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BOMBE SU FINMECCANICA
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR | anno 18 | numero 46 | 21 NOVEMBRE 2012 settimanale diretto da luigi amicone anno 18 | numero 46 | 21 NOVEMBRE 2012 | 2,00 BOMBE SU Finmeccanica Attacco al cuore tecnologico-industriale dello Stato. La controinchiesta di Tempi EDITORIALI ECCO PERCHÉ LA CHIESA È ODIATA La lotta per il significato dell’esistenza è la sola reale minaccia per il potere C he le intenzioni della vita non siano un problema politico ma siano il problema poli- tico ce lo hanno insegnato nei paesi dell’ex Unione Sovietica e satelliti uomini come Solzenicyn e Havel. Il punto è che, dopo la caduta del Muro, né postcomunisti né liberali hanno ritenuto politicamente decisiva e condizione per la democrazia la “lotta per la religione” (Masaryk). Ovvero, hanno escluso dalla politica la lotta per il significato della vita. È qui che la società “globalitaria”, progressista o conservatrice che sia, si specchia nei totalitarismi del passato mostrandone la cupa e persistente attualità. Come insegna la Cina (definita da Repubblica un esempio di “comunismo di successo”), apertura al mondo e “diritti umani” secondo un’etica stabilita da un potere impersonale (dalla Coca Cola all’agenda gay, dalle leggi anticorruzione al diritto all’aborto non selettivo, tale è il “comunismo di successo”) stanno procedendo di pari passo alla repressione dell’esperienza religiosa (soprattutto se cristiana) che è primaria apertura al mondo e diritto umano fondamentale. Questo succede perché la lotta per il significato della vita rappresenta l’unica reale minaccia per il potere impersonale. Ciò è così vero che nel continente dove un vuoto di vita fa il paio con un “pieno” di potere impersonale (regolamentare, tecnico, giurisdizionale) l’indifferenza alla “lotta per la religione” si traduce in cupo e persistente “odio di sé”. Come ci hanno testé ricordato le proteste contro la Merkel che, per una vol- In Occidente l’indifferenza al senso ta, ha detto una parola vera e disinteressata religioso diventa odio di sé, come («il cristianesimo è la religione più perseguitata al mondo»). O come tocchiamo con mano indicano le proteste contro la Merkel nella consunzione dell’immagine sociale ed che per una volta aveva detto la emarginazione politica delle Chiese cristiane. verità sulla persecuzione dei cristiani IMPRESSIONI SUL PENTADIBATTITO I cinque aspiranti parroci della sinistra fanno desiderare una vita esagerata A gorà è una delle buone badanti della mattina su Rai Tre. Martedì scorso, il tema del suo intrattenimento pendeva tra il quanto-siamo-indietro-noi rispetto agli americani che hanno votato per i matrimoni gay (motivetto molto twitter e facebook). E quanto-è-stata-americana la passerella su Sky Tg24 dei candidati alle primarie del centrosinistra (lozione molto amara per i pochi capelli del Cav.). Che poi, sul primo versante, era la cattolicissima deputata del Pd la vera pasionaria delle nozze gay. Che poi, sul secondo, il nuovo Pd sembrava la vecchia Dc. L’avete sentito, no? Non ce n’è stato uno della cinquina democrat che non abbia indicato come ideale un tipo di chiesa. Altro che Balena Bianca. Siamo allo scudone nazional-crociato che va da papa Giovanni XXIII (Bersani) al cardinal Martini (Vendola), da Alcide De Gasperi (Tabacci) a Tina Anselmi (Puppato). E vuoi che Mandela (Renzi) non abbia idealmente fatto un girotondo di peace&love cantando Imagine davanti alla Porziuncola di Assisi? Ecco caro cattolicesimo italiano quanto vale il tuo pacchetto azionario di “valori non negoziabili” e di “battaglie culturali antropologiche” agli occhi del battezzato che ragiona come la Repubblica di Lady Gaga e desidera ardentemente una famiglia Corriere della Sera come Elton John. Ma il vero punto G lo sta titillando Grillo? Non cambia nulla. Anzi. Aumenta la percezione di un adattamento del parrocchiale che c’è in ogni italiano alla propaganda ideologica impersonale. Non saIn tv non ce n’è stato uno della cinquina democrat che non abbia rà per caso venuto il momento di desiderare una vita esagerata e almeno non quelle facindicato come ideale un tipo di ce lì? Il dissenso, il “non conformatechiesa. Da papa Giovanni XXIII vi” di san Paolo, l’andare in direzio(Bersani) a Martini (Vendola) ne opposta di dove va la folla? FOGLIETTO Piano con le parole. Tutti a ripetere che la supremazia democrat è ormai permanente in America. Non è così D 1945 il presidente americano rieletto ha sempre preso più voti la seconda volta rispetto alla prima, quasi “consacrato” dalla nazione. Così da Ike Eisenhower a Bill Clinton a George W. Bush. Con Barack Obama non è andata così: eletto con largo appoggio nel 2008, ha avuto meno suffragi nel 2012. Vincere nella difficoltà è segno di capacità politica, sua e della squadra di Chicago che lo sostiene, e indica un difetto di leadership, peraltro evidente, in Mitt Romney. Comunque l’esito del 6 novembre conferma la solidità dell’impianto politico-istituzionale americano, la capacità di adattarsi ai mutamenti mobilitando il popolo invece che emarginandolo. Molte sciocchezze volano nei commenti di questi giorni. In particolare sul tema del rapporto tra moderati e populisti. La magia americana sta nel mescolare nei due schieramenti queste tendenze, includendo invece che escludendo. Poi in realtà ha vinto il leader più radicale coperto dal centrista Bill Clinton, mentre ha perso il moderato coperto dal radicale Paul Ryan. Ora si parla di supremazia permanente dei democratici perché con giovani e ispanici diventano imbattibili. Osservazioni analoghe si facevano sul Gop dopo il voto del 2004. Oggi per errori repubblicani sull’immigrazione e per la forza inclusiva di un presidente “nero” gli ispanici si sono schierati con i democratici, ma per esempio sulla questione dei “princìpi non negoziabili” l’accodarsi di settori cattolici alle secolarizzazioni più liberal potrebbe non durare. Lodovico Festa opo il | | 21 novembre 2012 | 3 SOMMARIO ROMPETE QUEL RECINTO LA SETTIMANA Foglietto Lodovico Festa...................................3 14 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr | anno 18 | numero 46 | 21 noVemBre 2012 Non sono d’accordo Oscar Giannino.............................. 13 anno 18 | numero 46 | 21 noVemBre 2012 | 2,00 settimanale diretto da luigi amicone Boris Godunov Renato Farina.................................. 21 La recessione dell’io Mamma Oca Annalena Valenti..................... 55 Non interverrò, non avrò, non farò. La ritirata della nostra politica rispecchia la solitudine dell’uomo moderno, tutto intento a sottolineare una diversità, cioè a ingigantire la propria piccolezza. Manifesto per un nuovo spazio di condivisione. Dove anche i più piccoli fatterelli siano segni di grandi cose BOMBE SU FinMEccanica attaccO al cUOrE tEcnOlOgicO-indUStrialE dEllO StatO. la controinchiesta di temPi | Attacco al cuore tecnologico industriale dello Stato. L’inchiesta di Tempi | 21 novembre 2012 | 7 Il recinto. L’io in gabbia La ritirata della nostra politica rispecchia la solitudine dell’uomo. Manifesto per uno spazio di condivisione. Dove anche i più piccoli fatterelli siano segni di grandi cose Annalisa Teggi..............................................................................................................................................................................................................................6 14 INTERNI Le nuove lettere di Berlicche..................................................... 35 Dall’alto, in senso orario: Lula, ex presidente brasiliano; il terrorista Cesare Battisti, a cui il Brasile ha concesso asilo politico; l’ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola; Giuseppe Orsi, ad e presidente di Finmeccanica Attacco a Finmeccanica C e l’avevano quasi fatta. Alla fine di giugno era toccato al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola scendere a Brasilia per riannodare i fili del discorso col suo omologo brasiliano, Celso Amorim. E che discorso: in ballo c’era la gara per fornire alla marina brasiliana cinque cacciatorpediniere/fregate lanciamissili da 6.000 tonnellate, altrettante corvette/pattugliatori da 1.800 tonnel- late e una grande nave rifornitrice. Un programma che non riguarda solo la realizzazione delle navi ma anche gli allestimenti, l’elettronica e gli armamenti. Una commessa da 5 miliardi di euro che fa gola anche a francesi, tedeschi, britannici, spagnoli, sudcoreani, eccetera. Negli stessi giorni anche l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, l’azienda predestinata a costruire le navi in caso di vittoria dell’offerta italiana, era nel paese sudamericano a ritessere la tela con funzionari del ministero della Difesa brasiliano, in particolare con l’ex presidente del Partito dei lavoratori (quello del presidente Dilma Rousseff e del suo predecessore Lula) Josè Genoino. Poi il 18-20 settembre è stata la volta di Corrado Passera, il ministro dell’Industria, di recarsi in Brasile ufficialmente per trattare accordi industriali a largo raggio, ma senza perdere di vista l’obiettivo numero uno di restaurare il primato italiano nell’operazione corvette e cacciatorpediniere. Le cose sembravano rimettersi per il meglio quando… patatrac! Il 23-24 ottobre arrivano sui quotidiani verbali di interrogatori rilasciati ai Pm di Napoli quasi un anno prima (novembre 2011) da Lorenzo Foto: AP/LaPresse Indagine su quella strana forma di autolesionismo all’italiana che minaccia il cuore industriale del nostro paese. Così, grazie all’azione congiunta di procure e quotidiani, rischiamo di perdere un affare da cinque miliardi. A vantaggio dei francesi | 21 novembre 2012 | Borgogni, ex responsabile delle Relazioni istituzionali di Finmeccanica, indagato sin dall’inizio del 2011 con accuse di frode fiscale e finanziamento illecito ai partiti. Già ad aprile di quest’anno erano trapelate dichiarazioni pirotecniche da sue deposizioni. Borgogni aveva accusato il da poco presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi di aver ricevuto sei auto Maserati da aziende fornitrici della società e Comunione e Liberazione di essere destinataria di dazioni di denaro. Stavolta all’ex dirigente di Finmeccanica è attribuita la denuncia di una tangente di ben 550 milioni di euro (sarebbe una delle più grosse di tutta la storia mondiale delle commesse militari) sull’affare delle famose fregate di Fincantieri da vendere al Brasile, e il coinvolgimento dell’ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, indicato come colui che avrebbe sollecitato la dazione di denaro, pari all’11 per cento del valore della transazione. Il nome di Scajola è accompagnato da altri, italiani e brasiliani, fra i quali spicca quello dell’ex ministro della Difesa brasiliano Nelson Jobim. L’affare, che sarebbe la salvezza per una Fincantieri in difficoltà e un successo di portata storica per l’industria della difesa italiana, torna in alto mare. Forse definitivamente. Qualcuno avverte un senso di dejà vu. Sulla Stampa esce uno strano articolo incentrato su dichiarazioni di “collaboratori di Jobim”, i quali non si limitano a smentire di essere coinvolti in storie di tangenti, ma ironizzano sull’apparente autolesionismo italia- | no, asserendo che il contratto «era praticamente cosa fatta, mentre ora il vostro paese può attendere il 2040 per chiudere un affare che, invece, ora appare oramai quasi chiuso a vantaggio della Francia». La Francia, già, la Francia… È da anni che va avanti il braccio di ferro fra italiani e francesi per la faraonica commessa della marina brasiliana. Di qua Fincantieri e Finmeccanica, di là la Dcns. I primi sembrano essere avvantaggiati per i prezzi migliori a parità di qualità. Finché nel marzo 2007 succede una strana cosa: Cesare Battisti, terrorista latitante dal 2004 fuggito dalla Francia dove viveva da molti anni alla vigilia della sentenza del Consiglio di Stato francese che lo avrebbe dichiarato estradabile in Italia, riappare in pubblico sulla spiaggia di Copacabana a | | 21 novembre 2012 | 15 Copertina. Bombe su Finmeccanica Così il fango mediatico penalizza l’azienda nelle gare per gli appalti internazionali. A vantaggio dei francesi Rodolfo Casadei......................................................................................................................................................................................................14 Carceri. Silvia muore a San Vittore Renato Farina..............................................................................................................................................................................................................18 22 ESTERI Barack Obama è il 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America, eletto per la prima volta nel novembre 2008. Alle presidenziali del 2012 ha battuto lo sfidante repubblicano Mitt Romney Le politiche di Obama hanno modificato l’intera società. Lo Stato pesante non spaventa più. «Se non torniamo a scommettere sul talento dei singoli, addio terra delle opportunità e della libertà». I repubblicani analizzano la sconfitta da Washington Dc Maria Claudia Ferragni I l giorno dopo la sconfitta di Mitt Romney e l’inizio del secondo mandato presidenziale di Barack Obama, a Washington la galassia conservatrice si interroga sulla sconfitta e riparte dai suoi fondamenti. La grinta e la voglia di lottare per la libertà non mancano, ma è certo che per ripartire col piede giusto qualcosa deve cambiare perché, comunque lo si voglia analizzare, c’è un dato di fatto: il paese non è più come prima. Oltre tre anni e mezzo di lotte con i Tea Party da una parte e il più recente movimento Occupy Wall Street dall’altra hanno prodotto sommovimenti di diversa natura: a favore della riduzione del peso dello Stato alla Camera dei Rappresentanti e a livello di governi locali per i primi, a sostegno delle politiche neo-assistenzialiste e fortemente regolatorie di Obama per i secondi. La prima cosa che salta Foto: AP/LaPresse Il sogno americano e la realtà | 21 novembre 2012 | agli occhi leggendo i dati che si riferiscono agli exit poll elaborati da Fox News, è che l’elettorato dei due partiti è spaccato: il voto dei giovani (il 60 per cento nella fascia d’età 18-29 anni e il 52 di quella i 30-44 anni), delle minoranze afro-americana (98), ispanica (71), asiatica (73) e delle donne (55 per cento del totale laddove gli elettori di sesso femminile sono il 53 per cento) è saldamente orientato a favore di Obama. Inoltre anche il 50 per cento dei cattolici e il 73 degli ebrei ha votato il presidente uscente; a votare Romney è stata la maggioranza dei bianchi (59 per cento) e degli uomini (45 per cento su un totale del 47 dell’elettorato). I dati fanno pensare che almeno la metà degli americani non disdegna più le politiche obamiane di stampo europeo e non è minimamente preoccupata del debito pubblico schizzato alle stelle. È come se il tradizionale sogno americano basato su libertà individuale, gover- no al minimo, bassa leva fiscale e libertà d’impresa inizi a essere solo un ricordo del passato. Inoltre, i think-tank di area conservatrice e libertaria si interrogano sull’efficacia del loro lavoro a favore del libero mercato e su quello che succederà ora al partito repubblicano e alle sue politiche. Tempi ha cercato di avere una panoramica della situazione, ascoltando diverse voci. Le battaglie condivise Uno dei loro più attivi e influenti esponenti per ciò che concerne le politiche fiscali, Grover Norquist, presidente di Americans for Tax Reform, si dichiara assolutamente convinto che i risultati del voto, in particolare alla Camera dei Rappresentanti e nei singoli Stati, dimostrano che gli americani sono a favore delle politiche di diminuzione della spesa pubblica. Quindi, «nonostante la sconfitta di Romney, le battaglie conservatri- | ci sono condivise dalla maggioranza del popolo americano e all’interno del partito non vi è una vera spaccatura fra conservatori (più inclini a concessioni alla spesa pubblica come per il rafforzamento della difesa) e i libertari (che vorrebbero lo stato fuori dalla vita del singolo). Per quanto concerne, invece, i temi dell’immigrazione cari alle minoranze, i repubblicani devono senz’altro cambiare registro e affrontarli in modo più costruttivo». Dan Mitchell, senior fellow del libertario Cato Institute, invece, sostiene che «il fatto che abbia vinto Obama e non Romney cambia poco: il candidato repubblicano non è poi così diverso da quello democratico. Non è a favore dello Stato minimo e non ha quasi mai parlato della riforma della spesa pubblica; quando era governatore del Massachusetts ha approvato una legge di riforma del sistema sanitario molto simile all’Obamacare. La vera riforma dovrebbe avvenire, | | 21 novembre 2012 | 23 Stati Uniti. I repubblicani dopo la sconfitta «Se non torniamo a scommettere sul talento dei singoli, possiamo dire addio alla terra delle opportunità» Maria Claudia Ferragni.......................................................................................................................................................................22 Cina. Quanto è lontana la libertà Leone Grotti................................................................................................................................................................................................................... 30 36 cultura riti mondani È quasi un peccato leggerlo CULTURA recenSIre I GIornalI Il blog di antonio Gurrado Su tempi.it antonio Gurrado gestisce Qwerty, il blog che recensisce i giornali. Finora ha analizzato iL, teleSette, il Secolo d’italia, Sportweek, la Provincia Pavese, il tirreno, Panorama, l’edizione francese di repubblica, l’adige, tV Sorrisi e Canzoni, il Corriere della Sera, L’Europeo e il Guerin Sportivo antonio Gurrado ha spulciato il più liturgico dei quotidiani italiani e ha scoperto che è come sedersi in chiesa. Lo si fa un po’ perché ci si crede, un po’ perché non si ascolta, un po’ per tacitare la coscienza, un po’ per farsi vedere di Altan e Bucchi rasentano l’arte, le foto bucano la pagina, la carta è quasi serica, scrive il il formato consente di piegare il quotidiafondatore Eugenio Scalfari no nella sacca della giacca di velluto o nelnel tentativo di parodiare il lo zainetto finto-povero lasciando sempre linguaggio di Beppe Grillo, o forse di ripro- in bella evidenza la testata. Sembra fatto durlo, nel consueto editoriale/sermone sul- apposta per non essere letto. I suoi articoli la prima pagina de la Repubblica di dome- vanno dunque considerati per quello che nica 4 novembre. Sottoposti a un’attenta sono, ossia un riempitivo all’interno di un lettura del testo, gli adepti del quotidia- progetto editoriale più vasto in cui l’aura no cult si saranno distinti in tre catego- conta più dei temi, la testata più dei titorie: quelli che sono rimasti scioccati alle li e la firma più del contenuto. Hanno la parole inconsulte del Fondatore, un po’ stessa portata delle omelie domenicali, che come se le avesse pronunziate dal pulpi- possono anche riuscire bene ma non decito un prete con la sindrome di Tourette; dono del valore di ciò che le contiene – e, quelli che sono rimasti scioccati a scoprire se si dovesse giudicare il cattolicesimo dalche per un qualche motivo l’editoriale fos- le prediche, staremmo freschi. Repubblica se lungo la metà del solito; quelli che han- è un giornale liturgico che vive di riti crino continuato ad annuire con aria grave stallizzati e di gesti calibrati (come la stretsenza avvedersi del turpiloquio. La lettu- ta di mano di Ezio Mauro ai redattori più ra di Repubblica è infatti un atto sempre importanti all’inizio delle riunioni); l’edipiù simile alla distratta presenza fra i ban- toriale domenicale del Fondatore ne costichi di una chiesa: lo si fa un po’ perché ci tuisce il vertice ciclico, la nota dominansi crede confusamente, un po’ perché non te che tutto racchiude in sé, il rassicuransi ascolta, un po’ per tacitare la coscienza, te coperchio che garantisce dell’acquisto a scatola chiusa di tutto il calderone. un po’ perché bisogna farsi vedere. Repubblica, intendiamoci, è il quotidiano più Sembra fatto apposta per non essere letto. bello d’Italia: i colori sono I suoi articoli vanno dunque considerati raffinati, l’impaginazioper quello che sono, ossia un riempitivo ne delle sezioni culturali all’interno di un progetto editoriale più vasto è alto design, le vignette di antonio Gurrado «C 36 azzo, coglioni e vaffa», | 21 novembre 2012 | Per questo svegliarsi in una pigra e grigia domenica mattina e trovare scritto “cazzo, coglioni e vaffa” in prima pagina è scioccante: non per le parolacce in sé, peraltro nascoste fra parentesi, ma perché esse danno uno scossone al lettore distratto e assuefatto; lo spingono a sfregiare il velo di Maya iniziando a leggere Repubblica come se fosse un giornale vero, ossia per quello che c’è scritto, per trarne contenuti senza forma. Le sorprese non mancano. Ad esempio, a pagina 3 Michael R. Bloomberg (sindaco di New York, la città dove cancellano le maratone senza rimborsare le iscrizioni) s’imbarca in arditi sillogismi per spiegare che, nonostante che non ci sia motivo di credere che Sandy sia dipesa dal riscaldamento globale, è necessario appoggiare Obama in ragione del suo pluriennale impegno contro il riscaldamento globale, a seguito del quale impegno è infatti arrivata Sandy. Su qualsiasi quotidiano un ragionamento così cristallino sarebbe stato esposto alle pernacchie del lettore neutrale, ma non su Repubblica dov’è corazzato dall’equilibrata scelta di farlo iniziare in prima pagina sotto una foto trionfale di Obama (vestito con la stessa camicia di Gianni Riotta) e di fianco a un pezzo di Joseph E. Stiglitz in cui si asserisce che è necessario che gli americani votino Obama perché «il numero dei non americani favorevole alla sua rielezione è ne dedicata un’intera pagina tutta rivolschiacciante rispetto a chi vorrebbe che a ta all’allisciamento dell’immaginario del vincere fosse il suo sfidante». target di Repubblica: il pisano Marco Malvaldi preferisce contaminarsi coi livorneAstenersi provinciali si piuttosto che «pagare auto blu a FioD’altra parte, chi si sognerebbe di criti- rito» (che non è né pisano né livornese), care Bloomberg e Stiglitz una volta che il tarantino Giancarlo De Cataldo plauvenissero citati, con grande autorità e de alla fusione con Brindisi così da poter competenza, dai lettori più attenti nel «lottare insieme per lavoro e ambiente» corso del pranzo domenicale? Non ci rife- (perché evidentemente separati non ne riamo alle loro opinioni ma ai loro nomi. vale la pena), Luca Bottura rivendica che Repubblica offre loro validi sostituti ana- «la diversità è la nostra ricchezza» (ma a grafici; le stesse idee, sostenute da Gian ben guardare sta parlando delle ricette Luigi Scabbia o da Giacomo Frangiflutti dei tortellini), l’erudito Umberto Eco non (pesco nomi a caso dalle firme delle let- batte ciglio di fronte al miscuglio tra Alestere al quotidiano), suonerebbero se non sandria e Asti «tanto io parlo entrambi i meno credibili di sicuro più criticabi- dialetti» (e quindi io, che parlo inglese e li. Basta invece che si chieda: «Avete let- francese, posso dirmi favorevole all’accorto Bloomberg e Stiglitz?», e tutti auto- pamento dell’Italia a Inghilterra e Franmaticamente danno loro ragione al solo cia). Massimo Carlotto si oppone invece scopo di non fare la figura dei provin- alla fusione di Padova intellettuale e filociali. Mica per niente Michele Serra, in operaia con «la Treviso della Lega»: è noto apertura de “L’amaca” dello stesso gior- infatti che la miglior maniera per inseno, spara: «Non potrei essere provincia- gnare ai leghisti i benefici dell’integraziole neanche se lo volessi: non sarei credi- ne multiculturale è isolarli in un angolibile». Lettori e autori di Repubblica tutto no con Giancarlo Gentilini. possono essere meno che provinciali e infatti venerIl formato consente di piegare il quotidiano dì 2 alle province in bilinella sacca della giacca di velluto co, quelle in cui l’accorpao nello zainetto finto-povero lasciando mento potrebbe comporsempre in bella evidenza la testata tare la guerra civile, vie- | I lettori di Repubblica sono così lontani da ogni provincialismo che sembrano essere i maggiori beneficiari del taglio delle province imposto dal governo, a eccezione degli alunni delle terze elementari che dovranno impararne a memoria molte di meno. Chissà se questo non contrari Corrado Augias, che sabato 3 tuona dalla sua tribuna contro «quei genitori che assistono passivi al precoce corrompimento intellettuale dei loro figli» in risposta a una signora che sta valutando se iscrivere la sua frugoletta alla Deutsche Schule perché in quella italiana mancano le lavagne multimediali e ci sono suore che parlano male dell’aborto. Augias d’altronde gestisce le pr di Repubblica con i lettori e far finire una propria lettera nel suo box grigio equivale a un cavalierato, talché si crea una sorta di sindrome di Stoccolma per la quale i lettori cercano di assecondare Augias e Augias cerca di assecondare i lettori. Memorabile la lettera di martedì 30 ottobre, in cui un tale Paolo Lupo e Augias conversano amabilmente di Berlusconi senza nominarlo, come due amici sorpresi sul treno a chiacchierare di un terzo: lo evocano come colui che «ha rubato il sogno di una generazione onesta», colui che «ha cambiato la percezione del denaro», «uomo furente e spaventato», «attore consumato». Quando si tratta di Berlusconi, l’in| | 21 novembre 2012 | 37 Repubblica. Recensire il più liturgico dei giornali Antonio Gurrado..................................................................................................................................................................................................36 Storia. Il sangue (cancellato) dei vincitori Roberto Festorazzi....................................................................................................................................................................................... 42 La Fenice. Il coraggio di cambiare musica Laura Borselli.............................................................................................................................................................................................................48 52 L’ITALIA CHELAVORA L’Italia che lavora Una scelta di campo Alato,ilnegozioeFedericoDendena, responsabiledell’areacommerciale. Sopraesotto,lacascinaSantaMarta aZibidoSanGiacomo(Milano) Tutto è iniziato con l’idea di “salvare” le terre del Parco Sud di Milano. Poi sono arrivati i primi raccolti, il negozio, l’allevamento dei vitelli e il maneggio. Storia della cascina Santa Marta e di una occasione che è diventata impresa U una certa dose di coraggio. Serve questo per accettare la proposta di tornare a lavorare nei campi, far fruttare la terra, sudare sotto il sole cocente per far crescere una piantina. È così che è nata la Cooperativa agricola Santa Marta. Da una intuizione, una delle tante, di don Luigi Giussani: per salvaguardare i monaci benedettini della Cascinazza da una eventuale speculazione edilizia futura, occorreva acquistare i terreni intorno al monastero, una cascina e tornare a lavorare la terra. Non solo, perché l’idea era anche quella di dar vita a un luogo pronto ad aiutare chiunque fosse in cerca di aiuto. Emilio è stato il primo a imbarcarsi nell’avventura che diverrà la Cooperativa Santa Marta, che prende il nome dall’omonima cascina situata nel Parco Sud di Milano, a Zibido San Giacomo. Il casale non era abbandonato, ad abitarlo era la famiglia Binda Beschi, ben lieta di accogliere qualcuno in quell’edificio enorme, e felice di poter condividere con altre persone la fatica del lavoro. Fino a quel momento si coltivavano riso e mais, ma grazie all’arrivo dei nuovi inquilini e al loro dinamismo, il patrimonio della tradizione agricola sarebbe tornato a vivere nel suo splendore, seguendo la ricetta degli antichi valori. 52 miltà, pazienza, sacrificio e | 21 novembre 2012 | Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano........................ 63 Diario Marina Corradi............................66 RUBRICHE Green Estate.........................................54 Per Piacere.............................................. 57 Mobilità 2000.................................. 59 Lettere al direttore................. 62 Taz&Bao..................................................... 64 DOPO IL VOTO ESTERI 22 Sport über alles Fred Perri................................................. 62 COPERTINA INTERNI 14 Post Apocalypto Aldo Trento........................................ 60 | È il 1996 quando iniziano i primi lavori di ristrutturazione. La corte è uno dei tipici insediamenti rurali che da sempre popolano la pianura Padana. Ad accogliere il visitatore, quando arriva, un’antica torre merlata del Settecento. Oggi, dopo sedici anni, ad abitare la cascina Santa Marta ci sono undici uomini e dieci donne dell’associazione laicale Memores Domini, otto famiglie con relativa prole e don Gianni Calchi Novati: in tutto una sessantina di persone. E i lavori di rinnovamento non sono ancora terminati. Dalla coltivazione di riso e mais si passa a produrre anche frutta e verdura. L’idea è di Gianni: è da questo momento che l’azienda familiare si trasforma in una vera e propria cooperativa. Si riduce la superficie della coltivazione di massa e si iniziano a piantare frutta e ortaggi di vario tipo e per intensificare i raccolti si costruiscono le prime serre. Nel 2002 entra in società Federico. Viene da Crema, ha un diploma in ragioneria, dopo le superiori ha frequentato una scuola di pasticceria. E fino a quel momento si era divertito a sfornare torte e pasticcini. Niente a che vedere col lavoro dell’agricoltore. Arare, irrigare, seminare e trebbiare non lo aveva mai fatto. «Ho cominciato da zero. Me lo hanno proposto e ho detto di sì», dice sorridendo. «Mi occupo principalmente della parte amministrativa e commerciale, ma se bisogna andare nei campi non mi tiro indietro; in questo lavoro bisogna essere umili: quello che serve bisogna farlo senza troppi programmi perché quelli sono i primi a essere stravolti. Basta una grandinata o un mese di siccità e il raccolto va in fumo. Gli imprevisti tra i campi sono sempre dietro l’angolo. Quest’anno, ad esempio, abbiamo piantato gli spinaci ma per un motivo o per un altro non sono cresciuti come pensavamo e quelli che possiamo vendere sono davvero pochi». Di lavoro ce n’è sempre stato tanto in cascina, ma «Inquestolavorobisognaessereumili. Federico la sua busta paga Bastaunagrandinataounmesedisiccità l’ha dovuta inventare: «Ero eilraccoltovainfumo.Gliimprevisti contento della vita che avevo iniziato a fare, ma per traicampisonosempredietrol’angolo» trovare i soldi del mio stipendio bisognava per forza aumentare i ricavi della Cooperativa. Così ho pensato a un piccolo negozio dove vendere i nostri prodotti. Grazie al passaparola e a qualche pubblicità ci siamo fatti conoscere, poi sono stati gli stessi clienti a chiedere prodotti sempre diversi: ortaggi, frutta, riso arborio, carnaroli, integrale, venere». Nel giugno 2011 il salto di qualità con un punto vendita tutto nuovo, premiato dal Club di Papillon come migliore bottega del Gusto d’Italia all’interno della rassegna enogastronomica di Golosaria. Ristrutturando locali preesistenti è nato l’attuale negozio che conserva travi e mattoni a vista, dove oltre ai prodotti della cascina si possono trovare specialità tipiche e delicatezze gastronomiche di altissima qualità: la pasta Makaira fatta con orzo e farro, la birra dei monaci della Cascinazza, l’olio d’oliva toscano, il salame artigianale cremasco, i formaggi di Marco Vaghi – uno dei migliori affinatori d’Italia –, vini doc dell’Oltrepò Pavese. E non è finita qui perché, da sette anni, la Cooperativa propone ad aziende e privati la possibilità di acquistare ceste gastronomiche di diverse grandezze per i regali natalizi. Il sogno di domani E sempre dei clienti è la richiesta di poter acquistare carne di animali cresciuti e nutriti da persone fidate. «Oggi, su ordinazione, recuperiamo i tagli richiesti. Ci appoggiamo all’azienda agricola di Alseno, in provincia di Piacenza; lì compriamo alcuni vitelli che, per circa due mesi, portiamo all’ingrasso qui da noi, poi li facciamo macellare. E il cliente è contento perché sa di potersi fidare». Fuori dalla corte è stato costruito il magazzino e, dal giugno 2010, un maneggio con dieci cavalli: lezioni di equitazione, volteggio e riabilitazione equestre, sono solo alcune delle offerte. Il territorio intorno alla cascina è perfetto per organizzare passeggiate a cavallo: circondati da una natura incontaminata si possono incontrare ghiri, tassi, faine, volpi, conigli selvatici, donnole e lepri. Tra gli uccelli si possono osservare l’airone, il picchio, il cuculo, la cinciallegra, l’airone rosso, la cicogna bianca, il germano reale, la gallinella d’acqua, il martin pescatore e la poiana. Quando l’acqua dalle risaie si ritira, le strade e i margini dei fossati si ricoprono di gamberi d’acqua dolce e con un po’ di fortuna si possono vedere anche i gamberi rossi della Louisiana. «Organizziamo visite guidate dell’azienda e del territorio circostante, è un luogo ideale per le scolaresche. È impressionante vedere le facce dei bambini che si stupiscono delle cose più normali. Ti fanno domande incredibili: “Perché la fragola non è rossa?”. Semplice, perché non è ancora matura. Per noi è tutto normale, ma di fronte ai loro occhi non puoi non sorprenderti del loro stupore. E così anche noi torniamo a non dare per scontato nulla». Il prossimo obiettivo? «Aprire un punto ristoro per dare la possibilità a chi ci fa visita di degustare i nostri prodotti. E credo proprio che nel giro di due anni riusciremo a inaugurarlo». DanieleGuarneri | | 21 novembre 2012 | 53 Vivere in cascina. Ritorno in campagna I campi, il negozio, l’allevamento e il maneggio. Storia del casale di Santa Marta, della sua Cooperativa e di una scelta di vita che è diventata impresa Daniele Guarneri...................................................................................................................................................................................................52 Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 18 – N. 46 dal 15 al 21 novembre 2012 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli, Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Benedetta Frigerio, Massimo Giardina, Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Elisabetta Longo, Pietro Piccinini, Chiara Rizzo, Chiara Sirianni SEGRETERIA DI REDAZIONE: Elisabetta Iuliano DIRETTORE EDITORIALE: Samuele Sanvito PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Roto2000 S.p.A., Via L. da Vinci, 18/20, Casarile (MI) DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione, 4 20154 Milano. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali). ROMPETE QUEL RECINTO La recessione dell’io Non interverrò, non avrò, non farò. La ritirata della nostra politica rispecchia la solitudine dell’uomo moderno, tutto intento a sottolineare una diversità, cioè a ingigantire la propria piccolezza. Manifesto per un nuovo spazio di condivisione. Dove anche i più piccoli fatterelli siano segni di grandi cose | | 21 novembre 2012 | 7 Q la Repubblica fotografava la sintesi della cronaca politica italiana in due pagine dai titoli meravigliosamente accordati su una medesima nota, indice del fatto che la cronaca è davvero ciò che accade, e che i fatti letteralmente parlano, al di là dei commenti sulle notizie. Ecco cosa campeggiava in neretto: come esordio una dichiarazione del premier Mario Monti in merito alle questioni sulla legge elettorale: «Non costringetemi a intervenire»; più sotto i nota bene di Franco Battiato, in merito alla sua carica di assessore alla cultura della regione Sicilia: «Non avrò né stipendio, né auto 8 ualche giorno fa il quotidiano | 21 novembre 2012 | | blu. Non chiamatemi assessore»; meno composto e riservato nella pagina a fianco il faccione di Beppe Grillo: «Non faremo le primarie»; sotto di lui a chiudere la sarabanda Matteo Renzi: «Se perdo non sarò ministro». Un sovraffolamento di non così fitto me lo ricordo solo nell’esordio del canto XIII dell’Inferno di Dante, quello che parla del suicida Pier delle Vigne. Dante comincia, appunto, quel canto seminando dei non a piene mani: descrive il pae- saggio al contrario, dicendo cosa non c’è. E così facendo il poeta ti mette già dentro la testa del suicida, scopre il suo nervo dolente e straziato, come a dire: tutto l’orizzonte attorno a me è diventato così opprimente e falso, invivibile, che l’unica possibilità rimasta per me era dire non a me stesso. E non appena Pier delle Vigne prende parola e parla di sé in prima persona si sente che è ancora intrappolato nello stretto recinto di quei pensieri che lo hanno spinto a negare la vita: ribadisce la sua granSe l’io gioca in difesa muore. Retrocediamo, ci de e instancabile dedizione al lavoro, ricorda l’inrincantucciamo in una gabbia fatta di piccoli vidia degli altri che s’inparticolarismi, credendo così di tutelare fiammò per distruggere il suo ben fare, portandolo la nostra persona, ma ottenendo l’opposto Foto: AP/LaPresse di Annalisa Teggi ROMPETE QUEL RECINTO PRIMALINEA Girando in bicicletta per la gran valle della piccola gente, la Bassa, Giovannino Guareschi vedeva grandi cose, dietro la cronaca minuta del suo Mondo piccolo (a sinistra, la piazza di Brescello) Foto: AP/LaPresse ma ottenendo l’esatto opposto. Quella che noi crediamo sia una lente d’ingrandimento, uno spazio di accresciuta autorevolezza, diventa invece una palizzata che ci chiude in un angusto recinto. a uno sdegno tale da diventare ingiusto contro se stesso. Quando l’io gioca in difesa muore. Più ingigantisce le rivendicazioni puntigliose (e magari giuste) sui fatti che lo riguardano più rimpicciolisce sé fino a sparire. Non c’è dubbio che questa tattica difensiva sia scelta come via più auspicabile in tempi di crisi come il nostro, perché ha la falsa apparenza di mostrarsi come più pragmatica di altre visioni più coraggiose. E infatti noi siamo in recessione. Non tanto e non solo nel senso economico, ma nel senso più propriamente umano. Retrocediamo, andiamo all’indietro a rincantucciarci in una piccola gabbia fatta di piccoli particolarismi personali, credendo così di tutelare e rafforzare la nostra persona, Il mio dolore, la mia prigione Mi è capitato di recente di trovarmi nella sala d’attesa di un ambulatorio medico, in compagnia di silenziosi sconosciuti che come me aspettavano di essere visitati; si trattava di un ambulatorio ortopedico e, dunque, per il tipo di patologie connesse (braccia e gambe ingessate, collari al collo) era evidente anche esteriormente il fatto che qualcosa di dolente ci accomunasse. Appeso alla parete di fronte a me c’era uno di quegli aforismi che – intuisco – dovrebbero servire ad addolcire l’atmosfera sempre implicitamente triste dell’ambulatorio, con eleganti lettere da libro di fiabe recitava così: «Non giudicare le mie azioni e le mie scelte, perché solo io ho attraversato il dolore che ha portato ad esse». Ecco che quando l’io si aggrappa a venerare la presupposta roccaforte dei propri particolarismi, in realtà si isola e si spegne. Perché quelle parole millantavano eroismo, ma dichiaravano solitudine. E, cosa ancora più grave, istigavano il pensiero di una solitudine che rimpicciolisce il vero e semplice orizzonte delle cose. La verità è che il mio dolore (o qualsiasi altro fatto) non mi parla solo del mio dolore. Ma se io innalzo il mio dolore particolare a unica e grande autorità capace di definire lo spessore della mia persona mi ritrovo in prigione, perché potrò ritagliarmi il mio spazio solo a forza di non, cioè arroccandomi alla mia diversità rispetto a qualsiasi tema di confronto comune. Il signor Chesterton, che amava i paradossi, diceva che dalla valle un uomo vede grandi cose, mentre da un picco vede solo cose piccole. È una disquisizione ottica di non poco conto. Solo in uno spazio di comune condivisione si danno alla vista cose grandi, anche riguardo a noi stessi. E, invece, ingigantendo la nostra piccolezza tutto attorno diventa più piccolo. Il mondo della politica sembra riflettere in pieno la trappola di questa visione distorta: non c’è più alcuna valle, ma solo picchi. Più i politici ci parlano in termini concreti e specifici, più siamo indotti a valutarli credibili. Niente paroloni ambiziosi, ma programmi strategicamente mirati a innalzare picchi partendo da piccoli bisogni per stanare, isolare e identificare gli infiniti sottogruppi di quella gran massa di gente che abita la valle dei moderati. La discesa di Obama tra il popolo Alcuni esperti che si occupano di semantica politica hanno snocciolato statistiche dettagliatissime sulle parole usate durante i tre dibattiti televisivi tra il neo rieletto presidente Barack Obama e il suo diretto avversario Mitt Romney. E la statistica, con il suo algido e analitico distacco, si è sorprendentemente resa conto di ciò che molti altri (opinionisti, professori e gente comune) non hanno visto a colpo d’occhio, cioè che i due diretti avversari erano d’accordo su molto. Sui verbi ad esempio, quelli più usati da entrambi sono stati gli stessi: do, have, get, say. Fare, avere, ottenere, dire. Ma anche su quelli meno usati erano d’accordo: believe (che è credere, nel senso affermativo di credere in qualcosa) è sperduto in un piccolo cantuccio. Guarda caso, poi, l’avverbio più usato è stato anch’esso il medesimo per entrambi: not. E il problema della negazione non è solo che è negativa, ma soprattutto che separa, distingue e isola. Però quando è stato il momento di rivolgersi alla nazione non più con l’occhio da cacciatore di uomini della classe media, bensì come presidente di tutti, Obama ha lasciato i picchi di gradimento di parole come affari, piccola impresa, tasse ed è sceso a valle. È ritornato nella grande spianata di un terreno che doveva indicare Chesterton diceva che dalla valle un uomo come comune all’intero e vede grandi cose, mentre da un picco vede variegato popolo americasolo cose piccole. Solo in uno spazio di comune no e lo ha fatto, stando in condivisione si danno alla vista cose grandi mezzo a loro a mostrare | | 21 novembre 2012 | 9 10 | 21 novembre 2012 | | La clamorosa evidenza di cui si accorge il cronista di provincia è che il chicco non si è mai sentito piccolo. Si è sempre sentito un seme che la vita con le sue imprevedibili annaffiate matura. Talvolta il chicco ha solo bisogno di una scampanata per ricordarselo. È così nella geografia dei piccoli paesi della Bassa: grandi campi, qualche agglomerato di case e, riconoscibile in mezzo ad esse, il campanile. Accade sempre qualcosa di clamoroso quando le campane si mettono in moto. Le campane di don Camillo Quella famosa scena che fa parte del film Don Camillo e l’onorevole Peppone in molti ce la ricordiamo. Don Camillo si accorge che le piccole schermaglie politiche a suon di slogan tipo «Lista Peppone, lista baffone» sono frecce a corta gittata. Sono uno scoppio che porta ciascuno a chiudersi nel proprio guscio, sia esso la chiesa o il palazzo del Comune. Invece, il seme inestirpabile dell’uomo è che funziona proprio come un campanile; se tiri le corde giuste si metterà a scampanare a più non posso. Oppure: se metti la musica giusta, si ricorderà qual è il vero canto della vita. E così, anziché schiacciare Peppone, don Camillo lo innesca: fa risuonare dal campanile le note de Il Piave mormorava durante il comizio del cittadino-lavoratore Peppone. Tanto basta. Il facinoroso si ricorda di essere stato un uomo di parte sì, ma come soldato al fronte. E si ricorda di aver dato tutto in nome dell’idea che vale la pena lanciare l’anima oltre l’ostacolo. Parla da combattente vero. Da operaio, verrebbe da attualizzare – cioè da uomo che si riconosce parte di una grande opera. n Segui “Tremende bazzecole”, il blog di Annalisa Teggi su tempi.it Foto: AP/LaPresse grandi cose: il discorTutti vogliono l’America. Se pure il modo di dire so pronunciato appesi è ridotto a una illusione di successo personale, na avuta conferma delricorda che toccando certe corde l’uomo ritrova la rielezione traboccava una incrollabile parte di sé che non è in declino di speranza. Fosse anche pura strategia di comunicazione importa meno del fatto che da pendentemente dai suoi personali picchi. sempre questa è l’unica strategia vincen- Dagli alti e bassi. Da crisi e rilancio. I pochi operai di Pomigliano si sentono davvero te. E questo vuol dir qualcosa. piccoli solo se si parla di loro in termini di La ricerca della felicità reintegro e mobilità: allora sì che sono 19 Gli uomini vogliono l’America. Per i più pedine spostate dal bianco e nero di granquesta espressione è un’illusoria frase fat- di scacchisti, abbiano essi il nome della ta, ma chiunque si ritrovi concretamente grande industria o dei grandi sindacati. L’errore politico più abominevole è investito della carica di presidente degli Stati Uniti non può aggirare quel gigan- quello di costruire picchi isolati che ci tesco monumento ingombrante che è la costringano a trattare noi stessi come Dichiarazione d’Indipendenza. Quella fac- cose piccole. Ma è sufficiente l’esperiencenda di non poco conto che riguarda za comune per frantumare questo erroil ritenere di per sé evidenti certe verità, re ottico. Se ne accorse quel grande giorcome il fatto «che tutti gli uomini sono nalista che intitolò Mondo piccolo i suoi stati creati uguali, che essi sono dotati dal racconti. Nessuno meglio di Giovannino loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, Guareschi sa cos’è la valle, la Bassa. Ne che fra questi ci sono la Vita, la Libertà e scriveva la cronaca avendo nel suo vocala ricerca della Felicità». Se anche il modo bolario – diceva egli stesso – non più di di dire «vuoi l’America» si è ridotto a pura duecento parole; e tra quelle parole ci si retorica o a una vana illusione di grandez- accorge che – statisticamente – spesso salza e successo personale, continua comun- tano fuori onestà, libertà, pietà, bontà, que a ribadire che toccando certe corde fede. Girando in bicicletta per la gran vall’uomo si ricorda che c’è una incrollabile le della piccola gente vedeva grandi cose, parte di sé che non è in recessione. Quel dietro piccoli fatti: «Cronista di provinmanifesto politico dichiara che la bandie- cia, son marinaio d’acqua dolce e costegra dell’uomo è fatta di strisce orizzontali gio solo le rive del mio torrente pur navicon in alto un ritaglio di stelle; un’ugua- gando a tutta velatura in un burrascoglianza che non appiattisce, ma che per- so mare di guai. Chiudono il mio orizmette di evidenziare la grande statura di zonte, turrito sbarramento, inviolabile a ogni uomo. Stando coi piedi nella propria me nocchiero di piccioletta barca, queste fetta di terra l’uomo si sente proteso ver- colonne d’Ercole che han nome “fatterelso l’alto, ogni piccola cosa – bella e brut- lo”, “fatto” e “fattaccio”, il solito eterno ta – lo ferisce con un bisogno di grandez- rosario della cronaca, che io anche stavolza che non è monomania, ma necessità di ta andrò lentamente sgranando cantando una comprensione totale e autentica. Indi- vita e miracoli d’ogni chicco». Da OlTRE CINQUaNT’aNNI laVORIamO PER la TUa SICUREZZa SUllE FERROVIE ITalIaNE GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t L’OBIETTORE SEGNALI FIN TROPPO CHIARI Una patrimoniale per il Monti bis? Piacerà a Pd e Udc, ma ci strozzerà di Oscar Giannino L Foto: AP/LaPresse Giosafat, nome che evoca la valle dove tutti dovremo trovarci per la conta dei NON SONO salvati e dei dannati. Monti ha deciso D’ACCORDO di onorare a suo modo la suggestione. Ha detto che una imposta patrimoniale non sarebbe poi la fine del mondo, c’è in molti paesi capitalisti. Il governo ci aveva pensato e ci pensa, ma il punto è avere un database preciso delle attività degli italiani, per non sbagliare la mira. Vastissimi echi all’esternazione del premier. Poi smentite dal portavoce di Palazzo Chigi, nel senso almeno che il governo non ci riserverebbe la sorpresina, anche se Monti pensa e ha detto quel che ha detto. Mah. Trovarsi Monti nella condizione di Berlusconi, che dice cose bombastiche sull’euro o su Alfano e poi le smentisce come nulla fosse, è certo una novità. Non piacevole, visto che Monti è apprezzato innanzitutto per aver ripristinato la credibilità dell’istituzione che ricopre. Ma al netto di questo a me sembra che le sue parole non siano affatto un lapsus né tanto meno una gaffe. Credo si possano invece leggere alla luce di tre diversi criteri. Il primo è politico, e guarda all’Europa. Il secondo è anch’esso politico, e guarda all’Italia. Il terzo è tecnico, e ammetto che mi lascia esterrefatto. Primo. Io credo che Monti al Financial Times – era quella la sede delle sue dichiarazioni – risponda innanzitutto pensando ai partner europei e ai mercati. E fa non bene, ma benissimo. Poiché la Grecia ha appena votato in Parlamento l’ennesima stangata ma ha bisogno di un’ulteriore iniezione di aiuti, e poiché per la Spagna dopo il pasticcetto della Bce l’aria sembra quella di traccheggiare per gli aiuti, mi sto convincendo che i tedeschi non siano dell’idea di vincolare l’Italia, prima delle politiche, chiedendo che anche Roma prenda aiuti e firmi condizioni. Credo che Angela Merkel prima delle elezioni nell’autunno 2013 non voglia esporsi alla scontata critica di aiutare anche l’Italia. La cosa intossicherebbe non poco la sua campagna elettorale. Ergo Monunedì era san È ovvio che se il premier non esclude di restare in sella in caso di “parlamento matto”, allora la disponibilità alla patrimioniale è un segnale di consenso agli schemi di governo visti in Sicilia ti, previdentemente, in caso lo spread italiano salga per il rischio di instabilità legato alle nostre prossime elezioni politiche, fa capire ai mercati e ai partner europei che ha ancora cartucce da sparare. E mica leggere! Secondo. C’è anche un fin troppo evidente messaggio che Monti lancia alla politica interna in tumultuosa evoluzione verso l’appuntamento elettorale. Il premier ha iniziato a modificare sostanzialmente il suo netto no al proseguimento dell’incarico. Solo due mesi fa in Consiglio dei ministri aveva detto che nessun ministro si doveva candidare alle politiche, altrimenti si doveva dimettere. Tre settimane fa la posizione è cambiata, il premier ha ammesso che candidature sono possibili, si augura solo che non siano troppo numerose né troppo connotate in un solo schieramento: ne soffrirebbe il rapporto con la sua eterogenea maggioranza. E anche nella risposta alla domanda reiterata se continuerebbe a fare il premier, Monti varia ormai le formule. Non è più un no senza condizioni. Per molti, Monti potrebbe iniziare a benedire da lontano ma non troppo quelle parti di politica e di società civile che invocano la continuità del suo governo. Vediamo per esempio cosa farà il 17 novembre all’iniziativa del manifesto per la Terza Repubblica sottoscritto da Italia Futura, Cisl, Acli e Sant’Egidio. È ovvio che se inizia a non escludere che in caso di parlamento matto, senza maggioranza politica, lui resti in sella alla testa di un governo di convergenza ma questa volta politico, allora la disponibilità alla patrimoniale è un chiarissimo segnale di benevolo consenso a schemi Pd-Udc come quelli visti in Sicilia, e che sembrano prepararsi in Lombardia. La patrimoniale è per loro, inutile girarci intorno. Il solito Stato che pensa solo alle sue casse Sin qui nessun problema, Mario Monti è pienamente legittimato a tutto questo. È sul merito della proposta che a me viene sinceramente da piangere. È vero che esistono paesi avanzati con imposte patrimoniali ordinarie. Anche l’Italia fa parte di quella schiera, visto che tra Imu e conto titoli e sovrimposte su auto e compagnia cantando l’attuale governo di patrimoniali ne ha introdotte per un pacco di miliardi di euro. Ma una patrimoniale ordinaria ha senso se si rimette mano al sistema fiscale, riequilibrando il prelievo in modo da esercitare nell’economia reale meno depredazione e sterminio d’impresa e lavoro. Purtroppo Monti ancora una volta non lo fa. La patrimoniale come ulteriore addendum al record di prelievo fiscale, quando siamo l’unico paese euroscassato che ha alzato sia le imposte dirette con le addizionali locali, sia quelle indirette con l’Iva e le accise, sia quelle patrimoniali, sarebbe solo un’ulteriore mossa recessiva. Lo Stato che pensa solo a se stesso, alle sue casse, e al suo raggelante potere di impedire crescita. No, non posso essere d’accordo né ora né mai, pur riconoscendo a Monti tutto il prestigio e la credibilità di cui giustamente gode. | | 21 novembre 2012 | 13 INTERNI COPERTINA Attacco a Finmeccanica Indagine su quella strana forma di autolesionismo all’italiana che minaccia il cuore industriale del nostro paese. Così, grazie all’azione congiunta di procure e quotidiani, rischiamo di perdere un affare da cinque miliardi. A vantaggio dei francesi C e l’avevano quasi fatta. Alla fine di giugno era toccato al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola scendere a Brasilia per riannodare i fili del discorso col suo omologo brasiliano, Celso Amorim. E che discorso: in ballo c’era la gara per fornire alla marina brasiliana cinque cacciatorpediniere/fregate lanciamissili da 6.000 tonnellate, altrettante corvette/pattugliatori da 1.800 tonnel- 14 | 21 novembre 2012 | | late e una grande nave rifornitrice. Un programma che non riguarda solo la realizzazione delle navi ma anche gli allestimenti, l’elettronica e gli armamenti. Una commessa da 5 miliardi di euro che fa gola anche a francesi, tedeschi, britannici, spagnoli, sudcoreani, eccetera. Negli stessi giorni anche l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, l’azienda predestinata a costruire le navi in caso di vittoria dell’offerta italiana, era nel paese sudamericano a ritessere la tela con funzionari del ministero della Difesa brasiliano, in particolare con l’ex presidente del Partito dei lavoratori (quello del presidente Dilma Rousseff e del suo predecessore Lula) Josè Genoino. Poi il 18-20 settembre è stata la volta di Corrado Passera, il ministro dell’Industria, di recarsi in Brasile ufficialmente per trattare accordi industriali a largo raggio, ma senza perdere di vista l’obiettivo numero uno di restaurare il primato italiano nell’operazione corvette e cacciatorpediniere. Le cose sembravano rimettersi per il meglio quando… patatrac! Il 23-24 ottobre arrivano sui quotidiani verbali di interrogatori rilasciati ai Pm di Napoli quasi un anno prima (novembre 2011) da Lorenzo Foto: AP/LaPresse Dall’alto, in senso orario: Lula, ex presidente brasiliano; il terrorista Cesare Battisti, a cui il Brasile ha concesso asilo politico; l’ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola; Giuseppe Orsi, ad e presidente di Finmeccanica Borgogni, ex responsabile delle Relazioni istituzionali di Finmeccanica, indagato sin dall’inizio del 2011 con accuse di frode fiscale e finanziamento illecito ai partiti. Già ad aprile di quest’anno erano trapelate dichiarazioni pirotecniche da sue deposizioni. Borgogni aveva accusato il da poco presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi di aver ricevuto sei auto Maserati da aziende fornitrici della società e Comunione e Liberazione di essere destinataria di dazioni di denaro. Stavolta all’ex dirigente di Finmeccanica è attribuita la denuncia di una tangente di ben 550 milioni di euro (sarebbe una delle più grosse di tutta la storia mondiale delle commesse militari) sull’affare delle famose fregate di Fincantieri da vendere al Brasile, e il coinvolgimento dell’ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, indicato come colui che avrebbe sollecitato la dazione di denaro, pari all’11 per cento del valore della transazione. Il nome di Scajola è accompagnato da altri, italiani e brasiliani, fra i quali spicca quello dell’ex ministro della Difesa brasiliano Nelson Jobim. L’affare, che sarebbe la salvezza per una Fincantieri in difficoltà e un successo di portata storica per l’industria della difesa italiana, torna in alto mare. Forse definitivamente. Qualcuno avverte un senso di dejà vu. Sulla Stampa esce uno strano articolo incentrato su dichiarazioni di “collaboratori di Jobim”, i quali non si limitano a smentire di essere coinvolti in storie di tangenti, ma ironizzano sull’apparente autolesionismo italia- no, asserendo che il contratto «era praticamente cosa fatta, mentre ora il vostro paese può attendere il 2040 per chiudere un affare che, invece, ora appare oramai quasi chiuso a vantaggio della Francia». La Francia, già, la Francia… È da anni che va avanti il braccio di ferro fra italiani e francesi per la faraonica commessa della marina brasiliana. Di qua Fincantieri e Finmeccanica, di là la Dcns. I primi sembrano essere avvantaggiati per i prezzi migliori a parità di qualità. Finché nel marzo 2007 succede una strana cosa: Cesare Battisti, terrorista latitante dal 2004 fuggito dalla Francia dove viveva da molti anni alla vigilia della sentenza del Consiglio di Stato francese che lo avrebbe dichiarato estradabile in Italia, riappare in pubblico sulla spiaggia di Copacabana a | | 21 novembre 2012 | 15 INTERNI COPERTINA La cura Orsi sta facendo effetto. Eppure non passa giorno senza che qualche partito o grande giornale non chiedano al governo l’azzeramento dei vertici di Finmeccanica Rio de Janeiro e viene arrestato. Chiede asilo politico e gli viene concesso il 13 gennaio 2009, contro il parere del Comitato nazionale per i rifugiati. Scende il gelo nei rapporti fra Italia e Brasile, e la trattativa per le fregate si arena. Provvidenzialmente per i francesi. Ma l’Italia non demorde: nell’aprile 2010, mentre pendono i vari ricorsi sul destino di Battisti, a Washington Lula e Berlusconi firmano un accordo di partnership strategica che prevede che alcune delle navi della famosa commessa vengano costruite in Brasile, a giugno scende a Brasilia il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto per un altro accordo firmato col ministro Amorim sempre relativo alle navi da costruire e tecnologie da trasferire. Ma il 31 dicembre dello stesso anno Lula rifiuta di firmare l’estradizione del terrorista, e i rapporti fra Italia e Brasile tornano in crisi. La campagna della stampa Insomma, in questa storia infinita della grande gara per l’ammodernamento della marina militare brasiliana succede sempre qualcosa che manda all’aria la trattativa con l’Italia, il paese che attraverso Fincantieri e Finmeccanica fa l’offerta migliore, e che rilancia le quotazioni della Francia, benché i servizi della Dcns, il campione nazionale, appaiano generalmente più costosi. Magari c’entra qualcosa il fatto che a fondarla sia stato il cardinal Richelieu nel lontano 1631. Magari c’entra la tendenza italiana all’autolesionismo. Finmeccanica è il secondo gruppo industriale italiano, il primo per contenuti di alta tecnologia. In Europa rappresenta il terzo più grande attore per fatturato del settore difesa. Nel 2005 aveva vinto la gara per la fornitura dell’elicottero presidenziale negli Stati Uniti, risultato poi annullato da Barack Obama nel 2009. L’anno scorso per la prima volta dopo anni il gruppo ha risentito della crisi e ha segnato ricavi inferiori all’anno precedente, attestandosi a 17,3 miliardi di euro, e un bilancio in perdita per 2,3 miliardi di euro. Nonostante le raffiche di inchieste giudiziarie che hanno continuato ad affliggerlo, le dimissioni del vecchio presidente e 16 | 21 novembre 2012 | | Nel 2005 Finmeccanica aveva vinto la gara per la fornitura dell’elicottero presidenziale negli Stati Uniti, risultato poi annullato da Barack Obama nel 2009. Alla nuova gara il gruppo italiano si ripresenterà con l’americana Northrop. Con buone probabilità di vittoria I NUMERI DEL COLOSSO Con la gestione Orsi i guadagni dell’azienda ritornano positivi La lenta risalita di Finmeccanica pare proprio essere cominciata con la trimestrale del 30 settembre scorso, presentata al Cda dell’8 novembre. I conti indicano un utile netto pari a 75 milioni di euro, in crescita di 50 milioni rispetto ai 25 milioni del terzo trimestre del 2011, e ricavi saliti dell’8 per cento a 4,1 miliardi di euro. A fine anno i ricavi dovrebbero essere più o meno la stessa cifra del 2011 (17,3 miliardi di euro), ma i guadagni al lordo di tasse e interessi (Ebita) dovrebbero tornare in territorio positivo rispetto a un anno fa, quando furono negativi per 2,3 miliardi di euro. Invece a fine 2012 è previsto un risultato operativo pari a circa 1 miliardo di euro. Resta elevato il livello del debito, che ha toccato i 4,8 miliardi a fine settembre per motivi legati alla stagionalità del business di Finmeccanica. Con l’ultima trimestrale l’importo del debito dovrebbe tornare grosso modo ai livelli di fine 2011. Il Gruppo da tempo ha deciso di vendere le attività nei settori dell’energia e dei trasporti (Ansaldo Energia, AnsaldoBreda e Ansaldo STS), lontane dal suo “core business”, per ridurre l’indebitamento, e sta cercando il momento e l’acquirente migliore per negoziare l’offerta più vantaggiosa. Il fatto che recentemente a Siemens si sia affiancato un altro aspirante acquirente (il Fondo strategico italiano) fa ben sperare. La ristrutturazione interna ha fatto passi avanti con la fusione fra Alenia e Aermacchi nel settore aeronautico e quella fra le tre Selex (Selex Galileo, Selex Elsag e Selex Sistemi integrati) nel settore aerospaziale. Finmeccanica ha conosciuto pure una flessione nel numero dei dipendenti, ma resta un gigante: gli addetti sono scesi dai 70.400 del 2011 ai 68.321 del 30 settembre 2012. Di questi 40 mila lavorano in Italia, e diventano 100 mila se si calcola l’indotto. Compromettere il futuro di un gruppo con questi numeri sarebbe un vero delitto. amministratore delegato (Pierfrancesco Guarguaglini, sostituito da Giuseppe Orsi prima come ad dal 4 maggio 2011 e poi come presidente dal successivo 1 dicembre), arresti di dirigenti, ex dirigenti o collaboratori, la perdurante crisi economica generale e i tagli nei bilanci per la difesa dei tre mercati di riferimento (Italia, Regno Unito e Stati Uniti), quest’anno il gruppo chiuderà prevedibilmente con la stessa cifra di ricavi dell’anno scorso, ma con un risultato operativo per 1,1 miliardi di euro. Dall’inizio dell’anno il gruppo ha guadagnato il 30 per cento in Borsa. Finmeccanica si presenterà insieme all’americana Northrop alla nuova gara, tutta obamiana, per il nuovo elicottero presidenziale, e molto probabilmente la rivincerà. Ha firmato con Israele un contratto per la fornitura di 30 aerei da addestramento. Ha vinto quest’anno due contratti Nato per sistemi di sicurezza informatici e per sistemi di sorveglianza ariaterra. Ha venduto 10 C 27J (aerei da trasporto tattici) all’Australia. Insomma, la cura Orsi sta facendo effetto. Eppure non passa giorno senza che qualche partito o qualche grande giornale non chiedano al governo Monti l’azzeramento dei vertici di Finmeccanica. Se l’esecutivo seguisse le indicazioni di editorialisti e Di Pietro vari, Finmeccanica diventerebbe l’unico grande gruppo mondiale della difesa e dell’aerospazio che in diciotto mesi cambia tre Foto: AP/LaPresse volte i suoi vertici: roba da barzelletta, da harakiri sui mercati mondiali. Quello dei manager e capitani d’industria della difesa tecnologicamente avanzata e dell’aerospazio è un mondo altamente selettivo, un club chiuso dove viene ammesso solo chi padroneggia perfettamente la materia, dalle conoscenze ingegneristiche alle logiche industriali. Eppure sul giornale della Confindustria, Il Sole 24 Ore, si possono leggere ipotesi stravaganti: «L’ambasciatore americano a Roma David Thorne potrebbe essere un ottimo presidente di Finmeccanica». Come se un esperto d’arte e brillante finanziere (questo è Thorne), per giunta forte portatore di interessi di un paese in cui hanno sede i principali competitor di Finmeccanica, potesse tranquillamente prendere il posto di un signore, Giuseppe Orsi, che da 40 anni opera nel settore dell’aeronautica e dell’aerospazio e che ha trasformato l’Agusta (di cui è stato direttore di marketing e ad) da produttore su licenza a uno dei più prestigiosi produttori in proprio mondiali e, dopo la fusione con Westland, nel fiore all’occhiello di Finmeccanica. Un ingegnere aeronautico cui la regina Elisabetta II ha conferito due anni fa l’onorificenza di “Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico”. Certo, il problema è la gragnuola di inchieste giudiziarie piovuta in due anni e mezzo su Finmeccanica e dintorni. Che sembra dare diritto all’approssimazione informativa. Quando in aprile arriva sui giornali la prima ondata di accuse di Borgogni che coinvolgono anche Orsi, il Corriere della Sera titola “Sei Maserati in cambio di appalti”. In realtà la procura di Napoli ha già appurato che si tratta di una bufala, che le sei Maserati facevano parte del prezzo pattuito per l’acquisto da parte di Fiat di un elicottero AW 129, e che possono confermarlo Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne, ma la notizia rimbalza per giorni nonostante l’immediata smentita di Finmeccanica. Nota bene: l’elicottero dell’Agusta va a sostituire un elicottero francese fino a quel momento utilizzato da Fiat. È simile la storia delle presunte consulenze di Finmeccanica all’ex moglie del ministro dell’Economia Vittorio Grilli: a settembre prima i quotidiani poi la trasmissione televisiva Servizio Pubblico danno la notizia che Orsi avrebbe dichiarato che era a conoscenza di consulenze assegnate dal gruppo alla signora; solo la pubblicazione quasi integrale di intercettazioni di un colloquio fra Orsi ed Ettore Gotti Tedeschi su Il Fatto del 5 novembre chiarirà che Orsi stava riferendo affermazioni fattegli da Alberto Nagel, l’ad di Mediobanca. Che un’attenta verifica dei contratti di consulenza dimostrerà non fondate. Strane coincidenze Quando si tratta di Finmeccanica, le stranezze si aggiungono alle stranezze: Orsi ha operato a livelli via via sempre più alti nel mondo dell’aeronautica e della dife- sa per 40 anni senza mai essere sfiorato da uno scandalo, ma questi improvvisamente si presentano quando diventa prima ad e poi presidente di Finmeccanica. E senza che nessuno faccia caso al particolare che Orsi viene accusato da un ex dirigente che lui ha di fatto costretto alle dimissioni per imputazioni per le quali poi lo stesso ha patteggiato. Massimo risalto alle accuse sulla presunta tangente da 10 milioni di euro che sarebbe stata pagata nell’affare dei 12 elicotteri venduti all’India nel 2010, quando Orsi era ancora ad di AgustaWestland, minimo risalto alle smentite indiane e alla conferma da parte indiana che la consegna della commessa andrà avanti come pattuito, coi primi elicotteri che dovrebbero essere consegnati nei prossimi due-tre mesi. Minimo risalto pure al fatto che nel passaggio dell’inchiesta da Napoli a Busto Arsizio Orsi non è più indagato per riciclaggio e finanziamento illecito ai partiti, ma solo per corruzione internazionale. Ma, così tanto per sapere, se agli indiani girassero troppo i cosiddetti e la gara vinta in India dall’AgustaWestland dovesse essere riaperta, chi è che potrebbe sperare di subentrare all’azienda del gruppo Finmeccanica? Beh, alla gara del 2010 partecipava Eurocopter, un’azienda che ha un fatturato di 5,4 miliardi di euro all’anno (Agusta arriva a 4 miliardi circa). E dove ha sede Eurocopter? Ha sede a Marignane, vicino a Marsiglia. Ma quante strane coincidenze. Rodolfo Casadei | | 21 novembre 2012 | 17 INTERNI LA TORTURA PREVENTIVA Uno scheletro sorridente muore a San Vittore Silvia sta in carcere, in custodia cautelare, malata di cancro, incapace di esprimersi. Ha già perso diciotto chili. Chissà per quanto resterà in vita. Di sicuro non può rimanere in cella. Com’è possibile una simile disumanità? «K alina! Kalina! Vieni Kalina ti cercano!». L’agente di polizia penitenziaria chiama ad alta voce, nella zona dove le detenute prendono l’aria a San Vittore. Nel cortiletto dipinto di verde per fingere il prato, forse, Silvia Kalina si alza da sotto il muro di cemento. Se ne stava accovacciata in mezzo alle altre, con una cartelletta blu in mano, ed è uno scheletro avvolta in qualcosa di grigio. Quanti anni avrà? Settanta, ottanta? Si avvicina e saputo che un deputato italiano è lì per lei, ha un bel sorriso, e da sotto i capelli bianchi spuntano due pezzi di smeraldo che sono gli occhi. In una intervista trasmessa da Radio Radicale, Marinella Colombo parlava di 18 | 21 novembre 2012 | | questa signora incarcerata (a proposito della Colombo e delle sue terribili vicende, conviene leggere il numero 45 di Tempi), e concludeva così: «Spero che qualcuno intervenga». Il giornalista Lanfranco Palazzolo rilanciava: «Spero che qualcuno ci ascolti». Eccomi, ore 13 circa di venerdì 9 novembre. La denuncia era chiara. Giace nel carcere milanese, in custodia cautelare, una signora malata di cancro, incapace di esprimersi, non ascoltata da nessuno. Com’è possibile una simile disumanità? C’entra qualcosa con la legge, con i diritti umani sulla cui base l’Europa si è messa tutta sotto la bandiera azzurra con dodici stelle? Premetto: la vicenda giuridica è confusa. Kalina è accusata di aver rapito la sua stessa figlia di 17 anni, è ritenuta parte di una specie di organizzazione che provvede a strappare alla patria tedesca (leggete il box), per conto di padri e madri che germanici non sono, i figli che a ogni costo lo Stato della Merkel impone restino sotto la bandiera di Berlino. In carcere il deputato non può parlare di questioni processuali con i reclusi, tanto più quando sono in attesa di Silvia parla tedesco, e io no. Nessuno tra le giudizio. Ma la salute, lo stabravissime agenti di polizia penitenziaria lo to della detenzione quello parla. Le uniche con cui dica due parole sono sì che si può e si deve esplole compagne Danuta, una polacca, e Veronica rare. E ad occhio nudo que- Foto: Marka di Renato Farina GENITORI IN LOTTA CON L’ENTE TEDESCO Lo Jugendamt gli ha tolto i figli ma per la giustizia italiana i rapitori sono loro Foto: Marka Ceed (Conseil européen des enfants du divorce) si definisce un’associazione di genitori e nonni «vittime di rapimenti internazionali di bambini», più in particolare della giustizia familiare tedesca. In Italia si è iniziato a parlarne nel luglio scorso, quando le indagini sul caso di Marinella Colombo – Tempi ne ha parlato nel numero 45 – hanno portato su richiesta della procura di Milano all’arresto di alcuni membri dell’associazione. Il Ceed è stato fondato dal francese Olivier Karrer, uno degli arrestati, a cui lo Jugendamt ha tolto il figlio di 4 anni. In questi anni ha denunciato gli abusi delle convenzioni europee operati dallo Jugendamt, l’ente statale tedesco che interviene nelle cause di divorzio tra genitori con figli minori, soprattutto se a separarsi sono coppie binazionali. Il Ceed, con petizioni e interrogazioni presentate al Parlamento europeo, accusa lo Jugendamt di anteporre le origini tedesche del bimbo al suo vero bene, facendo in modo che nessun minore lasci la Germania, che l’affido esclusivo non venga concesso al genitore straniero e ostacolando i suoi rapporti con il figlio. Le indagini milanesi, coordinate dal procuratore aggiunto Pietro Forno, sono iniziate nel marzo 2011 quando la Colombo è stata arrestata con l’accusa di sottrazione di minori. Secondo l’accusa stava per scappare con i suoi figli, Leonardo e Nicolò, in Libano. La procura si è basata su intercettazioni le cui traduzioni sono state contestate dagli avvocati della difesa. Quanto a Karrer, è accusato di aver ricevuto denaro dalla Colombo per organizzare la fuga. La prova? La testimonianza di una cittadina tedesca, Nicole Kaendler, che afferma sotto giuramento di non conoscere Marinella ma di aver avuto da lei un messaggio nel quale le dice che avrebbe pagato Karrer. La donna non ha mai mostrato questo messaggio, ma poco importa: Karrer e altre 3 persone sono in carcere. Stando all’ordinanza firmata dal gip Luigi Varanelli, il Ceed sarebbe un’associazione per delinquere «dotata di mezzi, denaro, appoggi logistici in diversi paesi europei ed extraeuropei, finalizzata a sottrarre, dietro compenso, una serie indeterminata di minori oggetto di contesa tra genitori tedeschi e genitori di diversa nazionalità». Il processo non è ancora iniziato ma ovviamente la stampa ha già emesso il suo verdetto: tutti criminali, non v’è altra soluzione che il carcere. Tra gli arrestati c’è anche Silvia Kalina, cittadina tedesca di origine russa, madre single di una ragazzina finita a sua volta nelle mani dello Jugendamt. Estradata in Italia, oggi si trova a San Vittore, in attesa del processo. Mentre un cancro la sta uccidendo. Daniele Guarneri sta donna non può stare lì. Le mettano un braccialetto elettronico, la chiudano in un ospedale: ma così è la morte vivente e temo presto non più vivente. Chiedo a Silvia come sta. Parla il tedesco, e io no. Non lo parla nessuno tra le bravissime agenti della polizia penitenziaria. Mastica un poco di inglese, e le uniche compagne con cui dica due parole sono una polacca che qualcosa di inglese sa, e si chiama Danuta, ma di italiano nulla (parla uno spagnolo scalcinato); e poi c’è Veronica, che qualche frasetta britannica sa tirarla fuori. Mi dicono che Silvia non ha 80 anni ma 55, e da 3 è ammalata di cancro. Le è stato asportato un seno, e le metastasi – a quanto dice la Kalina – si sono diffuse, ha subìto diverse operazioni («Sì sì, ha le cicatrici», dicono) e lei mostra il fegato, Sopra, le pagine del servizio che sul numero scorso di Tempi parla dello Jugendamt na era vecchia di quarant’anni, e l’avrebbe esposta troppo a lungo a raggi nocivi. Mi dice: «Sono stata visitata. La visita è durata trenta secondi». Ed è stata rimandata qui. Qualcuno la viene a trovare in prigione? «Nessuno. Verrebbe mia figlia, ma ha diciassette anni e dalla Germania non la lasciano uscire». È la figlia che avrebbe rapito a se stessa… Non afferro molte cose, e non sono certo medico. Lei mi sorride: è abituata a non essere capita da nessuno. Mi mostra la cartelletta blu, la apre. Ci sono esercizi elementari di lingua italiana, sta cercando di imparare. Io le tiro fuori un libretto per lei, è la versione tedesca di Chi prega si salva (edizioni 30 Giorni) con preghiere nella sua lingua e in latino, e la prefazione di Joseph Ratzinger. Allora mi bacia proprio sulla guancia, tra il riso contagioso delle detenute, specialmente di una ragazza che uscirà l’indomani. Ma poi un’altra signora rompe il clima di festa e piange. Mi domanda di fare qualcosa. È russa di San Pietroburgo, si chiama Oxana. Dovrebbe uscire presto dal carcere, e ha un bambino di tre anni in una comue mima anche ferite al cuore, ma non si nità. Lo ha avuto da un macellaio marcapisce se sono lacerazioni morali o a qual- chigiano, e dunque il piccolo è italiano. che muscolo, ma forse tutt’e due. «Ho per- Lei vorrebbe portarlo a casa in Russia, dai so diciotto chili da quando sono stata estra- genitori, hanno una casa dignitosa: imposdata in Italia», penso di capire. Mi segna su sibile. Il padre non vuole né madre né un foglio le date: 14 maggio 2012, arresta- figlio tra i piedi, ma nemmeno autorizza ta in Germania su ordine dei giudici italia- la loro partenza. Dice Oxana: «Mio Dio che ni con mandato di cattura europeo. Il 20 errore ho fatto». Non per quel che l’ha porluglio viene trasferita a Roma, il 31 luglio tata in cella, che io non so, ma per essersi a Milano. Avrà il processo a dicembre. Dice messa con quel macellaio, il quale in due che doveva essere sottoposta a esami, ma anni le ha spedito 500 euro per il bambinon ha accettato di farsi passare sotto i rag- no e basta così: «Non ci ama», dice. Scrive il gi dell’ospedale, sostenendo che la macchi- numero di telefono dell’uomo perché io lo convinca a dire di sì. Altre donne allora si Le è stato asportato un seno. Mi mostra avvicinano, e raccontano le il fegato, e mima anche ferite al cuore, stesse storie, ma le lacrime ma non si capisce se sono lacerazioni morali sono tutte diverse. E le agenti di polizia si commuovono. o a qualche muscolo, ma forse tutt’e due | | 21 novembre 2012 | 19 IL NOSTRO UOMO A PALAZZO TRASCINATO NELLA TEORIA DELLA TRATTIVA CON LA MAFIA Scalfaro mollato dagli ex amici nelle mani di Ingroia. Io non ci sto di Renato Farina Foto: AP/LaPresse P erché tutti hanno abbandonato Oscar Luigi Scalfaro nelle mani di Antonio Ingro- ia, senza dire almeno un “Non ci sto”? Almeno lei, procuratore Armando Spataro, che lo esaltò lealmente fino a ieri, commuovendosi alle lacrime quanBORIS GODUNOV do a Novate Milanese lo affiancò in una memorabile conferenza; almeno lei si alzi a gambe larghe e dica: no pasarán sul corpo del mio amico ed eroe… Spataro forza, intervenga, lei che si recò a casa sua per chiedergli consigli (me lo riferì Cossiga). Boris Godunov ha letto le 22 pagine della memoria con cui il procuratore aggiunto di Palermo e del Guatemala chiede al gip di procedere per delitti terribili, tipo “minaccia a corpo dello Stato”, contro Mannino, Dell’Utri, il generale Mori insieme con Totò Riina e altri di quella risma. La “scellerata trattativa” – a leggere bene – ha sì come esecutori i citati personaggi. Ma compare due volte, come immenso burattinaio, Scalfaro. Era lui, secondo Ingroia, a decidere di spostare ministri e capi del Dap per salvare dal carcere duro, il 41 bis, cen- Caselli titolò “La vera storia d’Italia” tinaia di boss. Naturalmente Ingroia non è sciocco, nasconde un la requisitoria contro Andreotti. Qui pochino la mano. Scrive: «Per completezza (!), si segnala il ruolo di siamo al sequel, ma forse non era concorrenti nel medesimo reato assunto da altri uomini delle istituzioni oggi deceduti. Ci si riferisce all’allora capo della Polizia Vin- previsto che la fiction del doppio cenzo Parisi ed al vicedirettore del Dap Francesco Di Maggio, che, Stato tirasse dentro un “eroe” agendo entrambi in stretto rapporto operativo con l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, contribuirono al deprecabile cedimento sul tema del 41 bis». C’è addirittura un capitolo intitolato “Il Colle”. Non lo titola “Scalfaro”, forse perché Oscar proprio come Ingroia amò definirsi “partigiano della Costituzione”, ma Scalfaro è pur sempre il «capo dello Stato che, come emerso da varie e convergenti deposizioni testimoniali, ebbe un ruolo decisivo negli avvicendamenti Scotti-Mancino e Martelli-Conso, e nella sostituzione di Nicolò Amato col duo Capriotti-Di Maggio, attraverso i quali seguì l’evoluzione delle vicende del 41 bis strettamente connesse all’offensiva stragista del 1993… allentamento sul fronte carcerario, con alcune significative mancate proroghe di regime ex 41 bis nei confronti di boss mafiosi di assoluto rango». Insomma, se ha ragione Ingroia, Scalfaro mentre era presidente della Repubblica ha commesso alto tradimento, ha attentato alla Costituzione vendendo la dignità della Repubblica a Cosa Nostra. Ingroia lo fa passare per scemotto (era secondo lui influenzato dal capo della Polizia Parisi), ma resta il ruolo fedifrago. Siamo alla puntata successiva a quella scritta da Gian Carlo Caselli, che titolò “La vera storia d’Italia” la requisitoria contro Andreotti. La orribile e falsa teoria del doppio Stato, con coerenza, procede assorbendo in essa Berlusconi, ma forse non era previsto tirasse dentro Scalfaro. Se Spataro non ha il coraggio, lo dice Boris: “Non ci sto”. Non è che siccome il bersaglio si sposta lontano dai miei amici allora godo. Balle. La questione non è il bersaglio, ma il metodo. Non ci sto. Così se Report distrugge con taglia e cuci di carte e interviste Di Pietro, non mi pare il caso di applaudire. Allora, dottor Spataro, allora direttore Eugenio Scalfari (erano cugini e amici): aspetto che qualcuno in alto esponga il fianco per un amico morto. Come diceva Scalfaro, il mondo si divide in chi ha la vocazione di essere servo e in chi ha la schiena diritta. Twitter: @RenatoFarina | | 21 novembre 2012 | 21 DOPO IL VOTO Il sogno americano e la realtà Le politiche di Obama hanno modificato l’intera società. Lo Stato pesante non spaventa più. «Se non torniamo a scommettere sul talento dei singoli, addio terra delle opportunità e della libertà». I repubblicani analizzano la sconfitta 22 | 21 novembre 2012 | | da Washington Dc Maria Claudia Ferragni I l giorno dopo la sconfitta di Mitt Romney e l’inizio del secondo mandato presidenziale di Barack Obama, a Washington la galassia conservatrice si interroga sulla sconfitta e riparte dai suoi fondamenti. La grinta e la voglia di lottare per la libertà non mancano, ma è certo che per ripartire col piede giusto qualcosa deve cambiare perché, comunque lo si voglia analizzare, c’è un dato di fatto: il paese non è più come prima. Oltre tre anni e mezzo di lotte con i Tea Party da una parte e il più recente movimento Occupy Wall Street dall’altra hanno prodotto sommovimenti di diversa natura: a favore della riduzione del peso dello Stato alla Camera dei Rappresentanti e a livello di governi locali per i primi, a sostegno delle politiche neo-assistenzialiste e fortemente regolatorie di Obama per i secondi. La prima cosa che salta Foto: AP/LaPresse ESTERI Foto: AP/LaPresse Barack Obama è il 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America, eletto per la prima volta nel novembre 2008. Alle presidenziali del 2012 ha battuto lo sfidante repubblicano Mitt Romney agli occhi leggendo i dati che si riferiscono agli exit poll elaborati da Fox News, è che l’elettorato dei due partiti è spaccato: il voto dei giovani (il 60 per cento nella fascia d’età 18-29 anni e il 52 di quella i 30-44 anni), delle minoranze afro-americana (98), ispanica (71), asiatica (73) e delle donne (55 per cento del totale laddove gli elettori di sesso femminile sono il 53 per cento) è saldamente orientato a favore di Obama. Inoltre anche il 50 per cento dei cattolici e il 73 degli ebrei ha votato il presidente uscente; a votare Romney è stata la maggioranza dei bianchi (59 per cento) e degli uomini (45 per cento su un totale del 47 dell’elettorato). I dati fanno pensare che almeno la metà degli americani non disdegna più le politiche obamiane di stampo europeo e non è minimamente preoccupata del debito pubblico schizzato alle stelle. È come se il tradizionale sogno americano basato su libertà individuale, gover- no al minimo, bassa leva fiscale e libertà d’impresa inizi a essere solo un ricordo del passato. Inoltre, i think-tank di area conservatrice e libertaria si interrogano sull’efficacia del loro lavoro a favore del libero mercato e su quello che succederà ora al partito repubblicano e alle sue politiche. Tempi ha cercato di avere una panoramica della situazione, ascoltando diverse voci. Le battaglie condivise Uno dei loro più attivi e influenti esponenti per ciò che concerne le politiche fiscali, Grover Norquist, presidente di Americans for Tax Reform, si dichiara assolutamente convinto che i risultati del voto, in particolare alla Camera dei Rappresentanti e nei singoli Stati, dimostrano che gli americani sono a favore delle politiche di diminuzione della spesa pubblica. Quindi, «nonostante la sconfitta di Romney, le battaglie conservatri- ci sono condivise dalla maggioranza del popolo americano e all’interno del partito non vi è una vera spaccatura fra conservatori (più inclini a concessioni alla spesa pubblica come per il rafforzamento della difesa) e i libertari (che vorrebbero lo stato fuori dalla vita del singolo). Per quanto concerne, invece, i temi dell’immigrazione cari alle minoranze, i repubblicani devono senz’altro cambiare registro e affrontarli in modo più costruttivo». Dan Mitchell, senior fellow del libertario Cato Institute, invece, sostiene che «il fatto che abbia vinto Obama e non Romney cambia poco: il candidato repubblicano non è poi così diverso da quello democratico. Non è a favore dello Stato minimo e non ha quasi mai parlato della riforma della spesa pubblica; quando era governatore del Massachusetts ha approvato una legge di riforma del sistema sanitario molto simile all’Obamacare. La vera riforma dovrebbe avvenire, | | 21 novembre 2012 | 23 ESTERI DOPO IL VOTO invece, attraverso l’aboPer Fred Smith, «il problema è il trionfo della lizione di tanti ministeri e cultura dell’irresponsabilità. Solo una società agenzie che generano solo che stimola la persona a sfruttare i propri privilegi e non ricchezza, talenti diventa più produttiva ed espansiva» perché il rischio per l’America è di ritrovarsi con un settore pubblico che cresce più in fret- duale dal 35 al 43,6 per cento, e lo stesso ta di quello privato, come sta accaden- accadrà per le imprese. Parimenti Obama do in Europa. Occorre ritornare a sogna- potrebbe rendere meno competitive le re lo Stato minimo, quello in cui credeva aziende del settore energetico, settore che negli ultimi quattro anni è cresciuto noteRonald Reagan». È molto preoccupata per la rielezione volmente, creando tanti posti di lavoro». di Obama Margo Thorning, vicepresidente del think tank conservatore American La guerra contro Al Qaeda Council for Capital Formation, che preve- Fred Smith, presidente del libertario de un forte periodo di incertezza per ciò Competitive Enterprise Institute, crede che concerne la politica fiscale, con con- che il vero problema sia «il trionfo della seguenze negative sul mondo imprendito- cultura dell’irresponsabilità, soprattutto riale. «Una qualsiasi riforma fiscale potrà per ciò che concerne la spesa pubblica. essere implementata solo nel 2013-2014 Nessuno dei due candidati ha affrontato con l’entrata a regime del nuovo Con- seriamente il problema delle pensioni. La gresso. Inoltre stanno per scadere i tagli vera sfida dell’America come per l’Europa voluti da Bush per la classe media con – sostiene – non è solo la riduzione delle un aumento dell’aliquota fiscale indivi- tasse, bensì il ridimensionamento dell’ec- cessiva regolamentazione che ingabbia e comprime le forze del mondo imprenditoriale». Il vero problema dello Stato non è l’efficienza, ma la limitazione delle sue competenze. L’unica soluzione è il ritorno alla responsabilità individuale: «Solo una società che stimola la persona a sfruttare i propri talenti diventa più produttiva ed espansiva. Purtroppo – sottolinea Smith – non c’è attualmente nessuna forza politica disposta a sostenere questa visione. Molti americani preferiscono avere alle spalle una rete di sicurezza, come quella proposta da Obama, piuttosto che diventare responsabili. Può darsi che sarà il prossimo candidato repubblicano nel 2016, ad esempio Rand Paul, a imprimere una svolta in questo senso». Si levano anche alcune voci singolari e poco conosciute dai media di casa nostra, come quella del National Immigration Forum, un’associazione trasversale che mira a valorizzare l’importanza degli immigrati e dell’immigrazione per L’ECONOMISTA Alejandro Chafuen Una nuova Argentina? I presidenziali negli Stati Uniti, con la seconda investitura di Obama, il presidente che più ha visto crescere la spesa pubblica nel corso del suo mandato, hanno generato non pochi interrogativi fra gli analisti di area liberal-conservatrice. Tempi ha incontrato Alejandro Chafuen, economista di origine argentina co-fondatore dell’Acton Institute e da oltre vent’anni presidente dell’Atlas Economic Research Foundation, fondazione no profit volta a sostenere oltre 400 organizzazioni che promuovono le ragioni del libero mercato e della libertà in più di 80 paesi. risultati delle elezioni Signor Chafuen, che lettura dà dei risultati delle presidenziali americane? Una prima lettura conferma il dato 24 | 21 novembre 2012 | | che negli ultimi dieci anni i repubblicani hanno sempre più trascurato l’elettorato costituito dalle minoranze, in particolare dagli immigrati ispanici, mentre George W. Bush aveva ottenuto quasi il 50 per cento dei loro voti. La questione non può assolutamente essere rimandata, soprattutto di fronte alle importanti azioni adottate da Obama come il Dream Act, che consentirà ai figli degli immigrati illegali di studiare nelle università di uno stato diverso da quello in cui vivono a costi dimezzati rispetto agli altri studenti. La differenza andrà a carico dei contribuenti. Ovviamente i conservatori non vedono di buon occhio queste misure, e così ci sono state proposte di riforma: la Red Card Solution, ideata dalla Vernon Krieble Foundation e che io stesso e altri think tank di area liberale abbiamo sostenuto, prevede che gli immigrati che vogliono lavorare negli Stati Uniti per un periodo limitato di tempo possano accedere a un nuovo tipo di permesso di lavoro che non porta all’ottenimento della nazionalità americana. I costi Foto: AP/LaPresse «La colpa di Romney? Trascurare le minoranze conquistate dall’assistenzialismo del presidente. Ma rendere i cittadini dipendenti dai sussidi pubblici è lo stesso errore fatale che commise Perón» l’America e che lavora con «Obama ha fatto rimpatriare più immigrati i partiti, le circoscrizioni di qualsiasi altro presidente». Ali Noorami elettorali e i diversi creprevede che «sarà la comunità dei credenti do religiosi a partire dai a fare pressione perché la situazione cambi» valori dei padri fondatori che riconoscono nell’America il paese delle opportunità. Il Forum, li nati in America». Per cui, prevede Ali, che annovera nel board anche Jeb Bush, «è probabile che sarà la comunità dei creex governatore della Florida e fratello denti a fare pressione su entrambi perché del più famoso George W. Bush, ha una la situazione possa cambiare». Per concludere, e ampliando il discorlunga storia di rapporti con la Conferenza Episcopale statunitense e, come spie- so al ruolo dell’America nel mondo, va ga il direttore Ali Noorani, musulmano considerato il pessimismo dell’ala connato negli Stati Uniti, «difende la liber- servatrice tradizionale. Danielle Pletzka, tà imprenditoriale che è sempre estrema- vicepresidente dell’area studi di politica mente viva fra gli immigrati. Purtroppo, estera e di difesa dell’American Enterpripur condividendo i valori dei conservato- se Institute, legge i risultati elettorali conri, la comunità ispanica si sta allontanan- statando che «gli americani si sono totaldo dai repubblicani a causa delle posizio- mente disinteressati dell’attacco all’amni di questi ultimi sull’immigrazione. Dal basciata americana di Bengasi» e a suo canto suo Obama ha fatto rimpatriare più parere questo fatto è estremamente preimmigrati di qualsiasi altro presidente occupante e non gioca in alcun modo a ma ha anche adottato dei provvedimenti, favore di Obama. Questo anche perché, come il Dream Act, che favoriscono quel- come la storia insegna, la conseguenza del disinteresse dell’America verso il resto del mondo ha sempre avuto conseguenze tragiche, com’è avvenuto fra la fine della Grande Guerra e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. A ciò si sommano la discontinuità della politica di Obama in Medio Oriente: «La scelta di combattere Al Qaeda con i droni senza intervenire direttamente sul territorio non paga, prova ne è che i terroristi stanno dimostrando di essere vivi e di diffondersi a macchia d’olio». Per cui, conclude la Pletzka, «è solo l’ideologia ad avere trionfato attraverso l’intimidazione e l’indottrinamento e se non si combatte ora, ci si ritroverà a combattere più avanti, con costi sempre più alti. Se questa situazione drammatica sia frutto della tremenda crisi economica o sia piuttosto frutto di un cambiamento culturale degli americani è comunque difficile da dirsi». È senz’altro probabile che con la sconfitta di Romney la risposta a questo interrogativo non arriverà tanto facilmente. n to ricco, dall’economia dinamica, che attraeva immigranti da tutta Europa, ma quando è salito al potere l’ex-generale Perón si è imposta una mentalità populista e statalista. Parte della sua colpa è stata quella di rendere ogni cittadino gradualmente dipendente dallo Stato, in modo che non potesse più farne a meno. Temo che questo stia accadendo anche negli Stati Uniti. Un esempio? I forti sussidi concessi da Obama all’industria automobilistica. Ma nessuno spiega che queste concessioni hanno un costo e che qualcuno prima o poi dovrà pagare. Foto: AP/LaPresse Crede che l’americano medio non sia più così convinto di affermare la sua libertà rispetto allo Stato? sono sostenuti dai datori di lavoro e non dai contribuenti, ma i conservatori non hanno voluto neanche questa soluzione, e hanno attaccato qualsiasi tipo di riforma. Un’altra lettura possibile è che l’elettore medio repubblicano, legato ai tradizionali valori della famiglia, in un certo senso sta diminuendo perché la famiglia è in crisi e la percentuale di divorzi sempre più alta. Vede un’analogia fra quello che sta succedendo in America e l’Europa? In realtà prima ancora vedo una forte analogia con quanto è accaduto al mio paese d’origine, l’Argentina, circa cinquant’anni fa: eravamo un paese mol- Sono un economista e mi piacciono i dati, non credo si possa più giocare con i numeri come è stato fatto fino ad ora: il candidato che sosteneva al cento per cento la libertà individuale, Gary Johnson, ha ottenuto solo l’1 per cento dei voti e questo è un segnale inequivocabile che alcuni valori non sono più sostenuti dalla maggioranza degli americani. Inoltre, l’intervento statale è altissimo: la spesa pubblica a livello federale rappresenta | | 21 novembre 2012 | 25 DOPO IL VOTO ESTERI il 24 per cento del Pil, mentre a livello locale sommando i vari livelli di governo è del 14 per cento. Se sommiamo anche la regolamentazione, i costi sono altissimi e paragonabili a quelli dell’Europa. I valori americani potranno sopravvivere alle politiche di Obama attraverso l’educazione. Sono le idee a guidare una società. E poi serve anche l’intervento della Provvidenza Quali sono le cause della situazione? Senz’altro, come dicevamo, il venire meno dei legami familiari dovuto in parte agli incentivi economici del welfare state, in parte alla debolezza di coloro che avrebbero dovuto ispirare questi valori che ne hanno causato la graduale perdita di attrattiva. E quando il welfare state andrà in bancarotta, c’è da chiedersi chi lo sostituirà. Si creerà un circolo vizioso, perché il migliore fornitore del welfare state è sempre stata la famiglia; se non ci sarà più la famiglia, ci sarà sempre più domanda di assistenza statale che a quel punto sarà insostenibile economicamen- te. Temo l’affermarsi del crony capitalism, il capitalismo di relazione. Tutto ciò riflette anche la debolezza intrinseca della natura umana, che non è perfetta. Come potranno i valori americani sopravvivere alle politiche obamiane? Attraverso l’educazione, perché sono le idee a guidare una società. Ciò può avvenire sottraendo i giovani all’educazione univoca delle scuole statali, cosa molto difficile da realizzare oggi in America se non attraverso l’homeschooling. Servono poi gli incentivi a fare bene, di solito creati dalla famiglia, una forte lea- dership conservatrice, oggi un po’ in crisi, e l’intervento della Provvidenza o fortuna che dir si voglia! Dobbiamo anche evitare di trasformare le nostre debolezze umane (pensiamo al divorzio, all’aborto) in leggi. Credo inoltre che in America ci sia un altro importante fattore di speranza: nonostante tutto gli Stati Uniti sono il paese più religioso che io conosca, e con questo intendo dire che gli americani hanno un fortissimo senso del rapporto con il Creatore che è fonte dei nostri diritti fondamentali: il diritto alla libertà, alla vita, alla proprietà, al perseguimento della felicità e nessuno può toglierci questi diritti, neanche lo Stato. Qui si gioca la battaglia fondamentale per i cristiani dei prossimi anni. [mcf] Gli Stati Uniti sono diventati il più grande produttore al mondo di shale gas. Così il sogno dell’indipendenza energetica di cui si parla fin dai tempi di Richard Nixon sta per diventare realtà IL MEGLIO CHE DEVE VENIRE Foto: AP/LaPresse La rivoluzione energetica Altro che rinnovabili. Sarà lo shale gas a mettere fine alle guerre per l’oro nero. Niente più petroliere dal Medio Oriente. E l’industria tornerà a volare S ì, ha ragione Barack Obama: il meglio della sua presidenza deve ancora venire. Ma le sue personali capacità e scelte strategiche c’entrano poco, anzi: a rendere luminoso il prossimo quadriennio degli Stati Uniti non sarà la new economy a base di energie rinnovabili che il presidente aveva promesso quattro anni fa e ha ripromesso durante la campagna elettorale, bensì una rivoluzione energetica made in Usa che attinge ancora agli odiati idrocarburi e agli spiriti animali del capitalismo americano. Parliamo dello shale gas, il gas delle scisti argillose, di cui gli Stati Uniti sono divenuti il più grande produtto| | 21 novembre 2012 | 27 ESTERI DOPO IL VOTO ce il costo oscilla ormai fra i 2 e i 3 dollaL’impatto sulla creazione di posti di ri: sembra impossibile, ma appena quat- lavoro non è ancora quantificato, se non tro anni fa era di 12 dollari. La rivoluzio- per i nuovi impieghi nel settore dell’enerne dei costi è stata resa possibile dall’im- gia: 484 mila fra il 2009 e oggi. missione sul mercato del gas di sciste, di Imponenti riserve di gas di sciste cui l’America è il terzo detentore di riser- esistono, oltre che in Cina e in Rusve mondiale dopo Cina e Russia, anche in Europa, ma solo sia, ma il primissimo per valoin America si è potuto materizzazione economica. Gli Starializzare in pochi anni un ti Uniti potrebbero dunque miracolo economico del tutto PER CENTO inatteso. La ragione apparenesportarlo già ora con profitla quota del fabbito in Oriente, ma hanno scelte è la differente valutazione sogno energetico to di non lanciarlo sul mercadel rischio ecologico: menche gli Stati Uniti to mondiale per una validistre i paesi europei guardano copriranno da sé nel sima ragione: la rapidissima 2012. Nel 2020 sarà con estremo sospetto le tecniil 100 per cento flessione del costo dell’enerche di trivellazione dette “fragia sta spingendo le imprecking”, che hanno permesso se americane che avevano delocalizza- di valorizzare economicamente il gas di to attività in Europa e in Oriente a ritor- sciste, gli Stati Uniti che queste tecniche nare in patria, e sta attraendo come un hanno inventato si sono mostrati permagnete investimenti di multinazionali missivi fin dall’inizio. L’iniezione ad alta straniere. La Shell sta per aprire un gran- pressione di acqua mista a uno 0,5 per de impianto per la produzione di etano cento di reagenti chimici negli strati pro(idrocarburo che è la base dei polimeri fondi per provocare le crepe da cui poi con cui si produce la maggior parte delle fuoriesce il gas è stata proibita in Franmaterie plastiche che utilizziamo) a Bea- cia e Bulgaria, confinata all’ambito spever County, vicino a Pittsburg, rimentale in Germania. Ma fino a ieri un cimitero indula ragione profonda è il diverstriale dell’acciaio. La Dow so regime delle proprietà fonChemical sta chiudendo le diarie: negli Usa la proprieMILIONI sue attività in Belgio, Olanda, tà privata si estende al sottodi barili di petrolio al Spagna, Regno Unito e Giapsuolo del terreno posseduto, giorno. È l’equivalenpone ma investe intensameninvece in Europa ciò che si te che gli Usa produte nella produzione di propi- cono grazie all’appor- trova sotto la superficie è di lene in Texas. Cinquanta nuoproprietà dello Stato e richieto dei gas di sciste e dei biocarburanti vi progetti nel settore chimico de il suo permesso e le sue negli Usa hanno visto o stanregolamentazioni per essere no per vedere la luce, e 30 miliardi di sfruttato. In America i proprietari di terdollari di investimenti riguardano i soli re sono incoraggiati a concedere i loro impianti per la produzione di etilene e fondi per ricerche e trivellazioni con tecdi fertilizzanti. Uno studio dell’American nologie sperimentali dalla prospettiva Chemistry Council afferma che l’iniezio- delle royalties che verrebbero loro senza ne di competitività portata dallo shale alcun investimento. La loro disponibilità gas ha invertito il declino delle industrie e la legislazione che non attribuisce allo chimiche, delle plastiche, dell’allumi- Stato il monopolio delle risorse mineranio, metallurgica, della gomma, dei rive- rie ha incoraggiato piccole imprese ad stimenti metallici e del vetro. assumersi il rischio di esploAbbinata all’aumento del 16 razioni che potevano concluper cento dei salari cinesi nel dersi con profitti limitati, tutcorso dell’ultimo decennio, tavia interessanti per investiMILA la benedizione del gas di scitori su piccola scala, mentre i nuovi posti di lavoste sta producendo un granle grandi compagnie avrebro che in America si de fenomeno di rimpatrio delbero disdegnato l’operaziosono registrati nel le attività industriali manifatne. Le piccole imprese che si settore dell’energia turiere delocalizzate in Oriensono assunte i rischi dell’ava partire dal 2009 fino ad oggi te dei settori delle macchine vio di attività hanno aperto utensili, dei prodotti elettrola strada alle grandi companici, dei materiali per trasporto, dell’ar- gnie, quando i dati geologici raccolti graredamento, eccetera. Il revival dell’indu- zie ai loro sforzi sono diventati invitanti. stria chimica è tale che persino la Basf, È il modello americano dell’impresa che la grande azienda chimica tedesca, ha ha permesso all’America di ricominciare dovuto ammettere che è impossibile com- a sognare, altro che Obama. petere coi costi americani. Rodolfo Casadei 84 re mondiale nel giro di pochi anni. Trasformando in realtà a portata di mano quella che fino a due-tre anni fa era solo un sogno: l’“indipendenza energetica” americana (così viene chiamata dai tempi del presidente Nixon). Quest’anno gli Stati Uniti produrranno da sé l’84 per cento di tutta l’energia di cui hanno bisogno, e prima della fine del decennio raggiungeranno la piena autosufficienza: solo quattro anni fa, nel 2008, producevano il 73,9 per cento dell’energia che consumavano. Dopo il 2020 non si vedranno più petroliere dal Medio Oriente o dal Venezuela attraccare nei porti statunitensi. Niente più guerre americane per il petrolio in giro per il mondo. E per di più, una fenomenale reindustrializzazione del paese e della sua economia. Che è in corso già ora, e ha contribuito in misura decisiva alla rielezione di Obama. I numeri della fortuna Alla fine di quest’anno gli Usa produrranno, grazie all’apporto dei gas di sciste e dei biocarburanti, l’equivalente di 11,4 milioni di barili al giorno di petrolio, cioè quasi quanto l’Arabia Saudita. E nel 2014 diventeranno il primo produttore mondiale di idrocarburi. Volendo, a quel punto potrebbero esportare gas in Europa e soprattutto in Asia: in quelle due aree geo-economiche, infatti, il gas costa rispettivamente fra i 6 e gli 8 e fra i 15 e i 16 dollari per milione di unità termali. Negli Stati Uniti inve28 | 21 novembre 2012 | | 11,4 484 Foto: AP/LaPresse Alcuni campioni di rocce di scisto da cui viene estratto lo shale gas ESTERI DOPO IL CONGRESSO La Cina è lontana dalla libertà Pechino ha scelto il suo prossimo imperatore, ma le promesse di autoriforma del regime la gente ormai nemmeno le ascolta più. Harry Wu: «Il cambiamento verrà dal clima sociale. Nel paese ci sono tremila proteste al mese» «N on copieremo mai i sistemi politici occidentali. Noi dobbiamo proseguire i nostri sforzi per perseguire la riforma della struttura politica e continuare sulla via del socialismo con caratteristiche cinesi». Queste poche parole del segretario del partito comunista e presidente della Cina Hu Jintao nel suo discorso di apertura del 18esimo Congresso del partito riassumono bene i risultati dell’evento politico più importante avvenuto in Cina da dieci anni a questa parte. Nella Grande Sala del Popolo che si affaccia su piazza Tienanmen, racchiusa tra il mausoleo dove riposa Mao Zedong e l’ingresso della Città proibita dove abitavano gli imperatori, ora sovrastata da una gigantografia del 30 | 21 novembre 2012 | | Grande timoniere, ogni cinque anni oltre 2.200 delegati del partito si riuniscono a congresso. Questa volta, però, durante la settimana di lavori che si è conclusa il 14 novembre è stata anche nominata la quinta generazione di gerarchi che comanderà la Cina per i prossimi dieci anni. Dopo mesi di lotte tra le diverse fazioni del partito, oltre a Xi Jinping, il nuovo segretario generale che a marzo diventerà anche presidente del paese, e a Li Keqiang, nuovo numero due e futuro premier al posto di Wen Jiabao, sono stati scelti gli altri componenti del ristretto Comitato permanente del Politburo, il massimo organo di potere comunista che governa un miliardo e trecento milioni di cinesi. Chi si aspettava un’apertura democratica è rimasto deluso: Hu Jintao ha ricordato come sempre «il pensiero di Mao Zedong, la teoria di Deng Xiaoping, le “Tre rappresentanze” di Jiang Zemin» e ha invitato a «continuare sulla via del socialismo». Tradotto, significa che in Cina continuerà a governare e ad essere legale un solo partito. Quello comunista. Qualche analista ha fatto notare come Hu abbia anche parlato di “riforme politiche” ma come spiega a Tempi Steve Tsang, professore di Studi contemporanei cinesi prima all’università di Hong Kong, poi a Oxford e oggi all’università di Nottingham, «quando i leader comunisti parlano di riforme politiche, non intendono riforme democratiche. Al massimo cambierà la governance. E la governance oggi in Cina è cambiata perché il partito è più abile a reprimere il dissenso». Pechino conferma le parole del professore: in occasione del Congresso la capitale è stata invasa da striscioni appesi dovunque con la scritta: “Senza il Partito comunista, non ci sarebbe una nuova Cina”. Per sicurezza ai tassisti è stato ordinato di girare al largo da piazza Tienanmen e di svitare le maniglie dei finestrini dai sedili posteriori perché nessuno potesse lanciare volantini; ai negozi è stato proibito di vendere armi giocattolo; a chiunque impedito di fare uso di piccioni viaggiatori; in tutto il paese dissidenti e attivisti sono stati arrestati e messi a tacere; in tv per una settima- na i telefilm americani sono stati cancellati dai palinsesti e sostituiti da programmi “rossi”, mentre internet è stato posto sotto una rigidissima censura. Se il partito comunista non ha alcuna intenzione di lasciare il potere e garantire la libertà di espressione, non è così cieco da non accorgersi che la Cina è sempre più lontana dall’essere quella «società armoniosa» che Hu Jintao voleva costruire e che i cinesi sono sempre meno disposti a sottostare a un regime. Per questo l’ex presidente ha sottolineato che chi vìola la legge deve essere perseguito «chiunque egli sia, qualunque ruolo ufficiale abbia». Spiega ancora Tsang: «Nei dieci anni di presidenza di Hu lo scontento della gente è In occasione del Congresso la capitale aumentato. Il sistema giudiè stata invasa da striscioni appesi ziario non è indipendente, dovunque con la scritta: “Senza il Partito il divario tra ricchi e povecomunista, non ci sarebbe una nuova Cina” ri è enorme, le proteste civili aumentano a causa delle ingiustizie subite dai lavoratori, dei disastri ambientali che oramai non si contano più e soprattutto della corruzione dilagante dei funzionari». Non a caso dunque Hu Jintao si è lanciato in una durissima reprimenda della corruzione, che «rischia di aprire una profonda crisi nel partito e travolgere lo Stato e l’intero paese». Foto: AP/LaPresse IL TORMENTONE UNA SFIDA LANCIATA MILLE VOLTE Com’è dura combattere la corruzione Al Congresso Hu Jintao ha tuonato: «La corruzione rischia di aprire una profonda crisi nel partito e travolgere il paese». Parole forti ma già sentite. 1994, Jiang Zemin, segretario del Pcc: «Rinnovare gli sforzi contro la corruzione». 1996, Quotidiano del Popolo, megafono del Pcc: «Epurare i corrotti». 2001, Jiang Zemin: «Lottare contro la corruzione, questione di vita o morte». 2002, Jiang Zemin: «Se non eliminiamo la corruzione, il partito rischierà di autodistruggersi». 2006, Hu Jintao: «Intensifichiamo gli sforzi contro la corruzione». 2010, Sezione pechinese del Pcc: «Promettiamo di aumentare gli sforzi contro la corruzione ma è complicato». Il presidente uscente della Cina Hu Jintao e, sopra, il suo predecessore Jiang Zemin. A sinistra, nella foto grande, la Grande Sala del Popolo a Pechino, dove si è appena chiuso il Congresso del partito comunista cinese Papaveri arricchiti, popolo alla fame Negli ultimi cinque anni 660 mila funzionari sono stati trovati colpevoli di corruzione, di questi però solo 24 mila sono stati condannati penalmente. Non stupiscono perciò le rivelazioni del New York Times, secondo cui il premier Wen Jiabao e i suoi familiari hanno raggranellato in dieci anni quasi tre miliardi di dollari. Una cifra enorme, se si pensa che il Pil pro capite annuale cinese è pari a 7.500 dollari, il 94esimo del mondo. «Il partito avrebbe bisogno di autodisciplina – commenta Tsang – ma è difficile ottenerla non dovendo rendere conto a nessuno». È dal 1993, infatti, che tutti gli anni il leader comunista di turno denuncia la corruzione, spiegando che rappresenta «il problema più grave della nazione» e rischia di compromettere «il legame tra il partito e il popolo». Quasi vent’anni dopo, Hu Jintao dice le stesse cose ma il risultato degli «incessanti sforzi» è che in Cina 70 membri del partito fanno parte delle persone più ricche del mondo mentre 110 milioni di cinesi vivono sotto la soglia della povertà con 1,25 dollari al giorno. L’incapacità o la scarsa volontà del partito di correggere la rotta non stupisce però un grande dissidente come Harry Wu, l’uomo che ha trascorso 19 anni nei laogai, i | | 21 novembre 2012 | 31 ESTERI DOPO IL CONGRESSO Ci mancava la crisi economica Si aspetta molto invece la Quinta generazione di leader: «Per rendere lo sviluppo cinese più sostenibile entro il 2020 dobbiamo raddoppiare il Pil del paese e il reddito pro capite degli abitanti di città e di campagna». Da quando Deng Xiaoping ha inaugurato l’era dell’apertura economica alla fine degli anni Settanta, sostituendo il motto di Mao “Ribellarsi è giusto” con il nuovo “Arricchirsi è glorioso”, la Cina è cresciuta in media di 10 punti percentuali di Pil ogni anno per trent’anni, mischiando capitalismo e comunismo. «Nel 1976 l’imperatore Mao Zedong è morto e il partito si è trovato davanti a una scelta: abbandonare il comunismo o andare avanti?», ricorda Harry Wu. «Si è consumata una lotta intestina ad alti livelli e alla fine Deng Xiaoping ha riguadagnato il potere. Per non cederlo, ha deciso di non criticare Mao, anche se lo odiava, e ha preso la terza via: mantenere la dittatura comunista e cambiare l’economia aprendo al capitalismo. Ma oggi la Cina rallenta perché non è un’economia di mercato: il sistema è governato da una dittatura». Quello economico è uno dei grandi nodi che la prossima leadership dovrà sciogliere: la Cina ha un debito impressionante di 23,76 milioni di miliardi di yuan (circa 4 milioni di miliardi di euro, dati Caixin), non c’è una sana competizione tra aziende statali e private e lo scorso 17 ottobre il National Bureau of Statistics ha 32 | 21 novembre 2012 | | LE NOSTRE VOCI Online le interviste e un blog “estremo” I testi integrali delle interviste al dissidente Harry Wu (nella foto qui a lato) e a Steve Tsang sul 18esimo Congresso del partito comunista cinese e sul futuro del regime di Pechino sono pubblicate online nel sito di Tempi. Su tempi.it è ospitato anche “The East Is Read”, il blog di Leone Grotti dedicato al paese del dragone. Il vicepresidente Xi Jinping (a sinistra), nominato a ottobre segretario generale del partito comunista cinese, sarà eletto presidente nel prossimo marzo annunciato che il Pil cinese è cresciuto del 7,4 per cento nel terzo trimestre, contro l’8,1 del primo. «L’economia cinese rallenta perché i suoi partner commerciali, Stati Uniti, Europa e Giappone, sono in crisi e la gente è troppo povera per costituire un valido mercato interno», spiega Tsang. «Il partito deve distribuire la ricchezza per uscire dalla crisi ma per farlo dovrebbe rinunciare ai suoi privilegi. E come può il partito diminuire il suo potere se è stato concepito in modo tale da non dovere confrontarsi con il consenso?». È proprio perché il partito non si cura dei bisogni della gente e dei suoi 82 milioni di iscritti che mentre i giornali di tutto il mondo fanno gossip politico sul Congresso, i cinesi sono rimasti indifferenti. «Che cosa mi importa di chi guiderà il partito? Non ha niente a che vedere con me, non hanno più l’appoggio della gente» dichiarano tutte le persone intervistate in Cina da un diffuso giornale di Hong Kong. Ma è da questa progressiva perdita di legittimità che potrebbe nascere una nuova speranza: «Mi aspetto che in un paio d’anni qualcosa cambi davvero», annuncia Harry Wu. «I comunisti cederanno il potere solo se il clima sociale cambia e mina la stabilità politica. Nel paese ci sono tremila proteste ogni mese: questo può cambiare la Cina, non le autoriforme del partito». Leone Grotti Foto: AP/LaPresse lager comunisti istituiti da Mao Zedong per “riformare attraverso il lavoro” i nemici della Rivoluzione, e che una volta scappato negli Stati Uniti li ha fatti conoscere al mondo. A Tempi Harry Wu spiega che «Hu Jintao è solo un membro del partito comunista. La Cina è una dittatura, non un paese democratico e Hu non ha mai fatto niente per il popolo cinese perché il comunismo, come sappiamo dall’Urss o dalla Polonia, non pensa mai al popolo». Molti osservatori da tutto il mondo si aspettavano dei passi avanti, Harry Wu no. Perché? «Avete mai visto una riforma? No. Pensiamo al nuovo segretario, Xi Jinping: chi è quest’uomo? Non è stato eletto dalla gente e non è stato neanche nominato dai membri del partito. È stato scelto da Hu Jintao, è il suo successore. È così che funziona in Cina: Deng Xiaoping, che ha preso il potere dopo Mao, ha nominato come suo successore Jiang Zemin e poi Hu Jintao. Il loro unico obiettivo è stato quello di mantenere al potere il partito comunista. Ora Xi Jinping è il nuovo imperatore, non mi aspetto niente da lui». NEL DETTAGLIO LA NOMINA DIABOLICA DEL NON-ASSESSORE FRANCO Dieci, cento, mille Battiato, la star della democrazia che schifa la politica M io caro Malacoda, dopo la stagione di Mani pulite che ha scacciato dal dibattito pubblico la politica per sostituirla con i procedimenti penali e paragiudiziari (celebrati sui giornali e in tv), trovo ottima l’idea di lanciare nuove star della democrazia all’insegna del motto “Mani libere”. Perfetta, in questo senso, la designazione di Franco Battiato alla guida dell’assessorato della Cultura della Regione siciliana. L’artista «sarà il nuovo assessore alla Cultura, alle giunte di politici e tecnici io aggiungo anche quella di intellettuali», aveva annunciato soddisfatto il neo presidente Rosario Crocetta. L’intellettuale, seduto al suo fianco, ha esordito nel suo nuovo ruolo precisando di non voler «avere nulla a che fare con i politici». Un vecchio detto definiva ingrato chi “sputa nel piatto in cui mangia”, la nuova logica prevede che si sputi direttamente in faccia a chi ti chiede di collaborare con lui, non per rifiutare, per accettare l’incarico. Uno sputo non basta. Meglio due: «Se mi chiamate assessore mi offendo. Chiamatemi Franco e sarò franco. È un senso di libertà per me libero anche di poter lasciare l’incarico». I miei complimenti, nipote, per il capolavoro di ambiguità logica del tuo suggerimento. La frase sembra indicare Cosa direbbero i pennivendoli dell’etica se il non attaccamento alla poltrona del nonassessore, in realtà – lasciando intendere il campione appena acquistato da un club amministrare la cosa pubblica si possa dicesse: «Non voglio avere nulla a che fare che fare nel tempo libero – maschera sprezzacon i calciatori, giocherò gratis per essere tura e disimpegno. Sembra il massimo della moralità (rafforzato dal “lavorerò gratis libero di andarmene durante la partita»? per sentirmi libero”, dal che si deduce che quando canta nei concerti a pagamento tale non sia) ed è invece il vertice dell’amoralità. Cosa direbbero i pennivendoli dell’etica se il campione appena acquistato da una squadra entrasse in campo dicendo: «Non voglio avere nulla a che fare con i calciatori, giocherò gratis per essere libero di andarmene durante la partita»? Infatti, avevano tutti capito male. Assessore alla Cultura? No, precisa Battiato dopo una giornata di esultanza bipartisan per la sua nomina: «Non sarei assessore alla Cultura, ma al Turismo e Spettacolo. Assessore alla Cultura vuol dire teatri di tradizione e una presenza a Palermo che non potrei sostenere, mentre con l’assessorato al Turismo e Spettacolo posso fare le stesse cose con maggiore libertà». «Non posso occuparmi dei teatri, della Film Commission, della quotidianità di un settore così vasto e importante come i beni culturali. Il mio può essere soltanto un impegno limitato, mirato a determinati progetti, altrimenti dovrei cambiare mestiere. E io sono una persona seria: non posso e non voglio cambiare mestiere». A nessuno viene in mente di fargli notare che una persona seria se accetta un nuovo mestiere cambia mestiere. Nella perversione logica con cui abbiamo offuscato le menti dei più colpisce anche la mancata reazione a quest’altra perla: «Non ho programmi». Stupendo, una rassicurazione per chi si aspetta, limitandosi al Turismo (metà del suo non-assessorato) la cura di un «patrimonio impressionante che fino a oggi non è stato valorizzato adeguatamente» (Armando Cirillo, responsabile Turismo del Pd, dixit). «Le Baleari, 1.430 chilometri di coste, producono il 41,2 per cento delle presenze turistiche europee in Spagna. La Sicilia, 1.500 chilometri di coste, il 3,7 per cento dei turisti europei in Italia. Buon lavoro». Se il suo lavoro sarà buono, vedremo. Intanto il tuo è stato ottimo. Tuo affezionatissimo zio Berlicche | LE NUOVE LETTERE DI BERLICCHE | 21 novembre 2012 | 35 cultura riti mondani È quasi un peccato leggerlo Antonio Gurrado ha spulciato il più liturgico dei quotidiani italiani e ha scoperto che è come sedersi in chiesa. Lo si fa un po’ perché ci si crede, un po’ perché non si ascolta, un po’ per tacitare la coscienza, un po’ per farsi vedere di Antonio Gurrado «C scrive il fondatore Eugenio Scalfari nel tentativo di parodiare il linguaggio di Beppe Grillo, o forse di riprodurlo, nel consueto editoriale/sermone sulla prima pagina de la Repubblica di domenica 4 novembre. Sottoposti a un’attenta lettura del testo, gli adepti del quotidiano cult si saranno distinti in tre categorie: quelli che sono rimasti scioccati alle parole inconsulte del Fondatore, un po’ come se le avesse pronunziate dal pulpito un prete con la sindrome di Tourette; quelli che sono rimasti scioccati a scoprire che per un qualche motivo l’editoriale fosse lungo la metà del solito; quelli che hanno continuato ad annuire con aria grave senza avvedersi del turpiloquio. La lettura di Repubblica è infatti un atto sempre più simile alla distratta presenza fra i banchi di una chiesa: lo si fa un po’ perché ci si crede confusamente, un po’ perché non si ascolta, un po’ per tacitare la coscienza, un po’ perché bisogna farsi vedere. Repubblica, intendiamoci, è il quotidiano più Sembra fatto apposta per non essere letto. bello d’Italia: i colori sono I suoi articoli vanno dunque considerati raffinati, l’impaginazioper quello che sono, ossia un riempitivo ne delle sezioni culturali all’interno di un progetto editoriale più vasto è alto design, le vignette 36 azzo, coglioni e vaffa», di Altan e Bucchi rasentano l’arte, le foto bucano la pagina, la carta è quasi serica, il formato consente di piegare il quotidiano nella sacca della giacca di velluto o nello zainetto finto-povero lasciando sempre in bella evidenza la testata. Sembra fatto apposta per non essere letto. I suoi articoli vanno dunque considerati per quello che sono, ossia un riempitivo all’interno di un progetto editoriale più vasto in cui l’aura conta più dei temi, la testata più dei titoli e la firma più del contenuto. Hanno la stessa portata delle omelie domenicali, che possono anche riuscire bene ma non decidono del valore di ciò che le contiene – e, se si dovesse giudicare il cattolicesimo dalle prediche, staremmo freschi. Repubblica è un giornale liturgico che vive di riti cristallizzati e di gesti calibrati (come la stretta di mano di Ezio Mauro ai redattori più importanti all’inizio delle riunioni); l’editoriale domenicale del Fondatore ne costituisce il vertice ciclico, la nota dominante che tutto racchiude in sé, il rassicurante coperchio che garantisce dell’acquisto a scatola chiusa di tutto il calderone. | 21 novembre 2012 | | Per questo svegliarsi in una pigra e grigia domenica mattina e trovare scritto “cazzo, coglioni e vaffa” in prima pagina è scioccante: non per le parolacce in sé, peraltro nascoste fra parentesi, ma perché esse danno uno scossone al lettore distratto e assuefatto; lo spingono a sfregiare il velo di Maya iniziando a leggere Repubblica come se fosse un giornale vero, ossia per quello che c’è scritto, per trarne contenuti senza forma. Le sorprese non mancano. Ad esempio, a pagina 3 Michael R. Bloomberg (sindaco di New York, la città dove cancellano le maratone senza rimborsare le iscrizioni) s’imbarca in arditi sillogismi per spiegare che, nonostante che non ci sia motivo di credere che Sandy sia dipesa dal riscaldamento globale, è necessario appoggiare Obama in ragione del suo pluriennale impegno contro il riscaldamento globale, a seguito del quale impegno è infatti arrivata Sandy. Su qualsiasi quotidiano un ragionamento così cristallino sarebbe stato esposto alle pernacchie del lettore neutrale, ma non su Repubblica dov’è corazzato dall’equilibrata scelta di farlo iniziare in prima pagina sotto una foto trionfale di Obama (vestito con la stessa camicia di Gianni Riotta) e di fianco a un pezzo di Joseph E. Stiglitz in cui si asserisce che è necessario che gli americani votino Obama perché «il numero dei non recensire i giornali Il blog di Antonio Gurrado Su tempi.it Antonio Gurrado gestisce Qwerty, il blog che recensisce i giornali. Finora ha analizzato IL, TeleSette, Il Secolo d’Italia, Sportweek, la Provincia Pavese, Il Tirreno, Panorama, l’edizione francese di Repubblica, l’Adige, TV Sorrisi e Canzoni, il Corriere della Sera, L’Europeo e il Guerin Sportivo americani favorevole alla sua rielezione è schiacciante rispetto a chi vorrebbe che a vincere fosse il suo sfidante». ne dedicata un’intera pagina tutta rivolta all’allisciamento dell’immaginario del target di Repubblica: il pisano Marco Malvaldi preferisce contaminarsi coi livornesi piuttosto che «pagare auto blu a Fiorito» (che non è né pisano né livornese), il tarantino Giancarlo De Cataldo plaude alla fusione con Brindisi così da poter «lottare insieme per lavoro e ambiente» (perché evidentemente separati non ne vale la pena), Luca Bottura rivendica che «la diversità è la nostra ricchezza» (ma a ben guardare sta parlando delle ricette dei tortellini), l’erudito Umberto Eco non batte ciglio di fronte al miscuglio tra Alessandria e Asti «tanto io parlo entrambi i dialetti» (e quindi io, che parlo inglese e francese, posso dirmi favorevole all’accorpamento dell’Italia a Inghilterra e Francia). Massimo Carlotto si oppone invece alla fusione di Padova intellettuale e filooperaia con «la Treviso della Lega»: è noto infatti che la miglior maniera per insegnare ai leghisti i benefici dell’integrazione multiculturale è isolarli in un angolino con Giancarlo Gentilini. Astenersi provinciali D’altra parte, chi si sognerebbe di criticare Bloomberg e Stiglitz una volta che venissero citati, con grande autorità e competenza, dai lettori più attenti nel corso del pranzo domenicale? Non ci riferiamo alle loro opinioni ma ai loro nomi. Repubblica offre loro validi sostituti anagrafici; le stesse idee, sostenute da Gian Luigi Scabbia o da Giacomo Frangiflutti (pesco nomi a caso dalle firme delle lettere al quotidiano), suonerebbero se non meno credibili di sicuro più criticabili. Basta invece che si chieda: «Avete letto Bloomberg e Stiglitz?», e tutti automaticamente danno loro ragione al solo scopo di non fare la figura dei provinciali. Mica per niente Michele Serra, in apertura de “L’amaca” dello stesso giorno, spara: «Non potrei essere provinciale neanche se lo volessi: non sarei credibile». Lettori e autori di Repubblica tutto possono essere meno che provinciali e infatti venerIl formato consente di piegare il quotidiano dì 2 alle province in bilinella sacca della giacca di velluto co, quelle in cui l’accorpao nello zainetto finto-povero lasciando mento potrebbe comporsempre in bella evidenza la testata tare la guerra civile, vie- I lettori di Repubblica sono così lontani da ogni provincialismo che sembrano essere i maggiori beneficiari del taglio delle province imposto dal governo, a eccezione degli alunni delle terze elementari che dovranno impararne a memoria molte di meno. Chissà se questo non contrari Corrado Augias, che sabato 3 tuona dalla sua tribuna contro «quei genitori che assistono passivi al precoce corrompimento intellettuale dei loro figli» in risposta a una signora che sta valutando se iscrivere la sua frugoletta alla Deutsche Schule perché in quella italiana mancano le lavagne multimediali e ci sono suore che parlano male dell’aborto. Augias d’altronde gestisce le pr di Repubblica con i lettori e far finire una propria lettera nel suo box grigio equivale a un cavalierato, talché si crea una sorta di sindrome di Stoccolma per la quale i lettori cercano di assecondare Augias e Augias cerca di assecondare i lettori. Memorabile la lettera di martedì 30 ottobre, in cui un tale Paolo Lupo e Augias conversano amabilmente di Berlusconi senza nominarlo, come due amici sorpresi sul treno a chiacchierare di un terzo: lo evocano come colui che «ha rubato il sogno di una generazione onesta», colui che «ha cambiato la percezione del denaro», «uomo furente e spaventato», «attore consumato». Quando si tratta di Berlusconi, l’in| | 21 novembre 2012 | 37 riti mondani cultura Foto: AP/LaPresse tesa fra lettori e autori di Repubblica diventa telepatia. Lunedì 29, a seguito dell’intemerata di Villa Gernetto, il quotidiano più intelligente d’Italia ha avuto il talento di assecondare tutte le diversificate reazioni di tutte le possibili tipologie di suoi lettori offrendo loro una rosa dei venti di opinioni complementari. Piero Ottone («Credevo che non mi sarei mai più occupato di lui») ha blandito coloro che pensano che Berlusconi meriti la camicia di forza con un’analisi psicologica della sua mania di protagonismo e del suo senso di persecuzione. Ilvo Diamanti ha consolato quelli che ascrivono a Berlusconi tutti i mali della società raccontando che «le sue invettive risuonano come grida nel vuoto» nonostante che «il sistema politico e il modello di partito imposti da Berlusconi ruotino intorno alla sua persona e alla sua comunicazione». Il cerchio si chiude sempre Filippo Ceccarelli ha solleticato i fautori del Cavaliere da operetta, quello che fa fare brutta figura in società, analizzando «il terribile mascherone» di «un pupazzo arancione che si ostina a mettere in scena la propria consumazione», ormai vittima della vendetta del tempo. Infine Eugenio Scalfari, tanto per chiudere il cerchio, esaltava i caimanisti con un ponderato editoriale intitolato “Una follia eversiva destabilizza il paese”. È dunque chiaro che i collaboratori di Repubblica scrivono ciò che i lettori vogliono leggere e i lettori comprano Repubblica perché ci trovano ciò che vogliono sentirsi dire; operazione commercialmente impeccabile ma che rende superfluo l’esercizio della scrittura. Il club di Repubblica è un circolo che ha sostituito al proselitismo la conservazione degli iscritti per mezzo della radicalizzazione delle convinzioni tramite la ripetizione a oltranza di concetti già assodati. Se la lettura dei quotidiani è la preghiera del mattino, Repubblica s’è fatta, né più né meno, pura e sacrosanta liturgia; come scriveva Scalfari stesso giovedì 25 ottobre, «la liturgia ha rappresentato per molti secoli la custodia ben sigillata della ritualità tradizionale». Solo che nella circostanza non stava parlando del suo quotidiano ma della nostra religione, in un lungo articolo a margine del sinodo in cui spiegava a Benedetto XVI come far finalmente funzionare il cattolicesimo. La portata liturgica del quotidiano più incontestabile d’Italia e del suo Fondatore spiega il senso di un articolo del genere. Repubblica non ha nulla contro la Chiesa, Scalfari non ha nulla contro il Papa. È solo che non sopportano la concorrenza sleale. n Eugenio Scalfari ha fondato Repubblica nel 1976 carta militante Cinquanta sfumature di moralismo L’antipatia del Fondatore per il giustizialismo del Fatto. Il foglio che meglio ha imparato e ammodernato la lezione del giornale-partito E nato in grado di individuare il fronte più opportuno e di indicarlo, con benevolenza e fermezza, alla gente. La gente è il popolo di Repubblica e l’Espresso, entrambe, sebbene con modalità diverse, sue creature dilette. La gente sono anche i politici, gli intellettuali, gli inquilini o visitatori occasionali di quell’affollato condominio che si identifica con la sinistra italiana. Ebbene ormai, come scrivevamo su Tempi qualche mese fa, La creatura di Padellaro e Travaglio ha in quel condominio non c’è incredibilmente dato battaglia al giornale più un giornale solo a fare fondato da Scalfari sul suo stesso terreno, cultura, mentalità, pensiero. Se altre pubblicazioquello dell’investitura dei migliori Scalfari, giornalista fondato da Eugenio Scalfari (il copyright è di una strepitosa vignetta di Altan), quando s’arrabbia non si scompone, ma dispone. Dispone l’artiglieria delle sue parole posate e pungenti, tanto più ora che l’anagrafica lo rafforza in quel ruolo che si cucì addosso all’inizio della carriera: il grande vecchio, inteso come l’illumiugenio | | 21 novembre 2012 | 39 Paolo Flores D’Arcais, direttore di Micromega, è stato criticato da Scalfari (gli ha dato del «disturbato») per aver detto che alle primarie voterà Renzi per distruggere il Pd e far trionfare Beppe Grillo ni d’area (dall’Unità al Manifesto) han- civile per rispondere alla crisi dei partiti no sempre vissuto in uno spazio accesso- tradizionali e Scalfari, che di liste analorio ma mai alternativo a Repubblica, l’ir- ghe parlava già negli anni Novanta, imperuzione del Fatto quotidiano ha incredi- gnato ad accarezzare il sogno di una lista bilmente dato battaglia al giornale fonda- Repubblica (magari capeggiata da Roberto da Scalfari sul suo stesso terreno, quel- to Saviano). Ma la madre delle contese, lo dell’individuazione e investitura dei tale perché coinvolge il totem della legalimigliori da parte di altri migliori. Con la tà e spalanca il campo dell’interpretaziodifferenza non trascurabile che il Fatto ne laddove c’era un solo dogma, è quel“randella”, sicché (questa è almeno l’accu- la scaturita dal caso delle intercettaziosa scalfariana) distrugge a suon di manet- ni che coinvolgono il presidente della te lasciando dietro di sé solo macerie. E Repubblica Giorgio Napolitano. Nell’amsu quelle macerie non può che svettare il bito dell’inchiesta sulla presunta trattatidemagogo (sempre scalfarianamente par- va tra Stato e mafia, infatti, la procura di lando) del vaffanculo, ovvero Beppe Gril- Palermo ha captato alcune conversaziolo. È lì, sulla concitata conta di cosa som- ni, datate fine 2011, intercorse tra il capo mergere e cosa salvare, che si consuma la dello Stato e l’ex vicepresidente del Csm rottura tra il Grande Vecchio e coloro che Nicola Mancino (era quest’ultimo ad esseegli mai riconoscerà come i discepoli che re sotto controllo in relazione agli anni hanno imparato, irrobustito e portato alle delle stragi di mafia del 1992-’93). Quanestreme conseguenze la lezione del gior- do cominciano a girare le prime indiscrezioni, l’estate scorsa, sui contenuti di quei nale partito. In gennaio il Fondatore se la prende- colloqui, il clima si fa rovente e il capo va con «editorialisti qualunquisti e dema- dello Stato arriva a sollevare il conflitto goghi», senza neppure darsi la pena di di attribuzione davanti alla Consulta (che nascondere che si riferiva a Travaglio, si pronuncerà il 4 dicembre prossimo) Padellaro e compagnia. Non più tardi di quest’esta- Il caso dello scontro tra Napolitano e pm te lo scontro si infiammava con la comunità del Fat- di Palermo ha fatto emergere il cortocircuito to che discuteva di liste tra legalità e giustizia destinato a segnare dei sindaci e della società le sorti della sinistra italiana (e non solo) 40 | 21 novembre 2012 | | contro la procura di Palermo, ritenendo lese le proprie prerogative costituzionali. Napolitano rivendica, in quanto capo dello Stato, il diritto e il dovere di parlare di certe cose al telefono con il capo del Senato e chiede che le registrazioni vengano distrutte. E qui le strade dei due giornali si dividono sempre più. Il Fatto, che con la procura di Palermo ha (per usare un eufemismo) buoni rapporti, si scaglia contro i misteri del Quirinale evocando toni da scontro finale tra l’oscuro potere di palazzo e i magistrati senza macchia e senza paura che hanno nel neoguatemalteco Antonio Ingroia il proprio simbolo. Inaspettatamente il Colle trova proprio in Eugenio Scalfari uno dei suoi difensori più valorosi. Chi ha un po’ di memoria storica ricorderà che si tratta dello stesso Scalfari che, ambizioso ed eccezionale direttore dell’Espresso, vedeva consacrare la sua carriera per un altro caso che coinvolgeva un capo dello Stato. Tutt’altre vicende, ovvio. È il cosiddetto Piano Solo, la storia di un tentativo di golpe militare messo a punto nell’estate del 1964. Ad architettare il piano, poi rientrato, sarebbe stato il comandante generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo su istigazione del presidente della Repubblica, il democristiano Antonio Segni. La copertina “Complotto al Quirinale” del 14 maggio 1967 che lanciava l’inchiesta firmata da Lino Jannuzzi portò allora l’Espresso, e il suo direttore, sulla bocca di tutti. A parte le spiritosaggini di un destino che ti vede sedicente giustiziere di sordidi complotti da giovane e ti ritrova anziano sponsor della ragion di Stato, il caso è significativo perché squarcia l’ultimo velo, quello del cortocircuito tra legalità e giustizia destinato a segnare le sorti della sinistra italiana. Niente fa più rizzare i capelli a Scalfari di un magistrato, magari proprio Ingroia (il Guatemala non è poi così lontano e lui stesso prima di partire ha detto che fare politica è un diritto di tutti), in grado di saldare “partito dei sindaci”, grillini e quel che resta dei dipietristi. Il Grande Vecchio non vuole nemmeno pensare a un’ipotesi del genere. Anche perché gli elettori di un partito così preferirebbero i tintinnii del Fatto alle messe cantate di Repubblica. [lb] Foto: AP/LaPresse cultura riti mondani CULTURA LA STORIA INCONFESSABILE Il sangue (cancellato) dei vincitori Neri e Gianna, eroi partigiani insubordinati al Pci, assassinati dai comunisti perché testimoni scomodi dei crimini della Resistenza. Nelle lettere inedite di mamma Lena la terribile cronaca di un ordinario insabbiamento. Voluto dai vertici del partito S A distanza di quasi settant’anni, emergono le carte intime di Maddalena Zanoni Canali, l’eroica mamma del capitano “Neri”, il leader carismatico della Resistenza comasca eliminato dal gruppo dirigente del Partito comunista in quanto protagonista e testimone scomodo dell’epilogo di Mussolini. Scritti inediti che mettono sotto accusa la leadership del Pci e che documentano con molti dettagli fino ad ora sconosciuti gli interventi svolti da una madre per ottenere verità e giustizia in merito alla morte del proprio figlio. Da queste pagine si ricavano significativi e diretti elementi a sostegno dell’elevata statura politico-criminale di molti componenti della struttura di vertice del partitone rosso, forza egemone della lotta di liberazione. Luigi Canali fu prelevato (o, per meglio dire, sequestrato) a Como il 7 maggio 1945 e portato a Milano, dove fu vittima di una spietata esecuzione a freddo da parte di una squadra speciale di sicari agli ordini di Luigi Longo, numero due del Pci e comandante supremo delle Brigate Garibaldi. Poche settimane dopo, il 23 giugno, killer del Partito comunista trucidarono e scaraventarono giù dalla scogliera del Pizzo di Cernobbio, a picco sul lago, la compagna di Neri: la giovane staf- 42 ono i racconti dell’orrore. | 21 novembre 2012 | | fetta partigiana “Gianna”, al secolo Giuseppina Tuissi, che aveva osato indagare sull’uccisione del proprio uomo. Gianna aveva condiviso con Canali molti dei segreti di una comune militanza nelle file della Resistenza. Insieme avevano gestito i trasferimenti del prigioniero Mussolini, e insieme avevano contabilizzato l’oro di Dongo, poi incamerato dal Pci. La Tuissi certamente era anche a conoscenza della verità sulle modalità della fucilazione del Duce, atto cruento al quale partecipò come testimone, ma forse pure come attore protagonista, anche Luigi Canali. La cortina dell’omertà La vicenda di Neri e Gianna è tra le più drammatiche della Resistenza. Arrestati dalle Brigate Nere a Lezzeno, sul Lario, la notte tra il 6 e il 7 gennaio 1945, resistettero alle torture rifiutandosi di fare delazione. Canali, la notte del 29 gennaio, riuscì a evadere dalle carceri di Como Borghi. Per il suo partito, si trattava in realtà di una fuga concordata con i fascisti: cioè la prova che Neri aveva tradito. Il 21 febbraio successivo, un tribunale partigiano comunista, riunitosi a Milano sotto la presidenza di Amerigo Clocchiatti, emise un’inappellabile sentenza di morte contro Canali, reo di aver collaborato con i fascisti. Inutile aggiungere che a sostegno della colpevolezza di Neri non vi era la minima prova. Il Partito comunista, Foto: AP/LaPresse di Roberto Festorazzi* Luigi “Neri” Canali, leader della Resistenza comasca, e la sua compagna Giuseppina Tuissi, la partigiana “Gianna”, furono uccisi su ordine del Pci nel ’45. Avevano assistito alla fine del Duce e contabilizzato l’oro di Dongo. Per ottenere la riabilitazione di Neri, accusato ingiustamente di tradimento, la madre lottò a lungo, fino a scomodare Togliatti. Invano nondimeno, aveva deciso di eliminare un elemento di rilievo che aveva la pretesa di voler discutere ogni direttiva, senza compiere atto di servile e incondizionata sottomissione nei confronti dei suoi capi. Le carte private di Maddalena Canali contribuiscono ora a illuminare le zone d’ombra di un caso tragico e complesso che è sempre gravato come un oscuro senso di colpa sulla sinistra. Si tratta di una serie di appunti che, una volta ordinati, appaiono come una sorta di memoriale postumo. Tra questi scritti vi è anche un’interessante lettera inedita che la madre di Neri scrisse alla Gianna il 5 giugno 1945, nella quale si colgono gli echi delle affannose ricerche che le due donne stavano compiendo, per ricostruire le modalità della sparizione del | | 21 novembre 2012 | 43 LA STORIA INCONFESSABILE CULTURA Foto: AP/LaPresse loro caro. Dal memoriale di Maddalena Canali si apprendono così nuovi particolari sul calvario che i familiari del partigiano comasco dovettero affrontare nel tentativo di far breccia nella cortina di omertosi silenzi che il Pci aveva eretto attorno al caso. La madre di Neri elenca le personalità del partito che avvicinò, tra il maggio del 1945 e l’anno successivo: dai diretti responsabili dell’eliminazione di suo figlio (e poi di Gianna), Pietro Vergani “Fabio” (capo della delegazione lombarda delle Brigate Garibaldi) e Dante Gorreri (segretario della federazione comasca del Pci), fino a dirigenti di primo piano come Gaetano Chiarini, su su fino a Palmiro Togliatti e a sua moglie Rita Montagnana. L’inquisitore in casa Agghiacciante il colloquio che “mamma Lena” ebbe con Vergani. Questi le disse che Neri aveva pagato con la vita la sua insubordinazione. La donna allora mostrò a Vergani la dichiarazione giurata che un fascista le aveva reso, a discolpa di suo figlio. Questo fascista, che si chiamava Enrico Mariani, aveva saputo dal federale Paolo Porta che era stato lui a diffondere la voce del tradimento di Canali, per danneggiarne la figura morale, d’accordo con un capo comunista. E quest’ultimo non poteva essere che Dante Gorreri, il quale aveva – lui sì – da farsi perdonare il compromesso raggiunto in carcere con i fascisti per salvare la pelle. Ma quando Maddalena Canali mostrò a Vergani la dichiarazione di Mariani che inchiodava Gorreri e scagionava suo figlio, quello si rifiutò di prenderla in considerazione, aggiungendo che «erano testimonianze di fascisti e che fra una settimana non avrebbero più parlato, perché lui li avrebbe fatti portare e fatti ammazzare a Ravenna». Perché proprio a Ravenna? Vale la pena di ricordare che padrone incontrastato di quella provincia era Arrigo Boldrini, il comandante partigiano “Bulow”, che instaurò un regime di terrore nel territorio del delta del Po. La madre di Neri incontrò altri dirigenti del Pci. Fra questi, Gaetano Chiarini, classe 1898, bolognese, membro della direzione nazionale comunista. La madre di Neri lo chiama «despota e inquisitore del partito», per via della dura missione che compì, su incarico di Togliatti e di IL DOCUMENTO DA UNA MADRE SENZA PACE A UNA DONNA IN GUERRA Nel memoriale di Maddalena Canali ci sono tutti i nomi delle personalità del Pci che avvicinò tra il maggio del 1945 e l’anno successivo. Dai diretti responsabili dell’omicidio di Neri ai pezzi grossi come Gaetano Chiarini Como, 5-6-45 Carissima Giuseppina, oggi mi sono recata da Mentasti [Remo Mentasti, valigiaio comunista comasco che fu custode dell’oro di Dongo, ndr]; gli ho esposto tutte le nostre cose, lui è del parere che tu venissi a Como una scappatina, potresti a mio parere domandare il permesso per andare a prendere i tuoi indumenti, così noi possiamo metterci d’accordo, sia per parlare per la testimonianza che tu dovrai portare in tante cose riguardanti te e Luigi, sia riguardo all’interesse di cui abbiamo parlato col tuo papà, intanto parlane a Sam se puoi, se è ancora del parere di portarti a Como, come ti disse prima, per parlare con questo Nicola [“Nicola”, nome di battaglia di Dionisio Gambaruto, rinviato a giudizio per l’uccisione di Canali, ndr], porta il memoriale di Luigi e anche la sua giacca se puoi, inoltre gli occhiali da miope che mi hai mostrato domenica, ti spiegherò poi il perché. Guglielmo [“Guglielmo” nome di battaglia di Dante Gorreri, ndr] è tornato, ora credo che Vincenzina [Vincenzina Coan, amica della famiglia Canali, ndr] cercherà d’incontrarlo e poi ne parleremo, poi ti dirò che ho ricevuto una lettera, dalla signorina Peri Angela, se ti ricordi quando sono venuta la prima volta a casa tua, che ci siamo recate in quel posto, ma non mi ricordo come si chiama. Abbiamo parlato in merito alla tua riabilitazione nel partito, e anche di Luigi; la prima volta che ci incontreremo ti mostrerò anche questa lettera, e chiederemo in merito. Quando vieni, devi venire alla mattina un po’ presto così avremo modo di poter fare tante cose, ieri sera io e la zia Maria siamo andate a far visita alla signora Masciadri, anche di questo colloquio ti parlerò, sono ansiosa di sapere se hai già parlato con Manelli e cosa ti ha detto, intanto ti saluto tanto, nella speranza di migliori notizie. Mamma Lena Longo, recandosi a casa Canali nel tentativo di ridurre al silenzio una madre che non era disposta a cedere. so partito e, in pratica, consegnati nelle mani degli scherani fascisti che li ammazzarono. La ragione di questo palese tradimento è presto detta: esattamente come La rivendicazione di Longo Canali, anche i Cervi non erano ligi alle Chiarini non era un personaggio qua- direttive comuniste. Nell’epilogo dei setlunque: il suo nome ricorre in una delle te fratelli partigiani un ruolo decisivo vicende più torbide della Resistenza, l’as- venne giocato proprio da Gaetano Chiasassinio dei sette fratelli Cervi, avvenuto rini, giunto a Reggio Emilia nel novemnel Reggiano alla fine del 1944. Il “caso bre del ’44 a sostituire il precedente segreCervi” è emblematico della deriva stalinia- tario della federazione clandestina comuna che s’impadronì del Pci nel seno della nista. Chiarini agì come un “commissalotta resistenziale. I sette fratelli partigia- rio ad acta”, come un plenipotenziario ni, infatti, vennero scaricati dal loro stes- rosso: normalizzò il partito assegnando alle responsabilità chiave, Quando Maddalena Canali mostrò a Vergani la politiche e militari, uomini provata obbedienza e di dichiarazione che scagionava suo figlio, quello di spietata durezza, in modo rispose che «erano testimonianze di fascisti e da rafforzare la strategia che lui li avrebbe fatti ammazzare a Ravenna» che prevedeva il ricorso | | 21 novembre 2012 | 45 CULTURA LA STORIA INCONFESSABILE sistematico ai metodi terroristici nello scontro con i fascisti. Non fu, né poteva essere, dunque un caso che Togliatti e Longo mandarono a Como Chiarini, affinché spendesse argomenti persuasivi come le minacce allo scopo di stroncare l’iniziativa dei familiari di Neri, che stavano mettendo sotto accusa un intero partito. Il quale Pci, però, non soltanto non si lasciò intimidire, ma giunse a rivendicare pubblicamente l’assassinio di Canali. Accadde, a Como, durante un comizio di Luigi Longo, presente anche la madre di Neri. Una provocazione inutile, nella sua sfrontatezza, che convinse la donna, una volta di più, della necessità di non abbassare la guardia nella sua solitaria lotta contro il Moloch Rosso. n *storico e giornalista, indaga da tempo sul periodo del fascismo e della successiva guerra civile italiana. Ha all’attivo diversi libri tra i quali Caro Duce, ti scrivo. Il lato servile degli antifascisti durante il Ventennio; I veleni di Dongo. Gli spettri della resistenza; Margherita Sarfatti. La donna che inventò Mussolini; Uccidete il Duce! La congiura degli “Amici del Popolo” e gli attentati a Mussolini PARLA GIAMPAOLO PANSA Vittime sulla via della “Liberazione” «Sembrano delitti inspiegabili, ma i rossi avevano un piano per l’Italia. Eliminavano gli ostacoli dalla strada verso la conquista della loro “Ungheria”» «L a vicenda di Neri e Gianna è tipica della strategia comunista di quegli anni. Scopo del Pci non era soltanto di giungere a una soluzione della guerra (a quello ci avrebbero pensato gli angloamericani), ma soprattutto di affermare la propria assoluta supremazia all’interno del fronte di liberazione». Giampaolo Pansa, autentico fenomeno editoriale dell’ultimo decennio, a partire dal suo fortunato best seller Il sangue dei vinti (mentre è ora in libreria la sua ultima fatica, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti, Rizzoli), non ha mai scritto 46 | 21 novembre 2012 | | del caso dei due partigiani di Dongo. Ma è ugualmente convinto che la loro morte vada inquadrata nel vasto disegno dei comunisti di «dare una spallata per arrivare alla conquista del potere». «Se si considerano isolatamente, questi delitti possono sembrare senza spiegazione. Ma se li si guardano nella loro complessità, appare chiaro che trovano una giustificazione nella strategia dei comunisti volta a sgombrare il terreno da personaggi influenti, con un loro seguito, che li avrebbero ostacolati nella guerra da fare dopo il 25 aprile. Anche le mat- tanze dei fascisti, avvenute nelle settimane e nei mesi successivi alla Liberazione, non furono soltanto vendette su larga scala. Il Pci ragionava con una terribile logica, che è la seguente: bisognava ammazzare il numero maggiore possibile di fascisti, per togliere di mezzo i possibili oppositori del colpo di mano rosso. Insomma, si voleva creare un clima da “paralisi del terrore” che avrebbe facilitato la conquista del potere da parte dei comunisti, che volevano trasformare l’Italia nell’Ungheria del Mediterraneo». Perché finora non ha mai scritto nulla sugli orrori di Dongo? «Perché sul tema esiste già una letteratura infinita», spiega Pansa. «A me premeva di parlare di cose di cui nessuno si era mai occupato prima. In dieci anni ho ricevuto ventimila lettere da parte di lettori dei miei libri, soprattutto donne. E ancora oggi ne ricevo in numero impressionante. Queste lettere hanno sempre lo stesso cliché: “Caro Pansa, ho letto il suo ultimo libro. Non ci ho trovato la mia storia, perciò gliela racconto”. Ecco, esiste un mondo al quale nessuno ha riconosciuto il diritto né di ricordare, né di parlare, né di essere rammentato. Io ho semplicemente voluto dare una voce a questi italiani prigionieri del loro silenzio». [r.fe.] Foto: AP/LaPresse Giampaolo Pansa, giornalista e scrittore, è appena tornato in libreria con La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (Rizzoli). A lato, la gente in festa a Milano per la fine della guerra (aprile 1945) cultura nel tempIo della lirica Il coraggio di cambiare musica Alla vigilia di una doppia inaugurazione della stagione che metterà in dialogo Verdi e Wagner, il sovrintendente della Fenice di Venezia spiega perché occorre parlare di cultura in termini di efficienza e qualità. «Come in un’azienda» «V anni, al Fondo Unico per lo Spettacolo da foto/ col colombo in man/ parte del governo. La sua visione “aziencosì, sorridi bene senza dalista” del teatro non vuole essere prosmorfie,/ lo sguardo fisso su di me/ men- vocatoria, ma improntata al buon sentre conto fino a tre,/ sarai contenta quan- so. «Significa mettere a frutto il tesoro do poi/ tua cugina lo vedrà/ che a Vene- che abbiamo tra le mani», spiega a Temzia siamo stati anche noi». Ci vuole la pi nell’emozionata vigilia di una stagiovoce, oltre che la poesia, di Paolo Conte ne particolarmente impegnativa e impora raccontare cosa sia Venezia per chi vi tante che prenderà il via venerdì prossisbarca orgoglioso quasi fosse un traguar- mo con un calendario di grande spessore do, come la cugina celebrata nella can- per festeggiare il bicentenario della nascizone simbolo di un’irresistibile (e mai ta di Verdi e Wagner, due maestri profonscomparsa) Italia provinciale. Chissà se damente legati alla città lagunare. la famosa cugina aveva mai messo piede Da alcuni anni, racconta Chiarot alla Fenice. La provocazione è pertinente per spiegare che cosa significhi visione se si vuol parlare del grande teatro senza “aziendale” della cultura, il teatro La Fenicostringere la cultura a un rito officiato ce è aperto ai visitatori, in gran parte turiper pochi colti eletti. sti, anche durante le prove degli spettacoQuando Cristiano Chiarot, che nella li. «Abbiamo chiesto agli artisti uno sforzo vita è stato anche giornalista e dirigen- in più, assicurato l’assoluta disciplina del te d’azienda, è stato nominato sovrinten- pubblico e devo dire che funziona». Fundente della Fenice, nel dicembre 2010, ziona e rende, se è vero che oggi circa un aveva in testa di farne un teatro più milione di euro all’anno entra nelle casse “aziendale”. L’uomo, che in questo tem- della Fondazione che gestisce il teatro solpio della musica ha lavorato con ruo- tanto dalle visite della struttura. Perché li diversi per oltre un decennio prima alla Fenice c’è uno spettacolo che si gode di arrivare alla carica che ricopre tutt’oggi, non si Da alcuni anni il teatro è aperto alle visite scandalizza della parola anche durante le prove. «Abbiamo chiesto “profitto”. E non si lamenagli artisti uno sforzo e oggi quelle visite ta neppure del taglio, che pure è costante in questi fanno guadagnare un milione al teatro» 48 ieni, facciamo ancora un’altra | 21 novembre 2012 | | anche prima che si apra il sipario. La fulgida bellezza del teatro è infatti impreziosita da una storia accidentata e avventurosa, che ha visto questo gioiello, che si iniziò a progettare nel 1789, distrutto per due volte. L’ultimo devastante incendio doloso ha quasi completamente raso al suolo il teatro nel 1996 e solo nel 2003 si è potuta rispolverare la scontata, eppure azzeccata, metafora della Fenice che rinasce dalle proprie ceneri. «Questo teatro – riprende Chiarot – ha delle grandi qualità a livello artistico e bisognava metterle in condizione di esprimersi. In più c’era un altro elemento: ci eravamo accorti che più spettacoli proponevamo, più pubblico attirava- Sopra, il sovrintendente della Fenice di Venezia Cristiano Chiarot. Sotto, il maestro Myung-Whun Chung, alla guida dell’Orchestra e del Coro della Fenice (Foto: Jean-François Leclercq). A lato, una veduta del teatro, riaperto nel 2003 dopo che un incendio doloso lo distrusse quasi completamente nel 1996 (Foto: Michele Crosera) mo». Semplice, ma non banale. La Fenice, come e forse più di altri teatri, ha un ventaglio di pubblici estremamente diversi. Ci sono i melomani che arrivano dalla città e dal resto d’Italia e poi ci sono i turisti, spesso solo genericamente innamorati della musica ma ugualmente interessati a beneficiare di quel “brand” internazionale che è La Fenice. «Per i turisti – riprende il Sovrintendente – abbiamo modulato un’offerta su misura, immutata in termini di qualità ma più agile in termini di tempi». Così si spiega il grande sforzo di mettere in cartellone anche due spettacoli diversi nello stesso weekend, «per dare la possibilità a chi è in città di passaggio di vedere anche più di una recita. In que- sta stagione – spiega Chiarot – abbiamo 18 titoli e 122 recite d’opera, senza contare i concerti sinfonici e ormai da anni cerchiamo di proporre un’offerta valida e specifica in ogni periodo dell’anno». In attesa di conoscere i risultati di uno studio avviato con la Camera di Commercio per quantificare l’impatto economico del teatro sulla città di Venezia, Chiarot sottolinea come l’efficienza di cui va tanto fiero sia figlia di un progetto culturale pre- ciso. «Insieme al direttore artistico Fortunato Ortombina siamo riusciti a valorizzare la grande fantasia dei professionisti che abbiamo qui mettendola al servizio del teatro e della città stessa. Perché il discorso sull’efficienza è un altro aspetto del discorso sulla qualità dell’offerta culturale. Le due cose non sono alternative o destinate a non incontrarsi mai. Se non riuscissimo a pagare i costi con il botteghino non potremmo fare il lavoro che facciamo». Eppure «Il discorso sull’efficienza è un altro aspetto l’idea di far incontrare cultura e mercato evoca contidel discorso sulla qualità dell’offerta nuamente mal di pancia, il culturale. Le due cose non sono alternative terrore che l’una possa essere svenduta in nome delo destinate a non incontrarsi mai» | | 21 novembre 2012 | 49 cultura nel tempio della lirica due capolavori Doppia inaugurazione In occasione del bicentenario della nascita di Verdi e Wagner la Fenice proporrà una vera doppia inaugurazione della propria stagione lirica, con due titoli “veneziani” di Verdi e Wagner, Otello e Tristan und Isolde. La serata di gala con Otello è prevista per il 16 novembre seguita, domenica 18, da Tristan und Isolde. le ciniche ragioni dell’altro. «Il valore che un’opera d’arte può generare è duplice: immateriale ed economico. Ecco, noi diciamo che quei due tipi di valori, come in qualunque azienda, devono procedere di pari passo. Rifiuto l’idea che la cultura debba essere per forza in perdita. Un grande artista come Picasso è stato intelligente e fortunato a vendere i suoi quadri, mentre il povero Van Gogh è morto in miseria. Dovremmo preferire il destino del secondo a quello del primo per salvaguardare uno spirito genericamente poetico? Non credo». Verdi, Wagner e Venezia Anche quest’anno il teatro chiuderà il bilancio in pareggio. Nel 1996 la riforma degli Enti lirici voluta dall’allora ministro della Cultura Walter Veltroni doveva spingere i 13 Enti Lirici italiani ad attrarre gli investimenti dei privati. «Purtroppo – spiega Chiarot – quella è rimasta più che altro una buona intenzione per due moti50 | 21 novembre 2012 | | vi. Il primo è che non c’è in Italia una legge per la defiscalizzazione dei contributi alle aziende culturali e poi perché manca una tradizione solida del mecenatismo in Italia». Ad oggi il grosso dei fondi della Fenice arriva dallo Stato con il Fondo Unico per lo Spettacolo (14,5 milioni), poi ci sono i circa 8 milioni dal botteghino, 4,4 dal Comune di Venezia, 1,5 dalla Regione, 3,5 dai privati e circa due milioni di incassi vari. «Siamo responsabili di quello che riceviamo dallo Stato». In occasione del bicentenario dalla nascita di Giuseppe Verdi e Richard Wagner, due compositori entrambi molto legati a Venezia, la Fenice ha messo in piedi un progetto che accosta due opere centrali sia nella produzione dei singoli A sinistra, in alto, una scena dell’Otello di Verdi e, sotto, una del Tristano di Wagner. (Foto: Michele Crosera). Sopra, due bozzetti di scena dell’opera wagneriana artisti, sia nella storia dell’opera lirica in generale. Si alterneranno così sul palco, in una maratona che non ha eguali in Italia, l’Otello di Verdi e il Tristano e Isotta di Wagner. La Fenice avrà dunque per la prima volta una doppia inaugurazione, con due opere portate in scena da due diverse compagnie di canto e da due registi, mentre il direttore, Myung-Whun Chung, sarà lo stesso, a dimostrare l’unitarietà del progetto complessivo. Il 16 novembre si parte con la prima di Otello, per la regia di Francesco Micheli e il 18 sarà la volta del Tristano e Isotta firmato da Paul Curran. L’accoppiata dei bicentenari della nascita di Verdi e Wagner sarà inoltre l’occasione per due grandi concerti che si svolgeranno nel giorno esatto dell’anniversario della nascita dei due compositori: il concerto in In occasione del bicentenario della nascita omaggio a Wagner è prodi Verdi e Wagner la Fenice avrà due prime grammato per il 22 maggio dando il via a una maratona unica in Italia 2013, quello per Verdi il 10 tra le opere dei due grandi maestri ottobre 2013. [lb] L’ITALIA CHE LAVORA Una scelta di campo Tutto è iniziato con l’idea di “salvare” le terre del Parco Sud di Milano. Poi sono arrivati i primi raccolti, il negozio, l’allevamento dei vitelli e il maneggio. Storia della cascina Santa Marta e di una occasione che è diventata impresa U miltà, pazienza, sacrificio e una certa dose di coraggio. Serve questo per accettare la proposta di tornare a lavorare nei campi, far fruttare la terra, sudare sotto il sole cocente per far crescere una piantina. È così che è nata la Cooperativa agricola Santa Marta. Da una intuizione, una delle tante, di don Luigi Giussani: per salvaguardare i monaci benedettini della Cascinazza da una eventuale speculazione edilizia futura, occorreva acquistare i terreni intorno al monastero, una cascina e tornare a lavorare la terra. Non solo, perché l’idea era anche quella di dar vita a un luogo pronto ad aiutare chiunque fosse in cerca di aiuto. Emilio è stato il primo a imbarcarsi nell’avventura che diverrà la Cooperativa Santa Marta, che prende il nome dall’omonima cascina situata nel Parco Sud di Milano, a Zibido San Giacomo. Il casale non era abbandonato, ad abitarlo era la famiglia Binda Beschi, ben lieta di accogliere qualcuno in quell’edificio enorme, e felice di poter condividere con altre persone la fatica del lavoro. Fino a quel momento si coltivavano riso e mais, ma grazie all’arrivo dei nuovi inquilini e al loro dinamismo, il patrimonio della tradizione agricola sarebbe tornato a vivere nel suo splendore, seguendo la ricetta degli antichi valori. 52 | 21 novembre 2012 | | È il 1996 quando iniziano i primi lavori di ristrutturazione. La corte è uno dei tipici insediamenti rurali che da sempre popolano la pianura Padana. Ad accogliere il visitatore, quando arriva, un’antica torre merlata del Settecento. Oggi, dopo sedici anni, ad abitare la cascina Santa Marta ci sono undici uomini e dieci donne dell’associazione laicale Memores Domini, otto famiglie con relativa prole e don Gianni Calchi Novati: in tutto una sessantina di persone. E i lavori di rinnovamento non sono ancora terminati. Dalla coltivazione di riso e mais si passa a produrre anche frutta e verdura. L’idea è di Gianni: è da questo momento che l’azienda familiare si trasforma in una vera e propria cooperativa. Si riduce la superficie della coltivazione di massa e si iniziano a piantare frutta e ortaggi di vario tipo e per intensificare i raccolti si costruiscono le prime serre. Nel 2002 entra in società Federico. Viene da Crema, ha un diploma in ragioneria, dopo le superiori ha frequentato una scuola di pasticceria. E fino a quel momento si era divertito a sfornare torte e pasticcini. Niente a che vedere col lavoro dell’agricoltore. Arare, irrigare, seminare e trebbiare non lo aveva mai fatto. «Ho cominciato da zero. Me lo hanno proposto e ho detto di sì», dice sorridendo. «Mi occupo principalmente della parte amministrativa e commerciale, ma se bisogna andare nei campi non mi tiro indietro; in questo lavoro bisogna essere umili: quello che serve bisogna farlo senza troppi programmi perché quelli sono i primi a essere stravolti. Basta una grandinata o un mese di siccità e il raccolto va in fumo. Gli imprevisti tra i campi sono sempre dietro l’angolo. Quest’anno, ad esempio, abbiamo piantato gli spinaci ma per un motivo o per un altro non sono cresciuti come pensavamo e quelli che possiamo vendere sono davvero pochi». Di lavoro ce n’è sempre stato tanto in cascina, ma «In questo lavoro bisogna essere umili. Federico la sua busta paga Basta una grandinata o un mese di siccità l’ha dovuta inventare: «Ero e il raccolto va in fumo. Gli imprevisti contento della vita che avevo iniziato a fare, ma per tra i campi sono sempre dietro l’angolo» A lato, il negozio e Federico Dendena, responsabile dell’area commerciale. Sopra e sotto, la cascina Santa Marta a Zibido San Giacomo (Milano) trovare i soldi del mio stipendio bisognava per forza aumentare i ricavi della Cooperativa. Così ho pensato a un piccolo negozio dove vendere i nostri prodotti. Grazie al passaparola e a qualche pubblicità ci siamo fatti conoscere, poi sono stati gli stessi clienti a chiedere prodotti sempre diversi: ortaggi, frutta, riso arborio, carnaroli, integrale, venere». Nel giugno 2011 il salto di qualità con un punto vendita tutto nuovo, premiato dal Club di Papillon come migliore bottega del Gusto d’Italia all’interno della rassegna enogastronomica di Golosaria. Ristrutturando locali preesistenti è nato l’attuale negozio che conserva travi e mattoni a vista, dove oltre ai prodotti della cascina si possono trovare specialità tipiche e delicatezze gastronomiche di altissima qualità: la pasta Makaira fatta con orzo e farro, la birra dei monaci della Cascinazza, l’olio d’oliva toscano, il salame artigianale cremasco, i formaggi di Marco Vaghi – uno dei migliori affinatori d’Italia –, vini doc dell’Oltrepò Pavese. E non è finita qui perché, da sette anni, la Cooperativa propone ad aziende e privati la possibilità di acquistare ceste gastronomiche di diverse grandezze per i regali natalizi. Il sogno di domani E sempre dei clienti è la richiesta di poter acquistare carne di animali cresciuti e nutriti da persone fidate. «Oggi, su ordinazione, recuperiamo i tagli richiesti. Ci appoggiamo all’azienda agricola di Alseno, in provincia di Piacenza; lì compriamo alcuni vitelli che, per circa due mesi, portiamo all’ingrasso qui da noi, poi li facciamo macellare. E il cliente è contento perché sa di potersi fidare». Fuori dalla corte è stato costruito il magazzino e, dal giugno 2010, un maneggio con dieci cavalli: lezioni di equitazione, volteggio e riabilitazione equestre, sono solo alcune delle offerte. Il territorio intorno alla cascina è perfetto per organizzare passeggiate a cavallo: circondati da una natura incontaminata si possono incontrare ghiri, tassi, faine, volpi, conigli selvatici, donnole e lepri. Tra gli uccelli si possono osservare l’airone, il picchio, il cuculo, la cinciallegra, l’airone rosso, la cicogna bianca, il germano reale, la gallinella d’acqua, il martin pescatore e la poiana. Quando l’acqua dalle risaie si ritira, le strade e i margini dei fossati si ricoprono di gamberi d’acqua dolce e con un po’ di fortuna si possono vedere anche i gamberi rossi della Louisiana. «Organizziamo visite guidate dell’azienda e del territorio circostante, è un luogo ideale per le scolaresche. È impressionante vedere le facce dei bambini che si stupiscono delle cose più normali. Ti fanno domande incredibili: “Perché la fragola non è rossa?”. Semplice, perché non è ancora matura. Per noi è tutto normale, ma di fronte ai loro occhi non puoi non sorprenderti del loro stupore. E così anche noi torniamo a non dare per scontato nulla». Il prossimo obiettivo? «Aprire un punto ristoro per dare la possibilità a chi ci fa visita di degustare i nostri prodotti. E credo proprio che nel giro di due anni riusciremo a inaugurarlo». Daniele Guarneri | | 21 novembre 2012 | 53 GREEN ESTATE CINEMA LANTERNA VERDE, IN PROVINCIA DI SONDRIO Il sublime trittico di trote Ballata dell’odio e dell’amore, di Alex De La Iglesia Buono lo stile ma troppo violento di Tommaso Farina S o ritagliatevi questa scheda, se volete godervelo. Abbiamo pranzato alla Lanterna Verde di Villa di Chiavenna (Sondrio) senza sapere che pochi IN BOCCA giorni dopo avrebbe chiuso per tre settimane di riposo autunALL’ESPERTO nale. Voi state in vigile attesa: verso il 7 dicembre la famiglia Tonola riaprirà cancelli e fornelli del proprio magnifico locale, e vi toccherà correre su per una soave scorpacciata. E il bello è che tutto nacque come chiosco dedicato alle trote: Ezio Tonola scavò delle vasche per allevare personalmente i pesci, che poi offriva ai ghiottoni, cucinandoli alla “pioda”, ossia alla pietra, tradizione non solo della Valchiavenna ma anche della vicina Valtellina. Da lì, ecco l’idea di creare un vero e proprio ristorante. E che ristorante! Una sala alta e accogliente come quella in cui Beorn accolse Gandalf e Bilbo alla scoperta delle Terre Selvagge uscite dalla fantasia di Tolkien. Nel bicchiere, una lista dei vini curata con rara passione da Toni, già delegato dei sommelier di Sondrio. Nel piatto, la cucina di Andrea: tradizione e rivisitazione. Le trote ancora guizzano nelle vasche: ecco allora il Trittico, composto da tartara, terrina di trota affumicata con le verdure e bavarese di trota salmonata. Di primo, i “tajadin dulz de Villa”, lasagnette di farina di castagne con burro, formaggio locale e fiori di camomilla, ricetta ancestrale benissimo recuperata. Di secondo, una sublime costoletta di morbido cervo con rustiment (sformatino di patate, fagiolini e formaggio che ricorda i valtellinesi “tarozz”), cavoletti stufati e piccole mele selvatiche. Chiudete col semifreddo al mango con biscotto ai pistacchi e spuma di cioccolato bianco al lemongrass. Ma questa è solo parte della scelta offerta da una carta giudiziosamente imponente. Sul sito web il menù è sempre aggiornato. Preventivate un costo di circa 60 euro a testa, con la possibilità di scegliere diversi menù degustazione convenientissimi. Un posto che merita il viaggio, di corsa. egnatevi questo indirizzo Per informazioni Lanterna verde www.lanternaverde.com Frazione San Barnaba, 7 Villa di Chiavenna (Sondrio) Tel. 034338588 Chiuso martedì sera e mercoledì da, agisce nascosta, ma siamo consapevoli di quanta, effettivamente, ne stiamo consumando? Di come usarla al meglio senza troppi sprechi e conseguenze per l’ambiente?». Domande precise che sono diventate il tema di un concorso, “Energia da vedere”, indetto dall’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, in collaborazione con Fire e Isnova. L’iniziativa si rivolge a giovani filmmaker under 35 e a sviluppatori di applicazioni per smartphone e tablet, professionisti e non, HUMUS IN FABULA il concorso dell’enea App e film, i creativi che vedono l’energia «L’energia non la tocchi, non la vedi. Eppure, in forme diverse, si trova dappertutto. Serve per vivere, per produrre, per pensare; è il catalizzatore di tutte le nostre azioni quotidiane: illumina gli uffici, le strade, riscalda le case, fa funzionare gli elettrodomestici, alimenta le automobili. L’energia ci circon- 54 | 21 novembre 2012 | | Le vicissitudini del figlio di un pagliaccio repubblicano ammazzato dai franchisti. Film vecchio di due anni, arrivato solo ora per vicissi- tudini distributive. È il film più ambizioso dello spagnolo Alex De La Iglesia che ha alle spalle un bel giallo ricco di umorismo come La Comunidad e un altro paio di film trascurabili. Il progetto fa tremare i polsi: raccontare i decenni del franchismo spagnolo attraverso il punto di vista di alcuni clown di un circo, in particolare di HOME VIDEO The Raven, di Jame McTeigue Ritratto alcolico Edgar Allan Poe: tra bevute, passioni incontrollate e talento letterario. Ritratto alcolico e superficiale del noto scrittore americano. L’espediente è quello di Shakespeare in Love: un sacco di palle ma con nomi illustri. Non è il massimo, per la piattezza della regia di McTeigue a corto di trovate (il regista diV per vendetta) e poi per un cast che, penalizzato dal doppiaggio, sembra di gatte morte: John Cusack, Luke Evans e Brendan Gleeson ai minimi storici. chiamati a raccontare attraverso formule efficaci e originali come le innovazioni, la tecnologia ma anche i semplici gesti di tutti i giorni, possono aiutarci a utilizzare responsabilmente le risorse energetiche. Lanciato ufficialmente nel corso della manifestazione Ecomondo a Rimini, il concorso è articolato in quattro sezioni: “Corto” della durata massima di 3 minuti; “Spot video” della durata massima di 30 secondi; “Spot audio” della durata massima di 20 secondi; “Application” per smartphone/tablet iOS o Android. La registrazione e l’invio di ciascuna opera sarà possibile fino alle ore 14 del 18 gennaio 2013: entro questa data dovranno infatti essere inviati i moduli per partecipare ad una delle quattro sezioni del concorso attraverso il sito www.efficienzaenergetica.enea.it. Una giuria, composta da cinque membri selezionati tra autorevoli esponenti del mondo culturale e scientifico, decreterà i vincitori del premio e le menzioni speciali. Per ogni sezione del concorso sono in palio premi da 2.000 euro per il primo classificato e da 1.000 euro per il secondo. STILI DI VITA UN INNO AL CREATO uno, il clown triste che deve affrontare la morte del padre clown e repubblicano. De La Iglesia ci mette dentro tutto: le atmosfere alla Hitchcock, Buster Keaton e Charlie Chaplin, gli horror degli anni Trenta e anche tante crudezze e un po’ di cattivo gusto. Non gli manca lo stile ma la scrittura è inferiore alla regia: troppe ellis- La speranza necessaria si, troppi personaggi mal centrati, troppi cambi di registro e soprattutto c’è tanta, troppa violenza evitabile. visti da Simone Fortunato COMUNICANDO NOVITà AL CINEMA Oggi si comunica in tutte le lingue È sempre molto importante comunicare i progressi del mercato soprattutto se si tratta di strumenti utili: ecco quindi MovieReading (moviereading.com), la prima App per “leggere i film” su smartphone, tablet e occhiali hitech, selezionata tra oltre 600 progetti presentati e arrivata in finale al prestigioso premio Ga- Il regista Alex De La Iglesia di Annalena Valenti J ean Giono, L’uomo che piantava gli alberi. Uno di quei libri che sfuggono dalle MAMMA OCA mani dell’autore, che ne avrebbe voluto fare un racconto «per rendere piacevole piantare gli alberi», per diventare un inno alla creatività umana, al tempo che matura e fa crescere, alla speranza, alla rinascita e alla responsabilità di ogni uomo. Altro da manifesto ecologista è più un inno al creato, al creatore e alla sua creatura, così credibile che anche oggi in molti pensano che sia una storia vera. Scritto nel 1953, nel 1987 ne viene tratto un film di animazione che vince il premio Oscar. Dal 2008 è pubblicato da Salani in varie edizioni con e senza dvd. Un racconto anche per i bambini. Nel 2010 in un’edizione pop-up e quest’anno in un’edizione illustrata da Tullio Pericoli. Le immagini entrano nel testo, come annotazioni a margine, poi invadono la pagina e riscrivono la storia. Un di più di bellezza e di senso. Trovati, una volta di più, nelle pagine di un libro. «In generale Vergons portava i segni di un lavoro per la cui impresa era necessaria la speranza. La speranza era dunque tornata… Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole». mammaoca.wordpress.com SMAU business 2012, ottenendo anche un premio nella categoria “Mobile e disabilità” dello Smau Mob App Award, contest itinerante a sostegno della cultura dell’innovazione in ambito mobile. Prestigioso riconoscimento sulla strada dell’inclusione sociale, MovieReading è un grande “supporto” di comunicazione che permette di richiamare al cinema le categorie sociali fino a ora rimaste escluse, evitando agli esercenti spese in ristrutturazione degli impianti. Grazie a questa App, finalmente, il cinema è piu “democratico” che mai. Emanuele Gallo Perozzi etano Marzotto. Semplicissimo il funzionamento: l’utente deve scaricare e installare l’applicazione MovieReading sul proprio smartphone o tablet, insieme ai sottotitoli del film (presenti nella sezione “Market” dell’applicazione). Arrivato al cinema, l’utente attiverà i sottotitoli che si sincronizzeranno automaticamente con l’audio della pellicola, a questo punto potrà godersi a pieno la visione del film. Innovazione vincente sviluppata da Universal Multimedia Access, società detentrice dei brevetti mondiali che è stata ospite dell’ultima edizione di Giffoni Experience e di | | 21 novembre 2012 | 55 PER PIACERE la dimensione estetica ed esistenziale Il segreto del presepe, tradizione che attira i credenti e non solo AMICI MIEI libri Il volto moderno del popolo devoto Dal 15 al 20 febbraio del 2010 i devoti di Padova e non solo hanno potuto pregare davanti ai resti mortali di Sant’Antonio, eccezionalmente esposti al pubblico nella bara di vetro che lasciava intravedere la sagoma ossea del corpo del Santo a quasi otto secoli dalla sepoltura. Nei sei giorni di ostensione più di duecentomila persone si sono raccolte in preghiera e perché un evento tanto imponente non restasse solo un bel ricordo, il Messaggero di Sant’Antonio ha voluto commissionare all’Osservatorio Socio-Religioso del Triveneto un’indagine per affrontare, da un punto di vista scientifico e sociologico, il fenomeno della religiosità popolare. Se l’intento è apprezzabile, il risultato è addirittura sorprendente. Il volume Toccare il divino (a cura di Alessandro Castegnaro e Ugo Sartorio, Edizioni Messaggero Padova, 174 pagine, 16 euro) descrive infatti una religiosità popolare lontana dallo stereotipo che la vuole confinata a credenti anziani, con bassi livelli di istruzione, con percorsi che i maliziosi giudicano al limite della superstizione nel cammino che li porta a chiedere grazie e miracoli ai santi. Al contrario, i 2.707 questionari sottoposti ai pellegrini nei giorni dell’ostensione straordinaria di Sant’Antonio, mostrano che la religiosità popolare è solida e interessa uno spettro ampio e variegato di persone consapevoli. Essa «non è traccia residuale di un passato che si sta spegnendo, bensì segno di percorsi antichi ma capaci di rigenerarsi entrando in relazione con le domande dell’uomo contemporaneo, e in grado di indicare una via lungo cui abbeverarsi alla sorgente, lì dove il divino rifulge, seduce e rimette in movimento la vita». di Filomena Rizzo P Natale e il presepe affascinano tutti, anche chi non crede? Questo è l’interrogativo al quale risponde il libro: Il Natale e il Presepe nel Cuore dell’uomo (Solfanelli Editore, 150 pagine, 12 euro). Il testo di Corrado Gnerre va a colmare un vuoto: non tanto quello della trattazione teologica, ma soprattutto quello della dimensione estetica ed esistenziale. Il saggio si presenta con una copertina, l’Adorazione dei Pastori del Ghirlandaio, che predispone il lettore a scorrere le prime pagine con piglio serio ed intellettuale, ma man mano lo stesso lettore si ritroverà ad avere tra le mani delle pennellate di sentimenti e, quasi senza accorgersene, con nostalgia, versando forse qualche lacrima, terminerà le 150 pagine con uno sguardo da fanciullo. Il testo tratta del Natale ma anche del Presepe. Lo scorgere l’immagine del Divino Bambino Gesù che tende le sue piccole braccia verso la Madre e il Suo sguardo che incrocia quello di Maria quasi a supplicare amore e protezione, desta la più significativa tenerezza. Tutto ha inizio da una tenerezza: nessuna religione pretende affermare che tutto possa partire da questo. Lì, dove Dio, nella piena consapevolezza della Sua divinità, mendica l’amore materno e vuole essere “accolto” da Maria, si ritrova la vera attesa di ciò che desidera l’umanità. Questo sentimento è sperimentato anche dai non credenti che riconoscono in una rappresentazione semplice o di pregio l’eterno bisogno di ciascuno, anche di Gesù, di essere abbracciato, amato, atteso, accettato. Anche i non credenti vengono pervasi da quella atmosfera di pace, di amore che aleggia tra i personaggi che, nel caso del presepe, pur statici, creano nell’aria una forza propria che è difficile per chiunque non percepire. Il presepe ha in sé un’estetica del bello. E proprio sulla Bellezza, come categoria trascendentale della Verità, l’autore ha fondato Il Cammino dei Tre Sentieri, dove sostiene coerentemente che in vista di un completo avvicinamento alla verità, essa vada amata (Primo Sentiero); conosciuta (Secondo Sentiero); e gustata (Terzo Sentiero). Con simpatia campanilistica il professor Gnerre dedica un capitolo al valore apologetico del presepe napoletano del quale è appassionato cultore e realizzatore. Un libro bello da leggere e da regalare. erché il eventi educativi Un giorno di festa per conoscere ostetriche e tagesmutter Un’associazione culturale di ostetriche che promuove un approccio olistico e naturale ai temi della gravidanza e della maternità. E poi una cooperativa sociale che da anni forma e mette in rete le Tagesmutter, figure professionali di donne che decidono di fare della propria maternità un lavoro aprendo la loro casa ad accogliere altri bambini insieme ai propri figli. Quello tra l’associa- il libro alla mamma e alla famiglia, garantirà proprio la continuità tra la figura della ostetrica e quella della tagesmutter. Informazioni dettagliate sul programma della giornata (non mancano le attività ricreative dedicate ai bambini) sono disponibili sui siti lunanuova.it oppure lacasatagesmutter.it. eventi gastronomici/1 A Cremona il torrone torna protagonista Dopo lo strepitoso successo dello scorso anno, l’edizione 2012 della grande kermesse Torrone & Torroni si presenta anche quest’anno con una ricca serie di appuntamenti, incontri, degustazioni e spettacoli che non deluderanno in nessun modo tutti i visitatori che raggiungeranno Cremona dal 16 al 18 novembre prossimi. Il tema guida di quest’anno sarà la dolcezza, perché a Cremona la dolcezza è di casa, col torrone, prodotto simbolo della città e della sua storia, ma anche con l’armonia dolce dei palazzi storici e la melodia struggente dei suoi violini. eventi gastronomici/2 Leccarsi i baffi con Golosaria a Milano Accende sette candeline Golosaria Milano, la rassegna di cultura e gusto organizzata dal Club di Papillon che quest’anno avrà luogo a Milano dal 17 al 19 novembre. Tante le novità dell’evento ideato da Paolo Massobrio, a cominciare dalla location: gli oltre 4.000 metri espositivi di Palazzo del Ghiaccio e Frigoriferi milanesi. Qui, si raduneranno i 100 migliori artigiani del gusto provenienti da tutta Italia selezionati dal Golosario 2013 in uscita per l’occasione. Assaggi, show cooking e conferenze a tema faranno la felicità di chi apprezza i piaceri enogastronomici della vita. Per info: golosaria.it. zione culturale La Luna Nuova e la cooperativa La Casa Tagesmutter è l’incontro tra due realtà di questo tipo, impegnate da anni nel campo della maternità e dell’educazione. Per festeggiare l’inizio della collaborazione, La Luna Nuova e la cooperativa La Casa organizzano sabato 24 novembre una giornata dedicata alle famiglie, dalle 10 alle 18 presso i locali della Luna Nuova, in via Settembrini 3 a Milano. La giornata sarà l’occasione per presentare anche la nuova figura professionale della “MammAssistant”, che, nel sostegno | | 21 novembre 2012 | 57 DI NESTORE MOROSINI MOBILITÀ 2000 OPEL HA PRESENTATO UNA UTILITARIA Arriva Adam, citycar agile e gradevole O Adam, presentata in questi giorni, è una citycar pretenziosa e simpatica che intende collocarsi nel contesto delle vetture trendy. Entra in campo con lineamenti in cui s’intersecano classici stilemi di casa Opel, ben trasmessi dal frontale e dalle scolpiture che affiorano sulle fiancate, con ispirazioni tratte da modelli di successo. Il risultato finale, comunque, si traduce in un’auto che sembra più grossa di quanto non sia in realtà – è lunga 3,69 metri, larga 1,72 e alta 1,48 – anche se poi, inevitabilmente, le dimensioni compatte si avvertono nell’abitacolo, dove lo spazio è adeguato alle esigenze dei passeggeri solo nella zona anteriore. Il bagagliaio ha capacità base di 170 litri che aumentano a 663 ribaltando il divano posteriore. L’ambiente interno è reso gradevole dallo stile dell’arredamento e dall’originale strumentazione. Gli equipaggiamenti Jam, Glam e Slam danno all’Adam personalità che, rispettivamente, si indipel Tre Adam in diverse colorazioni: in evidenza le scolpiture sulle fiancate. Nelle foto piccole: la guida, gli strumenti, l’infotainment rizzano verso giovani, sportivi e donne. Jam, Glam e Slam (oltre a 6 airbag, Abs, Esp e altri sistemi rivolti alla sicurezza e all’aiuto alla guida come il servosterzo City) offrono anche il climatizzatore e l’impianto hi-fi, oltre ad accessori coerenti con l’allestimento. Fra l’altro Opel Adam propone un programma di personalizzazione smisurato: la casa dichiara oltre 30 mila combinazioni. Jam, Glam e Slam in Italia arrivano con due motori a benzina (un 1.200 da 70 cavalli e un 1.400 da 100 cavalli) con prezzi che partono da 11.750 e arrivano a 15.600 euro. Adam mette in campo una buona agilità e un comportamento affidabile, grazie anche ai buoni influssi del passo corto e delle carreggiate larghe. | | 21 novembre 2012 | 59 UN ALTRO MONDO è POSSIBILE una testimonianza Cristo e il kiwi. Il nostro cammino educativo di Aldo Trento N el clima di confusione che viviamo ab- biamo bisogno di incontrare persone la cui vita è afferrata da Cristo per cui non c’è un dettaglio che non solo impedisca di riconoscere la Sua Presenza ma anche di amarla con profonda gratitudine. Quest’anno per Paolino e anche per me è stata e continua ad essere una grande possibilità, una grande risorsa per la nostra adesione al Mistero. Questa grande Presenza, come amava definirla il servo di Dio monsignor Luigi Giussani, non ce ne ha risparmiata una che sia una. All’inizio non è stato facile riconoscere che quanto ci accadeva era una modalità con cui il Mistero si manifestava nella nostra vita, chiamandoci a guardarlo in faccia, così da vivere solo ed esclusivamente per lui. È stata una battaglia che solo consegnandoci totalmente ad una compagnia grande ci ha permesso e ci permette tutt’ora non solo di non perderci d’animo ma anche di camminare con dignità ed ironia perché certi, come dice San Paolo «che niente ci potrà separare dall’amore di Cristo». Camminando con gli occhi fissi su Gesù, abbiamo incontrato molti amici che ci hanno testimoniato come la realtà vissuta intensamente anche quando sembra negativa, permette di dire “Tu o Cristo mio”. La testimonianza che segue l’abbiamo chiamata “Cristo e il kiwi”. Può essere vista come uno dei capitoli del libro della Lindau Cristo e il lavandino, un titolo che nella sua semplicità raccoglie il cammino educativo dei miei ventitré anni di missione, in cui mi sono esclusivamente occupato di mostrare come Cristo avendo a che fare con tutto rende più bella, più umana la vita. E la vita è fatta di ogni piccolo dettaglio. Mi ha sempre colpito quanto dice il vangelo di Gesù con la sua relazione con la realtà: “bene omnia fecit”, ha fatto bene ogni cosa. Cioè non c’è stata una virgola nella sua vita che non avesse a che vedere con il Padre. Fare bene le cose significa solo questo. Allora tutto diventa bello e la fatica è abbracciata come una risorsa che permette alla libertà di mettersi in movimento già allo spalancare gli occhi appena ci si sveglia. [email protected] 60 | 21 novembre 2012 | | POST APOCALYPTO Vicent van Gogh, Seminatore al tramonto (1888), olio su tela, 64x80,5 cm, Otterlo, Olanda, Museo Kröller-Müller E ra il 27 di febbraio del 2010 quando un forte terremoto scosse il Cile e distrusse i nostri uffici nel paese andino della Patagonia cilena, dove avevo un vivaio. La stessa notte volai in Argentina e dopo alcuni giorni arrivai a Santiago. Il mio aeroplano fu il secondo che riuscì ad atterrare dopo il terremoto. A maggio dello stesso anno avvenne un altro terribile terremoto. Un batterio sconosciuto mise in pericolo le coltivazioni di kiwi, in modo particolare il kiwi giallo. Questo batterio colpiva le piante più giovani perché penetrava con molta facilità. Dopo alcuni attenti esami alle piante, in modo speciale a quelle italiane, abbiamo trovato alcune foglie affette da questo raro batterio. In pochi mesi abbiamo dovuto distruggere circa 600 mila piante. Il batterio si stava espandendo anche nelle coltivazioni che avevo in Francia, Spagna, Portogallo. Fu l’inizio di un’epidemia terribile di cui alcuni mesi prima non si conosceva neanche l’esistenza. Una realtà completamente imprevedibile incominciò a cambiare la mia vita. La maggior parte delle coltivazioni di kiwi in Italia fu distrutta. Iniziò un calvario che ancora non è del tutto finito. Spesso ho dovuto affrontare le istituzioni delle varie province affette dal batterio, avendo a che fare con i governi di Francia, Spagna e Portogallo, che mi chiedevano spiegazioni e chiarimenti. Un giorno nella riunione di governo della mia provincia il consigliere che segue i temi che hanno a che vedere con l’agricoltura mi guarda e dice: «Gianpaolo, (è il nome del mio amico), la vedo sorridente, per niente sconvolto e disperato; ma da dove tira fuori tutta questa forza?». Gli ho subito risposto: «Io non sono una pianta di kiwi». Comunque questa è stata un’opportunità per parlare con lui della mia esperienza di fede Cristo rende più umana la vita. E la vita è fatta di ogni piccolo dettaglio. Nella vita di Gesù non c’è stata una virgola che non avesse a che vedere con il Padre. Fare bene le cose significa questo. Allora tutto diventa bello e la fatica è abbracciata come una risorsa che permette alla libertà di mettersi in movimento e che mi inviava dei segni amichevoli e provvidenziali. Allora ho deciso di affrontare ancor più seriamente e con passione i miei problemi, di andare fino in fondo. C’era anche il fatto che per me, lavorare con gente che produce batteri, mezzo comunisti e quasi sempre per fini militari, era un po’ complicato. Ma tutto quanto accadeva ci era di aiuto per trovare una soluzione al nostro problema. Abbiamo perciò reiniziato a commercializzare i prodotti e a venderli per difendere le piante di kiwi colpite dal batterio, in tutta Europa, fino in Cile compresa la Nuova Zelanda e con buoni risultati. Tutta questa drammatica esperienza è stata l’opportunità per mettere al centro della vita il mio destino che mi fa e la realtà che mi provoca e che mi spinge ad affrontarla continuamente, esaminarla e soprattutto amarla. A volte mi domando: come faccio ad amare questa realtà nel momento in cui non mi è più favorevole? Mi sorprende questo fatto: che amo più la realtà ora che quando le cose andavano bene. Voglio dire infine che mi sento un privilegiato, perché mi è stata data la possibilità di vivere un’esperienza che mi ha svegliato da una fede ovvia, abituale e spesso senza ragioni. Ora la mia fede è piena di ragioni e ha a che fare con tutta la realtà». Lettera firmata con i miei amici cristiani. Gli ho raccontato di questa amicizia che in questi momenti difficili mi ha tenuto in piedi attraverso i loro volti che mi hanno aiutato a non precipitare di fronte alle dure circostanze che il Signore mi chiedeva di vivere. In mezzo a queste facce ben precise, voglio citare concretamente un amico in particolare, perché si è messo al mio fianco con tutta la sua disponibilità. È da una relazione così che ho iniziato a sperimentare che Qualcuno “misterioso” mi accompagnava e sempre mi accompagna ad affrontare la realtà. La realtà è Cristo, questo fatto me lo devo ripetere tutti i giorni. Un altro amico mi confortava dicendomi che di fronte ad ogni problema c’è sempre una soluzione e che Dio non abbandona nessuno. Così si faceva sempre più chiaro in me che la realtà non è nelle nostre mani, ma bisogna saperla seguire per po- ter sperimentare che c’è un Altro che la fa. Da un anno a questa parte, assieme a mia moglie che è appassionata di omeopatia, e in più documentandoci sui libri della dottoressa americana Clark, abbiamo iniziato un lavoro per trovare una efficace soluzione al problema del batterio. Un giorno ho incontrato alcuni imprenditori e commercianti russi che vendevano prodotti nanotecnologici. Ho raccontato a loro della conversione di un amico che avevo conosciuto poche ore prima. Si tratta di un attore italiano che aveva fatto la parte di Barabba nel film La Passione di Mel Gibson. Uno di loro aveva una sola fede e un’unica consistenza: il lavoro che faceva. Gli ho chiesto come si fosse convertito a quella fede. Lui mi ha risposto che sono stati i libri della dottoressa americana Clark. Lì ho capito che questo incontro non poteva essere assolutamente casuale. Era invece la realtà che si rivelava Come faccio ad amare questa realtà nel momento in cui non mi è più favorevole? Ti ringrazio perché è una domanda che per anni mi sono portato dentro come un peso insopportabile. Quante volte mi sono chiesto, quando la vita mi sembrava una matrigna, il perché e dove potevo leggere che quanto mi accadeva era una cosa positiva. Fu una lunga lotta e lo è ancora perché niente è scontato. La battaglia continua anche se oggi tocco con mano momento per momento la positività di quanto mi accade, che normalmente è sempre una sorpresa. Alcuni giorni fa ho chiesto a una ragazza ammalata di cancro, con figli, come stava affrontando la malattia. E lei mi rispose: «Questa sofferenza è per me una grazia perché mi ha permesso di avvicinarmi a Gesù dopo tanti anni di lontananza. [email protected] | | 21 novembre 2012 | 61 LETTERE AL DIRETTORE La legge è un elastico soggetto al tiremmolla. Il caso Ruby insegna La lettura dell’esilio altrui è un esercizio parrocchiale sempre molto interessato e suadente. Immagino però che Carrón non abbia scritto quel che ha scritto per farsi benedire da quelli lì. 2 Rispondo “di getto” alla lettera pubblicata su Tempi numero 45 a firma di Andrea Baldazzi, che si sbalordisce perché gli insegnanti ritengono una beffa l’offerta di 15 giorni di ferie in più a fine anno scolastico. Forse non tutti sanno che il lavoro dell’insegnante si distribuisce in 6 giorni alla settimana e che il cosiddetto “giorno libero” è una consuetudine, ma non obbliga il dirigente ad assegnarlo ai suoi docenti; inoltre il “giorno libero” è libero dall’attività di lezione in classe, ma non dalla correzione dei compiti, dalla preparazione delle lezioni e quant’altro (per tutto ciò a volte serve anche la domenica o qualche serata). Quando un docente chiede 30 giorni di ferie estive deve includere anche i sabati. Un lavoratore dipendente, laureato, che guadagna né più né ne meno di un insegnante, ha circa 30 giorni di ferie estive più 52 sabati per un totale di quasi 3 mesi all’anno! È sì una beffa offrire 15 giorni di ferie in più nel periodo di astensione delle lezioni, sarebbe come offrire a un dipendente dei giorni in più di ferie nei sabati UNA RIFLESSIONE ATLANTICO-MILANISTA SPORT ÜBER ALLES N | 21 novembre 2012 | E anche questo è sacrosanto. Insomma, vedete che l’oggettività meritocratica è la fossa della vita? 2 Ho molto apprezzato l’articolo sul grande balzo in avanti in Cina (Tempi numero 45). Giustamente vi si parla anche della censura che su tali fatti viene operata dalla nostre parti. Mi ricordo tuttavia che avevo letto un articolo simile nei primi anni Sessanta in Selezione dal Reader’s Digest; tra l’altro mi ricordavo del particolare delle acciaierie. Voglio dire che chi voleva poteva sapere anche prima, solo che certe pubblicazioni venivano considerate “propaganda filoamericana”. Nazareno Morresi Macerata È vero. Anch’io avevo in casa la famosa Selezione e non ci ho buttato occhio. Vabbè ero pioniere di Mao. 2 Leggendo le cronache dal Tribunale di Milano sul processo Ruby-Berlusconi (nel quale sono una contro l’altro non avendolo lei mai accusato lui di nulla), mi sono ricordato di una codi Fred Perri Ci sono rotte che non si invertono manco se cambia il comandante in capo on lo dite a me, gli Stati Uniti sono uno mito fin da quando ho visto Albertone con il suo “wuozzamerica” e il suo “maccarone, m’hai provocato e me te magno”. Per anni da là abbiamo importato il meglio. Hemingway e Lola Falana, i Platters e Bob McAdoo, i pop corn al cinema e Elvis the Pelvis, John Wayne e Philip Roth, Kennedy e Ava Gardner. Poi, pe- 62 a fronte della richiesta di maggior lavoro nelle altre giornate. Sarebbe facile anche contestare l’affermazione che le 40 ore settimanali debbano essere fatte a scuola (dove? Con quali strumenti? Con quale servizio mensa? Eccetera), tuttavia il problema non è quantificare il lavoro dell’insegnante, ma riconoscere che questa bellissima professione non può essere ridotta a livello impiegatizio. Giovanni Pasi via internet | rò, abbiamo cominciato a deragliare, a fare i fenomeni e a prendere il peggio, non per colpa loro, degli americani, ovviamente, ma per colpa nostra. Ci sono cose che laggiù hanno un senso e qui no. Halloween è un film dell’orrore fatto molto bene (il primo), ma pensare di riprodurre quel rito da noi mi fa inferocire. Conosco addirittura chi organizza il Foto: AP/LaPresse M la lettura che il Corriere della Sera ha fatto della lettera indirizzata da don Julián Carrón alla Fraternità di Cl. Ovviamente il quotidiano si è fermato solo sul passaggio in cui il sacerdote paragona «quanto accade in questi tempi al nostro movimento» alle vicende bibliche del popolo di Israele. «Mi auguro che non ci debba capitare quello che è successo ad esso: rifiutandosi di ascoltare i richiami dei profeti, il popolo fu portato in esilio», scrive Carrón. Eppure, rilanciando questo brano della lettera, il Corriere sceglie di titolare “Carrón: ‘esilio’ per renderci umili”, suggerendo l’idea che in fondo il vero intento di Cl sia quello di autoesiliarsi dal mondo. O meglio, rivelando quale sia in realtà l’auspicio del giornalone della bella borghesia: che Cl si levi dalle balle una volta per tutte e si dedichi alla filosofia. La prova del nove? Eccola: «L’intransigenza della Lega che dice di essere pronta a correre da sola se gli alleati non accetteranno la candidatura Maroni sembra destinata a fare da preludio a un’inevitabile sconfitta. Ma anche questa è una scelta politica: paradossalmente è la stessa strada che don Julián Carrón suggerisce al suo movimento quando invita a liberarsi “da qualsiasi pretesa egemonica” e ricorda l’esilio biblico del popolo di Israele che “spogliato di tutto capì dove stava la sua vera consistenza”» (Claudio Schirinzi, Corriere della Sera Milano). Ma solo uno pieno di pretese egemoniche poteva leggere l’invito del capo di Cl alla conversione come un ordine di ritirata in sagrestia. i è parsa rivelatrice Più che «la strada suggerita da Carrón», pare l’avvertimento del padrone: cari bamini, non fatevi più vedere in giro, di modo che non siamo costretti a farvi veramente male. Paola Finessi via internet [email protected] sa della quale non si è più parlato: ma ai tempi della vicenda alla Questura di Milano, Ilda Boccassini e Edmondo Bruti Liberati non avevano proclamato urbi et orbi che la procedura di affidamento di Ruby alla Minetti era stata assolutamente regolare, legittima e tutto si era svolto nella normalità, come in moltissime altre circostanze simili, per non dire sempre? Sapete dirmi cosa accidenti è successo nel frattempo? Devo per forza essermi perso qualche passaggio... Ciro Maddaloni via internet Sì, quel che lei chiama “proclama urbi et orbi” ci fu. È che in seguito dice che vennero autorizzate “ulteriori indagini”. Ma non ha ancora capito che la Legge è un Elastico? 2 Foto: AP/LaPresse Mentre continuano a imperversare i luoghi comuni circa i presunti privilegi di cui godrebbe la Chiesa cattolica in veste di proprietaria di immobili su cui si esercita attività commerciale esente da gravami Imu, appare pretestuoso il dietrofront del governo e di alcune forze politiche (nella specie Pd e Udc) dinanzi a un emendamento presentato alla Commissione Bilancio della Camera dall’onorevole Toccafondi del Pdl e sottoscritto anche dai colleghi di gruppo Lupi e Carfagna, teso a circoscrivere l’esenzione ai soli immobili ove si esercitino attività commerciali non a scopo di lucro. La dimensione commerciale “sic et simpliciter” sarebbe infatti fonte di equivoco, perché vi potrebbero essere ricondotti anche quei soggetti che la svolgono in questa forma “ex lege” e non per IL FUOCO NEL CUORE Desiderare con desiderio e altre indispensabili esagerazioni di Gesù di Pippo Corigliano CARTOLINA DAL PARADISO G esù esagera. Prima di cominciare l’ultima cena lava i piedi agli apo- stoli e glieli asciuga. Ultimamente questa scena mi torna spesso in mente: perché un’esagerazione del genere? Non bastava da sola, e non era certo poco, l’ultima cena? Ha sempre trovato tanta eco in me la frase di Gesù nel Vangelo di san Luca (22, 15-20): «Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum». Letteralmente: «Ho desiderato con desiderio mangiare questa pasqua con voi». Giustamente la versione italiana traduce “ho desiderato ardentemente”. Ma a me piace tanto “ho desiderato con desiderio” perché quella ripetizione m’introduce nella psicologia di Gesù. Che palpitazione doveva esserci nel suo cuore mentre dava tutto se stesso in quel momento così intenso, simbolico e pregnante! Il Giovedì Santo è la festa che più mi piace perché commemora quel momento. Ogni Messa è quel momento, ma il Giovedì Santo è il giorno giusto, nell’ora giusta. Fuoco, c’era fuoco nel cuore di Gesù. E, in tutto questo, che significa lavare i piedi prima di quella cena? Significa, significa. Sono io che sono tardo a capire. Il senso della vita è servire, il senso dell’amore è servire. Il nostro Dio è un Dio che serve. Perciò la Messa, la Santa Messa, è tanto importante. Nell’Anno della fede sono contento di andarci ogni giorno con più consapevolezza. Questo per la signora che chiedeva cosa fare nell’Anno della fede. Andare ogni giorno a Messa. Sembra poco? Devo scappare, ho tanti impegni, ci sono cose più importanti. Quali? trarne degli utili (basti pensare a una mensa della Caritas con personale di cucina regolarmente assunto). Questa sottolineatura aveva portato alla condivisione unanime in Commissione e al favore del governo nella seduta di venerdi 2 novembre. La ripresa dei lavori d’aula ha visto però un irrituale dietrofront dell’esecutivo, preoccupato dal rischio di vedersi contestate infrazioni comunitarie, come se le esenzio- Obama osserva i bambini delle favelas di Rio de Janeiro che giocano a calcio, marzo 2011 ni si configurassero come aiuti di Stato. Il ritorno al testo originario ha poi avuto l’avallo della Commissione Bilancio con il voto contrario di Pdl e Lega. Mai come in questa circostanza ci pare attuale la copertina Tempi di qualche numero fa: “+Stato +tasse -società = contenti?”. Io sono tra gli scontenti e sto volentieri in compagnia di Toccafondi , Lupi e Carfagna. Daniele Bagnai Firenze Thanksgiving, cioè la loro massima festa, più importante del Natale, cioè il pranzo del Ringraziamento, quello con il maxi tacchino da affettare ad arte. Abbiamo importato i fast food, perfino. Abbiamo importato anche la primarie che fatte in Italia fanno ridere e non bastavano quelle del Pd, adesso se le sono inventate anche quelli del partito del Berlusca. Ma la cosa peggiore che abbiamo importato sono gli americanologi, che da qui fanno il tifo per questo o per quel presidente, come se a noi tra Obama e Romney ci sarebbe cambiato qualcosa. Ma per favore. È un po’ come queste discussioni sul povero Allegri. Ma pensate che un altro allenatore, al Milan, gli cambi veramente la vita? | | 21 novembre 2012 | 63 taz&bao L’impersonalità 64 | 21 novembre 2012 | | Francis Bacon, Man in Blue VI (1954), olio su tela, 152,7 x 116,8 centimetri (foto: AP/LaPresse) La banalità del male tà al potere La generalizzata riduzione della politica a una tecnica, della legittimità a legalità, determina la banalizzazione della cultura giacché tutti i significati e tutti i simboli vengono aggregati sempre più strettamente dagli apparati istituzionali. L’uomo deve venire liberato dalla propria soggettività, dalle sue opinioni e dalla sua coscienza meramente personali, dalla ragione meramente soggettiva e dalle convinzioni morali che nella loro ingannevole assolutezza gettano la società nella guerra civile, nei conflitti tra convinzioni personali. Tale liberazione non viene però intesa come distruzione e annullamento della convinzione morale o della coscienza religiosa, bensì come loro neutralizzazione e privatizzazione. Si tratta insomma di convinzioni private prive di rilevanza politica, che non ci obbligano a nulla: si può essere buon cattolico o buon cittadino anche nella Germania nazista o nell’Unione Sovietica, giacché la nostra funzione oggettiva all’interno dello Stato non ha in fin dei conti nulla a che fare con la nostra coscienza privata. L’escatologìa dell’impersonalità è anzitutto lotta per la conquista di un terreno neutrale su cui sia possibile edificare lo Stato del potere permanentemente innocente e puramente tecnico; ma la lotta per la conquista di questo terreno neutrale diventa sempre più distruttiva. Vaclav Belohradsky Il mondo della vita: un problema politico. L’eredità europea nel dissenso e Charta ’77, Jaca Book 1980 GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI UNA MATTINA A TERMOLI Il fascino di un’ora rubata di Marina Corradi T ermoli, 10 novembre. Le sette e mezza del mattino. Non ero mai stata qui, sulla costa del Molise. L’appuntamento al convegno è alle nove. Ho un’ora per girare il centro storico. Un caffè, e mi metto in cammino. Io la chiamo l’“ora rubata”: in un viaggio di lavoro, un’ora libera, spesso all’alba, semplicemente per guardarmi attorno. In una piazza ancora silenziosa e vuota la facciata candida del Duomo duecentesco mi si para davanti, inaspettata. Quanto splendida, e cesellata di figure di vescovi e santi; e draghi, in alto, protesi in fuori, ad allontanare i demoni. Qui dentro, scopro, c’è la tomba di Timoteo: il discepolo cui Paolo di Tarso scriveva chiamandolo «vero figlio mio nella fede». La mole armoniosa del Duomo di Termoli assume allora il senso di custodia di una preziosa memoria; come uno scrigno che racchiuda oro. Attorno, il borgo antico dorme ancora. Vicoli stretti tra piccole case bianche; qui e là festosa erompe la macchia radiosa di Attorno, il borgo antico dorme una bouganvillea ancora in fiore. A una fineancora. A una finestra un filo regge stra un filo regge vestiti di bambino, ad asciugare. Nel silenzio scopri che ogni vicolo ha, al vestiti di bambino, ad asciugare. fondo, la linea blu del mare. Nel silenzio scopri che ogni vicolo Davanti, a destra, a sinistra, sempre il mare. Possibile? È che Termoli è arrampicata su ha, al fondo, la linea blu del mare un promontorio che si sporge come un belvedere sull’Adriatico. Cinta da una murata, sormontata da una fortezza e da un faro, in questa mattina serena sembra una donna affacciata alla finestra, quieta, su questo calmissimo, enigmatico mare. Già l’avevo intravisto ieri sera, arrivando, dall’alto del bastione contiguo alla spiaggia. La battigia deserta e, alla luce gialla dei lampioni del lungomare, la distesa dell’acqua, nera e lucente; e la lieve increspatura di onde appena impercettibili, che si allargavano a lambire la sabbia, la sfioravano e si ritraevano, lente. (Sembrava, nella oscurità della notte, vivo, il mare; un animale immenso che quando è calmo si avvicina, mansueto, alla costa, e l’accarezza, senza volerle far male). Ma stamattina in questo fresco sole d’autunno tutto sembra nuovo, nato appena ieri: la scia sull’acqua di un peschereccio, e le campane di una chiesa, lontane. Si protende sul mare come un esile molo il pontile di un trabbucco, quelle vecchie capanne di pescatori delle coste abruzzesi e molisane, issate come palafitte in mezzo all’acqua: da cui si calano, appese a dei ganci arrugginiti, grosse reti. E tu dall’alto della città antica ti sporgi a contemplare questa piccola casa sospesa sull’infinito, sognando come deve essere, d’estate, dormire lì, profondamente dentro il mare. Immagini come deve battere il vento, su questa rocca, quando è burrasca; come deve penetrare per i vicoli, e gonfiarsi, e ululare. Oggi però, al sole che si va scaldando, sui balconi sbocciano le ultime rose, pallide. Le otto e mezza. Ancora quasi solo il rumore dei miei passi per le strade. L’ora rubata è finita, più bella perché clandestina. Assaporata furtivamente, come quando in una strada di campagna allunghi una mano a cogliere un fico da una pianta che sporge da un muro di cinta, e lo scopri dolcissimo. Poi, l’ora è finita, ed è tempo di andare. 66 | 21 novembre 2012 | | DIARIO IN COLLABORAZIONE CON CONDIVIDERE I BISOGNI, PER CONDIVIDERE IL SENSO DELLA VITA www.bancoalimentare.it