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Portiamo la speranza
® Notizie stimoli proposte per gli amici dei missionari Burundi Camerun CIAD Congo R. D. Mozambico Sierra Leone Bangladesh Filippine Giappone Indonesia Taiwan amazzonia BRASILE COLOMBIA MESSICO CSAM Centro Saveriano Animazione Missionaria Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia Tel. 030.3772780 – Fax 030.3772781 E-mail: [email protected] Direttore: Marcello Storgato Redazione: Diego Piovani Direttore Responsabile: Domenico Milani Regist. Trib. di PR 07-03-1967 - n. 400 Stampa: Tipografia Camuna S.p.A. - Brescia In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio P. T. Brescia C.M.P., detentore conto per la restituzione al mittente, che si impegna a pagare la relativa tariffa Abbonamento annuo € 6,00 Una copia € 0,60 - Contiene I. R. Poste Italiane. Sped. A.P. D.L. 353 03 (conv. L.27/02/04 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Brescia. Envoi par Abonnement Postal - Taxe Perçue 2006 SETTEMBRE n. 8 Portiamo la speranza La missione è speranza A giorni si terrà a Verona il IV Convegno della chiesa italiana. Le comunità cristiane intendono chiarire e ribadire il ruolo che devono svolgere nel contesto della realtà storica del nostro Paese. In altre parole, la chiesa italiana vuole ritrovare la sua missione di testimone “credibile” del Signore risorto, attraverso una vita rinnovata e capace di introdurre speranza in un mondo diventato piccolo come un “villaggio globale”, ma disorientato dall’incertezza sui valori, da una fede debole e dalla paura della violenza che sempre più dilaga. In realtà, la stessa chiesa nel nostro Paese sembra sprovvedu- ta e quasi senza risposte, davanti alle sfide di un mondo che ha smarrito le coordinate del suo andare. Cose belle e cose oscure Ci sono delle belle realtà che caratterizzano il mondo italiano oggi. C’è desiderio di autenticità, e di religiosità, di prossimità e di solidarietà. Ci sono le possibilità della comunicazione e le conquiste della scienza a vantaggio dell’uomo. C’è l’impegno per i più poveri, che si esprime nel volontariato interno e internazionale. Ci sono ancora figure splendide, come don Puglisi, don Santoro, Annalena Tonelli e i tanti missionari che hanno dato la vita in questi ultimi tempi. Ma ci sono altrettanti segni che preoccupano. Il crescere della povertà, la corruzione politica e finanziaria, la criminalità, il disinteresse del bene comune, la mancanza di rispetto per la vita, e non solo quella iniziale e terminale, ma anche l’indifferenza per un mondo che muore di fame, di malattie e di guerra, la disoccupazione e la precarietà del lavoro con l’incertezza per il domani. Sul versante religioso, la disaffezione per la pratica religiosa, la caduta e la perdita del senso morale e della responsabilità, l’incertezza sui valori etici da proporre e trasmettere, l’incapacità degli educatori e dei pastori di farsi ascoltare, fino all’insignificanza di una chiesa che non ha più voce per gridare contro le ingiustizie, forse perché s’è esaurita nel combattere solo certi peccati e non altri, altrettanto gravi. IL SACROSANTO SILENZIO DI DIO La volontà di fare la nostra parte p. MARCELLO STORGATO, sx so come sarà la situaN on zione quando leggerete queste righe. Mentre scrivo, il Medio Oriente è in fiamme. Dicono che non è ancora tempo per gettare acqua sul fuoco. Meglio che il fuoco si espanda, fino a “sistemare” la situazione, una volta per sempre. Intanto, i bambini di Nazaret muoiono, accanto al luogo dell’Annunciazione, là dove la vergine Maria ha detto “sì” al piano di Dio e ha concepito il Figlio; adulti e giovani cadono a terra in Libano, che procurava i giovenchi per i sacrifici nel tempio di Gerusalemme, e nella Galilea, dove Gesù annunciava la beatitudine dei miti e degli operatori di pace; la gente è costretta a scappare per salvare la vita propria e dei bambini; le madri - cristiane, ebree, musulmane - piangono e non vogliono essere consolate, perché i loro figli non sono più... E Dio tace. Mentre scrivo, un nuovo maremoto e un nuovo tsunami si sono abbattuti sull’isola di Giava. Centinaia i morti e dispersi, specialmente bambini che giocavano sulla spiaggia; decine di migliaia i disperati che hanno perso tutto, perché non è stato ancora attivato un sistema di allarme, che avvisi la gente del pericolo imminente. E Dio tace. Sì, Dio tace. Non è un silenzio di statua. Non è un silenzio di tomba. È il silenzio di Cristo, di fronte all’uomo che lo schiaffeggia; di fronte a Erode e a Pilato, che hanno la responsabilità di evitare e di fare. È il silenzio di Cristo di fronte a chi lo bacia, con ben altri fini che quello dell’amore e della familiarità. Solo Cristo - e con lui, soltanto le vittime - hanno diritto a lamentarsi con Dio: “Dove sei? Dove eri?”. I carnefici no. E neppure noi, che forse ci riteniamo innocenti di tutto quello che accade attorno a noi. Poi sento tante domande: “Dove siete voi, religiosi e politici, quando in Africa portano via tutto e tutti? Quando milioni di persone nel mondo muoiono lentamente di fame e di malattia? Quando vendono le armi perché altri si combattano e uccidano? Fate bene a difendere i nascituri, ma perché lasciate che uccidano i bambini già nati? Perché domandate perdono dei misfatti di ieri e tacete sui misfatti di oggi? E dove sono le organiz- zazioni internazionali?...”. Mio Dio, basta con tutte queste domande assordanti, che mi rompono i timpani della mente e del cuore, e non mi lasciano in pace. Abbiamo pregato, domenica 23 luglio - e preghiamo ogni giorno, io e tanti altri che abbiamo a cuore la pace dell’umanità - per chiederti il dono prezioso della pace, perché cessi il fuoco, perché si facciano corridoi umanitari... Già, i corridoi umanitari sono l’ultima spiaggia! Anche tu, del resto, avevi comandato a Mosè di aprire un corridoio nel mar Rosso, per portare in salvo gli ebrei, il popolo da te prediletto, dagli attacchi del faraone; ma poi han dovuto vagare per quarant’anni nel deserto, prima di trovare una patria! Cosa possiamo fare di più, noi che siamo disarmati? Mi sembra di sentire ancora quel canto nella notte: “Pace agli uomini di buona volontà”. Sì, il tuo dono di pace è lì, pronto. Ma ci vuole più “buona volontà”, da parte di tutti e da tutte le parti, per accoglierlo e custodirlo. Tu puoi tutto, Signore, ma non puoi fare quel poco che tocca a noi. ■ p. Gabriele Ferrari, sx La caduta della speranza Tutto questo produce e induce l’impressione che il bene, la fede, la religione non abbiano più molto da dire. Il peggio è che tutto questo si accompagna con la caduta della speranza e la rassegnazione di molti, che pure vorrebbero e dovrebbero esserne portatori ed apostoli. Abbiamo bisogno, come cristiani, di recuperare le “ragioni della speranza” che sono in noi. Perciò, ben venga il Convegno di Verona. Noi missionari sentiamo che esso potrà essere un salutare scossone alle comunità ecclesiali. Annunziare Cristo risorto è il nucleo della missione, un messaggio che è in grado - e noi missionari ne siamo testimoni - di rinnovare i popoli e le culture, quando viene fatto in modo tempestivo, coraggioso e coerente. Infatti a noi sembra che le comunità italiane siano assuefatte alla Parola e alla celebrazione del Mistero pasquale. La Pasqua deve tornare ad essere la riserva di speranza e la memoria sovversiva, che stimola a rinnovare i cuori e le strutture, come avviene nelle nuove chiese di missione. Un popolo missionario Perché ciò avvenga anche qui da noi, i pastori e le chiese dovranno sostenere le forze vive del cambiamento e non della conservazione; mettersi dalla parte dei più poveri, senza domandarsi se sono dei “nostri” o di altra religione; alzare la voce per chiedere qui legalità e giustizia, insieme a una ripresa della cooperazione con i Paesi poveri, denunciando coraggiosamente l’emarginazione. Le comunità cristiane fanno bene a chiedere che siano affermate le radici cristiane dell’Europa, ma nello stesso tempo, devono vegliare affinché la prassi e le leggi europee siano in linea con i valori cristiani della solidarietà e della pace. Solo in questo modo la chiesa italiana sarà testimone del Risorto e sosterrà la speranza degli italiani. Così ritroverà la sua vera natura di chiesa: un popolo autenticamente missionario a servizio di Dio e del mondo. Sarà di nuovo una chiesa “serva e povera”, distaccata dal potere e dalle sicurezze mondane, libera da pericolosi collateralismi, in grado di dire una parola credibile di speranza. Il Convegno di Verona non sia una semplice “celebrazione”, ma la ripresa della vera missione della chiesa. ■ La missione è speranza - La missione è davvero tale, perché testimonia alle genti che Cristo è risorto. Anche la chiesa italiana ha scelto questa testimonianza per il convegno di Verona. Nelle foto di questa pagina, la speranza di una madre indonesiana e la croce, portata dai missionari sulla via del Golgota. 2006 settembre n. ANNO 59° 8 2 In Congo sperano sempre 3 Saverio, avventura in Indonesia 4/5 Il coraggio di sperare 6 Vivere e annunciare la libertà Dio in forma di pane Il dialogo in Giappone “Le isole della speranza in Dio” La famiglia non ha alternative archivio MS / foto di J. Carlos Con Gesù risorto nel mondo 2006 SETTEMBRE m i s s ione e spirito L’icona della missione Vivere e annunciare la libertà Paolo traccia nuovi sentieri eggendo queste parole, forse nasce in voi un sentimento di incredulità e di perplessità. Sentimenti che io stessa ho avuto, quando le ho lette in un articolo scritto da padre José Comblin, il missionario belga che lavora in America latina dal 1958. Sono parole che ci obbligano a guardare in faccia alla realtà, senza tanta poesia. La realtà senza poesia. E sorgono in noi alcune domande: Il mondo degli esclusi è proprio destinato a restare per sempre? Chi nasce nell’esclusione non sarà mai più incluso? Annunciare la fine dell’esclusione è davvero un segno di irresponsabilità? Queste e una serie infinita di domande si agitavano dentro di me, nel leggere quell’articolo. E quando ho presentato quello scritto ad altre persone, è successo il pandemonio: “Ma come? Dov’è allora la speranza cristiana? Ma questo è pessimismo, è una lettura distorta della realtà!...”. Alla fine dell’incontro, la mia testa girava come una trottola. Anche la testa di Paolo doveva essere in forte agitazione quando si è messo a scrivere la lettera ai Galati. Era agitato, perché gli avevano detto che nella comunità cristiana esistevano divisioni. Come certamente bolliva la testa dell’apostolo quando pensava ai cristiani di Tessalonica che speravano nel ritorno imminente del Signore Gesù, e per questo avevano smesso di lavorare... Come doveva essere agitato mentre cercava le parole giuste da scrivere a Filemone per convincerlo a lasciar libero il suo schiavo e ad amarlo come fratello... Paolo era indignato davanti alla schiavitù e all’esclusione, situazione istituzionalizzata nell’impero romano. Si agitava ogni volta che rifletteva sull’esperienza di libertà che lui aveva vissuto e che si prolungava nella sua vita, dopo l’evento di Damasco. Si agitava ogni volta che si interrogava sui passi da fare affinché anche tanti altri uomini e donne potessero fare la stessa esperienza di incontrare Cristo e acquistare la libertà interiore. Forse oggi ci manca l’umiltà di lasciarci sfidare; di permettere alle domande di agitarsi nel nostro intimo; di lasciare che la nostra mente vada in ebollizione; di permetterci di uscire dal cammino tracciato e sicuro. Sì, perché Paolo era uscito dal cammino tracciato. Era uscito dal cammino tracciato dal giudaismo: “Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho reputato una perdita a motivo di Cristo...” (Fil 3,7). Era uscito dal cammino sicuro di cittadino romano: “...un punto di onore: vivere in pace, attendere alle cose vostre e lavorare con le vostre mani, al fine di condurre una vita Mosaico Cappella Palatina, Monreale L tea FRiGERIO, mM Paolo in fuga da Damasco, cerca vie nuove LA PROVOCAZIONE Il mondo degli esclusi è destinato a restare... Chi nasce nel mondo degli esclusi già nasce escluso; non potrà mai recuperare la distanza che lo separa da chi nasce in una famiglia inclusa... Annunciare la fine dell’esclusione è un segno di irresponsabilità perché, così facendo, si alimenta nelle persone un’illusione, ritardando la presa di coscienza e l’adozione di mezzi adeguati per far fronte alla realtà... Si continua a parlare di scelta dei poveri e degli esclusi, ma il discorso e le scelte pastorali sono sempre più distanti dalla realtà dei poveri p. José Comblin ed esclusi. decorosa e di non aver bisogno di nessuno” (1Tess 4,11-12). Era uscito perfino dal cammino tracciato dai criteri apostolici: “Non sono io libero? Non sono un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel Signore? Anche se per altri non sono apostolo, per voi almeno lo sono; voi siete il sigillo del mio apostolato nel Signore...” (1Cor 9,1-2). Rischiare nuove vie. Paolo era uscito dal tracciato per aprire sentieri e cammini nuovi: “Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù poiché, battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo” (Gal 3,26-28). Dio in forma di pane Mahatma Gandhi: A fferma “Ci sono così tante perso- Anno Saveriano LeGGERE, NON BASTONARE ! p. ALFIERO CERESOLI, sx notte altri due! Uno aveva sedici anni; l’altro meno di Q uesta venti. E non dico la data, perché ieri ne avevano ucciso uno 2 e domani, forse, ne uccideranno altri tre! Continua il tempo caldo; non quello meteorologico. Qui in Brasile, nello stato di São Paulo, è inverno e il fresco è piacevole. I giornali già non parlano più della ribellione delle carceri, avvenuta nella seconda metà di maggio, ma la violenza continua. Del resto, esisteva anche prima. Qui nel nostro quartiere di Rosolém, nella città di Hortolândia che ospita un carcere con più di settemila detenuti, non fa più notizia la “morte matada - la morte per uccisione”. Il Primo Comando della Capitale ha voluto dare una prova di forza: possiamo paralizzare la maggiore città del Brasile e una delle maggiori del mondo: São Paulo. E ci sono riusciti! Questa ribellione sta lasciando una scia dolorosa. Nel caos, tutti possono uccidere tutti. E tu non ti senti più sicuro neanche per andare al botteghino vicino casa, a comprare pane e latte. Anche il nostro padre Claudio ne ha fatto le spese. È stato bloccato, strattonato giù dalla macchina, che gli hanno rubato (poi ritrovata) dopo averlo buttato a terra. Grazie a Dio, ne è uscito solo con un occhio pesto. La polizia li ha presi. La prima domanda dei poliziotti al missionario è stata: “Gli diamo una lezione?”. La risposta è stata immediata e chiara: “Assolutamente no!”. Poi in casa, abbiamo riflettuto insieme. Anche questi ragazzi sono nostri fratelli. Anche loro appartengono a Dio; a Dio devono essere restituiti. Il beato Guido direbbe: “sono tutti miei figli” - come ricorda il titolo di una bella biografia scritta da p. Luca. Abbiamo ricordato una raccomandazione fatta da Francesco Saverio a p. Gaspare Barzeo, prima di partire per il Giappone (Lettera 80,35.24): “Se volete procurare molto frutto, sia a voi sia al prossimo, e vivere consolato, conversate con i peccatori, facendo in modo che si aprano con voi. Questi sono i libri vivi con i quali dovete studiare e pregare e da cui trarre consolazione”. Non “lezioni” a bastonate quindi, ma dialogo e lettura di quel libro vivo che è ogni persona umana, anche se mi ha fatto un occhio livido. Così continua il Saverio: “Conversate con volto allegro, non vergognoso né arcigno, perché se vi vedono severo e triste, per timore, molti tralasceranno di giovarsi di voi: siate pertanto affabile e benigno, e in particolare le ammonizioni fatele con amore e garbo, senza che abbiano la sensazione che siete disgustati da coloro che parlano e conversano con voi”. Consigli validi in ogni tempo, nel 1500 e nel 2000. Piste preziose per crescere nella capacità di accogliere chiunque, anche il diverso e il nemico, se nemico esiste per il cristiano. ■ Anche per noi oggi, come per Paolo allora, la missione richiede questo: uscire dal cammino tracciato e, con l’annuncio del vangelo di Cristo, provocare esperienze umane e comunitarie inedite per il nostro tempo. ■ La missione CHIAMA CARISMA è MISSIONE Era uscito dal cammino tracciato per lasciarsi guidare dalla forza della Parola, dalla forza dello Spirito, dalla forza degli avvenimenti: “Non mi sono mai sottratto a ciò che poteva esservi utile... Non so cosa mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo mi dice che in ogni città mi attendono catene e tribolazioni... purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio” (Atti 20,17-37). ne affamate nel mondo che Dio si può rivelare solo in forma di pane”. Gandhi ha colto una dimensione vera dell’Eucarestia: il nostro essere figli di Dio-Amore e fratelli tra noi. La fede in un “Dio di pane”, e pane spezzato per la vita del mondo, ci lega in modo incredibile a quanti sono privi del necessario. La mistica del sacramento ha un carattere sociale. L’unione con Cristo è anche l’unione con tutti. Il nostro prossimo è universale, ma rimane concreto e richiede un impegno pratico, qui e ora. Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. Papa Ratzinger ce l’ha ricordato più volte. Eppure 30 mila bambini al giorno muoiono di fame o di malattie curabili. Sono bambini che fanno parte di quel miliardo di persone che vive con meno di un dollaro al giorno, e di quei 18 milioni di persone (50 mila al giorno) che muoiono ogni anno per cause legate alla povertà. Oltre le cifre, c’è il volto reale della fame; ci sono persone concrete con il loro nome. Noi missionari non possiamo dimenticarli. Per questo, insieme a coloro che hanno a cuore la dignità di tutti gli uomini, ci sentiamo impegnati a cercare, alla luce del vangelo, risposte adeguate e più umane ai problemi della fame e dei rapporti tra i popoli. La fame oggi è soprattutto un problema di giustizia economica. L’economia presenta non pochi aspetti “selvaggi” nelle relazioni tra uomini e donne della stessa famiglia umana. Eppure la persona umana si realizza pienamente solo nel dono di sé e nelle relazioni giuste con gli altri. La fede nel Padre-Amore sprigiona nell’esistenza la fiducia in Dio e la responsabilità verso il prossimo: “Vi ho chiamato amici”, ha detto Gesù. Amici: è qualcosa di più che fratelli, perché l’amicizia esprime la libertà, la reciprocità, il rischio, la gioia dei diversi che si riconoscono fratelli. Non un fatto elitario, ma un motivo per una nuova socialità. È qualcosa di nuovo. “Cibopertutti”. Sto vivendo a Parma un’esperienza interessante con un gruppo di lavoro composto da rappresentanti di varie associazioni. Ci siamo proposti di riflettere e agire sul tema del cibo come diritto, come risorsa naturale, come oggetto di cambio e di consumo. “Cibopertutti” è il nome del- INTENZIONE MISSIONARIA E PREGHIERA DEL MESE Nei territori di missione, l’intero popolo di Dio avverta come priorità la propria formazione permanente. Coloro che utilizzano i mezzi di comunicazione sociale, lo facciano sempre con coscienza e responsabilità. Saverio: ”Conversate con volto allegro; siate affabili; ammonite con amore e garbo”. p. siLVIO TURAZZI, sx l’associazione che vuole contribuire attivamente alla promozione di un mercato equo e accessibile a tutti, offrendo occasioni di incontro tra produttori e consumatori, attraverso esperienze di vita e di imprenditorialità a partire dal sud. A ottobre è previsto il festival “Kuminda”, una parola in lingua creola che significa cibo. La novità sta in questo: vedere l’economia come espressione di un rapporto umano genuino. Nasce così una forma di “inter-esse” saggio, dove l’efficienza vive insieme alla solidarietà, alla reciprocità, a ciò che è bello e buono per tutti, e perché no, alla spiritualità e alla comunione. Lo intuiva mio papà ortolano che vendeva frutta e verdura. Diceva con semplicità: “Se tu sei onesto, sei in pace, fai contento il cliente e lui tornerà a comprare da te”. L’economia diventa allora un potente invito alla conversione verso il progetto di Dio, Padre di tutti gli uomini. Un’economia che tocca i conti in banca e apre la borsa della spesa alla condivisione con il prossimo lontano. Il fratello mi è sempre vicino, anche se vive a 10 mila chilometri di distanza. Ho bisogno, tutti abbiamo bisogno di ripartire da Nazaret, dalla casa del lavoratore Gesù. “Solo partendo da lì, anche la chiesa potrà prendere un nuovo slancio e guarire. La chiesa non potrà mai dare la vera risposta alla rivolta del nostro secolo contro la potenza della ricchezza, se non vive la realtà di Nazaret” (card. Ratzinger ai Piccoli fratelli). ■ 2006 SETTEMBRE V ITA SAVERIANA Sperano sempre, con pazienza La gente del Congo avrà una vita normale? In Congo, il 30 luglio scorso, si sono svolte le elezioni. Insieme agli “osservatori” dell’Onu e dell’Unione europea, c’erano anche i “volontari” italiani, tra cui i laici saveriani e p. Silvio Turazzi che, in carrozzella, ha voluto essere presente in questo grande momento di speranza per la nazione africana. Angela Marano, laica saveriana di Salerno, lavora a Goma e ci racconta qualcosa dei giorni che hanno preceduto l’evento. I l 27 giugno sono arrivati a Kigali i laici saveriani Giovanna, Carmine e Nuccia. Il giorno prima era arrivata una coppia di Parma. Sul bus a noleggio, che ci ha trasportati fino a Goma, eravamo in sette, più i bagagli. A casa, i nostri ospiti hanno trovato le zanzariere alle finestre, una protezione necessaria, soprattutto dal tramonto fino all’alba, quando le zanzare diventano pericolose e minacciano la quiete notturna. Gli osservatori italiani Dall’inizio di giugno avevamo già predisposto un po’ di letti per l’arrivo di don Albino Bizzotto, Lisa e Roberto, dell’associazio- ne “Beati i costruttori di pace” che erano venuti a Goma per organizzare la presenza di 60 osservatori della società civile italiana nella regione del Kivu, durante le elezioni del 30 luglio, le prime elezioni democratiche in Congo dopo 45 anni dalla fine della colonizzazione belga. Per alloggiare i vari gruppi di osservatori durante le elezioni, sono stati contattati i parroci congolesi della zona. Anche la nostra casa è rimasta a disposizione del gruppo di coordinamento per Goma. Tra i coordinatori, c’erano anche il dott. Paolo Volta e p. Silvio Turazzi. La loro conoscenza dei luoghi e dello scenario degli scontri, che rendono questa regione di frontiera una delle più turbolente del Congo, hanno facilitato le operazioni di monitoraggio. Invece, della nostra jeep sgangherata non è stato possibile fidarsi. Già al secondo giro intorno a Goma ci ha lasciati per strada. Così, per raggiungere i territori impervi, si è dovuto ricorrere agli elicotteri della Monuc, la missione dell’Onu. ANGELA MARANO cognizione dei nostri amici italiani sono rimaste le incertezze, soprattutto del dopo elezioni, ma anche l’apprezzamento della gente per il sostegno dato al processo di pace e di democrazia in questo martoriato Paese. Qui tutti sono consapevoli che il voto è solo il primo passo verso la pace duratura, ma quest’occasione non può andare sprecata. Ora le attese della gente sono tante, ma la sfiducia verso dirigenti, sempre protetti da interessi stranieri, resta grande. A metà giugno, un candidato alle presidenziali era venuto a Goma, promettendo l’avvio del dialogo intercongolese. Il mio insegnante di kiswahili mi ha informato delle atrocità commesse da questo signore della guerra. Ma anche degli altri candidati non si diceva meglio. Nonostante tutto, la gente continua a sperare con la pazienza di sempre e ha accolto ogni iniziativa a favore della democrazia. Anche le mamme del nostro centro di educazione femminile hanno Le mamme congolesi del corso educazione femminile festeggiano l’arrivo degli “osservatori” italiani per le elezioni del 30 luglio 2006 partecipato attivamente. Mamma Elisabet, con l’aiuto di poster, ha svolto un corso di educazione civica ed elettorale. Una pannocchia bollita La febbre malarica ha colpito molta gente, tra cui nonna Venanzia, la più anziana dei partecipanti al corso di alfabetizzazione. Dicono che abbia ottant’anni, ma secondo me non supera i sessanta. Comunque il suo spirito è giovane. Ha tanta voglia di imparare il kiswahili, ma la sua lingua materna è il kinyiarwanda, perché è di origine ruandese. L’ho scoperto qualche giorno fa, quando l’avevo incoraggiata a raccontare una favola ai bambini della scuola materna. Solo pochi hanno avuto bisogno di traduzione, perché la maggioranza dei piccoli parla la sua stessa lingua. Il giorno prima di cadere malata, nonna Venanzia era venuta con un regalo per me: una pannocchia bollita, avvolta nelle foglie ancora umide. Ho dovuto metterla nella mia sacca, per farla contenta. Speriamo che guarisca presto. ■ Speranze della gente, ma i dirigenti... Nel bilancio del viaggio di ri- SCUOLA DI MISSIONE FRANCESCO SAVERIO / 8 Le grandi gioie del missionario p. FABRIZIO TOSOLINI, sx Nelle sue lettere, il Saverio ci fa partecipare anche ai momenti di gioia che egli prova in mezzo ai travagli della vita missionaria. Spesso è una gioia che nasce dalla speranza, legata alle possibilità che egli intravede in nuovi campi di lavoro: Celebes, Amboina, le isole del Moro, Ternate, e soprattutto il Giappone e la Cina. A gennaio 1548, dall’India meridionale, egli scrive a sant’Ignazio: “Ho grande speranza, e questa è tutta in Dio nostro Signore, che in Giappone molti si faranno cristiani. Provo tanta consolazione interiore nel fare questo viaggio, essendo molti e grandi i pericoli di morte... In effetti, ho una grandissima speranza in Dio che in quei luoghi la nostra santa fede crescerà molto” (Lettera 70). Altre volte la gioia è legata ai frutti di conversione, ottenuti tra coloro che sono già cristiani. Nel novembre 1545, Francesco scrive da Malacca: “A San Thomé (India), ho trovato un mercante. Parlai con lui delle cose di Dio. E fu Dio a fargli sentire che esistevano altre mercanzie con le quali egli non aveva mai commerciato, di modo che abbandonò nave e merce, e tutti e due andammo a Macassar, essendosi deciso a vivere in povertà per tutta la vita, servendo Dio nostro Signore” (Lettera 52). Lo riempie di gioia il servizio missionario: “Finito in un villaggio, vado in un altro e in questo modo cammino di luogo in luogo facendo cristiani, e ciò con molte consolazioni, assai più grandi di quelle che potrei scrivervi per lettera o spiegarvi di persona” (Lettera 48). E dal Giappone scrive: “Le fatiche di lavorare con gente educata, desiderosa di conoscere con quale legge dovrà salvarsi, porta con sé una grandissima gioia. A Yamaguchi, dopo che il duca ci diede il permesso per predicare la legge di Dio, erano tante le persone che venivano a chiedere e a discutere, da sembrarmi veramente di poter dire che nella mia vita non ho mai ricevuto tanta gioia e allegrezza spirituale” (Lettera 96). Francesco esulta in modo particolare per la fede e il coraggio apostolico dei neo convertiti. Dei nuovi cristiani dell’India meridionale egli scrive: “Il piacere di vedere la gioia dei cristiani non mi faceva sentire le fatiche corporali. D’altra parte, vedevo quanto lavoravano i cristiani nel discutere, vincere e persuadere i pagani affinché si facessero cristiani, e mi confortava la gioia con cui ognuno mi raccontava” (Lettera 20). Queste esperienze avvengono spesso anche oggi. I più entusiasti evangelizzatori sono proprio i neo convertiti. Ciò dimostra la potenza di Dio, che va oltre le risorse umane e gli sforzi dei missionari. Il “nuOvo” di p. mondin L’11 maggio scorso, presso l’ateneo Regina apostolorum di Roma, è stato presentato il “Nuovo dizionario enciclopedico dei papi. Storia e insegnamenti”, l’ultima fatica di p. Battista Mondin. Il libro, versione aggiornata del precedente, è edito da Città Nuova, ha 664 pagine e si vende a € 52,00. A presentare il volume sono intervenuti il cardinale Georges Cottier, mons. Ambrogio Spreafico, rettore dell’Urbaniana, Javier Garcia e p. Paolo Scarfoni. L’opera ha un taglio storico e teologico. Ricostruisce la personalità e l’opera dei papi, nel contesto della storia civile ed ecclesiastica dell’Europa nel corso dei secoli. Ma mette in risalto anche il loro contributo allo sviluppo dell’insegnamento e del dogma della chiesa. Se ne ricava una visione complessiva non solo dei singoli papi, ma anche della storia civile e religiosa dell’Europa. Il volume è aggiornato fino a Giovanni Paolo II e all’enciclica “Deus caritas est” di Benedetto XVI. L’autore aveva dato personalmente una copia della Padre Mondin s’intrattiene con il cardinale Cottier prima edizione a papa Woytjla, durante una cena. Il papa si era complimentato con lui “per l’obiettività dell’esposizione e per la serenità dei giudizi”. Padre Battista Mondin, saveriano di origine vicentina, ha compiuto 80 anni il 29 luglio scorso; è saveriano da 62 anni e sacerdote da 54. Insegnante di storia della filosofia all’Urbaniana, è stato decano di facoltà per vent’anni, fino al 2000. è uno scrittore e teologo di fama internazionale. La sua produzione di pubblicazioni ha superato i cento volumi. (di p. Andrea Rossi) ■ IL DIALOGO IN GIAPPONE È stato pubblicato in lingua giapponese il volume, Dialogo interreligioso. Documenti e Commenti (180 pagine, 900 yen). Il libro raccoglie i documenti della chiesa universale dal Vaticano II a oggi e gli interventi dei vescovi asiatici (Fabc) e giapponesi. Presenta in modo organico l’insegnamento della chiesa sul dialogo in- terreligioso. L’antologia di testi è arricchita da due prefazioni e da quattro articoli sul dialogo tra le religioni, tra cui uno con la mia firma su “Perché il dialogo?”, e uno di p. Franco Sottocornola sul tema “Pregare insieme con persone di altre religioni”. Il volume è stato ideato e curato da me personalmente e pubblicato dalla Commissione del dialogo interreligioso della Conferenza episcopale giapponese, di cui p. Franco e io siamo membri. Il lavoro ha richiesto la scelta dei testi, la traduzione dei documenti che non erano mai stati tradotti in giapponese, la preparazione delle introduzioni, i commenti e le note, le tabelle esplicative e tutto il lavoro redazionale. È il frutto di un anno di fatica, impiegando i ritagli di tempo dalle varie attività del centro di spiritualità e dialogo Shinmeizan. Il cammino del dialogo interreligioso non è facile. L’insegnamento della chiesa in proposito è spesso ignorato o disatteso. Per questo, si è pensato di preparare un sussidio organico e di agile consultazione. Sacerdoti, operatori pastorali e laici cristiani - e anche i credenti di altre religioni - possono ora conoscere e approfondire il genuino pensiero della chiesa su questo tema. (di Maria De Giorgi, mM) ■ 3 L'Avventura SAVERIO IN INDONESIA: AVVENTURA DELLA MISSIONE SAVERIO AGGRAPPATO A DIO Verso le Molucche, i rischi del viaggio p. MARCELLO STORGATO, sx San Thomé in India, Saverio attraversa l’oceano fino D aa Malacca, non lontano dalla moderna Singapore. I por- toghesi l’avevano conquistata nel 1510 e vi avevano costruito il porto commerciale più importante dell’Oriente. Il suo piano evangelico era di puntare verso Macassar, al nord dell’isola di Celebes. Per la sua forma, l’isola assomiglia a una grande orchidea frastagliata, santuario privilegiato dei pirati. I portoghesi la chiamavano il “luogo degli infami”. Il missionario aveva sentito che la gente dell’isola era disposta a diventare cristiana. Alla fine, si arrende e cambia il piano A Malacca, Saverio deve aspettare 3 mesi e mezzo per il monsone favorevole. Prende alloggio nell’ospedale. Ne approfitta per scrivere alcune lettere ai “compagni” gesuiti in Europa e in India. Ma poi, come al solito, trova un gran daffare, per cercare di portare i portoghesi entro i limiti di una vita cristiana decente. Confessa gli infermi, celebra Messa per loro; la domenica predica in chiesa; ogni giorno insegna le preghiere ai bambini. Ma la sua preoccupazione maggiore è tradurre le orazioni nella lingua parlata a Macassar. Afferma: “È una faccenda assai penosa non conoscere la lingua”. Da qui rinnova l’appello di “inviare tutti gli anni molti compagni, poiché vi è grande scarsità, e che siano molto sperimentati”. Dà perfino istruzioni pratiche: “portino tutto il necessario per dire Messa e i calici siano di rame, poiché è metallo più sicuro dell’argento per noi che andiamo fra gente non santa”. Meglio non dare occasioni a... mani furtive! Purtroppo, Saverio deve abbandonare il piano originario. Nella lettera ai compagni di Goa (del 16 dicembre 1545), scrive di aver ricevuto “notizie non tanto buone” di Macassar. Decide perciò di andare ad Amboina, un’isola a sud delle Moluc- che, “dove i cristiani sono molti e ancora più sono coloro disposti a diventarlo”. Lo spinge non solo il desiderio di ravvivare la fede dei cristiani e di diffondere la fede in Cristo, ma anche il desiderio di conoscere personalmente “le buone disposizioni della gente e il frutto che se ne può trarre”, per poi indicare agli altri missionari dove potranno “maggiormente servire Dio e far accrescere la fede”. Non per sentito dire, ma in base all’esperienza fatta da lui stesso. Sperando solo nel Creatore Da Malacca, il Saverio parte i primi di gennaio 1546, con una nave diretta alle piccole isole di Banda per fare il pieno di spezie. Il viaggio dura un mese e mezzo, costeggiando le isole di Sumatra, Giava, Bali, Sumbawa e Flores, per poi risalire verso nord. Approda ad Amboina il 14 febbraio 1546 e si ferma tre mesi; altri tre mesi si fermerà al ritorno. Saverio stesso racconta le peripezie del viaggio. “Durante il viaggio mi sono trovato in molti pericoli, sia per le tempeste del mare sia per i nemici. Soprattutto quando eravamo su una nave di 400 tonnellate, abbiamo navigato con il vento forte toccando sul fondale con il timone. Se urtavamo negli scogli, la nave si sfasciava; se trovavamo meno acqua, restavamo in secca. Ho visto molte lacrime su quella nave...”. C’erano poi le temute apparizioni dei pirati, come quando, ormai prossimi ad Amboina, due imbarcazioni si erano avvicinate con intenzioni... non chiare. Lo stato d’animo del Saverio era fiducioso: “Sperare solo nel Creatore, la cui mano potente ci rende forti, quando riceviamo i pericoli per amor suo”. Ogni missionario sa quanto sia vero ciò che egli afferma, con intuito profondamente umano: “Passati i pericoli, l’uomo non sa raccontare ciò che ha provato in quei momenti, anche se ne conserva impressa la memoria”. Oggi ad Amboina, il luogo più significativo per noi è il villaggio di Soyas Atas, sulle pendici del monte Gunung Sirimau, a 950 metri di altezza. Vicino alla chiesa, i protestanti hanno costruito un modesto monumento: su una lastra di pietra è incisa l’isola di Amboina, circondata dal mare azzurro. Dal centro dell’isola si alza una colonna con il busto del Saverio che guarda verso le Molucche. L’iscrizione ricorda l’anno dell’arrivo del santo sull’isola: 1546. foto MS / S. Coronese Sui monti, visitando i “nidi d’aquila” Saverio e l’amico Juan devono aver abitato una casetta sul mare, costruita su pali e coperta di foglie di palma. Vicino, una piccola chiesa, sullo stesso stile. Da lì, devono aver ammirato i paesaggi d’incanto, con la sabbia limpida e il mare trasparente. Gli abitanti vivevano di pesca, di caccia e dei frutti delle grandi foreste. I primi cristiani dell’isola erano stati battezzati nel 1538 da un cappellano della flotta portoghese, accorsa a dare una mano ai capi locali contro i giavanesi e i musulmani che volevano controllare l’isola. Ma poi erano rimasti “senza pastore”. Egli cerca di fortificare la fede dei cristiani, A Soyas Atas, il monumento al Saverio; nel riquadro la data dell'arrivo nell'isola: 1546 affrontando ogni difficoltà. Alcuni villaggi sono arroccati sui monti come “nidi di aquila”, con le casupole una sull’altra; altri sono nascosti nel fitto bosco, con sentieri da aprire e serpenti Il Saverio non ne parla mai nelle sue lettere e racconti. Ma da tenere d’occhio... L’accompagna il le testimonianze sul miracolo sono attendibili. Cosa era sucgiovane Manuel, figlio di un capo del cesso? Nel marzo del 1546 ad Ambon, il Saverio incontra un posto, che gli fa da interprete. mercante portoghese che sta andando nell’isola di Seram. Il suo programma è semplice. MaNon perde l’occasione e sale sulla nave. Con loro, c’è Fausto nuel lo precede tra le viuzze, portando Rodríguez, un giovane inquieto e analfabeta, che aveva abla croce; altri ragazzi si uniscono alla bandonato casa e patria per una vita di avventura. Dopo tre giorni di viaggio normale, quando ormai erano in comitiva, man mano che vanno di cavista di Seram, si scatena la tempesta. L’imbarcazione rischia di sa in casa, domandando se ci sono inschiantarsi contro gli scogli e andare a pezzi. Saverio prende il fermi o bambini da battezzare. In casa, Crocifisso che porta al collo con un cordone e lo cala nel mare, i ragazzi recitano il Credo e i Comanmentre prega Dio di salvarli. Ma il cordone si spezza e il Crocidamenti. Il missionario legge qualche fisso gli scappa di mano, portato via dalle onde. La tempesta frase del vangelo, benedice gli infermi, continua per un giorno e una notte, finché la nave incaglia sulla spiaggia di Seram. battezza i bambini. Alla fine, riunisce A terra, Saverio e Fausto si avviano verso il villaggio di Tamilau. Dopo pochi passi, vebambini e adulti per insegnare le predono un granchio uscire dall’acqua, con il Crocifisso tra le chele. Il Saverio prende in conghiere e le verità della fede. segna il suo piccolo Crocifisso di legno, lo bacia, lo stringe tra le mani e si raccoglie in Manuel non dimenticò quelle giorpreghiera, ringraziando Dio per lo scampato pericolo e per il Crocifisso ritrovato. Ne è nate passate con il Saverio. Divenutestimone quel giovane Fausto che, nel maggio del 1617, poco prima di morire, chiese to lui stesso capo del luogo, protesse i di essere sepolto con una piccola colomba, simbolo dello Spirito Santo, che gli aveva docristiani di Amboina durante le persenato il Saverio come pegno che “ambedue si sarebbero rivisti in cielo”. cuzioni degli anni 1558-1561. Ha racAncora oggi, nelle isole Molucche, i mercanti di pesce mettono in vendita “i granchi contato: “Io sono un amboino di bodel Saverio”. Dicono che sia una specie unica al mondo: con qualche sforzo e un pizzico sco; non so spiegare cosa significa esdi fantasia, sulla corazza si può scorgere l’impronta di una croce. sere cristiano o chi è Dio. Ma so una Saverio si ferma a Seram solo otto giorni. Visita anche altre piccole isole vicine, come cosa, che mi diceva padre maestro Nusa Laut, andando per i villaggi con l’amico Fausto. In ogni luogo parla di Cristo, ma Francesco: che è bene morire per amoa parte il granchio, nessuno si sente di abbracciarlo. Quelle isole erano abitate da tribù re di Gesù Cristo, e solo questo mi daostili tra loro, con il vezzo di tornare a casa con le teste dei vinti e appenderle all’ingresva coraggio e forza per lottare fino alla so come trofei. Al momento di lasciare l’isola e tornare ad Ambon, Saverio toglie i sandali e scuote la polvere: non vuole portarsi dietro una terra così malvagia! morte”. ■ IL MIRACOLO DEL CROCIFISSO RITROVATO 4 “QUESTE SONO LE ISOLE DELLA SPERANZA IN DIO” pagina a cura di p. MARCELLO STORGATO, sx L e Molucche, l’arcipelago di migliaia di isole che compongono la parte più orientale dell’attuale Indonesia, hanno visto l’instancabile attività e la grande santità del missionario Francesco Saverio, per un periodo di 15 mesi. Saverio ha visitato solo una decina di isole, dove già vivevano piccole comunità cristiane di portoghesi e nativi, attorno ai fortini coloniali. Ha affrontato ogni sorta di pericoli, passando dallo stretto di Malacca e navigando nell’oceano Indiano verso l’oceano Pacifico, e inoltrandosi - senza saperlo - fin nelle vicinanze dell’Australia a sud e delle Filippine al nord. Nella nazione musulmana più popolosa del mondo, i cattolici sono solo il 3 per cento, ma hanno la loro importanza, perché credono nella fraternità universale e nel dialogo dell’amore. Scrive il Saverio: “Non mi ricordo di aver mai avuto tante e così continue consolazioni spirituali come in queste isole, e con tanto poco rammarico per le fatiche fisiche: andare continuamente per isole accerchiate da nemici e popolate da amici poco sicuri, e attraverso terre che mancano di ogni rimedio per le infermità corporali e quasi di ogni aiuto in ciò che serve a mantenere la vita. È meglio chiamare questi luoghi le isole della speranza in Dio”. ■ (lettera da Cochín, 20 gennaio 1548) Foto MS / Agostino Carlesso IL METODO Missionario di tutta la chiesa Saverio inventa nuove vie evangeliche C ome ogni bravo missionario, il Saverio raccoglie informazioni e documentazione accurata dei luoghi e dei popoli che visita e fa da ponte tra questi popoli e la chiesa che lo ha inviato. Perciò egli “passa” tutte le informazioni e le esperienze agli altri missionari e alla chiesa intera, perché ne condividano la conoscenza e la passione evangelica per l’umanità. L’informazione stimola la missione In una lettera scrive: “Vi do queste notizie perché sappiate quanto queste isole siano abbondanti di consolazioni spirituali; poiché tutti questi pericoli e travagli, presi volontariamente solo per amore e servizio di Dio, sono tesori ricchi di consolazioni spirituali”. Ringrazia per l’aiuto della preghiera e la sollecita continuamente, come partecipazione all’opera missionaria: “Sento nell’anima che il Signore mi ha salvato da tanti pericoli corporali e travagli spirituali grazie ai sacrifici e alle preghiere di tutti”. Anche le calamità naturali fanno parte della sua comunicazione missionaria. “Una di queste isole trema quasi sempre, perché c’è un monte che di continuo emette fuoco e cenere. Con il vento, dalla montagna scende tanta cenere che i lavoratori nei campi tornano a casa pieni di cenere. La cenere acceca e uccide molti animali e sulla riva del mare si trovano molti pesci morti...”. Del mare scrive: “Abbiamo attraversato molti pericoli per le grandi tempeste, durate tre giorni e tre notti, assai maggiori di quelle che io abbia mai visto in mare”. Sembra quasi una cronaca dei recenti terremoti e tsunami. Doveva avere anche un buon senso di umorismo, se non gli sfugge di raccontare - tra le tante cose pie che scrive - un fatto curioso che gli è capitato di verificare di persona: la storia del caprone con la mammella. L’aveva trovato a Ternate Francisco Palha, un portoghese diventato amico e aiutante del missionario. L’aveva portato ad Ambon, con l’intenzione di farne dono al re del Portogallo. Ecco il racconto del Saverio: “Ho visto una cosa che non vidi mai nella mia vita: un caprone che fa latte e genera; ha una sola mammella prope genitalia (usa il latino per dire, vicino ai genitali - ndr), dà ogni giorno una scodella di latte e i capretti bevono il suo latte”. Roba da non crederci! Ma il Saverio continua: “Io stesso, con le mie mani, gli ho munto il latte una volta, credendo che non fosse vero e sembrandomi una cosa impossibile”. Come non credere a un santo missionario che racconta quel che ha visto e fatto di persona? Il metodo missionario delle isole A Ternate, il Saverio inventa qualcosa di originale. Compone una spiegazione delle principali verità della fede cristiana, basata sul Credo e sulla storia della salvezza. Era in versi, facile da imparare a memoria e da cantare. Questo testo è stato poi tradotto in altre lingue, stampato nella prima tipografia a Goa e utilizzato da tanti missionari dell’Oriente. È un successone. Lo racconta Saverio stesso. “L’effetto era tanto che in Ternate i fanciulli per le piazze e nelle case, di giorno e di notte, le fanciulle e le donne, e nei campi i lavoratori e nel mare i pescatori, invece di vane canzoni, cantavano canti sacri come il Credo, il Pater, l’Ave Maria, i Comandamenti, le opere di misericordia, la confessione generale e molte altre orazioni, tutte nella lingua del luogo, di modo che tutti le capivano, sia chi era convertito di recente alla nostra fede sia chi non lo era”. Le canzoni sono frutto di una catechesi sistematica, che il Saverio fa tutti i giorni, dopo mangiato. “Accorreva molta gente - egli ammette - e mi sembra che il motivo era che spiegavo sempre una parte del Credo”. Spiega ogni frase, con parole semplici, adeguate alle capacità delle persone da poco convertite, “in modo da formare in esse una solida base per credere bene e veramente in Gesù Cristo”. Si può impiegare un anno intero, insegnando venti parole al giorno, da fissare nella memoria. Un’altra scena interessante avviene la sera. Lui stesso, di notte, va per le vie con una piccola campana, pregando per le anime del purgatorio e per chi vive in peccato mortale. È accompagnato da frotte di bambini, ai quali insegna catechismo durante il giorno. I cristiani di Ternate addirittura incaricano un uomo che tutte le notti, con una lanterna in mano e una campanella nell’altra, va nelle piazze e prega ad alta voce per le anime sante e “per le anime di tutti coloro che perseverano nel peccato mortale senza volersene liberare”. Questa pratica, afferma il Saverio, “causa devozione e perseveranza nei buoni, e timore e spavento nei malvagi”. L’espediente era di grande effetto a quei tempi. Chissà oggi, nelle nostre società, cosa inventerebbe il Saverio per attrarre la nostra gente così distratta... ■ Il Crocifisso del granchio, ora esposto nella cappella del palazzo reale di Madrid. Alla morte del Saverio, l’avevano preso i gesuiti di Goa, ma in seguito era stato mandato in Portogallo e poi in Spagna, dove fa parte del “patrimonio nazionale”. 2006 SETTEMBRE IL CONFINE L'INSAZIABILE MISSIONARIO Saverio nelle temute isole del Moro p. MARCELLO STORGATO, sx L e isole del Moro - oggi chiamate Morotai - sono le più orientali delle Molucche, a sud delle Filippine. Erano abitate da gente che praticava il cannibalismo e usava veleni per uccidere. Con i portoghesi, erano arrivati anche due sacerdoti per evangelizzare gli indigeni. Ma i re locali erano contro; avevano bruciato le piccole chiese; un missionario era stato assassinato e l’altro era morto a Ternate. I pochi cristiani erano rimasti abbandonati alla mercè di musulmani e gente feroce. Solo a sentire questa storia, Saverio si appassiona a loro: deve andare e prendersi cura di quei poveri cristiani. Gli amici lo scoraggiano a mettersi in un’avventura così rischiosa. Lui invece scrive: “Vista la necessità che questi cristiani hanno di dottrina spirituale e di chi li battezzi per la salvezza delle loro anime, oltre al bisogno che io ho di perdere la mia vita temporale per soccorrere la vita spirituale del prossimo, ho deciso di recarmi al Moro, per aiutare i cristiani nelle cose spirituali, pronto a ogni pericolo di morte e riponendo ogni speranza e fiducia in Dio”. Nel lungo tragitto, sulla destra sono evidenziate le isole visitate dal Saverio i demoni di quei luoghi, che impedivano il servizio di Dio”, commenta il missionario. Il Saverio incontra l’islam Nelle isole Molucche, il Saverio viene nuovamente a contatto diretto con i seguaci dell’islam. Il primo contatto era avvenuto nel suo viaggio da Lisbona all’India, sulle coste dell’Africa. Erano “i mori che vivono in pace”. I musulmani delle Molucche risentono invece dell’influsso piratesco degli abitanti dell’arcipelago. L’islam era arrivato nelle Molucche verso la fine del secolo XV, poco prima dell’arrivo dei portoghesi. Il Saverio raramente ha parole di simpatia verso i musulmani. “I pagani e i musulmani si detestano. Questi ultimi vogliono che i primi si facciano musulmani, oppure divengano loro schiavi. Ma i pagani non vogliono diventare né musulmani né schiavi”. Considera questi musulmani “in buona fede”, perché sanno poco del vero islam. Il suo rammarico è che non ci sono abbastanza missionari per predicare la verità. Se ci fossero, “tutti si farebbero cristiani, poiché i pagani preferirebbero diventare cristiani piuttosto che musulmani”. Forse il Saverio si illudeva un po’, nel suo zelo missionario! L’unico merito che egli riconosce ai predicatori dell’islam è di aver portato la scrittura ai popoli delle isole. “Usano i caratteri arabi, che i preti musulmani insegnano a scrivere. Prima che si facessero musulmani, non sapevano scrivere”. Per il resto, il Saverio non risparmia l’uso di espressioni ideologiche come “setta perversa”, “setta malvagia”; frasi che oggi facciamo difficoltà a pronunciare, se non per quelle frange che si dedicano al terrorismo e all’odio. Racconta anche di un certo re delle Molucche, suo amico: “Non ha altro di musulmano se non l’essere stato circonciso da piccolo e poi, da grande, di essersi sposato cento volte: perché ha cento mogli ufficiali e molte altre meno ufficiali... Voleva che lo amassi, nonostante la colpa di essere musulmano, dicendomi che cristiani e musulmani abbiamo un Dio comune, e che fra qualche tempo saremmo tutti una cosa sola. Si rallegrava molto quando lo visitavo, ma non potei mai ottenere da lui che si facesse cristiano...”. ■ L’istinto missionario di andare oltre Il Saverio non era un temerario sprezzante, senza emozioni. Continua, infatti: “Quando uno si trova nella situazione di dover decidere a perdere la vita per Dio e quando si presentano situazioni pericolose per le quali è probabile che egli perda la vita proprio per le decisioni che prende, allora tutto si fa così buio che anche le cose più chiare cominciano a offuscarsi”. Con questo sentimento, lucido e coraggioso, il missionario decide di andare, affidandosi pienamente nelle mani di Dio, che lo manda “come agnello in mezzo ai lupi”. La prima tappa è a Ternate, 500 chilometri a nord di Amboina, l’isola famosa per i “chiodi di garofano”. Vi arriva nel luglio del 1546 e vi resta tre mesi, sempre indaffarato. Vi ritorna in seguito per altri tre mesi, fino a Pasqua dell’anno seguente. Saverio si dedica subito all’insegnamento del catechismo, ogni giorno, mattino e sera. In breve tempo, acquista la simpatia di tutti, portoghesi, cristiani, indigeni e musulmani. L’entusiasmo del missionario cresce e lo aiuta a inventare nuovi espedienti per insegnare la fede. Di quel periodo, a Ternate rimangono solo le rovine dei fortini coloniali, nascosti tra piante secolari e grovigli di liane. Dell’apostolato del Saverio restano ancora meno tracce. Sulla chiesetta dove il missionario era solito celebrare Messa, ora sorge una moschea per i musulmani della città. SULLA VIA DEL RITORNO VERSO L'INDIA foto MS / A. Carlesso 2006 SETTEMBRE I bambini: i prediletti di Gesù, del Saverio e di ogni missionario Per recuperare i cristiani smarriti Ancora più a nord, nelle tre isole del Moro, gruppi di cristiani vivevano in 29 villaggi. Avevano accettato di diventare cristiani per convenienza “commerciale”. Il mercante Gonzalo Veloso appoggiando i signorotti delle isole a liberarsi dai pirati con l’efficacia delle armi da fuoco, aveva posto la condizione che diventassero cristiani. Ma poi gli interessi commerciali avevano riacceso i conflitti, con il concorso anche dei mozzatori di teste che vivevano nelle foreste. Molti cristiani avevano apostatato, insieme ai loro capi. Saverio parte per queste isole a settembre del 1546: un viaggio di pochi giorni. Anche qui rimane tre mesi, istruendo i cristiani e battezzando i bambini. Visita tutti i villaggi, sotto un caldo asfissiante, cercando di non cadere nelle fauci sia dei cannibali sia dei coccodrilli. I cristiani lo accompagnano dovunque; gli raccontano la loro vita; gli mostrano il vulcano sempre attivo; gli parlano dei terremoti... Proprio il 29 settembre, festa di san Michele arcangelo, un forte terremoto scuote le isole, mentre il Saverio celebra la Messa. L’altare sembra andare in pezzi per gli scossoni. “Forse, per virtù divina, san Michele puniva e comandava che andassero all’inferno Dalle isole del Moro, Saverio prende la via del ritorno verso Ternate, Ambon e Malacca, con destinazione Goa: circa 10mila chilometri di mare da navigare, con tanta fiducia in Dio. Vorrebbe affrettare la traversata, approfittando di una nave in partenza. Ma i cristiani di Ternate lo supplicano di restare ancora, per tutta la quaresima. Loro stessi l’avrebbero poi accompagnato fino ad Ambon, in tempo per prendere la nave per Malacca. Con sé, porta tanta esperienza missionaria, un incredibile entusiasmo, una profonda soddisfazione spirituale e anche un bel gruppo di giovani. Vuole che studino nel collegio “Santa Fede” di Goa, diventino missionari e tornino nelle loro isole per continuare l’opera di evangelizzazione che egli ha iniziato, vivendo la missione con il suo stesso stile di vita. Alfonso Teixeira, portoghese di Ternate, dà questa testimonianza: “Conduceva una vita virtuosa, una vita santa. Viveva poveramente di elemosina e dava ai poveri tutto quello che gli avanzava. L’ho visto dormire su una branda di fibra di cocco e un cuscino di cotone nero. Era sempre indaffarato a insegnare la dottrina cristiana ai bambini e alle donne, a confessare e a convertire tutti coloro che poteva, per guadagnarli alla fede di Cristo”. Nessuna meraviglia se, al momento di partire, accadevano scene commoventi, che lui stesso non riesce a dimenticare. “Per evitare le lacrime dei devoti durante il commiato, mi imbarcai quasi a mezzanotte. Ma non bastò per evitarle, perché non mi era possibile celarmi a loro. La separazione dai miei figli e figlie spirituali mi aiutarono a comprendere che la mia assenza li avrebbe forse privati di un aiuto per la salvezza delle loro anime”. Scrive il Saverio, alla fine del lungo viaggio nei mari dell’Indonesia: “Mi accorgo che questo impegno missionario è un grande servizio a Dio ed è un debito che abbiamo con tutti”. 5 2006 SETTEMBRE il m ondo in casa SUD/NORD NOTIZIE Il coraggio di sperare Un futuro diverso Nepal / 1: si cambia. Il parlamento ha approvato all’unanimità una risoluzione che riduce le prerogative del re Gyanendra, convertendolo in monarca costituzionale. Il re potrà essere giudicato in tribunale, se agisce contro la legge, dovrà rendere pubblico il suo reddito e pagare le imposte come un normale cittadino. Inoltre, i maoisti hanno siglato un accordo con il governo che prevede la stesura di una nuova costituzione ad interim, la successiva formazione di un nuovo governo di transizione allargato ai ribelli maoisti ed elezioni di un’assemblea costituente non oltre il maggio del 2007. Il capo dei ribelli Prachanda ha affermato che i maoisti del Nepal non ricominceranno mai più una guerra. ● Nepal / 2: il commento. Mons. Anthony Sharma, prefetto apostolico del Nepal, ha dichiarato che sollievo e speranza sono le due espressioni ben visibili sui volti dei nepalesi. “La sensazione diffusa è che si stia procedendo nella giusta direzione. Bisogna ora guardare agli sviluppi dei prossimi mesi, passo dopo passo, e augurarsi che ogni impegno sia mantenuto. La gente, però, adesso ha il coraggio di sperare nel futuro”. ● pagina a cura di DIEGO PIOVANI Il clima che si respira nel Paese sembra cambiato. “La gente si sposta liberamente anche in zone un tempo pericolose, i ragazzi vanno a scuola e non ci sono più i posti di controllo dell’esercito su ogni strada. Si respira un altro clima e tutti sperano che questa normalità torni ad essere una realtà duratura”. ■ Armi e disarmo Convenzione africana. Alcuni stati dell’Africa occidentale hanno firmato una convenzione contro la proliferazione di armi leggere. Ogni trasferimento internazionale di armi è vietato, se non per rispondere a bisogni di difesa, sicurezza o di missioni di mantenimento della pace. Così, i governi dovranno assumersi la responsabilità per i traffici d’armi oltre confine, che hanno alimentato decenni di conflitti. Sarebbero circa otto milioni le armi leggere in circolazione nell’Africa occidentale. ● Conferenza dell'Onu. Alla Conferenza mondiale dell’Onu sulle armi leggere, Kofi Annan ha spiegato che ogni giorno questi ordigni provocano almeno mille vittime. Per Amnesty, la loro diffusione ha facilitato le più gravi tragedie dei nostri tempi, ● mentre la vendita di queste armi verso alcuni paesi violatori dei diritti umani non si ferma. Purtroppo, la forte opposizione dell’industria armiera degli Stati Uniti e dei governi di pochi altri Paesi ha portato al fallimento del summit di inizio luglio. Nonostante un’intesa tra Europa, Paesi africani e latinoamericani per controlli più rigidi sul commercio internazionale, la Conferenza si è conclusa senza un accordo. Gli Usa si sono detti non più disponibili in futuro per altre conferenze mondiali sul traffico d’armi. Italia: triste primato. L’Italia è il secondo esportatore nel mondo di armi di piccolo calibro (fucili, pistole, mitra, munizioni ed esplosivi) dopo gli Stati Uniti. Nel biennio 2004-2005, le esportazioni italiane di “piccole” armi sono aumentate del 22%. Di queste, un quinto è diretto in aree teatro di guerre o di conflitti interni (Colombia e Congo Brazzaville). ■ ● Situazioni non risolte Bangladesh: scioperi e proteste. I lavoratori del settore tessile sono scesi in piazza per protestare contro le impossibili condizioni di lavoro cui sono costretti e contro il salario molto basso che li riduce alla miseria. In Bangladesh vi ● MISSIONI NOTIZIE Diritti da garantire L'invito del Papa. Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i nuovi ambasciatori di Ciad, India, Capo Verde, Moldova, Australia. Nel suo discorso, il Papa ha ribadito la necessità che ciascuno si impegni concretamente, accettando di considerare il bene comune delle popolazioni del Paese e, più in generale, dell’umanità intera. “È importante che, ovunque nel mondo, tutti possano aderire alla religione di propria scelta e praticarla liberamente e senza paura, poiché nessuno può fondare la propria esistenza unicamente sulla ricerca del benessere materiale”. ● 6 dei credenti delle diverse fedi”. Da tutto il mondo sono arrivati cristiani, ebrei, musulmani, buddhisti e indu. Alessio II, illustrando lo scopo dell’incontro, ha spiegato “che le diverse religioni devono trovare uno sguardo comune non tanto sulle questioni dottrinali, ma sui gravi problemi etici del nostro tempo”. Per il cardinale Kasper, delegato del Vaticano, il vertice è stata anche un’occasione importante per proseguire il dialogo con gli ortodossi. Pakistan: conversioni forzate. Il fenomeno delle conversioni forzate all’islam sta creando preoccupazioni nella comunità cristiana e in altre minoranze re● Russia: il G8 delle religioligiose del Pakistan. Alcuni leani. Per la prima volta nella sua der religiosi hanno lanciato l’alstoria, la Russia ha ospitato un larme per una pratica che si sta vertice mondiale delle religioni, diffondendo nel Paese, soprattutpromosso dal patriarcato di Mo- to a scapito di donne e bambini. sca. Il presidente Putin si è riMons. Joseph Cutts, vescovo volto ai leader religiosi per lan- di Faisalabad, ha detto: “è triste ciare un appello “a combattere constatare che le minoranze rel’estremismo e il fondamenta- ligiose, in particolare i cristiani lismo, riavvicinando la visione e gli indu, non possano godere dell’uguaglianza dei diritti, un principio sancito nella Costituzione del Pakistan”. Spesso, i grandi proprietari terrieri musulmani chieIl cardinale Etchegaray saluta il presidente russo Putin. dono ai contaA destra il patriarca Alessio II dini di conver● tirsi all’islam prima di dare loro un lavoro. Forti del potere economico e politico, sequestrano giovani donne, le costringono a convertirsi all’islam e le prendono come mogli. In Pakistan, i cristiani sono il 2,5% (poco più di un milione i cattolici); gli indu sono l’1,5%. ■ Due curiosità Cina: piazza Matteo Ricci. La città Nan Chang, in Cina, ha recentemente inaugurato una grande piazza dedicata a p. Matteo Ricci, grande “apostolo della Cina”. Al centro della piazza, si erge una statua alta oltre tre metri, con una biografia in cinese e inglese. Padre Ricci ha trascorso a Nan Chang tre anni abbastanza felici del suo soggiorno cinese. Ha portato la tecnologia occidentale e ha imparato la cultura cinese, facendo amicizia con la gente e con intellettuali. Lui stesso ha dedicato tanti scritti a questa città nelle sue lettere, dicendo che era due volte più grande di Firenze. ● ● Olimpiadi saveriane. Si chia- mano “Saveriadi” e sono le mini olimpiadi riservate agli studenti degli ultimi anni delle scuole superiori dei centri scolastici dei gesuiti nel mondo. Ai primi di luglio, circa 600 ragazzi di dieci nazioni si sono confrontati in sei discipline sportive (pallacanestro, calcio, pallavolo, rugby, combinata nuoto-corsa, beach volley) in diverse città italiane. Una miniera a cielo aperto vicino a Bukavu, in Congo sono circa 4.000 imprese tessili, che impiegano soprattutto donne e che negli ultimi due anni hanno trascinato l’economia nazionale a una crescita intorno al 20%. Intanto, si è svolto uno sciopero generale nazionale di 36 ore, organizzato dall’opposizione guidata dalla Lega Awami, per protestare contro “le brutalità della polizia” avvenute durante una manifestazione a Dhaka. È stata solo l’ultima di una serie di agitazioni dell’opposizione, per chiedere riforme alla legge elettorale prima delle elezioni politiche del 2007. Se non ascoltata, l’opposizione minaccia scioperi a oltranza e il boicottaggio del voto. ● Diamanti e minerali. Mal- grado piccoli progressi, è ancora grave il problema dei diamanti che provocano violazioni dei diritti umani. Le cosiddette “gemme insanguinate” sono una delle cause delle tensioni nell’est del Congo. In Costa d’Avorio, la vendita illegale dei diamanti costituisce una delle principali fonti di guadagno per i ribelli. Sempre in Congo, è stato anche accertato che grandi quantità di minerali escono dai confini senza documenti, provocando una massiccia perdita per l’economia nazionale e un cospicuo guadagno per un piccolo gruppo di potenti. L’Onu attribuisce le responsabilità ai governi stranieri (Ruanda e Uganda), ma anche ai dirigenti locali e alle multinazionali. ■ MESSAGGI ALLE CHIESE LA FAMIGLIA NON HA ALTERNATIVE BENEDETTO XVI Prima dell’incontro di Valencia del luglio scorso in Spagna, il Papa ha sottolineato più volte l’importanza della famiglia. Pubblichiamo alcune frasi. Tutti i popoli, per conferire un volto veramente umano alla società, non possono ignorare il bene prezioso della famiglia, fondata sul matrimonio. La chiesa non può cessare di annunciare che, conformemente ai piani di Dio, il matrimonio e la famiglia sono insostituibili e non ammettono alternative. È molto importante la testimonianza e l’impegno pubblico delle famiglie cristiane, specialmente per riaffermare l’intangibilità della vita umana, dal concepimento fino al suo termine naturale, il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativi e amministrativi che sostengano le famiglie. Oggi occorre annunciare con rinnovato entusiasmo che il vangelo della famiglia è un cammino di realizzazione umana e spirituale. Questo annuncio è spesso deformato da false concezioni del matrimonio e della famiglia che non rispettano il progetto originario di Dio. La stabilità della famiglia è oggi particolarmente a rischio; per salvaguardarla occorre spesso andare controcorrente rispetto alla cultura dominante, e ciò esige pazienza, sforzo, sacrificio e ricerca incessante di mutua comprensione. L’unità e la saldezza delle famiglie aiutano la società a respirare i valori umani autentici e ad aprirsi al vangelo. La famiglia cristiana ha, oggi più che mai, una missione nobile e inevitabile: trasmettere la fede ai figli e inserirli nella comunità ecclesiale. Non stancatevi di essere sempre coraggiosi difensori della vita e della famiglia; proseguite gli sforzi intrapresi per la formazione umana e religiosa dei fidanzati e delle giovani famiglie. La manifestazione è una delle iniziative per dare particolare rilievo alla figura di san Francesco Saverio. Oltre alle gare sportive, in ogni sede ci sono stati momenti di animazione spirituale, visite culturali e dibattiti sulle grandi questioni sociali del mondo, affrontate con una forte connotazione missionaria, nello spirito di san Francesco Saverio. ■ Una storia speciale ● Caro vescovo... Ai partecipan- ti al corso di aggiornamento pastorale, riuniti a Parma a fine giugno, è stata consegnata un’ipotetica lettera che un pendolare ha scritto al proprio vescovo. “Caro vescovo, sento di aver davanti un uomo come me che, però, parla di Dio. Non mi continuare a dire che siamo pecca- tori, materialisti, che ci costruiamo un Dio a nostra misura. È vero, ma sono frasi che nascondono solo il bisogno di una grande speranza. Ho bisogno di un vescovo che mi dica dove sta Gesù, che mi insegni dove lo posso contemplare, dove posso trovare la sua parola. Sei una guida, una forza, sei davvero un pastore che va a prendere le sue pecore ovunque. Non stare solo con le 99; esci anche per me e per quelli che, come me, prendono tutti i giorni un treno per andare al lavoro. So che tanti preti ti seguono, ti ascoltano. Oso troppo se ti chiedo di giocare e cantare con loro, di stare tra la gente a farci sentire la tenerezza e la speranza di Dio? Sicuro della tua guida coraggiosa e profetica, spero di imboccare la strada giusta della vita”. ■ 2006 SETTEMBRE DIA LO G O E SO LIDARIET À lettere al direttore p. Marcello Storgato MISSIONARI SAVERIANI Via Piamarta 9 - 25121 Brescia E-Mail: [email protected] Pagina web: saveriani.bs.it/missionari_giornale pEr convincere i saveriani... Caro Direttore, ho vissuto un mese e mezzo in un grande centro giovanile in Africa. Dovresti dare più spazio alle testimonianze che vengono da quel centro, per far capire a tutti i saveriani che è meglio aiutare i giovani a crescere assieme, a creare una società tramite i giochi e i campi di lavoro. È meno importante battezzare le persone quando si è in terra di missione! Sto per entrare in seminario e quindi so bene cosa significhi missione. Io sono sempre più dell’idea che noi possiamo vivere il vangelo senza per forza battezzare gli altri. Domandiamoci: è così necessario battezzare, o è meglio trasmettere il vangelo con il nostro modo di vivere? Penso sia giusto lasciare a ognuno la propria religione e la propria credenza. Cordiali saluti, Marco, via E-mail Caro Marco, innanzitutto mi rallegro per la tua breve esperienza al centro giovanile, al quale abbiamo dato lo spazio che merita un’attività così significativa e faticosa in contesto africano. Ma non scriviamo su questo giornale per convincere i saveriani su cosa sia meglio fare: meglio i mattoni e i giochi, o meglio i battesimi? Tu sei convinto che battezzare non è così importante né necessario; sei convinto che è giusto lasciare che la gente creda quel che crede... Comunque, io sono convinto che un mattone, una gara di gioco e ogni altro impegno, aiutano la società a crescere meglio, se vivificati dal vangelo e dalla fede in Cristo salvatore. Avrai sentito parlare di qualche laico che è “più clericale del prete”. Beh, a volte capita che qualche missionario sia più laicizzato dei laici! Ma la missione è un’altra cosa. Basta guardare Gesù e leggere i vangeli. Egli guariva i malati, faceva vedere i ciechi, ascoltare i sordi, parlare i muti; consolava i poveri; a volte, procurava perfino il cibo e il vino... Con la parola e con i fatti, dava la prova che il regno dei cieli era in mezzo a noi. E ci teneva molto che tutti avessero fede in lui e nel Padre celeste. A noi, battezzati nello Spirito Santo, ha detto di andare in tutto il mondo, essere suoi testimoni, predicare il suo vangelo a ogni creatura, perché chi crede e sarà battezzato sarà salvo. Al missionario spetta fare tutto questo, sull’esempio di Gesù. Spetta anche a ogni cristiano e a ogni prete. Nessun altro, come i missionari, fa tanto per l’umanità povera e sofferente: grazie alla generosità di tante persone, costruiamo case per vivere, ospedali per curare, scuole per educare, cooperative per lavorare, pozzi per l’acqua potabile... Lasciamo casa e nazione, amici e comodità, per essere con i poveri del mondo, fino a dare la nostra vita per loro. Ma i doni più belli - che abbiamo ricevuto gratuitamente - sono la fede in Cristo, il vangelo e la chiesa, di cui facciamo parte con il battesimo. Questi sono anche i doni più belli che noi possiamo e dobbiamo fare all’umanità. Mai “per forza”, sempre “con amore”. Entrando in seminario, caro Marco, avrai certamente modo di riflettere sul vero significato della “missione”. Saluti fraterni a te e a tutti, p. Marcello, sx strumenti di animazione il dialogo nelle nostre scuole Per l’ottobre missionario, appoggiamo due belle iniziative. Venerdì 27 ottobre è il giorno scelto per lanciare la “Giornata del dialogo tra le religioni nelle scuole”. La proposta è stata fatta da Paola Bignardi, in ricordo del grande incontro di Assisi, avvenuto il 27 ottobre 1986, tra i rappresentanti delle religioni. Venerdì 20 ottobre, ultimo venerdì di ramadan, celebriamo la Giornata di dialogo cristiano-islamico, con la preghiera e il digiuno per la pace. Ai nostri lettori proponiamo di far conoscere queste due iniziative ai propri ragazzi che frequentano le scuole, perché ne diventino promotori nelle proprie classi, magari attraverso gli insegnanti di religione. Per l’occasione, abbiamo preparato 8 poster a colori (cm 48 x 68), che mostrano il pensiero delle 12 maggiori religioni al mondo su 8 aspetti importanti: religione, regola d’oro, dialogo, bambini, pace, nomi di pace, ecologia, ospite. • La serie di 8 poster vale € 14,00; un poster vale € 2,00. Richiedere a Libreria dei Popoli, Via Piamarta 9 - 25121 Brescia: Tel. 030 3772780 / int. 2; E-mail: [email protected] I MISSIONARI SCRIVONO Padre Leone e la grande festa del casato Occhio “La festa è stata un grande successo. Ci siamo ritrovati nella vecchia cascina, fatta costruire dal nonno nel 1910, dove siamo nati noi tutti undici fratelli, dei quali ancora sei in vita. Erano oltre cento persone, tutti discendenti della nostra famiglia”. Così Franco Occhio, uno dei fratelli di padre Leone racconta la grande festa nella cascina Primavera di San Gabriele, a Gallignano (Cremona). È una tradizione: la fanno ogni volta che il saveriano torna a casa dal Brasile, dove è missionario da oltre 50 anni. Una favela brasiliana, dove p. Leone Occhio (nel riquadro) ha lavorato “Abbiamo fatto vedere le immagini riprese durante la visita che alcuni di noi hanno fatto in Brasile lo scorso anno. Abbiamo visto i vari posti del Brasile, dove è stato missionario p. Leone. Abbiamo incontrato tanti saveriani a Belém, Abaetetuba, Manaus, Belo Orizonte, Fabriciano, Hortolandia e San Paolo”, racconta Franco. Durante la Messa in paese, p. Leone ha detto: “Sono tornato qui, dove conservo le mie radici e i più bei ricordi d’infanzia. Il paese ora è cambiato, anche nei volti e nel linguaggio, con fratelli di altre nazionalità, che ancora chiamiamo extra-comunitari”. Padre Leone è già tornato in Brasile. Gli auguriamo un buon apostolato, per molti anni ancora! Dall'Amazzonia, l'abbraccio riconoscente di p. Borghesi Cari amici di “Missionari Saveriani”, desidero ringraziarvi di cuore per l’aiuto che avete dato al progetto “Centro di formazione cristiana di Tucumã”, in Amazzonia (1/2005). Non abbiamo ancora finito di costruirlo, ma siamo a buon punto e abbiamo già cominciato a fare incontri e corsi. Il centro può ospitare fino a 200 persone. È un bel regalo per la chiesa locale! Qui la dignità della vita è minacciata non solo dalla miseria economica e dalle frequenti ingiustizie, ma anche dalla mancanza di conoscenza profonda del messaggio e della persona di Gesù. Perciò un centro di formazione è davvero prezioso. Bambini e ragazzi dell’infanzia missionaria, giovani e famiglie, capi di comunità e catechisti, ne avranno un grande beneficio. Qui i giovani del progetto “scuola familiare rurale” si preparano a lavorare la terra in modo più moderno e produttivo. Organizziamo anche corsi biblici e incontri di animazione missionaria. Insomma, questo centro è una vera grazia di Dio! A nome della nostra gente di Tucumã, vi dico “grazie!”. Nella nostra preghiera quotidiana non dimentichiamoci gli uni degli altri. Forse non avremo la possibilità di incontrarci e conoscerci, ma nello Spirito vi diamo l’abbraccio della riconoscenza. p. Giuseppe Borghesi, sx Padre Sommacal è tornato in Congo ed è felice! Dopo due anni in Francia e Italia, sono tornato in Congo. In Europa si sta bene. Ma io preferisco vivere con questa gente martoriata, e mi sento bene. Dopo le elezioni, la popolazione torna a sperare. Forse è la volta buona: avremo la pace e la possibilità di ricostruire il Paese. Le comunità cristiane sono in prima fila nell’impegno. Le Messe sono una festa, piena di gente. I cristiani escono con un impegno: insieme costruiamo un Congo nuovo dove sia bello vivere. Vorrei rivolgere un appello ai figli d’Africa, ai professionisti e agli intellettuali che vivono in Europa, America e Asia: Tornate a casa! Qui c’è bisogno delle vostre competenze. Lo stesso dico ai preti che tardano a rientrare nelle loro comunità africane. Ho un desiderio: aiutare a “costruire persone nuove”. Il mondo si rinnova con persone nuove. L’educazione è la via maestra per formare le persone e promuovere uno sviluppo vero e duraturo. In questo, l’apporto del vangelo è essenziale. Ringrazio per gli aiuti, perché mi date l’onore di essere tramite della vostra generosità verso questi fratelli che sono nel bisogno. Ricordo il proverbio biblico: “Chi fa la carità a un povero fa un prestito al Signore, che gli ripagherà la buona azione”. p. Raimondo Sommacal, sx solidarietÀ piccoli progetti 2/2006 - YAOUNDé Per i teologi saveriani 3/2006 - BRASILE Missionari per gli indio A Yaoundé, in Camerun, vive la teologia saveriana dell’Africa: 17 studenti e 4 padri formatori. Il costo medio per studente è di euro 13 al giorno. Si cercano amici disposti a sostenere, almeno parzialmente, le spese per la formazione di questi giovani studenti, missionari della chiesa di domani. • Responsabile del progetto è il saveriano p. Carlo Girola (superiore). In Brasile, circa 400 laici missionari e missionarie sono impegnati nella pastorale missionaria tra le popolazioni indio, con un sostegno di € 250,00 mensili. I vescovi desiderano creare un fondo per sostenere questi missionari. Sono gradite offerte libere per costituire il fondo. • Responsabile del progetto in Italia è il saveriano p. Diego Pelizzari. Chi desidera partecipare alla realizzazione di questi progetti, può utilizzare l’accluso Conto corrente postale, oppure può inviare l’offerta direttamente al C/c.p. 00204438, intestato a: Procura delle Missioni Saveriane, Viale S. Martino 8 - 43100 PARMA oppure bonifico bancario su C/c 000072443526 Cari Parma e Piacenza, Agenzia 6 abi 06230 cab 12706 Il conto corrente postale Si prega di specificare l’intenzione e il numero di Progetto sul C/c.p. Grazie. L’inserimento mensile del conto corrente postale è richiesto da molti lettori, per facilitare il rinnovo dell’abbonamento o inviare offerte, come e quando desiderano. Si prega di specificare la causale, scrivendola nello spazio riservato nel C/cp, sempre e solo davanti, mai nel retro. Grazie. 2006 SETTEMBRE ALZANO 24022 ALZANO L. BG - Via A. Ponchielli, 4 Tel. 035 513343 - Fax 035 511210 E-mail: [email protected] - C/c. postale 233247 Ad Alzano da mezzo secolo E ra il 3 maggio del 1956 quando il vescovo di Bergamo, mons. Giuseppe Piazzi, inaugurava la casa dei saveriani ad Alzano Lombardo. Da allora è passata molta acqua sotto i ponti. Abbiamo chiesto a p. Ettore Fasolini, saveriano di Bergamo, noto scrittore e già direttore di “Missionari Saveriani”, di raccontarci qualcosa di quegli anni, e non solo... Partiamo dall’inizio... Il beato Conforti, fondatore dei saveriani e vescovo di Parma, all'inizio aveva pensato a un seminario emiliano per le missioni. Poi, nel 1919, è stata fondata la prima casa apostolica per ragazzi delle scuole medie a Vicenza, dove è stato rettore il servo di Dio p. Uccelli. Allora, i saveriani erano pochi e l’unica missione era la Cina. In seguito, è stata aperta una casa a Grumone, tra Cremona e Brescia. A Grumone c’erano due saveriani che facevano propaganda missionaria ai ragazzi delle parrocchie. In tempo di guerra, si erano divisi le zone: padre Lini andava in bicicletta a Bergamo e nelle valli; padre Boggiani, sempre in bicicletta, andava a Brescia. Hai conosciuto p. Lini? Certo. Ricordo bene quando è venuto nel mio oratorio e ha parlato a tutti i ragazzi. Eravamo almeno 200. Alla fine, ha chiesto chi voleva diventare missionario e una trentina di noi si sono fatti avanti. Dopo qualche giorno, p. Lini è andato casa per casa, a parlare con i genitori e chiedere se poteva portare con sé i ragazzi. In dodici siamo partiti, con il carretto, fino a Brescia e da Brescia a Grumone con un camion. Tra questi ragazzi, oltre a me, c’era il ragazzo Fulvio Boffi. Era il 7 agosto del 1944. Perché una casa a Bergamo? Con il passare del tempo, i sa- a cura di DIEGO PIOVANI veriani si sono accorti che le vocazioni a Bergamo erano molto numerose. Per questo, hanno deciso di aprire una casa. Durante la guerra, il vescovo mons. Bernareggi aveva dato il permesso di aprire provvisoriamente una casa in alta val Seriana, a Gromo San Marino. Qui erano sfollati un gruppo di ragazzi con p. Dagnino e p. Fellini. Finita la guerra, il vescovo non ha più concesso il permesso per rimanere lassù perché a Bergamo c’erano già molti istituti religiosi: tra la città e Albino, in soli dodici chilometri, ce n’erano tre; altri ancora in pianura. Come s’è risolto il problema? Qualche anno dopo, i saveriani hanno ottenuto una residenza a Pedrengo con p. Achille Morazzoni. Vi erano ospitati non i ragazzi, ma le cosiddette “vocazioni adulte”. Nel 1955, il nuovo vescovo mons. Piazzi, a cui p. Achille era molto legato, ha In parrocchia e nelle scuole I racconti di Salgari e la missione P roseguiamo la chiacchierata con p. Ettore tra ricordi, aneddoti e curiosità. Come sceglievate i ragazzi? Ogni sabato, il direttore del centro missionario don Lecchi, ci dava il nome delle parrocchie dove andare la domenica per la giornata missionaria. Lì facevamo anche propaganda vocazionale. Inoltre, durante la settimana andavamo nelle scuole elementari e negli oratori. Erano tre occasioni in cui raccoglievamo adesioni. Per un mese durante l’estate, portavamo i ragazzi aspiranti missionari a Gromo San Marino e sceglievamo quei trenta o quaranta che ci sembravano più adatti per la vita missionaria e che avrebbe- 8 ro potuto studiare con noi. Nelle medie, abbiamo avuto fino a 100 studenti, tanto che p. Giuseppe Crippa ha dovuto costruire un’ala nuova della vecchia casa di via Adobati. Cosa raccontavate ai ragazzi? Il mio pezzo forte erano i racconti di Salgari. Raccontavo ai ragazzi che anch’io ero stato uno di loro e che ero diventato missionario perché p. Lini diceva che saremmo andati nel mondo. Da bambino sognavo di raggiungere le isole più sconosciute, proprio come “il pirata della Malesia”. Il racconto folcloristico e la chiamata di Dio facevano scoccare la scintilla. Anche oggi le mie omelie ai ragazzi nelle giornate missionarie Escursione invernale in alta val Seriana. Primo a destra basso, il rettore p. Romano Didonè; primo a destra alto, p. Giovanni Carrara a cura di D. PIOVANI sono impostate su questo copione: vocazione e missione, oltre al consiglio di leggere i miei libri che raccontano la missione. E gli insegnanti... Fino al 1965, facevamo scuola noi saveriani, con l’aiuto di qualche professore che veniva da fuori. I nostri ragazzi facevano gli esami come privatisti. Poi abbiamo ottenuto la scuola parificata. Così abbiamo avuto insegnanti e direttore esterno. Noi saveriani insegnavamo solo religione e curavamo la formazione. La nostra scuola è stata chiusa nel 1990. Come reagivano le famiglie? Fino agli anni cinquanta le famiglie bergamasche avevano molti figli. Ai genitori non dispiaceva che uno di loro studiasse in seminario o in un istituto missionario. Le uniche perplessità le avevano per il carattere dei figli, che erano un po’ discoli. Ma noi cercavamo proprio quelli! C’era un legame molto forte tra le famiglie e l’istituto. I genitori venivano la domenica e noi andavamo a trovarli in casa. L’aspetto formativo e spirituale era agevolato molto da questa unione e da questo rapporto. ■ foto MS / A. Costalonga Intervista a p. Ettore Fasolini Vacanze a Gromo San Marino con il rettore padre Pacifico Fellini dato ai saveriani il permesso di aprire una casa per gli “apostolini”. Così erano chiamati i ragazzi delle medie che studiavano dai saveriani. Il vescovo ha inaugurato ufficialmente la casa il 3 maggio 1956. Padre Achille Morazzoni ne è stato il primo rettore. A settembre, sono iniziate le attività del seminario minore con “apostolini” provenienti da Bergamo e dalla Sardegna. Con gli altri istituti religiosi non c’era rivalità; anzi, c’era collaborazione, soprattutto in ambito scolastico. Quanti saveriani c’erano? Nel 1957, c’erano una quarantina di “apostolini”. Il rettore era p. Pacifico Fellini. Economo era p. Giuseppe Novati, che si è dato da fare per ristrutturare la casa. Direttore spirituale era p. Luigi Simoncelli. C’era anche p. Angelo Costalonga. Io ero vice rettore, facevo scuola, mi occupavo della formazione dei ragazzi e, insieme a p. Simoncelli, andavo in cerca di vocazioni. L’anno dopo questo ruolo l’ha assunto p. Silvano Zennari. ■ (continua a lato) NOTIZIE DELLA FAMIGLIA Il 30 giugno scorso è morta a Lodrino (BS) la sig.ra Giuseppina Leviti, mamma di padre Marino Bettinsoli, all’età di 81 anni. Alla Messa di commiato, domenica pomeriggio, p. Marino, a nome della famiglia, ha ringraziato i fedeli presenti, i numerosi saveriani e sacerdoti, tra cui anche una delegazione della vicaria di Alzano Lombardo (BG), dove lavorano i saveriani. Dal Burundi, dove p. Marino ha lavorato, erano presenti p. Giovanni Carrara e p. Giuseppe De Cillia, mentre dal Centro giovanile Kamemge p. Claudio Marano ha fatto pervenire un messaggio di partecipazione con le firme di oltre 165 giovani. Dio accolga nella felicità eterna questa mamma missionaria. LA TRADIZIONE CONTINUA p. ETTORE FASOLINI, sx I saveriani di Alzano hanno sempre avuto a cuore il rapporto con i sacerdoti e il vescovo della diocesi. Godevano della stima dei sacerdoti che li chiamavano per il ministero della confessione e della predicazione. Eravamo presenti anche negli oratori e nelle scuole e siamo stati sempre ben visti. Questa tradizione continua anche oggi. I sacerdoti seguivano con interesse il percorso formativo dei “loro” ragazzi saveriani che andavano a Desio per il liceo, a Parma per la teologia e poi partivano per la missione. Ogni parrocchia a Bergamo ha un mensile illustrato; in ogni numero vengono date notizie dei missionari. Nella mia parrocchia siamo quattro saveriani. Oltre a me ci sono p. Lino Maggioni che è in Burundi, p. Alfiero Ceresoli che è in Brasile, p. Giacomo Milani che è in Messico. Oggi sono cambiate le situazioni della diocesi e delle parrocchie; ma il contatto e il rapporto con i saveriani si sono consolidati nel tempo. I sacerdoti ci chiamano; la gente viene a trovarci; l’affetto e la simpatia rimangono quelli di sempre. Noi saveriani ci sentiamo molto legati alla nostra gente e alla nostra chiesa. E la gente è molto legata ai suoi missionari. Quando andiamo in missione, il legame rimane molto forte; quando torniamo, siamo sempre accolti bene, quasi fossimo degli eroi. E noi in ogni occasione cerchiamo di far capire alle famiglie che la cosa migliore che possono fare è offrire un figlio alla missione nel mondo. 2006 SETTEMBRE BRESCIA 25121 BRESCIA BS - Via Piamarta, 9 Tel. 030 3772780 - Fax 030 3772781 E-mail: [email protected] - C/c. postale 216259 Giovane in mezzo ai giovani Padre Loda, missionario in Colombia P adre Mauro Loda, saveriano di Cellatica (BS), da sei anni è missionario in Colombia. Trovandosi a casa per un periodo di vacanza, ne abbiamo approfittato per farci raccontare la sua esperienza di misisone. Hai studiato a San Cristo? Ho frequentato gli ultimi due anni di scuola media, prima che la scuola apostolica chiudesse. Con p. Renato Filippini di Ghedi, ora missionario in Giappone, siamo gli ultimi saveriani bresciani che hanno studiato a San Cristo. Eravamo una settantina di ragazzi e alloggiavamo qui. Ricordo i momenti di gioco in cortile e il bel clima che si respirava. Tornavamo a casa ogni 15 giorni, oppure venivano a trovarci i nostri genitori e familiari. E hai conosciuto i saveriani Sì, li ho conosciuti grazie a p. Bruno Geremia, che era venuto a parlare nella mia scuola, quando facevo la quinta elementare. Ma al momento non ero rimasto colpito. L’anno dopo, p. Geremia è tornato in oratorio e mi ha invita- to alle giornate dell’amicizia che i saveriani organizzavano, una volta al mese, per i ragazzi bresciani. Mi piaceva l’idea di stare insieme agli altri, di vivere in comunità. Dopo un campeggio a Rino di Sonico, ho detto ai miei genitori che volevo diventare saveriano. Adesso sei in Colombia... Sono partito per la Colombia a gennaio del 2000 e lavoro a Bogotà. Sono arrivato in un momento di cambiamento per la missione, quando i saveriani hanno deciso di accogliere le vocazioni locali. È iniziata così un’attività nuova, quella dell’animazione vocazionale per la missione. Mi sono inserito in questo lavoro. Quindi lavori con i giovani? Una parte del mio lavoro ricalca quello che aveva fatto p. Geremia con me. Visito le scuole, parlo delle missioni, invito i ragazzi ai ritiri e alle giornate di convivenza. Cerco di capire chi è interessato a una vita missionaria. Nel 1998, a Medellin, abbiamo aperto una casa di formazione, dove accogliamo i giovani dopo le superiori. A Messa e a tavola Incontri per la Colombia P er un missionario è una fatica salutare parenti e amici prima di andare in missione. Così è stato anche per p. Gianni Zampini, responsabile della “Libreria dei popoli” di Brescia, alla vigilia della sua partenza per la Colombia nel 1980. I fratelli di p. Gianni, però, hanno rimediato al problema. Hanno organizzato a Bussolengo (VR) un grande incontro, invitando parenti e amici a pregare e mangiare insieme al missionario partente. Il Cottolengo a Buenaventura Questa tradizione continua anche oggi che p. Gianni è in Italia. Ma la decisione di proseguire non è stata casuale. “Nel 1988 - spiega p. Gianni - i miei fratelli sono venuti a trovarmi in Colombia, a 8 DIEGO PIOVANI Buenaventura. Così hanno conosciuto la realtà del Cottolengo. Un italiano non può rimanere indifferente, quando viene a contatto con la gente più emarginata”. Il Cottolengo è una struttura che ospita persone abbandonate o in situazioni difficili: orfani, handicappati, disabili, bambini di cui nessuno si prende cura. Funziona grazie all’opera di una congregazione spagnola, le suore del Cottolengo. Il fondatore è padre Arrupe, gesuita di Barcellona. “I miei fratelli sono rimasti meravigliati dal clima sereno e dall’aiuto reciproco tra gli ospiti. Così, l’incontro di Bussolengo si è rinnovato con finalità nuove”. La Colombia nel cuore Nel 1991 la festa si è allarga- Solo alcune delle tante persone che hanno pertecipato alla festa di Bussolengo a cura di DIEGO PIOVANI Che ragazzi scegliete? Di solito, cerchiamo ragazzi che abbiano una famiglia abbastanza stabile, con cui parlare durante l’anno di discernimento, prima di entrare in seminario. Sono ragazzi che non hanno alle spalle situazioni familiari... disastrate. È un’attività difficile, ma dà anche soddisfazioni, perché con molti ragazzi s’instaura un’amicizia che continua, anche se non entrano in seminario. Come sono i colombiani? In Colombia non è ancora arrivato tutto il benessere che c’è qui. C’è ancora attaccamento a tutto ciò che è religioso. Anche i ragazzi, passando davanti a una chiesa, fanno il segno della croce. Ma è una religiosità di tipo “magico”. Hanno un rapporto superstizioso con il divino. Pensano: “Se faccio questo, Dio mi protegge”. È un aspetto molto radicato, difficile da estirpare. Per diventare missionario occorre avere la giusta idea di Dio. Nei giovani, inoltre, si respira molto la violenza. Sono sempre sulla difensiva: l’altro è un possibile nemico. ta agli amici e alla parrocchia. Ogni anno è presente un missionario che lavora in Colombia. Il gruppo degli alpini si è offerto per curare la parte gastronomica. Adesso è un appuntamento fisso per oltre 500 persone: ogni anno, il primo sabato di luglio. “Il Cottolengo colombiano è nella parrocchia di Cristo Redentore, dove lavorano i saveriani. Mi sento legato a questo posto perché è sorto nel territorio dell’istituto Matia Mulumba dove lavoravo. È bello continuare a sostenere il lavoro delle suore che vivono di provvidenza, solo con la carità della gente. A noi sembra impossibile, ma quelle suore hanno tanta fede e riescono a commuovere la gente”, commenta p. Gianni. Con p. Mauro Loda Quest’anno ospite della festa, è stato p. Mauro Loda, missionario in Colombia. Ha detto: “A Bussolengo si respira un’aria di missione, che fa bene anche alla chiesa locale”. Anche a Brescia, da tre anni, c’è un’iniziativa simile chiamata Colombia’s friends. Approfittando della presenza di p. Mauro, tanti amici si sono riuniti nel chiostro di San Cristo per un concerto musicale tenuto dal grande coro Erika e dal gruppo latino americano Alma de sur: due mondi a confronto. ■ Padre Mauro durante la processione delle Palme a Buenaventura La Colombia è proprio così? Quando arrivi, non te ne accorgi. Poi capisci che le cose sono drammatiche. La violenza principale è per reati comuni. Le armi girano facilmente e la vita non ha valore. Fortunatamente, noi siamo a contatto con persone che ci vogliono bene, ci proteggono, hanno un occhio di riguardo per noi. Cosa si potrebbe fare? Investire di più su educazione e istruzione, mentre la Colombia privilegia la difesa (esercito e sicurezza). Il motto è: “devo cerca- re di sopravvivere a tutti i costi, anche se per farlo mi tocca ammazzare qualcuno”. Le “menti” della Colombia se ne vanno, chi riesce a studiare espatria o entra in una piccola elite. E la chiesa? La chiesa è impegnata nel processo di pace, ma ha anche paura. Ci sono situazioni che andrebbero denunciate, gridate; ma siamo nel Paese dove hanno ucciso più sacerdoti. Qualche anno fa hanno fatto fuori anche il vescovo di Cali. ■ NOTIZIE DELLA FAMIGLIA Il 30 giugno scorso è morta a Lodrino (BS) la sig.ra Giuseppina Leviti, mamma di padre Marino Bettinsoli, all’età di 81 anni. Alla Messa di commiato, domenica pomeriggio, p. Marino, a nome della famiglia, ha ringraziato i fedeli presenti, i numerosi saveriani e sacerdoti, tra cui anche una delegazione della vicaria di Alzano Lombardo (BG), dove lavorano i saveriani. Dal Burundi, dove p. Marino ha lavorato, erano presenti p. Giovanni Carrara e p. Giuseppe De Cillia, mentre dal Centro giovanile Kamemge p. Claudio Marano ha fatto pervenire un messaggio di partecipazione con le firme di oltre 165 giovani. Dio accolga nella felicità eterna questa mamma missionaria. tempo di Anniversari p. RENATO FILIPPINI, sx Il 2006 per la mia famiglia è un anno speciale. Dieci anni fa, proprio in occasione della beatificazione del Conforti, nella basilica di san Paolo fuori le mura a Roma, ho fatto la promessa definitiva di essere saveriano, assieme ad altri 13 confratelli. Papà e mamma, invece, hanno raggiunto 40 anni di vita matrimoniale, essendosi sposati il 28 maggio del 1966. Per come vanno le cose oggi, questa è una notizia da prima pagina dei giornali, invece del solito scoop sull’ennesimo divorzio del vip di turno... Le celebrazioni per il quinto centenario della nascita del Saverio ci hanno dato lo spunto per festeggiare e ringraziare il Signore per queste due tappe significative nella nostra vita religiosa e familiare. In maggio, con mamma e papà, mi sono recato in Spagna per un pellegrinaggio nei luoghi dove il 7 aprile del 1506 era nato il Saverio. San Francesco Saverio mi aveva affascinato già all’età di dodici anni, quando decisi di entrare dai saveriani. Agli inizi della mia attività missionaria mi è stato così P. Renato con mamma e papà vicino che l’ho portato... al castello di Javier, in Spagna in braccio. Infatti, nel 1999, conclusi gli studi di lingua giapponese, sono stato destinato a Kagoshima, proprio nel 450.mo anniversario del suo arrivo. Per tale occasione, da Roma era stata portata la reliquia del braccio del santo e io ho avuto la gioia di portarlo in processione con le mie stesse mani. 2006 SETTEMBRE CAGLIARI 09121 CAGLIARI CA - Via Sulcis, 1 Tel. 070 281310 - Fax 070 274419 E-mail: [email protected] - C/c. postale 12756094 Nella chiesa dedicata al Saverio Da Orani, le bandiere della missione 11 giugno i misD omenica sionari saveriani di Caglia- ri e Macomer hanno organizzato un pellegrinaggio alla chiesa campestre di san Francesco Saverio di Orani, in provincia di Nuoro. è stata una delle iniziative per celebrare i 500 anni della nascita del santo missionario, modello dei saveriani. Canti e bandiere al vento Gli amici di Cagliari hanno percorso la salita portando le tredici bandiere dei paesi dove lavorano i missionari saveriani. Il sentiero è una vecchia pista che portava alla miniera di talco, ora chiusa. Le ruspe l’hanno reso percorribile nella bella stagione anche alle auto, che però sollevano un gran polverone sui viandanti pellegrini. Alla fine della Messa, le tredici bandiere sono state fatte sventolare su Orani e sulla Sardegna, dalla cima del monte. È stato un augurio e un gesto di benedizione perché si diffonda un nuovo spirito missionario nelle comunità cristiane dell’isola. Gli amici di Orani, con la priora della chiesa, hanno preparato i fogli del “gosos de santu Franziscu Saveriu”, cantato alla fine della Messa con il parroco don Pietro, salito per l’occasione sul monte con i suoi giovani. Don Pietro ha ricordato di aver ammirato il lavoro dei missionari saveriani durante il suo viaggio in Bangladesh, quando ha fatto visita a suor Filomena, missionaria di Orani. La novena della grazia Padre Ezio Meloni, tornato dal Congo per un periodo di riposo, ha portato la bandiera sarda dei quattro mori, per ricordare l’impegno dei saveriani sardi nei quattro continenti dove sono missionari. Erano presenti i genitori di p. Andrea Rossi, la mamma di p. Marco Milia e p. DINO MARCONI, sx p. Giovanni Matteazzi, attuale maestro dei novizi ad Ancona, che è venuto a rivedere la Sardegna dove aveva lavorato come animatore giovanile. La chiesa campestre di Orani è usata per la “novena della grazia” a san Francesco Saverio, che si pratica dal 4 al 12 marzo. La devozione è stata diffusa dal gesuita Mastrilli che, dopo la guarigione ottenuta, per gratitudine, cercò di diffondere la devozione a san Francesco Saverio. Mastrilli raccontava che il Saverio lo aveva rassicurato che “quanti avessero richiesto la sua intercessione presso Dio per nove giorni, avrebbero sperimentato gli effetti del suo grande potere nei cieli e avrebbero ricevuto qualsiasi grazia che avesse contribuito alla salvezza”. Come il giocattolo preferito Padre Pierobon, durante la Messa, ha ricordato che nella Una giornata di festa e di fede I saveriani delle comunità di Cagliari e Macomer hanno celebrato la Messa con i pellegrini, davanti alla statua di san Francesco Saverio. Da sinistra, p. Lorenzato, p. Meloni, p. Pierobon, p. Matteazzi, p. Rossi, p. Corvini. Tra le bandiere e tanta gente, erano presenti anche i genitori di p. Andrea Rossi. 8 La Madonna di Gonare con in braccio Gesù bambino che tiene nella mano la sfera del mondo. Le bandiere delle nazioni sono state benedette e fatte sventolare dalla cima del monte, su Orani e la Sardegna chiesa del castello di Navarra, dove Francesco Saverio è nato, si venera il Cristo crocefisso sorridente, che deride la danza macabra degli scheletri di morte, affrescati sulle pareti. Sembra che dica: “Io ho vinto la morte!”. Padre Corvini ci ha dato appuntamento per il prossimo anno, ancora più numerosi. I partecipanti più agili, accompagnati dalla saveriana Piera Grandi, sono saliti al santuario di Gonare per il ripido e roccioso sentiero. Hanno recitato il rosario missionario sulla cima del monte. La statua rappresenta la Madonna con il Bambino in braccio che, a sua volta, tiene una sfera sottobraccio. Sembra che Gesù tenga caro il mondo, come un bambino il suo giocattolo preferito. Là piove, qui è sereno Gli amici dei saveriani di Macomer, il 2 giugno, hanno fatto un pellegrinaggio al santuario mariano “Noli me tollere” di Sorso. Qui si sono trovati a pregare con altri pellegrini provenienti da Cagliari. Hanno goduto una giornata di sole, mentre a Macomer pioveva, secondo i messaggi arrivati sui telefonini. Infatti, il vento spingeva le nubi all’interno della Sardegna e lasciava a noi contemplare l’azzurro mare di Balai, dove si trovano le chiese dei protomartiri torritani. ■ I BAMBINI POLIO DI BUKAVU p. LORENZO CASELIN, sx Padre Lorenzo Caselin da quasi quarant’anni è missionario in Africa. In una lettera agli amici sardi descrive la situazione del Congo e il suo lavoro. La situazione qui in Congo è ancora drammatica. Nella regione del Kivu, la gente paga con la vita le violenze di bande armate che spadroneggiano. Anche l’esercito governativo, mal pagato, invece di contribuire alla pace e alla sicurezza, abusa delle sue armi contro i civili. Dal 1996, il clima di violenza ha provocato la morte di circa 4 milioni di persone. È un quadro catastrofico che ha fatto della crisi congolese “la più sanguinosa nel mondo” dalla fine della seconda guerra mondiale. Le violazioni dei diritti umani e i combattimenti sono durati troppo a lungo, perché la pace possa stabilirsi senza un forte aiuto da parte della comunità internazionale. Le elezioni del 30 luglio, per il rinnovo del parlamento e del presidente, possono essere l’occasione per un processo di pace e di democrazia. Il popolo ha bisogno di uomini che si impegnano nello sviluppo del Paese, costruendo pace e giustizia. Io continuo il mio lavoro al cenPadre Lorenzo con un bambino tro Hery Kwetu, che assiste i ragazzi colpito da poliomielite, in Congo handicappati con apparecchi ortopedici. Cerchiamo di far diventare questi ragazzi sarti, calzolai, falegnami, meccanici..., perché possano essere autosufficienti in futuro. La maggior parte dei bambini viene dalla città di Bukavu e dalla regione del Kivu dove, per mancanza di vaccinazione, i bambini poliomielitici sono in aumento. 2006 SETTEMBRE CREMONA 26100 CREMONA CR - Via Bonomelli, 81 Tel. 0372 456267 - Fax 0372 39699 E-mail: [email protected] - C/c. postale 00272260 In Africa, Gesù mi aspettava Intervista a p. Vittorio Bongiovanni a cura di don PIERGIORGIO TIZZI Padre Vittorio Bongiovanni è nato a Bozzolo (MN) 65 anni fa. Dopo aver studiato a Cremona, è diventato saveriano il 3 ottobre 1960 e otto anni dopo è stato ordinato sacerdote. È nipote di un famoso missionario saveriano cremonese, morto in Congo nel 1985: p. Pacifico Fellini. Rosa Maria Fellini, sua sorella era una santa mamma. Insomma, siamo davanti a una famiglia di santi! Padre Vittorio ha lavorato per molti anni, con entusiasmo giovanile, nell’animazione missionaria e vocazionale presso la comunità saveriana di Vicenza. Ha lavorato così bene “che tutti lo volevano e non lo lasciavano partire per le missioni”, così mi ha confessato un suo compagno vicentino. Padre Vittorio ha parlato un po’ di sé in quest’intervista rilasciata a un nipote, don Piergiorgio Tizzi, giovane sacerdote cremonese, figlio di sua sorella Milla. p. Sandro Parmiggiani, sx zio saveriano, padre A llo Vittorio, ho rivolto alcu- ne domande. Volevo che raccontasse almeno qualcuna delle sue mille esperienze missionarie, tutte interessanti e vivaci. Mi ha subito detto che gli era difficile contarle e raccontarle tutte, che sono state tutte belle, almeno per lui, e che sperava che anche la sua gente si fosse trovata bene con lui. A loro egli ha dedicato gran parte della sua vita. Sei stato in Sierra Leone... Sì, in Sierra Leone ho trascor- so 26 anni della mia vita. I primi dieci anni ho lavorato come missionario nei villaggi. Mi avevano mandato in una zona musulmana, vasta come la provincia di Cremona, per iniziare una missione di evangelizzazione. Non c’era nessuna comunità cristiana. Dopo dieci anni di lavoro, se n’erano formate quattordici. Sono arrivato là e ho preso in affitto la stanza di una capanna. Per l’affitto annuale ho pagato due sacchi di cemento, che il proprietario ha usato per fare un po’ di pavimento nella mia stanza: Padre Vittorio presenta ai ragazzi le ospiti cremonesi in visita in Sierra Leone ha fatto chiudere i buchi nel pavimento di terra battuta, da dove entravano certi toponi... Dall'Africa a Chicago e ritorno Continua l'intervista a p. Vittorio 1991 in Sierra Leone è N elscoppiata una terribile e interminabile guerra. Vari missionari e missionarie sono state sequestrate dai ribelli. Anche p. Vittorio ha vissuto in prima persona esperienze drammatiche. Come ti sei comportato? La guerra è durata dieci anni, dal 1991 al 2001. In questo periodo ho scoperto la mia nuova vocazione: liberare i bambini soldato dai ribelli. Due volte mi hanno preso come ostaggio. Su quello che ho vissuto potrei scrivere un libro. Più semplicemente, la mia storia è molto simile a quella raccontata nel film “Hotel Ruanda”. Il film racconta la mia storia, solo che io l’ho vissuta in Sierra Leone. Io sarei il manager dell’hotel... 8 Perché sei finito a Chicago? Per tutto quello che avevo passato, i superiori mi hanno detto che avevo bisogno di una pausa, cioè di venire via dall’Africa per un certo periodo. E così sono approdato negli Stati Uniti con il compito di formatore degli studenti saveriani di teologia, a Chicago. Sono stati tre anni lunghi come trenta, ma finalmente adesso posso ripartire per la Sierra Leone. Quali sono le necessità urgenti della missione? Tutto il mio ministero, diversamente da come possa apparire, è stato finalizzato alla “costruzione” di persone, non di edifici. Certo, abbiamo anche costruito chiesette e scuole; ma questo lavoro l’hanno fatto soprattutto i sierraleonesi. Io cercavo solo di far capire loro il significato e l’importanza di questi edifici. A tutto il resto ci hanno pensato loro. Padre Vitttorio in Sierra Leone vestito da capo tribù, in una foto di qualche anno fa a cura di don PG. TIZZI Come possiamo sostenerti? Negli anni trascorsi in Sierra Leone ho aiutato molti giovani, ragazzi e ragazze, ad andare a scuola, a prendere coscienza della loro dignità. Avevo in mente il piano di mandare i giovani all’università e di aprire loro una strada che li portasse a coprire posti di responsabilità e di governo nel Paese. È importante avere una classe dirigente, impegnata nella società con idee cristiane. Per questo, ritengo indispensabile la formazione dei giovani perchè diventino formatori dei loro fratelli e delle loro sorelle. Se mi volete aiutare, il vostro sostegno servirà per mandare a scuola e formare giovani poveri ma intelligenti. Per fortuna, i ricchi non hanno ancora il monopolio dell’intelligenza... Cosa significa per te essere missionario? Significa semplicemente essere cristiano; prendere cioè sul serio il Signore e cercare di aprire occhi, orecchie e soprattutto il cuore, per fare la sua volontà là dove egli mi vuole. Questo non è sempre facile. L’ho sperimentato andando negli Stati Uniti, quando il mio cuore si era fermato in Sierra Leone. ■ In pratica, cosa facevi? Tutta la mia attenzione era diretta a creare le comunità di base. Io ho una convinzione: i sierraleonesi devono essere convertiti da sierraleonesi, non da stranieri. Perciò il mio lavoro non consisteva nel riempire bottiglie vuote, ma nello stappare bottiglie e tirare fuori quello che già avevano dentro. Prima di partire per l’Africa, mi dicevano che ero bravo perchè portavo Gesù tra gli infedeli. E io, povero illuso, ci credevo. Sono arrivato in Africa e, con mia sorpresa, ho scoperto che Gesù era già là che mi aspettava. Poi cos’è successo? II vescovo mi ha “punito”, tradendo i miei gusti, e mi ha portato via dai villaggi dove mi trovavo davvero a mio agio. Mi ha nominato direttore del centro pastorale e responsabile della pastorale giovanile della diocesi. Qui il mio compito è stato quello di preparare sussidi di pastorale per le parrocchie e di organizzare corsi di formazione per catechisti, per capi di comunità e per i giovani. Ho imparato tanto, soprattutto ascoltandoli e crescendo insieme a loro. Mi avevano promesso che, al massimo dopo nove anni, mi avrebbero liberato da questo impegno. Invece, in questo ministero sono stato impegnato per ben sedici anni continui. ■ (continua a lato) una malattia strana p. SANDRO PARMIGGIANI, sx C’è un male strano che colpisce gli africani e soprattutto i missionari. Non è una malattia del corpo, come la malaria, la tubercolosi, l’Aids o la lebbra. È come un malessere che si prova nello spirito e nella mente, un male psicologico che porta a un rimpianto, a una nostalgia profonda dell’Africa, dei suoi orizzonti infiniti, delle sue foreste e perfino dei suoi deserti immensi, della sua povertà rassegnata e spesso spensierata, della sua semplicità quasi infantile. Questa strana malattia si chiama “mal d’Africa”. Colpisce gli africani che sono costretti a emigrare per non lasciar morire di fame le loro famiglie. Colpisce anche i missionari, costretti a lasciare le missioni e i villaggi per curare la loro salute compromessa dall’età, dalle fatiche e da malattie incurabili. Quando vado a Parma, nella nostra casa madre fatta edificare dal fondatore il beato Conforti, mi piace visitare i numerosi missionari anziani e malati, che sono amorevolmente assistiti e curati da confratelli più giovani e da personale laico specializzato. Questa sollecitudine fraterna verso i missionari infermi mi commuove. Ne sono riconoscente e ammirato, santamente orgoglioso. I nostri “vecchi” noi li teniamo in famiglia, non li abbandoniamo in case di riposo. E se non riusciamo a prolungare la loro vita e a migliorare la loro salute fisica, riusciamo però ad alleggerire le loro pene corporali e interiori. Padre Martini aiutato da un giovane confratello congolese alla casa madre di Parma 2006 SETTEMBRE DESIO 20033 DESIO MI - Via Don Milani, 2 Tel. 0362 630591 - Fax 0362 301980 E-mail: [email protected] - C/c. postale 00358200 Ragnatela, muschio e lumaca Contemplando Dio, in mezzo alla natura le vacanze, la nostra D urante comunità di Desio ha tro- vato il tempo per un giorno di ritiro fra le vette dolomitiche e le acque dolci del lago di Molveno. Eravamo insieme ai novizi e ai missionari della comunità saveriana di Ancona. Tre segni da rispettare Padre Giovanni Matteazzi, “maestro dei novizi”, ci ha condotti per mano a passeggio fra le pagine bibliche, aiutandoci ad aprire le orecchie alla “parola-messaggio” che il Signore ci dona attraverso il linguaggio della natura. Il silenzio che accompagnava la riflessione era un invito ad aprire gli occhi e a cogliere quanto ci parlava di Dio. L’idea era quella di portare alla celebrazione eucaristica qualcosa, un segno da condividere con gli altri. Sul sentiero boschivo, alla ricerca dei “segni”, ho deciso che non avrei portato nulla all’altare. Non per pigrizia, ma per rispetto. Infatti, mi ero imbattuto in tre segni che avevano suscitato in me fantasia, ammirazione e preghiera. In effetti, li avevo con- Quadro in lacca: il Crocefisso completa e valorizza le bellezze del Giappone p. CLAUDIO CODENOTTI, sx templati! Il primo era una ragnatela che, intrisa di rugiada, luccicava tra i rami di un nocciolo. Il secondo era una lumaca che, ai limiti del sentiero, tentava di valicare alcune foglie bagnate. Il terzo era un sasso coperto dal muschio, rinverdito dallo scroscio d’acqua della notte. Dio presente in tanti modi Come portare via queste cose dal loro ambiente naturale? Come annullare la fatica di ore della lumaca, di giorni della ragnatela, di anni del muschio sul sasso... per un gesto devoto, ma poco rispettoso della “preghiera” che la natura innalza al suo Creatore? Nel silenzio e nello sguardo rispettoso, pensavo alla fretta che spesso guida le nostre azioni. Il tutto, il facile e il subito è diventata la legge per tanti giovani e adulti, che pretendono di stringere le dita e di afferrare quello che è stato dona- Incontri per tutto l'anno Nella diversità la nostra ricchezza R 8 icordo la pelle d’oca sulle mie braccia la prima volta che in un tempio shintoista ho ascoltato un concerto dei giganteschi tamburi giapponesi. La stessa esperienza l’ho vissuta quando ho ascoltato per la prima volta la recita di una sutra buddhista, fatta da un coro di monaci. anno intero. Avrà il suo culmine in una mostra dedicata a questo tema, a maggio, durante la Festa dei popoli. Faremo anche un lavoro capillare nelle scuole, utilizzando i ricchi sussidi che i saveriani di Brescia e “Cem Mondialità” hanno preparato con gli otto poster proprio su questo tema. Le religioni a confronto Ho provato emozioni identiche anche al concerto del coro “Città di Lissone” del nostro amico Emilio. Il concerto aveva per titolo “I popoli cantano il divino”. Era una raccolta di canti religiosi di vari popoli e culture. È davvero bello vedere come i popoli esprimono in modi così diversi la loro disposizione al mistero divino. Ancora di più, ho capito quanto spazio ci sia per il lavoro missionario. Per questo, i saveriani di Desio propongono un “corso” a tutti gli amici interessati. Si tratta di alcuni incontri formativi e momenti artistici per conoscere, in modo approfondito e immediato, le espressioni religiose dei popoli di continenti diversi. Il corso dura un Non perdiamo l’occasione La paura lasci spazio allo stupore; la curiosità si trasformi in conoscenza e rispetto; l’indif- p. C. CODENOTTI, sx ferenza ceda il passo al desiderio di comunicare il tesoro della multiforme ricchezza religiosa dell’umanità. Siamo missionari nella misura in cui ci sentiamo ricchi di qualcosa che vogliamo offrire. Siamo tutti invitati, dunque, ad approfittare di queste opportunità, che i saveriani offrono sia nella loro sede di Desio che in altri luoghi, come verrà specificato nel programma. Inizieremo a novembre con incontri approfonditi. Tra aprile e maggio avremo momenti culturali e artistici, per gustare i doni dell’incontro con le religioni del mondo. La mostra - valida per i grandi e per i bambini - raccoglierà oggetti di culto e immagini folcloristiche o cultuali di tante tradizioni religiose. Noi ci stiamo già preparando e vi aspettiamo. Nel riquadro accanto, potete leggere il programma completo. Per conoscere e acquistare i poster, potete vedere a pagina 7, nel riquadro “Strumenti di animazione”. ■ L’ideogramma “kokoro - cuore”, dipinto dal bonzo giapponese Furukawa to per tutti. La natura mi insegna a rispettare i tempi, a non fuggire dalla legge della fatica-lavoro. Ma, come dicevo, mi trasporta anche nel modo in cui Dio è discretamente presente nella nostra vita. È la testimonianza della sua pazienza, della varietà del suo manifestarsi e della capacità di servirsi dei movimenti del cuore umano, per aprire vie che conducono a lui. Una sveglia per il cuore In Giappone ho incontrato molte persone non cristiane che, attraverso la natura, hanno saputo iniziare cammini di contemplazione che li hanno portati all’incontro con Gesù. Il Signore si è servito della loro sensibilità religiosa per parlare al loro cuore. Non conta il tempo impiegato e la fatica. Quel che conta è la meta intravista, perseguita e poi raggiunta. Con profondo rispetto, ammirazione e silenzio ho visto compiersi questi miracoli. Non ho affrettato la fioritura. Ho solo indicato ciò che avrebbe dato splendore alla bellezza da loro gustata. Nelle espressioni culturali, artistiche, estetiche o gioiose dei giapponesi c’è già il germe della conoscenza di Dio. Alcuni di questi loro momenti, a cui ho partecipato, hanno la capacità di smuovere davvero le corde del cuore. Sono un aiuto dato ai sensi e al nostro corpo, perché si accorgano della dimensione dello Spirito. Sta a noi missionari riuscire a fare questo salto nell’incontro con Dio, che si è fatto uomo e ci ha parlato di sé usando parabole così vicine alla nostra vita e al creato. Non è un lavoro facile, perché ci coinvolge nella nostra esistenza, che deve essere fedele e, nello stesso tempo, un segno facile da leggersi. ■ INIZIATIVE DI FORMAZIONE 2006-07 Programma culturale Nell’ambito degli incontri sul tema “Religioni: nella diversità la ricchezza”, proponiamo un corso con cinque appuntamenti, un sabato al mese, dalle 15 alle 18, presso i missionari saveriani di Desio. Chi è interessato, è pregato di prenotarsi chiamando il numero 0362 630591. È previsto un piccolo contributo spese. Ecco il calendario: • sabato 18 novembre: Introduzione generale • sabato 16 dicembre: L’islam (prima parte) • sabato 20 gennaio: L’islam (seconda parte) • sabato 17 febbraio: Panorama italiano delle religioni • sabato 17 marzo: Laboratorio con i poster del Cem Le serate culturali, aperte a tutti, saranno il 14 e 20 aprile, il 4 e 11 maggio 2007, nella casa saveriana di Desio alle ore 21,00. Il gruppo “Terza domenica” Con l’arrivo dell’autunno anche il gruppo “Terza domenica” riprende le attività. È un cammino di formazione missionaria per i giovani che desiderano scoprire la bellezza della missione, ascoltare i testimoni della missione, vivere l’urgenza della missione per incontrare i più lontani con uno stile di vita evangelico. Gli incontri si terranno la terza domenica del mese, dalle 9 alle 18, presso i missionari saveriani di Desio. Iniziamo sabato 17 settembre, con una biciclettata di “inizio anno”. Le altre date mensili, da segnare subito sul vostro calendario, sono: domenica 29 ottobre; domenica 19 novembre; domenica 17 dicembre; domenica 21 gennaio; domenica 18 febbraio; domenica 25 marzo; domenica 22 aprile. Inoltre, dal 18 al 25 marzo, faremo una settimana di vita comune; il 19 e 20 maggio celebreremo la “festa dei popoli”; il 9 e 10 giugno faremo la gita conclusiva. 2006 SETTEMBRE FRIULI 33100 UDINE UD - Via Monte S. Michele, 70 Tel. 0432 471818 - Fax 0432 44185 E-mail: [email protected] - C/c. postale 210336 La scuola apostolica di Udine “Una vita dura, ma eravamo felici” Riprendiamo la storia della presenza dei saveriani a Udine, dopo la prima “puntata” pubblicata su “Missionari Saveriani” del mese di maggio. I l motivo principale per cui la casa è stata aperta nel 1946 era la cura delle vocazioni missionarie. L’arcivescovo di Udine mons. Nogara, ricevendo l’8 ottobre 1946 i saveriani della comunità che gli rendevano omaggio, porgeva fervidi auguri perché il “nido missionario si sviluppasse accogliendo numerose vocazioni”. Una giornata ordinaria I ragazzi rimanevano a Udine tre anni, per compiere gli studi delle medie inferiori. Erano chia- La posa della prima pietra per l’ampliamento della casa, con il vescovo mons. Nogara, il rettore p. Morandi, il direttore spirituale p. Fantelli e p. Pozzato Una nuova primavera Tempi diversi, stesso stile subito che la criD iciamo si delle vocazioni non ci ha colto di sorpresa e non sono mancati i tentativi per affrontare il problema. 8 L’accompagnamento in famiglia Prima che venisse chiusa definitivamente l’esperienza degli “apostolini”, siamo partiti con l’iniziativa di “accompagnare” i ragazzi nelle loro famiglie. I ragazzi restavano in famiglia e noi li visitavamo per aiutarli a rispondere alla vocazione missionaria. Questa esperienza ha comportato un lavoro prezioso di rapporto fraterno e formativo con tante famiglie. I genitori erano particolarmente coinvolti nell’aiutare i propri figli a compiere una scelta vocazionale missionaria. Questo tentativo è durato alcuni anni. Nonostante gli sforzi e le risorse pedagogiche adottate, non ci sono stati grandi risultati. La situazione concreta ci ha spinti a rinnovare la nostra presenza missionaria, non solo qui in Friuli ma in tutta l’Italia. La preoccupazione ora non è quella di portare in casa i ragazzi per un discernimento vocazionale missionario, ma quella di esse- p. D. MENEGUZZI, sx re “anima missionaria” per tutta la diocesi. Naturalmente, siamo ben felici di accompagnare ragazzi e giovani che manifestano il desiderio di seguire l’ideale missionario per tutta la vita! La casa di presenza La nostra casa e la nostra presenza, pian piano, hanno perciò preso un altro volto, per realizzare un altro obiettivo: stimolare la chiesa locale alla dimensione missionaria universale. In altre parole, noi missionari siamo a disposizione della chiesa locale, nella nostra diocesi, per ricordare in tutti i modi il progetto di p. DOMENICO MENEGUZZI, sx mati “apostolini”, cioè piccoli apostoli. La vita era come quella degli altri ragazzi impegnati nello studio. Ma la loro giornata era impostata con momenti particolari che cercavano di far crescere la dimensione cristiana e missionaria di ogni ragazzo. Appena alzati, partecipavano alla Messa, preceduta dalle preghiere del mattino e da una meditazione sotto la guida dal rettore o del padre spirituale. Dopo la colazione, tutti in classe per seguire le lezioni. Nel pomeriggio c’erano momenti di gioco e di studio. La giornata si concludeva con una breve sosta in chiesa e le preghiere della notte. I ragazzi erano contenti dell’esperienza, anche se la vita a volte era un po’ spartana. Il ghiaccio nel catino e patate bollite Anch’io sono stato un “apostolino” di Udine. Tra tanti episodi, per esempio, ricordo che nell’inverno del 1954 per poter Gesù Cristo: predicare il vangelo a tutti i popoli, per fare del mondo una sola famiglia. Ogni chiesa locale, ogni diocesi, deve tenere sempre presente l’orizzonte universale. Cristo è venuto per tutti e si serve di noi perché ogni persona vivente nel mondo possa capire che Dio la ama in modo infinito. Ogni comunità parrocchiale deve sentire l’ansia evangelica di far conoscere e amare Gesù a tutti coloro che ancora non lo conoscono e amano. In questo modo, noi saveriani cerchiamo di mantenere sempre acceso l’ideale missionario. Giovanni Paolo II ha scritto: “la missione alle genti è solo agli inizi; vedo rifiorire una nuova primavera missionaria”. Noi restiamo qui a Udine proprio per questo! ■ In montagna, gli “apostolini” intrattengono i genitori in visita Padre Roberto Dal Forno celebra la Messa con gli “apostolini”, nello sfondo suggestivo dei monti della Carnia lavarci il viso dovevamo spaccare il ghiaccio che si era formato nel catino. Né ho dimenticato tutte quelle volte in cui, per risparmiare, mangiavamo patate al posto del pane. Oggi, forse, si possono valutare diversamente quei tempi. Eppure, tranne qualche eccezione, eravamo tutti contenti. Ne abbiamo ricevuto conferma anche durante i vari incontri che abbiamo avuto recentemente con coloro che sono stati nostri compagni in quegli anni. Tutti ricordano con gioia i momenti trascorsi con noi missionari, anche se qualcuno talvolta è stato ripreso con metodi non troppo... cristiani. 1967, la festa del Saverio Si può capire quale fosse il clima di quei tempi, leggendo la cronaca della festa di san Francesco Saverio del 1967. “Giornata primaverile. Tutto è preparato a festa: corridoi, cortili con bandiere e manifesti. Ore 10,30: Messa solenne con discorso, celebrata dal nuovo vicario generale della diocesi, mons. Ganis. Alla Messa prendono parte anche alcuni parenti dei nostri ragazzi. Oggi è anche domenica. Ore 12,30: pranzo speciale per tutti. Sono nostri ospiti l’onorevole Bersanti, il prof. Burtolo, il sig. Cossio e altri. Dopo pranzo, gare sportive. Ore 16,00: cinema, “800 leghe sull’Amazzonia”. Ore 18,30: arriva S. E. mons. arcivescovo per la solenne concelebrazione. Comunione con l’Ostia e il Vino. Mons. Zaffonato si ferma con noi a cena. Ore 21,00: preghiera e riposo. Tutto è riuscito bene. Deo gratias!”. La chiusura della scuola Così, anno dopo anno, gli “apostolini” sono andati sempre aumentando a tal punto che la casa ha dovuto essere ampliata. Nel grande cortile dove giocavamo - lo chiamavamo “buca”, perché ricavato dal fosso per costruire l’argine che doveva servire per la linea ferroviaria verso Pagnacco - sono stati fatti due ampliamenti in tempi diversi. Ma la Provvidenza ci ha messo a dura prova. Nel 1975, una volta ultimate tutte le strutture, è iniziata la crisi delle vocazioni. I ragazzi cominciarono a diminuire finché, nel 1992, si è arrivati a chiudere la cosiddetta “scuola apostolica”. È stata una sofferenza sentita da tutti, non solo da noi missionari, ma anche da tanta gente che ci ha voluto bene e che ci ha accompagnato con tanto amore. ■ (continua a lato) VI DICIAMO “grazie!” p. DOMENICO, sx Siamo in festa. Noi missionari saveriani in questo mese di settembre compiamo sessant’anni di vita e di presenza nell’arcidiocesi di Udine. È una tappa importante, perché lungo questi anni abbiamo visto la Provvidenza che ci ha sempre guidato per realizzare il carisma del nostro fondatore, il beato Guido Conforti: dare vita a una famiglia di missionari da inviare in tutto il mondo. Sono una cinquantina i saveriani friulani che annunciano il vangelo di Gesù in varie nazioni. Siamo consapevoli che senza l’aiuto di tante persone - sacerdoti e laici incontrate nel nostro cammino, non saremUn record: cinque friulani ordinati lo stesso anno mo mai arrivati a queDa sinistra in piedi, p. Giuseppe De Cillia, p. Pio Devoti sto traguardo. Grazie (già in cielo) e p. Ernesto Tomè. In basso da sinistra, p. Natalio Fornasier e p. Giuseppe Nardo di cuore a tutti. 2006 SETTEMBRE MACOMER 08015 MACOMER NU - Via Toscana, 9 Tel. 0785 70120 - Fax 0785 70706 E-mail: [email protected] - C/c. postale 207084 Nella chiesa dedicata al Saverio Da Orani, le bandiere della missione 11 giugno i misD omenica sionari saveriani di Caglia- ri e Macomer hanno organizzato un pellegrinaggio alla chiesa campestre di san Francesco Saverio di Orani, in provincia di Nuoro. è stata una delle iniziative per celebrare i 500 anni della nascita del santo missionario, modello dei saveriani. Canti e bandiere al vento Gli amici di Cagliari hanno percorso la salita portando le tredici bandiere dei paesi dove lavorano i missionari saveriani. Il sentiero è una vecchia pista che portava alla miniera di talco, ora chiusa. Le ruspe l’hanno reso percorribile nella bella stagione anche alle auto, che però sollevano un gran polverone sui viandanti pellegrini. Alla fine della Messa, le tredici bandiere sono state fatte sventolare su Orani e sulla Sardegna, dalla cima del monte. È stato un augurio e un gesto di benedizione perché si diffonda un nuovo spirito missionario nelle comunità cristiane dell’isola. Gli amici di Orani, con la priora della chiesa, hanno preparato i fogli del “gosos de santu Franziscu Saveriu”, cantato alla fine della Messa con il parroco don Pietro, salito per l’occasione sul monte con i suoi giovani. Don Pietro ha ricordato di aver ammirato il lavoro dei missionari saveriani durante il suo viaggio in Bangladesh, quando ha fatto visita a suor Filomena, missionaria di Orani. La novena della grazia Padre Ezio Meloni, tornato dal Congo per un periodo di riposo, ha portato la bandiera sarda dei quattro mori, per ricordare l’impegno dei saveriani sardi nei quattro continenti dove sono missionari. Erano presenti i genitori di p. Andrea Rossi, la mamma di p. Marco Milia e p. DINO MARCONI, sx p. Giovanni Matteazzi, attuale maestro dei novizi ad Ancona, che è venuto a rivedere la Sardegna dove aveva lavorato come animatore giovanile. La chiesa campestre di Orani è usata per la “novena della grazia” a san Francesco Saverio, che si pratica dal 4 al 12 marzo. La devozione è stata diffusa dal gesuita Mastrilli che, dopo la guarigione ottenuta, per gratitudine, cercò di diffondere la devozione a san Francesco Saverio. Mastrilli raccontava che il Saverio lo aveva rassicurato che “quanti avessero richiesto la sua intercessione presso Dio per nove giorni, avrebbero sperimentato gli effetti del suo grande potere nei cieli e avrebbero ricevuto qualsiasi grazia che avesse contribuito alla salvezza”. Come il giocattolo preferito Padre Pierobon, durante la Messa, ha ricordato che nella Una giornata di festa e di fede I saveriani delle comunità di Cagliari e Macomer hanno celebrato la Messa con i pellegrini, davanti alla statua di san Francesco Saverio. Da sinistra, p. Lorenzato, p. Meloni, p. Pierobon, p. Matteazzi, p. Rossi, p. Corvini. Tra le bandiere e tanta gente, erano presenti anche i genitori di p. Andrea Rossi. 8 La Madonna di Gonare con in braccio Gesù bambino che tiene nella mano la sfera del mondo. Le bandiere delle nazioni sono state benedette e fatte sventolare dalla cima del monte, su Orani e la Sardegna chiesa del castello di Navarra, dove Francesco Saverio è nato, si venera il Cristo crocefisso sorridente, che deride la danza macabra degli scheletri di morte, affrescati sulle pareti. Sembra che dica: “Io ho vinto la morte!”. Padre Corvini ci ha dato appuntamento per il prossimo anno, ancora più numerosi. I partecipanti più agili, accompagnati dalla saveriana Piera Grandi, sono saliti al santuario di Gonare per il ripido e roccioso sentiero. Hanno recitato il rosario missionario sulla cima del monte. La statua rappresenta la Madonna con il Bambino in braccio che, a sua volta, tiene una sfera sottobraccio. Sembra che Gesù tenga caro il mondo, come un bambino il suo giocattolo preferito. Là piove, qui è sereno Gli amici dei saveriani di Macomer, il 2 giugno, hanno fatto un pellegrinaggio al santuario mariano “Noli me tollere” di Sorso. Qui si sono trovati a pregare con altri pellegrini provenienti da Cagliari. Hanno goduto una giornata di sole, mentre a Macomer pioveva, secondo i messaggi arrivati sui telefonini. Infatti, il vento spingeva le nubi all’interno della Sardegna e lasciava a noi contemplare l’azzurro mare di Balai, dove si trovano le chiese dei protomartiri torritani. ■ I BAMBINI POLIO DI BUKAVU p. LORENZO CASELIN, sx Padre Lorenzo Caselin da quasi quarant’anni è missionario in Africa. In una lettera agli amici sardi descrive la situazione del Congo e il suo lavoro. La situazione qui in Congo è ancora drammatica. Nella regione del Kivu, la gente paga con la vita le violenze di bande armate che spadroneggiano. Anche l’esercito governativo, mal pagato, invece di contribuire alla pace e alla sicurezza, abusa delle sue armi contro i civili. Dal 1996, il clima di violenza ha provocato la morte di circa 4 milioni di persone. È un quadro catastrofico che ha fatto della crisi congolese “la più sanguinosa nel mondo” dalla fine della seconda guerra mondiale. Le violazioni dei diritti umani e i combattimenti sono durati troppo a lungo, perché la pace possa stabilirsi senza un forte aiuto da parte della comunità internazionale. Le elezioni del 30 luglio, per il rinnovo del parlamento e del presidente, possono essere l’occasione per un processo di pace e di democrazia. Il popolo ha bisogno di uomini che si impegnano nello sviluppo del Paese, costruendo pace e giustizia. Io continuo il mio lavoro al cenPadre Lorenzo con un bambino tro Hery Kwetu, che assiste i ragazzi colpito da poliomielite, in Congo handicappati con apparecchi ortopedici. Cerchiamo di far diventare questi ragazzi sarti, calzolai, falegnami, meccanici..., perché possano essere autosufficienti in futuro. La maggior parte dei bambini viene dalla città di Bukavu e dalla regione del Kivu dove, per mancanza di vaccinazione, i bambini poliomielitici sono in aumento. 2006 SETTEMBRE MARCHE 60129 ANCONA AN - Via del Castellano, 40 Tel. 071 895368 - Fax 071 2812639 E-mail: [email protected] - C/c. postale 330605 DIARIO DELLA COMUNITà Storie di una calda estate Per dire qualche grazie a tanti amici I l caldo di quest’estate è stato alleviato dalla frescura dei colli marchigiani. Così, pochi reduci della nostra comunità hanno deciso di non lasciare le amate Marche. Nel mese di luglio, l’assenza di p. Matteazzi, dei suoi novizi e la recente partenza dell’economo p. Raffaele, hanno ridotto all’osso la nostra comunità. Ma c’è qualcuno che non si è arreso, anzi ha continuato a tener testa ai numerosi impegni. Benedizioni... scivolose In questo periodo le giornate missionarie “assediano” le nostre domeniche. Dobbiamo dire un grosso grazie a p. Aldo, che più di tutti si prodiga per coprire le tante richieste di ministero. Padre Narciso si è ormai quasi del tutto rimesso, dopo il famoso incidente sul lavoro: scivolando sulle scale di una casa che aveva appena benedetto, si è lussato due dita della mano. Ha fatto spaventare tutti, preoccupati soprattutto che le sue benedizioni avessero questo infausto effetto. Ma adesso, dopo cure e terapie amorose, ha ripreso a pieno regime le attività di ministero, insieme ai servizi in casa. Nel frattempo, p. Piermario aumenta il ritmo del suo lavoro principale: l’insegnamento dell’italiano. In questo periodo un po’ per l’estate, un po’ per il mare - molti vengono a studiare italiano qui da noi. E lui, che in spiaggia non ci va, li aiuta ad apprendere la lingua. Padre Piergiorgio presiede, in assenza del superiore, l’anda- p. MARIO, p. EMANUELE mento della comunità e, “a bassa voce”, inizia a prendere in mano l’economia che p. Raffaele ha lasciato per “fuggire” in Amazzonia. Gli animali di p. Raffaele Da un anno vi abbiamo annunciato l’imminente partenza di p. Raffaele per la missione. Ma solo il 20 giugno scorso è riuscito a partire. È stato davvero complicato. Tutto sembrava voler fermare il suo ritorno in Brasile. Un problema burocratico ha richiesto mesi di lavoro per essere risolto. Anche l’aereo, che aveva prenotato all’ultimo momento, è saltato e lui ha dovuto trovare un altro volo. Adesso però si trova a Belém, dove l’unica cosa che rimpiange è la torta salata delle Marche. SAVERIANI MARCHE Missione accanto ai poveri Offagna, intitolata una via a p. Barbini S abato 1 aprile, la comunità di Offagna ha avuto la gioia di ospitare mons. Edoardo Menichelli, arcivescovo della diocesi di Ancona-Osimo, in visita pastorale. Il vescovo è stato invitato per inaugurare una piccola piazza, dedicata a Giovanni Paolo II, e per onorare la memoria di un nostro concittadino: il saveriano p. Fausto Barbini. In Giappone per 50 anni Padre Fausto era nato a Offagna nel 1918. Fin da ragazzo, aveva coltivato il sogno della vocazione missionaria ed era entrato nella comunità dei saveriani a Poggio San Marcello nel 1930. Ordinato sacerdote il 28 maggio 1944, era stato destinato come missionario in Cina, dove però non era mai arrivato, a cau- 8 sa della situazione politica e della rivoluzione di Mao Ze-dong. Nel 1950, era perciò partito per la nuova missione del Giappone. Era la prima spedizione dei saveriani dall’Italia, sebbene alcuni missionari si trovassero già lì, dopo la loro espulsione dalla Cina. Padre Fausto è rimasto nella terra del Sol Levante fino al 2001, per oltre mezzo secolo. In questi lunghi anni, ha potuto realizzare finalmente il suo carisma: evangelizzare gli ammalati, i poveri e gli emarginati. Aveva la letizia di chi è riuscito a innescare il circuito virtuoso tra azione e contemplazione, tra amore di Dio e amore del prossimo, come confessava nella celebrazione dei suoi 60 anni di ordinazione: “L’esperienza più forte è che l’aposto lato missionario è una via maestra di vivere le virtù teologali fede, speranza, carità; vita attiva, incentivo alla vita contemplativa”. La cerimonia di intitolazione della via. Sul muro la targa con il nome di p. Barbini La casa natale con il suo nome A due anni dalla sua morte (23 settembre 2004), è stata a lui dedicata una via del paese. La cerimonia si è svolta in modo semplice, ma molto sen- B. LUIGI Da sinistra, p. Narciso Passuello, p. Nando Mencarelli e p. Pier Giorgio Venturini in versione... campioni del mondo! La sua partenza ha lasciato un vuoto non solo nei nostri cuori, ma anche nei mille lavori che portava avanti: orto, galline, conigli e piccioni. Ora fatichiamo a seguire tutti questi... animali domestici! Per fortuna c’è p. Nando, che ci tiene allegri con la sua musica e i canti. Tanti amici ci aiutano Malgrado un po’ di fatica nella gestione della nuova situazione della comunità, siamo grati al Signore perché la nostra piccola famiglia non è sola. Tante persone ci stanno vicine e ci aiutano con tanti servizi. Approfittiamo di questo spazio per dire il nostro grazie ad alcuni amici. Diego, l’unico che conosce le cose che sapeva e faceva p. Raffaele, è un vero amico tuttofare. Suo papà, Fabio, è sempre pronto per i lavori sporchi, come tirare il collo alle galline o ammazzare i conigli. Poi c’è la coppia più pazza del mondo: Giuseppe e Imelda, i nostri infermieri, quelli che scarrozzano Nando, Narci e Piergiorgio per le visite o le cure all’ospedale. Infine, dobbiamo ringraziare Luciano e Anna sua moglie, che ci aiutano nell’economia di casa. Insieme a p. Piergiorgio, stanno cercando di mettere ordine tra le scartoffie e le cartelle di p. Raffaele, che sicuramente amava più l’orto dell’ufficio. C’è posto per tutti La lista dovrebbe continuare. Forse qualcun altro ha voglia di allungarla. Non abbiate paura: c’è posto per tutti! Se avete voglia di dare una mano, di tagliare un po’ d’erba, zappare il campo o fare tanti piccoli lavoretti di casa, siamo sempre disposti... a farci aiutare. Questo scritto non è molto teologico o spirituale, ma è un modo simpatico per farvi partecipi delle piccole cose di vita quotidiana, che avvengono in una comunità di missionari. Un abbraccio, nella preghiera. ■ SPAZIO GIOVANI P. Fausto Barbini tito. Erano presenti i familiari, una delegazione dei saveriani di Ancona (tra cui il maestro, p. Matteazzi), le autorità e quanti hanno conosciuto personalmente padre Barbini. Di lui è stata ricordata la generosa umanità e la semplicità di vita, che in questi luoghi lo hanno visto bambino e poi ragazzo, fino alla vocazione missionaria che lo ha portato in Giappone. La via a lui dedicata è proprio quella che l’ha visto crescere. La strada sulla quale sorge la sua casa natale ha così preso il suo nome, con grande gioia di tutti i presenti. L’intera comunità offagnese lo ricorda con affetto e gratitudine, memore delle numerose notizie che lui era solito offrire a parenti e amici. “Attraverso quei racconti sentivamo più vicino quel mondo tanto lontano”. Ora i suoi concittadini sono felici di avere un segno concreto che riporti alla memoria il caro padre Fausto. ■ IL RIPOSO NON GUASTA DAVIDE LAI Quest’estate, anche la comunità saveriana di Ancona ha avuto la grazia di qualche giorno di vacanza a Molveno, in Trentino, insieme alla comunità di Desio e ai nostri genitori e parenti. È stata una bella settimana, di fraternità e amicizia tra noi e le nostre famiglie. Abbiamo goduto dei monti, del lago, dei prati, opere meravigliose in cui abbiamo sperimentato la presenza e la bontà del Signore per noi, sue creature. I nostri genitori ci hanno deliziato con i loro piatti tipici e noi non ci siamo tirati indietro. Abbiamo vissuto insieme anche i momenti della preghiera: la Messa, l’adorazione eucaristica, il ritiro spirituale. Abbiamo ringraziato il Signore per quanto ci ha donato. Non sono mancati, inoltre, momenti di svago, giochi, canti e tante risate! Così abbiamo fatto esperienza di ciò che il Signore promette e mantiene: la sua bontà si manifesta proprio attraverso le persone che incontriamo e che ci vogliono bene. Dopo questa settimana di grazia, possiamo riprendere le nostre attività, con gioia ed energia. Nella settimana di riposo a Molveno, dal 25 giugno al 2 luglio, pronti per un bel gelato 2006 SETTEMBRE PARMA 43100 PARMA PR - Viale S. Martino, 8 Tel. 0521 990011 - Fax 0521 960645 E-mail: [email protected] - C/c. postale 153437 A tutti i miei lettori... ignoti Mi preparo per tornare in Giappone C are lettrici, cari lettori, con po’ di nostalgia, un pizzico di rammarico, ma certamente anche con una certa gioia che nasce dal profondo del mio cuore missionario, vi comunico che con questo mese concludo il mio compito di redattore della pagina di Parma del nostro giornale “Missionari Saveriani”. Con alcuni mesi dediti allo studio e, perché no, anche con un po’ di riposo, mi preparerò al mio ritorno nella missione del Giappone, dove sono già stato per diversi anni. Un grande grazie a voi Mi dispiaceva concludere questo servizio senza aver detto un grazie sentito, e di tutto cuore, a chi con tanta pazienza ha corretto e ricorretto le bozze dei miei articoli, a chi ha collaborato preparando riflessioni e stralci da inserire nella pagina, per completare le mie insufficienze, a chi ha offerto il suo volto per le fotografie e soprattutto a tutti voi che, con grande bontà, avete letto gli articoli della pagina di Parma di “Missionari Saveriani”, dal gennaio 2003 fino a oggi. Vorrei ringraziare in particolare le lettrici e i lettori dei miei articoli. Ritengo, con un po’ di presunzione, che qualcuno ce ne sia certamente stato. Pur non avendo avuto la fortuna di incontrarvi né di conoscervi personalmente, desidero ringraziarvi per avermi dato l’opportunità e lo scopo di scrivere sempre qualcosa, per avermi permesso di comunicare quello che avevo nell’anima e che, in modo particolare, desideravo trasmettere a tutti voi, cari amici dei missionari. p. PIERGIORGIO MOIOLI, sx i miei scritti abbiano portato qualche attimo di gioia, un po’ di conforto e di speranza a chi casualmente li ha letti e soprattutto si sia sentito toccato dalla mia riconoscenza per aver accolto un dono che ho sempre cercato di offrirvi con tutto il cuore. Un ultimo segreto... Ho voluto fare un dono a chi, in qualche modo, era già ben L’importante è donare Mi auguro solo che Un dono della Provvidenza Una bella giornata in agriturismo C hi avrebbe mai pensato che un gruppo di missionari vecchi e malati potesse andare in un agriturismo! Eppure la Provvidenza ha regalato a noi, che indegnamente lavoriamo per il suo regno - una giornata insolita e del tutto eccezionale. È stata una vera sorpresa. La Messa sotto la barchessa Verso la fine di maggio ci siamo recati all’agriturismo S. Giuseppe a Taneto, vicino a Reggio Emilia. Siamo stati invitati dal gestore, il signor Giuseppe, nipote di p. Dante Mainini, missionario in Brasile alla bella età di quasi novant’anni. Abbiamo trascorso alcune ore spensierate 8 in un luogo favoloso, nel mezzo della campagna reggiana. In mattinata, il rettore della comunità, p. Emilio Baldin, ha presieduto la Messa sotto la barchessa della fattoria. La celebrazione è stata accompagnata dalla corale della parrocchia di Taneto. La Messa all’aria aperta ci ha dato la sensazione che i confini del sacro e quelli della natura fossero cosi impercettibili da essere fusi insieme in un’unica realtà. Il tepore che abbiamo percepito era dovuto al bel clima di primavera; ma era anche un effetto di quello Spirito che ci anima sempre, quando ci sentiamo contenti, nella preghiera e nella vita. Un momento della Messa celebrata sotto la barchessa, tettoia annessa alla casa colonica, dove erano custoditi fieno e grano Non ho altro da aggiungere, se non ripetere ancora “un grazie!”, se non avessi paura di stancarvi. Ma desidero esprimere anche un augurio a voi, care lettrici e cari lettori: che qualcosa di ciò che ho scritto possa essere servito a colorare un pochino la vostra vita, a scoprire qualche meraviglia che il Signore ci ha messo nelle mani e nel cuore. Ho cercato di offrire così qualche dono, anche se a volte con un po’ di fatica, per le molte cose che c’erano da fare qui nella comunità saveriana della casa madre. Anche se il tempo non era mai sufficiente, mi sono sforzato di farlo con il maggior impegno possibile. p. GANRIU, sx Un dessert “artistico” Terminata la Messa, abbiamo pranzato in un’unica lunga tavolata che ricordava quella del Cenacolo. Il pranzo, a base di squisitezze della cucina reggiana, era davvero ottimo. Un dolce artistico e del tutto originale, con una fontana di fuochi d’artificio in mezzo e la scritta “SX”, simbolo dei saveriani, ha messo fine alla bella giornata. Purtroppo, tutto è trascorso velocemente e si è concluso così in fretta, che quasi non abbiamo potuto terminare i discorsi iniziati in un clima festoso, gioviale e fraterno. Il nostro grazie va ai gestori dell’agriturismo e, in particolare, al signor Giuseppe che ci ha ospitati dandoci questa bella opportunità. Ringraziamo anche il parroco di Taneto, per il suo calore ed entusiasmo, e il coro che si è esibito con canti e melodie eccezionali. A p. Dante, in Brasile, abbiamo inviato il nostro grazie e il nostro ricordo, con un biglietto firmato da tutti i presenti. Più di ogni altra cosa, però, dobbiamo ringraziare la divina Provvidenza che ci concede i doni più belli, ancor prima che noi li desideriamo. ■ disposto ad accoglierlo. Non posso negare che, in fondo, nei momenti in cui scrivevo quelle poche righe, il mio stato d’animo era molto simile a quello indicato da Gesù. Più volte, infatti, mi sono accorto che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Prima di salutarvi, però, vorrei svelare un segreto a chi non l’avesse ancora scoperto. Dovete sapere che quando leggevate gli articoli firmati da “Ganriu”, l’autore ero sempre io. Infatti, il mio nome, Piergiorgio Moioli, tradotto in giapponese è “Moiori Ganryu Shinpu”. Del resto, tutti i grandi giornalisti hanno avuto nel loro curriculum uno pseudonimo. Anch’io - modestia a parte - ho voluto adottare questo stratagemma. Un caloroso arrivederci a tutti. ■ Permettete, care lettrici e cari lettori, che per una volta sia io - come direttore di questo mensile - a dire “grazie” a Ganriu, p. Piergiorgio Moioli, e lo faccia anche a nome vostro. Più che un giornalista, p. Piergiorgio è stato un grande “saggio”. Quando - puntualmente, anzi con buon anticipo - arrivavano i suoi scritti, la tentazione di leggerli subito era per me irresistibile. Ne uscivo sempre con la testa frastornata, al pensiero di come raccogliere tanta “saggezza” e tradurla in linguaggio semplice e lineare, perché anche voi poteste gustare la soavità del pensiero... orientale. Grazie, p. Piergiorgio. Buona missione. Ma vorremmo da te una promessa: dal Giappone, facci avere ancora le tue “briciop. Marcello, sx le di saggezza”. LE MEDICINE MIGLIORI p. MOIOLI, sx Non tutte le medicine curano le malattie per cui sono state fatte. Alcune ci riescono, altre meno. Le medicine raccolte, suddivise e distribuite alla casa madre non solo funzionano bene, ma curano in modo del tutto particolare. La storia è questa. Tante persone che hanno medicine valide in esubero, le portano alla nostra portineria. Queste vengono selezionate da alcuni pazienti saveriani. Poi, per ordine di scadenza e per qualità, sono sistemate in appositi scaffali, fatti predisporre proprio quest’anno dal nuovo rettore, p. Emilio Baldin. Queste medicine servono per gli anziani e i malati, oppure sono spedite nelle missioni, a seconda delle richieste dei missionari. In questo modo, ogni medicina acquista, oltre alle sue proprietà curative, anche una buona dose d’amore. Quando arriva a destinazione, non può non funzionare. Anzi, cura benissimo! Le malattie si curano anche accogliendo la sofferenza che il Signore ci dona, come qualcosa da rielaborare. Si curano condividendo la sofferenza, facendone un’offerta al Signore per chi soffre più di noi. E perchè no, si curano anche sorridendo, come segno di riconoscenza verso le persone che ci aiutano e si occupano di noi con tanto amore. Per questi motivi, le medicine raccolte, selezionate e distribuite alla casa madre per i missionari e le missioni nel mondo, si possono considerare davvero “le migliori”. Gli scaffali con le medicine alla casa madre dei saveriani a Parma 2006 SETTEMBRE PIACENZA 25121 BRESCIA BS - Via Piamarta, 9 Tel. 030 3772780 - Fax 030 3772781 E-mail: [email protected] - C/c. postale 216259 In Africa, Gesù mi aspettava Intervista a p. Vittorio Bongiovanni a cura di don PIERGIORGIO TIZZI Padre Vittorio Bongiovanni è nato a Bozzolo (MN) 65 anni fa. Dopo aver studiato a Cremona, è diventato saveriano il 3 ottobre 1960 e otto anni dopo è stato ordinato sacerdote. È nipote di un famoso missionario saveriano cremonese, morto in Congo nel 1985: p. Pacifico Fellini. Rosa Maria Fellini, sua sorella era una santa mamma. Insomma, siamo davanti a una famiglia di santi! Padre Vittorio ha lavorato per molti anni, con entusiasmo giovanile, nell’animazione missionaria e vocazionale presso la comunità saveriana di Vicenza. Ha lavorato così bene “che tutti lo volevano e non lo lasciavano partire per le missioni”, così mi ha confessato un suo compagno vicentino. Padre Vittorio ha parlato un po’ di sé in quest’intervista rilasciata a un nipote, don Piergiorgio Tizzi, giovane sacerdote cremonese, figlio di sua sorella Milla. p. Sandro Parmiggiani, sx zio saveriano, padre A llo Vittorio, ho rivolto alcu- ne domande. Volevo che raccontasse almeno qualcuna delle sue mille esperienze missionarie, tutte interessanti e vivaci. Mi ha subito detto che gli era difficile contarle e raccontarle tutte, che sono state tutte belle, almeno per lui, e che sperava che anche la sua gente si fosse trovata bene con lui. A loro egli ha dedicato gran parte della sua vita. Sei stato in Sierra Leone... Sì, in Sierra Leone ho trascor- so 26 anni della mia vita. I primi dieci anni ho lavorato come missionario nei villaggi. Mi avevano mandato in una zona musulmana, vasta come la provincia di Cremona, per iniziare una missione di evangelizzazione. Non c’era nessuna comunità cristiana. Dopo dieci anni di lavoro, se n’erano formate quattordici. Sono arrivato là e ho preso in affitto la stanza di una capanna. Per l’affitto annuale ho pagato due sacchi di cemento, che il proprietario ha usato per fare un po’ di pavimento nella mia stanza: Padre Vittorio presenta ai ragazzi le ospiti cremonesi in visita in Sierra Leone ha fatto chiudere i buchi nel pavimento di terra battuta, da dove entravano certi toponi... Dall'Africa a Chicago e ritorno Continua l'intervista a p. Vittorio 1991 in Sierra Leone è N elscoppiata una terribile e interminabile guerra. Vari missionari e missionarie sono state sequestrate dai ribelli. Anche p. Vittorio ha vissuto in prima persona esperienze drammatiche. Come ti sei comportato? La guerra è durata dieci anni, dal 1991 al 2001. In questo periodo ho scoperto la mia nuova vocazione: liberare i bambini soldato dai ribelli. Due volte mi hanno preso come ostaggio. Su quello che ho vissuto potrei scrivere un libro. Più semplicemente, la mia storia è molto simile a quella raccontata nel film “Hotel Ruanda”. Il film racconta la mia storia, solo che io l’ho vissuta in Sierra Leone. Io sarei il manager dell’hotel... 8 Perché sei finito a Chicago? Per tutto quello che avevo passato, i superiori mi hanno detto che avevo bisogno di una pausa, cioè di venire via dall’Africa per un certo periodo. E così sono approdato negli Stati Uniti con il compito di formatore degli studenti saveriani di teologia, a Chicago. Sono stati tre anni lunghi come trenta, ma finalmente adesso posso ripartire per la Sierra Leone. Quali sono le necessità urgenti della missione? Tutto il mio ministero, diversamente da come possa apparire, è stato finalizzato alla “costruzione” di persone, non di edifici. Certo, abbiamo anche costruito chiesette e scuole; ma questo lavoro l’hanno fatto soprattutto i sierraleonesi. Io cercavo solo di far capire loro il significato e l’importanza di questi edifici. A tutto il resto ci hanno pensato loro. Padre Vitttorio in Sierra Leone vestito da capo tribù, in una foto di qualche anno fa a cura di don PG. TIZZI Come possiamo sostenerti? Negli anni trascorsi in Sierra Leone ho aiutato molti giovani, ragazzi e ragazze, ad andare a scuola, a prendere coscienza della loro dignità. Avevo in mente il piano di mandare i giovani all’università e di aprire loro una strada che li portasse a coprire posti di responsabilità e di governo nel Paese. È importante avere una classe dirigente, impegnata nella società con idee cristiane. Per questo, ritengo indispensabile la formazione dei giovani perchè diventino formatori dei loro fratelli e delle loro sorelle. Se mi volete aiutare, il vostro sostegno servirà per mandare a scuola e formare giovani poveri ma intelligenti. Per fortuna, i ricchi non hanno ancora il monopolio dell’intelligenza... Cosa significa per te essere missionario? Significa semplicemente essere cristiano; prendere cioè sul serio il Signore e cercare di aprire occhi, orecchie e soprattutto il cuore, per fare la sua volontà là dove egli mi vuole. Questo non è sempre facile. L’ho sperimentato andando negli Stati Uniti, quando il mio cuore si era fermato in Sierra Leone. ■ In pratica, cosa facevi? Tutta la mia attenzione era diretta a creare le comunità di base. Io ho una convinzione: i sierraleonesi devono essere convertiti da sierraleonesi, non da stranieri. Perciò il mio lavoro non consisteva nel riempire bottiglie vuote, ma nello stappare bottiglie e tirare fuori quello che già avevano dentro. Prima di partire per l’Africa, mi dicevano che ero bravo perchè portavo Gesù tra gli infedeli. E io, povero illuso, ci credevo. Sono arrivato in Africa e, con mia sorpresa, ho scoperto che Gesù era già là che mi aspettava. Poi cos’è successo? II vescovo mi ha “punito”, tradendo i miei gusti, e mi ha portato via dai villaggi dove mi trovavo davvero a mio agio. Mi ha nominato direttore del centro pastorale e responsabile della pastorale giovanile della diocesi. Qui il mio compito è stato quello di preparare sussidi di pastorale per le parrocchie e di organizzare corsi di formazione per catechisti, per capi di comunità e per i giovani. Ho imparato tanto, soprattutto ascoltandoli e crescendo insieme a loro. Mi avevano promesso che, al massimo dopo nove anni, mi avrebbero liberato da questo impegno. Invece, in questo ministero sono stato impegnato per ben sedici anni continui. ■ (continua a lato) una malattia strana p. SANDRO PARMIGGIANI, sx C’è un male strano che colpisce gli africani e soprattutto i missionari. Non è una malattia del corpo, come la malaria, la tubercolosi, l’Aids o la lebbra. È come un malessere che si prova nello spirito e nella mente, un male psicologico che porta a un rimpianto, a una nostalgia profonda dell’Africa, dei suoi orizzonti infiniti, delle sue foreste e perfino dei suoi deserti immensi, della sua povertà rassegnata e spesso spensierata, della sua semplicità quasi infantile. Questa strana malattia si chiama “mal d’Africa”. Colpisce gli africani che sono costretti a emigrare per non lasciar morire di fame le loro famiglie. Colpisce anche i missionari, costretti a lasciare le missioni e i villaggi per curare la loro salute compromessa dall’età, dalle fatiche e da malattie incurabili. Quando vado a Parma, nella nostra casa madre fatta edificare dal fondatore il beato Conforti, mi piace visitare i numerosi missionari anziani e malati, che sono amorevolmente assistiti e curati da confratelli più giovani e da personale laico specializzato. Questa sollecitudine fraterna verso i missionari infermi mi commuove. Ne sono riconoscente e ammirato, santamente orgoglioso. I nostri “vecchi” noi li teniamo in famiglia, non li abbandoniamo in case di riposo. E se non riusciamo a prolungare la loro vita e a migliorare la loro salute fisica, riusciamo però ad alleggerire le loro pene corporali e interiori. Padre Martini aiutato da un giovane confratello congolese alla casa madre di Parma 2006 SETTEMBRE PIEMONTE e liguria 16156 GENOVA PEGLI GE - Viale Modugno, 39 Tel. 010 6969140 - Fax 010 6967910 E-mail: [email protected] - C/c. postale 00303164 La difficile situazione del Sudan Intervista a mons. Cesare Mazzolari ricevuto la gradiA bbiamo ta visita di mons. Cesare Mazzolari, missionario comboniano di Brescia, vescovo della diocesi di Rumbek in Sudan dal 1999. Era a Genova per un incontro con amici, attenti alla difficile situazione del Sudan. Gli abbiamo fatto alcune domande, per capire la sorte di questo grande paese africano, dove il conflitto interno va avanti da molti anni. Com’è la situazione in Sudan? Nel sud del Sudan, dove si trova Rumbek, si è combattuta una guerra civile che, tra scontri e malattie, in vent’anni ha fatto dai due ai tre milioni di morti. Oggi posso ancora predicare il vangelo, perché vivo in un territorio controllato dallo Spla, “Armata di liberazione del popolo sudanese”, comandata da John Garang, un ribelle di religione protestante che lotta contro il governo islamico di Khartoum. È vero che i cristiani sono convertiti all’Islam? Sì, purtroppo. Almeno tre milioni si sono trasferiti al nord, spinti dalla fame, e hanno dovuto pronunciare la shahada, la professione pubblica di fede, per avere un lavoro. I convertiti vengono marchiati a fuoco. Li timbrano su un fianco, come le mucche, per distinguerli dagli infedeli. E la gente come vive? I sudanesi vivono un martirio a cura di p. ALFONSO APICELLA, sx quotidiano che rimane escluso dall’informazione nei giornali occidentali. Subiscono le ingiustizie e le malattie senza astio, ma da loro c’è solo da imparare. Battono il tamburo e danzano anche se hanno la pancia vuota. Gli occidentali sono umanamente molto più poveri di loro. Cosa vuol dire? Tante persone ogni giorno vengono a chiedermi cibo e non lo trovano. Queste sono le vere vittime del ricco sistema occidentale, che spreca e lascia morire di fame. E mentre muoiono si sentono dire dal loro vescovo: “Il Signore ti vuole bene”. Allora, con l’ultimo fiato che hanno in corpo, sussurrano: “Dì al Signore che Le ultime notizie dell'estate Meteora o cometa? N el salutare tutti gli amici, soprattutto quelli che ho potuto incontrare e conoscere, ringrazio Dio per questo breve periodo trascorso nella comunità saveriana di Pegli, tra alti e bassi, gioie e difficoltà. Il mio passaggio, forse, è stato come la luce di una meteora, che si vede per un attimo e poi subito sparisce. Il mio desiderio, invece, sarebbe quello che la mia breve presenza potesse essere come la scia breve e luminosa della cometa che ha il compito di indicare la strada per arrivare a Cristo salvatore. L’ho desiderato. Ci ho provato. Spero di esserlo stato, almeno un po’. Ringrazio soprattutto i miei confratelli per aver sopportato la mia presenza... massiccia. Ora ho nel cuore il desiderio di partire per il Messico e questo avverrà presto. Permettete che vi chieda due cose. Continuate ad amare e a voler bene ai missionari saveriani. Disturbateli, invitateli: hanno tante ricchezze da condividere. Hanno l’amore per il Signore e per il mondo, hanno il desiderio di condividere questo amore con più persone possibile. Vi sembra poco? D’altronde, siamo missionari proprio per questo. Per me chiedo il ricordo nelle vostre preghiere e l’offerta dei vostri sacrifici e sofferenze, qualora vengano. Vivendoli in comunione con Cristo in croce, offriteli per la santificazione dei missionari. Un abbraccio fraterno a tutti. Dio vi benedica. ■ p. ALFONSO APICELLA, sx 8 l coro della parrocchia di san Francesco d’Assisi di Genova Pegli si è esibito nel concerto “Il vangelo in musica”. L’iniziativa aveva lo scopo di cercare un nuovo modo per far conoscere il vangelo. Il concerto, ben preparato ed espresso con voci angeliche, ha ripercorso attraverso varie espressioni musicali il mistero della buona notizia di Cristo. Sono stati presentati brani di corali classiche di Bach e di Mozart, ma anche pezzi di spiritual americano, gregoriano e madrigale… Il mistero della salvezza in musica era intervallato e ac- Lilly, nostra collaboratrice, e sua figlia Chiara, due splendide voci che hanno animato “il vangelo in musica” siamo stati puniti abbastanza”. C’è dialogo tra le religioni? Quando sono in gioco gli interessi, i potenti e gli economisti occidentali dicono di essere pronti al dialogo. Che credono in Dio, l’hanno scritto solo sulle loro banconote; in realtà credono più nel verde del dollaro. Potrà mai esserci pace? Il rispetto tra le popolazioni e le culture in Sudan verrà dopo che ci saremo conosciuti. Oggi condividiamo solo la terra che calpestiamo. Il petrolio c’entra qualcosa? Nessuno vuole la pace del Sudan; tutti vogliono il suo petrolio. Ci sono 1.500 chilometri di oleodotto da Rumbek a Khartoum. Ha cominciato la Chevron nel ‘78 a venirsi a prendere le nostre riserve. Poi sono arrivati tutti gli altri. Oggi il 42% del greggio ce lo rubano i cinesi, che lo fanno estrarre a un piccolo esercito di 25mila uomini tra mercenari ed ex galeotti. Il 24% lo porta via la Malesia. Al Canada è subentrata l’India. Perché è diventato missionario? Forse perché vedevo mio padre, un ortolano, portare la minestra ai carcerati. Fin da bambino, non ho mai pensato di fare altro. A 8 anni ero chierichetto nel santuario del Sacro Cuore a Brescia, diretto dai comboniani. A 9 sono andato a visitare il loro seminario di Crema. A 10 ho deciso di entrarci. Ha paura? Non farei il missionario se avessi paura. Con la paura non si sopravvive. Quando mi accorgo che un mio sacerdote ha paura, lo tiro via dalla missione. La paura è una malattia contagiosa. Il giorno che diventassi pauroso, prego Dio di prendermi con sé. Tornerà mai in Italia? La mia patria è il Sudan. Ho promesso ai miei fedeli che non li abbandonerò, neanche da morto. Loro sanno già dove mi devono seppellire. Noi che possiamo fare? Pregate tanto per noi, e non dimenticateci. ■ SONO PRONTO AL MARTIRIO Padre Alfonso Apicella, dopo una breve permanenza nella comunità saveriana di Pegli, parte per la missione Il vangelo... in musica I Da destra: il dottor Alberto, amico e benefattore dei saveriani di Pegli, mons. Cesare Mazzolari, p. Antonio Benetti, la responsabile del gruppo per il Sudan di Genova e p. Alfonso Apicella compagnato da brani biblici dell’annunciazione, della pentecoste e dei grandi personaggi della bibbia. Tra tutti, spiccava la figura di “John the revelator - Giovanni il rivelatore”, meraviglioso inno tratto dal film The Blues Brothers 2000. Insomma, è stato un vero godimento spirituale, un momento di riflessione e di preghiera, un’occasione creativa di evangelizzazione. Abbiamo gustato quella gioia che viene dal rimanere uniti a Cristo e dall’ascoltare la sua Parola. Da san Francesco, la buona novella si esprime nel cantico di letizia. ■ mons. CESARE MAZZOLARI Mi trovo a Rumbek, nel Sudan meridionale, dal 1990. Posso dire che la diocesi negli ultimi 12 anni si è ben sviluppata. Attualmente, serve una popolazione di 3.800.000 abitanti, è lunga quanto l’Italia e i suoi 30 preti devono prendersi cura di 350mila anime ciascuno. La cattedrale è una capponaia del diametro di 20 metri col tetto di zinco, così non possono bruciarlo. Come diocesi siamo impegnati nell’attività pastorale, nell’educazione, nella sanità e nell’aiuto umanitario. Tra tutte le istituzioni attive nel Sudan meridionale, le diocesi cattoliche hanno la fama di essere le più attive. Hanno assistito centinaia di migliaia di persone per dare loro cibo, medicine e speranza. La lunga guerra ha messo a dura prova la chiesa cattolica presente in quelle regioni. Tra i due milioni di vittime, si contano numerosi cristiani. L’islam è forte ed è fatto di crocifissioni, schiavitù, conversioni forzate, inganni. Purtroppo, anche dai guerriglieri cristiani, che hanno preso le armi contro i musulmani di Khartoum, abbiamo dovuto patire guai. Anche per me, si sta avvicinando il momento del martirio. Spero che il Signore ci dia la grazia di affrontare questo spargimento di sangue. C’è bisogno di purificazione. Molti cristiani saranno uccisi per la loro fede. Ma dal sangue dei martiri nascerà una nuova cristianità. 2006 SETTEMBRE REGGIO CALABRIA 89055 GALLICO SUPERIORE RC - Via Rimembranze Santuario Madonna della Grazia Tel. 0965 370304 - Fax 0965 373137 - E-mail: [email protected] - C/c. postale 10444891 Un'esperienza indimenticabile Il campo delle giovanissime a Gallico Anche quest’anno si è svolto a Gallico il campo di formazione per le giovanissime. Il tema scelto era “Sulle tracce di Gesù come il Saverio”. Marika Foro, Mariella Messineo erano le animatrici. La saveriana Francesca Mura, p. Pierluigi Felotti e p. Nico Macina erano le guide spirituali. Sono stati coinvolti anche gli altri saveriani della comunità: p. Bacchin, p. Marcelli e p. Guerra. Carmen e le amiche Katia, Simona, Annalisa, Maria Antonietta e Francesca, ci hanno raccontato l’esperienza. I l campo estivo è per ciascuno di noi un momento importante, fra i più attesi. Vi partecipiamo con grandi aspettative, con la voglia di fare nuove esperienze e amicizie. Quest’anno, l’esperienza è stata ancora più entusiasmante perché noi, gruppo giovanissime di Gallico, ci siamo messe in cammino sulle tracce di Gesù come Francesco Saverio. Nuovo compagno di viaggio Tante volte abbiamo sentito parlare del Saverio dai nostri missionari durante gli incontri. Abbiamo imparato a conoscerne meglio la vita e l’esperienza di fede. All’inizio ci domandava- mo come potesse questo grande missionario di altri tempi soddisfare le nostre aspettative e rendere il campo un’esperienza indimenticabile. Ma la strada riserva sempre delle sorprese ai pellegrini che la intraprendono con entusiasmo. E noi ben presto ci siamo ritrovate il Saverio come amico e compagno di viaggio. Ci ha reso il viaggio stesso più agevole e meno faticoso, infiammando i nostri cuori e schiarendoci la via per raggiungere la meta. Ci siamo perciò ritrovate a calcare le sue orme sulla spiaggia. In riva al mare, era già viva in noi la sua presenza: le barche e l’infrangersi delle onde ci por- Caro amico, ti scrivo Lettera a Francesco Saverio C aro Francesco, non avrei mai pensato di scrivere una lettera proprio a te, ma adesso eccomi qui! Incontrandoti, mi hai posto delle domande, alle quali cercherò di rispondere. Sei contenta? Direi proprio di sì. È stato entusiasmante conoscerti più a fondo, conoscere la tua storia, svolgere attività per capire le tue missioni, rivivere i tuoi viaggi attraverso i filmati, guardare il tuo stesso Crocifisso, quello che ci trasmette gioia, e cercare di provare le stesse tue emozioni. A volte, contemplarlo e capirlo non è stato molto facile. Ciò che ho vissuto in questo 8 KATIA campo è stato meraviglioso. È stata un’esperienza nuova, nonostante conoscessi questo posto da sempre; un’esperienza ricca, che mi ha aiutato a riflettere molto; un’esperienza unita e divisa: unita dalle attività, dai confronti e dal divertimento; ma anche divisa, perché ognuno è stato artefice del proprio percorso interiore di cinque giorni. È stata un’esperienza irripetibile. Forse ce ne saranno di più belle, ma finora questa è stata il massimo; un’esperienza dalla quale è nata una canzone scritta da noi in una piccola cucina. Cosa avresti aggiunto? Magari qualche giorno in più… La gioia di stare insieme coinvolge tutti, anche la saveriana Francesca Mura CARMEN e AMICHE tavano con la mente a solcare i grandi mari da lui attraversati; la gente intorno a noi erano i numerosi popoli da lui battezzati, mentre i monti della Sicilia erano quelli della lontana Cina, ai quali egli volse fino alla fine il suo sguardo. Emozione ed entusiasmo A piedi nudi, abbiamo lasciato dietro di noi le nostre orme e ci siamo dirette verso il parco della mondialità, luogo dove siamo andate a vivere la nostra magnifica esperienza. Il suono della campanella, che Francesco amava usare per radunare attorno a sé la gente, segnava per noi l’inizio di ogni nuovo giorno. Dopo la preghiera, la visione del film sulla sua vita ci permetteva di conoscerlo meglio, di capire cosa lo spingeva a muoversi e lasciare sempre tutto per andare oltre. Emotivamente coinvolte e cariche d’entusiasmo, abbiamo sviluppato diverse tematiche: la ricerca e la scelta; la missione e So già che sarà difficile tornare a casa; mi dispiacerà non stare tutte insieme, vivere vicine, ridere, scherzare, parlare, raccontarci. Mi dispiacerà, anche se non mi mancherà, non svegliarmi con il suono della campana. Semplicemente mi mancheranno questi giorni, dalla sveglia alle 7.00 del mattino a tutto il resto della giornata. Cosa hai ricevuto? Forse è un po’ difficile da spiegare. Ho imparato a scavare più a fondo, a non fermarmi in superficie. Ho imparato ad ascoltare ciò che il Signore mi diceva e mi dice. Prima non ci riuscivo. Ho imparato a ringraziarlo. Prima lo facevo troppo poco. Cosa hai dato? Tutta me stessa. Ci ho messo tutta la forza che ho per cercare di riuscire e spero di avercela fatta, anche solo un po’. Ho dato il mio impegno e mi sono messa in gioco. Mi hanno parlato tanto di te, è vero, e adesso credo di conoscerti un po’ meglio. Tu che ne dici, sono pronta ad essere pellegrina o ancora un po’ vagabonda? Comunque, non avrei voluto togliere niente di tutto ciò che ho vissuto. Sono molto felice di avere scelto di impegnarmi a conoscerti, perché sicuramente mi hai fatto crescere! Grazie di essere stato Francesco Saverio e di essere come sei. Ti voglio bene! ■ Le giovanissime con padre Pierluigi e la saveriana Francesca, intorno alla statua di S. Francesco Saverio per una foto ricordo i poveri; la gioia e il sogno. Questo è stato il percorso personale che insieme al Saverio ciascuno di noi, nel nostro piccolo, ha vissuto, lasciandosi interrogare dallo sguardo sorridente del Cristo crocifisso del castello di Javier. Impegno, preghiera, allegria I momenti di preghiera sono stati intensi. La testimonianza dei due giovani della fraternità dell’Immacolata, che ci hanno coinvolto nella gioia della loro vocazione, è stata per noi edificante e costruttiva. Il tempo trascorso a servizio degli anziani e dei disabili è stato fruttuoso. Affascinante è stato l’incontro notturno nel parco con gli amici del Saverio: san- t’Ignazio di Loyola, il capitano della nave, il giapponese Anjro, il beato Guido Conforti... Il “deserto” vissuto nella quiete dei boschetti di Sant’Elia è stato carico di emozioni. Indimenticabili sono stati i momenti di gioia e di allegria vissuti mangiando la pizza con vecchi e nuovi amici, cantando al ritmo della chitarra. Emozionante la processione del Crocifisso, portato all’altare per la Messa di ringraziamento. Finalmente, Francesco Saverio lasciava il posto di guida; concludeva tra noi la sua missione, facendoci approdare fra le braccia di Gesù, nostro nuovo amico e compagno di viaggio. ■ TUTTI E NESSUNO “Tutti e nessuno” è una canzone nata nel cuore della notte del 27 giugno 2006, durante la permanenza al campo di formazione. Per scriverla, ci siamo nascoste al buio, in cucina, illuminate solo da una piccola torcia, evitando anche il minimo rumore. Questa canzone sarà il segno di un legame che va man mano consolidandosi, per grazia di Dio e con la nostra buona volontà. E siamo qua, affidando le nostre speranze a questa notte, piene di sogni e desideri sperando che un giorno diventino realtà. Rit: Siamo noi, semplici ragazze, Con un unico obiettivo: superare le nostre paure. E siamo qua, in questa piccola cucina tutte insieme, pensierose e un po’ assonnate ma sempre con tanta voglia di andare oltre. E siamo qua, come fuggiaschi a raccontare le nostre storie passate, mentre le vite si intrecciano nel buio, noi ritorniamo ad essere bambine. E siamo qua, sempre più unite e complici dello stesso mondo, sempre più pronte ad affrontare la vita con il nostro sorriso che ci contraddistinguerà. Rit: Siamo noi, semplici ragazze, Con un unico obiettivo: superare le nostre paure. Siamo noi, convinte di farcela e... ce la faremo! Katia, Simona, Carmen, Annalisa, M. Antonietta, Francesca 2006 SETTEMBRE ROMA 00165 ROMA RM - Via Aurelia, 287 Tel. 06 39366929 - Fax 06 39366925 E-mail: [email protected] - C/c. postale 45206000 La difficile situazione del Sudan Intervista a mons. Cesare Mazzolari ricevuto la gradiA bbiamo ta visita di mons. Cesare Mazzolari, missionario comboniano di Brescia, vescovo della diocesi di Rumbek in Sudan dal 1999. Era a Genova per un incontro con amici, attenti alla difficile situazione del Sudan. Gli abbiamo fatto alcune domande, per capire la sorte di questo grande paese africano, dove il conflitto interno va avanti da molti anni. Com’è la situazione in Sudan? Nel sud del Sudan, dove si trova Rumbek, si è combattuta una guerra civile che, tra scontri e malattie, in vent’anni ha fatto dai due ai tre milioni di morti. Oggi posso ancora predicare il vangelo, perché vivo in un territorio controllato dallo Spla, “Ar- a cura di p. ALFONSO APICELLA, sx mata di liberazione del popolo sudanese”, comandata da John Garang, un ribelle di religione protestante che lotta contro il governo islamico di Khartoum. ma da loro c’è solo da imparare. Battono il tamburo e danzano anche se hanno la pancia vuota. Gli occidentali sono umanamente molto più poveri di loro. È vero che i cristiani sono convertiti all’Islam? Sì, purtroppo. Almeno tre milioni si sono trasferiti al nord, spinti dalla fame, e hanno dovuto pronunciare la shahada, la professione pubblica di fede, per avere un lavoro. I convertiti vengono marchiati a fuoco. Li timbrano su un fianco, come le mucche, per distinguerli dagli infedeli. Cosa vuol dire? Tante persone ogni giorno vengono a chiedermi cibo e non lo trovano. Queste sono le vere vittime del ricco sistema occidentale, che spreca e lascia morire di fame. E mentre muoiono si sentono dire dal loro vescovo: “Il Signore ti vuole bene”. Allora, con l’ultimo fiato che hanno in corpo, sussurrano: “Dì al Signore che siamo stati puniti abbastanza”. E la gente come vive? I sudanesi vivono un martirio quotidiano che rimane escluso dall’informazione nei giornali occidentali. Subiscono le ingiustizie e le malattie senza astio, C’è dialogo tra le religioni? Quando sono in gioco gli interessi, i potenti e gli economisti occidentali dicono di essere Giornate a... mani aperte Per il Burundi, in ricordo di p. Fiore A maggio, l’istituto Volpicelli di Poggio Mirteto, in provincia di Rieti, ha consentito alla nostra associazione “Mani aperte onlus” di andare a illustrare ai bambini un progetto a sostegno della popolazione batwa in Burundi. In questa nazione aveva lavorato il compianto missionario p. Fiore D’Alessandri, in memoria del quale è stata fondata l’associazione. “La carità non è elemosina” Dai 450 allievi della scuola materna ed elementare che compongono l’istituto, dalla direttrice didattica, prof.ssa Amelia Vavalli, e da tutti gli insegnanti siamo stati accolti con entusiasmo. I bambini, raggruppati per classi, sono stati impegnati con noi per quattro mattine e un pomeriggio. Tutti hanno mostrato molto interesse per l’Africa, per il Burundi e per le attività di promozione umana che i missionari saveriani e il clero locale stanno realizzando, tra molte difficoltà e pericoli. A ognuno abbiamo distribui- 8 to un pieghevole e un segnalibro, con la frase di p. Fiore: “Carità non è elemosina, ma amore”. Sono stati un aiuto per trasmettere meglio il messaggio di solidarietà missionaria. La scuola è disposta a continuare una collaborazione con noi. Stiamo studiando la possibilità di far preparare ai bambini più grandi una ricerca sul Burundi e sulla sua storia missionaria, alla quale potremmo assegnare un premio. Poggio Mirteto e Montopoli: mercatini della solidarietà Il 10 giugno scorso, nella passeggiata di Poggio Mirteto, la scuola ha allestito un mercatino di oggetti preparati dagli stessi alunni e ha devoluto alla nostra associazione parte del ricavato. Ci ha fatto piacere, in particolare, che il collegio docenti abbia riportato sui biglietti di invito il motto della nostra associazione e che abbia voluto esporre, nel luogo del mercato, lo striscione dell’associazione “Mani aperte”. ALVARO TOMASSETTI Anche a Montopoli di Sabina, sempre in provincia di Rieti, per iniziativa della prof.ssa Paola Vincenti e di alcune mamme degli allievi della scuola media, il 4 giugno è stato allestito un mercatino di solidarietà per sostenere il nostro progetto in Burundi. Alcuni studenti, con un’idea veramente originale, hanno illustrato con disegni diversi episodi della vita trascorsa da padre Fiore a Montopoli, quando era parroco. I disegni sono stati rilegati in un volume davvero bello e interessante. È stato un piccolo contributo al ricordo del nostro indimenticabile don Fiore, sepolto in Burundi nel villaggio di Gisanze. ■ Per informazioni, chiamare il dott. Alvaro al 333 7315660. Chi desidera contribuire al progetto in Burundi, il nostro C/c postale è 53654406, intestato a “Mani aperte onlus”, Piazza Nicolò II, n. 2 - 02034 Montopoli di Sabina (RI); causale, “progetto batwa - Burundi”. Da destra: il dottor Alberto, amico e benefattore dei saveriani di Pegli, mons. Cesare Mazzolari, p. Antonio Benetti, la responsabile del gruppo per il Sudan di Genova e p. Alfonso Apicella pronti al dialogo. Che credono in Dio, l’hanno scritto solo sulle loro banconote; in realtà credono più nel verde del dollaro. Potrà mai esserci pace? Il rispetto tra le popolazioni e le culture in Sudan verrà dopo che ci saremo conosciuti. Oggi condividiamo solo la terra. Il petrolio c’entra qualcosa? Nessuno vuole la pace del Sudan; tutti vogliono il suo petrolio. Ci sono 1.500 chilometri di oleodotto da Rumbek a Khartoum. Ha cominciato la Chevron nel ‘78 a venirsi a prendere le nostre riserve. Poi sono arrivati tutti gli altri. Oggi il 42% del greggio ce lo rubano i cinesi, che lo fanno estrarre a un piccolo esercito di 25mila uomini tra mercenari ed ex galeotti. Il 24% lo porta via la Malesia. Al Canada è subentrata l’India. Perché è diventato missionario? Forse perché vedevo mio padre, un ortolano, portare la minestra ai carcerati. Fin da bambino, non ho mai pensato di fare altro. A 8 anni ero chierichetto nel santuario del Sacro Cuore a Brescia, diretto dai comboniani. A 9 sono andato a visitare il loro seminario di Crema. A 10 ho deciso di entrarci. Ha paura? Non farei il missionario se avessi paura. Con la paura non si sopravvive. Quando mi accorgo che un mio sacerdote ha paura, lo tiro via dalla missione. La paura è una malattia contagiosa. Il giorno che diventassi pauroso, prego Dio di prendermi con sé. Tornerà mai in Italia? La mia patria è il Sudan. Ho promesso ai miei fedeli che non li abbandonerò, neanche da morto. Loro sanno già dove mi devono seppellire. Noi che possiamo fare? Pregate tanto per noi, e non dimenticateci. ■ SONO PRONTO AL MARTIRIO mons. CESARE MAZZOLARI Mi trovo a Rumbek, nel Sudan meridionale, dal 1990. Posso dire che la diocesi negli ultimi 12 anni si è ben sviluppata. Attualmente, serve una popolazione di 3.800.000 abitanti, è lunga quanto l’Italia e i suoi 30 preti devono prendersi cura di 350mila anime ciascuno. La cattedrale è una capponaia del diametro di 20 metri col tetto di zinco, così non possono bruciarlo. Come diocesi siamo impegnati nell’attività pastorale, nell’educazione, nella sanità e nell’aiuto umanitario. Tra tutte le istituzioni attive nel Sudan meridionale, le diocesi cattoliche hanno la fama di essere le più attive. Hanno assistito centinaia di migliaia di persone per dare loro cibo, medicine e speranza. La lunga guerra ha messo a dura prova la chiesa cattolica presente in quelle regioni. Tra i due milioni di vittime, si contano numerosi cristiani. L’islam è forte ed è fatto di crocifissioni, schiavitù, conversioni forzate, inganni. Purtroppo, anche dai guerriglieri cristiani, che hanno preso le armi contro i musulmani di Khartoum, abbiamo dovuto patire guai. Anche per me, si sta avvicinando il momento del martirio. Spero che il Signore ci dia la grazia di affrontare questo spargimento di sangue. C’è bisogno di purificazione. Molti cristiani saranno uccisi per la loro fede. Ma dal sangue dei martiri nascerà una nuova cristianità. 2006 SETTEMBRE ROMAGNA 48020 S. PIETRO in VINCOLI RA - Via Angaia, 7 Tel. 0544 551009 - Fax 0544 551811 E-mail: [email protected] - C/c. postale 13591482 Giugno, incontro dopo incontro Dall'agenda e dall'album fotografico P iù che il cronista, questo mese vorrei provare a fare un po’ di “filosofia della cronaca”. Credo che mai come in giugno la casa saveriana di S. Pietro in Vincoli, abbia ospitato così tante realtà: diocesi, parrocchie, associazioni, gruppi, scuole. Non conosciamo i motivi della loro scelta, ma ci fa piacere che siano venuti in tanti e che non si siano pentiti, nonostante i nostri limiti. Maggio si è chiuso con il con- p. AGOSTINO CLEMENTINI, sx vegno dei superiori degli istituti missionari maschili e femminili italiani. In giugno, è stato un susseguirsi di gruppi di vario tipo: dodici, per l’esattezza. Alcuni sono sfuggiti all’attenzione del fotografo. ■ Sabato 3, sotto la guida di don Adriano Ranieri, come ogni anno, sono arrivati gli anziani della Caritas diocesana di Forlì per una Messa celebrata in giardino e in chiesa. È stato un fraterno raduno, con momenti di allegria. Giovedì 8, con la consueta e straordinaria fraternità, abbiamo accolto l’arcivescovo mons. Giuseppe Verucchi e buona parte del clero diocesano per la giornata di spiritualità sacerdotale, a conclusione di questo intenso anno pastorale. Sabato 17, in un simile incontro, il vescovo ha incontrato la “chiesa ministrante” di Ravenna. Sabato 10 e domenica 11 c’è stato il 25° incontro dell’ordine laicale carmelitano dell’Emilia Romagna, sotto la guida della signora Anna, di p. Augusto e suor Maricla. Ospitalità saveriana Mercoledì 14 c’è stato un appuntamento di intensa fraternità tra il nuovo vescovo di Forlì, mons. Pizzi, e alcuni sacerdoti modenesi, nostalgici del loro don Lino. Dopo una settimana, anche il nostro parroco, don Luigi Burchi, ha festeggiato qui il suo onomastico con alcuni compagni di seminario. RIFLESSIONE AD ALTA VOCE p. AGOSTINO, sx Una categoria di ospiti che si distingue per vivacità e festosità è quella dei grest. Ne abbiamo avuti tre in diversi giorni: S. Vittore (sopra) e S. Rocco di Ravenna (sotto), guidati da Barbara e suor Giuliana, e quello della Malva di Cervia. Barbara ci ha scritto che i suoi ragazzi non dimenticheranno mai i prati, le piante, le fontanine, la cordialità e le foto del missionario che li ha invitati a tornare, per vedere le diapositive sull’Indonesia. 8 Questa casa ci è stata offerta per aprirvi una “fabbrica di missionari” e per decenni ha sfornato centinaia di missionari. Oggi, i disegni della Provvidenza sono diversi, ma la sua vocazione di essere a servizio della chiesa per costruire il regno di Dio non è cambiata. Quando venite a trovarci, è una consolazione per noi missionari e per voi che ci aiutate in tante maniere. Siamo a servizio della chiesa locale, ma non dimentichiamo che la nostra missione è per la chiesa universale. Per questo, potete immaginarlo, i nostri occhi anche qui in Italia sono fissi su questo gruppo di studenti di teologia. Grazie! E quanto leggete in questa pagina sia di incoraggiamento anche per voi. Dal 22 al 24 abbiamo avuto ospite tutta la comunità della teologia di Parma: i 5 formatori con i 21 studenti, provenienti da 14 diverse nazioni. Li consideriamo come i nostri nipoti, perché siamo proprio della stessa famiglia. Per questo, il loro arrivo è sempre molto atteso 2006 SETTEMBRE SALERNO 84135 SALERNO SA - Via Fra G. Acquaviva, 4 Tel. 089 792051 - Fax 089 796284 E-mail: [email protected] - C/c. postale 00205849 La speranza non va in vacanza A Bolano, come un'unica grande tribù questo anno, dal 27 A nche giugno al 2 luglio a Bola- no, in provincia di Salerno, si è svolto il campo missionario di formazione e di lavoro. Il titolo era davvero bello: “la speranza non va mai in vacanza”. La residenza per gli anziani Durante questa settimana abbiamo riflettuto su molte que- Gaetano Magro tappa la bocca a un’amica del campo! stioni importanti, tra cui l’affettività, la fragilità, la cittadinanza, la missionarietà. Tra le novità del campo, la più caratteristica è stata la visita alla residenza socio assistenziale per anziani di Calvanico. Nella residenza, abbiamo incontrato molte persone con problemi fisici, ma anche con gravi carenze d’affetto. Alcuni sono stati “scaricati” lì da figli e parenti, perché ritenuti fastidiosi, non più utili, gravosi anche dal punto di vista economico. Uno di loro, “il Barone”, ci ha raccontato che è ospite della residenza socio assistenziale da quando sua moglie è morta e i suoi otto figli hanno venduto la sua proprietà. Tuttora, “il Barone” non accetta di stare in quel luogo; non accetta di essere stato abbandonato dalle persone per le quali ha fatto sacrifici per sessant’anni della sua GAETANO MAGRO vita. Non accetta il fatto di voler ancora bene alle persone che lo hanno rinchiuso lì dentro. Quest’incontro ci ha fatto comprendere la fragilità che si prova a essere soli, abbandonati dalle persone che amiamo, colpevoli di essere “vecchi” e di pretendere un po’ di riposo, dopo il lavoro di una vita intera. Una partita speciale Un altro evento speciale è stata la partita dei preti contro i giovani. Molti sacerdoti si sono cimentati con il pallone, in un contesto dove l’importante non era vincere, ma dare insieme “un calcio alla violenza”. La partita è finita 9 a 8 per i giovani, ma un po’ tutti hanno vinto. Quella sera abbiamo raccolto 130 euro per contribuire alla costruzione di alcune aule in una scuola della Colombia. Ma abbiamo anche testimoniato l’amore missionario e la politica della non violenza, che ci caratterizza e che deve rappresentare lo stile Impegno e divertimento Gli animatori del campo di Bolano. Da sinistra: p. Alfonso Apicella, in partenza per il Messico, don Alfonso Capuano, parroco di Bolano, p. Alex Brai, p. Giuà Gargano, in versione... intercettazione. In cerchio, i ragazzi che hanno partecipato al campo di Bolano “La speranza non va in vacanza”: parlano, pensano, ridono, discutono e si confrontano. Quest'anno i ragazzi hanno fatto visita alla residenza socio assistenziale per anziani di Calvanico. è stata un'esperienza positiva per tutti: i ragazzi si sono confrontati con una realtà nuova e gli ospiti hanno trascorso una giornata diversa in compagnia di tanti giovani. 8 Lo striscione con il tema e il logo del campo di Bolano, che si è svolto dal 27 giugno al 2 luglio di vita di ogni giovane. Il nostro inno di unità L’inno del nostro campo formativo era la canzone “Unidos - uniti”. Un inno veramente azzeccato, dato che l’unità è stata la nostra guida forte. L’unità è stato il valore senza il quale saremmo crollati; ci ha sostenuto e ci ha fatto proseguire. C’è stata unione nell’organizzazione e cooperazione tra le varie parrocchie del luogo, nell’affetto e nell’aiuto, nella missione da portare avanti. Le parole dell’inno dicevano: “Uniti possiamo camminare nella fede e raggiungere così la felicità. Uniti possiamo trionfare sul male, abbattere il muro del pregiudizio che ci porta ad avere paura del diverso, a isolare il fragile, a ignorare l’oppresso, a non lottare al fianco del giusto. Uniti possiamo avanzare nella vita che ci riserva ogni giorno una sorpresa o un ostacolo. Uniti possiamo amare come Dio ci ha insegnato, gratuitamente, senza alcuna forma di ricompensa; solo il sorriso della persona a cui stai donando la gioia”. Ho imparato che... Grazie a questo campo ho capito tante cose. Ho capito che prima di cercare Dio nelle persone, è proprio lui che mi trova attraverso di loro; che aiutare vuol dire sporcarsi le mani e non restare fermi. Ho capito che in realtà poveri non sono i popoli dove la miseria la fa da padrona, ma siamo noi con la nostra ipocrisia e i nostri egoismi. Ho capito che il vero valore della vita è la semplicità e non le apparenze. Alla fine del campo di lavoro eravamo diventati una grande famiglia, tutti amici di tutti, consapevoli e soddisfatti di avere prestato servizio ai “ricchi poveri“ del mondo. Eravamo tutti là, come una sola grande tribù: la tribù del campo di lavoro e di formazione missionaria di Bolano. ■ Riparto dalle origini p. ALFONSO APICELLA, sx Cari amici, finisce una stagione della mia vita e ne inizia un’altra. Dopo sette anni di animazione missionaria e vocazionale in Sardegna e dopo un anno nella comunità di Genova, sono pronto a continuare la mia esperienza missionaria in Messico. Di questo Paese conosco la grande fede e la devozione del suo popolo. Quindi, la mia missione sarà prima di tutto quella di rimanere nel Signore, per poi lasciarmi indicare in quale campo di attività potrò essere utile. Mentre leggete queste righe, forse sarò già partito. Perciò desidero salutare tutti voi, che in questi anni mi avete accompagnato con la vostra preghiera, il vostro incoraggiamento e il vostro aiuto. Nel salutare tutti gli amici, soprattutto quelli che non ho potuto incontrare e rivedere di persona, ringrazio Dio anche per il breve periodo trascorso nella comunità saveriana di Salerno. Proprio qui, tra alti e bassi, gioie e difficoltà, è iniziato il mio cammino vocazionale missionario. Qui, è nata la mia avventura e sono felice di iniziare un altro periodo della mia missione rivivendo la gioia e l’entusiasmo degli inizi. Continuate ad amare e a voler bene ai saveriani. Disturbateli, invitateli, hanno tante ricchezze da condividere. Hanno l’amore per il Signore e per il mondo: vi sembra poco? Hanno il desiderio di condividere questo amore con più persone possibile. Per me chiedo il ricordo nelle vostre preghiere e l’offerta dei vostri sacrifici e sofferenze, qualora arrivino. Vivendoli in comunione con Cristo in croce, offriteli per la santificazione dei missionari. Un abbraccio fraterno a tutti. 2006 SETTEMBRE TARANTO 74020 LAMA TA - Via Tre Fontane, 15 Tel.A 099 7773186 - Fax 099 7772558 E-mail: [email protected] - C/c. postale 10423747 “Mi entusiasma l'avventura” Dal lungomare di Bari al centro dell'Africa I nizio la mia storia con il presentarmi. Sono Rosetta Mancini, missionaria saveriana. La mia città natale è Bari. Sono nata in una casa che si affacciava sul lungomare. Sarà per questo che il mare ha su di me un’attrattiva particolare e i viaggi e l’avventura mi hanno sempre entusiasmato. piaciuto leggere. I libri di “avventure” missionarie mi affascinavano e così mi nutrivo di questi. C’era in casa un quadro di una suora che battezzava un bambino africano. Un giorno - avevo circa 13 anni - mi sono fermata a guardarlo e mi sono detta: “Piacerebbe anche a me fare la stessa cosa!”. Origine della vocazione Ho ereditato da mia madre la tenacia e il coraggio di andare avanti, nonostante le prove e le inevitabili difficoltà della vita. Mia madre, infatti, rimase vedova con 7 figli, di cui la più piccola di 3 anni e il maggiore di 18 anni. Abbiamo respirato l’atmosfera religiosa e la fede, sia in famiglia - anche uno zio è sacerdote - sia in parrocchia, con gli esempi che avevamo dinanzi. La conclusione è stata la chiamata al sacerdozio di mio fratello, alla vita contemplativa di mia sorella e per me la missione. Fin da piccola mi è sempre Missionaria di Maria Ma ciò che mi ha fatto riflettere di più è stata la lettura della rivista Gentes. Mi è capitato in mano un articolo dal titolo, “E tu?”. Parlava della chiamata alla vita missionaria. Avevo circa 15 anni. Mi sono detta: “Questa è la vita che fa per me!”. Volevo essere missionaria, ma non suora, disposta ad andare in missione anche come laica. Nel febbraio del 1953 è arrivato a mio fratello il primo numero del giornalino delle missionarie di Maria. Missionarie senza un abito religioso: era proprio quello che desideravo! Alla fine dello ROSETTA MANCINI, mM stesso anno, arrivavo a Parma accompagnata da mia mamma che, in un primo momento, non mi aveva dato il consenso, perché temeva i rischi della missione. Dopo il periodo di formazione, ho trascorso due anni nella clinica saveriana di Posillipo e lì mi hanno comunicato la notizia di essere stata scelta a far parte del primo gruppo di sorelle che partivano per l’Africa, per il Congo, che nel 1960 era ancora colonia belga. Con madre Bottego in Congo Eravamo quattro sorelle. Dopo lo stage in Belgio, abbiamo avuto la gioia di essere accompagnate in missione proprio dalla nostra fondatrice, madre Celestina Bottego. Subito ho cominciato a vivere l’avventura missionaria. Dopo soli due giorni dal nostro arrivo a Uvira, nel Kivu, dove lavoravano i missionari saveriani, abbiamo dovuto prendere le consegne delle attività che una Dal cuore dell'Africa al Brasile Ho imparato ad amare i brasiliani T ornata in Italia dall’Africa, dopo qualche anno trascorso nella nostra comunità a Taranto, mi hanno chiesto se ero disposta a partire per il Brasile del sud. Non era più possibile tornare in Burundi, poiché il governo aveva espulso i missionari. Anche noi avevamo dovuto lasciare la missione. Ho accettato la proposta del Brasile e sono partita, disposta a imparare una nuova lingua e a conoscere una nuova cultura. Nell’estrema periferia Il Brasile è proprio un mosaico di popoli. Vi ho trovato anche l’Africa, poiché una buona percentuale di brasiliani sono 8 discendenti di africani. Ho imparato ad amare anche il Brasile e i simpatici brasiliani. In questi 19 anni vissuti nella “Terra di Santa Cruz”, ho svolto l’attività di animazione missionaria e vocazionale nelle parrocchie e ho lavorato nella pastorale con i catechisti e i vari movimenti ecclesiali. Sono più di 10 anni che lavoro a Tiradentes, nell’estrema periferia di São Paulo, che conta circa 300.000 abitanti. Si chiama Cidade Tiradentes, ma ha pochissime strutture e infrastrutture per essere considerata una vera “città”. È caratterizzata da tanti condomini con pochissimo spazio tra l’uno e l’altro ed è con- La saveriana Rosetta da 10 anni lavora tra la povera gente di “Cidade Tiradentes”, periferia di San Paolo, in Brasile ROSETTA MANCINI, mM siderata il più grande complesso residenziale dell’America latina. Dal centro della città siamo distanti 40 chilometri. La maggior parte della gente viene dal nord-est del Brasile. È arrivata con la speranza di trovare un lavoro più redditizio, ma pochi riescono a realizzare questo sogno. In questa realtà, la povertà diventa anche miseria. A ciò si aggiungono molta violenza e droga. Mi dedico alle famiglie Io svolgo la mia attività come responsabile della pastorale di qualche comunità. Mi occupo soprattutto della formazione cristiana e biblica delle famiglie, perché possano inserirsi più attivamente nella vita della parrocchia. Ho dato un’attenzione particolare alle famiglie più colpite dai problemi di alcol e droga, con una terapia di auto-aiuto, perché siano capaci di cambiare se stessi, in modo che possano aiutare i propri familiari con più efficacia. Anche in questa zona emarginata del Brasile mi trovo bene. La gente è molto accogliente, pronta a collaborare e a sdrammatizzare le situazioni, ad accogliere nella propria casa chi ha più bisogno di loro. ■ La saveriana barese Rosetta Mancini con i giovani di un villaggio sulle colline del Burundi comunità di suore belghe stavano svolgendo a Kiliba: un foyer, un ospedale e la maternità. In Belgio avevo omologato il mio diploma di insegnante, ma a Kiliba mi è stato proposto di occuparmi dei foyer per insegnare a donne e giovani taglio, cucito, ricamo e altre cose varie, tra cui il programma di alfabetizzazione. Con le donne che sapevano il francese - ma erano ben poche - parlavamo in francese; con le altre ci servivamo di traduttrici, non avendo avuto tempo di imparare la lingua locale, il kiswahili. Invocando tutti i santi Non essendo sarta, la mia difficoltà era grande. Quando arrivava l’ora del foyer, invocavo tutti i santi del paradiso perché mi venissero in aiuto. In modo strano, ma l’aiuto mi è arrivato: dopo un mese che eravamo a Kiliba, a causa dei gravi disordini che stavano succedendo nel Paese, abbiamo dovuto lasciare la missione per rifugiarci nel vicino Burundi, a Bujumbura. Qui, con la madre Bottego siamo rimaste ospiti delle suore bianche per tre mesi. Intanto, visto che non si poteva ritornare in Congo, ci siamo date da fare per cercare una missione che avesse bisogno della nostra attività. Abbiamo trovato accoglienza a Bururi, missione a circa 2.000 metri di altitudine, dove lavoravano i padri bianchi. Così la madre Bottego, dopo tanta incertezza e sofferenza, ha potuto lasciarci per rientrare in Italia. ■ SOFFERENZE E GIOIE MISSIONARIE ROSETTA, mM Sarebbe troppo lungo raccontare tutte le vicende dei miei 16 anni trascorsi in Burundi. Anche la guerra del 1972 mi ha molto marcata. Fino al 1981 sono stata nella missione di Murago, dove ho svolto la mia attività con i giovani e nel catecumenato, visitando le varie comunità sparse sulle colline, per incontrare le famiglie dei catecumeni. In questa bellissima zona dell’Africa ho sofferto, ma ho avuto anche molto da gioire. È stato gratificante accompagnare adolescenti e giovani, facendo assieme un cammino di fede e di maturazione cristiana. Suor Rosetta con una mamma nel centro di assistenza femminile, in Burundi Mi sono sentita bene con i catechisti e con la gente semplice, tra cui scoprivo con stupore tanta saggezza, fede e fedeltà al messaggio evangelico. Ho ancora davanti a me gli esempi di coloro che hanno avuto la forza di perdonare chi aveva ucciso i propri familiari; altri hanno messo a rischio la propria vita per salvare quelli che, in quel momento, erano considerati nemici. Ringrazio il Signore continuamente, perché mi ha concesso di dire il mio primo “sì”, a cui hanno fatto seguito tanti altri “sì”. Lo ringrazio per tutti i doni che mi ha elargito, perché potessi compiere la missione che mi ha affidato. A lui sia gloria per quello che ho potuto realizzare e che mi concederà ancora di realizzare. Il 5 luglio sorella Rosetta è ripartita per il Brasile, sua terra di adozione. Chiede che l’accompagniamo con la nostra preghiera. Certamente, lo faremo volentieri. 2006 SETTEMBRE 22038 TAVERNERIO CO - Via Urago, 15 Tel. 031 426007 - Fax 031 360304 E-mail: [email protected] C/c. postale 267229; Banca Raiffeisen, Chiasso C/c.p. 69-452-6 TAVERNERIO “I missionari sono ancora vivi” Padre Rizzi, una lettera da Kitutu P adre Giuseppe Rizzi è tornato in Italia e sta recuperando un po’ di salute nella casa di suo fratello a Maslianico. Con una lettera, ci racconta che ha salutato definitivamente la sua gente della missione di Kitutu, nella repubblica democratica del Congo. Al suo ritorno in Africa, infatti, sarà destinato a un’altra missione. Il suo discorso d’addio è cucito di ricordi del passato, soprattutto della guerra che è stata molto triste e drammatica, per lui e per tutta la comunità. Tutto è da ricostruire Padre Giuseppe ha salutato la sua gente, di cui ammira la capacità di perdonare coloro che li hanno fatti soffrire e hanno perfino ucciso i loro cari. Ha sperimentato davvero che “solo i poveri hanno aiutato i più poveri di loro”. Il 6 febbraio, gli ultimi banditi hanno abbandonato Kitutu, sostituiti dall’esercito regolare. La guerra ora sembra finita. Speriamo che sia così. Ma tutto è da ricostruire e quasi da dimenticare, anche se ci sono stati quasi quattro milioni di persone massacrate durante la lunga guerra. Alla speranza del popolo si con- trappone il freno da parte delle autorità. Padre Giuseppe invita i nostri affezionati lettori a non dimenticare i congolesi, con la preghiera e l’aiuto, perché quel “primo vagito di pace, dopo nove anni di guerra, diventi un grido di vita e una realtà di pace, per sempre”. La lettera di p. Rizzi: “Diamo spazio a Dio” “Cari amici della missione di Kitutu, è difficile descrivere gli avvenimenti degli anni trascorsi con voi, quasi sempre in guerra. Che cosa c’è di essenziale, e anche di bello, da ricordare durante il lungo periodo di distruzioni e di morte vissuto insieme? Ho sofferto come voi e con voi. Come la vostra casa, anche la nostra è stata saccheggiata. Come voi, siamo stati percossi, minacciati e insultati. Tra i vostri morti, vittime di inutili crudeltà, c’è pure il nostro missionario p. Natalino Tomasi. La condivisione di vita, in quei momenti tristi, ha edificato un vincolo di solidarietà, di amicizia e di fratellanza che mai si scioglierà nel tempo. Ci hanno permesso di scoprire dove stanno i veri valori, chi è veramente colui che non c’imbroglia e rimane p. FRANCO BERTAZZA, sx fedele con il suo aiuto: il Cristo. Con voi, abbiamo sperimentato la sua presenza anche quando si era perduta ogni speranza di soluzioni pacifiche: voi fuggendo nella foresta; noi aspettando nella missione gli assalti dei barbari. Al riparo, nella brush, ascoltavate la campana chiamare alla preghiera mattutina e alla celebrazione eucaristica. Ringraziavate il Signore perché la campana annunciava “che i nostri missionari sono ancora vivi e sono ancora con noi”, infondendo nei cuori speranza e fiducia. Sì, Cristo era ancora con noi e non eravamo soli. Egli merita che diamo più spazio a lui nella nostra vita”. ■ p. Giuseppe Rizzi, sx La scuola costruita a Kitutu da p. Rizzi di Maslianico, con l’aiuto del centro missionario di Como, a cui va il nostro grazie e quello dei tanti ragazzi della scuola. Un’aula della scuola di Kitutu. Questi ragazzi sono la speranza e il futuro della chiesa congolese; nella sofferenza, la chiesa - corpo mistico di Cristo - continua a crescere nel mondo. Danzare con la natura Cantico delle creature a Tavernerio La sig.ra Joyce, direttrice di un gruppo di danza religiosa, da alcuni anni è ospite dei saveriani di Tavernerio con la sua équipe. Ha scritto questo articolo per spiegare anche ai nostri lettori, come mai una casa di missionari è aperta anche alla danza. Sono tanti i modi e le forme d’arte che ciascuno segue per raggiungere l’unico fine: conoscere e amare Cristo, di cui Francesco d’Assisi era follemente innamorato. L e bellezze di Tavernerio e la splendida natura che lo circonda hanno permesso ai partecipanti all’incontro di vivere 8 davvero il Cantico delle Creature con tutto il loro essere. In questo cantico sono presenti tanti simboli che utilizziamo anche nelle danze sacre. Un percorso interiore È una gioia per me vedere delle persone interpretare il Cantico: la danza del sole, la danza della luna, la danza per san Francesco d’Assisi, la preghiera al sole. Danzando, pregano con tutto il corpo, con tutto il loro essere. Per ogni elemento del Cantico, c’è una danza, una gestualità. È un incontro con san Francesco che non si svolge sul piano verba- Un momento di danza, interpretando e meditando il Cantico delle Creature. Non ci sono parole, ma solo una discreta e mistica gestualità, ricca di significati spirituali sig. ra JOYCE le, ma che permette di avvicinarsi a lui in modo nuovo e con profondità di sentimenti. Per me segna l’inizio di un nuovo percorso interiore che dura nel tempo. Sono d’accordo con quanto afferma J. Elker, autore di “Francesco, un santo, un sentiero, una storia”: “Francesco incarna la strada spirituale che può essere percorsa anche sulla terra: in ogni luogo e in ogni tempo vi sono valori universali e senza tempo che, se ritrovati, raggiungono la scintilla divina che è in noi. Francesco d’Assisi non è quindi una leggenda, ma un uomo vero e vivo, il segno che Dio ci ha mandato per insegnarci a camminare e superare sia la vita sia sorella morte, che Francesco attende con serenità e in silenzio”. Francesco rappresenta l’unione fra il sole e la luna, fra l’oriente e l’occidente che rivelerà, sia a lui che a tutti quelli che lo hanno seguito, la verità e la luce. Non posso fare altro che invitarvi a vivere questa esperienza, incontrando san Francesco attraverso la danza e la gestualità. ■ Un gruppo di sorelle, la maggior parte saveriane, al termine degli esercizi spirituali condotti da p. Luigi Zucchinelli. La nostra comunità sta diventando un luogo di preghiera, di riflessione e di... conversione i sAveriani delle mentawai I quattro saveriani che hanno assicurato continuità di lavoro nella missione delle Mentawai, in Indonesia. Da sinistra: p. Angelo Calvi, p. Ottorino Monaci con la lunga barba bianca, p. Franco Bertazza e p. Stefano Coronese. Padre Monaci, di origine novarese, per ricomporre il gruppo di saveriani missionari nelle Mentawai in anni diversi, ci ha fatto una visita a Tavernerio, tanto gradita e piena di ricordi. Le Mentawai sono la terra del nostro cuore, angolo di paradiso sperduto su quattro smeraldi di mare. Padre Monaci batte il record della barba saveriana attualmente più lunga 2006 SETTEMBRE VICENZA 36100 VICENZA VI - Viale Trento, 119 Tel. 0444 288399 - Fax 0444 288376 E-mail: [email protected] - C/c. postale 13616362 La gioia di donare il vangelo Pellegrinaggio sui luoghi del Saverio I saveriani di Vicenza hanno organizzato una “marcia” nei luoghi dov’è passato san Francesco Saverio, in occasione delle manifestazioni per il quinto centenario della sua nascita. Il Saverio a Vicenza La manifestazione si è svolta sabato 24 giugno, partendo dalla sede dei missionari saveriani in viale Trento, alle ore 18,30. Il superiore della comunità p. Mario Giavarini, ha dato il “benvenuto” a tutti i presenti, sottolineando l’importanza della tappa di Vicenza nella vita di san Francesco Saverio. Qui ha avuto inizio la passione del santo per le anime, per i poveri, per i malati. A Vicenza il Saverio ha celebrato la sua prima Messa. Qui i primi seguaci di sant’Ignazio si sono dati il nome di “compagni di Gesù”. La marcia è stata abbinata all’iniziativa di “giovani per la missione”, già collaudata con successo. Settanta giovani sono partiti quest’estate per una breve esperienza missionaria in Africa, in Oriente e nelle Americhe. Per la chiesa di Vicenza, che ha donato tanto alle missioni, significa un invito a rinforzarsi nella fede. Un dono particolare Settanta giovani in missione del pellegrinaggio, A llanellafinechiesa di santa Ber- tilla, il vescovo di Vicenza ha dato il mandato missionario a 69 giovani che in estate sono partiti per le varie missioni. Ecco il racconto di qualcuno di loro. Suor Anna: “Come semi...” Il momento più emozionante è stato quando padre Luciano ha chiesto che si presentassero, davanti all’assemblea, i giovani che partivano. Uno a uno si sono schierati davanti all’altare. Erano proprio tanti, al punto che qualcuno ha dovuto mettersi in “doppia fila”. Che gioia per me poter dire che li conoscevo tutti per nome! Quando poi abbiamo invocato su quella schiera di giovani l’intercessione dei santi, mi sono immaginata che anche il Padre eterno li stesse guardando compiaciuto, come li guardavo io. L’unica differenza è che Dio, più di me, conosce ciascuno non solo per nome, ma anche nel più profondo del loro cuore. Mi sono detta: questi giovani, partendo per le varie missioni, sono come i semi in mano al seminatore, gettati con abbondanza sul terreno buono, pronti a portare frutto, quanto e come Dio vorrà. Sta a noi avere occhi per vederne i germogli... Luca: “È la strada giusta” Emozione, orgoglio, paura..., ma anche la consapevolezza di una chiamata. Queste sono alcune delle mille sensazioni che ho provato quel sabato nella chiesa di santa Bertilla. La croce che da quel giorno porto al collo, è il sigillo di questa esperienza missionaria, che diventa il centro dei miei pensieri. È stato il culmine di un cammino entusiasmante che ha cambiato la mia vita, il mio modo di vedere le cose e di coltivare i valori del regno di Dio. Le parole degli animatori du- p. GIOVANNI ZALTRON, sx Una lunga colonna Padre Renato Trevisan, saveriano di Caldogno e missionario tra gli indio kayapò dell’Amazzonia, ha riassunto la vita del grande apostolo, partendo dalla potente molla che lo ha spinto a partire, cioè il tormento creato nella sua anima da sant’Ignazio con le parole di Cristo: “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l’anima?”. Da qui nasce l’amore di Dio, l’amore per le anime che ha portato il Saverio ad affrontare i suoi viaggi incredibili ed estenuanti: 900 chilometri per 13 volte; 30 mila persone da lui battezzate, rante tutti gli incontri e la riflessione del vescovo durante la Messa mi hanno fatto capire che avevo imboccato finalmente la strada giusta. Non so che cosa farò quando tornerò dalla Sierra Leone. Qualsiasi cosa deciderò, sono sicuro che non rispecchierà solo la mia volontà, ma anche il progetto e il sogno che Dio ha per la mia vita. Per questo motivo, la croce che porto è davvero importante per me. Andrea e Roberto: “La fatica e l’emozione” Quel sabato, forse per la prima volta in modo così palpabile da quando è iniziato il corso “insieme per la missione”, ci siamo sentiti in comunione con la chiesa vicentina e con i missionari che lavorano nel mondo. La consegna del mandato missionario da parte del vescovo a noi che partiamo per un’esperienza in missione ha toccato il nostro cuore, riempiendolo di emozioni. Se prima, il caldo e la stanchezza facevano da padroni, dopo la cerimonia eravamo tutti contenti, tanto che le fatiche della giornata sono passate subito in secondo piano. ■ I giovani per la missione, con i loro genitori Alcuni pellegrini durante la marcia nei luoghi del Saverio; con la macchina fotografica, don Luigi Simioni, parroco della chiesa di santa Bertilla con la visione dell’ultimo viaggio verso la Cina. Sapeva che non sarebbe più tornato indietro. La nostra marcia è iniziata con il canto a voci spiegate: “Esci dalla tua terra e va...”. La colonna si è allungata in viale Trento, si è innestata in via dei Cappuccini, fino alla località dove avevano soggiornato sant’Ignazio e san Francesco Saverio. Ora restano solo tracce di mura diroccate. Il convento e l’ospedale Il gesuita p. Fantola, durante la sosta, è intervenuto con accenni storici sul luogo, partendo da una lettera del Saverio. Nell’ottobre del 1537 gli undici gesuiti si riunirono a Vicenza, nel convento di S. Pietro in Rivarolo. Era un convento privo di porte e di finestre. Dovevano dormire sui pagliericci. Poi il Saverio, con il sopraggiungere dell’inverno, si ammalò e venne ricoverato nell’ospedale degli incurabili (ora S. Bortolo), dove si era recato molte volte per assistere i bisognosi. La sfilata è proseguita in via Legione Antonini, fino alla chiesa di santa Bertilla, dove il vescovo mons. Cesare Nosiglia ha celebrato la Messa. La gente presente era davvero tanta. L’invito del vescovo ai giovani “A volte - ha detto il vescovo nella sua omelia - viene da domandarsi se Cristo dorme, come nella barca sul lago di Galilea, o come nei campi di sterminio. Occorrono testimoni per richiamare a maggiore speranza. Ecco allora i giovani, che sono disponibili e credono in Dio, a cui nella è impossibile”. E ai giovani in partenza per la missione arriva l’invito a non vivere più per se stessi, ma per Cristo. “Partite con il mandato, con il sigillo della chiesa. Gustate la gioia di donare il vangelo, donando voi stessi. Accendete il fuoco irresistibile dell’amore. Al ritorno, ci farete gustare la vostra esperienza. Portate, assieme alla vostra fatica, il cuore del vostro vescovo e riportateci la vostra gioia, quella che anch’io ho provato al rientro da una missione”. Dopo l’invocazione ai santi martiri d’oggi, il vescovo ha benedetto i partenti e i crocifissi, che aveva consegnato a ciascuno di loro. ■ UN BEL VASSOIO COME DONO p. LUCIANO BICEGO, sx La consegna del Crocifisso ai giovani partenti è stata una cerimonia di grande significato. Il lavoro di collaborazione tra gli otto istituti missionari, che lavorano nella diocesi e che hanno dato vita a questa esperienza missionaria giovanile, è forse il più bel regalo offerto alla diocesi di Vicenza. Quella sera mi veniva in mente quest’immagine: un grande vassoio con una composizione variegata e armoniosa: dodici religiose e religiosi che si aiutano tra loro, dodici laici sposati e singoli, un sacerdote fidei donum e 90 giovani. Questo “oggetto d’arte” un po’ particolare è stato donato alla chiesa di Vicenza, direttamente nelle mani del vescovo. Un dono, infatti, non deve essere mai tenuto per sé. Il vescovo era contento di questo segno di chiesa. Gli stessi giovani erano soddisfatti per aver trovato nel corso della loro vita una famiglia composta di religiosi e religiose che li hanno accolti e ascoltati. E anche i religiosi si sentivano realizzati nella chiesa locale. È stata la dimostrazione che erano attivi e potevano proclamare il carisma del loro istituto. GIOVANI IN MISSIONE: 23 SETTEMBRE 8 Sabato 23 settembre, inizia il nuovo corso di preparazione per i giovani che desiderano prendere parte alla breve esperienza in missione. L’appuntamento è per le ore 15, dai saveriani in viale Trento: tel. 0444 288399 2006 SETTEMBRE ZELARINO 30174 ZELARINO VE - Via Visinoni, 16 Tel. 041 907261 - Fax 041 5460410 E-mail: [email protected] - C/c. postale 228304 Un successo che si rinnova La giornata saveriana a Zelarino I l cielo sereno e un bel sole hanno contribuito al grande successo della “giornata saveriana” di Zelarino, seguita anche quest’anno dalla bella festa all’aperto. In una parrocchia del Veneto, un giovane che stava per ricevere la cresima, si chiedeva: “Chi mi aiuterà a essere fedele ai miei impegni se non vedo mai i miei genitori andare a Messa? Più che ascoltare prediche, noi desideriamo vedere testimonianze di vita”. Una “testimonianza” ci è venuta dai ragazzi della cresima che, invece delle bomboniere, hanno acquistato i biglietti della lotteria per l’Africa. Hanno vinto… un passo avanti nella vita. Missionari in casa Il giorno della sua ascensione, Gesù ha inviato in missione gli apostoli e ogni cristiano. Lo ha illustrato molto bene p. Mario Diotto in tutte le Messe celebrate in parrocchia. p. FRANCO LIZZIT, sx Nell’omelia, p. Mario ha raccontato la sua esperienza in Congo, sul lago Tanganika. Musica e sport erano strumenti che entusiasmavano i ragazzi. L’obiettivo era arrivare a una catechesi solida, a una pratica viva dei sacramenti e in particolare alla formazione di catechisti e leader responsabili nelle numerose comunità sparse della missione. Poi, attraverso i canti, da lui composti in missione e suonati con la sua fisarmonica, ha inviato all’attenta assemblea un chiaro messaggio: cominciare a essere missionari in casa, con il proprio stile di vita di cristiano praticante. Il fascino di mucca Ercolina Nel pomeriggio, l’incontro è proseguito nel cortile e nei campi dei saveriani, per lodare il Signore nella gioia e aiutare le missioni. Dieci cartelloni, appesi alle finestre della casa, ricordavano l’anno del Saverio, illustrando alcuni episodi della sua vita missionaria. Per il pranzo, circa duecento persone hanno preso posto sotto il grande capannone smontabile, necessario per ampliare un po’ i nostri piccoli spazi. Il saporito menù è stato arricchito da tanta allegria, dalla fisarmonica e da una tombola a sorpresa, allestita dall’instancabile p. Mario. Ma le vere attrazioni sono state, per grandi e piccoli, un giro in sella al cavallo o in carrozza e il mini-zoo con tanti animali: caprette, pony, chiocce, pulcini e volatili, conigli, l’asino e il bue. C’era anche la famosa mucca Ercolina, a passeggio tra la gente, accompagnata al guinzaglio da Bepi, il suo allevatore, che ha dato dimostrazione della mungitura manuale, come si faceva una volta… Qualche bambino ha voluto perfino assaggiare il latte appena munto. I premi della lotteria Anche gli scout di Zelarino- Scene di una bella festa Accompagnati dalla fisarmonica (fuori campo), i bambini di diversa età si divertono giocando al trenino attorno alla vasca dei pesci Trivignano hanno interessato i ragazzi con i loro giochi, mentre gli adulti erano impegnati in un’improvvisata pesca con ricchi regali. Infine, durante la cena, è arrivata l’estrazione dei premi della lotteria “Chiama l’Africa”. Il premio più grande, però, va ai tanti volontari di Zelarino, Trivignano e dintorni, che con senso di vera amicizia hanno sacrificato tempo e denaro per la riuscita di questa splendida giornata. Grazie per il bene che ci volete. Il Signore vi ricompensi con il centuplo e ancora di più. Il ricavato della festa ha già raggiunto le missioni di Luvungi, Mboko e Baraka, nella diocesi di Uvira in Congo. Servirà per la formazione di leader e catechisti, come indicato nelle finalità della giornata. Il messaggio spirituale continui a fruttificare in ognuno, come il granellino di senapa. ■ Nota bene - Dei dieci premi, nove sono già stati ritirati (i numeri sono stati pubblicati nel numero di luglio/agosto). Rimane la macchina da cucire, abbinata al biglietto n° 19.962. Non siamo riusciti a trovare il fortunato vincitore. L’interessato contatti i saveriani di Zelarino: tel. 041 907261 BEATI LA MAMMA E IL PAPà... p. FRANCO LIZZIT, sx Il battesimo della sella: la prima cavalcata è sempre una grande emozione, purché l’animale sia mansueto! Mons. Mario Ronzini, responsabile dell’ufficio matrimoni: camminare sui trampoli? Può servire anche nella vita di coppia! Nella festa del Corpus Domini, don Fabio Miotto, sacerdote diocesano, ha celebrato la sua prima Messa a Zelarino. È il terzo sacerdote di questa parrocchia negli ultimi nove anni. C’erano anche i saveriani, per ringraziare il Signore. Mario, papà di don Fabio, da vari anni è custode tutto-fare alla Villa Visinoni, ora centro pastorale della diocesi di Venezia. Don Fabio, 29 anni a novembre, è perito chimico. Ha seguito per diversi anni gli scout ed è stato segretario dell’Avis di Zelarino. Nelle preghiere della Messa ha ricordato questa sua attività, con l’augurio di restare sempre unito a Cristo che ha doto il suo sangue per tutti. Gioia e commozione erano visibili sui volti di nonna Laura, mamma Anna e papà Mario quando, prima di concludere, don Fabio ha consegnato loro un mazzo di fiori e ha pronunciato questa benedizione: Beati la mamma e il papà, che chiamano alla vita e sanno donare la vita per i figli. Beati il papà e la mamma, che crescono insieme ai figli e li aiutano a diventare se stessi. Beata la mamma, che sa educare con dolcezza e determinazione. Beato il papà, che cammina con i figli verso orizzonti aperti all’uomo, al mondo e all’eternità. Beati la mamma e il papà, che insegnano ai figli a essere migliori; non i migliori. Grazie papà e mamma, che vegliate sui figli, lasciando che seguano la propria strada. Don Fabio consegna i fiori a mamma Anna e papà Mario (foto di Maurizio Romanello) Uno dei giochi degli scout: infila la noce, rompila al volo e… buon appetito! 8