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P come…1 Piazzola Nel Tiro di campagna, noi chiamiamo così un
P come…1
Piazzola Nel Tiro di campagna, noi chiamiamo così un insieme costituito nell'ordine da a) una tabella contenente
alcuni avvisi relativi alle modalità di tiro, b) uno o più picchetti variamente colorati a seconda della Categoria o del
tipo di tiro su cui l'Arciere si posiziona per il tiro, c) uno o più bersagli del tiro2. Nelle gare si possono trovare da 20
a 28 piazzole, identificate da numeri progressivi, per cui in gergo "piazzola" viene spesso omesso e l'uso più
frequente è di chiamare l'insieme con il numero che lo contraddistingue; o più genericamente con l'espressione "il
tiro". Credo di aver già detto altrove di alcune confusioni linguistiche relative a questo termine, per cui in alcune
situazioni le pattuglie di Arcieri dislocate sul campo di gara vengono chiamate piazzole; così come avviene che la
speciale postazione destinata al ristoro degli atleti che si avvicendano ai tiri si chiami appunto "piazzola ristoro", o
peggio, per i motivi che più avanti narrerò, "piazzola capocaccia", o in toscano "piazzola 'apo 'accia". La "piazzola
ristoro" credo si chiami così perché, analogamente a quello che succede nelle piazzole di tiro, gli Arcieri vi sostano
studiando con attenzione la proposta degli organizzatori per poi accostarsi ai bersagli, costituiti in questo caso da
succulenti panini freddi o caldi3, pizze e focacce, bevande, torte. In genere, i più accorti posizionano sotto un
tendone4 tavolacci da pic-nic dove in bella mostra e a disposizione degli allegri compagni del bosco è esposto ogni
ben di dio. Come è ovvio, tale piazzola, peraltro non prevista se non genericamente dai Sacri Testi, non conterrà
l'insieme descritto sopra, e nemmeno potrà essere regolata dalla disciplina tipica delle piazzole di tiro (cfr. A chi
tocca, p.9): di conseguenza la situazione definita in gergo "tappo" (v.v.) è abbastanza tipica, nonostante la presenza
dei Capicaccia. I quali, come è noto, in genere circolano sul percorso di gara, o si posizionano in punti strategici in
modo da tenere sotto controllo le eventuali situazioni anomale, o comunque in punti dove possono essere facilmente
raggiungibili a voce o per radio (v.v.). Sarà per questo, essendo la piazzola ristoro facilmente individuabile anche da
lontano in virtù della caciara che la contraddistingue e ben segnalata sulle cartine topografiche che lo Staff mette a
disposizione delle pattuglie, che da qualche tempo sembra che ai Capicaccia sia stato consigliato di posizionarsi in
quel punto del percorso, e non in altri, pena la perdita dell'incarico e della funzione. Così, mi capitò che un allievo
Capocaccia al suo servizio di prova, evidentemente influenzato da queste notizie, praticamente non si mosse mai dal
ristoro. Io non so chi l'abbia detto, o se in merito esista una apposita normativa: non vorrei che fosse la solita bufala
emessa da qualche buontempone. Credo infatti che se così fosse l'autorevole dirigenza nazionale e regionale si
sarebbe ben guardata dal confermare la sua qualifica e l'avrebbe immediatamente depennato dall'apposito albo. So
solo che capita a volte di incontrare dei maleducati malmustosi che se ti vedono al ristoro ti sorridono ghignando
come se supponessero che non ti sei mai mosso da lì5, facendo finta di ignorare che anche l'uomo in casacca gialla ha
il diritto a volte di riposare le stanche membra e rifocillarsi, o di scaldarsi al fuoco di legna che a volte le ottime
vivandiere e i jolly di Compagnia tengono alimentato in prossimità del tendone. Con buona pace di certi personaggi
che non so perché si ostinano a frequentare l'ambiente degli allegri compagni del bosco, di situazioni anomale non
ne ho viste molte in questi 15 anni, né se mi riferisco alle piazzole di tiro, né se mi riferisco alle piazzole ristoro, né
se mi riferisco ai Capicaccia. E specialmente ai Capicaccia piemontesi, checché se ne dica.
Punta I pochi fortunati che hanno avuto occasione di scorrere le pagine di Aquila Rossa6 ricorderanno quanto scrissi
1
Estratto da "Pino Arpaia, Limoncello e Babà. Seconda Guida semiseria al Tiro con l'Arco", in corso di pubblicazione.
Le varie fonti non specialistiche che ho consultato attribuiscono a questa parola, in vari contesti, il valore di "piccolo slargo",
come è giusto che sia. Resta così il mistero sui motivi che hanno spinto i Padri Fondatori ad usare questo termine: peraltro, il
concetto di "piazzola", così come previsto in FIARC, non ha corrispondenti in IFAA, dove trovo in vari passaggi shootig lane
(linea di tiro) oppure shooting position (posizione di tiro), mentre la numerazione progressiva o il numero di piazzole (e di
conseguenza di Arcieri) è riferita al target, e cioè al bersaglio.
3
Così come mi è impossibile fare l’elenco dei bersagli disponibili nelle nostre avventure sui campi di gara, non sono in grado di
fare l’elenco delle vivande imbandite dalle fantasiose vivandiere di Compagnia, coadiuvate come è ovvio da altrettanto validi
maschietti. Non posso fare qui l’elenco delle situazioni estremamente positive in cui ad esempio data la complessità del percorso
di gara a volte si piazzano ben due piazzole ristoro; oppure, come successe alla Coppa Italia del 2005, l’unica piazzola è situata
in un punto strategico tale per cui agli Arcieri è offerta la possibilità di fare pausa due volte. Nemmeno posso fare l’elenco delle
situazioni in cui la mensa è scarsa e le libagioni bandite; ma una cosa è certa: spero che a nessuno venga più in mente di offrire
ai pellegrini una fetta di pane vecchio e qualche cetriolino, o minuscoli pezzettini di pizza fredda. Piuttosto che trattare così la
gente, meglio fare come alcuni, che il ristoro manco lo mettono.
4
Chiamato dai più gazebo, forse per la vaga somiglianza sia stilistica che funzionale con i piccoli padiglioni presenti nei giardini
delle ville cinque-sei-settecentesche che in inglese-americano appunto si chiamano così, dal verbo to gaze, guardare, per la loro
tipica collocazione in punti particolarmente panoramici. Datemi pure del fanatico, ma devo dare atto che in alcuni dei nostri
campi di gara gli Arcieri della 01VERB curano anche il dettaglio paesaggistico, come succede nell’indimenticabile area
dell’Alpe Pala, sopra Miazzina.
5
Come sempre in questa trattazione semiseria, cito avvenimenti realmente occorsi al vostro autore. In questo caso, l’individuo a
cui mi riferisco è la stessa persona di cui parlo in qualità di Arciere in nota 34 alla lettera C (p.63), e, più avanti, in nota 7 alla
lettera S in qualità di Capocaccia. Ci tengo a dire che in questa seconda occasione, l’unica volta che vidi il suddetto sul campo di
gara fu per l’appunto al punto di ristoro.
6
Pino Arpaia, Aquila Rossa. Guida semiseria al Tiro con l'Arco, Ilmiolibro, Milano 2011.
2
allora: quando la corda vi prende nel braccio, la punta della freccia prende improvvisamente un'altra direzione, e
dietro di lei vanno anche l'asta, le alette e la cocca: cioè la freccia finisce dove le pare. Ai Campionati la
concentrazione dell'Arciere è tale per cui nel remoto caso in cui questo avvenga, la freccia, andando dove le pare,
colpisca un bel bersaglio mobile, dandovi un po' di punti. Capitato al vostro autore, davanti ad autorevoli testimoni.
Ma la domanda è: all'Arciere benintenzionato, interessano i punti o le punte? Attenti, non sto come al solito
giocando con le differenze di genere, ma voglio farvi riflettere sulla circostanza: un Buon Arciere è quello che fa
punti per sbaglio, o che mette le punte dove si deve colpendo il bersaglio in virtù della sua abilità e non del caso? La
risposta è facile, ma attenti, che non vi cresca il naso come a Pinocchio: di bugiardi, in Italia, ne abbiamo fin troppi.
Prima corsia Tutti gli Arcieri degni di rispetto, ed in particolare alcuni Capicaccia esperti7, abbiamo l'abitudine di
percorrere le autostrade di questo paese in lungo e in largo. Così, facendo l'Arciere e il Capocaccia, abbiamo
percorso decine di migliaia di chilometri. Tra le grandi trasformazioni di questo nostro paese, oltre al rinnovamento
contenuto nei Sacri Testi della FIARC e dell'IFAA, in questi 15 anni la rete autostradale ha fatto un impressionante
balzo in avanti, e di conseguenza le strade tortuose che percorrevamo all'inizio della nostra avventura per spostarci
tra Piemonte Liguria Lombardia Veneto Emilia e Toscana, per parlare solo di quelle che la mia comitiva usava ed
usa con maggior frequenza, si sono adeguate ai tempi attrezzandosi praticamente per intero con la terza corsia. Il
fatto è che nel frattempo molti automobilisti della domenica, nella loro alquanto anomala percezione del viaggio,
hanno abrogato la prima corsia, quella più a destra, che a norma di legge è destinata alla circolazione normale,
mentre le altre due sono riservate al sorpasso. Capita così di fare decine di chilometri in coda cercando di superare
autoveicoli lumaca attestati immancabilmente al centro dell'autostrada, avendo in cuor loro destinato la prima corsia
ai camper, alle roulotte, ai furgoni frigo e ai TIR, come se le bande bianche della segnaletica orizzontale non fossero
tratteggiate ma continue, o timorosi di violare norme inesistenti, o terrorizzati dalla paura di incrementare i consumi
di pneumatici e carburante in relazione al cambio di corsia. Confesso che in molti di questi viaggi mi è capitato di
dover utilizzare la prima corsia per sorpassare da destra, cosa che odio quando ne sono vittima sulle rotonde o
mentre attendo pazientemente che il disgraziato che mi precede si decida a capire il lampeggiamento degli
abbaglianti e si tolga di mezzo. Che odio altrettanto quando, impedito dai bolidi che sfrecciano nonostante i limiti
sulla terza corsia, non posso fare altrimenti se non voglio arrivare a casa a notte fonda. In questa assurda abitudine,
primeggiano alcuni torinesi che circolano sulla tangenziale dotati di autovetture Fiat color celeste smunto o rosso
ruggine, specialmente Panda8. Ho avuto l'impressione in molte circostanze che oltre agli allegri compagni del bosco,
che ovviamente finita la gara hanno l'impellente bisogno di tornarsene a casa a fare una santa doccia e spupazzarsi il
focolare domestico, la domenica ci siano in circolazione persone che portano la vettura a fare un giro in tangenziale,
come altri portano il cane ai giardinetti: di solito sono da soli, spesso hanno il cappello ben calcato sulla testa - il che
secondo una tradizione veronese non depone a loro favore; quasi mai si tratta di signore (ma se si tratta di signore
nella maggior parte dei casi portano anch'esse inverosimili cappellini da passeggio). Devo dire che non succede solo
con i lenti pachidermi che citavo prima: a volte ti inchiodi dietro ben altri esemplari, ben sistemati nella corsia di
centro, a una media di 60-65 all'ora, ignari di quello che gli accade attorno. Saranno dei casi limite, o un sintomo di
quella bella qualità del Bel Paese9, che molti osservatori chiamano "immobilismo"?
Pattuglia Con un po' di azzardo, può essere considerato sinonimo di squadra, ed in tale senso è proprio quest'ultimo
il termine usato nei Sacri Testi della FIARC. In realtà è sicuramente preferibile usare pattuglia, perché di solito nel
gergo sportivo per squadra si intende un gruppo di persone che competono tutti dalla stessa parte, appartengono tutti
alla stessa società, hanno tutti la stessa finalità; e gli avversari sono tutti nelle altre squadre. Derivando dal francese
patte (romanizzato in piotta), cioè piede, la patruille è un gruppo di persone che fa lo stesso percorso, magari con
finalità simili, ma senza per forza condividere stati d'animo e spirito di corpo. Quelle che con dovizia10 la FIARC
chiama squadre sono invece composte di norma da avversari scelti prevalentemente a caso; oppure, ai Campionati
italiani, in base all'ordine alfabetico il primo giorno e all'ordine di classifica nei giorni successivi. Compito di una
7
Senza nulla togliere ai seniores, mi reputo tale non foss'altro per aver tenuto botta ai cinquecento e passa Arcieri che mi sono
passati sotto gli occhi a Castione.
8
Quelle del vecchio tipo: specie in via di estinzione come l’omonimo Urside, ma giuro che sulla tangenziale di Torino ne
potrete trovare.
9
Che non è solo un formaggio, ma l’epiteto affibbiato all’Italia da un tale Abate Stoppani nel titolo delle sue Conversazioni
sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d'Italia, una gradevolissima lettura edita nel 1876 (credo di avere da
qualche parte una copia della prima edizione, recuperata a poco prezzo sulle bancarelle di Via Po a Torino). L’Abate non
inventò nulla, perché prima di lui il Sommo Poeta aveva usato lo stesso appellativo nel XXXIII canto della Prima cantica della
sua Comedia, edita diremmo oggi a fascicoli più o meno nel 1313. Di questa, credo sia complicato procurarsi un’edizione.
10
Il termine "squadra" ricorre 49 volte nelle 29 pagine del Regolamento Sportivo vigente. Il termine "pattuglia", che veniva
invece usato in tempi remoti in cui non credo vi fosse bisogno di un "capopattuglia" per controllare la correttezza degli Arcieri
in gara, ovviamente nemmeno una. In IFAA, come vedremo più avanti, il gruppo di persone che stanno insieme in numero non
superiore a sei è chiamato, con logica ferrea, "group". E il caposquadra, o se volete capopattuglia, è chiamato "target captain",
capitano di bersaglio.
pattuglia è portare a termine una missione: nel nostro caso, la pattuglia degli Arcieri che si aggira nel bosco ha il
dovere di arrivare alla fine del round gareggiando in spirito di amicizia e con lealtà sportiva. Non per niente ho in
mente un'altra possibile derivazione, dalla parola "patto". Parole che a volte fanno a pugni con l'agonismo, anche se
in maniera talmente minoritaria da generare una generalizzata stigmatizzazione nei confronti di quei - pochi per
fortuna - accaniti scommettitori su sé stessi fino a diventare dei veri e propri rompiballe. Avere in pattuglia un
siffatto elemento è disgrazia che non auguro a nessuno. Al contrario, quello che capita quasi sempre e perfino - sia
pure più raramente - ai Campionati italiani, è che ti trovi circondato da gente bendisposta e capace di scambiare
anche un po' di esperienza senza ossessionare, sia esistenziale che arcieristica. Ovviamente, sta a te fare il primo
passo, gli altri seguiranno da soli. I tuoi e quelli altrui, perché il cammino è la fonte di ogni delizia, e il traguardo ha
senso solo perché è una pausa tra il cammino che hai appena terminato e quello che ti accingi a intraprendere.
Palta Per quanto possa sembrare assurdo, gli
Arcieri di campagna hanno tra le altre
perversioni una spiccata tendenza alla
frequentazione di quegli ammassi scivolosi di
acqua e terra che, se nel resto d'Italia si
chiamano "fango" se più solidi, "pantano" se
più liquidi, al Nord prendono il più
onomatopeico nome di palta, in piemontese
"pauta". Il termine, di origine preindoeuropea
e diffuso in alcuni aree dialettofone della zona
alpina, pare sia comparso nella nostra lingua ai tempi delle trincee della prima guerra mondiale, ed è usato da grandi
autori come Gadda e Calvino. Nei dizionari però non è attestato come sinonimo di "defecazione", da cui "faccia di
palta" equivale, nel nostro gergo ma credo ormai un po' ovunque, a "faccia di merda", che si usa abitualmente per
parlare di persona assolutamente inaffidabile, quasi equivalente a "faccia di kulo", mentre nelle fonti autorevoli
viene indicata con il valore di "persona sfacciata". Idem per "siamo nella palta" che dovrebbe servire a ingentilire
l'altra e più volgare espressione "siamo nella merda". In ogni caso, se trascuriamo l'atavico richiamo ai covi di
malfattori sistemati nei bassifondi delle grandi città dotate di sistema fognario, legato all'utilizzo come ingiuria, il
fatto è che la campagna, per sua stessa natura, è composta prevalentemente di terra, non sempre livellata a puntino
come capita nei nobilissimi e ben frequentati campi da golf. Sarà per questo che quando piove, mentre i sentieri e le
mulattiere si trasformano in rivoli e ruscelli in cui l'acqua assume il tipico color palta, gli spiazzi dove ci si attarda
per tirare o per attendere il proprio turno diventano rapidamente degli ammassi limacciosi da cui poi è difficoltoso
sollevare i piedi, sia pur dotati di scarponi ferrati. Non parliamo poi di quando l'obbligo del tiro in ginocchio ti
costringe a mettere in atto una serie di contorcimenti che dovrebbero impedire alla palta di penetrare a fondo
attraverso le brache incrostandosi sulle tue articolazioni. La reazione di molte sagge persone, in condizioni di questa
fatta, è quella di scaricare11 l'arco e recarsi a passi lenti, appesantiti dal peso del paltume appiccicato al corpo e ad
ogni accessorio che in una gara gli fa da contorno, dalle scarpe al cappello, verso il punto di ritrovo; o, in assenza,
cercare conforto in qualche baita ospitale, proprio come facevano alcuni nostri antenati nella terribile avanzata in
Russia della primavera-estate del 194212. Consentitemi in conclusione un peana ad quella esemplare coppia di sfigati
che, alla loro prima esperienza in una gara di Campionato che la 01MASA aveva organizzato come d'abitudine in
una amena località dal nome pittoresco di "America dei Boschi", tennero duro fino alla fine contrastando le avverse
condizioni del suolo scivoloso. A differenza della stragrande maggioranza di Arcieri che si rifiutarono di partire o si
ritirarono disfatti, i due, non curandosi minimamente della classifica che qualcuno stava cercando di stilare
rovistando tra le tracce degli score spappolati dalla pioggia e intrisi di macchie giallastre, poterono dire in coro:
l'importante è partecipare. Il mio parabraccio porta ancora dopo 12 anni i segni di quell'epica giornata. Quanto al mio
socio13, credo che il parabraccio non l'avesse nemmeno.
11
Per quanto riguarda l’arco tradizionale, si chiama "scaricare" l'atto di togliere la corda dai flettenti, in modo da azzerarne la
tensione e così permettere all'attrezzo di restare a riposo. All’inverso, "caricare" è l’atto di mettere in tensione l'arco
posizionando la corda con tutti gli accorgimenti del caso (v.Brace, p.40). Per quanto riguarda l’arco tecnologico, non ne ho idea.
Per quanto riguarda l’Arciere, vedi nota 9 alla lettera D, p.75. In generale, come per qualsiasi altra arma, l'aggettivo "scarico" si
usa anche per parlare di un arco senza freccia.
12
Le vicende dell’avanzata sono meno note di quelle della ritirata (inverno 1942-43), dove persero la vita 85.000 militari e
furono feriti altri 30.000 sul totale di 230.000 circa inviati in Russia a dar man forte ai Tedeschi (le perdite nell’avanzata furono
meno di 2.000). Se non avete idea di cosa sia la pianura russa nella stagione del disgelo, consiglio la visione del bellissimo film
in bianco e nero "Carica eroica", di Francesco De Robertis (1952), che illustra con grande verosimiglianza la vita di un reparto
di Cavalleria del Regio Esercito, il 3° reggimento "Savoia", passato alla storia perché effettuò l’ultima carica a cavallo della
storia militare italiana.
13
Emidio Angelini, la cui importanza nella mia vita arcieristica e non solo, e la cui attenta condivisione di ogni esperienza anche
quando non poteva essere presente ne fanno una persona più unica che rara.
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