Una narrazione a finale aperto. Terre (noi lo chiamiamo così) manca
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Una narrazione a finale aperto. Terre (noi lo chiamiamo così) manca
dicembre 2013 gennaio 2014 € 3,00 Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio. 045 Una narrazione a finale aperto. Terre (noi lo chiamiamo così) manca da alcuni mesi ai suoi lettori e ai venditori sulla strada. Ora torna con un numero-cantiere, una anticipazione, poco più di un’idea. Torna perché siamo in cerca di un feedback, di un riscontro da parte di chi ci prenderà in mano; ma anche perché noi stessi ne abbiamo sentito l’assenza, come il venir meno di un luogo in cui ritrovarci, lo spazio condiviso in cui sostare e darci appuntamento per un racconto della realtà che consenta il miracolo di sentirsene parte, senza esserne schiacciati. Ci piacerebbe fare un giornale così, dove il finale delle storie non è già scritto, perché dipende da quello che ognuno farà o dirà nei giorni che verranno. Sia che si tratti di biciclette, di foreste o di profughi. Un giornale veloce e bello come un acquerello. dicembre 2013 gennaio 2014 € 3,00 Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio. 045 Una narrazione a finale aperto. Terre (noi lo chiamiamo così) manca da alcuni mesi ai suoi lettori e ai venditori sulla strada. Ora torna con un numero-cantiere, una anticipazione, poco più di un’idea. Torna perché siamo in cerca di un feedback, di un riscontro da parte di chi ci prenderà in mano; ma anche perché noi stessi ne abbiamo sentito l’assenza, come il venir meno di un luogo in cui ritrovarci, lo spazio condiviso in cui sostare e darci appuntamento per un racconto della realtà che consenta il miracolo di sentirsene parte, senza esserne schiacciati. Ci piacerebbe fare un giornale così, dove il finale delle storie non è già scritto, perché dipende da quello che ognuno farà o dirà nei giorni che verranno. Sia che si tratti di biciclette, di foreste o di profughi. Un giornale veloce e bello come un acquerello. Il 3 ottobre è un giorno che ci rimarrà attaccato. 366 morti a pochi metri dall’approdo di Lampedusa. Quel giorno abbiamo smesso di lavorare e ci siamo fermati a parlare tra noi. Abbiamo silenziato i nostri siti web: una schermata bianca con su scritto “Il silenzio del mare”. Poi nelle settimane successive abbiamo seguito le tracce degli 89 eritrei sopravvissuti. Sono stati accolti a Roma, nell’Istituto salesiano Gerini. Il centro è convenzionato con lo Sprar, il Sistema di protezione richiedenti asilo. Potevano restare tra i 6 e i 12 mesi. Ma gli 89 eritrei si sono volontariamente dileguati il 19 novembre, sette giorni dopo l’ingresso nel centro Sprar. Sperano di farcela a chiedere asilo altrove. Per questo nessuno di loro ha lasciato le impronte in Italia. Un giornale normale si sfoglia. Terre si dispiega, e avvolge. I confini tra dentro e fuori non sono netti: in un mondo di iperinformazione, le parole servono, ma non bastano. Neanche le foto. Così abbiamo pensato al disegno: un modo di narrare che prova a coinvolgere lo sguardo. Funziona? Scrivetecelo a [email protected] o su Fb e Tw. Ne abbiamo bisogno... L’incontro con il funambolo Andrea Loreni continua a generare storie. La prima è un laboratorio tra funambolismo e scrittura che abbiamo sperimentato insieme a settembre. Il titolo? Parole sospese. La seconda è un piccolo saggio che indaga il rapporto tra le due arti. Lo trovate qui: http://bootlegexperiment.it. La terza accadrà a gennaio. Si tratta di un workshop sull’equilibrio in cui si intrecceranno la parola scritta, il silenzio e i passi sospesi. Può Terre farsi promotore di una proposta di legge di iniziativa popolare? E proporsi di raccogliere 50 mila firme contro il gioco d’azzardo? Guardate qui e, se potete, coinvolgete il vostro sindaco: http://www.scuoladellebuonepratiche.it Fa’ la cosa giusta a Trento è ormai di casa (10a edizione, oltre 13 mila visitatori). Palermo invece ha il gusto della sfida: la seconda edizione si è svolta a novembre. Ora tocca a Milano: appuntamento dal 28 al 30 marzo. Le storie, quando cominci a raccontarle, ti accorgi di quanto sono grandi. Come quella di “Dar casa”, una cooperativa che nasce a Milano nel 1990 per garantire un tetto agli immigrati. Per ripercorrerla ci sono volute quasi 500 pagine di un libro che ora pubblichiamo. Piero Basso è l’autore che abbiamo spinto a questa avventura. Ha anche una passione “domestica”: costruisce palazzi e case in miniatura, architetture composte da minuscoli pezzi tenuti insieme solo dalla forza di gravità. O dalla pazienza e dalla cura, come i sogni di un’intera città. Il 24 e il 26 ottobre sono nati, uno a Milano, l’altro in Senegal, Tommaso e Mouhamed, entrambi primogeniti di due nostri colleghi. Il primo, figlio di Elena (e Nicola), e il secondo di Khalifa (e Bitty). Elena è diventata giornalista professionista 6 anni fa negli stessi mesi in cui Khalifa tentava di venire in Italia con un barcone della speranza. A questi figli che si sono dati appuntamento per nascere, e a Francesco, figlio di Chiara, ormai lì lì per arrivare, dedichiamo queste pagine. Direttore responsabile: Miriam Giovanzana. Chi ha collaborato a questo numero: Dario Paladini, Lorenzo Bagnoli, Carola Fumagalli. Direzione e redazione: Cart’armata Edizioni srl, Via Calatafimi 10, 20122 Milano. Tel. 02 - 89.41.58.39, fax 02 - 87.36.56.03 Stampa: grafiche Speed 2000, Peschiera Borromeo (MI) Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 566 del 22 ottobre 1994. Poste Italiane spa. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio. pedalano. Ce ne sono poi 4 che abbinano treno e bici o mezzi pubblici (l’intermodalità!). Abbiamo calcolato che se tutti usassimo la bici in città potremmo risparmiare 5 mila euro l’anno. Beh, ora provate voi a calcolare quanto tempo e risorse usate voi e i vostri colleghi per andare a lavorare. E se volete risparmiare cercateci su cicliaziendali.it Ogni giorno, come in una staffetta, viaggiamo per ben 21 ore e copriamo una distanza pari a quella tra Milano e Trieste. È la fotografia, sorprendente, dei tragitti casa-lavoro e ritorno di una piccola-media azienda come Terre. Abbiamo monitorato tempi, mezzi usati, chilometri e costi. Il progetto si chiama ibike2work. Obiettivo: incentivare l’uso della bicicletta tra dipendenti e collaboratori. Abbiamo così scoperto che maciniamo ore, chilometri e soldi. E andiamo “veloci”: ci spostiamo a una media di 20 km all’ora. Non ridete. È che su 21 persone solo una usa regolarmente l’auto per venire a lavorare, e due il motorino. Gli altri sono molto più ecologici: 6 si spostano con i mezzi pubblici, 5 vanno a piedi (beati loro, abitano vicino alla redazione) e tre Un oggetto di gomma su due viene dall’Hevea brasiliensis. Ha fatto la fortuna dell’Amazzonia, quando Manaus (dove l’Italia giocherà i mondiali di calcio a giugno) a fine Ottocento, competeva in bellezza con Parigi. Raccoglitore di caucciù era Chico Mendes. Poi l’Hevea fu messa a dimora in Asia. E ora le rivolte in Thailandia passano anche attraverso la crisi della produzione di questo albero. (Rete del piano anti freddo) (Fuori dal piano anti freddo) ---------- ---------- ---------- LEGENDA ------------------------------------------ Centro Dormitorio Centro Centro di ascolto notturno diurno Dormitorio Mensa Stazione provvisorio Centrale ------------------------------------------ a i t t no milano #nottiamilano Seguici su terre.it, Facebook e Twitter. Troverai: - Il diario dai centri di accoglienza: storie e testimonianze raccontate dai volontari Se vedete un senza dimora che dorme in strada potete segnalarlo a questi numeri telefonici (dalle ore 8 alle 24): - I recapiti delle associazioni per chi vuole fare volontariato. di Dario Paladini spesa 1 milione di euro --------------- posti letto 2009 ----- 1.400 Giunta Moratti --------------------------- Dormire per strada d’inverno è una tortura. In più, con la crisi, i senza dimora aumentano e le risorse diminuiscono. Milano fa appello al volontariato e raddoppia i posti letto. Spendendo uguale: 1 milione di euro nel 2009, 1 milione e 100 mila oggi. Cibo caldo, vestiti, medicinali e una branda. Passa di qui la partita a scacchi tra l’assistenza di chi vive in strada e la morte per assideramento. 7 centri diurni, 10 mense, 22 dormitori e 11 unità per l’intervento in strada: sono i numeri di Milano per i senza dimora, da novembre a fine marzo. Il modo in cui si organizza una grande città per assistere chi ha perso tutto dice molto dei tempi che viviamo. Se volete dare una mano, in queste pagine trovate tutte le informazioni. senza dimora Per salvare i mobilitata la città si èan freddo. con il Piano tati impegno. Pochi soldi e nto 02-88.44.76.45 02-88.44.76.47 02-88.44.76.49 Una delle unità di strada lo raggiungerà per offrirgli assistenza Progetti presentati dalle associazioni per l’assistenza diurna ai senza dimora (2013) Fondi concessi dal Comune di Milano ----------------------------------------------- 586.441 1 milione di euro ----- 2011 1 milione 1,1 milioni di euro di euro --------- 2012 --------- 2013 --------- 2.020 2.500 2.700 Giunta Pisapia euro 123.000 euro Ci sono dei grumi nella cartina di queste pagine. Uno è quello attorno alla Stazione Centrale, ritrovo storico dei senza dimora a Milano: chi ha bisogno di un ricovero stacca qui il suo biglietto per la notte, dopo viene smistato nei vari centri. E di giorno che succede? Le realtà che si occupano di assistenza diurna hanno presentato al Comune progetti per un costo complessivo di 586 mila euro. Servono per creare luoghi in cui i clochard possano incontrare persone che li aiutino a ricostruirsi una vita. Hanno ricevuto finanziamenti per 123 mila euro. E così non c’è posto per educatori, psicologi e altre figure professionali. Restano i volontari. Ma intervenire sulla povertà estrema (a cui spesso si associa anche la malattia mentale) è un mestiere difficile e servono competenze professionali. Costruireste un ponte solo con la generosità dei volontari? Dormitorio di Viale Ortles Sono dentro. Mi sono fatto passare per un profugo in cerca di asilo politico, e qui a Malmö, Svezia, è bastato per farmi aprire le porte dell’Arlöv park hotel. Stanza numero 117. Con la chiave il portiere dell’albergo mi consegna l’indispensabile per la notte: uno spazzolino da denti, un dentifricio, un bagnoschiuma e un piumone. Per chi è in fuga dalla guerra, come le persone che ho intorno, quest’accoglienza è quasi un sogno. La stanza è spaziosa: ci sono quattro letti, di cui due a castello. La luce fioca illumina a malapena le scritte sul muro, “Galabelay 21.1.2013” e “Amki Bosanac 20.09.2013”: sono le firme di fuggiaschi che, prima di me, sono arrivati fin qui. Nel 2013 il “Corridoio nord” -l’insieme delle rotte che dal Mediterraneo conducono ai Paesi del Nord Europa- è stato percorso da più di 21 mila siriani, esuli di una guerra civile che dura da tre anni. Sono arrivati a Lampedusa, partendo il più delle volte da Alessandria d’Egitto. Hanno poi risalito l’Italia, facendo tappa a Milano. È qui che li ho incontrati, seguendoli per giorni alla stazione Centrale. Sono ripartiti in treno, in auto, in pullman: ogni giorno è buono per tentare, e ogni giorno si rivede il bollettino di profughi respinti alle frontiere, prima l’Austria, poi la Germania, poi la Francia, in un insensato gioco dell’oca. Testo Lorenzo Bagnoli Lavagna F otografie Germana Arrivano senza niente, dopo settimane o mesi di viaggio. Molti di loro sono laureati, gente che poteva contare su un buon lavoro e un buon stipendio, membri della media borghesia che ha riempito le piazze per contestare il regime di Bashar al Assad. A Milano li ho visti dormire al mezzanino dello scalone d’ingresso della Centrale, come senza dimora. Alcuni non hanno più nulla e per ripartire attendono che qualche parente, dalla Siria, spedisca i soldi via Money transfer. Solo che è impossibile ritirarli senza avere residenza in Italia. Ci si ingegna, chiedendo ad amici. Lasciare Milano è un azzardo: ovviamente nessuno ha un visto di transito per attraversare i Paesi dell’area Schengen. Così i profughi si mettono nelle mani degli “scafisti di terra”. Il viaggio costa dai 700 ai 2mila euro a persona. Tutta l’odissea, da Damasco a Stoccolma, richiede almeno 9.500 euro per una famiglia di quattro persone. Ma questo è quanto pagano i fortunati, che riescono nell’impresa al primo colpo. Gli altri, quelli che trovano il corridoio chiuso, sono costretti a riprovaci e a spendere ancora. Io sono partito con loro: #corridoionord, destinazione libertà. È il reportage di queste pagine. A I Parigi, i siriani in fuga dalla guerra prima o poi si trovano al Bistrot syrien. Si siedono in uno degli otto tavolini del dehors, piccoli e squadrati, oppure dentro, avvolti dalla luce calda e gialla sprigionata dalle lampade. Jassem, uno richiedenti asilo provenienti dai Paesi in guerra setacciano l’Europa palmo a palmo, in cerca di un posto dove trovare asilo. Alcuni, in questa ricerca si incagliano. Come Romeo, un siriano curdo: è partito nel 2010, quando in Siria c’erano le prime avvisaglie della guerra civile. È fuggito in Grecia, poi in Italia, infine ha raggiunto un amico in Danimarca, dove lo incontro. Ma ha fatto domanda di asilo quando ancora il conflitto, in sguardo che dimostra il doppio dei suoi 26 anni, racconta come ci è finito, a Parigi. Il suo volto è incorniciato dalle parole che gli avventori hanno scritto sui muri del Bistrot, in francese e in arabo, proclami contro il regime di Bashar al Assad o grida disperate per la tragedia che si sta consumando in Siria. ien r y S Le bistrot davanti a me sull’autobus che da Milano va Parigi, senza il visto per oltrepassare il valico. Sa che il suo viaggio si ferma qui, al Frejus. I due gendarmi, un uomo e una donna, compilano il modulo fuori dall’autobus poi gli fanno cenno di scendere. Il pakistano recupera uno zaino nero e il Corano, i due pezzi U di cui è composto il suo bagaglio. La Francia non lo vuole, neppure in transito. I gendarmi riportano il passeggero respinto a Bardonecchia, la stazione di frontiera italiana, dove la polizia gli farà un secondo verbale, fotocopia di quello della gendarmeria francese. Poi lo lasceranno libero: la sua prigione sarà grande come l’Italia. Non potrà uscire: le maglie per passare tra i confini europei sono sempre più strette. Nella sola Bolzano, tra luglio e ottobre 2013 sono stati rispediti indietro dall’Austria 881 profughi, di cui 467 siriani e 258 minori. na raffica di parole, senza nemmeno un respiro a dividerle. Il racconto alla cornetta stordisce, è confuso. Una frase sopra le altre: “Da una settimana ho in casa una famiglia di siriani, respinti alla frontiera francese mentre cercavano di raggiungere Parigi in treno. Vogliono ripartire ma non sanno come farlo”. Cristina è sconvolta: il suo eloquio è una pioggia di dubitative. “Forse partiranno in autobus, forse con degli ‘scafisti’”. È materna nei confronti di quella che chiama “la mia famiglia siriana”, soprattutto con le piccole donne, Nagham, 21 anni e Farah, 7 anni. Ci diamo appuntamento il giorno dopo, in un bar di piazzale Loreto a Milano, per ricomporre i pezzi della storia. Arriva con gli occhi scavati da una notte insonne: la famiglia è partita all’improvviso, pagando mille euro a qualcuno che ha promesso di portarli fino ad Amburgo. Cristina è preoccupatissima. Di mestiere fa la traduttrice di arabo in Tribunale. Quando ha saputo che al mezzanino di stazione Centrale arrivavano ogni giorno centinaia di profughi siriani (1.300 sono stati quelli ospitati dai centri d’accoglienza del Comune di Milano in via Aldini e in via Novara), s’è armata di latte in polvere, biscotti, acqua, qualche coperta. E della sua capacità di comunicare: molti non spiccicano una parola d’inglese. Per settimane Cristina non avrà notizie. Poi, il 12 novembre la telefonata: la famiglia è in Svezia e ha già ottenuto il permesso si soggiorno! Un miracolo per chi conosce le pastoie della burocrazia in Italia. Cristina I l groppo in gola lo ammutolisce. “Allora, dove abita? In Italia o in Francia?”. “Francia”, risponde titubante. È la seconda volta che la poliziotta gli pone la domanda, scrutando il suo passaporto pakistano. Il tono è fermo, ma non aggressivo. L’uomo la guarda rassegnato. È seduto autorità inglesi. A Calais gli hanno chiesto 500 euro per 80 chilometri nel bagagliaio di un’auto: niente da fare. Così è tornato a Stoccolma. Il visto gli è scaduto il 17 novembre. È ancora lì, nella capitale svedese, ad aspettare che le autorità locali cambino idea. I suoi documenti non sono più validi per soggiornare in Europa. Si legge perfino su Facebook, il suo sogno di arrivare in Gran Bretagna. Alla voce “città attuale”, scrive London. Umanità in transito A gennaio 2013, Jassem era ad Aleppo, insieme ad un giornalista franco-belga, Yves Debay, per cui lavorava. Una gang li rapisce: Debay muore ucciso da un cecchino, Jassem riesce a scappare. Aver rischiato la vita per aiutare un francese gli vale il biglietto d’aereo per Parigi, pagato dall’ambasciata transalpina in Libano. Ed eccolo qui, Jassem, con il suo sogno di tornare a studiare ingegneria. Se avesse potuto scegliere, non avrebbe ricominciato la sua vita a Parigi. Si sarebbe spinto più a Nord, come tanti invisibili che sostano giusto una notte alla Ville Lumiére. I più all’addiaccio, fuori da qualche stazione, i fortunati tra le mura del Bistrot syrien che si aprono per ospitarli sul pavimento. i g n i Resp mento Europa, era ignorato, così la sua richiesta è stata respinta. Da tre anni Romeo annega nelle carte giudiziarie, senza possibilità di cercare un lavoro. Ahmed lo trovo a bordo dell’autobus da Parigi a Oslo. Viaggia con un visto turistico valido tre mesi, ottenuto dall’ambasciata maltese a Tripoli. Ha raggiunto degli amici a Stoccolma e lì ha fatto domanda d’asilo: respinta. S’è spostato a Calais, in Francia, per provare ad attraversare la Manica e rivolgersi alle In Danimarca, l’altra faccia dell’accoglienza si chiama Trampolinhuset, la “Casa trampolino”. Mortgen Goll, video “Ehi, Milano?”. La domanda mi sorprende. Me la rivolge un Parigi-Copenaghen: 26 ore per 1.216 chilometri. L’autobus fa dieci tappe tra Francia, Belgio, Germania e Danimarca; salgono e scendono rifugiati, lavoratori con pochi soldi in tasca, studenti. Ognuno di loro deve avere una buona motivazione per evitare mezzi più veloci e sicuri. Due volte il pullman si guasta, dopo chilometri passati a sobbalzare. Il primo stop ci costa un’ora e mezza, il secondo due. giovane con l’aria mediorientale alla stazione di Malmö, in Svezia. Si chiama Ibrahim ed è un ragazzo dal volto impassibile, nato ad Aleppo nel 1986. La prima volta ci siamo incontrati al centro di accoglienza di via Novara. Ci ha messo sette giorni per attraversare l’Europa, da Milano alla punta Sud della Svezia. Lungo ogni frontiera s’è fermato, in attesa del momento giusto per superare l’ostacolo. Alla fine ce l’ha fatta, senza che nessuno gli controllasse i documenti. Quando lo racconta, ringrazia Allah per averlo fatto entrare in Svezia sano e salvo. Gli manca solo di prendere l’ultimo treno per Stoccolma. Ibrahim artista di Copenhagen, l’ha fondata nel 2010, con lo scopo dichiarato di sfidare la Croce rossa, capace solo di offrire vitto e alloggio. Alla Casa trampolino i volontari ripudiano l’idea di ghettizzare i richiedenti asilo in centri lontani dalla città, dove è impossibile intrecciare relazioni. E alla Trampolin, oggi, ci sono circa 200 membri attivi, tra danesi e immigrati. Trampolinhuset mpe o r i s e h c s u b o Aut Chiesa di Santa Clara Tarif ggio a i v l e d i p m i te e r u e s I pas Da Milano i profughi possono raggiungere la Svezia in due modi: il primo, salendo su un treno o un autobus (un cittadino europeo impiega in un viaggio così 38 ore passando dalla Francia. Per loro sono necessari almeno sette-dieci giorni. Devono attraversare ogni frontiera a piedi, evitando i controlli). Oppure possono scegliere il secondo “mezzo”: i passeur, trafficanti di uomini che organizzano viaggi in auto, che sfuggono più facilmente ai controlli ai valichi. Prendono dai 700 ai 2mila euro per ogni persona. Adescano i loro clienti alle stazioni ferroviarie. Non tutti portano i clienti fino a destinazione. Tarif l’ha scritto in viso che è un uomo di mondo. Tunisino, per anni ha lavorato a Milano e a Catania, come aiutante in pizzeria. Tre anni fa, in piena crisi economica, si è trasferito a Malmö, in Svezia, dove continua a fare il suo vecchio mestiere. Lo incontro appoggiato al muro della stazione, mentre aspetta i profughi appena arrivati in città. Non è un passeur, semmai una “guida”. Certo, si fa dare qualcosa per il “disturbo”: accompagna i nuovi arrivati all’ufficio immigrazione, compra loro i biglietti del treno e li accompagna fino all’ultima meta: Stoccolma. Gli scalini sui quale è seduto Abed sono quelli della cappella laterale di Santa Clara, la chiesa nel cuore di Stoccolma dove si trovano poveri e rifugiati rimasti esclusi dal sistema d’accoglienza. Ad oggi la mensa sfama 250 persone circa. All’occorrenza, il parroco trasforma la navata centrale in un dormitorio. Per quest’anno, fino a tutto ottobre, non è stato necessario. Accoglienz a Via Aldini e via Novara, due strade perse nella periferia milanese: da metà ottobre sono stati sinonimo di casa per più di 1.300 siriani. Tanti sono i profughi che sono state inseriti anche solo per qualche giorno nel sistema d’accoglienza del Comune di Milano. Per settimane sono stati invisibili: di loro si sono accorti solo i volontari dei Giovani musulmani d’Italia, della Comunità di Sant’Egidio e di Fondazione Arca, i primi ad aiutarli alla stazione Centrale. Ma Milano non è la loro meta. Alcuni li ho rincontrati a Sjælsmark, vicino Copenhagen, una mega struttura da 500 posti gestita dalla Croce rossa. Ci sono prefabbricati per famiglie e dormitori divisi per uomini e donne, una saletta internet, cucine comuni. I siriani non sono gli unici ospiti. Ci sono altri richiedenti e non tutti se la passano bene. Abo, dall’Afghanistan, sono tre anni che aspetta di ottenere i documenti per cercare un lavoro. S V E Z I A Opportunità Svezia I l 15% dei 9,5 milioni di residenti in Svezia è nato altrove; tra questi, uno su cinque è un rifugiato politico. Se non fosse per loro, la popolazione svedese non crescerebbe: il Paese è al 187esimo posto al mondo per tasso di natalità. Stoccolma è la terra promessa dei siriani: a settembre 2013 il governo ha annunciato che avrebbe concesso a tutti l’asilo politico. Per Stoccolma sono una risorsa su cui vale la pena investire. Malmö, la città di frontiera del Paese, è la destinazione di chi arriva via terra. I profughi sono ospitati per massimo 48 ore all’interno di uno dei tre alberghi cittadini convenzionati con il governo. Poi un’auto dell’ufficio immigrazione statale, il Migrationsverket, li accompagna a compilare la domanda. Nel giro di una settimana hanno già in mano i documenti che permettono loro di accedere a corsi d’inserimento lavorativo e di lingua. Se hanno minori a carico, lo Stato si preoccupa di iscriverli a scuola. Entro due mesi, un termine stabilito dalla normativa europea, una commissione valuta se la domanda d’asilo può essere accettata oppure no. Se la risposta è positiva, per loro si spalancano le porte del mondo del lavoro. Al primo impiego, un rifugiato assunto viene pagato quanto un lavoratore svedese, minimo 1.420 euro al mese. Dopo 5 anni, ha diritto a chiedere la cittadinanza. popolazione siria 23.000.000 2.261.014 profughi all’estero fonte: unhcr europa 27.139 Egitto 127.733 giordania 553.111 SIRIA turchia 522.111 Siria 24 marzo 2011. Migliaia di persone occupano le vie di Damasco, la capitale della Siria, per il Giorno della dignità. Protestano contro la detenzione di alcuni oppositori politici, ostili a Bashar al Assad. Il presidente siriano è al governo dal 2000, quando ha preso il posto del padre Hafiz. Il terremoto delle primavere arabe scuote anche il suo governo. A maggio, Assad fa sparare sui manifestanti. Una parte degli oppositori risponde al fuoco imbracciando le armi: ad agosto nasce l’Esercito libero siriano, il contingente che raccoglie le forze anti Assad. Con il passare dei mesi le file dei ribelli s’infittiscono: oggi si stima che i gruppi armati siano almeno 1.200. Tra loro, c’è una forte componente jihadista. Il conflitto, ad oggi, ha provocato più di 120 mila morti. libano 824.288 iraq 206.632 ruzzole Il gioco è stato ed è tuttora il mio primo campo di allenamento alla realtà. Utile per superare i momenti più difficili, come per dare valore a quelli più felici. Si può vivere giocando, ma soprattutto si può avere un approccio ludico alla vita. Qualche anno fa, con un gruppo di ragazzi di quinta elementare abbiamo deciso di realizzare insieme una ricerca dedicata al gioco. Eravamo curiosi di sapere come giocavano i bambini di una volta e come giocano i bambini di oggi. Forse, nonostante la tecnologia, avremmo trovato qualcosa di simile, degli elementi comuni alle differenti generazioni di giocatori. La prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di realizzare un questionario, con domande semplici: Qual è stato il tuo primo giocattolo? Ricevuto in quale occasione? Di che materiale era fatto? Te lo sei costruito da solo? Come lo conservavi, ci tenevi molto? Avevi giochi a sufficienza? Adesso ritieni che i bambini abbiano giocattoli a sufficienza o in eccesso? Quale giocattolo desideravi? se vuoi rispondi a queste domande zan lo car : car o t tes zioni: Maddalena Gerli stra illu Il Paese o i Paesi in cui è nato il gioco. Da 1 a 3 trottole: indicano la difficoltà di realizzazione del gioco. da 7 anni RUZZOLE Italia Dj!tfswf; Vob!tusbeb!tufssbub!p!dijvtb!bm! usbgßdp/!Vo!ejtdp!ej!mfhop!ej!bmnfop!3! dfoujnfusj!ej!tqfttpsf!f!21!ej!ejbnfusp/! Vop!tqbhp!ej!djsdb!2!nfusp/ Vo!hjpdp!qfs;! 2!p!qj!qbsufdjqbouj/ Il discobolo etrusco lanciava una ruzzola. Gli antichi romani giocavano con le ruzzole. Anche nel Medioevo il lancio della ruzzola era molto praticato. Potete usare un disco di legno, ma se a carnevale vi trovate a Novara di Sicilia, non fatevi sfuggire l’occasione di far ”ruzzolare” una bella forma di Maiorchino, formaggio tipico della zona. 1 ! Qsfqbsbuf!jm!ejtdp!ej!mfhop-! qv!fttfsf!ej!qpdij!p!npmuj! dfoujnfusj!ej!tqfttpsf-!nb!3!dn! !jm!njojnp!bgßodi!sv{{pmj!cfof/! Efwf!fttfsf!tvgßdjfoufnfouf! qftbouf-!nb!qpufuf!qspwbsf! bodif!b!sjdjdmbsf!qjddpmj!phhfuuj-! qfs!dsfbsf!efmmf!njoj.sv{{pmf/! Tdfmup!jm!wptusp!buusf{{p!jefbmf-! bwwpmhfuf!mp!tqbhp!mvohp!! mb!djsdpogfsfo{b/ L'elenco dei materiali da recuperare per giocare, e in quanti si gioca. 2 ! Dfsdbuf!vob!tusbeb!bebuub-! tufssbub-!dijvtb!bm!usbgßdp-! qpttjcjmnfouf!dpo!vo!njojnp!! ej!qfoefo{b/!Dpo!vo!qpÖ!! ej!gboubtjb!qpusftuf!sfbmj{{bsf! vo!qfsdpstp!tv!dvj!hbsfhhjbsf/ 16 giochi di strada 6 capitoli per 6 grandi famiglie di giochi. Scopo del gioco e regole per iniziare a divertirsi. 3 ! Ufofuf!mb!ßof!efmmp!tqbhp!! dpo!mf!ejub-!bmmvohbuf!jm!csbddjp!! f!mbodjbuf!jm!ejtdp-!ufofoep!! mp!tqbhp!f!jnqsjnfoep!wfmpdju! bmmb!wptusb!sv{{pmb/ 4 ! Efdjefuf!joj{jbmnfouf!! mf!dpoej{jpoj!ej!wjuupsjb/!! Qv!wjodfsf!dij!sjftdf!! b!gbs!bssjwbsf!qj!mpoubop!! mb!sv{{pmb-!dpo!vo!ovnfsp!! ej!mbodj!qsftubcjmjuj/!Qpusftuf! jowfdf!efdjefsf!ej!gbs!wjodfsf!! dij!sjftdf!b!qfsdpssfsf!! vo!qfsdpstp!qsfßttbup!ofm!njops! ovnfsp!ej!mbodj/ gira e gioca giochi di strada 17 4 disegni che raccontano il gioco. Il risultato è stato sorprendente: pur evidenziando un grande uso dei giocattoli elettronici, i bambini di oggi erano fortemente interessati al gioco e ai giocattoli dei bambini di una volta. A questo punto è venuta spontanea l’idea di realizzare in concreto quei giochi e di approfondire la ricerca. Da anni, ormai, propongo ai bambini e agli adulti percorsi ludici pensati per fabbricare e provare i giochi di una volta. Quelli che si facevano per strada, che si costruivano in casa, che utilizzavano materiali semplici e di recupero. Questo libro è in qualche modo il risultato di questi anni di lavoro, di ricerca e allo stesso tempo di condivisione e partecipazione. Trottole, ruzzole, lippa e compagnia 50 giochi popolari da tutto il mondo Terre di mezzo editore 128 pagine, 12 euro la volpe e le oche Ci servono: 18 pedine per le oche e una pedina differente per la volpe. Un gioco per: 2 partecipanti dai 7 anni in su. Usate dei legumi o delle monete da 1 centesimo per rappresentare le oche e la volpe. Sistemate le pedine come in figura. Le oche devono cercare di bloccare la volpe, mentre quest’ultima tenta di mangiarle tutte. Questo è il tabellone di un gioco antico, che diverte dal tredicesimo secolo. Invece di accendere una consolle, date un senso alle vostre monete da un centesimo: seguite le istruzioni. E girate pagina per scoprire come si giocava una volta. Andate a caccia di oche come faceva Edoardo VI nella Gran Bretagna del 1500 Le oche possono muoversi solo in verticale e orizzontale. La volpe può muoversi in tutte le direzioni, anche in diagonale. Il punto d’arrivo deve essere per entrambi, sempre, un incrocio delle linee che compongono il tavoliere. A ogni turno avete diritto a un movimento. La volpe mangia un’oca se la casella d’arrivo, dietro l’oca, è libera. Se invece è occupata da un’altra oca, questa non può essere mangiata e la volpe non si può spostare in quel senso di marcia.