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Una narrazione a finale aperto. Terre (noi lo chiamiamo così) manca

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Una narrazione a finale aperto. Terre (noi lo chiamiamo così) manca
dicembre 2013
gennaio 2014
€ 3,00
Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale
D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art.1 comma 1, LO/MI Roserio.
045
Una narrazione a finale aperto. Terre (noi lo chiamiamo così) manca
da alcuni mesi ai suoi lettori e ai venditori sulla strada. Ora torna con un
numero-cantiere, una anticipazione, poco più di un’idea. Torna perché
siamo in cerca di un feedback, di un riscontro da parte di chi ci prenderà
in mano; ma anche perché noi stessi ne abbiamo sentito l’assenza, come
il venir meno di un luogo in cui ritrovarci, lo spazio condiviso in cui sostare
e darci appuntamento per un racconto della realtà che consenta il miracolo
di sentirsene parte, senza esserne schiacciati. Ci piacerebbe fare un giornale
così, dove il finale delle storie non è già scritto, perché dipende da quello
che ognuno farà o dirà nei giorni che verranno. Sia che si tratti di biciclette,
di foreste o di profughi. Un giornale veloce e bello come un acquerello.
dicembre 2013
gennaio 2014
€ 3,00
Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale
D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art.1 comma 1, LO/MI Roserio.
045
Una narrazione a finale aperto. Terre (noi lo chiamiamo così) manca
da alcuni mesi ai suoi lettori e ai venditori sulla strada. Ora torna con un
numero-cantiere, una anticipazione, poco più di un’idea. Torna perché
siamo in cerca di un feedback, di un riscontro da parte di chi ci prenderà
in mano; ma anche perché noi stessi ne abbiamo sentito l’assenza, come
il venir meno di un luogo in cui ritrovarci, lo spazio condiviso in cui sostare
e darci appuntamento per un racconto della realtà che consenta il miracolo
di sentirsene parte, senza esserne schiacciati. Ci piacerebbe fare un giornale
così, dove il finale delle storie non è già scritto, perché dipende da quello
che ognuno farà o dirà nei giorni che verranno. Sia che si tratti di biciclette,
di foreste o di profughi. Un giornale veloce e bello come un acquerello.
Il 3 ottobre è un giorno che ci rimarrà attaccato.
366 morti a pochi metri dall’approdo di Lampedusa. Quel
giorno abbiamo smesso di lavorare e ci siamo fermati a
parlare tra noi. Abbiamo silenziato i nostri siti web: una
schermata bianca con su scritto “Il silenzio del mare”. Poi nelle
settimane successive abbiamo seguito le tracce degli 89
eritrei sopravvissuti. Sono stati accolti a Roma, nell’Istituto
salesiano Gerini. Il centro è convenzionato con lo Sprar, il
Sistema di protezione richiedenti asilo. Potevano restare tra i
6 e i 12 mesi. Ma gli 89 eritrei si sono volontariamente
dileguati il 19 novembre, sette giorni dopo l’ingresso nel centro
Sprar. Sperano di farcela a chiedere asilo altrove. Per questo
nessuno di loro ha lasciato le impronte in Italia.
Un giornale normale si sfoglia.
Terre si dispiega, e avvolge. I confini tra
dentro e fuori non sono netti: in un mondo
di iperinformazione, le parole servono,
ma non bastano. Neanche le foto.
Così abbiamo pensato al disegno: un modo
di narrare che prova a coinvolgere lo sguardo.
Funziona? Scrivetecelo a [email protected]
o su Fb e Tw. Ne abbiamo bisogno...
L’incontro con il funambolo Andrea Loreni
continua a generare storie. La prima è un
laboratorio tra funambolismo e scrittura che
abbiamo sperimentato insieme a settembre.
Il titolo? Parole sospese.
La seconda è un piccolo saggio che indaga
il rapporto tra le due arti. Lo trovate qui:
http://bootlegexperiment.it.
La terza accadrà a gennaio. Si tratta di un
workshop sull’equilibrio in cui si intrecceranno
la parola scritta, il silenzio e i passi sospesi.
Può Terre farsi promotore
di una proposta di legge di iniziativa
popolare? E proporsi di raccogliere
50 mila firme contro il gioco
d’azzardo? Guardate qui e, se potete,
coinvolgete il vostro sindaco:
http://www.scuoladellebuonepratiche.it
Fa’ la cosa giusta a Trento
è ormai di casa (10a edizione,
oltre 13 mila visitatori). Palermo
invece ha il gusto della sfida: la
seconda edizione si è svolta a
novembre. Ora tocca a Milano:
appuntamento dal 28 al 30 marzo.
Le storie, quando cominci a raccontarle,
ti accorgi di quanto sono grandi. Come quella
di “Dar casa”, una cooperativa che nasce a
Milano nel 1990 per garantire un tetto agli
immigrati. Per ripercorrerla ci sono volute
quasi 500 pagine di un libro che ora
pubblichiamo. Piero Basso è l’autore che
abbiamo spinto a questa avventura. Ha anche
una passione “domestica”: costruisce palazzi
e case in miniatura, architetture composte da
minuscoli pezzi tenuti insieme solo dalla
forza di gravità. O dalla pazienza e dalla cura,
come i sogni di un’intera città.
Il 24 e il 26 ottobre sono nati,
uno a Milano, l’altro in Senegal, Tommaso e
Mouhamed, entrambi primogeniti di due
nostri colleghi. Il primo, figlio di Elena (e
Nicola), e il secondo di Khalifa (e Bitty).
Elena è diventata giornalista professionista
6 anni fa negli stessi mesi in cui Khalifa
tentava di venire in Italia con un barcone
della speranza. A questi figli che si sono dati
appuntamento per nascere, e a Francesco,
figlio di Chiara, ormai lì lì per arrivare,
dedichiamo queste pagine.
Direttore responsabile: Miriam Giovanzana. Chi ha collaborato a questo numero: Dario Paladini, Lorenzo Bagnoli, Carola Fumagalli. Direzione e redazione: Cart’armata Edizioni srl, Via Calatafimi 10, 20122 Milano. Tel. 02 - 89.41.58.39, fax 02 - 87.36.56.03
Stampa: grafiche Speed 2000, Peschiera Borromeo (MI) Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 566 del 22 ottobre 1994. Poste Italiane spa. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, DCB Milano Roserio.
pedalano. Ce ne sono poi 4 che
abbinano treno e bici o mezzi
pubblici (l’intermodalità!).
Abbiamo calcolato che se tutti
usassimo la bici in città potremmo
risparmiare 5 mila euro l’anno.
Beh, ora provate voi
a calcolare quanto tempo
e risorse usate voi e i vostri
colleghi per andare a lavorare.
E se volete risparmiare cercateci
su cicliaziendali.it
Ogni giorno, come in
una staffetta,
viaggiamo per
ben 21 ore
e copriamo una
distanza pari
a quella tra Milano
e Trieste. È la
fotografia, sorprendente,
dei tragitti casa-lavoro
e ritorno di una piccola-media
azienda come Terre.
Abbiamo monitorato tempi, mezzi usati,
chilometri e costi. Il progetto si chiama
ibike2work. Obiettivo: incentivare
l’uso della bicicletta tra dipendenti
e collaboratori. Abbiamo così scoperto
che maciniamo ore, chilometri e
soldi.
E andiamo
“veloci”: ci spostiamo
a una media di 20 km all’ora.
Non ridete. È che su 21 persone solo una usa
regolarmente l’auto per venire a lavorare,
e due il motorino. Gli altri sono molto più
ecologici: 6 si spostano con i mezzi pubblici,
5 vanno a piedi (beati loro, abitano vicino
alla redazione) e tre
Un oggetto di gomma
su due viene dall’Hevea
brasiliensis. Ha fatto la
fortuna dell’Amazzonia,
quando Manaus
(dove l’Italia giocherà
i mondiali di calcio
a giugno) a fine
Ottocento, competeva
in bellezza con Parigi.
Raccoglitore di caucciù
era Chico Mendes.
Poi l’Hevea fu messa
a dimora in Asia. E ora
le rivolte in Thailandia
passano anche attraverso
la crisi della produzione
di questo albero.
(Rete del piano anti freddo)
(Fuori dal piano
anti freddo)
----------
----------
----------
LEGENDA
------------------------------------------
Centro
Dormitorio
Centro
Centro
di ascolto
notturno
diurno
Dormitorio Mensa
Stazione
provvisorio
Centrale
------------------------------------------
a
i
t
t
no
milano
#nottiamilano
Seguici su terre.it, Facebook e Twitter.
Troverai:
- Il diario dai centri di accoglienza:
storie e testimonianze
raccontate dai volontari
Se vedete un senza dimora
che dorme in strada
potete segnalarlo
a questi numeri telefonici
(dalle ore 8 alle 24):
- I recapiti delle associazioni
per chi vuole fare volontariato.
di Dario Paladini
spesa
1 milione
di euro
---------------
posti letto
2009
-----
1.400
Giunta Moratti
---------------------------
Dormire per strada d’inverno è una tortura.
In più, con la crisi, i senza dimora
aumentano e le risorse diminuiscono.
Milano fa appello al volontariato e raddoppia
i posti letto. Spendendo uguale: 1 milione di
euro nel 2009, 1 milione e 100 mila oggi.
Cibo caldo, vestiti, medicinali e una branda.
Passa di qui la partita a scacchi tra
l’assistenza di chi vive in strada e la morte
per assideramento. 7 centri diurni, 10
mense, 22 dormitori e 11 unità per
l’intervento in strada: sono i numeri di
Milano per i senza dimora, da novembre a
fine marzo. Il modo in cui si organizza una
grande città per assistere chi ha perso tutto
dice molto dei tempi che viviamo. Se volete
dare una mano, in queste pagine trovate
tutte le informazioni.
senza dimora
Per salvare i
mobilitata
la città si èan
freddo.
con il Piano tati
impegno.
Pochi soldi e nto
02-88.44.76.45
02-88.44.76.47
02-88.44.76.49
Una delle unità di strada
lo raggiungerà
per offrirgli assistenza
Progetti presentati
dalle associazioni
per l’assistenza diurna
ai senza dimora (2013)
Fondi concessi
dal Comune di Milano
-----------------------------------------------
586.441
1 milione
di euro
-----
2011
1 milione 1,1 milioni
di euro
di euro
---------
2012
---------
2013
---------
2.020 2.500 2.700
Giunta Pisapia
euro
123.000
euro
Ci sono dei grumi nella cartina di queste
pagine. Uno è quello attorno alla Stazione
Centrale, ritrovo storico dei senza dimora a
Milano: chi ha bisogno di un ricovero stacca
qui il suo biglietto per la notte, dopo viene
smistato nei vari centri.
E di giorno che succede? Le realtà che si
occupano di assistenza diurna hanno
presentato al Comune progetti per un costo
complessivo di 586 mila euro. Servono per
creare luoghi in cui i clochard possano
incontrare persone che li aiutino a
ricostruirsi una vita. Hanno ricevuto
finanziamenti per 123 mila euro. E così non
c’è posto per educatori, psicologi e altre
figure professionali. Restano i volontari.
Ma intervenire sulla povertà estrema
(a cui spesso si associa anche la malattia
mentale) è un mestiere difficile e servono
competenze professionali. Costruireste un
ponte solo con la generosità dei volontari?
Dormitorio
di Viale Ortles
Sono dentro. Mi sono fatto passare per un profugo in
cerca di asilo politico, e qui a Malmö, Svezia, è bastato
per farmi aprire le porte dell’Arlöv park hotel.
Stanza numero 117. Con la chiave il portiere
dell’albergo mi consegna l’indispensabile per la
notte: uno spazzolino da denti, un dentifricio, un
bagnoschiuma e un piumone. Per chi è in fuga dalla
guerra, come le persone che ho intorno,
quest’accoglienza è quasi un sogno.
La stanza è spaziosa: ci sono quattro letti, di cui due a castello. La luce
fioca illumina a malapena le scritte sul muro, “Galabelay 21.1.2013” e
“Amki Bosanac 20.09.2013”: sono le firme di fuggiaschi che, prima di
me, sono arrivati fin qui. Nel 2013 il “Corridoio nord” -l’insieme delle
rotte che dal Mediterraneo conducono ai Paesi del Nord Europa- è stato
percorso da più di 21 mila siriani, esuli di una guerra civile che dura da
tre anni. Sono arrivati a Lampedusa, partendo il più delle volte da
Alessandria d’Egitto. Hanno poi risalito l’Italia, facendo tappa a Milano.
È qui che li ho incontrati, seguendoli per giorni alla stazione Centrale.
Sono ripartiti in treno, in auto, in pullman: ogni giorno è buono per
tentare, e ogni giorno si rivede il bollettino di profughi respinti alle
frontiere, prima l’Austria, poi la Germania, poi la Francia, in un insensato
gioco dell’oca.
Testo Lorenzo Bagnoli
Lavagna
F otografie Germana
Arrivano senza niente, dopo settimane o mesi di viaggio.
Molti di loro sono laureati, gente che poteva contare su
un buon lavoro e un buon stipendio, membri della media
borghesia che ha riempito le piazze per contestare il
regime di Bashar al Assad.
A Milano li ho visti dormire al mezzanino dello scalone
d’ingresso della Centrale, come senza dimora.
Alcuni non hanno più nulla e per ripartire attendono che qualche parente, dalla
Siria, spedisca i soldi via Money transfer. Solo che è impossibile ritirarli senza avere
residenza in Italia. Ci si ingegna, chiedendo ad amici. Lasciare Milano è un
azzardo: ovviamente nessuno ha un visto di transito per attraversare i Paesi
dell’area Schengen. Così i profughi si mettono nelle mani degli “scafisti di terra”.
Il viaggio costa dai 700 ai 2mila euro a persona. Tutta l’odissea, da Damasco
a Stoccolma, richiede almeno 9.500 euro per una famiglia di quattro persone.
Ma questo è quanto pagano i fortunati, che riescono nell’impresa al primo colpo.
Gli altri, quelli che trovano il corridoio chiuso, sono costretti a riprovaci
e a spendere ancora.
Io sono partito con loro: #corridoionord, destinazione
libertà. È il reportage di queste pagine.
A
I
Parigi, i siriani in fuga dalla guerra
prima o poi si trovano al Bistrot syrien.
Si siedono in uno degli otto tavolini del
dehors, piccoli e squadrati, oppure dentro,
avvolti dalla luce calda e gialla sprigionata
dalle lampade. Jassem, uno
richiedenti asilo provenienti dai Paesi
in guerra setacciano l’Europa palmo a
palmo, in cerca di un posto dove
trovare asilo. Alcuni, in questa ricerca si
incagliano.
Come Romeo, un siriano curdo: è partito
nel 2010, quando in Siria c’erano le prime
avvisaglie della guerra civile. È fuggito in
Grecia, poi in Italia, infine ha raggiunto
un amico in Danimarca, dove lo
incontro. Ma ha fatto domanda di
asilo quando ancora il conflitto, in
sguardo che dimostra il
doppio dei suoi 26 anni,
racconta come ci è finito, a
Parigi. Il suo volto è incorniciato dalle
parole che gli avventori hanno scritto sui
muri del Bistrot, in francese e in arabo,
proclami contro il regime di Bashar al Assad
o grida disperate per la tragedia che si sta
consumando in Siria.
ien
r
y
S
Le bistrot
davanti a me sull’autobus che da
Milano va Parigi, senza il visto per
oltrepassare il valico. Sa che il suo
viaggio si ferma qui, al Frejus. I due
gendarmi, un uomo e una donna,
compilano il modulo fuori
dall’autobus poi gli fanno cenno di
scendere. Il pakistano recupera uno
zaino nero e il Corano, i due pezzi
U
di cui è composto il suo bagaglio.
La Francia non lo vuole, neppure in
transito. I gendarmi riportano il
passeggero respinto a
Bardonecchia, la stazione di
frontiera italiana, dove la polizia gli
farà un secondo verbale, fotocopia
di quello della gendarmeria
francese. Poi lo lasceranno libero: la
sua prigione sarà grande come
l’Italia. Non potrà uscire: le maglie
per passare tra i confini europei
sono sempre più strette. Nella sola
Bolzano, tra luglio e ottobre 2013
sono stati rispediti indietro
dall’Austria 881 profughi, di cui 467
siriani e 258 minori.
na raffica di parole, senza nemmeno un
respiro a dividerle. Il racconto alla
cornetta stordisce, è confuso. Una frase
sopra le altre: “Da una settimana ho in casa
una famiglia di siriani, respinti alla frontiera
francese mentre cercavano di raggiungere
Parigi in treno. Vogliono ripartire ma non
sanno come farlo”. Cristina è sconvolta: il
suo eloquio è una pioggia di dubitative.
“Forse partiranno in autobus, forse con degli
‘scafisti’”. È materna nei confronti di quella
che chiama “la mia famiglia siriana”,
soprattutto con le piccole donne, Nagham,
21 anni e Farah, 7 anni. Ci diamo
appuntamento il giorno dopo, in un bar di
piazzale Loreto a Milano, per ricomporre i
pezzi della storia. Arriva con gli occhi scavati
da una notte insonne: la famiglia è partita
all’improvviso, pagando mille euro a
qualcuno che ha promesso di portarli fino ad
Amburgo.
Cristina è preoccupatissima. Di mestiere fa la
traduttrice di arabo in Tribunale. Quando ha
saputo che al mezzanino di stazione Centrale
arrivavano ogni giorno centinaia di profughi
siriani (1.300 sono stati quelli ospitati dai
centri d’accoglienza del Comune di Milano in
via Aldini e in via Novara), s’è armata di latte
in polvere, biscotti, acqua, qualche coperta. E
della sua capacità di comunicare: molti non
spiccicano una parola d’inglese.
Per settimane Cristina non avrà notizie. Poi,
il 12 novembre la telefonata: la famiglia è in
Svezia e ha già ottenuto il permesso si
soggiorno!
Un miracolo per chi conosce le pastoie della
burocrazia in Italia.
Cristina
I
l groppo in gola lo ammutolisce.
“Allora, dove abita? In Italia o in
Francia?”.
“Francia”, risponde titubante.
È la seconda volta che la poliziotta
gli pone la domanda, scrutando il
suo passaporto pakistano. Il tono è
fermo, ma non aggressivo. L’uomo
la guarda rassegnato. È seduto
autorità inglesi. A Calais gli hanno
chiesto 500 euro per 80 chilometri nel
bagagliaio di un’auto: niente da fare.
Così è tornato a Stoccolma. Il visto gli
è scaduto il 17 novembre. È ancora lì,
nella capitale svedese, ad aspettare che
le autorità locali cambino idea.
I suoi documenti non sono più validi per
soggiornare in Europa. Si legge perfino
su Facebook, il suo sogno di arrivare in
Gran Bretagna. Alla voce “città attuale”,
scrive London.
Umanità in transito
A gennaio 2013, Jassem era ad Aleppo,
insieme ad un giornalista franco-belga, Yves
Debay, per cui lavorava. Una gang li rapisce:
Debay muore ucciso da un cecchino, Jassem
riesce a scappare. Aver rischiato la vita per
aiutare un francese gli vale il biglietto d’aereo
per Parigi, pagato dall’ambasciata transalpina
in Libano. Ed eccolo qui, Jassem, con il suo
sogno di tornare a studiare ingegneria. Se
avesse potuto scegliere, non avrebbe
ricominciato la sua vita a Parigi. Si sarebbe
spinto più a Nord, come tanti invisibili che
sostano giusto una notte alla Ville Lumiére. I
più all’addiaccio, fuori da qualche stazione, i
fortunati tra le mura del Bistrot syrien che si
aprono per ospitarli sul pavimento.
i
g
n
i
Resp mento
Europa, era ignorato, così la sua richiesta
è stata respinta. Da tre anni Romeo
annega nelle carte giudiziarie, senza
possibilità di cercare un lavoro.
Ahmed lo trovo a bordo dell’autobus da
Parigi a Oslo. Viaggia con un visto
turistico valido tre mesi, ottenuto
dall’ambasciata maltese a Tripoli. Ha
raggiunto degli amici a Stoccolma e lì ha
fatto domanda d’asilo: respinta. S’è
spostato a Calais, in Francia, per provare
ad attraversare la Manica e rivolgersi alle
In Danimarca, l’altra faccia dell’accoglienza
si chiama Trampolinhuset, la “Casa
trampolino”. Mortgen Goll, video
“Ehi, Milano?”. La domanda
mi sorprende. Me la rivolge un
Parigi-Copenaghen: 26 ore per 1.216
chilometri. L’autobus fa dieci tappe tra
Francia, Belgio, Germania e Danimarca;
salgono e scendono rifugiati, lavoratori con
pochi soldi in tasca, studenti. Ognuno di
loro deve avere una buona motivazione per
evitare mezzi più veloci e sicuri. Due volte il
pullman si guasta, dopo chilometri passati a
sobbalzare. Il primo stop ci costa un’ora e
mezza, il secondo due.
giovane con l’aria mediorientale alla
stazione di Malmö, in Svezia. Si chiama
Ibrahim ed è un ragazzo dal volto
impassibile, nato ad Aleppo nel 1986. La
prima volta ci siamo incontrati al centro di
accoglienza di via Novara. Ci ha messo sette
giorni per attraversare l’Europa, da Milano
alla punta Sud della Svezia. Lungo ogni
frontiera s’è fermato, in attesa del
momento giusto per superare l’ostacolo.
Alla fine ce l’ha fatta, senza che nessuno gli
controllasse i documenti. Quando lo
racconta, ringrazia Allah per averlo fatto
entrare in Svezia sano e salvo. Gli manca
solo di prendere l’ultimo treno per
Stoccolma.
Ibrahim
artista di Copenhagen, l’ha
fondata nel 2010, con lo
scopo dichiarato di sfidare la
Croce rossa, capace solo di
offrire vitto e alloggio. Alla Casa
trampolino i volontari ripudiano l’idea di
ghettizzare i richiedenti asilo in centri
lontani dalla città, dove è impossibile
intrecciare relazioni. E alla Trampolin, oggi,
ci sono circa 200 membri attivi, tra danesi e
immigrati.
Trampolinhuset
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Chiesa di Santa Clara
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I pas
Da Milano i profughi possono raggiungere la
Svezia in due modi: il primo, salendo su un
treno o un autobus (un cittadino europeo
impiega in un viaggio così 38 ore passando
dalla Francia. Per loro sono necessari
almeno sette-dieci giorni. Devono
attraversare ogni frontiera a piedi, evitando i
controlli). Oppure possono scegliere il
secondo “mezzo”: i passeur, trafficanti di
uomini che organizzano viaggi in auto, che
sfuggono più facilmente ai controlli ai
valichi. Prendono dai 700 ai 2mila euro per
ogni persona. Adescano i loro clienti alle
stazioni ferroviarie. Non tutti portano i
clienti fino a destinazione.
Tarif l’ha scritto in viso
che è un uomo di mondo.
Tunisino, per anni ha lavorato a Milano
e a Catania, come aiutante in pizzeria.
Tre anni fa, in piena crisi economica, si
è trasferito a Malmö, in Svezia, dove
continua a fare il suo vecchio mestiere.
Lo incontro appoggiato al muro della
stazione, mentre aspetta i profughi
appena arrivati in città.
Non è un passeur, semmai una
“guida”. Certo, si fa dare qualcosa per il
“disturbo”: accompagna i nuovi arrivati
all’ufficio immigrazione, compra loro i
biglietti del treno e li accompagna fino
all’ultima meta: Stoccolma.
Gli scalini sui quale è seduto Abed sono
quelli della cappella laterale di Santa Clara,
la chiesa nel cuore di Stoccolma dove si
trovano poveri e rifugiati rimasti esclusi dal
sistema d’accoglienza. Ad oggi la mensa
sfama 250 persone circa. All’occorrenza, il
parroco trasforma la navata centrale in un
dormitorio. Per quest’anno, fino a tutto
ottobre, non è stato necessario.
Accoglienz
a
Via Aldini e via Novara, due
strade perse nella periferia milanese: da
metà ottobre sono stati sinonimo di casa per
più di 1.300 siriani. Tanti sono i profughi
che sono state inseriti anche solo per
qualche giorno nel sistema d’accoglienza del
Comune di Milano. Per settimane sono stati
invisibili: di loro si sono accorti solo i
volontari dei Giovani musulmani d’Italia,
della Comunità di Sant’Egidio e di
Fondazione Arca, i primi ad aiutarli alla
stazione Centrale.
Ma Milano non è la loro meta.
Alcuni li ho rincontrati a
Sjælsmark, vicino
Copenhagen, una mega
struttura da 500 posti gestita
dalla Croce rossa. Ci sono prefabbricati
per famiglie e dormitori divisi per uomini e
donne, una saletta internet, cucine comuni. I
siriani non sono gli unici ospiti. Ci sono altri
richiedenti e non tutti se la passano bene. Abo,
dall’Afghanistan, sono tre anni che aspetta di
ottenere i documenti per cercare un lavoro.
S V
E
Z
I
A
Opportunità Svezia
I
l 15% dei 9,5 milioni di residenti in
Svezia è nato altrove; tra questi, uno su
cinque è un rifugiato politico. Se non
fosse per loro, la popolazione svedese non
crescerebbe: il Paese è al 187esimo posto al
mondo per tasso di natalità.
Stoccolma è la terra promessa dei siriani: a
settembre 2013 il governo ha annunciato
che avrebbe concesso a tutti l’asilo politico.
Per Stoccolma sono una risorsa su cui vale
la pena investire.
Malmö, la città di frontiera del Paese, è la
destinazione di chi arriva via terra.
I profughi sono ospitati per massimo 48 ore
all’interno di uno dei tre alberghi cittadini
convenzionati con il governo. Poi un’auto
dell’ufficio immigrazione statale, il
Migrationsverket, li accompagna a
compilare la domanda. Nel giro di una
settimana hanno già in mano i documenti
che permettono loro di accedere a corsi
d’inserimento lavorativo e di lingua.
Se hanno minori a carico, lo Stato si
preoccupa di iscriverli a scuola. Entro due
mesi, un termine stabilito dalla normativa
europea, una commissione valuta se la
domanda d’asilo può essere accettata
oppure no.
Se la risposta è positiva, per loro si
spalancano le porte del mondo del lavoro.
Al primo impiego, un rifugiato assunto
viene pagato quanto un lavoratore svedese,
minimo 1.420 euro al mese.
Dopo 5 anni, ha diritto a chiedere la
cittadinanza.
popolazione siria
23.000.000
2.261.014
profughi all’estero
fonte: unhcr
europa
27.139
Egitto
127.733
giordania
553.111
SIRIA
turchia
522.111
Siria
24 marzo 2011. Migliaia di persone
occupano le vie di Damasco, la
capitale della Siria, per il Giorno
della dignità. Protestano contro la
detenzione di alcuni oppositori
politici, ostili a Bashar al Assad. Il
presidente siriano è al governo dal
2000, quando ha preso il posto del
padre Hafiz. Il terremoto delle
primavere arabe scuote anche il
suo governo. A maggio, Assad fa
sparare sui manifestanti. Una
parte degli oppositori risponde al
fuoco imbracciando le armi: ad
agosto nasce l’Esercito libero
siriano, il contingente che
raccoglie le forze anti Assad. Con
il passare dei mesi le file dei
ribelli s’infittiscono: oggi si stima
che i gruppi armati siano almeno
1.200. Tra loro, c’è una forte
componente jihadista.
Il conflitto, ad oggi, ha provocato più di 120
mila morti.
libano
824.288
iraq
206.632
ruzzole
Il gioco è stato ed è tuttora il mio primo
campo di allenamento alla realtà. Utile
per superare i momenti più difficili, come
per dare valore a quelli più felici.
Si può vivere giocando, ma soprattutto
si può avere un approccio ludico alla vita.
Qualche anno fa, con un gruppo
di ragazzi di quinta elementare abbiamo
deciso di realizzare insieme una ricerca
dedicata al gioco. Eravamo curiosi
di sapere come giocavano i bambini di una
volta e come giocano i bambini di oggi. Forse,
nonostante la tecnologia, avremmo trovato
qualcosa di simile, degli elementi comuni
alle differenti generazioni di giocatori.
La prima cosa che abbiamo fatto è stata
quella di realizzare un questionario, con
domande semplici:
Qual è stato il tuo primo giocattolo?
Ricevuto in quale occasione?
Di che materiale era fatto?
Te lo sei costruito da solo?
Come lo conservavi, ci tenevi molto?
Avevi giochi a sufficienza?
Adesso ritieni che i bambini abbiano
giocattoli a sufficienza o in eccesso?
Quale giocattolo desideravi?
se vuoi rispondi
a queste domande
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zioni: Maddalena Gerli
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Il Paese o i Paesi
in cui è nato il gioco.
Da 1 a 3 trottole:
indicano la difficoltà
di realizzazione del gioco.
da 7 anni
RUZZOLE
Italia
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Il discobolo etrusco lanciava una ruzzola. Gli
antichi romani giocavano con le ruzzole. Anche
nel Medioevo il lancio della ruzzola era molto
praticato. Potete usare un disco di legno, ma se a
carnevale vi trovate a Novara di Sicilia, non fatevi
sfuggire l’occasione di far ”ruzzolare” una bella
forma di Maiorchino, formaggio tipico della zona.
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L'elenco dei materiali
da recuperare per giocare,
e in quanti si gioca.
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16 giochi di strada
6 capitoli per 6 grandi
famiglie di giochi.
Scopo del gioco e regole
per iniziare a divertirsi.
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gira e gioca
giochi di strada 17
4 disegni
che raccontano il gioco.
Il risultato è stato sorprendente: pur evidenziando un grande
uso dei giocattoli elettronici, i bambini di oggi erano
fortemente interessati al gioco e ai giocattoli dei bambini
di una volta.
A questo punto è venuta spontanea l’idea di realizzare
in concreto quei giochi e di approfondire la ricerca.
Da anni, ormai, propongo ai bambini e agli adulti percorsi
ludici pensati per fabbricare e provare i giochi di una volta.
Quelli che si facevano per strada, che si costruivano in casa,
che utilizzavano materiali semplici e di recupero.
Questo libro è in qualche modo il risultato di questi anni
di lavoro, di ricerca e allo stesso tempo di condivisione
e partecipazione.
Trottole, ruzzole,
lippa e compagnia
50 giochi popolari
da tutto il mondo
Terre di mezzo editore
128 pagine, 12 euro
la volpe
e le oche
Ci servono:
18 pedine per le oche
e una pedina differente
per la volpe.
Un gioco per:
2 partecipanti
dai 7 anni in su.
Usate dei legumi o delle
monete da 1 centesimo
per rappresentare le oche
e la volpe. Sistemate
le pedine come in figura.
Le oche devono cercare di bloccare la volpe,
mentre quest’ultima tenta di mangiarle tutte.
Questo è il tabellone di un gioco antico,
che diverte dal tredicesimo secolo.
Invece di accendere una consolle,
date un senso alle vostre monete
da un centesimo: seguite le istruzioni.
E girate pagina per scoprire come
si giocava una volta.
Andate a caccia di oche
come faceva Edoardo VI nella
Gran Bretagna del 1500
Le oche possono
muoversi solo in verticale
e orizzontale.
La volpe può muoversi
in tutte le direzioni,
anche in diagonale.
Il punto d’arrivo deve essere per entrambi, sempre,
un incrocio delle linee che compongono il tavoliere.
A ogni turno avete diritto a un movimento.
La volpe mangia un’oca se la casella d’arrivo, dietro
l’oca, è libera. Se invece è occupata da un’altra oca,
questa non può essere mangiata e la volpe non
si può spostare in quel senso di marcia.
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