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PRIMA PARTE PERCORSI TEMATICI 8. Il falso manoscritto L

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PRIMA PARTE PERCORSI TEMATICI 8. Il falso manoscritto L
PRIMA PARTE
PERCORSI TEMATICI
8. Il falso manoscritto
L’anonimo seicentesco
Definito a volte “l’anonimo” e altre volte “il nostro autore”, l’immaginario scrittore seicentesco da cui
Manzoni finge di ricavare il racconto dei Promessi sposi è una delle figure più importanti del romanzo.
Manzoni le presenta nell’Introduzione e richiama poi spesso la sua presenza nel corso del romanzo,
attribuendogli varie funzioni.
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I Promessi Sposi in rete © La Spiga Edizioni 2010 – www.laspigaedizioni.it
L’introduzione
I promessi sposi si aprono con una introduzione in cui Manzoni finge di trascrivere la prima pagina di un
manoscritto seicentesco.
In questa pagina, l’anonimo autore
- anticipa alcuni elementi del racconto (per esempio il fatto che i protagonisti sono “gente meccaniche, e
di piccol affare”, cioè popolani; che le vicende comprendano “scene di malvaggità grandiosa” e “bontà
angeliche” ecc.);
- mette in mostra la sua “abilità” stilistica, infarcendo la pagina, secondo lo stile dell’epoca, di
•
riferimenti classici (“Heroi, che con occhij d'Argo e braccj di Briareo” - mostri mitologici,
rispettivamente con cento occhi e con cento braccia - “si vanno trafficando per li pubblici
emolumenti”);
•
metafore e concettini (“gl'illustri Campioni che in tal Arringo fanno messe di Palme e d'Allori”,
cioè gli storici che si occupano delle grandi imprese e dei grandi personaggi; “trapontando coll'ago
finissimo dell'ingegno i fili d'oro e di seta, che formano un perpetuo ricamo di Attioni gloriose”);
•
similitudini (il “Re Cattolico nostro Signore, che è quel Sole che mai tramonta”, “qual Luna
giamai calante... l'Heroe di nobil Prosapia che pro tempore ne tiene le sue parti, e gl'Amplissimi
Senatori quali Stelle fisse, e gl'altri Spettabili Magistrati qual'erranti Pianeti...”).
Il narratore e l’anonimo
Il rapporto tra il narratore dei Promessi sposi (la voce che il lettore identifica con quella di Manzoni) e
l’anonimo seicentesco (detto a volte “il nostro autore”) è duplice:
- Manzoni ironizza su alcune difetti dell’anonimo: per esempio
considera il suo stile un esempio di cattivo gusto;
non condivide la visione retorica della storia come “ricamo di azioni gloriose”;
ha nei confronti dei potenti un atteggiamento critico e non servile;
- Manzoni apprezza però alcune scelte dell’anonimo: per esempio
la scelta di porre al centro della vicenda degli “umili” anziché dei potenti;
la scelta di narrare una vicenda reale, anziché una vicenda di fantasia;
la scelta di commentare gli avvenimenti narrati, ricavandone una “morale”.
Le funzioni dell’anonimo
Nel corso del romanzo, la figura dell’anonimo è evocata spesso. Distinguiamo quattro casi fondamentali.
Primo caso:
All’anonimo sono sempre ricondotte le reticenze riguardanti nomi di personaggi o di luoghi:
Era figliuolo d'un mercante di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo)
(cap. IV, pag. 83)
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A questa indicazione l'anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il
nome) era più in su del paesello degli sposi (cap. V, pag. 100)
Che avvenisse poi di questo suo proponimento non lo dice il nostro autore, il quale, dopo avere
accompagnato il pover'uomo in castello, non fa più menzione de' fatti suoi. (cap. XIII, pag. 265)
Tale è la descrizione che l'anonimo fa del luogo: del nome, nulla... (cap. XX, pag. 370)
Secondo caso:
Manzoni assume un atteggiamento ironico nei confronti dell’anonimo:
(Nei campi) della magia e della stregoneria s'era internato di più, trattandosi, dice il nostro anonimo, di
scienza molto più in voga e più necessaria, e nella quale i fatti sono di molto maggiore importanza, e più
a mano, da poterli verificare. (cap. XXVII, pag. 498)
Don Ferrante pronosticò, senza esitazione, che quest'opera avrebbe rovinata l'autorità dell'Olevano, e
sarebbe rimasta, insieme con l'altre sue nobili sorelle, come codice di primaria autorità presso ai posteri:
profezia, dice l'anonimo, che ognun può vedere come si sia avverata. (cap. XXVII, pag. 500)
Terzo caso:
Manzoni attribuisce all’anonimo opinioni e giudizi da lui stesso condivisi e riconosce la sua saggezza e
l’importanza del suo lavoro:
In mezzo a quella sua gran collera, aveva Renzo pensato di che profitto poteva esser per lui lo spavento
di Lucia? E non aveva adoperato un po' d'artifizio a farlo crescere, per farlo fruttare? Il nostro autore
protesta di non ne saper nulla; e io credo che nemmen Renzo non lo sapesse bene. (cap. VII, pag. 134)
Su questo il nostro anonimo fa una osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che può contare. Le
abitudini temperate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio, che, quanto più sono inveterate e
radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se n'allontani, se ne risente subito; dimodoché
se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola. (cap. XIV, pag. 280-281)
Così terminò quella giornata, tanto celebre ancora quando scriveva il nostro anonimo; e ora, se non era
lui, non se ne saprebbe nulla, almeno de' particolari; giacché il Ripamonti e il Rivola, citati di sopra, non
dicono se non che quel sì segnalato tiranno, dopo un abboccamento con Federigo, mutò mirabilmente
vita, e per sempre. E quanti son quelli che hanno letto i libri di que' due? Meno ancora di quelli che
leggeranno il nostro. (cap. XXIV pag. 351)
Quarto caso:
Manzoni “si nasconde” dietro all’anonimo, giustificandosi di fronte al lettore per alcune scelte discutibili:
(Renzo) medesimo, il quale soleva raccontar la sua storia molto per minuto, lunghettamente anzi che no
(e tutto conduce a credere che il nostro anonimo l'avesse sentita da lui più d'una volta)... (cap. XXXVII,
pag. 684)
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L'uomo (dice il nostro anonimo: e già sapete per prova che aveva un gusto un po' strano in fatto di
similitudini; ma passategli anche questa, che avrebbe a esser l'ultima), l'uomo, fin che sta in questo
mondo, è un infermo... (cap. XXXVIII, pag. 710)
Il modello ariostesco
L’idea dell’anonimo non è un’invenzione originale di Manzoni. Vi sono moltissimi precedenti nella
letteratura italiana e in quelle straniere.
Il modello a cui Manzoni si avvicina maggiormente è quello di Ludovico Ariosto, il più grande poeta
italiano della prima metà del Cinquecento.
Nel suo capolavoro, Orlando furioso, anche Ariosto finge di trarre il suo racconto dalle testimonianze di
Turpino, un mitico vescovo cavaliere a cui viene attribuita La chanson de Roland, il primo testo in cui il
paladino Orlando è protagonista.
Come Manzoni, Ariosto a volte condivide le scelte e i giudizi di Turpino, a volte prende le distanze da lui.
In generale, il suo atteggiamento è dominato dall’ironia - la stessa che caratterizza la voce narrante dei
Promessi sposi.
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