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BOMBE SU FINMECCANICA

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BOMBE SU FINMECCANICA
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR | anno 18 | numero 46 | 21 NOVEMBRE 2012
settimanale diretto da luigi amicone
anno 18 | numero 46 | 21 NOVEMBRE 2012 |  2,00
BOMBE SU
Finmeccanica
Attacco al cuore tecnologico-industriale dello Stato.
La controinchiesta di Tempi
EDITORIALI
ECCO PERCHÉ LA CHIESA È ODIATA
La lotta per il significato dell’esistenza
è la sola reale minaccia per il potere
C
he le intenzioni della vita non siano un problema politico ma siano il problema poli-
tico ce lo hanno insegnato nei paesi dell’ex Unione Sovietica e satelliti uomini come Solzenicyn e Havel. Il punto è che, dopo la caduta del Muro, né postcomunisti
né liberali hanno ritenuto politicamente decisiva e condizione per la democrazia la “lotta per la religione” (Masaryk). Ovvero, hanno escluso dalla politica la lotta per il significato della vita. È qui che la società “globalitaria”, progressista o conservatrice che sia, si
specchia nei totalitarismi del passato mostrandone la cupa e persistente attualità. Come
insegna la Cina (definita da Repubblica un esempio di “comunismo di successo”), apertura al mondo e “diritti umani” secondo un’etica stabilita da un potere impersonale (dalla
Coca Cola all’agenda gay, dalle leggi anticorruzione al diritto all’aborto non selettivo, tale
è il “comunismo di successo”) stanno procedendo di pari passo alla repressione dell’esperienza religiosa (soprattutto se cristiana) che è primaria apertura al mondo e diritto umano fondamentale. Questo succede perché la lotta per il significato della vita rappresenta
l’unica reale minaccia per il potere impersonale. Ciò è così vero che nel continente dove
un vuoto di vita fa il paio con un “pieno” di potere impersonale (regolamentare, tecnico,
giurisdizionale) l’indifferenza alla “lotta per la religione” si traduce in cupo e persistente “odio di sé”. Come ci hanno testé ricordato
le proteste contro la Merkel che, per una vol- In Occidente l’indifferenza al senso
ta, ha detto una parola vera e disinteressata
religioso diventa odio di sé, come
(«il cristianesimo è la religione più perseguitata al mondo»). O come tocchiamo con mano indicano le proteste contro la Merkel
nella consunzione dell’immagine sociale ed che per una volta aveva detto la
emarginazione politica delle Chiese cristiane.
verità sulla persecuzione dei cristiani
IMPRESSIONI SUL PENTADIBATTITO
I cinque aspiranti parroci della sinistra
fanno desiderare una vita esagerata
A
gorà è una delle buone badanti della mattina su Rai Tre. Martedì scorso, il tema del
suo intrattenimento pendeva tra il quanto-siamo-indietro-noi rispetto agli americani che hanno votato per i matrimoni gay (motivetto molto twitter e facebook).
E quanto-è-stata-americana la passerella su Sky Tg24 dei candidati alle primarie del centrosinistra (lozione molto amara per i pochi capelli del Cav.). Che poi, sul primo versante, era la cattolicissima deputata del Pd la vera pasionaria delle nozze gay. Che poi, sul secondo, il nuovo Pd sembrava la vecchia Dc. L’avete sentito, no? Non ce n’è stato uno della
cinquina democrat che non abbia indicato come ideale un tipo di chiesa. Altro che Balena Bianca. Siamo allo scudone nazional-crociato che va da papa Giovanni XXIII (Bersani)
al cardinal Martini (Vendola), da Alcide De Gasperi (Tabacci) a Tina Anselmi (Puppato). E
vuoi che Mandela (Renzi) non abbia idealmente fatto un girotondo di peace&love cantando Imagine davanti alla Porziuncola di Assisi? Ecco caro cattolicesimo italiano quanto vale il tuo pacchetto azionario di “valori non negoziabili” e di “battaglie culturali antropologiche” agli occhi del battezzato che ragiona come la Repubblica di Lady Gaga e desidera
ardentemente una famiglia Corriere della Sera come Elton John. Ma il vero punto G lo
sta titillando Grillo? Non cambia nulla. Anzi. Aumenta la percezione di un adattamento
del parrocchiale che c’è in ogni italiano alla
propaganda ideologica impersonale. Non saIn tv non ce n’è stato uno della
cinquina democrat che non abbia rà per caso venuto il momento di desiderare
una vita esagerata e almeno non quelle facindicato come ideale un tipo di
ce lì? Il dissenso, il “non conformatechiesa. Da papa Giovanni XXIII
vi” di san Paolo, l’andare in direzio(Bersani) a Martini (Vendola)
ne opposta di dove va la folla?
FOGLIETTO
Piano con le parole.
Tutti a ripetere che la
supremazia democrat
è ormai permanente in
America. Non è così
D
1945 il presidente
americano rieletto ha sempre
preso più voti la seconda volta
rispetto alla prima, quasi “consacrato”
dalla nazione. Così da Ike Eisenhower
a Bill Clinton a George W. Bush. Con
Barack Obama non è andata così:
eletto con largo appoggio nel 2008,
ha avuto meno suffragi nel 2012.
Vincere nella difficoltà è segno di
capacità politica, sua e della squadra
di Chicago che lo sostiene, e indica un
difetto di leadership, peraltro evidente, in Mitt Romney. Comunque l’esito
del 6 novembre conferma la solidità
dell’impianto politico-istituzionale
americano, la capacità di adattarsi
ai mutamenti mobilitando il popolo
invece che emarginandolo. Molte
sciocchezze volano nei commenti di
questi giorni. In particolare sul tema
del rapporto tra moderati e populisti.
La magia americana sta nel mescolare nei due schieramenti queste
tendenze, includendo invece che escludendo. Poi in realtà ha vinto il leader
più radicale coperto dal centrista Bill
Clinton, mentre ha perso il moderato
coperto dal radicale Paul Ryan. Ora
si parla di supremazia permanente
dei democratici perché con giovani e ispanici diventano imbattibili.
Osservazioni analoghe si facevano sul
Gop dopo il voto del 2004. Oggi per
errori repubblicani sull’immigrazione e
per la forza inclusiva di un presidente
“nero” gli ispanici si sono schierati con
i democratici, ma
per esempio
sulla questione
dei “princìpi
non negoziabili”
l’accodarsi di
settori cattolici alle secolarizzazioni più liberal
potrebbe non durare.
Lodovico Festa
opo il
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| 21 novembre 2012 |
3
SOMMARIO
ROMPETE QUEL RECINTO
LA SETTIMANA
Foglietto
Lodovico Festa...................................3
14
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr | anno 18 | numero 46 | 21 noVemBre 2012
Non sono d’accordo
Oscar Giannino.............................. 13
anno 18 | numero 46 | 21 noVemBre 2012 |  2,00
settimanale diretto da luigi amicone
Boris Godunov
Renato Farina.................................. 21
La recessione
dell’io
Mamma Oca
Annalena Valenti..................... 55
Non interverrò, non avrò, non farò. La ritirata della
nostra politica rispecchia la solitudine dell’uomo
moderno, tutto intento a sottolineare una diversità,
cioè a ingigantire la propria piccolezza. Manifesto
per un nuovo spazio di condivisione. Dove anche
i più piccoli fatterelli siano segni di grandi cose
BOMBE SU
FinMEccanica
attaccO al cUOrE tEcnOlOgicO-indUStrialE dEllO StatO.
la controinchiesta di temPi
|
Attacco al cuore tecnologico
industriale dello Stato.
L’inchiesta di Tempi
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7
Il recinto. L’io in gabbia
La ritirata della nostra politica rispecchia la solitudine
dell’uomo. Manifesto per uno spazio di condivisione. Dove
anche i più piccoli fatterelli siano segni di grandi cose
Annalisa Teggi..............................................................................................................................................................................................................................6
14
INTERNI
Le nuove lettere di
Berlicche..................................................... 35
Dall’alto, in senso
orario: Lula,
ex presidente
brasiliano;
il terrorista Cesare
Battisti, a cui il
Brasile ha concesso
asilo politico;
l’ex ministro dello
Sviluppo economico
Claudio Scajola;
Giuseppe Orsi,
ad e presidente
di Finmeccanica
Attacco
a Finmeccanica
C
e l’avevano quasi fatta. Alla fine di
giugno era toccato al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola scendere a Brasilia per riannodare i fili del
discorso col suo omologo brasiliano, Celso Amorim. E che discorso: in ballo c’era
la gara per fornire alla marina brasiliana cinque cacciatorpediniere/fregate lanciamissili da 6.000 tonnellate, altrettante corvette/pattugliatori da 1.800 tonnel-
late e una grande nave rifornitrice. Un
programma che non riguarda solo la realizzazione delle navi ma anche gli allestimenti, l’elettronica e gli armamenti. Una commessa da 5 miliardi di euro
che fa gola anche a francesi, tedeschi, britannici, spagnoli, sudcoreani, eccetera.
Negli stessi giorni anche l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono,
l’azienda predestinata a costruire le navi
in caso di vittoria dell’offerta italiana, era
nel paese sudamericano a ritessere la tela
con funzionari del ministero della Difesa brasiliano, in particolare con l’ex presidente del Partito dei lavoratori (quello del
presidente Dilma Rousseff e del suo predecessore Lula) Josè Genoino. Poi il 18-20
settembre è stata la volta di Corrado Passera, il ministro dell’Industria, di recarsi in Brasile ufficialmente per trattare
accordi industriali a largo raggio, ma senza perdere di vista l’obiettivo numero uno
di restaurare il primato italiano nell’operazione corvette e cacciatorpediniere.
Le cose sembravano rimettersi per il
meglio quando… patatrac! Il 23-24 ottobre
arrivano sui quotidiani verbali di interrogatori rilasciati ai Pm di Napoli quasi un
anno prima (novembre 2011) da Lorenzo
Foto: AP/LaPresse
Indagine su quella strana forma di autolesionismo
all’italiana che minaccia il cuore industriale del
nostro paese. Così, grazie all’azione congiunta
di procure e quotidiani, rischiamo di perdere un
affare da cinque miliardi. A vantaggio dei francesi
| 21 novembre 2012 |
Borgogni, ex responsabile delle Relazioni istituzionali di Finmeccanica, indagato sin dall’inizio del 2011 con accuse di
frode fiscale e finanziamento illecito ai
partiti. Già ad aprile di quest’anno erano trapelate dichiarazioni pirotecniche
da sue deposizioni. Borgogni aveva accusato il da poco presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi di aver ricevuto sei auto
Maserati da aziende fornitrici della società e Comunione e Liberazione di essere
destinataria di dazioni di denaro. Stavolta all’ex dirigente di Finmeccanica è attribuita la denuncia di una tangente di ben
550 milioni di euro (sarebbe una delle più
grosse di tutta la storia mondiale delle
commesse militari) sull’affare delle famose fregate di Fincantieri da vendere al Brasile, e il coinvolgimento dell’ex ministro
dello Sviluppo economico Claudio Scajola, indicato come colui che avrebbe sollecitato la dazione di denaro, pari all’11
per cento del valore della transazione. Il
nome di Scajola è accompagnato da altri,
italiani e brasiliani, fra i quali spicca quello dell’ex ministro della Difesa brasiliano
Nelson Jobim.
L’affare, che sarebbe la salvezza per
una Fincantieri in difficoltà e un successo di portata storica per l’industria della difesa italiana, torna in alto mare. Forse definitivamente. Qualcuno avverte un
senso di dejà vu. Sulla Stampa esce uno
strano articolo incentrato su dichiarazioni di “collaboratori di Jobim”, i quali
non si limitano a smentire di essere coinvolti in storie di tangenti, ma ironizzano sull’apparente autolesionismo italia-
|
no, asserendo che il contratto «era praticamente cosa fatta, mentre ora il vostro
paese può attendere il 2040 per chiudere
un affare che, invece, ora appare oramai
quasi chiuso a vantaggio della Francia».
La Francia, già, la Francia… È da anni
che va avanti il braccio di ferro fra italiani e francesi per la faraonica commessa
della marina brasiliana. Di qua Fincantieri e Finmeccanica, di là la Dcns. I primi
sembrano essere avvantaggiati per i prezzi migliori a parità di qualità. Finché nel
marzo 2007 succede una strana cosa: Cesare Battisti, terrorista latitante dal 2004
fuggito dalla Francia dove viveva da molti anni alla vigilia della sentenza del Consiglio di Stato francese che lo avrebbe
dichiarato estradabile in Italia, riappare in
pubblico sulla spiaggia di Copacabana a
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15
Copertina. Bombe su Finmeccanica
Così il fango mediatico penalizza l’azienda nelle gare
per gli appalti internazionali. A vantaggio dei francesi
Rodolfo Casadei......................................................................................................................................................................................................14
Carceri. Silvia muore a San Vittore
Renato Farina..............................................................................................................................................................................................................18
22
ESTERI
Barack Obama è il
44esimo presidente
degli Stati Uniti
d’America, eletto
per la prima volta
nel novembre 2008.
Alle presidenziali
del 2012 ha battuto
lo sfidante
repubblicano
Mitt Romney
Le politiche di Obama hanno modificato l’intera
società. Lo Stato pesante non spaventa più.
«Se non torniamo a scommettere sul talento
dei singoli, addio terra delle opportunità e della
libertà». I repubblicani analizzano la sconfitta
da Washington Dc Maria Claudia Ferragni
I
l giorno dopo la sconfitta di Mitt
Romney e l’inizio del secondo mandato presidenziale di Barack Obama,
a Washington la galassia conservatrice si
interroga sulla sconfitta e riparte dai suoi
fondamenti. La grinta e la voglia di lottare per la libertà non mancano, ma è certo che per ripartire col piede giusto qualcosa deve cambiare perché, comunque
lo si voglia analizzare, c’è un dato di fatto: il paese non è più come prima. Oltre
tre anni e mezzo di lotte con i Tea Party
da una parte e il più recente movimento Occupy Wall Street dall’altra hanno
prodotto sommovimenti di diversa natura: a favore della riduzione del peso dello Stato alla Camera dei Rappresentanti e a livello di governi locali per i primi,
a sostegno delle politiche neo-assistenzialiste e fortemente regolatorie di Obama per i secondi. La prima cosa che salta
Foto: AP/LaPresse
Il sogno
americano
e la realtà
| 21 novembre 2012 |
agli occhi leggendo i dati che si riferiscono agli exit poll elaborati da Fox News, è
che l’elettorato dei due partiti è spaccato: il voto dei giovani (il 60 per cento nella fascia d’età 18-29 anni e il 52 di quella
i 30-44 anni), delle minoranze afro-americana (98), ispanica (71), asiatica (73) e delle donne (55 per cento del totale laddove
gli elettori di sesso femminile sono il 53
per cento) è saldamente orientato a favore di Obama. Inoltre anche il 50 per cento dei cattolici e il 73 degli ebrei ha votato il presidente uscente; a votare Romney
è stata la maggioranza dei bianchi (59 per
cento) e degli uomini (45 per cento su un
totale del 47 dell’elettorato).
I dati fanno pensare che almeno la
metà degli americani non disdegna più
le politiche obamiane di stampo europeo e non è minimamente preoccupata
del debito pubblico schizzato alle stelle.
È come se il tradizionale sogno americano basato su libertà individuale, gover-
no al minimo, bassa leva fiscale e libertà d’impresa inizi a essere solo un ricordo del passato. Inoltre, i think-tank di
area conservatrice e libertaria si interrogano sull’efficacia del loro lavoro a favore del libero mercato e su quello che succederà ora al partito repubblicano e alle
sue politiche. Tempi ha cercato di avere
una panoramica della situazione, ascoltando diverse voci.
Le battaglie condivise
Uno dei loro più attivi e influenti esponenti per ciò che concerne le politiche
fiscali, Grover Norquist, presidente di
Americans for Tax Reform, si dichiara
assolutamente convinto che i risultati del
voto, in particolare alla Camera dei Rappresentanti e nei singoli Stati, dimostrano che gli americani sono a favore delle politiche di diminuzione della spesa
pubblica. Quindi, «nonostante la sconfitta di Romney, le battaglie conservatri-
|
ci sono condivise dalla maggioranza del
popolo americano e all’interno del partito non vi è una vera spaccatura fra conservatori (più inclini a concessioni alla spesa
pubblica come per il rafforzamento della
difesa) e i libertari (che vorrebbero lo stato fuori dalla vita del singolo). Per quanto concerne, invece, i temi dell’immigrazione cari alle minoranze, i repubblicani devono senz’altro cambiare registro e
affrontarli in modo più costruttivo».
Dan Mitchell, senior fellow del libertario Cato Institute, invece, sostiene che
«il fatto che abbia vinto Obama e non
Romney cambia poco: il candidato repubblicano non è poi così diverso da quello
democratico. Non è a favore dello Stato
minimo e non ha quasi mai parlato della riforma della spesa pubblica; quando era governatore del Massachusetts ha
approvato una legge di riforma del sistema sanitario molto simile all’Obamacare. La vera riforma dovrebbe avvenire,
|
| 21 novembre 2012 |
23
Stati Uniti. I repubblicani dopo la sconfitta
«Se non torniamo a scommettere sul talento dei singoli,
possiamo dire addio alla terra delle opportunità»
Maria Claudia Ferragni.......................................................................................................................................................................22
Cina. Quanto è lontana la libertà
Leone Grotti................................................................................................................................................................................................................... 30
36
cultura
riti mondani
È quasi
un peccato
leggerlo
CULTURA
recenSIre
I GIornalI
Il blog di antonio
Gurrado
Su tempi.it
antonio Gurrado
gestisce Qwerty,
il blog che recensisce i giornali.
Finora ha analizzato iL, teleSette,
il Secolo d’italia,
Sportweek,
la Provincia
Pavese, il tirreno,
Panorama, l’edizione francese
di repubblica,
l’adige, tV Sorrisi
e Canzoni, il
Corriere della
Sera, L’Europeo e
il Guerin Sportivo
antonio Gurrado ha spulciato il più liturgico
dei quotidiani italiani e ha scoperto che è come
sedersi in chiesa. Lo si fa un po’ perché ci si
crede, un po’ perché non si ascolta, un po’ per
tacitare la coscienza, un po’ per farsi vedere
di Altan e Bucchi rasentano l’arte, le foto
bucano la pagina, la carta è quasi serica,
scrive il il formato consente di piegare il quotidiafondatore Eugenio Scalfari no nella sacca della giacca di velluto o nelnel tentativo di parodiare il lo zainetto finto-povero lasciando sempre
linguaggio di Beppe Grillo, o forse di ripro- in bella evidenza la testata. Sembra fatto
durlo, nel consueto editoriale/sermone sul- apposta per non essere letto. I suoi articoli
la prima pagina de la Repubblica di dome- vanno dunque considerati per quello che
nica 4 novembre. Sottoposti a un’attenta sono, ossia un riempitivo all’interno di un
lettura del testo, gli adepti del quotidia- progetto editoriale più vasto in cui l’aura
no cult si saranno distinti in tre catego- conta più dei temi, la testata più dei titorie: quelli che sono rimasti scioccati alle li e la firma più del contenuto. Hanno la
parole inconsulte del Fondatore, un po’ stessa portata delle omelie domenicali, che
come se le avesse pronunziate dal pulpi- possono anche riuscire bene ma non decito un prete con la sindrome di Tourette; dono del valore di ciò che le contiene – e,
quelli che sono rimasti scioccati a scoprire se si dovesse giudicare il cattolicesimo dalche per un qualche motivo l’editoriale fos- le prediche, staremmo freschi. Repubblica
se lungo la metà del solito; quelli che han- è un giornale liturgico che vive di riti crino continuato ad annuire con aria grave stallizzati e di gesti calibrati (come la stretsenza avvedersi del turpiloquio. La lettu- ta di mano di Ezio Mauro ai redattori più
ra di Repubblica è infatti un atto sempre importanti all’inizio delle riunioni); l’edipiù simile alla distratta presenza fra i ban- toriale domenicale del Fondatore ne costichi di una chiesa: lo si fa un po’ perché ci tuisce il vertice ciclico, la nota dominansi crede confusamente, un po’ perché non te che tutto racchiude in sé, il rassicuransi ascolta, un po’ per tacitare la coscienza, te coperchio che garantisce dell’acquisto a
scatola chiusa di tutto il calderone.
un po’ perché bisogna farsi vedere.
Repubblica, intendiamoci, è il quotidiano più
Sembra fatto apposta per non essere letto.
bello d’Italia: i colori sono
I suoi articoli vanno dunque considerati
raffinati, l’impaginazioper quello che sono, ossia un riempitivo
ne delle sezioni culturali
all’interno di un progetto editoriale più vasto
è alto design, le vignette
di antonio Gurrado
«C
36
azzo, coglioni e vaffa»,
| 21 novembre 2012 |
Per questo svegliarsi in una pigra e
grigia domenica mattina e trovare scritto “cazzo, coglioni e vaffa” in prima pagina è scioccante: non per le parolacce in sé,
peraltro nascoste fra parentesi, ma perché
esse danno uno scossone al lettore distratto e assuefatto; lo spingono a sfregiare il
velo di Maya iniziando a leggere Repubblica come se fosse un giornale vero, ossia
per quello che c’è scritto, per trarne contenuti senza forma. Le sorprese non mancano. Ad esempio, a pagina 3 Michael R. Bloomberg (sindaco di New York, la città dove
cancellano le maratone senza rimborsare
le iscrizioni) s’imbarca in arditi sillogismi
per spiegare che, nonostante che non ci
sia motivo di credere che Sandy sia dipesa dal riscaldamento globale, è necessario appoggiare Obama in ragione del suo
pluriennale impegno contro il riscaldamento globale, a seguito del quale impegno è infatti arrivata Sandy. Su qualsiasi
quotidiano un ragionamento così cristallino sarebbe stato esposto alle pernacchie
del lettore neutrale, ma non su Repubblica dov’è corazzato dall’equilibrata scelta
di farlo iniziare in prima pagina sotto una
foto trionfale di Obama (vestito con la stessa camicia di Gianni Riotta) e di fianco a
un pezzo di Joseph E. Stiglitz in cui si asserisce che è necessario che gli americani
votino Obama perché «il numero dei non
americani favorevole alla sua rielezione è ne dedicata un’intera pagina tutta rivolschiacciante rispetto a chi vorrebbe che a ta all’allisciamento dell’immaginario del
vincere fosse il suo sfidante».
target di Repubblica: il pisano Marco Malvaldi preferisce contaminarsi coi livorneAstenersi provinciali
si piuttosto che «pagare auto blu a FioD’altra parte, chi si sognerebbe di criti- rito» (che non è né pisano né livornese),
care Bloomberg e Stiglitz una volta che il tarantino Giancarlo De Cataldo plauvenissero citati, con grande autorità e de alla fusione con Brindisi così da poter
competenza, dai lettori più attenti nel «lottare insieme per lavoro e ambiente»
corso del pranzo domenicale? Non ci rife- (perché evidentemente separati non ne
riamo alle loro opinioni ma ai loro nomi. vale la pena), Luca Bottura rivendica che
Repubblica offre loro validi sostituti ana- «la diversità è la nostra ricchezza» (ma a
grafici; le stesse idee, sostenute da Gian ben guardare sta parlando delle ricette
Luigi Scabbia o da Giacomo Frangiflutti dei tortellini), l’erudito Umberto Eco non
(pesco nomi a caso dalle firme delle let- batte ciglio di fronte al miscuglio tra Alestere al quotidiano), suonerebbero se non sandria e Asti «tanto io parlo entrambi i
meno credibili di sicuro più criticabi- dialetti» (e quindi io, che parlo inglese e
li. Basta invece che si chieda: «Avete let- francese, posso dirmi favorevole all’accorto Bloomberg e Stiglitz?», e tutti auto- pamento dell’Italia a Inghilterra e Franmaticamente danno loro ragione al solo cia). Massimo Carlotto si oppone invece
scopo di non fare la figura dei provin- alla fusione di Padova intellettuale e filociali. Mica per niente Michele Serra, in operaia con «la Treviso della Lega»: è noto
apertura de “L’amaca” dello stesso gior- infatti che la miglior maniera per inseno, spara: «Non potrei essere provincia- gnare ai leghisti i benefici dell’integraziole neanche se lo volessi: non sarei credi- ne multiculturale è isolarli in un angolibile». Lettori e autori di Repubblica tutto no con Giancarlo Gentilini.
possono essere meno che
provinciali e infatti venerIl formato consente di piegare il quotidiano
dì 2 alle province in bilinella sacca della giacca di velluto
co, quelle in cui l’accorpao nello zainetto finto-povero lasciando
mento potrebbe comporsempre in bella evidenza la testata
tare la guerra civile, vie-
|
I lettori di Repubblica sono così lontani da ogni provincialismo che sembrano
essere i maggiori beneficiari del taglio delle province imposto dal governo, a eccezione degli alunni delle terze elementari che
dovranno impararne a memoria molte di
meno. Chissà se questo non contrari Corrado Augias, che sabato 3 tuona dalla sua
tribuna contro «quei genitori che assistono
passivi al precoce corrompimento intellettuale dei loro figli» in risposta a una signora che sta valutando se iscrivere la sua frugoletta alla Deutsche Schule perché in
quella italiana mancano le lavagne multimediali e ci sono suore che parlano male
dell’aborto. Augias d’altronde gestisce le pr
di Repubblica con i lettori e far finire una
propria lettera nel suo box grigio equivale
a un cavalierato, talché si crea una sorta di
sindrome di Stoccolma per la quale i lettori cercano di assecondare Augias e Augias
cerca di assecondare i lettori. Memorabile
la lettera di martedì 30 ottobre, in cui un
tale Paolo Lupo e Augias conversano amabilmente di Berlusconi senza nominarlo,
come due amici sorpresi sul treno a chiacchierare di un terzo: lo evocano come colui
che «ha rubato il sogno di una generazione onesta», colui che «ha cambiato la percezione del denaro», «uomo furente e spaventato», «attore consumato».
Quando si tratta di Berlusconi, l’in|
| 21 novembre 2012 |
37
Repubblica. Recensire il più liturgico dei giornali
Antonio Gurrado..................................................................................................................................................................................................36
Storia. Il sangue (cancellato) dei vincitori
Roberto Festorazzi....................................................................................................................................................................................... 42
La Fenice. Il coraggio di cambiare musica
Laura Borselli.............................................................................................................................................................................................................48
52
L’ITALIA
CHELAVORA
L’Italia che lavora
Una scelta
di campo
Alato,ilnegozioeFedericoDendena,
responsabiledell’areacommerciale.
Sopraesotto,lacascinaSantaMarta
aZibidoSanGiacomo(Milano)
Tutto è iniziato con l’idea di “salvare” le terre
del Parco Sud di Milano. Poi sono arrivati
i primi raccolti, il negozio, l’allevamento dei vitelli
e il maneggio. Storia della cascina Santa Marta
e di una occasione che è diventata impresa
U
una certa
dose di coraggio. Serve questo per
accettare la proposta di tornare a
lavorare nei campi, far fruttare la terra,
sudare sotto il sole cocente per far crescere una piantina. È così che è nata la Cooperativa agricola Santa Marta. Da una
intuizione, una delle tante, di don Luigi Giussani: per salvaguardare i monaci
benedettini della Cascinazza da una eventuale speculazione edilizia futura, occorreva acquistare i terreni intorno al monastero, una cascina e tornare a lavorare la
terra. Non solo, perché l’idea era anche
quella di dar vita a un luogo pronto ad
aiutare chiunque fosse in cerca di aiuto.
Emilio è stato il primo a imbarcarsi nell’avventura che diverrà la Cooperativa Santa Marta, che prende il nome
dall’omonima cascina situata nel Parco
Sud di Milano, a Zibido San Giacomo. Il
casale non era abbandonato, ad abitarlo era la famiglia Binda Beschi, ben lieta di accogliere qualcuno in quell’edificio
enorme, e felice di poter condividere con
altre persone la fatica del lavoro. Fino a
quel momento si coltivavano riso e mais,
ma grazie all’arrivo dei nuovi inquilini
e al loro dinamismo, il patrimonio della
tradizione agricola sarebbe tornato a vivere nel suo splendore, seguendo la ricetta
degli antichi valori.
52
miltà, pazienza, sacrificio e
| 21 novembre 2012 |
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano........................ 63
Diario
Marina Corradi............................66
RUBRICHE
Green Estate.........................................54
Per Piacere.............................................. 57
Mobilità 2000.................................. 59
Lettere al direttore................. 62
Taz&Bao..................................................... 64
DOPO IL VOTO
ESTERI
22
Sport über alles
Fred Perri................................................. 62
COPERTINA
INTERNI
14
Post Apocalypto
Aldo Trento........................................ 60
|
È il 1996 quando iniziano i primi lavori di ristrutturazione. La corte è uno dei
tipici insediamenti rurali che da sempre
popolano la pianura Padana. Ad accogliere il visitatore, quando arriva, un’antica
torre merlata del Settecento. Oggi, dopo
sedici anni, ad abitare la cascina Santa Marta ci sono undici uomini e dieci
donne dell’associazione laicale Memores
Domini, otto famiglie con relativa prole
e don Gianni Calchi Novati: in tutto una
sessantina di persone. E i lavori di rinnovamento non sono ancora terminati.
Dalla coltivazione di riso e mais si
passa a produrre anche frutta e verdura.
L’idea è di Gianni: è da questo momento che l’azienda familiare si trasforma in
una vera e propria cooperativa. Si riduce
la superficie della coltivazione di massa e
si iniziano a piantare frutta e ortaggi di
vario tipo e per intensificare i raccolti si
costruiscono le prime serre.
Nel 2002 entra in società Federico.
Viene da Crema, ha un diploma in ragioneria, dopo le superiori ha frequentato
una scuola di pasticceria. E fino a quel
momento si era divertito a sfornare torte
e pasticcini. Niente a che vedere col lavoro dell’agricoltore. Arare, irrigare, seminare e trebbiare non lo aveva mai fatto. «Ho cominciato da zero. Me lo hanno proposto e ho detto di sì», dice sorridendo. «Mi occupo principalmente della
parte amministrativa e commerciale, ma
se bisogna andare nei campi non mi tiro
indietro; in questo lavoro bisogna essere
umili: quello che serve bisogna farlo senza troppi programmi perché quelli sono i
primi a essere stravolti. Basta una grandinata o un mese di siccità e il raccolto va
in fumo. Gli imprevisti tra i campi sono
sempre dietro l’angolo. Quest’anno, ad
esempio, abbiamo piantato gli spinaci ma
per un motivo o per un altro non sono
cresciuti come pensavamo e quelli che
possiamo vendere sono davvero pochi».
Di lavoro ce n’è sempre
stato tanto in cascina, ma
«Inquestolavorobisognaessereumili.
Federico la sua busta paga
Bastaunagrandinataounmesedisiccità
l’ha dovuta inventare: «Ero
eilraccoltovainfumo.Gliimprevisti
contento della vita che avevo iniziato a fare, ma per
traicampisonosempredietrol’angolo»
trovare i soldi del mio stipendio bisognava per forza aumentare i ricavi della
Cooperativa. Così ho pensato a un piccolo negozio dove vendere i nostri prodotti. Grazie al passaparola e a qualche pubblicità ci siamo fatti conoscere, poi sono
stati gli stessi clienti a chiedere prodotti
sempre diversi: ortaggi, frutta, riso arborio, carnaroli, integrale, venere».
Nel giugno 2011 il salto di qualità
con un punto vendita tutto nuovo, premiato dal Club di Papillon come migliore bottega del Gusto d’Italia all’interno
della rassegna enogastronomica di Golosaria. Ristrutturando locali preesistenti è nato l’attuale negozio che conserva
travi e mattoni a vista, dove oltre ai prodotti della cascina si possono trovare specialità tipiche e delicatezze gastronomiche di altissima qualità: la pasta Makaira
fatta con orzo e farro, la birra dei monaci della Cascinazza, l’olio d’oliva toscano, il salame artigianale cremasco, i formaggi di Marco Vaghi – uno dei migliori
affinatori d’Italia –, vini doc dell’Oltrepò
Pavese. E non è finita qui perché, da sette
anni, la Cooperativa propone ad aziende
e privati la possibilità di acquistare ceste
gastronomiche di diverse grandezze per i
regali natalizi.
Il sogno di domani
E sempre dei clienti è la richiesta di poter
acquistare carne di animali cresciuti e
nutriti da persone fidate. «Oggi, su ordinazione, recuperiamo i tagli richiesti. Ci
appoggiamo all’azienda agricola di Alseno, in provincia di Piacenza; lì compriamo alcuni vitelli che, per circa due mesi,
portiamo all’ingrasso qui da noi, poi li
facciamo macellare. E il cliente è contento perché sa di potersi fidare».
Fuori dalla corte è stato costruito il
magazzino e, dal giugno 2010, un maneggio con dieci cavalli: lezioni di equitazione, volteggio e riabilitazione equestre,
sono solo alcune delle offerte. Il territorio
intorno alla cascina è perfetto per organizzare passeggiate a cavallo: circondati
da una natura incontaminata si possono
incontrare ghiri, tassi, faine, volpi, conigli selvatici, donnole e lepri. Tra gli uccelli si possono osservare l’airone, il picchio,
il cuculo, la cinciallegra, l’airone rosso, la cicogna bianca,
il germano reale, la gallinella d’acqua, il martin pescatore e la poiana. Quando l’acqua
dalle risaie si ritira, le strade e
i margini dei fossati si ricoprono di gamberi d’acqua dolce e
con un po’ di fortuna si possono vedere anche i gamberi rossi della Louisiana. «Organizziamo visite guidate dell’azienda e del territorio circostante,
è un luogo ideale per le scolaresche. È impressionante vedere le facce
dei bambini che si stupiscono delle cose
più normali. Ti fanno domande incredibili: “Perché la fragola non è rossa?”. Semplice, perché non è ancora matura. Per noi è
tutto normale, ma di fronte ai loro occhi
non puoi non sorprenderti del loro stupore. E così anche noi torniamo a non dare
per scontato nulla». Il prossimo obiettivo?
«Aprire un punto ristoro per dare la possibilità a chi ci fa visita di degustare i nostri
prodotti. E credo proprio che nel giro di
due anni riusciremo a inaugurarlo».
DanieleGuarneri
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Vivere in cascina. Ritorno in campagna
I campi, il negozio, l’allevamento e il maneggio. Storia
del casale di Santa Marta, della sua Cooperativa
e di una scelta di vita che è diventata impresa
Daniele Guarneri...................................................................................................................................................................................................52
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 18 – N. 46 dal 15 al 21 novembre 2012
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speciale), Benedetta Frigerio, Massimo
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Rizzo, Chiara Sirianni
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ROMPETE QUEL RECINTO
La recessione
dell’io
Non interverrò, non avrò, non farò. La ritirata della
nostra politica rispecchia la solitudine dell’uomo
moderno, tutto intento a sottolineare una diversità,
cioè a ingigantire la propria piccolezza. Manifesto
per un nuovo spazio di condivisione. Dove anche
i più piccoli fatterelli siano segni di grandi cose
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Q
la
Repubblica fotografava la sintesi
della cronaca politica italiana in
due pagine dai titoli meravigliosamente
accordati su una medesima nota, indice
del fatto che la cronaca è davvero ciò che
accade, e che i fatti letteralmente parlano, al di là dei commenti sulle notizie.
Ecco cosa campeggiava in neretto:
come esordio una dichiarazione del premier Mario Monti in merito alle questioni sulla legge elettorale: «Non costringetemi a intervenire»; più sotto i nota bene
di Franco Battiato, in merito alla sua carica di assessore alla cultura della regione
Sicilia: «Non avrò né stipendio, né auto
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ualche giorno fa il quotidiano
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blu. Non chiamatemi assessore»; meno
composto e riservato nella pagina a fianco il faccione di Beppe Grillo: «Non faremo le primarie»; sotto di lui a chiudere
la sarabanda Matteo Renzi: «Se perdo non
sarò ministro».
Un sovraffolamento di non così fitto
me lo ricordo solo nell’esordio del canto XIII dell’Inferno di Dante, quello che
parla del suicida Pier delle Vigne. Dante
comincia, appunto, quel canto seminando dei non a piene mani: descrive il pae-
saggio al contrario, dicendo cosa non c’è.
E così facendo il poeta ti mette già dentro la testa del suicida, scopre il suo nervo dolente e straziato, come a dire: tutto
l’orizzonte attorno a me è diventato così
opprimente e falso, invivibile, che l’unica possibilità rimasta per me era dire
non a me stesso. E non appena Pier delle
Vigne prende parola e parla di sé in prima persona si sente che è ancora intrappolato nello stretto recinto di quei pensieri che lo hanno spinto a negare la
vita: ribadisce la sua granSe l’io gioca in difesa muore. Retrocediamo, ci de e instancabile dedizione al lavoro, ricorda l’inrincantucciamo in una gabbia fatta di piccoli
vidia degli altri che s’inparticolarismi, credendo così di tutelare
fiammò per distruggere il
suo ben fare, portandolo
la nostra persona, ma ottenendo l’opposto
Foto: AP/LaPresse
di Annalisa Teggi
ROMPETE QUEL RECINTO PRIMALINEA
Girando in bicicletta
per la gran valle della
piccola gente, la Bassa,
Giovannino Guareschi
vedeva grandi cose,
dietro la cronaca
minuta del suo Mondo
piccolo (a sinistra,
la piazza di Brescello)
Foto: AP/LaPresse
ma ottenendo l’esatto opposto. Quella che
noi crediamo sia una lente d’ingrandimento, uno spazio di accresciuta autorevolezza, diventa invece una palizzata che
ci chiude in un angusto recinto.
a uno sdegno tale da diventare ingiusto
contro se stesso.
Quando l’io gioca in difesa muore. Più
ingigantisce le rivendicazioni puntigliose (e magari giuste) sui fatti che lo riguardano più rimpicciolisce sé fino a sparire.
Non c’è dubbio che questa tattica difensiva sia scelta come via più auspicabile in
tempi di crisi come il nostro, perché ha
la falsa apparenza di mostrarsi come più
pragmatica di altre visioni più coraggiose.
E infatti noi siamo in recessione. Non tanto e non solo nel senso economico, ma nel
senso più propriamente umano. Retrocediamo, andiamo all’indietro a rincantucciarci in una piccola gabbia fatta di piccoli particolarismi personali, credendo così
di tutelare e rafforzare la nostra persona,
Il mio dolore, la mia prigione
Mi è capitato di recente di trovarmi nella sala d’attesa di un ambulatorio medico, in compagnia di silenziosi sconosciuti che come me aspettavano di essere visitati; si trattava di un ambulatorio ortopedico e, dunque, per il tipo di patologie
connesse (braccia e gambe ingessate, collari al collo) era evidente anche esteriormente il fatto che qualcosa di dolente ci
accomunasse. Appeso alla parete di fronte a me c’era uno di quegli aforismi che –
intuisco – dovrebbero servire ad addolcire l’atmosfera sempre implicitamente triste dell’ambulatorio, con eleganti lettere
da libro di fiabe recitava così: «Non giudicare le mie azioni e le mie scelte, perché
solo io ho attraversato il dolore che ha
portato ad esse».
Ecco che quando l’io si aggrappa a
venerare la presupposta roccaforte dei
propri particolarismi, in realtà si isola e
si spegne. Perché quelle parole millantavano eroismo, ma dichiaravano solitudine. E, cosa ancora più grave, istigavano
il pensiero di una solitudine che rimpicciolisce il vero e semplice orizzonte delle
cose. La verità è che il mio dolore (o qualsiasi altro fatto) non mi parla solo del mio
dolore. Ma se io innalzo il mio dolore particolare a unica e grande autorità capace di definire lo spessore della mia persona mi ritrovo in prigione, perché potrò
ritagliarmi il mio spazio solo a forza di
non, cioè arroccandomi alla mia diversità rispetto a qualsiasi tema di confronto comune.
Il signor Chesterton, che amava i paradossi, diceva che dalla valle un uomo
vede grandi cose, mentre da un picco
vede solo cose piccole. È una disquisizione ottica di non poco conto. Solo in uno
spazio di comune condivisione si danno alla vista cose grandi, anche riguardo a noi stessi. E, invece, ingigantendo la
nostra piccolezza tutto attorno diventa
più piccolo. Il mondo della politica sembra riflettere in pieno la trappola di questa visione distorta: non c’è più alcuna
valle, ma solo picchi. Più i politici ci parlano in termini concreti e specifici, più
siamo indotti a valutarli credibili. Niente paroloni ambiziosi, ma programmi
strategicamente mirati a innalzare picchi partendo da piccoli bisogni per stanare, isolare e identificare gli infiniti sottogruppi di quella gran massa di gente che
abita la valle dei moderati.
La discesa di Obama tra il popolo
Alcuni esperti che si occupano di semantica politica hanno snocciolato statistiche
dettagliatissime sulle parole usate durante i tre dibattiti televisivi tra il neo rieletto presidente Barack Obama e il suo diretto avversario Mitt Romney. E la statistica,
con il suo algido e analitico distacco, si è
sorprendentemente resa conto di ciò che
molti altri (opinionisti, professori e gente comune) non hanno visto a colpo d’occhio, cioè che i due diretti avversari erano
d’accordo su molto. Sui verbi ad esempio,
quelli più usati da entrambi sono stati gli
stessi: do, have, get, say. Fare, avere, ottenere, dire. Ma anche su quelli meno usati erano d’accordo: believe (che è credere,
nel senso affermativo di credere in qualcosa) è sperduto in un piccolo cantuccio.
Guarda caso, poi, l’avverbio più usato è
stato anch’esso il medesimo per entrambi: not. E il problema della negazione non
è solo che è negativa, ma soprattutto che
separa, distingue e isola.
Però quando è stato il momento di
rivolgersi alla nazione non più con l’occhio da cacciatore di uomini della classe media, bensì come presidente di tutti,
Obama ha lasciato i picchi di gradimento di parole come affari, piccola impresa,
tasse ed è sceso a valle. È ritornato nella
grande spianata di un terreno che doveva indicare
Chesterton diceva che dalla valle un uomo
come comune all’intero e
vede grandi cose, mentre da un picco vede
variegato popolo americasolo cose piccole. Solo in uno spazio di comune no e lo ha fatto, stando in
condivisione si danno alla vista cose grandi
mezzo a loro a mostrare
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La clamorosa evidenza di cui si accorge il cronista di provincia è che il chicco non si è mai sentito piccolo. Si è sempre sentito un seme che la vita con le sue
imprevedibili annaffiate matura. Talvolta il chicco ha solo bisogno di una scampanata per ricordarselo. È così nella geografia dei piccoli paesi della Bassa: grandi campi, qualche agglomerato di case e,
riconoscibile in mezzo ad esse, il campanile. Accade sempre qualcosa di clamoroso quando le campane si mettono in moto.
Le campane di don Camillo
Quella famosa scena che fa parte del film
Don Camillo e l’onorevole Peppone in molti ce la ricordiamo. Don Camillo si accorge che le piccole schermaglie politiche a
suon di slogan tipo «Lista Peppone, lista
baffone» sono frecce a corta gittata. Sono
uno scoppio che porta ciascuno a chiudersi nel proprio guscio, sia esso la chiesa o il
palazzo del Comune. Invece, il seme inestirpabile dell’uomo è che funziona proprio come un campanile; se tiri le corde giuste si metterà a scampanare a più
non posso. Oppure: se metti la musica giusta, si ricorderà qual è il vero canto della
vita. E così, anziché schiacciare Peppone,
don Camillo lo innesca: fa risuonare dal
campanile le note de Il Piave mormorava
durante il comizio del cittadino-lavoratore Peppone. Tanto basta. Il facinoroso si
ricorda di essere stato un uomo di parte sì,
ma come soldato al fronte. E si ricorda di
aver dato tutto in nome dell’idea che vale
la pena lanciare l’anima oltre l’ostacolo.
Parla da combattente vero. Da operaio, verrebbe da attualizzare – cioè da uomo che
si riconosce parte di una grande opera. n
Segui “Tremende bazzecole”,
il blog di Annalisa Teggi su tempi.it
Foto: AP/LaPresse
grandi cose: il discorTutti vogliono l’America. Se pure il modo di dire
so pronunciato appesi è ridotto a una illusione di successo personale,
na avuta conferma delricorda che toccando certe corde l’uomo ritrova
la rielezione traboccava
una incrollabile parte di sé che non è in declino
di speranza. Fosse anche
pura strategia di comunicazione importa meno del fatto che da pendentemente dai suoi personali picchi.
sempre questa è l’unica strategia vincen- Dagli alti e bassi. Da crisi e rilancio. I pochi
operai di Pomigliano si sentono davvero
te. E questo vuol dir qualcosa.
piccoli solo se si parla di loro in termini di
La ricerca della felicità
reintegro e mobilità: allora sì che sono 19
Gli uomini vogliono l’America. Per i più pedine spostate dal bianco e nero di granquesta espressione è un’illusoria frase fat- di scacchisti, abbiano essi il nome della
ta, ma chiunque si ritrovi concretamente grande industria o dei grandi sindacati.
L’errore politico più abominevole è
investito della carica di presidente degli
Stati Uniti non può aggirare quel gigan- quello di costruire picchi isolati che ci
tesco monumento ingombrante che è la costringano a trattare noi stessi come
Dichiarazione d’Indipendenza. Quella fac- cose piccole. Ma è sufficiente l’esperiencenda di non poco conto che riguarda za comune per frantumare questo erroil ritenere di per sé evidenti certe verità, re ottico. Se ne accorse quel grande giorcome il fatto «che tutti gli uomini sono nalista che intitolò Mondo piccolo i suoi
stati creati uguali, che essi sono dotati dal racconti. Nessuno meglio di Giovannino
loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, Guareschi sa cos’è la valle, la Bassa. Ne
che fra questi ci sono la Vita, la Libertà e scriveva la cronaca avendo nel suo vocala ricerca della Felicità». Se anche il modo bolario – diceva egli stesso – non più di
di dire «vuoi l’America» si è ridotto a pura duecento parole; e tra quelle parole ci si
retorica o a una vana illusione di grandez- accorge che – statisticamente – spesso salza e successo personale, continua comun- tano fuori onestà, libertà, pietà, bontà,
que a ribadire che toccando certe corde fede. Girando in bicicletta per la gran vall’uomo si ricorda che c’è una incrollabile le della piccola gente vedeva grandi cose,
parte di sé che non è in recessione. Quel dietro piccoli fatti: «Cronista di provinmanifesto politico dichiara che la bandie- cia, son marinaio d’acqua dolce e costegra dell’uomo è fatta di strisce orizzontali gio solo le rive del mio torrente pur navicon in alto un ritaglio di stelle; un’ugua- gando a tutta velatura in un burrascoglianza che non appiattisce, ma che per- so mare di guai. Chiudono il mio orizmette di evidenziare la grande statura di zonte, turrito sbarramento, inviolabile a
ogni uomo. Stando coi piedi nella propria me nocchiero di piccioletta barca, queste
fetta di terra l’uomo si sente proteso ver- colonne d’Ercole che han nome “fatterelso l’alto, ogni piccola cosa – bella e brut- lo”, “fatto” e “fattaccio”, il solito eterno
ta – lo ferisce con un bisogno di grandez- rosario della cronaca, che io anche stavolza che non è monomania, ma necessità di ta andrò lentamente sgranando cantando
una comprensione totale e autentica. Indi- vita e miracoli d’ogni chicco».
Da OlTRE CINQUaNT’aNNI
laVORIamO PER la TUa SICUREZZa
SUllE FERROVIE ITalIaNE
GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a
T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t
L’OBIETTORE
SEGNALI FIN TROPPO CHIARI
Una patrimoniale per il Monti bis?
Piacerà a Pd e Udc, ma ci strozzerà
di Oscar Giannino
L
Foto: AP/LaPresse
Giosafat, nome
che evoca la valle dove tutti dovremo trovarci per la conta dei
NON SONO
salvati e dei dannati. Monti ha deciso
D’ACCORDO
di onorare a suo modo la suggestione. Ha detto che una imposta patrimoniale non sarebbe poi la fine del
mondo, c’è in molti paesi capitalisti.
Il governo ci aveva pensato e ci pensa, ma il punto è avere un database
preciso delle attività degli italiani,
per non sbagliare la mira. Vastissimi echi all’esternazione del premier.
Poi smentite dal portavoce di Palazzo Chigi, nel senso almeno che il governo non ci riserverebbe la sorpresina,
anche se Monti pensa e ha detto quel che ha detto.
Mah. Trovarsi Monti nella condizione di Berlusconi,
che dice cose bombastiche sull’euro o su Alfano e poi le
smentisce come nulla fosse, è certo una novità. Non piacevole, visto che Monti è apprezzato innanzitutto per aver
ripristinato la credibilità dell’istituzione che ricopre. Ma al netto di questo a me sembra che le sue parole non
siano affatto un lapsus né tanto meno
una gaffe. Credo si possano invece leggere alla luce di tre diversi criteri. Il
primo è politico, e guarda all’Europa.
Il secondo è anch’esso politico, e guarda all’Italia. Il terzo è tecnico, e ammetto che mi lascia esterrefatto.
Primo. Io credo che Monti al Financial Times – era quella la sede delle sue dichiarazioni – risponda innanzitutto pensando ai partner europei e
ai mercati. E fa non bene, ma benissimo. Poiché la Grecia
ha appena votato in Parlamento l’ennesima stangata ma
ha bisogno di un’ulteriore iniezione di aiuti, e poiché per
la Spagna dopo il pasticcetto della Bce l’aria sembra quella di traccheggiare per gli aiuti, mi sto convincendo che
i tedeschi non siano dell’idea di vincolare l’Italia, prima
delle politiche, chiedendo che anche Roma prenda aiuti
e firmi condizioni. Credo che Angela Merkel prima delle
elezioni nell’autunno 2013 non voglia esporsi alla scontata critica di aiutare anche l’Italia. La cosa intossicherebbe non poco la sua campagna elettorale. Ergo Monunedì era san
È ovvio che se il premier non esclude di restare
in sella in caso di “parlamento matto”, allora
la disponibilità alla patrimioniale è un segnale
di consenso agli schemi di governo visti in Sicilia
ti, previdentemente, in caso lo spread italiano salga per il
rischio di instabilità legato alle nostre prossime elezioni
politiche, fa capire ai mercati e ai partner europei che ha
ancora cartucce da sparare. E mica leggere!
Secondo. C’è anche un fin troppo evidente messaggio
che Monti lancia alla politica interna in tumultuosa evoluzione verso l’appuntamento elettorale. Il premier ha
iniziato a modificare sostanzialmente il suo netto no al
proseguimento dell’incarico. Solo due mesi fa in Consiglio dei ministri aveva detto che nessun ministro si doveva candidare alle politiche, altrimenti si doveva dimettere. Tre settimane fa la posizione è cambiata, il premier
ha ammesso che candidature sono possibili, si augura solo che non siano troppo numerose né troppo connotate
in un solo schieramento: ne soffrirebbe il rapporto con
la sua eterogenea maggioranza. E anche nella risposta alla domanda reiterata se continuerebbe a fare il premier,
Monti varia ormai le formule. Non è più un no senza condizioni. Per molti, Monti potrebbe iniziare a benedire da
lontano ma non troppo quelle parti di politica e di società civile che invocano la continuità del suo governo. Vediamo per esempio cosa farà il 17 novembre all’iniziativa del manifesto per la Terza Repubblica sottoscritto da
Italia Futura, Cisl, Acli e Sant’Egidio. È ovvio che se inizia
a non escludere che in caso di parlamento matto, senza
maggioranza politica, lui resti in sella alla testa di un governo di convergenza ma questa volta politico, allora la
disponibilità alla patrimoniale è un chiarissimo segnale
di benevolo consenso a schemi Pd-Udc come quelli visti
in Sicilia, e che sembrano prepararsi in Lombardia. La patrimoniale è per loro, inutile girarci intorno.
Il solito Stato che pensa solo alle sue casse
Sin qui nessun problema, Mario Monti è pienamente legittimato a tutto questo. È sul merito della proposta che
a me viene sinceramente da piangere. È vero che esistono
paesi avanzati con imposte patrimoniali ordinarie. Anche l’Italia fa parte di quella schiera, visto che tra Imu e
conto titoli e sovrimposte su auto e compagnia cantando
l’attuale governo di patrimoniali ne ha introdotte per un
pacco di miliardi di euro. Ma una patrimoniale ordinaria ha senso se si rimette mano al sistema fiscale, riequilibrando il prelievo in modo da esercitare nell’economia
reale meno depredazione e sterminio d’impresa e lavoro. Purtroppo Monti ancora una volta non lo fa. La patrimoniale come ulteriore addendum al record di prelievo
fiscale, quando siamo l’unico paese euroscassato che ha
alzato sia le imposte dirette con le addizionali locali, sia
quelle indirette con l’Iva e le accise, sia quelle patrimoniali, sarebbe solo un’ulteriore mossa recessiva. Lo Stato
che pensa solo a se stesso, alle sue casse, e al suo raggelante potere di impedire crescita. No, non posso essere d’accordo né ora né mai, pur riconoscendo a Monti tutto il
prestigio e la credibilità di cui giustamente gode.
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INTERNI
COPERTINA
Attacco
a Finmeccanica
Indagine su quella strana forma di autolesionismo
all’italiana che minaccia il cuore industriale del
nostro paese. Così, grazie all’azione congiunta
di procure e quotidiani, rischiamo di perdere un
affare da cinque miliardi. A vantaggio dei francesi
C
e l’avevano quasi fatta. Alla fine di
giugno era toccato al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola scendere a Brasilia per riannodare i fili del
discorso col suo omologo brasiliano, Celso Amorim. E che discorso: in ballo c’era
la gara per fornire alla marina brasiliana cinque cacciatorpediniere/fregate lanciamissili da 6.000 tonnellate, altrettante corvette/pattugliatori da 1.800 tonnel-
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late e una grande nave rifornitrice. Un
programma che non riguarda solo la realizzazione delle navi ma anche gli allestimenti, l’elettronica e gli armamenti. Una commessa da 5 miliardi di euro
che fa gola anche a francesi, tedeschi, britannici, spagnoli, sudcoreani, eccetera.
Negli stessi giorni anche l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono,
l’azienda predestinata a costruire le navi
in caso di vittoria dell’offerta italiana, era
nel paese sudamericano a ritessere la tela
con funzionari del ministero della Difesa brasiliano, in particolare con l’ex presidente del Partito dei lavoratori (quello del
presidente Dilma Rousseff e del suo predecessore Lula) Josè Genoino. Poi il 18-20
settembre è stata la volta di Corrado Passera, il ministro dell’Industria, di recarsi in Brasile ufficialmente per trattare
accordi industriali a largo raggio, ma senza perdere di vista l’obiettivo numero uno
di restaurare il primato italiano nell’operazione corvette e cacciatorpediniere.
Le cose sembravano rimettersi per il
meglio quando… patatrac! Il 23-24 ottobre
arrivano sui quotidiani verbali di interrogatori rilasciati ai Pm di Napoli quasi un
anno prima (novembre 2011) da Lorenzo
Foto: AP/LaPresse
Dall’alto, in senso
orario: Lula,
ex presidente
brasiliano;
il terrorista Cesare
Battisti, a cui il
Brasile ha concesso
asilo politico;
l’ex ministro dello
Sviluppo economico
Claudio Scajola;
Giuseppe Orsi,
ad e presidente
di Finmeccanica
Borgogni, ex responsabile delle Relazioni istituzionali di Finmeccanica, indagato sin dall’inizio del 2011 con accuse di
frode fiscale e finanziamento illecito ai
partiti. Già ad aprile di quest’anno erano trapelate dichiarazioni pirotecniche
da sue deposizioni. Borgogni aveva accusato il da poco presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi di aver ricevuto sei auto
Maserati da aziende fornitrici della società e Comunione e Liberazione di essere
destinataria di dazioni di denaro. Stavolta all’ex dirigente di Finmeccanica è attribuita la denuncia di una tangente di ben
550 milioni di euro (sarebbe una delle più
grosse di tutta la storia mondiale delle
commesse militari) sull’affare delle famose fregate di Fincantieri da vendere al Brasile, e il coinvolgimento dell’ex ministro
dello Sviluppo economico Claudio Scajola, indicato come colui che avrebbe sollecitato la dazione di denaro, pari all’11
per cento del valore della transazione. Il
nome di Scajola è accompagnato da altri,
italiani e brasiliani, fra i quali spicca quello dell’ex ministro della Difesa brasiliano
Nelson Jobim.
L’affare, che sarebbe la salvezza per
una Fincantieri in difficoltà e un successo di portata storica per l’industria della difesa italiana, torna in alto mare. Forse definitivamente. Qualcuno avverte un
senso di dejà vu. Sulla Stampa esce uno
strano articolo incentrato su dichiarazioni di “collaboratori di Jobim”, i quali
non si limitano a smentire di essere coinvolti in storie di tangenti, ma ironizzano sull’apparente autolesionismo italia-
no, asserendo che il contratto «era praticamente cosa fatta, mentre ora il vostro
paese può attendere il 2040 per chiudere
un affare che, invece, ora appare oramai
quasi chiuso a vantaggio della Francia».
La Francia, già, la Francia… È da anni
che va avanti il braccio di ferro fra italiani e francesi per la faraonica commessa
della marina brasiliana. Di qua Fincantieri e Finmeccanica, di là la Dcns. I primi
sembrano essere avvantaggiati per i prezzi migliori a parità di qualità. Finché nel
marzo 2007 succede una strana cosa: Cesare Battisti, terrorista latitante dal 2004
fuggito dalla Francia dove viveva da molti anni alla vigilia della sentenza del Consiglio di Stato francese che lo avrebbe
dichiarato estradabile in Italia, riappare in
pubblico sulla spiaggia di Copacabana a
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INTERNI COPERTINA
La cura Orsi sta facendo effetto. Eppure non
passa giorno senza che qualche partito
o grande giornale non chiedano al governo
l’azzeramento dei vertici di Finmeccanica
Rio de Janeiro e viene arrestato. Chiede
asilo politico e gli viene concesso il 13 gennaio 2009, contro il parere del Comitato
nazionale per i rifugiati. Scende il gelo nei
rapporti fra Italia e Brasile, e la trattativa
per le fregate si arena. Provvidenzialmente per i francesi. Ma l’Italia non demorde:
nell’aprile 2010, mentre pendono i vari
ricorsi sul destino di Battisti, a Washington Lula e Berlusconi firmano un accordo di partnership strategica che prevede
che alcune delle navi della famosa commessa vengano costruite in Brasile, a giugno scende a Brasilia il sottosegretario alla
Difesa Guido Crosetto per un altro accordo firmato col ministro Amorim sempre
relativo alle navi da costruire e tecnologie
da trasferire. Ma il 31 dicembre dello stesso anno Lula rifiuta di firmare l’estradizione del terrorista, e i rapporti fra Italia e
Brasile tornano in crisi.
La campagna della stampa
Insomma, in questa storia infinita della grande gara per l’ammodernamento
della marina militare brasiliana succede sempre qualcosa che manda all’aria la
trattativa con l’Italia, il paese che attraverso Fincantieri e Finmeccanica fa l’offerta
migliore, e che rilancia le quotazioni della Francia, benché i servizi della Dcns, il
campione nazionale, appaiano generalmente più costosi.
Magari c’entra qualcosa il fatto che a fondarla sia stato il
cardinal Richelieu nel lontano
1631. Magari c’entra la tendenza italiana all’autolesionismo.
Finmeccanica è il secondo gruppo industriale italiano, il primo per contenuti di
alta tecnologia. In Europa rappresenta il terzo più grande
attore per fatturato del settore difesa. Nel 2005 aveva
vinto la gara per la fornitura dell’elicottero presidenziale negli Stati Uniti, risultato poi annullato da Barack Obama nel 2009. L’anno scorso per la prima volta dopo anni il gruppo
ha risentito della crisi e ha segnato ricavi inferiori all’anno precedente, attestandosi a 17,3 miliardi di euro, e un bilancio in perdita per 2,3 miliardi di euro.
Nonostante le raffiche di inchieste giudiziarie che hanno continuato ad affliggerlo, le dimissioni del vecchio presidente e
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Nel 2005
Finmeccanica
aveva vinto
la gara per
la fornitura
dell’elicottero
presidenziale
negli Stati
Uniti, risultato
poi annullato da
Barack Obama
nel 2009.
Alla nuova
gara il gruppo
italiano si
ripresenterà
con l’americana
Northrop.
Con buone
probabilità
di vittoria
I NUMERI DEL COLOSSO
Con la gestione Orsi i guadagni
dell’azienda ritornano positivi
La lenta risalita di Finmeccanica pare proprio essere cominciata con la trimestrale del 30 settembre scorso,
presentata al Cda dell’8 novembre. I conti indicano un utile
netto pari a 75 milioni di euro, in crescita di 50 milioni rispetto
ai 25 milioni del terzo trimestre del 2011, e ricavi saliti dell’8
per cento a 4,1 miliardi di euro. A fine anno i ricavi dovrebbero
essere più o meno la stessa cifra del 2011 (17,3 miliardi di euro),
ma i guadagni al lordo di tasse e interessi (Ebita) dovrebbero
tornare in territorio positivo rispetto a un anno fa, quando
furono negativi per 2,3 miliardi di euro. Invece a fine 2012 è
previsto un risultato operativo pari a circa 1 miliardo di euro.
Resta elevato il livello del debito, che ha toccato i 4,8 miliardi
a fine settembre per motivi legati alla stagionalità del business
di Finmeccanica. Con l’ultima trimestrale l’importo del debito
dovrebbe tornare grosso modo ai livelli di fine 2011. Il Gruppo
da tempo ha deciso di vendere le attività nei settori dell’energia
e dei trasporti (Ansaldo Energia, AnsaldoBreda e Ansaldo STS),
lontane dal suo “core business”, per ridurre l’indebitamento, e
sta cercando il momento e l’acquirente migliore per negoziare
l’offerta più vantaggiosa. Il fatto che recentemente a Siemens
si sia affiancato un altro aspirante acquirente (il Fondo strategico italiano) fa ben sperare.
La ristrutturazione interna ha fatto passi avanti con la fusione
fra Alenia e Aermacchi nel settore aeronautico e quella fra le
tre Selex (Selex Galileo, Selex Elsag e Selex Sistemi integrati)
nel settore aerospaziale. Finmeccanica ha conosciuto pure una
flessione nel numero dei dipendenti, ma resta un gigante: gli
addetti sono scesi dai 70.400 del 2011 ai 68.321 del 30 settembre 2012. Di questi 40 mila lavorano in Italia, e diventano
100 mila se si calcola l’indotto. Compromettere il futuro di un
gruppo con questi numeri sarebbe un vero delitto.
amministratore delegato (Pierfrancesco
Guarguaglini, sostituito da Giuseppe Orsi
prima come ad dal 4 maggio 2011 e poi
come presidente dal successivo 1 dicembre), arresti di dirigenti, ex dirigenti o collaboratori, la perdurante crisi economica
generale e i tagli nei bilanci per la difesa dei tre mercati di riferimento (Italia,
Regno Unito e Stati Uniti), quest’anno il
gruppo chiuderà prevedibilmente con la
stessa cifra di ricavi dell’anno scorso, ma
con un risultato operativo per 1,1 miliardi di euro. Dall’inizio dell’anno il gruppo ha guadagnato il 30 per cento in Borsa. Finmeccanica si presenterà insieme
all’americana Northrop alla nuova gara,
tutta obamiana, per il nuovo elicottero
presidenziale, e molto probabilmente la
rivincerà. Ha firmato con Israele un contratto per la fornitura di 30 aerei da addestramento. Ha vinto quest’anno due contratti Nato per sistemi di sicurezza informatici e per sistemi di sorveglianza ariaterra. Ha venduto 10 C 27J (aerei da trasporto tattici) all’Australia. Insomma, la
cura Orsi sta facendo effetto. Eppure non
passa giorno senza che qualche partito o
qualche grande giornale non chiedano al
governo Monti l’azzeramento dei vertici
di Finmeccanica. Se l’esecutivo seguisse le
indicazioni di editorialisti e Di Pietro vari,
Finmeccanica diventerebbe l’unico grande gruppo mondiale della difesa e dell’aerospazio che in diciotto mesi cambia tre
Foto: AP/LaPresse
volte i suoi vertici: roba da barzelletta, da
harakiri sui mercati mondiali.
Quello dei manager e capitani d’industria della difesa tecnologicamente avanzata e dell’aerospazio è un mondo altamente selettivo, un club chiuso dove viene
ammesso solo chi padroneggia perfettamente la materia, dalle conoscenze ingegneristiche alle logiche industriali. Eppure sul giornale della Confindustria, Il Sole
24 Ore, si possono leggere ipotesi stravaganti: «L’ambasciatore americano a Roma
David Thorne potrebbe essere un ottimo presidente di Finmeccanica». Come
se un esperto d’arte e brillante finanziere (questo è Thorne), per giunta forte portatore di interessi di un paese in cui hanno sede i principali competitor di Finmeccanica, potesse tranquillamente prendere
il posto di un signore, Giuseppe Orsi, che
da 40 anni opera nel settore dell’aeronautica e dell’aerospazio e che ha trasformato l’Agusta (di cui è stato direttore di marketing e ad) da produttore su licenza a
uno dei più prestigiosi produttori in proprio mondiali e, dopo la fusione con Westland, nel fiore all’occhiello di Finmeccanica. Un ingegnere aeronautico cui la regina Elisabetta II ha conferito due anni fa
l’onorificenza di “Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico”.
Certo, il problema è la gragnuola di
inchieste giudiziarie piovuta in due anni
e mezzo su Finmeccanica e dintorni. Che
sembra dare diritto all’approssimazione
informativa. Quando in aprile arriva sui
giornali la prima ondata di accuse di Borgogni che coinvolgono anche Orsi, il Corriere della Sera titola “Sei Maserati in
cambio di appalti”. In realtà la procura di
Napoli ha già appurato che si tratta di una
bufala, che le sei Maserati facevano parte
del prezzo pattuito per l’acquisto da parte
di Fiat di un elicottero AW 129, e che possono confermarlo Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne, ma la notizia rimbalza per giorni nonostante l’immediata smentita di Finmeccanica. Nota
bene: l’elicottero dell’Agusta va a sostituire un elicottero francese fino a quel
momento utilizzato da Fiat. È simile la storia delle presunte consulenze di Finmeccanica all’ex moglie del ministro dell’Economia Vittorio Grilli: a settembre prima
i quotidiani poi la trasmissione televisiva Servizio Pubblico danno la notizia che
Orsi avrebbe dichiarato che era a conoscenza di consulenze assegnate dal gruppo alla signora; solo la pubblicazione quasi integrale di intercettazioni di un colloquio fra Orsi ed Ettore Gotti Tedeschi su
Il Fatto del 5 novembre chiarirà che Orsi
stava riferendo affermazioni fattegli da
Alberto Nagel, l’ad di Mediobanca. Che
un’attenta verifica dei contratti di consulenza dimostrerà non fondate.
Strane coincidenze
Quando si tratta di Finmeccanica, le stranezze si aggiungono alle stranezze: Orsi
ha operato a livelli via via sempre più alti
nel mondo dell’aeronautica e della dife-
sa per 40 anni senza mai essere sfiorato
da uno scandalo, ma questi improvvisamente si presentano quando diventa prima ad e poi presidente di Finmeccanica.
E senza che nessuno faccia caso al particolare che Orsi viene accusato da un ex
dirigente che lui ha di fatto costretto alle
dimissioni per imputazioni per le quali poi lo stesso ha patteggiato. Massimo
risalto alle accuse sulla presunta tangente da 10 milioni di euro che sarebbe stata
pagata nell’affare dei 12 elicotteri venduti
all’India nel 2010, quando Orsi era ancora ad di AgustaWestland, minimo risalto
alle smentite indiane e alla conferma da
parte indiana che la consegna della commessa andrà avanti come pattuito, coi primi elicotteri che dovrebbero essere consegnati nei prossimi due-tre mesi. Minimo risalto pure al fatto che nel passaggio
dell’inchiesta da Napoli a Busto Arsizio
Orsi non è più indagato per riciclaggio e
finanziamento illecito ai partiti, ma solo
per corruzione internazionale. Ma, così
tanto per sapere, se agli indiani girassero
troppo i cosiddetti e la gara vinta in India
dall’AgustaWestland dovesse essere riaperta, chi è che potrebbe sperare di subentrare all’azienda del gruppo Finmeccanica?
Beh, alla gara del 2010 partecipava Eurocopter, un’azienda che ha un fatturato di
5,4 miliardi di euro all’anno (Agusta arriva a 4 miliardi circa). E dove ha sede Eurocopter? Ha sede a Marignane, vicino a Marsiglia. Ma quante strane coincidenze.
Rodolfo Casadei
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INTERNI LA TORTURA PREVENTIVA
Uno scheletro
sorridente muore
a San Vittore
Silvia sta in carcere, in custodia cautelare,
malata di cancro, incapace di esprimersi.
Ha già perso diciotto chili. Chissà per quanto
resterà in vita. Di sicuro non può rimanere in
cella. Com’è possibile una simile disumanità?
«K
alina! Kalina! Vieni Kalina ti
cercano!». L’agente di polizia
penitenziaria chiama ad alta
voce, nella zona dove le detenute prendono l’aria a San Vittore. Nel cortiletto dipinto di verde per fingere il prato, forse, Silvia
Kalina si alza da sotto il muro di cemento. Se ne stava accovacciata in mezzo alle
altre, con una cartelletta blu in mano, ed
è uno scheletro avvolta in qualcosa di grigio. Quanti anni avrà? Settanta, ottanta?
Si avvicina e saputo che un deputato italiano è lì per lei, ha un bel sorriso, e da sotto i capelli bianchi spuntano due pezzi di
smeraldo che sono gli occhi.
In una intervista trasmessa da Radio
Radicale, Marinella Colombo parlava di
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questa signora incarcerata (a proposito
della Colombo e delle sue terribili vicende, conviene leggere il numero 45 di Tempi), e concludeva così: «Spero che qualcuno intervenga». Il giornalista Lanfranco
Palazzolo rilanciava: «Spero che qualcuno
ci ascolti». Eccomi, ore 13 circa di venerdì
9 novembre. La denuncia era chiara. Giace nel carcere milanese, in custodia cautelare, una signora malata di cancro, incapace di esprimersi, non ascoltata da nessuno. Com’è possibile una simile disumanità? C’entra qualcosa con la legge, con i
diritti umani sulla cui base l’Europa si è
messa tutta sotto la bandiera azzurra con
dodici stelle?
Premetto: la vicenda giuridica è confusa. Kalina è accusata di aver rapito la sua
stessa figlia di 17 anni, è ritenuta parte di
una specie di organizzazione che provvede a strappare alla patria tedesca (leggete
il box), per conto di padri e madri che germanici non sono, i figli che a ogni costo
lo Stato della Merkel impone restino sotto
la bandiera di Berlino. In carcere il deputato non può parlare di questioni processuali con i reclusi, tanto più
quando sono in attesa di
Silvia parla tedesco, e io no. Nessuno tra le
giudizio. Ma la salute, lo stabravissime agenti di polizia penitenziaria lo
to della detenzione quello
parla. Le uniche con cui dica due parole sono sì che si può e si deve esplole compagne Danuta, una polacca, e Veronica rare. E ad occhio nudo que-
Foto: Marka
di Renato Farina
GENITORI IN LOTTA CON L’ENTE TEDESCO
Lo Jugendamt gli ha tolto i figli ma per
la giustizia italiana i rapitori sono loro
Foto: Marka
Ceed (Conseil européen des enfants du divorce) si definisce
un’associazione di genitori e nonni «vittime di rapimenti internazionali di
bambini», più in particolare della giustizia familiare tedesca. In Italia si è
iniziato a parlarne nel luglio scorso, quando le indagini sul caso di Marinella
Colombo – Tempi ne ha parlato nel numero 45 – hanno portato su richiesta
della procura di Milano all’arresto di alcuni membri dell’associazione. Il
Ceed è stato fondato dal francese Olivier Karrer, uno degli arrestati, a cui lo
Jugendamt ha tolto il figlio di 4 anni. In questi anni ha denunciato gli abusi
delle convenzioni europee operati dallo Jugendamt, l’ente statale tedesco
che interviene nelle cause di divorzio tra genitori con figli minori, soprattutto
se a separarsi sono coppie binazionali. Il Ceed, con petizioni e interrogazioni
presentate al Parlamento europeo, accusa lo Jugendamt di anteporre le
origini tedesche del bimbo al suo vero bene, facendo in modo che nessun minore lasci la Germania, che l’affido esclusivo non venga concesso al genitore
straniero e ostacolando i suoi rapporti con il figlio.
Le indagini milanesi, coordinate dal procuratore aggiunto Pietro Forno, sono
iniziate nel marzo 2011 quando la Colombo è stata arrestata con l’accusa
di sottrazione di minori. Secondo l’accusa stava per scappare con i suoi figli,
Leonardo e Nicolò, in Libano. La procura si è basata su intercettazioni le cui
traduzioni sono state contestate dagli avvocati della difesa. Quanto a Karrer,
è accusato di aver ricevuto denaro dalla Colombo per organizzare la fuga. La
prova? La testimonianza di una cittadina tedesca, Nicole Kaendler, che afferma sotto giuramento di non conoscere Marinella ma di aver avuto da lei
un messaggio nel quale le dice che avrebbe pagato Karrer. La donna non ha
mai mostrato questo messaggio, ma poco importa: Karrer e altre 3 persone
sono in carcere. Stando all’ordinanza firmata dal gip Luigi Varanelli, il Ceed
sarebbe un’associazione per delinquere «dotata di mezzi, denaro, appoggi logistici in diversi paesi europei ed extraeuropei, finalizzata a sottrarre, dietro
compenso, una serie indeterminata di minori oggetto di contesa tra genitori
tedeschi e genitori di diversa nazionalità». Il processo non è ancora iniziato
ma ovviamente la stampa ha già emesso il suo verdetto: tutti criminali, non
v’è altra soluzione che il carcere. Tra gli arrestati c’è anche Silvia Kalina,
cittadina tedesca di origine russa, madre single di una ragazzina finita a sua
volta nelle mani dello Jugendamt. Estradata in Italia, oggi si trova a San
Vittore, in attesa del processo. Mentre un cancro la sta uccidendo.
Daniele Guarneri
sta donna non può stare lì. Le mettano un
braccialetto elettronico, la chiudano in un
ospedale: ma così è la morte vivente e temo
presto non più vivente.
Chiedo a Silvia come sta. Parla il tedesco, e io no. Non lo parla nessuno tra le
bravissime agenti della polizia penitenziaria. Mastica un poco di inglese, e le uniche
compagne con cui dica due parole sono
una polacca che qualcosa di inglese sa, e si
chiama Danuta, ma di italiano nulla (parla
uno spagnolo scalcinato); e poi c’è Veronica, che qualche frasetta britannica sa tirarla fuori. Mi dicono che Silvia non ha 80
anni ma 55, e da 3 è ammalata di cancro.
Le è stato asportato un seno, e le metastasi – a quanto dice la Kalina – si sono diffuse, ha subìto diverse operazioni («Sì sì, ha
le cicatrici», dicono) e lei mostra il fegato,
Sopra, le pagine del servizio che sul numero
scorso di Tempi parla dello Jugendamt
na era vecchia di quarant’anni, e l’avrebbe esposta troppo a lungo a raggi nocivi. Mi dice: «Sono stata visitata. La visita è
durata trenta secondi». Ed è stata rimandata qui. Qualcuno la viene a trovare in prigione? «Nessuno. Verrebbe mia figlia, ma
ha diciassette anni e dalla Germania non
la lasciano uscire». È la figlia che avrebbe
rapito a se stessa…
Non afferro molte cose, e non sono certo medico. Lei mi sorride: è abituata a non
essere capita da nessuno. Mi mostra la cartelletta blu, la apre. Ci sono esercizi elementari di lingua italiana, sta cercando
di imparare. Io le tiro fuori un libretto per
lei, è la versione tedesca di Chi prega si salva (edizioni 30 Giorni) con preghiere nella sua lingua e in latino, e la prefazione di
Joseph Ratzinger. Allora mi bacia proprio
sulla guancia, tra il riso contagioso delle
detenute, specialmente di una ragazza che
uscirà l’indomani.
Ma poi un’altra signora rompe il clima
di festa e piange. Mi domanda di fare qualcosa. È russa di San Pietroburgo, si chiama
Oxana. Dovrebbe uscire presto dal carcere,
e ha un bambino di tre anni in una comue mima anche ferite al cuore, ma non si nità. Lo ha avuto da un macellaio marcapisce se sono lacerazioni morali o a qual- chigiano, e dunque il piccolo è italiano.
che muscolo, ma forse tutt’e due. «Ho per- Lei vorrebbe portarlo a casa in Russia, dai
so diciotto chili da quando sono stata estra- genitori, hanno una casa dignitosa: imposdata in Italia», penso di capire. Mi segna su sibile. Il padre non vuole né madre né
un foglio le date: 14 maggio 2012, arresta- figlio tra i piedi, ma nemmeno autorizza
ta in Germania su ordine dei giudici italia- la loro partenza. Dice Oxana: «Mio Dio che
ni con mandato di cattura europeo. Il 20 errore ho fatto». Non per quel che l’ha porluglio viene trasferita a Roma, il 31 luglio tata in cella, che io non so, ma per essersi
a Milano. Avrà il processo a dicembre. Dice messa con quel macellaio, il quale in due
che doveva essere sottoposta a esami, ma anni le ha spedito 500 euro per il bambinon ha accettato di farsi passare sotto i rag- no e basta così: «Non ci ama», dice. Scrive il
gi dell’ospedale, sostenendo che la macchi- numero di telefono dell’uomo perché io lo
convinca a dire di sì.
Altre donne allora si
Le è stato asportato un seno. Mi mostra
avvicinano, e raccontano le
il fegato, e mima anche ferite al cuore,
stesse storie, ma le lacrime
ma non si capisce se sono lacerazioni morali sono tutte diverse. E le agenti di polizia si commuovono.
o a qualche muscolo, ma forse tutt’e due
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IL NOSTRO UOMO
A PALAZZO
TRASCINATO NELLA TEORIA DELLA TRATTIVA CON LA MAFIA
Scalfaro mollato dagli ex amici
nelle mani di Ingroia. Io non ci sto
di Renato Farina
Foto: AP/LaPresse
P
erché tutti hanno abbandonato Oscar Luigi Scalfaro nelle mani di Antonio Ingro-
ia, senza dire almeno un “Non ci sto”? Almeno lei, procuratore Armando Spataro, che lo esaltò lealmente fino a ieri, commuovendosi alle lacrime quanBORIS
GODUNOV
do a Novate Milanese lo affiancò in una memorabile conferenza; almeno lei si alzi a
gambe larghe e dica: no pasarán sul corpo del mio amico ed eroe… Spataro forza, intervenga, lei che si recò a casa sua per chiedergli consigli (me lo riferì Cossiga).
Boris Godunov ha letto le 22 pagine della memoria con cui il procuratore aggiunto di Palermo e del Guatemala chiede al gip di procedere per delitti terribili, tipo “minaccia a corpo dello Stato”, contro Mannino, Dell’Utri, il generale Mori insieme con Totò Riina e altri di quella risma. La “scellerata trattativa” – a leggere bene
– ha sì come esecutori i citati personaggi. Ma compare due volte, come immenso burattinaio, Scalfaro. Era lui, secondo Ingroia, a decidere di spostare
ministri e capi del Dap per salvare dal carcere duro, il 41 bis, cen- Caselli titolò “La vera storia d’Italia”
tinaia di boss. Naturalmente Ingroia non è sciocco, nasconde un la requisitoria contro Andreotti. Qui
pochino la mano. Scrive: «Per completezza (!), si segnala il ruolo di
siamo al sequel, ma forse non era
concorrenti nel medesimo reato assunto da altri uomini delle istituzioni oggi deceduti. Ci si riferisce all’allora capo della Polizia Vin- previsto che la fiction del doppio
cenzo Parisi ed al vicedirettore del Dap Francesco Di Maggio, che, Stato tirasse dentro un “eroe”
agendo entrambi in stretto rapporto operativo con l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, contribuirono al deprecabile cedimento sul tema del 41 bis». C’è addirittura un capitolo intitolato “Il Colle”. Non lo titola
“Scalfaro”, forse perché Oscar proprio come Ingroia amò definirsi “partigiano della Costituzione”, ma Scalfaro è pur sempre il «capo dello Stato che, come emerso da
varie e convergenti deposizioni testimoniali, ebbe un ruolo decisivo negli avvicendamenti Scotti-Mancino e Martelli-Conso, e nella sostituzione di Nicolò Amato col
duo Capriotti-Di Maggio, attraverso i quali seguì l’evoluzione delle vicende del 41 bis
strettamente connesse all’offensiva stragista del 1993… allentamento sul fronte carcerario, con alcune significative mancate proroghe di regime ex 41 bis nei confronti di boss mafiosi di assoluto rango». Insomma, se ha ragione Ingroia, Scalfaro mentre era presidente della Repubblica ha commesso alto tradimento, ha attentato alla
Costituzione vendendo la dignità della Repubblica a Cosa Nostra. Ingroia lo fa passare per scemotto (era secondo lui influenzato dal capo della Polizia Parisi), ma resta
il ruolo fedifrago. Siamo alla puntata successiva a quella scritta da Gian Carlo Caselli, che titolò “La vera storia d’Italia” la requisitoria contro Andreotti. La orribile e falsa teoria del doppio Stato, con coerenza, procede assorbendo in essa Berlusconi, ma
forse non era previsto tirasse dentro Scalfaro.
Se Spataro non ha il coraggio, lo dice Boris: “Non ci sto”. Non è che siccome il bersaglio si sposta lontano dai miei amici allora godo. Balle. La questione non è il bersaglio, ma il metodo. Non ci sto. Così se Report distrugge con taglia e cuci di carte e
interviste Di Pietro, non mi pare il caso di applaudire. Allora, dottor Spataro, allora
direttore Eugenio Scalfari (erano cugini e amici): aspetto che qualcuno in alto esponga il fianco per un amico morto. Come diceva Scalfaro, il mondo si divide in chi ha la
vocazione di essere servo e in chi ha la schiena diritta. Twitter: @RenatoFarina
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DOPO IL VOTO
Il sogno
americano
e la realtà
Le politiche di Obama hanno modificato l’intera
società. Lo Stato pesante non spaventa più.
«Se non torniamo a scommettere sul talento
dei singoli, addio terra delle opportunità e della
libertà». I repubblicani analizzano la sconfitta
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da Washington Dc Maria Claudia Ferragni
I
l giorno dopo la sconfitta di Mitt
Romney e l’inizio del secondo mandato presidenziale di Barack Obama,
a Washington la galassia conservatrice si
interroga sulla sconfitta e riparte dai suoi
fondamenti. La grinta e la voglia di lottare per la libertà non mancano, ma è certo che per ripartire col piede giusto qualcosa deve cambiare perché, comunque
lo si voglia analizzare, c’è un dato di fatto: il paese non è più come prima. Oltre
tre anni e mezzo di lotte con i Tea Party
da una parte e il più recente movimento Occupy Wall Street dall’altra hanno
prodotto sommovimenti di diversa natura: a favore della riduzione del peso dello Stato alla Camera dei Rappresentanti e a livello di governi locali per i primi,
a sostegno delle politiche neo-assistenzialiste e fortemente regolatorie di Obama per i secondi. La prima cosa che salta
Foto: AP/LaPresse
ESTERI
Foto: AP/LaPresse
Barack Obama è il
44esimo presidente
degli Stati Uniti
d’America, eletto
per la prima volta
nel novembre 2008.
Alle presidenziali
del 2012 ha battuto
lo sfidante
repubblicano
Mitt Romney
agli occhi leggendo i dati che si riferiscono agli exit poll elaborati da Fox News, è
che l’elettorato dei due partiti è spaccato: il voto dei giovani (il 60 per cento nella fascia d’età 18-29 anni e il 52 di quella
i 30-44 anni), delle minoranze afro-americana (98), ispanica (71), asiatica (73) e delle donne (55 per cento del totale laddove
gli elettori di sesso femminile sono il 53
per cento) è saldamente orientato a favore di Obama. Inoltre anche il 50 per cento dei cattolici e il 73 degli ebrei ha votato il presidente uscente; a votare Romney
è stata la maggioranza dei bianchi (59 per
cento) e degli uomini (45 per cento su un
totale del 47 dell’elettorato).
I dati fanno pensare che almeno la
metà degli americani non disdegna più
le politiche obamiane di stampo europeo e non è minimamente preoccupata
del debito pubblico schizzato alle stelle.
È come se il tradizionale sogno americano basato su libertà individuale, gover-
no al minimo, bassa leva fiscale e libertà d’impresa inizi a essere solo un ricordo del passato. Inoltre, i think-tank di
area conservatrice e libertaria si interrogano sull’efficacia del loro lavoro a favore del libero mercato e su quello che succederà ora al partito repubblicano e alle
sue politiche. Tempi ha cercato di avere
una panoramica della situazione, ascoltando diverse voci.
Le battaglie condivise
Uno dei loro più attivi e influenti esponenti per ciò che concerne le politiche
fiscali, Grover Norquist, presidente di
Americans for Tax Reform, si dichiara
assolutamente convinto che i risultati del
voto, in particolare alla Camera dei Rappresentanti e nei singoli Stati, dimostrano che gli americani sono a favore delle politiche di diminuzione della spesa
pubblica. Quindi, «nonostante la sconfitta di Romney, le battaglie conservatri-
ci sono condivise dalla maggioranza del
popolo americano e all’interno del partito non vi è una vera spaccatura fra conservatori (più inclini a concessioni alla spesa
pubblica come per il rafforzamento della
difesa) e i libertari (che vorrebbero lo stato fuori dalla vita del singolo). Per quanto concerne, invece, i temi dell’immigrazione cari alle minoranze, i repubblicani devono senz’altro cambiare registro e
affrontarli in modo più costruttivo».
Dan Mitchell, senior fellow del libertario Cato Institute, invece, sostiene che
«il fatto che abbia vinto Obama e non
Romney cambia poco: il candidato repubblicano non è poi così diverso da quello
democratico. Non è a favore dello Stato
minimo e non ha quasi mai parlato della riforma della spesa pubblica; quando era governatore del Massachusetts ha
approvato una legge di riforma del sistema sanitario molto simile all’Obamacare. La vera riforma dovrebbe avvenire,
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ESTERI DOPO IL VOTO
invece, attraverso l’aboPer Fred Smith, «il problema è il trionfo della
lizione di tanti ministeri e
cultura dell’irresponsabilità. Solo una società
agenzie che generano solo
che stimola la persona a sfruttare i propri
privilegi e non ricchezza,
talenti diventa più produttiva ed espansiva»
perché il rischio per l’America è di ritrovarsi con un
settore pubblico che cresce più in fret- duale dal 35 al 43,6 per cento, e lo stesso
ta di quello privato, come sta accaden- accadrà per le imprese. Parimenti Obama
do in Europa. Occorre ritornare a sogna- potrebbe rendere meno competitive le
re lo Stato minimo, quello in cui credeva aziende del settore energetico, settore che
negli ultimi quattro anni è cresciuto noteRonald Reagan».
È molto preoccupata per la rielezione volmente, creando tanti posti di lavoro».
di Obama Margo Thorning, vicepresidente del think tank conservatore American La guerra contro Al Qaeda
Council for Capital Formation, che preve- Fred Smith, presidente del libertario
de un forte periodo di incertezza per ciò Competitive Enterprise Institute, crede
che concerne la politica fiscale, con con- che il vero problema sia «il trionfo della
seguenze negative sul mondo imprendito- cultura dell’irresponsabilità, soprattutto
riale. «Una qualsiasi riforma fiscale potrà per ciò che concerne la spesa pubblica.
essere implementata solo nel 2013-2014 Nessuno dei due candidati ha affrontato
con l’entrata a regime del nuovo Con- seriamente il problema delle pensioni. La
gresso. Inoltre stanno per scadere i tagli vera sfida dell’America come per l’Europa
voluti da Bush per la classe media con – sostiene – non è solo la riduzione delle
un aumento dell’aliquota fiscale indivi- tasse, bensì il ridimensionamento dell’ec-
cessiva regolamentazione che ingabbia e
comprime le forze del mondo imprenditoriale». Il vero problema dello Stato non
è l’efficienza, ma la limitazione delle sue
competenze. L’unica soluzione è il ritorno alla responsabilità individuale: «Solo
una società che stimola la persona a sfruttare i propri talenti diventa più produttiva ed espansiva. Purtroppo – sottolinea
Smith – non c’è attualmente nessuna forza politica disposta a sostenere questa
visione. Molti americani preferiscono avere alle spalle una rete di sicurezza, come
quella proposta da Obama, piuttosto che
diventare responsabili. Può darsi che sarà
il prossimo candidato repubblicano nel
2016, ad esempio Rand Paul, a imprimere
una svolta in questo senso».
Si levano anche alcune voci singolari e poco conosciute dai media di casa
nostra, come quella del National Immigration Forum, un’associazione trasversale che mira a valorizzare l’importanza
degli immigrati e dell’immigrazione per
L’ECONOMISTA Alejandro Chafuen
Una nuova
Argentina?
I
presidenziali
negli Stati Uniti, con la seconda investitura di Obama, il presidente che
più ha visto crescere la spesa pubblica
nel corso del suo mandato, hanno generato non pochi interrogativi fra gli analisti di area liberal-conservatrice. Tempi
ha incontrato Alejandro Chafuen, economista di origine argentina co-fondatore
dell’Acton Institute e da oltre vent’anni
presidente dell’Atlas Economic Research
Foundation, fondazione no profit volta
a sostenere oltre 400 organizzazioni che
promuovono le ragioni del libero mercato e della libertà in più di 80 paesi.
risultati delle elezioni
Signor Chafuen, che lettura dà dei risultati delle presidenziali americane?
Una prima lettura conferma il dato
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che negli ultimi dieci anni i repubblicani hanno sempre più trascurato l’elettorato costituito dalle minoranze, in particolare dagli immigrati ispanici, mentre George W. Bush aveva ottenuto quasi il 50 per cento dei loro voti. La questione non può assolutamente essere rimandata, soprattutto di fronte alle importanti azioni adottate da Obama come il Dream Act, che consentirà ai figli degli immigrati illegali di studiare nelle università
di uno stato diverso da quello in cui vivono a costi dimezzati rispetto agli altri studenti. La differenza andrà a carico dei
contribuenti. Ovviamente i conservatori
non vedono di buon occhio queste misure, e così ci sono state proposte di riforma: la Red Card Solution, ideata dalla
Vernon Krieble Foundation e che io stesso e altri think tank di area liberale abbiamo sostenuto, prevede che gli immigrati che vogliono lavorare negli Stati Uniti
per un periodo limitato di tempo possano accedere a un nuovo tipo di permesso di lavoro che non porta all’ottenimento della nazionalità americana. I costi
Foto: AP/LaPresse
«La colpa di Romney? Trascurare le minoranze
conquistate dall’assistenzialismo del presidente.
Ma rendere i cittadini dipendenti dai sussidi pubblici
è lo stesso errore fatale che commise Perón»
l’America e che lavora con
«Obama ha fatto rimpatriare più immigrati
i partiti, le circoscrizioni
di qualsiasi altro presidente». Ali Noorami
elettorali e i diversi creprevede che «sarà la comunità dei credenti
do religiosi a partire dai
a fare pressione perché la situazione cambi»
valori dei padri fondatori
che riconoscono nell’America il paese delle opportunità. Il Forum, li nati in America». Per cui, prevede Ali,
che annovera nel board anche Jeb Bush, «è probabile che sarà la comunità dei creex governatore della Florida e fratello denti a fare pressione su entrambi perché
del più famoso George W. Bush, ha una la situazione possa cambiare».
Per concludere, e ampliando il discorlunga storia di rapporti con la Conferenza Episcopale statunitense e, come spie- so al ruolo dell’America nel mondo, va
ga il direttore Ali Noorani, musulmano considerato il pessimismo dell’ala connato negli Stati Uniti, «difende la liber- servatrice tradizionale. Danielle Pletzka,
tà imprenditoriale che è sempre estrema- vicepresidente dell’area studi di politica
mente viva fra gli immigrati. Purtroppo, estera e di difesa dell’American Enterpripur condividendo i valori dei conservato- se Institute, legge i risultati elettorali conri, la comunità ispanica si sta allontanan- statando che «gli americani si sono totaldo dai repubblicani a causa delle posizio- mente disinteressati dell’attacco all’amni di questi ultimi sull’immigrazione. Dal basciata americana di Bengasi» e a suo
canto suo Obama ha fatto rimpatriare più parere questo fatto è estremamente preimmigrati di qualsiasi altro presidente occupante e non gioca in alcun modo a
ma ha anche adottato dei provvedimenti, favore di Obama. Questo anche perché,
come il Dream Act, che favoriscono quel- come la storia insegna, la conseguenza
del disinteresse dell’America verso il resto
del mondo ha sempre avuto conseguenze
tragiche, com’è avvenuto fra la fine della Grande Guerra e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. A ciò si sommano
la discontinuità della politica di Obama
in Medio Oriente: «La scelta di combattere Al Qaeda con i droni senza intervenire
direttamente sul territorio non paga, prova ne è che i terroristi stanno dimostrando di essere vivi e di diffondersi a macchia d’olio». Per cui, conclude la Pletzka,
«è solo l’ideologia ad avere trionfato attraverso l’intimidazione e l’indottrinamento
e se non si combatte ora, ci si ritroverà a
combattere più avanti, con costi sempre
più alti. Se questa situazione drammatica
sia frutto della tremenda crisi economica
o sia piuttosto frutto di un cambiamento culturale degli americani è comunque
difficile da dirsi».
È senz’altro probabile che con la sconfitta di Romney la risposta a questo interrogativo non arriverà tanto facilmente. n
to ricco, dall’economia dinamica, che
attraeva immigranti da tutta Europa,
ma quando è salito al potere l’ex-generale Perón si è imposta una mentalità
populista e statalista. Parte della sua colpa è stata quella di rendere ogni cittadino gradualmente dipendente dallo Stato, in modo che non potesse più farne a
meno. Temo che questo stia accadendo
anche negli Stati Uniti. Un esempio? I forti sussidi concessi da Obama all’industria
automobilistica. Ma nessuno spiega che
queste concessioni hanno un costo e che
qualcuno prima o poi dovrà pagare.
Foto: AP/LaPresse
Crede che l’americano medio non sia più
così convinto di affermare la sua libertà
rispetto allo Stato?
sono sostenuti dai datori di lavoro e non
dai contribuenti, ma i conservatori non
hanno voluto neanche questa soluzione,
e hanno attaccato qualsiasi tipo di riforma. Un’altra lettura possibile è che l’elettore medio repubblicano, legato ai tradizionali valori della famiglia, in un certo
senso sta diminuendo perché la famiglia
è in crisi e la percentuale di divorzi sempre più alta.
Vede un’analogia fra quello che sta succedendo in America e l’Europa?
In realtà prima ancora vedo una forte analogia con quanto è accaduto al mio
paese d’origine, l’Argentina, circa cinquant’anni fa: eravamo un paese mol-
Sono un economista e mi piacciono i
dati, non credo si possa più giocare con i
numeri come è stato fatto fino ad ora: il
candidato che sosteneva al cento per cento la libertà individuale, Gary Johnson,
ha ottenuto solo l’1 per cento dei voti e
questo è un segnale inequivocabile che
alcuni valori non sono più sostenuti dalla maggioranza degli americani. Inoltre,
l’intervento statale è altissimo: la spesa
pubblica a livello federale rappresenta
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DOPO IL VOTO ESTERI
il 24 per cento del Pil, mentre a livello
locale sommando i vari livelli di governo
è del 14 per cento. Se sommiamo anche la
regolamentazione, i costi sono altissimi e
paragonabili a quelli dell’Europa.
I valori americani potranno sopravvivere alle
politiche di Obama attraverso l’educazione.
Sono le idee a guidare una società. E poi
serve anche l’intervento della Provvidenza
Quali sono le cause della situazione?
Senz’altro, come dicevamo, il venire meno dei legami familiari dovuto in
parte agli incentivi economici del welfare state, in parte alla debolezza di coloro
che avrebbero dovuto ispirare questi valori che ne hanno causato la graduale perdita di attrattiva. E quando il welfare state andrà in bancarotta, c’è da chiedersi
chi lo sostituirà. Si creerà un circolo vizioso, perché il migliore fornitore del welfare state è sempre stata la famiglia; se non
ci sarà più la famiglia, ci sarà sempre più
domanda di assistenza statale che a quel
punto sarà insostenibile economicamen-
te. Temo l’affermarsi del crony capitalism, il capitalismo di relazione. Tutto ciò
riflette anche la debolezza intrinseca della natura umana, che non è perfetta.
Come potranno i valori americani sopravvivere alle politiche obamiane?
Attraverso l’educazione, perché sono
le idee a guidare una società. Ciò può
avvenire sottraendo i giovani all’educazione univoca delle scuole statali, cosa
molto difficile da realizzare oggi in America se non attraverso l’homeschooling.
Servono poi gli incentivi a fare bene, di
solito creati dalla famiglia, una forte lea-
dership conservatrice, oggi
un po’ in crisi, e l’intervento della Provvidenza o fortuna che dir si voglia! Dobbiamo anche evitare di trasformare le nostre debolezze umane (pensiamo al divorzio, all’aborto) in leggi. Credo inoltre che in America ci sia un altro importante fattore di
speranza: nonostante tutto gli Stati Uniti
sono il paese più religioso che io conosca,
e con questo intendo dire che gli americani hanno un fortissimo senso del rapporto con il Creatore che è fonte dei nostri
diritti fondamentali: il diritto alla libertà,
alla vita, alla proprietà, al perseguimento
della felicità e nessuno può toglierci questi diritti, neanche lo Stato. Qui si gioca la
battaglia fondamentale per i cristiani dei
prossimi anni. [mcf]
Gli Stati Uniti sono
diventati il più
grande produttore
al mondo di shale
gas. Così il sogno
dell’indipendenza
energetica di cui
si parla fin dai
tempi di Richard
Nixon sta per
diventare realtà
IL MEGLIO CHE DEVE VENIRE
Foto: AP/LaPresse
La rivoluzione
energetica
Altro che rinnovabili. Sarà lo shale gas a mettere
fine alle guerre per l’oro nero. Niente più petroliere
dal Medio Oriente. E l’industria tornerà a volare
S
ì, ha ragione
Barack Obama: il
meglio della sua presidenza deve
ancora venire. Ma le sue personali capacità e scelte strategiche c’entrano
poco, anzi: a rendere luminoso il prossimo quadriennio degli Stati Uniti non
sarà la new economy a base di energie
rinnovabili che il presidente aveva promesso quattro anni fa e ha ripromesso
durante la campagna elettorale, bensì
una rivoluzione energetica made in Usa
che attinge ancora agli odiati idrocarburi
e agli spiriti animali del capitalismo americano. Parliamo dello shale gas, il gas
delle scisti argillose, di cui gli Stati Uniti sono divenuti il più grande produtto|
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ESTERI DOPO IL VOTO
ce il costo oscilla ormai fra i 2 e i 3 dollaL’impatto sulla creazione di posti di
ri: sembra impossibile, ma appena quat- lavoro non è ancora quantificato, se non
tro anni fa era di 12 dollari. La rivoluzio- per i nuovi impieghi nel settore dell’enerne dei costi è stata resa possibile dall’im- gia: 484 mila fra il 2009 e oggi.
missione sul mercato del gas di sciste, di
Imponenti riserve di gas di sciste
cui l’America è il terzo detentore di riser- esistono, oltre che in Cina e in Rusve mondiale dopo Cina e Russia, anche in Europa, ma solo
sia, ma il primissimo per valoin America si è potuto materizzazione economica. Gli Starializzare in pochi anni un
ti Uniti potrebbero dunque
miracolo economico del tutto
PER CENTO inatteso. La ragione apparenesportarlo già ora con profitla quota del fabbito in Oriente, ma hanno scelte è la differente valutazione
sogno energetico
to di non lanciarlo sul mercadel rischio ecologico: menche gli Stati Uniti
to mondiale per una validistre i paesi europei guardano
copriranno da sé nel
sima ragione: la rapidissima 2012. Nel 2020 sarà con estremo sospetto le tecniil 100 per cento
flessione del costo dell’enerche di trivellazione dette “fragia sta spingendo le imprecking”, che hanno permesso
se americane che avevano delocalizza- di valorizzare economicamente il gas di
to attività in Europa e in Oriente a ritor- sciste, gli Stati Uniti che queste tecniche
nare in patria, e sta attraendo come un hanno inventato si sono mostrati permagnete investimenti di multinazionali missivi fin dall’inizio. L’iniezione ad alta
straniere. La Shell sta per aprire un gran- pressione di acqua mista a uno 0,5 per
de impianto per la produzione di etano cento di reagenti chimici negli strati pro(idrocarburo che è la base dei polimeri fondi per provocare le crepe da cui poi
con cui si produce la maggior parte delle fuoriesce il gas è stata proibita in Franmaterie plastiche che utilizziamo) a Bea- cia e Bulgaria, confinata all’ambito spever County, vicino a Pittsburg,
rimentale in Germania. Ma
fino a ieri un cimitero indula ragione profonda è il diverstriale dell’acciaio. La Dow
so regime delle proprietà fonChemical sta chiudendo le
diarie: negli Usa la proprieMILIONI
sue attività in Belgio, Olanda,
tà privata si estende al sottodi barili di petrolio al
Spagna, Regno Unito e Giapsuolo del terreno posseduto,
giorno. È l’equivalenpone ma investe intensameninvece in Europa ciò che si
te che gli Usa produte nella produzione di propi- cono grazie all’appor- trova sotto la superficie è di
lene in Texas. Cinquanta nuoproprietà dello Stato e richieto dei gas di sciste e
dei biocarburanti
vi progetti nel settore chimico
de il suo permesso e le sue
negli Usa hanno visto o stanregolamentazioni per essere
no per vedere la luce, e 30 miliardi di sfruttato. In America i proprietari di terdollari di investimenti riguardano i soli re sono incoraggiati a concedere i loro
impianti per la produzione di etilene e fondi per ricerche e trivellazioni con tecdi fertilizzanti. Uno studio dell’American nologie sperimentali dalla prospettiva
Chemistry Council afferma che l’iniezio- delle royalties che verrebbero loro senza
ne di competitività portata dallo shale alcun investimento. La loro disponibilità
gas ha invertito il declino delle industrie e la legislazione che non attribuisce allo
chimiche, delle plastiche, dell’allumi- Stato il monopolio delle risorse mineranio, metallurgica, della gomma, dei rive- rie ha incoraggiato piccole imprese ad
stimenti metallici e del vetro.
assumersi il rischio di esploAbbinata all’aumento del 16
razioni che potevano concluper cento dei salari cinesi nel
dersi con profitti limitati, tutcorso dell’ultimo decennio,
tavia interessanti per investiMILA
la benedizione del gas di scitori su piccola scala, mentre
i nuovi posti di lavoste sta producendo un granle grandi compagnie avrebro che in America si
de fenomeno di rimpatrio delbero disdegnato l’operaziosono registrati nel
le attività industriali manifatne. Le piccole imprese che si
settore dell’energia
turiere delocalizzate in Oriensono assunte i rischi dell’ava partire dal 2009
fino ad oggi
te dei settori delle macchine
vio di attività hanno aperto
utensili, dei prodotti elettrola strada alle grandi companici, dei materiali per trasporto, dell’ar- gnie, quando i dati geologici raccolti graredamento, eccetera. Il revival dell’indu- zie ai loro sforzi sono diventati invitanti.
stria chimica è tale che persino la Basf, È il modello americano dell’impresa che
la grande azienda chimica tedesca, ha ha permesso all’America di ricominciare
dovuto ammettere che è impossibile com- a sognare, altro che Obama.
petere coi costi americani.
Rodolfo Casadei
84
re mondiale nel giro di pochi anni. Trasformando in realtà a portata di mano
quella che fino a due-tre anni fa era solo
un sogno: l’“indipendenza energetica”
americana (così viene chiamata dai tempi del presidente Nixon).
Quest’anno gli Stati Uniti produrranno da sé l’84 per cento di tutta l’energia di cui hanno bisogno, e prima della
fine del decennio raggiungeranno la piena autosufficienza: solo quattro anni fa,
nel 2008, producevano il 73,9 per cento
dell’energia che consumavano. Dopo il
2020 non si vedranno più petroliere dal
Medio Oriente o dal Venezuela attraccare nei porti statunitensi. Niente più guerre americane per il petrolio in giro per
il mondo. E per di più, una fenomenale reindustrializzazione del paese e della sua economia. Che è in corso già ora, e
ha contribuito in misura decisiva alla rielezione di Obama.
I numeri della fortuna
Alla fine di quest’anno gli Usa produrranno, grazie all’apporto dei gas di sciste e dei biocarburanti, l’equivalente di
11,4 milioni di barili al giorno di petrolio, cioè quasi quanto l’Arabia Saudita.
E nel 2014 diventeranno il primo produttore mondiale di idrocarburi. Volendo, a quel punto potrebbero esportare
gas in Europa e soprattutto in Asia: in
quelle due aree geo-economiche, infatti, il gas costa rispettivamente fra i 6 e
gli 8 e fra i 15 e i 16 dollari per milione
di unità termali. Negli Stati Uniti inve28
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11,4
484
Foto: AP/LaPresse
Alcuni campioni di rocce
di scisto da cui viene
estratto lo shale gas
ESTERI DOPO IL CONGRESSO
La Cina
è lontana
dalla libertà
Pechino ha scelto il suo prossimo imperatore,
ma le promesse di autoriforma del regime
la gente ormai nemmeno le ascolta più. Harry
Wu: «Il cambiamento verrà dal clima sociale.
Nel paese ci sono tremila proteste al mese»
«N
on copieremo mai i sistemi politici occidentali. Noi dobbiamo proseguire i nostri sforzi per perseguire la riforma della struttura politica e continuare sulla via del socialismo con caratteristiche cinesi». Queste
poche parole del segretario del partito
comunista e presidente della Cina Hu
Jintao nel suo discorso di apertura del
18esimo Congresso del partito riassumono bene i risultati dell’evento politico
più importante avvenuto in Cina da dieci anni a questa parte. Nella Grande Sala
del Popolo che si affaccia su piazza Tienanmen, racchiusa tra il mausoleo dove
riposa Mao Zedong e l’ingresso della Città proibita dove abitavano gli imperatori, ora sovrastata da una gigantografia del
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Grande timoniere, ogni cinque anni oltre
2.200 delegati del partito si riuniscono a
congresso. Questa volta, però, durante la
settimana di lavori che si è conclusa il 14
novembre è stata anche nominata la quinta generazione di gerarchi che comanderà la Cina per i prossimi dieci anni. Dopo
mesi di lotte tra le diverse fazioni del partito, oltre a Xi Jinping, il nuovo segretario generale che a marzo diventerà anche
presidente del paese, e a Li Keqiang, nuovo numero due e futuro premier al posto
di Wen Jiabao, sono stati scelti gli altri
componenti del ristretto Comitato permanente del Politburo, il massimo organo di potere comunista che governa un
miliardo e trecento milioni di cinesi. Chi
si aspettava un’apertura democratica è
rimasto deluso: Hu Jintao ha ricordato
come sempre «il pensiero di Mao Zedong,
la teoria di Deng Xiaoping, le “Tre rappresentanze” di Jiang Zemin» e ha invitato a
«continuare sulla via del socialismo». Tradotto, significa che in Cina continuerà a
governare e ad essere legale un solo partito. Quello comunista.
Qualche analista ha fatto notare come
Hu abbia anche parlato di “riforme politiche” ma come spiega a Tempi Steve Tsang,
professore di Studi contemporanei cinesi prima all’università di Hong Kong, poi
a Oxford e oggi all’università di Nottingham, «quando i leader comunisti parlano
di riforme politiche, non intendono riforme democratiche. Al massimo cambierà la governance. E la governance oggi in
Cina è cambiata perché il partito è più abile a reprimere il dissenso». Pechino conferma le parole del professore: in occasione del Congresso la capitale è stata invasa da striscioni appesi dovunque con la
scritta: “Senza il Partito comunista, non ci
sarebbe una nuova Cina”. Per sicurezza ai
tassisti è stato ordinato di girare al largo
da piazza Tienanmen e di svitare le maniglie dei finestrini dai sedili posteriori perché nessuno potesse lanciare volantini; ai
negozi è stato proibito di vendere armi
giocattolo; a chiunque impedito di fare
uso di piccioni viaggiatori; in tutto il paese dissidenti e attivisti sono stati arrestati e messi a tacere; in tv per una settima-
na i telefilm americani sono stati cancellati dai palinsesti e sostituiti da programmi
“rossi”, mentre internet è stato posto sotto
una rigidissima censura.
Se il partito comunista non ha alcuna
intenzione di lasciare il potere e garantire la libertà di espressione, non è così cieco da non accorgersi che la Cina è sempre più lontana dall’essere quella «società
armoniosa» che Hu Jintao voleva costruire e che i cinesi sono sempre meno disposti a sottostare a un regime. Per questo
l’ex presidente ha sottolineato che chi vìola la legge deve essere perseguito «chiunque egli sia, qualunque ruolo ufficiale abbia». Spiega ancora Tsang: «Nei dieci anni di presidenza di Hu
lo scontento della gente è
In occasione del Congresso la capitale
aumentato. Il sistema giudiè stata invasa da striscioni appesi
ziario non è indipendente,
dovunque con la scritta: “Senza il Partito
il divario tra ricchi e povecomunista, non ci sarebbe una nuova Cina”
ri è enorme, le proteste civili aumentano a causa delle
ingiustizie subite dai lavoratori, dei disastri ambientali che oramai non si contano più e soprattutto della corruzione dilagante dei funzionari». Non a caso dunque
Hu Jintao si è lanciato in una durissima
reprimenda della corruzione, che «rischia
di aprire una profonda crisi nel partito e
travolgere lo Stato e l’intero paese».
Foto: AP/LaPresse
IL TORMENTONE
UNA SFIDA LANCIATA MILLE VOLTE
Com’è dura combattere la corruzione
Al Congresso Hu Jintao ha tuonato: «La
corruzione rischia di aprire una profonda
crisi nel partito e travolgere il paese».
Parole forti ma già sentite. 1994, Jiang
Zemin, segretario del Pcc: «Rinnovare
gli sforzi contro la corruzione». 1996,
Quotidiano del Popolo, megafono del
Pcc: «Epurare i corrotti». 2001, Jiang
Zemin: «Lottare contro la corruzione,
questione di vita o morte». 2002, Jiang
Zemin: «Se non eliminiamo la corruzione,
il partito rischierà di autodistruggersi».
2006, Hu Jintao: «Intensifichiamo
gli sforzi contro la corruzione».
2010, Sezione pechinese del Pcc:
«Promettiamo di aumentare gli sforzi
contro la corruzione ma è complicato».
Il presidente uscente della Cina Hu Jintao
e, sopra, il suo predecessore Jiang Zemin.
A sinistra, nella foto grande, la Grande Sala
del Popolo a Pechino, dove si è appena chiuso
il Congresso del partito comunista cinese
Papaveri arricchiti, popolo alla fame
Negli ultimi cinque anni 660 mila funzionari sono stati trovati colpevoli di corruzione, di questi però solo 24 mila sono
stati condannati penalmente. Non stupiscono perciò le rivelazioni del New York
Times, secondo cui il premier Wen Jiabao e i suoi familiari hanno raggranellato
in dieci anni quasi tre miliardi di dollari.
Una cifra enorme, se si pensa che il Pil pro
capite annuale cinese è pari a 7.500 dollari, il 94esimo del mondo. «Il partito avrebbe bisogno di autodisciplina – commenta
Tsang – ma è difficile ottenerla non dovendo rendere conto a nessuno».
È dal 1993, infatti, che tutti gli anni
il leader comunista di turno denuncia
la corruzione, spiegando che rappresenta «il problema più grave della nazione» e
rischia di compromettere «il legame tra il
partito e il popolo». Quasi vent’anni dopo,
Hu Jintao dice le stesse cose ma il risultato degli «incessanti sforzi» è che in Cina
70 membri del partito fanno parte delle
persone più ricche del mondo mentre 110
milioni di cinesi vivono sotto la soglia della povertà con 1,25 dollari al giorno. L’incapacità o la scarsa volontà del partito di
correggere la rotta non stupisce però un
grande dissidente come Harry Wu, l’uomo che ha trascorso 19 anni nei laogai, i
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ESTERI DOPO IL CONGRESSO
Ci mancava la crisi economica
Si aspetta molto invece la Quinta generazione di leader: «Per rendere lo sviluppo
cinese più sostenibile entro il 2020 dobbiamo raddoppiare il Pil del paese e il
reddito pro capite degli abitanti di città e
di campagna». Da quando Deng Xiaoping
ha inaugurato l’era dell’apertura economica alla fine degli anni Settanta, sostituendo il motto di Mao “Ribellarsi è giusto” con il nuovo “Arricchirsi è glorioso”,
la Cina è cresciuta in media di 10 punti
percentuali di Pil ogni anno per trent’anni, mischiando capitalismo e comunismo. «Nel 1976 l’imperatore Mao Zedong
è morto e il partito si è trovato davanti a
una scelta: abbandonare il comunismo
o andare avanti?», ricorda Harry Wu. «Si
è consumata una lotta intestina ad alti
livelli e alla fine Deng Xiaoping ha riguadagnato il potere. Per non cederlo, ha
deciso di non criticare Mao, anche se lo
odiava, e ha preso la terza via: mantenere
la dittatura comunista e cambiare l’economia aprendo al capitalismo. Ma oggi
la Cina rallenta perché non è un’economia di mercato: il sistema è governato da
una dittatura».
Quello economico è uno dei grandi nodi che la prossima leadership dovrà
sciogliere: la Cina ha un debito impressionante di 23,76 milioni di miliardi di yuan
(circa 4 milioni di miliardi di euro, dati
Caixin), non c’è una sana competizione
tra aziende statali e private e lo scorso 17
ottobre il National Bureau of Statistics ha
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LE NOSTRE VOCI
Online le interviste e un blog “estremo”
I testi integrali delle interviste
al dissidente Harry Wu (nella
foto qui a lato) e a Steve
Tsang sul 18esimo Congresso
del partito comunista cinese
e sul futuro del regime di
Pechino sono pubblicate online
nel sito di Tempi. Su tempi.it
è ospitato anche “The East Is
Read”, il blog di Leone Grotti
dedicato al paese del dragone.
Il vicepresidente Xi Jinping (a sinistra),
nominato a ottobre segretario generale
del partito comunista cinese, sarà
eletto presidente nel prossimo marzo
annunciato che il Pil cinese è cresciuto del
7,4 per cento nel terzo trimestre, contro
l’8,1 del primo. «L’economia cinese rallenta perché i suoi partner commerciali, Stati Uniti, Europa e Giappone, sono in crisi
e la gente è troppo povera per costituire
un valido mercato interno», spiega Tsang.
«Il partito deve distribuire la ricchezza per
uscire dalla crisi ma per farlo dovrebbe
rinunciare ai suoi privilegi. E come può il
partito diminuire il suo potere se è stato
concepito in modo tale da non dovere confrontarsi con il consenso?».
È proprio perché il partito non si cura
dei bisogni della gente e dei suoi 82 milioni di iscritti che mentre i giornali di tutto il mondo fanno gossip politico sul Congresso, i cinesi sono rimasti indifferenti.
«Che cosa mi importa di chi guiderà il partito? Non ha niente a che vedere con me,
non hanno più l’appoggio della gente»
dichiarano tutte le persone intervistate in
Cina da un diffuso giornale di Hong Kong.
Ma è da questa progressiva perdita di legittimità che potrebbe nascere una nuova
speranza: «Mi aspetto che in un paio d’anni qualcosa cambi davvero», annuncia
Harry Wu. «I comunisti cederanno il potere solo se il clima sociale cambia e mina la
stabilità politica. Nel paese ci sono tremila proteste ogni mese: questo può cambiare la Cina, non le autoriforme del partito».
Leone Grotti
Foto: AP/LaPresse
lager comunisti istituiti da Mao Zedong
per “riformare attraverso il lavoro” i nemici della Rivoluzione, e che una volta scappato negli Stati Uniti li ha fatti conoscere
al mondo. A Tempi Harry Wu spiega che
«Hu Jintao è solo un membro del partito
comunista. La Cina è una dittatura, non
un paese democratico e Hu non ha mai
fatto niente per il popolo cinese perché
il comunismo, come sappiamo dall’Urss
o dalla Polonia, non pensa mai al popolo». Molti osservatori da tutto il mondo
si aspettavano dei passi avanti, Harry Wu
no. Perché? «Avete mai visto una riforma?
No. Pensiamo al nuovo segretario, Xi Jinping: chi è quest’uomo? Non è stato eletto dalla gente e non è stato neanche nominato dai membri del partito. È stato scelto da Hu Jintao, è il suo successore. È così
che funziona in Cina: Deng Xiaoping, che
ha preso il potere dopo Mao, ha nominato
come suo successore Jiang Zemin e poi Hu
Jintao. Il loro unico obiettivo è stato quello di mantenere al potere il partito comunista. Ora Xi Jinping è il nuovo imperatore, non mi aspetto niente da lui».
NEL DETTAGLIO
LA NOMINA DIABOLICA DEL NON-ASSESSORE FRANCO
Dieci, cento, mille Battiato, la star
della democrazia che schifa la politica
M
io caro Malacoda, dopo la stagione di Mani pulite che ha scacciato dal dibattito pubblico la politica per sostituirla con i procedimenti penali e paragiudiziari (celebrati sui giornali e in tv), trovo ottima l’idea di lanciare nuove star
della democrazia all’insegna del motto “Mani libere”. Perfetta, in questo senso, la designazione di Franco Battiato alla guida dell’assessorato della Cultura della Regione siciliana. L’artista «sarà il nuovo assessore alla Cultura, alle giunte di politici e tecnici io
aggiungo anche quella di intellettuali», aveva annunciato soddisfatto il neo presidente
Rosario Crocetta. L’intellettuale, seduto al suo fianco, ha esordito nel suo nuovo ruolo
precisando di non voler «avere nulla a che fare con i politici». Un vecchio detto definiva ingrato chi “sputa nel piatto in cui mangia”, la nuova logica prevede che si sputi direttamente in faccia a chi ti chiede di collaborare con lui, non per rifiutare, per accettare l’incarico. Uno sputo non basta. Meglio due: «Se mi chiamate assessore mi offendo.
Chiamatemi Franco e sarò franco. È un senso di libertà per me libero anche di poter lasciare l’incarico». I miei complimenti, nipote, per il capolavoro di ambiguità logica del
tuo suggerimento. La frase sembra indicare
Cosa direbbero i pennivendoli dell’etica se
il non attaccamento alla poltrona del nonassessore, in realtà – lasciando intendere
il campione appena acquistato da un club
amministrare la cosa pubblica si possa
dicesse: «Non voglio avere nulla a che fare che
fare nel tempo libero – maschera sprezzacon i calciatori, giocherò gratis per essere tura e disimpegno. Sembra il massimo della moralità (rafforzato dal “lavorerò gratis
libero di andarmene durante la partita»?
per sentirmi libero”, dal che si deduce che
quando canta nei concerti a pagamento tale non sia) ed è invece il vertice dell’amoralità. Cosa direbbero i pennivendoli dell’etica se il campione appena acquistato da una
squadra entrasse in campo dicendo: «Non voglio avere nulla a che fare con i calciatori,
giocherò gratis per essere libero di andarmene durante la partita»?
Infatti, avevano tutti capito male. Assessore alla Cultura? No, precisa Battiato dopo una giornata di esultanza bipartisan per la sua nomina: «Non sarei assessore alla
Cultura, ma al Turismo e Spettacolo. Assessore alla Cultura vuol dire teatri di tradizione e una presenza a Palermo che non potrei sostenere, mentre con l’assessorato al
Turismo e Spettacolo posso fare le stesse cose con maggiore libertà». «Non posso occuparmi dei teatri, della Film Commission, della quotidianità di un settore così vasto e
importante come i beni culturali. Il mio può essere soltanto un impegno limitato, mirato a determinati progetti, altrimenti dovrei cambiare mestiere. E io sono una persona seria: non posso e non voglio cambiare mestiere». A nessuno viene in mente di fargli notare che una persona seria se accetta un nuovo mestiere cambia mestiere.
Nella perversione logica con cui abbiamo offuscato le menti dei più colpisce anche la mancata reazione a quest’altra perla: «Non ho programmi». Stupendo, una rassicurazione per chi si aspetta, limitandosi al Turismo (metà del suo non-assessorato)
la cura di un «patrimonio impressionante che fino a oggi non è stato valorizzato adeguatamente» (Armando Cirillo, responsabile Turismo del Pd, dixit). «Le Baleari, 1.430
chilometri di coste, producono il 41,2 per cento delle presenze turistiche europee in
Spagna. La Sicilia, 1.500 chilometri di coste, il 3,7 per cento dei turisti europei in Italia. Buon lavoro». Se il suo lavoro sarà buono, vedremo. Intanto il tuo è stato ottimo.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
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LE NUOVE
LETTERE DI
BERLICCHE
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cultura
riti mondani
È quasi
un peccato
leggerlo
Antonio Gurrado ha spulciato il più liturgico
dei quotidiani italiani e ha scoperto che è come
sedersi in chiesa. Lo si fa un po’ perché ci si
crede, un po’ perché non si ascolta, un po’ per
tacitare la coscienza, un po’ per farsi vedere
di Antonio Gurrado
«C
scrive il
fondatore Eugenio Scalfari
nel tentativo di parodiare il
linguaggio di Beppe Grillo, o forse di riprodurlo, nel consueto editoriale/sermone sulla prima pagina de la Repubblica di domenica 4 novembre. Sottoposti a un’attenta
lettura del testo, gli adepti del quotidiano cult si saranno distinti in tre categorie: quelli che sono rimasti scioccati alle
parole inconsulte del Fondatore, un po’
come se le avesse pronunziate dal pulpito un prete con la sindrome di Tourette;
quelli che sono rimasti scioccati a scoprire
che per un qualche motivo l’editoriale fosse lungo la metà del solito; quelli che hanno continuato ad annuire con aria grave
senza avvedersi del turpiloquio. La lettura di Repubblica è infatti un atto sempre
più simile alla distratta presenza fra i banchi di una chiesa: lo si fa un po’ perché ci
si crede confusamente, un po’ perché non
si ascolta, un po’ per tacitare la coscienza,
un po’ perché bisogna farsi vedere.
Repubblica, intendiamoci, è il quotidiano più
Sembra fatto apposta per non essere letto.
bello d’Italia: i colori sono
I suoi articoli vanno dunque considerati
raffinati, l’impaginazioper quello che sono, ossia un riempitivo
ne delle sezioni culturali
all’interno di un progetto editoriale più vasto
è alto design, le vignette
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azzo, coglioni e vaffa»,
di Altan e Bucchi rasentano l’arte, le foto
bucano la pagina, la carta è quasi serica,
il formato consente di piegare il quotidiano nella sacca della giacca di velluto o nello zainetto finto-povero lasciando sempre
in bella evidenza la testata. Sembra fatto
apposta per non essere letto. I suoi articoli
vanno dunque considerati per quello che
sono, ossia un riempitivo all’interno di un
progetto editoriale più vasto in cui l’aura
conta più dei temi, la testata più dei titoli e la firma più del contenuto. Hanno la
stessa portata delle omelie domenicali, che
possono anche riuscire bene ma non decidono del valore di ciò che le contiene – e,
se si dovesse giudicare il cattolicesimo dalle prediche, staremmo freschi. Repubblica
è un giornale liturgico che vive di riti cristallizzati e di gesti calibrati (come la stretta di mano di Ezio Mauro ai redattori più
importanti all’inizio delle riunioni); l’editoriale domenicale del Fondatore ne costituisce il vertice ciclico, la nota dominante che tutto racchiude in sé, il rassicurante coperchio che garantisce dell’acquisto a
scatola chiusa di tutto il calderone.
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Per questo svegliarsi in una pigra e
grigia domenica mattina e trovare scritto “cazzo, coglioni e vaffa” in prima pagina è scioccante: non per le parolacce in sé,
peraltro nascoste fra parentesi, ma perché
esse danno uno scossone al lettore distratto e assuefatto; lo spingono a sfregiare il
velo di Maya iniziando a leggere Repubblica come se fosse un giornale vero, ossia
per quello che c’è scritto, per trarne contenuti senza forma. Le sorprese non mancano. Ad esempio, a pagina 3 Michael R. Bloomberg (sindaco di New York, la città dove
cancellano le maratone senza rimborsare
le iscrizioni) s’imbarca in arditi sillogismi
per spiegare che, nonostante che non ci
sia motivo di credere che Sandy sia dipesa dal riscaldamento globale, è necessario appoggiare Obama in ragione del suo
pluriennale impegno contro il riscaldamento globale, a seguito del quale impegno è infatti arrivata Sandy. Su qualsiasi
quotidiano un ragionamento così cristallino sarebbe stato esposto alle pernacchie
del lettore neutrale, ma non su Repubblica dov’è corazzato dall’equilibrata scelta
di farlo iniziare in prima pagina sotto una
foto trionfale di Obama (vestito con la stessa camicia di Gianni Riotta) e di fianco a
un pezzo di Joseph E. Stiglitz in cui si asserisce che è necessario che gli americani
votino Obama perché «il numero dei non
recensire i giornali
Il blog di Antonio
Gurrado
Su tempi.it
Antonio Gurrado
gestisce Qwerty,
il blog che recensisce i giornali.
Finora ha analizzato IL, TeleSette,
Il Secolo d’Italia,
Sportweek,
la Provincia
Pavese, Il Tirreno,
Panorama, l’edizione francese
di Repubblica,
l’Adige, TV Sorrisi
e Canzoni, il
Corriere della
Sera, L’Europeo e
il Guerin Sportivo
americani favorevole alla sua rielezione è
schiacciante rispetto a chi vorrebbe che a
vincere fosse il suo sfidante».
ne dedicata un’intera pagina tutta rivolta all’allisciamento dell’immaginario del
target di Repubblica: il pisano Marco Malvaldi preferisce contaminarsi coi livornesi piuttosto che «pagare auto blu a Fiorito» (che non è né pisano né livornese),
il tarantino Giancarlo De Cataldo plaude alla fusione con Brindisi così da poter
«lottare insieme per lavoro e ambiente»
(perché evidentemente separati non ne
vale la pena), Luca Bottura rivendica che
«la diversità è la nostra ricchezza» (ma a
ben guardare sta parlando delle ricette
dei tortellini), l’erudito Umberto Eco non
batte ciglio di fronte al miscuglio tra Alessandria e Asti «tanto io parlo entrambi i
dialetti» (e quindi io, che parlo inglese e
francese, posso dirmi favorevole all’accorpamento dell’Italia a Inghilterra e Francia). Massimo Carlotto si oppone invece
alla fusione di Padova intellettuale e filooperaia con «la Treviso della Lega»: è noto
infatti che la miglior maniera per insegnare ai leghisti i benefici dell’integrazione multiculturale è isolarli in un angolino con Giancarlo Gentilini.
Astenersi provinciali
D’altra parte, chi si sognerebbe di criticare Bloomberg e Stiglitz una volta che
venissero citati, con grande autorità e
competenza, dai lettori più attenti nel
corso del pranzo domenicale? Non ci riferiamo alle loro opinioni ma ai loro nomi.
Repubblica offre loro validi sostituti anagrafici; le stesse idee, sostenute da Gian
Luigi Scabbia o da Giacomo Frangiflutti
(pesco nomi a caso dalle firme delle lettere al quotidiano), suonerebbero se non
meno credibili di sicuro più criticabili. Basta invece che si chieda: «Avete letto Bloomberg e Stiglitz?», e tutti automaticamente danno loro ragione al solo
scopo di non fare la figura dei provinciali. Mica per niente Michele Serra, in
apertura de “L’amaca” dello stesso giorno, spara: «Non potrei essere provinciale neanche se lo volessi: non sarei credibile». Lettori e autori di Repubblica tutto
possono essere meno che
provinciali e infatti venerIl formato consente di piegare il quotidiano
dì 2 alle province in bilinella sacca della giacca di velluto
co, quelle in cui l’accorpao
nello
zainetto finto-povero lasciando
mento potrebbe comporsempre in bella evidenza la testata
tare la guerra civile, vie-
I lettori di Repubblica sono così lontani da ogni provincialismo che sembrano
essere i maggiori beneficiari del taglio delle province imposto dal governo, a eccezione degli alunni delle terze elementari che
dovranno impararne a memoria molte di
meno. Chissà se questo non contrari Corrado Augias, che sabato 3 tuona dalla sua
tribuna contro «quei genitori che assistono
passivi al precoce corrompimento intellettuale dei loro figli» in risposta a una signora che sta valutando se iscrivere la sua frugoletta alla Deutsche Schule perché in
quella italiana mancano le lavagne multimediali e ci sono suore che parlano male
dell’aborto. Augias d’altronde gestisce le pr
di Repubblica con i lettori e far finire una
propria lettera nel suo box grigio equivale
a un cavalierato, talché si crea una sorta di
sindrome di Stoccolma per la quale i lettori cercano di assecondare Augias e Augias
cerca di assecondare i lettori. Memorabile
la lettera di martedì 30 ottobre, in cui un
tale Paolo Lupo e Augias conversano amabilmente di Berlusconi senza nominarlo,
come due amici sorpresi sul treno a chiacchierare di un terzo: lo evocano come colui
che «ha rubato il sogno di una generazione onesta», colui che «ha cambiato la percezione del denaro», «uomo furente e spaventato», «attore consumato».
Quando si tratta di Berlusconi, l’in|
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riti mondani cultura
Foto: AP/LaPresse
tesa fra lettori e autori di Repubblica
diventa telepatia. Lunedì 29, a seguito
dell’intemerata di Villa Gernetto, il quotidiano più intelligente d’Italia ha avuto il
talento di assecondare tutte le diversificate reazioni di tutte le possibili tipologie di
suoi lettori offrendo loro una rosa dei venti di opinioni complementari. Piero Ottone («Credevo che non mi sarei mai più
occupato di lui») ha blandito coloro che
pensano che Berlusconi meriti la camicia
di forza con un’analisi psicologica della
sua mania di protagonismo e del suo senso di persecuzione. Ilvo Diamanti ha consolato quelli che ascrivono a Berlusconi
tutti i mali della società raccontando che
«le sue invettive risuonano come grida nel
vuoto» nonostante che «il sistema politico
e il modello di partito imposti da Berlusconi ruotino intorno alla sua persona e alla
sua comunicazione».
Il cerchio si chiude sempre
Filippo Ceccarelli ha solleticato i fautori del Cavaliere da operetta, quello che fa
fare brutta figura in società, analizzando
«il terribile mascherone» di «un pupazzo
arancione che si ostina a mettere in scena la propria consumazione», ormai vittima della vendetta del tempo. Infine Eugenio Scalfari, tanto per chiudere il cerchio,
esaltava i caimanisti con un ponderato
editoriale intitolato “Una follia eversiva
destabilizza il paese”.
È dunque chiaro che i collaboratori di
Repubblica scrivono ciò che i lettori vogliono leggere e i lettori comprano Repubblica
perché ci trovano ciò che vogliono sentirsi
dire; operazione commercialmente impeccabile ma che rende superfluo l’esercizio
della scrittura. Il club di Repubblica è un
circolo che ha sostituito al proselitismo la
conservazione degli iscritti per mezzo della radicalizzazione delle convinzioni tramite la ripetizione a oltranza di concetti già assodati. Se la lettura dei quotidiani
è la preghiera del mattino, Repubblica s’è
fatta, né più né meno, pura e sacrosanta
liturgia; come scriveva Scalfari stesso giovedì 25 ottobre, «la liturgia ha rappresentato per molti secoli la custodia ben sigillata della ritualità tradizionale». Solo che
nella circostanza non stava parlando del
suo quotidiano ma della nostra religione,
in un lungo articolo a margine del sinodo
in cui spiegava a Benedetto XVI come far
finalmente funzionare il cattolicesimo. La
portata liturgica del quotidiano più incontestabile d’Italia e del suo Fondatore spiega
il senso di un articolo del genere. Repubblica non ha nulla contro la Chiesa, Scalfari non ha nulla contro il Papa. È solo che
non sopportano la concorrenza sleale. n
Eugenio Scalfari
ha fondato
Repubblica nel 1976
carta militante
Cinquanta sfumature
di moralismo
L’antipatia del Fondatore per il giustizialismo
del Fatto. Il foglio che meglio ha imparato
e ammodernato la lezione del giornale-partito
E
nato in grado di individuare il fronte più
opportuno e di indicarlo, con benevolenza
e fermezza, alla gente. La gente è il popolo
di Repubblica e l’Espresso, entrambe, sebbene con modalità diverse, sue creature
dilette. La gente sono anche i politici, gli
intellettuali, gli inquilini o visitatori occasionali di quell’affollato condominio che
si identifica con la sinistra italiana. Ebbene ormai, come scrivevamo
su Tempi qualche mese fa,
La creatura di Padellaro e Travaglio ha
in quel condominio non c’è
incredibilmente dato battaglia al giornale
più un giornale solo a fare
fondato da Scalfari sul suo stesso terreno,
cultura, mentalità, pensiero. Se altre pubblicazioquello dell’investitura dei migliori
Scalfari, giornalista fondato
da Eugenio Scalfari (il copyright è di
una strepitosa vignetta di Altan),
quando s’arrabbia non si scompone, ma
dispone. Dispone l’artiglieria delle sue
parole posate e pungenti, tanto più ora
che l’anagrafica lo rafforza in quel ruolo
che si cucì addosso all’inizio della carriera: il grande vecchio, inteso come l’illumiugenio
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Paolo Flores D’Arcais, direttore
di Micromega, è stato criticato da
Scalfari (gli ha dato del «disturbato»)
per aver detto che alle primarie
voterà Renzi per distruggere il Pd
e far trionfare Beppe Grillo
ni d’area (dall’Unità al Manifesto) han- civile per rispondere alla crisi dei partiti
no sempre vissuto in uno spazio accesso- tradizionali e Scalfari, che di liste analorio ma mai alternativo a Repubblica, l’ir- ghe parlava già negli anni Novanta, imperuzione del Fatto quotidiano ha incredi- gnato ad accarezzare il sogno di una lista
bilmente dato battaglia al giornale fonda- Repubblica (magari capeggiata da Roberto da Scalfari sul suo stesso terreno, quel- to Saviano). Ma la madre delle contese,
lo dell’individuazione e investitura dei tale perché coinvolge il totem della legalimigliori da parte di altri migliori. Con la tà e spalanca il campo dell’interpretaziodifferenza non trascurabile che il Fatto ne laddove c’era un solo dogma, è quel“randella”, sicché (questa è almeno l’accu- la scaturita dal caso delle intercettaziosa scalfariana) distrugge a suon di manet- ni che coinvolgono il presidente della
te lasciando dietro di sé solo macerie. E Repubblica Giorgio Napolitano. Nell’amsu quelle macerie non può che svettare il bito dell’inchiesta sulla presunta trattatidemagogo (sempre scalfarianamente par- va tra Stato e mafia, infatti, la procura di
lando) del vaffanculo, ovvero Beppe Gril- Palermo ha captato alcune conversaziolo. È lì, sulla concitata conta di cosa som- ni, datate fine 2011, intercorse tra il capo
mergere e cosa salvare, che si consuma la dello Stato e l’ex vicepresidente del Csm
rottura tra il Grande Vecchio e coloro che Nicola Mancino (era quest’ultimo ad esseegli mai riconoscerà come i discepoli che re sotto controllo in relazione agli anni
hanno imparato, irrobustito e portato alle delle stragi di mafia del 1992-’93). Quanestreme conseguenze la lezione del gior- do cominciano a girare le prime indiscrezioni, l’estate scorsa, sui contenuti di quei
nale partito.
In gennaio il Fondatore se la prende- colloqui, il clima si fa rovente e il capo
va con «editorialisti qualunquisti e dema- dello Stato arriva a sollevare il conflitto
goghi», senza neppure darsi la pena di di attribuzione davanti alla Consulta (che
nascondere che si riferiva a Travaglio, si pronuncerà il 4 dicembre prossimo)
Padellaro e compagnia.
Non più tardi di quest’esta- Il caso dello scontro tra Napolitano e pm
te lo scontro si infiammava con la comunità del Fat- di Palermo ha fatto emergere il cortocircuito
to che discuteva di liste tra legalità e giustizia destinato a segnare
dei sindaci e della società le sorti della sinistra italiana (e non solo)
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contro la procura di Palermo, ritenendo
lese le proprie prerogative costituzionali.
Napolitano rivendica, in quanto capo dello Stato, il diritto e il dovere di parlare di
certe cose al telefono con il capo del Senato e chiede che le registrazioni vengano distrutte.
E qui le strade dei due
giornali si dividono sempre più. Il Fatto, che con la
procura di Palermo ha (per
usare un eufemismo) buoni rapporti, si scaglia contro i misteri del Quirinale evocando toni da scontro finale tra l’oscuro potere di palazzo e i magistrati
senza macchia e senza paura che hanno nel neoguatemalteco Antonio Ingroia il proprio simbolo. Inaspettatamente il Colle trova proprio in Eugenio Scalfari uno dei suoi difensori
più valorosi. Chi ha un po’
di memoria storica ricorderà che si tratta dello stesso Scalfari che, ambizioso ed eccezionale direttore
dell’Espresso, vedeva consacrare la sua carriera per
un altro caso che coinvolgeva un capo
dello Stato. Tutt’altre vicende, ovvio. È il
cosiddetto Piano Solo, la storia di un tentativo di golpe militare messo a punto
nell’estate del 1964. Ad architettare il piano, poi rientrato, sarebbe stato il comandante generale dei carabinieri Giovanni
De Lorenzo su istigazione del presidente
della Repubblica, il democristiano Antonio Segni. La copertina “Complotto al Quirinale” del 14 maggio 1967 che lanciava
l’inchiesta firmata da Lino Jannuzzi portò allora l’Espresso, e il suo direttore, sulla
bocca di tutti. A parte le spiritosaggini di
un destino che ti vede sedicente giustiziere di sordidi complotti da giovane e ti ritrova anziano sponsor della ragion di Stato, il
caso è significativo perché squarcia l’ultimo velo, quello del cortocircuito tra legalità e giustizia destinato a segnare le sorti
della sinistra italiana. Niente fa più rizzare
i capelli a Scalfari di un magistrato, magari proprio Ingroia (il Guatemala non è poi
così lontano e lui stesso prima di partire
ha detto che fare politica è un diritto di
tutti), in grado di saldare “partito dei sindaci”, grillini e quel che resta dei dipietristi. Il Grande Vecchio non vuole nemmeno
pensare a un’ipotesi del genere. Anche perché gli elettori di un partito così preferirebbero i tintinnii del Fatto alle messe cantate di Repubblica. [lb]
Foto: AP/LaPresse
cultura riti mondani
CULTURA LA STORIA INCONFESSABILE
Il sangue
(cancellato)
dei vincitori
Neri e Gianna, eroi partigiani insubordinati al Pci,
assassinati dai comunisti perché testimoni scomodi
dei crimini della Resistenza. Nelle lettere inedite di
mamma Lena la terribile cronaca di un ordinario
insabbiamento. Voluto dai vertici del partito
S
A distanza di quasi settant’anni, emergono
le carte intime di Maddalena Zanoni Canali, l’eroica mamma del capitano
“Neri”, il leader carismatico della Resistenza comasca eliminato dal gruppo
dirigente del Partito comunista in quanto protagonista e testimone scomodo
dell’epilogo di Mussolini. Scritti inediti
che mettono sotto accusa la leadership
del Pci e che documentano con molti dettagli fino ad ora sconosciuti gli interventi svolti da una madre per ottenere verità
e giustizia in merito alla morte del proprio figlio. Da queste pagine si ricavano
significativi e diretti elementi a sostegno
dell’elevata statura politico-criminale di
molti componenti della struttura di vertice del partitone rosso, forza egemone della lotta di liberazione.
Luigi Canali fu prelevato (o, per
meglio dire, sequestrato) a Como il 7 maggio 1945 e portato a Milano, dove fu vittima di una spietata esecuzione a freddo da
parte di una squadra speciale di sicari agli
ordini di Luigi Longo, numero due del
Pci e comandante supremo delle Brigate Garibaldi. Poche settimane dopo, il 23
giugno, killer del Partito comunista trucidarono e scaraventarono giù dalla scogliera del Pizzo di Cernobbio, a picco sul
lago, la compagna di Neri: la giovane staf-
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ono i racconti dell’orrore.
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fetta partigiana “Gianna”, al secolo Giuseppina Tuissi, che aveva osato indagare sull’uccisione del proprio uomo. Gianna aveva condiviso con Canali molti dei
segreti di una comune militanza nelle file
della Resistenza. Insieme avevano gestito i trasferimenti del prigioniero Mussolini, e insieme avevano contabilizzato l’oro
di Dongo, poi incamerato dal Pci. La Tuissi certamente era anche a conoscenza della verità sulle modalità della fucilazione
del Duce, atto cruento al quale partecipò
come testimone, ma forse pure come attore protagonista, anche Luigi Canali.
La cortina dell’omertà
La vicenda di Neri e Gianna è tra le più
drammatiche della Resistenza. Arrestati
dalle Brigate Nere a Lezzeno, sul Lario, la
notte tra il 6 e il 7 gennaio 1945, resistettero alle torture rifiutandosi di fare delazione. Canali, la notte del 29 gennaio, riuscì a
evadere dalle carceri di Como Borghi. Per
il suo partito, si trattava in realtà di una
fuga concordata con i fascisti: cioè la prova che Neri aveva tradito.
Il 21 febbraio successivo, un tribunale partigiano comunista, riunitosi a Milano sotto la presidenza di Amerigo Clocchiatti, emise un’inappellabile sentenza di
morte contro Canali, reo di aver collaborato con i fascisti. Inutile aggiungere che a
sostegno della colpevolezza di Neri non vi
era la minima prova. Il Partito comunista,
Foto: AP/LaPresse
di Roberto Festorazzi*
Luigi “Neri” Canali, leader
della Resistenza comasca, e
la sua compagna Giuseppina
Tuissi, la partigiana “Gianna”,
furono uccisi su ordine del Pci
nel ’45. Avevano assistito alla
fine del Duce e contabilizzato
l’oro di Dongo. Per ottenere la
riabilitazione di Neri, accusato
ingiustamente di tradimento,
la madre lottò a lungo, fino a
scomodare Togliatti. Invano
nondimeno, aveva deciso di eliminare un
elemento di rilievo che aveva la pretesa di
voler discutere ogni direttiva, senza compiere atto di servile e incondizionata sottomissione nei confronti dei suoi capi.
Le carte private di Maddalena Canali
contribuiscono ora a illuminare le zone
d’ombra di un caso tragico e complesso che è sempre gravato come un oscuro senso di colpa sulla sinistra. Si tratta di una serie di appunti che, una volta ordinati, appaiono come una sorta
di memoriale postumo. Tra questi scritti vi è anche un’interessante lettera inedita che la madre di Neri scrisse alla Gianna il 5 giugno 1945, nella quale si colgono gli echi delle affannose ricerche che le
due donne stavano compiendo, per ricostruire le modalità della sparizione del
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LA STORIA INCONFESSABILE CULTURA
Foto: AP/LaPresse
loro caro. Dal memoriale di Maddalena Canali si apprendono così nuovi particolari sul calvario che i familiari del
partigiano comasco dovettero affrontare nel tentativo di far breccia nella cortina di omertosi silenzi che il Pci aveva eretto attorno al caso. La madre di Neri elenca le personalità del partito che avvicinò,
tra il maggio del 1945 e l’anno successivo:
dai diretti responsabili dell’eliminazione
di suo figlio (e poi di Gianna), Pietro Vergani “Fabio” (capo della delegazione lombarda delle Brigate Garibaldi) e Dante Gorreri (segretario della federazione comasca
del Pci), fino a dirigenti di primo piano
come Gaetano Chiarini, su su
fino a Palmiro Togliatti e a sua
moglie Rita Montagnana.
L’inquisitore in casa
Agghiacciante il colloquio che
“mamma Lena” ebbe con Vergani. Questi le disse che Neri
aveva pagato con la vita la
sua insubordinazione. La donna allora mostrò a Vergani la
dichiarazione giurata che un
fascista le aveva reso, a discolpa di suo figlio. Questo fascista, che si chiamava Enrico
Mariani, aveva saputo dal federale Paolo Porta che era stato lui a diffondere la voce del
tradimento di Canali, per danneggiarne la figura morale,
d’accordo con un capo comunista. E quest’ultimo non poteva essere che Dante Gorreri,
il quale aveva – lui sì – da
farsi perdonare il compromesso raggiunto in carcere con
i fascisti per salvare la pelle.
Ma quando Maddalena Canali mostrò a Vergani la dichiarazione di
Mariani che inchiodava Gorreri e scagionava suo figlio, quello si rifiutò di prenderla in considerazione, aggiungendo che
«erano testimonianze di fascisti e che fra
una settimana non avrebbero più parlato, perché lui li avrebbe fatti portare e fatti ammazzare a Ravenna». Perché proprio
a Ravenna? Vale la pena di ricordare che
padrone incontrastato di quella provincia
era Arrigo Boldrini, il comandante partigiano “Bulow”, che instaurò un regime di
terrore nel territorio del delta del Po.
La madre di Neri incontrò altri dirigenti del Pci. Fra questi, Gaetano Chiarini, classe 1898, bolognese, membro della
direzione nazionale comunista. La madre
di Neri lo chiama «despota e inquisitore del partito», per via della dura missione che compì, su incarico di Togliatti e di
IL DOCUMENTO
DA UNA MADRE SENZA PACE
A UNA DONNA IN GUERRA
Nel memoriale di Maddalena Canali
ci sono tutti i nomi delle personalità
del Pci che avvicinò tra il maggio del
1945 e l’anno successivo. Dai diretti
responsabili dell’omicidio di Neri ai
pezzi grossi come Gaetano Chiarini
Como, 5-6-45
Carissima Giuseppina, oggi mi sono recata
da Mentasti [Remo Mentasti, valigiaio comunista comasco che fu custode
dell’oro di Dongo, ndr]; gli ho esposto
tutte le nostre cose, lui è del parere che
tu venissi a Como una scappatina, potresti a mio parere domandare il permesso
per andare a prendere i tuoi indumenti,
così noi possiamo metterci d’accordo, sia
per parlare per la testimonianza che tu
dovrai portare in tante cose riguardanti
te e Luigi, sia riguardo all’interesse di cui
abbiamo parlato col tuo papà, intanto parlane a Sam se puoi, se è ancora del parere
di portarti a Como, come ti disse prima,
per parlare con questo Nicola [“Nicola”,
nome di battaglia di Dionisio Gambaruto,
rinviato a giudizio per l’uccisione di Canali,
ndr], porta il memoriale di Luigi e anche la
sua giacca se puoi, inoltre gli occhiali da
miope che mi hai mostrato domenica, ti
spiegherò poi il perché.
Guglielmo [“Guglielmo” nome di battaglia di Dante Gorreri, ndr] è tornato, ora
credo che Vincenzina [Vincenzina Coan,
amica della famiglia Canali, ndr] cercherà
d’incontrarlo e poi ne parleremo, poi ti
dirò che ho ricevuto una lettera, dalla
signorina Peri Angela, se ti ricordi quando
sono venuta la prima volta a casa tua, che
ci siamo recate in quel posto, ma non mi
ricordo come si chiama. Abbiamo parlato
in merito alla tua riabilitazione nel partito, e anche di Luigi; la prima volta che ci
incontreremo ti mostrerò anche questa
lettera, e chiederemo in merito.
Quando vieni, devi venire alla mattina un
po’ presto così avremo modo di poter fare
tante cose, ieri sera io e la zia Maria siamo
andate a far visita alla signora Masciadri,
anche di questo colloquio ti parlerò, sono
ansiosa di sapere se hai già parlato con
Manelli e cosa ti ha detto, intanto ti saluto
tanto, nella speranza di migliori notizie.
Mamma Lena
Longo, recandosi a casa Canali nel tentativo di ridurre al silenzio una madre che
non era disposta a cedere.
so partito e, in pratica, consegnati nelle
mani degli scherani fascisti che li ammazzarono. La ragione di questo palese tradimento è presto detta: esattamente come
La rivendicazione di Longo
Canali, anche i Cervi non erano ligi alle
Chiarini non era un personaggio qua- direttive comuniste. Nell’epilogo dei setlunque: il suo nome ricorre in una delle te fratelli partigiani un ruolo decisivo
vicende più torbide della Resistenza, l’as- venne giocato proprio da Gaetano Chiasassinio dei sette fratelli Cervi, avvenuto rini, giunto a Reggio Emilia nel novemnel Reggiano alla fine del 1944. Il “caso bre del ’44 a sostituire il precedente segreCervi” è emblematico della deriva stalinia- tario della federazione clandestina comuna che s’impadronì del Pci nel seno della nista. Chiarini agì come un “commissalotta resistenziale. I sette fratelli partigia- rio ad acta”, come un plenipotenziario
ni, infatti, vennero scaricati dal loro stes- rosso: normalizzò il partito assegnando
alle responsabilità chiave,
Quando Maddalena Canali mostrò a Vergani la politiche e militari, uomini
provata obbedienza e di
dichiarazione che scagionava suo figlio, quello di
spietata durezza, in modo
rispose che «erano testimonianze di fascisti e da rafforzare la strategia
che lui li avrebbe fatti ammazzare a Ravenna» che prevedeva il ricorso
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CULTURA LA STORIA INCONFESSABILE
sistematico ai metodi terroristici nello
scontro con i fascisti.
Non fu, né poteva essere, dunque un
caso che Togliatti e Longo mandarono a
Como Chiarini, affinché spendesse argomenti persuasivi come le minacce allo scopo di stroncare l’iniziativa dei familiari di
Neri, che stavano mettendo sotto accusa
un intero partito. Il quale Pci, però, non
soltanto non si lasciò intimidire, ma giunse a rivendicare pubblicamente l’assassinio di Canali. Accadde, a Como, durante
un comizio di Luigi Longo, presente anche
la madre di Neri. Una provocazione inutile, nella sua sfrontatezza, che convinse la
donna, una volta di più, della necessità di
non abbassare la guardia nella sua solitaria lotta contro il Moloch Rosso. n
*storico e giornalista, indaga da tempo sul
periodo del fascismo e della successiva
guerra civile italiana. Ha all’attivo diversi libri
tra i quali Caro Duce, ti scrivo. Il lato servile
degli antifascisti durante il Ventennio;
I veleni di Dongo. Gli spettri della resistenza;
Margherita Sarfatti. La donna che inventò
Mussolini; Uccidete il Duce! La congiura degli
“Amici del Popolo” e gli attentati a Mussolini
PARLA GIAMPAOLO PANSA
Vittime sulla via
della “Liberazione”
«Sembrano delitti inspiegabili, ma i rossi avevano
un piano per l’Italia. Eliminavano gli ostacoli dalla
strada verso la conquista della loro “Ungheria”»
«L
a vicenda di Neri e Gianna è tipica della strategia comunista di
quegli anni. Scopo del Pci non
era soltanto di giungere a una soluzione
della guerra (a quello ci avrebbero pensato gli angloamericani), ma soprattutto
di affermare la propria assoluta supremazia all’interno del fronte di liberazione».
Giampaolo Pansa, autentico fenomeno
editoriale dell’ultimo decennio, a partire
dal suo fortunato best seller Il sangue dei
vinti (mentre è ora in libreria la sua ultima fatica, La guerra sporca dei partigiani
e dei fascisti, Rizzoli), non ha mai scritto
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del caso dei due partigiani di Dongo. Ma
è ugualmente convinto che la loro morte vada inquadrata nel vasto disegno dei
comunisti di «dare una spallata per arrivare alla conquista del potere».
«Se si considerano isolatamente, questi delitti possono sembrare senza spiegazione. Ma se li si guardano nella loro complessità, appare chiaro che trovano una
giustificazione nella strategia dei comunisti volta a sgombrare il terreno da personaggi influenti, con un loro seguito,
che li avrebbero ostacolati nella guerra
da fare dopo il 25 aprile. Anche le mat-
tanze dei fascisti, avvenute nelle settimane e nei mesi successivi alla Liberazione,
non furono soltanto vendette su larga scala. Il Pci ragionava con una terribile logica, che è la seguente: bisognava ammazzare il numero maggiore possibile di fascisti, per togliere di mezzo i possibili oppositori del colpo di mano rosso. Insomma,
si voleva creare un clima da “paralisi del
terrore” che avrebbe facilitato la conquista del potere da parte dei comunisti, che
volevano trasformare l’Italia nell’Ungheria del Mediterraneo». Perché finora non
ha mai scritto nulla sugli orrori di Dongo? «Perché sul tema esiste già una letteratura infinita», spiega Pansa. «A me premeva di parlare di cose di cui nessuno si era
mai occupato prima. In dieci anni ho ricevuto ventimila lettere da parte di lettori
dei miei libri, soprattutto donne. E ancora
oggi ne ricevo in numero impressionante.
Queste lettere hanno sempre lo stesso cliché: “Caro Pansa, ho letto il suo ultimo
libro. Non ci ho trovato la mia storia, perciò gliela racconto”. Ecco, esiste un mondo
al quale nessuno ha riconosciuto il diritto
né di ricordare, né di parlare, né di essere
rammentato. Io ho semplicemente voluto
dare una voce a questi italiani prigionieri
del loro silenzio». [r.fe.]
Foto: AP/LaPresse
Giampaolo Pansa,
giornalista e
scrittore, è appena
tornato in libreria
con La guerra
sporca dei
partigiani e dei
fascisti (Rizzoli).
A lato, la gente
in festa a Milano
per la fine della
guerra (aprile 1945)
cultura nel tempIo della lirica
Il coraggio
di cambiare
musica
Alla vigilia di una doppia inaugurazione della
stagione che metterà in dialogo Verdi e Wagner,
il sovrintendente della Fenice di Venezia spiega
perché occorre parlare di cultura in termini
di efficienza e qualità. «Come in un’azienda»
«V
anni, al Fondo Unico per lo Spettacolo da
foto/ col colombo in man/ parte del governo. La sua visione “aziencosì, sorridi bene senza dalista” del teatro non vuole essere prosmorfie,/ lo sguardo fisso su di me/ men- vocatoria, ma improntata al buon sentre conto fino a tre,/ sarai contenta quan- so. «Significa mettere a frutto il tesoro
do poi/ tua cugina lo vedrà/ che a Vene- che abbiamo tra le mani», spiega a Temzia siamo stati anche noi». Ci vuole la pi nell’emozionata vigilia di una stagiovoce, oltre che la poesia, di Paolo Conte ne particolarmente impegnativa e impora raccontare cosa sia Venezia per chi vi tante che prenderà il via venerdì prossisbarca orgoglioso quasi fosse un traguar- mo con un calendario di grande spessore
do, come la cugina celebrata nella can- per festeggiare il bicentenario della nascizone simbolo di un’irresistibile (e mai ta di Verdi e Wagner, due maestri profonscomparsa) Italia provinciale. Chissà se damente legati alla città lagunare.
la famosa cugina aveva mai messo piede
Da alcuni anni, racconta Chiarot
alla Fenice. La provocazione è pertinente per spiegare che cosa significhi visione
se si vuol parlare del grande teatro senza “aziendale” della cultura, il teatro La Fenicostringere la cultura a un rito officiato ce è aperto ai visitatori, in gran parte turiper pochi colti eletti.
sti, anche durante le prove degli spettacoQuando Cristiano Chiarot, che nella li. «Abbiamo chiesto agli artisti uno sforzo
vita è stato anche giornalista e dirigen- in più, assicurato l’assoluta disciplina del
te d’azienda, è stato nominato sovrinten- pubblico e devo dire che funziona». Fundente della Fenice, nel dicembre 2010, ziona e rende, se è vero che oggi circa un
aveva in testa di farne un teatro più milione di euro all’anno entra nelle casse
“aziendale”. L’uomo, che in questo tem- della Fondazione che gestisce il teatro solpio della musica ha lavorato con ruo- tanto dalle visite della struttura. Perché
li diversi per oltre un decennio prima alla Fenice c’è uno spettacolo che si gode
di arrivare alla carica che
ricopre tutt’oggi, non si
Da alcuni anni il teatro è aperto alle visite
scandalizza della parola
anche
durante le prove. «Abbiamo chiesto
“profitto”. E non si lamenagli
artisti
uno sforzo e oggi quelle visite
ta neppure del taglio, che
pure è costante in questi
fanno guadagnare un milione al teatro»
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ieni, facciamo ancora un’altra
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anche prima che si apra il sipario. La fulgida bellezza del teatro è infatti impreziosita da una storia accidentata e avventurosa, che ha visto questo gioiello, che si
iniziò a progettare nel 1789, distrutto per
due volte. L’ultimo devastante incendio
doloso ha quasi completamente raso al
suolo il teatro nel 1996 e solo nel 2003 si
è potuta rispolverare la scontata, eppure
azzeccata, metafora della Fenice che rinasce dalle proprie ceneri.
«Questo teatro – riprende Chiarot –
ha delle grandi qualità a livello artistico e bisognava metterle in condizione di
esprimersi. In più c’era un altro elemento: ci eravamo accorti che più spettacoli proponevamo, più pubblico attirava-
Sopra, il sovrintendente
della Fenice di Venezia
Cristiano Chiarot.
Sotto, il maestro
Myung-Whun Chung,
alla guida dell’Orchestra
e del Coro della Fenice
(Foto: Jean-François
Leclercq).
A lato, una veduta
del teatro, riaperto
nel 2003 dopo che
un incendio doloso
lo distrusse quasi
completamente
nel 1996 (Foto:
Michele Crosera)
mo». Semplice, ma non banale. La Fenice, come e forse più di altri teatri, ha un
ventaglio di pubblici estremamente diversi. Ci sono i melomani che arrivano dalla
città e dal resto d’Italia e poi ci sono i turisti, spesso solo genericamente innamorati
della musica ma ugualmente interessati a
beneficiare di quel “brand” internazionale che è La Fenice. «Per i turisti – riprende il Sovrintendente – abbiamo modulato un’offerta su misura, immutata in termini di qualità ma più agile in termini di
tempi». Così si spiega il grande sforzo di
mettere in cartellone anche due spettacoli diversi nello stesso weekend, «per dare
la possibilità a chi è in città di passaggio
di vedere anche più di una recita. In que-
sta stagione – spiega Chiarot – abbiamo
18 titoli e 122 recite d’opera, senza contare i concerti sinfonici e ormai da anni
cerchiamo di proporre un’offerta valida
e specifica in ogni periodo dell’anno». In
attesa di conoscere i risultati di uno studio avviato con la Camera di Commercio
per quantificare l’impatto economico del
teatro sulla città di Venezia, Chiarot sottolinea come l’efficienza di cui va tanto fiero sia figlia di un progetto culturale pre-
ciso. «Insieme al direttore artistico Fortunato Ortombina siamo riusciti a valorizzare la grande fantasia dei professionisti che abbiamo qui mettendola al servizio del teatro e della città stessa. Perché
il discorso sull’efficienza è un altro aspetto del discorso sulla qualità dell’offerta culturale. Le due cose non sono alternative o destinate a non incontrarsi mai.
Se non riuscissimo a pagare i costi con il
botteghino non potremmo fare il lavoro che facciamo». Eppure
«Il discorso sull’efficienza è un altro aspetto l’idea di far incontrare cultura e mercato evoca contidel discorso sulla qualità dell’offerta
nuamente mal di pancia, il
culturale. Le due cose non sono alternative
terrore che l’una possa essere svenduta in nome delo destinate a non incontrarsi mai»
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cultura nel tempio della lirica
due capolavori
Doppia inaugurazione
In occasione del bicentenario della nascita di
Verdi e Wagner la Fenice
proporrà una vera doppia inaugurazione della
propria stagione lirica,
con due titoli “veneziani”
di Verdi e Wagner, Otello
e Tristan und Isolde. La
serata di gala con Otello è
prevista per il 16 novembre seguita, domenica 18,
da Tristan und Isolde.
le ciniche ragioni dell’altro. «Il valore
che un’opera d’arte può generare è duplice: immateriale ed economico. Ecco, noi
diciamo che quei due tipi di valori, come
in qualunque azienda, devono procedere di pari passo. Rifiuto l’idea che la cultura debba essere per forza in perdita. Un
grande artista come Picasso è stato intelligente e fortunato a vendere i suoi quadri, mentre il povero Van Gogh è morto
in miseria. Dovremmo preferire il destino
del secondo a quello del primo per salvaguardare uno spirito genericamente poetico? Non credo».
Verdi, Wagner e Venezia
Anche quest’anno il teatro chiuderà il
bilancio in pareggio. Nel 1996 la riforma
degli Enti lirici voluta dall’allora ministro della Cultura Walter Veltroni doveva
spingere i 13 Enti Lirici italiani ad attrarre gli investimenti dei privati. «Purtroppo
– spiega Chiarot – quella è rimasta più che
altro una buona intenzione per due moti50
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vi. Il primo è che non c’è in Italia una legge per la defiscalizzazione dei contributi
alle aziende culturali e poi perché manca una tradizione solida del mecenatismo
in Italia». Ad oggi il grosso dei fondi della
Fenice arriva dallo Stato con il Fondo Unico per lo Spettacolo (14,5 milioni), poi ci
sono i circa 8 milioni dal botteghino, 4,4
dal Comune di Venezia, 1,5 dalla Regione,
3,5 dai privati e circa due milioni di incassi vari. «Siamo responsabili di quello che
riceviamo dallo Stato».
In occasione del bicentenario dalla nascita di Giuseppe Verdi e Richard
Wagner, due compositori entrambi molto legati a Venezia, la Fenice ha messo in
piedi un progetto che accosta due opere
centrali sia nella produzione dei singoli
A sinistra, in alto,
una scena dell’Otello
di Verdi e, sotto, una
del Tristano di Wagner.
(Foto: Michele Crosera).
Sopra, due bozzetti di
scena dell’opera
wagneriana
artisti, sia nella storia dell’opera lirica in
generale. Si alterneranno così sul palco,
in una maratona che non ha eguali in Italia, l’Otello di Verdi e il Tristano e Isotta di
Wagner. La Fenice avrà dunque per la prima volta una doppia inaugurazione, con
due opere portate in scena da due diverse
compagnie di canto e da due registi, mentre il direttore, Myung-Whun Chung, sarà
lo stesso, a dimostrare l’unitarietà del progetto complessivo. Il 16 novembre si parte
con la prima di Otello, per la regia di Francesco Micheli e il 18 sarà la volta del Tristano e Isotta firmato da Paul Curran.
L’accoppiata dei bicentenari della
nascita di Verdi e Wagner sarà inoltre l’occasione per due grandi concerti che si svolgeranno nel giorno esatto dell’anniversario della nascita dei due
compositori: il concerto in
In occasione del bicentenario della nascita
omaggio a Wagner è prodi Verdi e Wagner la Fenice avrà due prime
grammato per il 22 maggio
dando il via a una maratona unica in Italia
2013, quello per Verdi il 10
tra le opere dei due grandi maestri
ottobre 2013. [lb]
L’ITALIA
CHE LAVORA
Una scelta
di campo
Tutto è iniziato con l’idea di “salvare” le terre
del Parco Sud di Milano. Poi sono arrivati
i primi raccolti, il negozio, l’allevamento dei vitelli
e il maneggio. Storia della cascina Santa Marta
e di una occasione che è diventata impresa
U
miltà, pazienza, sacrificio e una certa
dose di coraggio. Serve questo per
accettare la proposta di tornare a
lavorare nei campi, far fruttare la terra,
sudare sotto il sole cocente per far crescere una piantina. È così che è nata la Cooperativa agricola Santa Marta. Da una
intuizione, una delle tante, di don Luigi Giussani: per salvaguardare i monaci
benedettini della Cascinazza da una eventuale speculazione edilizia futura, occorreva acquistare i terreni intorno al monastero, una cascina e tornare a lavorare la
terra. Non solo, perché l’idea era anche
quella di dar vita a un luogo pronto ad
aiutare chiunque fosse in cerca di aiuto.
Emilio è stato il primo a imbarcarsi nell’avventura che diverrà la Cooperativa Santa Marta, che prende il nome
dall’omonima cascina situata nel Parco
Sud di Milano, a Zibido San Giacomo. Il
casale non era abbandonato, ad abitarlo era la famiglia Binda Beschi, ben lieta di accogliere qualcuno in quell’edificio
enorme, e felice di poter condividere con
altre persone la fatica del lavoro. Fino a
quel momento si coltivavano riso e mais,
ma grazie all’arrivo dei nuovi inquilini
e al loro dinamismo, il patrimonio della
tradizione agricola sarebbe tornato a vivere nel suo splendore, seguendo la ricetta
degli antichi valori.
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È il 1996 quando iniziano i primi lavori di ristrutturazione. La corte è uno dei
tipici insediamenti rurali che da sempre
popolano la pianura Padana. Ad accogliere il visitatore, quando arriva, un’antica
torre merlata del Settecento. Oggi, dopo
sedici anni, ad abitare la cascina Santa Marta ci sono undici uomini e dieci
donne dell’associazione laicale Memores
Domini, otto famiglie con relativa prole
e don Gianni Calchi Novati: in tutto una
sessantina di persone. E i lavori di rinnovamento non sono ancora terminati.
Dalla coltivazione di riso e mais si
passa a produrre anche frutta e verdura.
L’idea è di Gianni: è da questo momento che l’azienda familiare si trasforma in
una vera e propria cooperativa. Si riduce
la superficie della coltivazione di massa e
si iniziano a piantare frutta e ortaggi di
vario tipo e per intensificare i raccolti si
costruiscono le prime serre.
Nel 2002 entra in società Federico.
Viene da Crema, ha un diploma in ragioneria, dopo le superiori ha frequentato
una scuola di pasticceria. E fino a quel
momento si era divertito a sfornare torte
e pasticcini. Niente a che vedere col lavoro dell’agricoltore. Arare, irrigare, seminare e trebbiare non lo aveva mai fatto. «Ho cominciato da zero. Me lo hanno proposto e ho detto di sì», dice sorridendo. «Mi occupo principalmente della
parte amministrativa e commerciale, ma
se bisogna andare nei campi non mi tiro
indietro; in questo lavoro bisogna essere
umili: quello che serve bisogna farlo senza troppi programmi perché quelli sono i
primi a essere stravolti. Basta una grandinata o un mese di siccità e il raccolto va
in fumo. Gli imprevisti tra i campi sono
sempre dietro l’angolo. Quest’anno, ad
esempio, abbiamo piantato gli spinaci ma
per un motivo o per un altro non sono
cresciuti come pensavamo e quelli che
possiamo vendere sono davvero pochi».
Di lavoro ce n’è sempre
stato
tanto in cascina, ma
«In questo lavoro bisogna essere umili.
Federico la sua busta paga
Basta una grandinata o un mese di siccità
l’ha dovuta inventare: «Ero
e il raccolto va in fumo. Gli imprevisti
contento della vita che avevo iniziato a fare, ma per
tra i campi sono sempre dietro l’angolo»
A lato, il negozio e Federico Dendena,
responsabile dell’area commerciale.
Sopra e sotto, la cascina Santa Marta
a Zibido San Giacomo (Milano)
trovare i soldi del mio stipendio bisognava per forza aumentare i ricavi della
Cooperativa. Così ho pensato a un piccolo negozio dove vendere i nostri prodotti. Grazie al passaparola e a qualche pubblicità ci siamo fatti conoscere, poi sono
stati gli stessi clienti a chiedere prodotti
sempre diversi: ortaggi, frutta, riso arborio, carnaroli, integrale, venere».
Nel giugno 2011 il salto di qualità
con un punto vendita tutto nuovo, premiato dal Club di Papillon come migliore bottega del Gusto d’Italia all’interno
della rassegna enogastronomica di Golosaria. Ristrutturando locali preesistenti è nato l’attuale negozio che conserva
travi e mattoni a vista, dove oltre ai prodotti della cascina si possono trovare specialità tipiche e delicatezze gastronomiche di altissima qualità: la pasta Makaira
fatta con orzo e farro, la birra dei monaci della Cascinazza, l’olio d’oliva toscano, il salame artigianale cremasco, i formaggi di Marco Vaghi – uno dei migliori
affinatori d’Italia –, vini doc dell’Oltrepò
Pavese. E non è finita qui perché, da sette
anni, la Cooperativa propone ad aziende
e privati la possibilità di acquistare ceste
gastronomiche di diverse grandezze per i
regali natalizi.
Il sogno di domani
E sempre dei clienti è la richiesta di poter
acquistare carne di animali cresciuti e
nutriti da persone fidate. «Oggi, su ordinazione, recuperiamo i tagli richiesti. Ci
appoggiamo all’azienda agricola di Alseno, in provincia di Piacenza; lì compriamo alcuni vitelli che, per circa due mesi,
portiamo all’ingrasso qui da noi, poi li
facciamo macellare. E il cliente è contento perché sa di potersi fidare».
Fuori dalla corte è stato costruito il
magazzino e, dal giugno 2010, un maneggio con dieci cavalli: lezioni di equitazione, volteggio e riabilitazione equestre,
sono solo alcune delle offerte. Il territorio
intorno alla cascina è perfetto per organizzare passeggiate a cavallo: circondati
da una natura incontaminata si possono
incontrare ghiri, tassi, faine, volpi, conigli selvatici, donnole e lepri. Tra gli uccelli si possono osservare l’airone, il picchio,
il cuculo, la cinciallegra, l’airone rosso, la cicogna bianca,
il germano reale, la gallinella d’acqua, il martin pescatore e la poiana. Quando l’acqua
dalle risaie si ritira, le strade e
i margini dei fossati si ricoprono di gamberi d’acqua dolce e
con un po’ di fortuna si possono vedere anche i gamberi rossi della Louisiana. «Organizziamo visite guidate dell’azienda e del territorio circostante,
è un luogo ideale per le scolaresche. È impressionante vedere le facce
dei bambini che si stupiscono delle cose
più normali. Ti fanno domande incredibili: “Perché la fragola non è rossa?”. Semplice, perché non è ancora matura. Per noi è
tutto normale, ma di fronte ai loro occhi
non puoi non sorprenderti del loro stupore. E così anche noi torniamo a non dare
per scontato nulla». Il prossimo obiettivo?
«Aprire un punto ristoro per dare la possibilità a chi ci fa visita di degustare i nostri
prodotti. E credo proprio che nel giro di
due anni riusciremo a inaugurarlo».
Daniele Guarneri
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GREEN ESTATE
CINEMA
LANTERNA VERDE, IN PROVINCIA DI SONDRIO
Il sublime trittico di trote
Ballata dell’odio
e dell’amore,
di Alex De La Iglesia
Buono lo stile ma
troppo violento
di Tommaso Farina
S
o ritagliatevi questa scheda, se
volete godervelo. Abbiamo pranzato alla Lanterna Verde
di Villa di Chiavenna (Sondrio) senza sapere che pochi
IN BOCCA
giorni dopo avrebbe chiuso per tre settimane di riposo autunALL’ESPERTO
nale. Voi state in vigile attesa: verso il 7 dicembre la famiglia
Tonola riaprirà cancelli e fornelli del proprio magnifico locale, e vi toccherà correre su per una soave scorpacciata.
E il bello è che tutto nacque come chiosco dedicato alle trote: Ezio Tonola scavò delle vasche per allevare personalmente i pesci, che poi offriva ai ghiottoni, cucinandoli alla “pioda”, ossia alla pietra, tradizione non solo della Valchiavenna ma
anche della vicina Valtellina. Da lì, ecco l’idea di creare un vero e proprio ristorante. E che ristorante! Una sala alta e accogliente come quella in cui Beorn accolse
Gandalf e Bilbo alla scoperta delle Terre Selvagge uscite dalla fantasia di Tolkien.
Nel bicchiere, una lista dei vini curata con rara passione da Toni, già delegato dei
sommelier di Sondrio. Nel piatto, la cucina di Andrea: tradizione e rivisitazione.
Le trote ancora guizzano nelle vasche: ecco allora il Trittico, composto da tartara, terrina di trota affumicata con le verdure e bavarese di trota salmonata. Di primo, i “tajadin dulz de Villa”, lasagnette di farina di castagne con burro, formaggio
locale e fiori di camomilla, ricetta ancestrale benissimo recuperata. Di secondo,
una sublime costoletta di morbido cervo con rustiment (sformatino di patate, fagiolini e formaggio che ricorda i valtellinesi “tarozz”), cavoletti stufati e piccole
mele selvatiche. Chiudete col semifreddo al mango con biscotto ai pistacchi e spuma di cioccolato bianco al lemongrass. Ma questa è solo parte della scelta offerta
da una carta giudiziosamente imponente. Sul sito web il menù è sempre aggiornato. Preventivate un costo di circa 60 euro a testa, con la possibilità di scegliere diversi menù degustazione convenientissimi. Un posto che merita il viaggio, di corsa.
egnatevi questo indirizzo
Per informazioni
Lanterna verde
www.lanternaverde.com
Frazione San Barnaba, 7
Villa di Chiavenna (Sondrio)
Tel. 034338588
Chiuso martedì sera e mercoledì
da, agisce nascosta, ma siamo
consapevoli di quanta, effettivamente, ne stiamo consumando? Di come usarla al meglio
senza troppi sprechi e conseguenze per l’ambiente?». Domande precise che sono diventate il tema di un concorso,
“Energia da vedere”, indetto
dall’Enea, l’Agenzia nazionale
per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, in collaborazione con
Fire e Isnova. L’iniziativa si rivolge a giovani filmmaker under 35 e a sviluppatori di applicazioni per smartphone e
tablet, professionisti e non,
HUMUS IN FABULA
il concorso dell’enea
App e film, i creativi
che vedono l’energia
«L’energia non la tocchi, non la
vedi. Eppure, in forme diverse,
si trova dappertutto. Serve per
vivere, per produrre, per pensare; è il catalizzatore di tutte le nostre azioni quotidiane:
illumina gli uffici, le strade, riscalda le case, fa funzionare gli
elettrodomestici, alimenta le
automobili. L’energia ci circon-
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Le vicissitudini del figlio di
un pagliaccio repubblicano
ammazzato dai franchisti.
Film vecchio di due anni, arrivato solo ora per vicissi-
tudini distributive. È il film
più ambizioso dello spagnolo Alex De La Iglesia che ha
alle spalle un bel giallo ricco
di umorismo come La Comunidad e un altro paio di
film trascurabili. Il progetto
fa tremare i polsi: raccontare i decenni del franchismo
spagnolo attraverso il punto di vista di alcuni clown
di un circo, in particolare di
HOME VIDEO
The Raven,
di Jame McTeigue
Ritratto alcolico
Edgar Allan Poe: tra bevute,
passioni incontrollate e talento letterario.
Ritratto alcolico e superficiale del noto scrittore americano.
L’espediente è quello di Shakespeare in Love: un sacco di palle ma con nomi illustri. Non è il
massimo, per la piattezza della regia di McTeigue a corto di
trovate (il regista diV per vendetta) e poi per un cast che,
penalizzato dal doppiaggio,
sembra di gatte morte: John
Cusack, Luke Evans e Brendan
Gleeson ai minimi storici.
chiamati a raccontare attraverso formule efficaci e originali come le innovazioni, la tecnologia ma anche i semplici
gesti di tutti i giorni, possono
aiutarci a utilizzare responsabilmente le risorse energetiche.
Lanciato ufficialmente nel corso della manifestazione Ecomondo a Rimini, il concorso è
articolato in quattro sezioni:
“Corto” della durata massima
di 3 minuti; “Spot video” della
durata massima di 30 secondi; “Spot audio” della durata
massima di 20 secondi; “Application” per smartphone/tablet
iOS o Android. La registrazione
e l’invio di ciascuna opera sarà possibile fino alle ore 14 del
18 gennaio 2013: entro questa data dovranno infatti essere inviati i moduli per partecipare ad una delle quattro
sezioni del concorso attraverso
il sito www.efficienzaenergetica.enea.it. Una giuria, composta da cinque membri selezionati tra autorevoli esponenti
del mondo culturale e scientifico, decreterà i vincitori del premio e le menzioni speciali. Per
ogni sezione del concorso sono in palio premi da 2.000 euro per il primo classificato e da
1.000 euro per il secondo.
STILI DI VITA
UN INNO AL CREATO
uno, il clown triste che deve
affrontare la morte del padre clown e repubblicano.
De La Iglesia ci mette dentro tutto: le atmosfere alla Hitchcock, Buster Keaton
e Charlie Chaplin, gli horror degli anni Trenta e anche
tante crudezze e un po’ di
cattivo gusto. Non gli manca
lo stile ma la scrittura è inferiore alla regia: troppe ellis-
La speranza
necessaria
si, troppi personaggi mal centrati, troppi cambi di registro
e soprattutto c’è tanta, troppa violenza evitabile.
visti da Simone Fortunato
COMUNICANDO
NOVITà AL CINEMA
Oggi si comunica
in tutte le lingue
È sempre molto importante comunicare i progressi del mercato
soprattutto se si tratta di strumenti utili: ecco quindi MovieReading (moviereading.com), la prima App per “leggere i film” su
smartphone, tablet e occhiali hitech, selezionata tra oltre 600
progetti presentati e arrivata in
finale al prestigioso premio Ga-
Il regista
Alex De
La Iglesia
di Annalena Valenti
J
ean Giono, L’uomo
che piantava gli alberi. Uno di quei
libri che sfuggono dalle
MAMMA
OCA
mani dell’autore, che ne
avrebbe voluto fare un
racconto «per rendere piacevole piantare gli alberi», per diventare un inno
alla creatività umana, al tempo che
matura e fa crescere, alla speranza,
alla rinascita e alla responsabilità di
ogni uomo. Altro da manifesto ecologista è più un inno al creato, al creatore e
alla sua creatura, così credibile che anche oggi in molti pensano che sia una
storia vera. Scritto nel 1953, nel 1987
ne viene tratto un film di animazione
che vince il premio Oscar. Dal 2008 è
pubblicato da Salani in varie edizioni
con e senza dvd. Un racconto anche
per i bambini. Nel 2010 in un’edizione
pop-up e quest’anno in un’edizione illustrata da Tullio Pericoli. Le immagini entrano nel testo, come annotazioni a margine, poi invadono la pagina
e riscrivono la storia. Un di più di bellezza e di senso. Trovati, una volta di
più, nelle pagine di un libro. «In generale Vergons portava i segni di un lavoro per la cui impresa era necessaria la
speranza. La speranza era dunque tornata… Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse
fisiche e morali, è bastato a far uscire
dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione
umana sia ammirevole».
mammaoca.wordpress.com
SMAU business 2012, ottenendo anche un premio nella categoria “Mobile e disabilità” dello
Smau Mob App Award, contest
itinerante a sostegno della cultura dell’innovazione in ambito mobile. Prestigioso riconoscimento
sulla strada dell’inclusione sociale, MovieReading è un grande
“supporto” di comunicazione che
permette di richiamare al cinema le categorie sociali fino a ora
rimaste escluse, evitando agli
esercenti spese in ristrutturazione degli impianti. Grazie a questa App, finalmente, il cinema è
piu “democratico” che mai.
Emanuele Gallo Perozzi
etano Marzotto. Semplicissimo
il funzionamento: l’utente deve
scaricare e installare l’applicazione MovieReading sul proprio
smartphone o tablet, insieme ai
sottotitoli del film (presenti nella
sezione “Market” dell’applicazione). Arrivato al cinema, l’utente
attiverà i sottotitoli che si sincronizzeranno automaticamente
con l’audio della pellicola, a questo punto potrà godersi a pieno
la visione del film. Innovazione
vincente sviluppata da Universal Multimedia Access, società
detentrice dei brevetti mondiali
che è stata ospite dell’ultima edizione di Giffoni Experience e di
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PER PIACERE
la dimensione estetica ed esistenziale
Il segreto del presepe, tradizione
che attira i credenti e non solo
AMICI MIEI
libri
Il volto moderno
del popolo devoto
Dal 15 al 20 febbraio del 2010 i
devoti di Padova e non solo hanno potuto pregare davanti ai resti mortali di Sant’Antonio, eccezionalmente esposti al pubblico
nella bara di vetro che lasciava
intravedere la sagoma ossea del
corpo del Santo a quasi otto secoli dalla sepoltura. Nei sei giorni di ostensione più di duecentomila persone si sono raccolte
in preghiera e perché un evento tanto imponente non restasse solo un bel ricordo, il Messaggero di Sant’Antonio ha voluto
commissionare all’Osservatorio Socio-Religioso del Triveneto un’indagine per affrontare, da
un punto di vista scientifico e sociologico, il fenomeno della religiosità popolare. Se l’intento è
apprezzabile, il risultato è addirittura sorprendente. Il volume
Toccare il divino (a cura di Alessandro Castegnaro e Ugo Sartorio, Edizioni Messaggero Padova,
174 pagine, 16 euro) descrive infatti una religiosità popolare lontana dallo stereotipo che la vuole confinata a credenti anziani,
con bassi livelli di istruzione, con
percorsi che i maliziosi giudicano al limite della superstizione
nel cammino che li porta a chiedere grazie e miracoli ai santi.
Al contrario, i 2.707 questionari
sottoposti ai pellegrini nei giorni dell’ostensione straordinaria
di Sant’Antonio, mostrano che la
religiosità popolare è solida e interessa uno spettro ampio e variegato di persone consapevoli.
Essa «non è traccia residuale di
un passato che si sta spegnendo,
bensì segno di percorsi antichi
ma capaci di rigenerarsi entrando in relazione con le domande
dell’uomo contemporaneo, e in
grado di indicare una via lungo
cui abbeverarsi alla sorgente, lì
dove il divino rifulge, seduce e rimette in movimento la vita».
di Filomena Rizzo
P
Natale e il presepe affascinano tutti, anche chi non
crede? Questo è l’interrogativo al quale risponde il libro: Il
Natale e il Presepe nel Cuore dell’uomo (Solfanelli Editore,
150 pagine, 12 euro). Il testo di Corrado Gnerre va a colmare un
vuoto: non tanto quello della trattazione teologica, ma soprattutto quello della dimensione estetica ed esistenziale. Il saggio si presenta con una copertina, l’Adorazione dei Pastori del Ghirlandaio, che predispone il lettore a scorrere le prime pagine con piglio
serio ed intellettuale, ma man mano lo stesso lettore si ritroverà
ad avere tra le mani delle pennellate di sentimenti e, quasi senza
accorgersene, con nostalgia, versando forse qualche lacrima, terminerà le 150 pagine con uno sguardo da fanciullo.
Il testo tratta del Natale ma anche del Presepe. Lo scorgere
l’immagine del Divino Bambino Gesù che tende le sue piccole
braccia verso la Madre e il Suo sguardo che incrocia quello di
Maria quasi a supplicare amore e protezione, desta la più significativa tenerezza. Tutto ha inizio da una tenerezza: nessuna religione pretende affermare che tutto possa partire da questo. Lì,
dove Dio, nella piena consapevolezza della Sua divinità, mendica l’amore materno e vuole essere “accolto” da Maria, si ritrova
la vera attesa di ciò che desidera l’umanità. Questo sentimento
è sperimentato anche dai non credenti che riconoscono in una
rappresentazione semplice o di pregio l’eterno bisogno di ciascuno, anche di Gesù, di essere abbracciato, amato, atteso, accettato. Anche i non credenti vengono pervasi da quella atmosfera
di pace, di amore che aleggia tra i personaggi che, nel caso del
presepe, pur statici, creano nell’aria una forza propria che è difficile per chiunque non percepire.
Il presepe ha in sé un’estetica del bello. E proprio sulla Bellezza, come categoria trascendentale della Verità, l’autore ha
fondato Il Cammino dei Tre Sentieri, dove sostiene coerentemente che in vista di un completo avvicinamento alla verità, essa vada amata (Primo Sentiero); conosciuta (Secondo Sentiero);
e gustata (Terzo Sentiero). Con simpatia campanilistica il professor Gnerre dedica un capitolo al valore apologetico del presepe
napoletano del quale è appassionato cultore e realizzatore. Un
libro bello da leggere e da regalare.
erché il
eventi educativi
Un giorno di festa per
conoscere ostetriche
e tagesmutter
Un’associazione culturale di
ostetriche che promuove un
approccio olistico e naturale ai
temi della gravidanza e della
maternità. E poi una cooperativa sociale che da anni forma
e mette in rete le Tagesmutter, figure professionali di donne che decidono di fare della propria maternità un lavoro
aprendo la loro casa ad accogliere altri bambini insieme ai
propri figli. Quello tra l’associa-
il libro
alla mamma e alla famiglia,
garantirà proprio la continuità tra la figura della ostetrica
e quella della tagesmutter. Informazioni dettagliate sul programma della giornata (non
mancano le attività ricreative dedicate ai bambini) sono disponibili sui siti lunanuova.it oppure lacasatagesmutter.it.
eventi gastronomici/1
A Cremona il torrone
torna protagonista
Dopo lo strepitoso successo dello scorso anno, l’edizione 2012
della grande kermesse Torrone & Torroni si presenta anche
quest’anno con una ricca serie
di appuntamenti, incontri, degustazioni e spettacoli che non deluderanno in nessun modo tutti i visitatori che raggiungeranno
Cremona dal 16 al 18 novembre prossimi. Il tema guida di
quest’anno sarà la dolcezza, perché a Cremona la dolcezza è di
casa, col torrone, prodotto simbolo della città e della sua storia, ma anche con l’armonia dolce dei palazzi storici e la melodia
struggente dei suoi violini.
eventi gastronomici/2
Leccarsi i baffi con
Golosaria a Milano
Accende sette candeline Golosaria Milano, la rassegna di
cultura e gusto organizzata dal
Club di Papillon che quest’anno avrà luogo a Milano dal 17
al 19 novembre. Tante le novità dell’evento ideato da Paolo
Massobrio, a cominciare dalla
location: gli oltre 4.000 metri
espositivi di Palazzo del Ghiaccio e Frigoriferi milanesi. Qui, si
raduneranno i 100 migliori artigiani del gusto provenienti da
tutta Italia selezionati dal Golosario 2013 in uscita per l’occasione. Assaggi, show cooking
e conferenze a tema faranno la
felicità di chi apprezza i piaceri
enogastronomici della vita. Per
info: golosaria.it.
zione culturale La Luna Nuova e la cooperativa La Casa Tagesmutter è l’incontro tra due
realtà di questo tipo, impegnate da anni nel campo della maternità e dell’educazione. Per festeggiare l’inizio della
collaborazione, La Luna Nuova e la cooperativa La Casa organizzano sabato 24 novembre una giornata dedicata alle
famiglie, dalle 10 alle 18 presso i locali della Luna Nuova, in
via Settembrini 3 a Milano. La
giornata sarà l’occasione per
presentare anche la nuova figura professionale della “MammAssistant”, che, nel sostegno
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DI NESTORE MOROSINI
MOBILITÀ 2000
OPEL HA PRESENTATO UNA UTILITARIA
Arriva Adam, citycar
agile e gradevole
O
Adam, presentata in questi giorni, è una citycar pretenziosa e simpatica che intende collocarsi nel
contesto delle vetture trendy. Entra in
campo con lineamenti in cui s’intersecano classici stilemi di casa Opel, ben trasmessi dal frontale e dalle scolpiture che
affiorano sulle fiancate, con ispirazioni
tratte da modelli di successo. Il risultato
finale, comunque, si traduce in un’auto
che sembra più grossa di quanto non sia
in realtà – è lunga 3,69 metri, larga 1,72
e alta 1,48 – anche se poi, inevitabilmente, le dimensioni compatte si avvertono
nell’abitacolo, dove lo spazio è adeguato
alle esigenze dei passeggeri solo nella zona anteriore. Il bagagliaio ha capacità base di 170 litri che aumentano a 663 ribaltando il divano posteriore.
L’ambiente interno è reso gradevole dallo stile dell’arredamento e dall’originale strumentazione. Gli equipaggiamenti Jam, Glam e Slam danno all’Adam
personalità che, rispettivamente, si indipel
Tre Adam in diverse colorazioni: in evidenza le scolpiture sulle fiancate.
Nelle foto piccole: la guida, gli strumenti, l’infotainment
rizzano verso giovani, sportivi e donne.
Jam, Glam e Slam (oltre a 6 airbag,
Abs, Esp e altri sistemi rivolti alla sicurezza e all’aiuto alla guida come il servosterzo City) offrono anche il climatizzatore
e l’impianto hi-fi, oltre ad accessori coerenti con l’allestimento. Fra l’altro Opel
Adam propone un programma di personalizzazione smisurato: la casa dichiara
oltre 30 mila combinazioni. Jam, Glam
e Slam in Italia arrivano con due motori a benzina (un 1.200 da 70 cavalli e un
1.400 da 100 cavalli) con prezzi che partono da 11.750 e arrivano a 15.600 euro.
Adam mette in campo una buona agilità e un comportamento affidabile, grazie anche ai buoni influssi del passo corto e delle carreggiate larghe.
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UN ALTRO MONDO
è POSSIBILE
una testimonianza
Cristo e il kiwi.
Il nostro cammino
educativo
di Aldo Trento
N
el clima di confusione che viviamo ab-
biamo bisogno di incontrare persone
la cui vita è afferrata da Cristo per cui
non c’è un dettaglio che non solo impedisca
di riconoscere la Sua Presenza ma anche di
amarla con profonda gratitudine. Quest’anno
per Paolino e anche per me è stata e continua
ad essere una grande possibilità, una grande risorsa per la nostra adesione al Mistero.
Questa grande Presenza, come amava definirla il servo di Dio monsignor Luigi Giussani, non
ce ne ha risparmiata una che sia una. All’inizio non è stato facile riconoscere che quanto
ci accadeva era una modalità con cui il Mistero si manifestava nella nostra vita, chiamandoci a guardarlo in faccia, così da vivere solo
ed esclusivamente per lui. È stata una battaglia che solo consegnandoci totalmente ad una
compagnia grande ci ha permesso e ci permette tutt’ora non solo di non perderci d’animo ma anche di camminare con dignità ed ironia perché certi, come dice San Paolo «che
niente ci potrà separare dall’amore di Cristo».
Camminando con gli occhi fissi su Gesù, abbiamo incontrato molti amici che ci hanno testimoniato come la realtà vissuta intensamente anche quando sembra negativa, permette
di dire “Tu o Cristo mio”. La testimonianza che
segue l’abbiamo chiamata “Cristo e il kiwi”.
Può essere vista come uno dei capitoli del libro
della Lindau Cristo e il lavandino, un titolo che
nella sua semplicità raccoglie il cammino educativo dei miei ventitré anni di missione, in cui
mi sono esclusivamente occupato di mostrare
come Cristo avendo a che fare con tutto rende più bella, più umana la vita. E la vita è fatta
di ogni piccolo dettaglio. Mi ha sempre colpito
quanto dice il vangelo di Gesù con la sua relazione con la realtà: “bene omnia fecit”, ha fatto
bene ogni cosa. Cioè non c’è stata una virgola
nella sua vita che non avesse a che vedere con
il Padre. Fare bene le cose significa solo questo. Allora tutto diventa bello e la fatica è abbracciata come una risorsa che permette alla
libertà di mettersi in movimento già allo spalancare gli occhi appena ci si sveglia.
[email protected]
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POST
APOCALYPTO
Vicent van Gogh,
Seminatore
al tramonto
(1888), olio
su tela, 64x80,5
cm, Otterlo,
Olanda, Museo
Kröller-Müller
E
ra il 27 di febbraio del 2010 quando
un forte terremoto scosse il Cile e distrusse i nostri uffici nel paese andino
della Patagonia cilena, dove avevo un vivaio.
La stessa notte volai in Argentina e dopo alcuni giorni arrivai a Santiago. Il mio aeroplano fu il secondo che riuscì ad atterrare dopo
il terremoto. A maggio dello stesso anno avvenne un altro terribile terremoto. Un batterio sconosciuto mise in pericolo le coltivazioni
di kiwi, in modo particolare il kiwi giallo. Questo batterio colpiva le piante più giovani perché penetrava con molta facilità. Dopo alcuni attenti esami alle piante, in modo speciale
a quelle italiane, abbiamo trovato alcune foglie affette da questo raro batterio. In pochi
mesi abbiamo dovuto distruggere circa 600
mila piante. Il batterio si stava espandendo
anche nelle coltivazioni che avevo in Francia,
Spagna, Portogallo. Fu l’inizio di un’epidemia
terribile di cui alcuni mesi prima non si conosceva neanche l’esistenza. Una realtà completamente imprevedibile incominciò a cambiare
la mia vita. La maggior parte delle coltivazioni di kiwi in Italia fu distrutta. Iniziò un calvario che ancora non è del tutto finito. Spesso
ho dovuto affrontare le istituzioni delle varie
province affette dal batterio, avendo a che fare con i governi di Francia, Spagna e Portogallo, che mi chiedevano spiegazioni e chiarimenti. Un giorno nella riunione di governo
della mia provincia il consigliere che segue i
temi che hanno a che vedere con l’agricoltura mi guarda e dice: «Gianpaolo, (è il nome
del mio amico), la vedo sorridente, per niente sconvolto e disperato; ma da dove tira fuori tutta questa forza?». Gli ho subito risposto:
«Io non sono una pianta di kiwi».
Comunque questa è stata un’opportunità per
parlare con lui della mia esperienza di fede
Cristo rende più umana la vita. E la vita è fatta
di ogni piccolo dettaglio. Nella vita di Gesù
non c’è stata una virgola che non avesse a che
vedere con il Padre. Fare bene le cose significa
questo. Allora tutto diventa bello e la fatica
è abbracciata come una risorsa che permette
alla libertà di mettersi in movimento
e che mi inviava dei segni amichevoli e provvidenziali. Allora ho deciso di affrontare ancor più seriamente e con passione i miei problemi, di andare fino in fondo. C’era anche il
fatto che per me, lavorare con gente che produce batteri, mezzo comunisti e quasi sempre
per fini militari, era un po’ complicato. Ma tutto quanto accadeva ci era di aiuto per trovare una soluzione al nostro problema. Abbiamo
perciò reiniziato a commercializzare i prodotti e a venderli per difendere le piante di kiwi
colpite dal batterio, in tutta Europa, fino in Cile compresa la Nuova Zelanda e con buoni risultati. Tutta questa drammatica esperienza è
stata l’opportunità per mettere al centro della
vita il mio destino che mi fa e la realtà che mi
provoca e che mi spinge ad affrontarla continuamente, esaminarla e soprattutto amarla. A volte mi domando: come faccio ad amare questa realtà nel momento in cui non mi
è più favorevole? Mi sorprende questo fatto:
che amo più la realtà ora che quando le cose
andavano bene. Voglio dire infine che mi sento un privilegiato, perché mi è stata data la
possibilità di vivere un’esperienza che mi ha
svegliato da una fede ovvia, abituale e spesso senza ragioni. Ora la mia fede è piena di ragioni e ha a che fare con tutta la realtà».
Lettera firmata
con i miei amici cristiani. Gli ho raccontato di
questa amicizia che in questi momenti difficili mi ha tenuto in piedi attraverso i loro volti che mi hanno aiutato a non precipitare di
fronte alle dure circostanze che il Signore mi
chiedeva di vivere. In mezzo a queste facce ben precise, voglio citare concretamente
un amico in particolare, perché si è messo al
mio fianco con tutta la sua disponibilità. È da
una relazione così che ho iniziato a sperimentare che Qualcuno “misterioso” mi accompagnava e sempre mi accompagna ad affrontare la realtà.
La realtà è Cristo, questo fatto me lo devo ripetere tutti i giorni. Un altro amico mi confortava dicendomi che di fronte ad ogni problema c’è sempre una soluzione e che Dio non
abbandona nessuno. Così si faceva sempre
più chiaro in me che la realtà non è nelle nostre mani, ma bisogna saperla seguire per po-
ter sperimentare che c’è un Altro che la fa. Da
un anno a questa parte, assieme a mia moglie
che è appassionata di omeopatia, e in più documentandoci sui libri della dottoressa americana Clark, abbiamo iniziato un lavoro per
trovare una efficace soluzione al problema del
batterio. Un giorno ho incontrato alcuni imprenditori e commercianti russi che vendevano prodotti nanotecnologici. Ho raccontato
a loro della conversione di un amico che avevo conosciuto poche ore prima. Si tratta di un
attore italiano che aveva fatto la parte di Barabba nel film La Passione di Mel Gibson. Uno
di loro aveva una sola fede e un’unica consistenza: il lavoro che faceva. Gli ho chiesto come si fosse convertito a quella fede. Lui mi
ha risposto che sono stati i libri della dottoressa americana Clark. Lì ho capito che questo incontro non poteva essere assolutamente casuale. Era invece la realtà che si rivelava
Come faccio ad amare questa realtà nel momento in cui non mi è più favorevole? Ti ringrazio perché è una domanda che per anni mi
sono portato dentro come un peso insopportabile. Quante volte mi sono chiesto, quando
la vita mi sembrava una matrigna, il perché e
dove potevo leggere che quanto mi accadeva era una cosa positiva. Fu una lunga lotta e
lo è ancora perché niente è scontato. La battaglia continua anche se oggi tocco con mano
momento per momento la positività di quanto mi accade, che normalmente è sempre una
sorpresa. Alcuni giorni fa ho chiesto a una ragazza ammalata di cancro, con figli, come
stava affrontando la malattia. E lei mi rispose: «Questa sofferenza è per me una grazia
perché mi ha permesso di avvicinarmi a Gesù
dopo tanti anni di lontananza.
[email protected]
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LETTERE
AL DIRETTORE
La legge è un elastico
soggetto al tiremmolla.
Il caso Ruby insegna
La lettura dell’esilio altrui è un esercizio parrocchiale sempre molto interessato e suadente. Immagino però che Carrón non abbia scritto quel
che ha scritto per farsi benedire da
quelli lì.
2
Rispondo “di getto” alla lettera pubblicata su Tempi numero 45 a firma di Andrea Baldazzi, che si sbalordisce perché gli insegnanti ritengono
una beffa l’offerta di 15 giorni di ferie in più a fine anno scolastico. Forse
non tutti sanno che il lavoro dell’insegnante si distribuisce in 6 giorni alla settimana e che il cosiddetto “giorno libero” è una consuetudine, ma non
obbliga il dirigente ad assegnarlo ai
suoi docenti; inoltre il “giorno libero”
è libero dall’attività di lezione in classe, ma non dalla correzione dei compiti, dalla preparazione delle lezioni e
quant’altro (per tutto ciò a volte serve
anche la domenica o qualche serata).
Quando un docente chiede 30 giorni
di ferie estive deve includere anche i
sabati. Un lavoratore dipendente, laureato, che guadagna né più né ne meno di un insegnante, ha circa 30 giorni
di ferie estive più 52 sabati per un totale di quasi 3 mesi all’anno! È sì una
beffa offrire 15 giorni di ferie in più
nel periodo di astensione delle lezioni,
sarebbe come offrire a un dipendente dei giorni in più di ferie nei sabati
UNA RIFLESSIONE ATLANTICO-MILANISTA
SPORT
ÜBER
ALLES
N
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E anche questo è sacrosanto. Insomma, vedete che l’oggettività
meritocratica è la fossa della vita?
2
Ho molto apprezzato l’articolo sul
grande balzo in avanti in Cina (Tempi numero 45). Giustamente vi si parla anche della censura che su tali fatti viene operata dalla nostre parti. Mi
ricordo tuttavia che avevo letto un articolo simile nei primi anni Sessanta in
Selezione dal Reader’s Digest; tra l’altro mi ricordavo del particolare delle acciaierie. Voglio dire che chi voleva
poteva sapere anche prima, solo che
certe pubblicazioni venivano considerate “propaganda filoamericana”. Nazareno Morresi Macerata
È vero. Anch’io avevo in casa la famosa Selezione e non ci ho buttato
occhio. Vabbè ero pioniere di Mao.
2
Leggendo le cronache dal Tribunale di Milano sul processo Ruby-Berlusconi (nel quale sono una contro l’altro non avendolo lei mai accusato lui
di nulla), mi sono ricordato di una codi Fred Perri
Ci sono rotte che non si invertono
manco se cambia il comandante in capo
on lo dite a me, gli Stati Uniti sono uno mito fin
da quando ho visto Albertone con il suo “wuozzamerica” e il suo “maccarone, m’hai provocato e me te magno”. Per anni da là abbiamo importato il meglio. Hemingway e Lola Falana, i Platters e Bob
McAdoo, i pop corn al cinema e Elvis the Pelvis, John
Wayne e Philip Roth, Kennedy e Ava Gardner. Poi, pe-
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a fronte della richiesta di maggior lavoro nelle altre giornate. Sarebbe facile anche contestare l’affermazione
che le 40 ore settimanali debbano essere fatte a scuola (dove? Con quali
strumenti? Con quale servizio mensa?
Eccetera), tuttavia il problema non è
quantificare il lavoro dell’insegnante,
ma riconoscere che questa bellissima
professione non può essere ridotta a
livello impiegatizio.
Giovanni Pasi via internet
|
rò, abbiamo cominciato a deragliare, a fare i fenomeni
e a prendere il peggio, non per colpa loro, degli americani, ovviamente, ma per colpa nostra.
Ci sono cose che laggiù hanno un senso e qui no.
Halloween è un film dell’orrore fatto molto bene (il
primo), ma pensare di riprodurre quel rito da noi mi
fa inferocire. Conosco addirittura chi organizza il
Foto: AP/LaPresse
M
la lettura che il Corriere della Sera ha fatto della lettera indirizzata da don
Julián Carrón alla Fraternità di Cl. Ovviamente il
quotidiano si è fermato solo sul passaggio in cui il sacerdote paragona «quanto accade in questi tempi al nostro movimento» alle vicende bibliche del popolo di Israele. «Mi auguro che non ci debba capitare quello che è successo ad
esso: rifiutandosi di ascoltare i richiami dei profeti, il popolo
fu portato in esilio», scrive Carrón. Eppure, rilanciando questo brano della lettera, il Corriere sceglie di titolare “Carrón: ‘esilio’ per renderci umili”, suggerendo l’idea che in
fondo il vero intento di Cl sia quello di
autoesiliarsi dal mondo. O meglio, rivelando quale sia in realtà l’auspicio del
giornalone della bella borghesia: che
Cl si levi dalle balle una volta per tutte
e si dedichi alla filosofia. La prova del
nove? Eccola: «L’intransigenza della
Lega che dice di essere pronta a correre da sola se gli alleati non accetteranno la candidatura Maroni sembra
destinata a fare da preludio a un’inevitabile sconfitta. Ma anche questa è
una scelta politica: paradossalmente è
la stessa strada che don Julián Carrón
suggerisce al suo movimento quando
invita a liberarsi “da qualsiasi pretesa egemonica” e ricorda l’esilio biblico
del popolo di Israele che “spogliato di
tutto capì dove stava la sua vera consistenza”» (Claudio Schirinzi, Corriere
della Sera Milano). Ma solo uno pieno
di pretese egemoniche poteva leggere
l’invito del capo di Cl alla conversione
come un ordine di ritirata in sagrestia.
i è parsa rivelatrice
Più che «la strada suggerita da Carrón», pare l’avvertimento del padrone:
cari bamini, non fatevi più vedere in
giro, di modo che non siamo costretti
a farvi veramente male.
Paola Finessi via internet
[email protected]
sa della quale non si è più parlato: ma
ai tempi della vicenda alla Questura
di Milano, Ilda Boccassini e Edmondo Bruti Liberati non avevano proclamato urbi et orbi che la procedura di affidamento di Ruby alla Minetti
era stata assolutamente regolare, legittima e tutto si era svolto nella normalità, come in moltissime altre circostanze simili, per non dire sempre?
Sapete dirmi cosa accidenti è successo nel frattempo? Devo per forza essermi perso qualche passaggio...
Ciro Maddaloni via internet
Sì, quel che lei chiama “proclama
urbi et orbi” ci fu. È che in seguito dice che vennero autorizzate “ulteriori indagini”. Ma non ha ancora
capito che la Legge è un Elastico?
2
Foto: AP/LaPresse
Mentre continuano a imperversare i
luoghi comuni circa i presunti privilegi
di cui godrebbe la Chiesa cattolica in
veste di proprietaria di immobili su cui
si esercita attività commerciale esente da gravami Imu, appare pretestuoso il dietrofront del governo e di alcune forze politiche (nella specie Pd e
Udc) dinanzi a un emendamento presentato alla Commissione Bilancio della Camera dall’onorevole Toccafondi
del Pdl e sottoscritto anche dai colleghi di gruppo Lupi e Carfagna, teso a
circoscrivere l’esenzione ai soli immobili ove si esercitino attività commerciali non a scopo di lucro. La dimensione commerciale “sic et simpliciter”
sarebbe infatti fonte di equivoco, perché vi potrebbero essere ricondotti anche quei soggetti che la svolgono in questa forma “ex lege” e non per
IL FUOCO NEL CUORE
Desiderare con desiderio e altre
indispensabili esagerazioni di Gesù
di Pippo Corigliano
CARTOLINA
DAL
PARADISO
G
esù esagera. Prima di cominciare l’ultima cena lava i piedi agli apo-
stoli e glieli asciuga. Ultimamente questa scena mi torna spesso in mente: perché un’esagerazione del genere? Non bastava
da sola, e non era certo poco, l’ultima cena? Ha sempre trovato tanta eco in me la frase di Gesù nel Vangelo di san Luca (22, 15-20): «Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum». Letteralmente:
«Ho desiderato con desiderio mangiare questa pasqua con voi». Giustamente la versione italiana traduce “ho desiderato ardentemente”.
Ma a me piace tanto “ho desiderato con desiderio” perché quella ripetizione m’introduce nella psicologia di Gesù. Che palpitazione doveva esserci nel suo cuore mentre dava tutto se stesso in quel momento
così intenso, simbolico e pregnante! Il Giovedì Santo è la festa che più
mi piace perché commemora quel momento. Ogni Messa è quel momento, ma il Giovedì Santo è il giorno giusto, nell’ora giusta. Fuoco,
c’era fuoco nel cuore di Gesù. E, in tutto questo, che significa lavare i
piedi prima di quella cena? Significa, significa. Sono io che sono tardo a capire. Il senso della vita è servire, il senso dell’amore è servire. Il
nostro Dio è un Dio che serve. Perciò la Messa, la Santa Messa, è tanto
importante. Nell’Anno della fede sono contento di andarci ogni giorno con più consapevolezza. Questo per la signora che chiedeva cosa
fare nell’Anno della fede. Andare ogni giorno a Messa. Sembra poco?
Devo scappare, ho tanti impegni, ci sono cose più importanti. Quali?
trarne degli utili (basti pensare a una
mensa della Caritas con personale di
cucina regolarmente assunto). Questa
sottolineatura aveva portato alla condivisione unanime in Commissione e al
favore del governo nella seduta di venerdi 2 novembre. La ripresa dei lavori d’aula ha visto però un irrituale dietrofront dell’esecutivo, preoccupato
dal rischio di vedersi contestate infrazioni comunitarie, come se le esenzio-
Obama
osserva
i bambini
delle favelas
di Rio de
Janeiro che
giocano
a calcio,
marzo 2011
ni si configurassero come aiuti di Stato. Il ritorno al testo originario ha poi
avuto l’avallo della Commissione Bilancio con il voto contrario di Pdl e
Lega. Mai come in questa circostanza ci pare attuale la copertina Tempi di qualche numero fa: “+Stato +tasse -società = contenti?”. Io sono tra
gli scontenti e sto volentieri in compagnia di Toccafondi , Lupi e Carfagna.
Daniele Bagnai Firenze
Thanksgiving, cioè la loro massima festa, più importante del Natale, cioè il pranzo del Ringraziamento,
quello con il maxi tacchino da affettare ad arte. Abbiamo importato i fast food, perfino. Abbiamo importato anche la primarie che fatte in Italia fanno ridere e
non bastavano quelle del Pd, adesso se le sono inventate anche quelli del partito del Berlusca. Ma la cosa
peggiore che abbiamo importato sono gli americanologi, che da qui fanno il tifo per questo o per quel presidente, come se a noi tra Obama e Romney ci sarebbe
cambiato qualcosa. Ma per favore. È un po’ come queste discussioni sul povero Allegri. Ma pensate che un
altro allenatore, al Milan, gli cambi veramente la vita?
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taz&bao
L’impersonalità
64
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| Francis Bacon, Man in Blue VI (1954), olio su tela, 152,7 x 116,8 centimetri (foto: AP/LaPresse)
La banalità del male
tà al potere
La generalizzata riduzione della politica
a una tecnica, della legittimità a legalità,
determina la banalizzazione della cultura
giacché tutti i significati e tutti i simboli
vengono aggregati sempre più strettamente
dagli apparati istituzionali. L’uomo deve
venire liberato dalla propria soggettività,
dalle sue opinioni e dalla sua coscienza meramente personali, dalla ragione meramente soggettiva e dalle convinzioni morali che
nella loro ingannevole assolutezza gettano
la società nella guerra civile, nei conflitti tra
convinzioni personali. Tale liberazione non
viene però intesa come distruzione e annullamento della convinzione morale o della
coscienza religiosa, bensì come loro neutralizzazione e privatizzazione. Si tratta insomma di convinzioni private prive di rilevanza
politica, che non ci obbligano a nulla: si
può essere buon cattolico o buon cittadino
anche nella Germania nazista o nell’Unione Sovietica, giacché la nostra funzione
oggettiva all’interno dello Stato non ha in
fin dei conti nulla a che fare con la nostra
coscienza privata. L’escatologìa dell’impersonalità è anzitutto lotta per la conquista di
un terreno neutrale su cui sia possibile edificare lo Stato del potere permanentemente
innocente e puramente tecnico; ma la lotta
per la conquista di questo terreno neutrale
diventa sempre più distruttiva.
Vaclav Belohradsky Il mondo della vita: un problema
politico. L’eredità europea nel dissenso e Charta ’77,
Jaca Book 1980
GLI ULTIMI
SARANNO I PRIMI
UNA MATTINA A TERMOLI
Il fascino di un’ora rubata
di Marina Corradi
T
ermoli, 10 novembre. Le sette e mezza del mattino. Non ero mai stata qui, sulla
costa del Molise. L’appuntamento al convegno è alle nove. Ho un’ora per girare il centro storico. Un caffè, e mi metto in cammino. Io la chiamo l’“ora
rubata”: in un viaggio di lavoro, un’ora libera, spesso all’alba, semplicemente per
guardarmi attorno.
In una piazza ancora silenziosa e vuota la facciata candida del Duomo duecentesco mi si para davanti, inaspettata. Quanto splendida, e cesellata di figure
di vescovi e santi; e draghi, in alto, protesi in fuori, ad allontanare i demoni. Qui
dentro, scopro, c’è la tomba di Timoteo: il discepolo cui Paolo di Tarso scriveva
chiamandolo «vero figlio mio nella fede». La mole armoniosa del Duomo di Termoli assume allora il senso di custodia di una preziosa memoria; come uno scrigno che racchiuda oro.
Attorno, il borgo antico dorme ancora. Vicoli stretti tra piccole case bianche;
qui e là festosa erompe la macchia radiosa di
Attorno, il borgo antico dorme
una bouganvillea ancora in fiore. A una fineancora. A una finestra un filo regge stra un filo regge vestiti di bambino, ad asciugare. Nel silenzio scopri che ogni vicolo ha, al
vestiti di bambino, ad asciugare.
fondo, la linea blu del mare.
Nel silenzio scopri che ogni vicolo
Davanti, a destra, a sinistra, sempre il mare. Possibile? È che Termoli è arrampicata su
ha, al fondo, la linea blu del mare
un promontorio che si sporge come un belvedere sull’Adriatico. Cinta da una murata, sormontata da una fortezza e da un faro,
in questa mattina serena sembra una donna affacciata alla finestra, quieta, su questo calmissimo, enigmatico mare. Già l’avevo intravisto ieri sera, arrivando, dall’alto del bastione contiguo alla spiaggia. La battigia deserta e, alla luce gialla dei lampioni del lungomare, la distesa dell’acqua, nera e lucente; e la lieve increspatura di
onde appena impercettibili, che si allargavano a lambire la sabbia, la sfioravano e
si ritraevano, lente. (Sembrava, nella oscurità della notte, vivo, il mare; un animale
immenso che quando è calmo si avvicina, mansueto, alla costa, e l’accarezza, senza volerle far male).
Ma stamattina in questo fresco sole d’autunno tutto sembra nuovo, nato appena ieri: la scia sull’acqua di un peschereccio, e le campane di una chiesa, lontane.
Si protende sul mare come un esile molo il pontile di un trabbucco, quelle vecchie
capanne di pescatori delle coste abruzzesi e molisane, issate come palafitte in mezzo all’acqua: da cui si calano, appese a dei ganci arrugginiti, grosse reti. E tu dall’alto della città antica ti sporgi a contemplare questa piccola casa sospesa sull’infinito, sognando come deve essere, d’estate, dormire lì, profondamente dentro il mare.
Immagini come deve battere il vento, su questa rocca, quando è burrasca; come
deve penetrare per i vicoli, e gonfiarsi, e ululare. Oggi però, al sole che si va scaldando, sui balconi sbocciano le ultime rose, pallide.
Le otto e mezza. Ancora quasi solo il rumore dei miei passi per le strade. L’ora
rubata è finita, più bella perché clandestina. Assaporata furtivamente, come
quando in una strada di campagna allunghi una mano a cogliere un fico da una
pianta che sporge da un muro di cinta, e lo scopri dolcissimo. Poi, l’ora è finita,
ed è tempo di andare.
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| 21 novembre 2012 |
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