debiti
sovrani, non ha fatto altro che dare coraggio e consensi a questi movimenti. Per la prima volta, il
Front National veniva indicato come il partito più votato al primo turno delle elezioni presidenziali
francesi del 2012. Nello stesso periodo, anche in Austria, il Freiheitspartei registrava il maggior
numero di consensi nei sondaggi elettorali, in vista di future elezioni. In Belgio, nonostante il
protrarsi della crisi di governo, l’alleanza libera fiamminga continuava a mietere consensi nei
sondaggi. In Svezia, per la prima volta i Democratici Svedesi riuscivano ad entrare in parlamento,
in Finlandia i Veri finlandesi ottenevano il 19% risultando il terzo partito più votato e scavalcando
il Partito di centro. In Ungheria, lo Jobbik otteneva il 16,6% ed è il terzo partito. Sempre in
Ungheria, lo stesso partito FIDEZS, che dovrebbe portare avanti i valori della destra moderata,
liberale e centrista, ha fatto propri, pur moderandoli ed annacquandoli, i toni nazionalisti ed
identitari della destra estrema ed ha fatto approvare una riforma costituzionale che contiene più di
una norma liberticida.
Che si fa’? Come federalisti europei, che facciamo? Come sostenitori di forze non populiste, che
facciamo? Qualora esistesse una forza populista di dimensione europea e che ragionasse seguendo
uno spirito europeo appellandosi al sentimento di una cittadinanza comune europea e che si battesse
per trasformare l’attuale assetto delle istituzioni comunitarie in una forma federale, nessuno di noi si
porrebbe la questione. Purtroppo, non è così. L’unica forma di europeismo che unisce alcune di
queste forze è l’europeismo alla Breivik, l’europeismo dell’odio, l’europeismo del “noi, società
aperta e libera” contro loro “chiusi, pericolosi” l’europeismo del bene contro il male. Una visione
inconciliabile contro una visione universalistica dell’umanità, come vuol essere la proposta
federalista. L’unica cosa che ci resta da fare è indicare la via su come affrontare questo fenomeno in
modo frontale, sia a livello europeo,sia a livello di singoli stati nazionali.
Andiamo nel dettaglio. Cosa vuole la gente che vota questo movimenti? Vuole essenzialmente che
il proprio livello di benessere non venga sconvolto e che continui a crescere. Vuole che rimanga
l’occupazione. Vuole che i propri soldi non vengano sperperati. Vuole che la sicurezza continui ad
essere garantita. Non vuole che le proprie libertà vengano toccate. Sono intimoriti da un possibile
allontanamento del centro decisionale, e conseguentemente dalla perdita della possibilità di poter
influire nei processi democratici e decisionali. Sono intimoriti da una crisi che voglio che abbia un
termine.
Da una parte, è dovere dei governi europei isolare questi partiti, in modo tale da lanciare un segnale
inequivocabile agli elettori, dall’altra bisogna dare delle risposte forti in modo da disinnescare
queste pulsioni. Aumentare la trasparenza nella pubblica amministrazione, agire affinché vengano
risolti i nodi legati alla mancata integrazione degli immigrati, implementare politiche volte alla
creazione di nuovi posti di lavoro e nuove attività imprenditoriali che siano sostenibili nel tempo,
continuare ad investire nell’economia della conoscenza, ottimizzare l’uso delle risorse pubbliche
rendendo più efficiente l’apparato statale, investire su un nuovo parasigma di sviluppo finanziario
ed ambientale sostenibile.
A livello europeo invece, dove la denuncia del deficit democratico è più forte, cioè il distacco fra la
cittadinanza da una parte e dall’altra le volontà dei governi e delle lobby più forti, deve essere
assolutamente colmato. Per colmarlo si può intervenire sul funzionamento delle istituzioni
comunitarie. Già il trattato di Lisbona mette alcune tessere nel mosaico, ma molto di più si può e si
deve fare, intervenendo sulla riforma del consiglio dell’Unione Europea e sulla riforma del
regolamento sugli Europartiti, per creare veramente uno spazio politico europeo. Creare un governo
economico e politico. Implementare gli strumenti di politica diretta quali la ICE. Ciò non
basterebbe a far scomparire l’euroscetticismo o l’antifederalismo, ma almeno a togliere terreno alle
istanze antieuropeiste o antifederaliste portate avanti da questi partiti.
Tuttavia, questi problemi si intrecciano fra loro. La crisi del Welfare state è un problema di
dimensioni europee. Il problema dell’occupazione, della flessibilità, del terrorismo e della
diffusione della criminalità organizzata su tutto il continente sono tutti problemi che riguardano in
primo luogo il mercato unico e l’intera Unione Europea. L’economia della conoscenza,
l’abbattimento del costo dei brevetti, la libera circolazione delle menti, son tutti pezzi del mosaico
della strategia di Europa 2020.
La battaglia quindi è solo all’inizio. Siamo di fronte ad una svolta epocale. L’Europa non decadrà e
non scomparirà, ma questi movimenti sono la risposta di persone che hanno bisogno di sicurezza di
fronte ad un mondo in cui l’Europa rischia di scivolare ai margini e in cui tutte le certezze del
passato sembrano essere sconvolte. Sta a noi il compito di dare una risposta che faccia sì, che questa
gente, che ora vota populista, ricominci a vedere all’Europa e al mondo con positività e speranza e
non con negatività e paura.
Bibliografia:
• Paul Taggart, Il populismo, Troina, Città aperta, 2002.
• Pierre André Taguieff, et al., Cosmopolitismo e nuovi razzismi. Populismo, identità e
neocomunitarismi, Milano, Mimesis, 2003.
• Pierre-André Taguieff, L'illusione populista. Dall'arcaico al mediatico, Milano, B. Mondadori,
2003.
• Marco Tarchi, L'Italia populista. Dal qualunquismo ai girotondi, Bologna, Il Mulino, 2003.
• Yves Meny et al., Materiali per un lessico politico europeo. Populismo, Bologna, Il mulino,
2004.
• Daniele Albertazzi e Duncan McDonnell, Twenty-First Century Populism, the spectre of western
democracy , Palgrave 2007
• Grigorij Mesežnikov Oľga Gyárfášová Daniel Smilov: Populist Politics and Liberal Democracy
in Central and Eastern Europe Institute for Public Affairs, Bratislava 2008
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