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Portiamo la speranza

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Portiamo la speranza
®
Notizie
stimoli
proposte
per gli amici
dei missionari
Burundi
Camerun
CIAD
Congo R. D. Mozambico
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Redazione: Diego Piovani
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2006 SETTEMBRE n. 8
Portiamo la speranza
La missione è speranza
A
giorni si terrà
a Verona il IV
Convegno della chiesa italiana. Le comunità cristiane intendono chiarire e ribadire il
ruolo che devono svolgere nel contesto della realtà storica del
nostro Paese. In altre
parole, la chiesa italiana vuole ritrovare la
sua missione di testimone “credibile” del Signore
risorto, attraverso una vita
rinnovata e capace di
introdurre speranza in
un mondo diventato
piccolo come un “villaggio globale”, ma disorientato dall’incertezza sui valori, da una fede debole
e dalla paura della violenza che
sempre più dilaga.
In realtà, la stessa chiesa nel
nostro Paese sembra sprovvedu-
ta e quasi senza risposte, davanti
alle sfide di un mondo che ha
smarrito le coordinate del suo
andare.
Cose belle e cose oscure
Ci sono delle belle realtà che
caratterizzano il mondo italiano
oggi. C’è desiderio di autenticità, e di religiosità, di prossimità e di solidarietà. Ci sono le
possibilità della comunicazione
e le conquiste della scienza a
vantaggio dell’uomo. C’è l’impegno per i più poveri, che si
esprime nel volontariato interno
e internazionale. Ci sono ancora figure splendide, come don
Puglisi, don Santoro, Annalena
Tonelli e i tanti missionari che
hanno dato la vita in questi ultimi tempi.
Ma ci sono altrettanti segni
che preoccupano. Il crescere
della povertà, la corruzione politica e finanziaria, la criminalità,
il disinteresse del bene comune,
la mancanza di rispetto per la
vita, e non solo quella iniziale
e terminale, ma anche l’indifferenza per un mondo che muore
di fame, di malattie e di guerra,
la disoccupazione e la precarietà
del lavoro con l’incertezza per
il domani. Sul versante religioso, la disaffezione per la pratica
religiosa, la caduta e la perdita
del senso morale e della responsabilità, l’incertezza sui valori
etici da proporre e trasmettere,
l’incapacità degli educatori e dei
pastori di farsi ascoltare, fino
all’insignificanza di una chiesa
che non ha più voce per gridare
contro le ingiustizie, forse perché s’è esaurita nel combattere
solo certi peccati e non altri, altrettanto gravi.
IL SACROSANTO SILENZIO DI DIO
La volontà di fare la nostra parte
p. MARCELLO STORGATO, sx
so come sarà la situaN on
zione quando leggerete queste righe. Mentre scrivo, il Medio Oriente è in fiamme. Dicono che non è ancora
tempo per gettare acqua sul
fuoco. Meglio che il fuoco si
espanda, fino a “sistemare” la
situazione, una volta per sempre. Intanto, i bambini di Nazaret muoiono, accanto al luogo
dell’Annunciazione, là dove la
vergine Maria ha detto “sì” al
piano di Dio e ha concepito il
Figlio; adulti e giovani cadono
a terra in Libano, che procurava i giovenchi per i sacrifici nel
tempio di Gerusalemme, e nella Galilea, dove Gesù annunciava la beatitudine dei miti e degli operatori di pace; la gente
è costretta a scappare per salvare la vita propria e dei bambini; le madri - cristiane, ebree,
musulmane - piangono e non
vogliono essere consolate, perché i loro figli non sono più...
E Dio tace.
Mentre scrivo, un nuovo maremoto e un nuovo tsunami si
sono abbattuti sull’isola di Giava. Centinaia i morti e dispersi,
specialmente bambini che giocavano sulla spiaggia; decine di
migliaia i disperati che hanno
perso tutto, perché non è stato ancora attivato un sistema di
allarme, che avvisi la gente del
pericolo imminente. E Dio tace.
Sì, Dio tace. Non è un silenzio di statua. Non è un silenzio
di tomba. È il silenzio di Cristo,
di fronte all’uomo che lo schiaffeggia; di fronte a Erode e a Pilato, che hanno la responsabilità di evitare e di fare. È il silenzio di Cristo di fronte a chi lo bacia, con ben altri fini che quello
dell’amore e della familiarità.
Solo Cristo - e con lui, soltanto le vittime - hanno diritto a lamentarsi con Dio: “Dove
sei? Dove eri?”. I carnefici no.
E neppure noi, che forse ci riteniamo innocenti di tutto quello che accade attorno a noi.
Poi sento tante domande:
“Dove siete voi, religiosi e politici, quando in Africa portano
via tutto e tutti? Quando milioni di persone nel mondo muoiono lentamente di fame e di malattia? Quando vendono le armi
perché altri si combattano e uccidano? Fate bene a difendere i
nascituri, ma perché lasciate che
uccidano i bambini già nati? Perché domandate perdono dei misfatti di ieri e tacete sui misfatti
di oggi? E dove sono le organiz-
zazioni internazionali?...”.
Mio Dio, basta con tutte queste domande assordanti, che mi
rompono i timpani della mente
e del cuore, e non mi lasciano
in pace. Abbiamo pregato, domenica 23 luglio - e preghiamo
ogni giorno, io e tanti altri che
abbiamo a cuore la pace dell’umanità - per chiederti il dono prezioso della pace, perché
cessi il fuoco, perché si facciano
corridoi umanitari...
Già, i corridoi umanitari sono
l’ultima spiaggia! Anche tu, del
resto, avevi comandato a Mosè
di aprire un corridoio nel mar
Rosso, per portare in salvo gli
ebrei, il popolo da te prediletto, dagli attacchi del faraone;
ma poi han dovuto vagare per
quarant’anni nel deserto, prima di trovare una patria!
Cosa possiamo fare di più,
noi che siamo disarmati? Mi
sembra di sentire ancora quel
canto nella notte: “Pace agli
uomini di buona volontà”. Sì,
il tuo dono di pace è lì, pronto.
Ma ci vuole più “buona volontà”, da parte di tutti e da tutte le parti, per accoglierlo e custodirlo. Tu puoi tutto, Signore, ma non puoi fare quel poco
che tocca a noi.
■
p. Gabriele Ferrari, sx
La caduta della speranza
Tutto questo produce e induce l’impressione che il bene, la
fede, la religione non abbiano
più molto da dire. Il peggio è
che tutto questo si accompagna
con la caduta della speranza e la
rassegnazione di molti, che pure
vorrebbero e dovrebbero esserne
portatori ed apostoli. Abbiamo
bisogno, come cristiani, di recuperare le “ragioni della speranza” che sono in noi.
Perciò, ben venga il Convegno
di Verona. Noi missionari sentiamo che esso potrà essere un
salutare scossone alle comunità
ecclesiali. Annunziare Cristo risorto è il nucleo della missione,
un messaggio che è in grado
- e noi missionari ne siamo testimoni - di rinnovare i popoli
e le culture, quando viene fatto
in modo tempestivo, coraggioso
e coerente. Infatti a noi sembra
che le comunità italiane siano
assuefatte alla Parola e alla celebrazione del Mistero pasquale.
La Pasqua deve tornare ad essere
la riserva di speranza e la memoria sovversiva, che stimola a
rinnovare i cuori e le strutture,
come avviene nelle nuove chiese
di missione.
Un popolo missionario
Perché ciò avvenga anche qui
da noi, i pastori e le chiese dovranno sostenere le forze vive
del cambiamento e non della
conservazione; mettersi dalla
parte dei più poveri, senza domandarsi se sono dei “nostri” o
di altra religione; alzare la voce
per chiedere qui legalità e giustizia, insieme a una ripresa della
cooperazione con i Paesi poveri,
denunciando coraggiosamente
l’emarginazione.
Le comunità cristiane fanno
bene a chiedere che siano affermate le radici cristiane dell’Europa, ma nello stesso tempo, devono vegliare affinché la prassi
e le leggi europee siano in linea
con i valori cristiani della solidarietà e della pace.
Solo in questo modo la chiesa italiana sarà testimone del
Risorto e sosterrà la speranza
degli italiani. Così ritroverà la
sua vera natura di chiesa: un popolo autenticamente missionario
a servizio di Dio e del mondo.
Sarà di nuovo una chiesa “serva
e povera”, distaccata dal potere e
dalle sicurezze mondane, libera
da pericolosi collateralismi, in
grado di dire una parola credibile di speranza. Il Convegno di
Verona non sia una semplice “celebrazione”, ma la ripresa della
vera missione della chiesa. ■
La missione è speranza - La missione è davvero tale, perché testimonia alle genti che Cristo è risorto.
Anche la chiesa italiana ha scelto
questa testimonianza per il convegno di Verona. Nelle foto di questa
pagina, la speranza di una madre
indonesiana e la croce, portata dai
missionari sulla via del Golgota.
2006 settembre n.
ANNO 59°
8
2
In Congo sperano sempre
3
Saverio, avventura in Indonesia
4/5
Il coraggio di sperare
6
Vivere e annunciare la libertà
Dio in forma di pane
Il dialogo in Giappone
“Le isole della speranza in Dio”
La famiglia non ha alternative
archivio MS / foto di J. Carlos
Con Gesù risorto nel mondo
2006 SETTEMBRE
m i s s ione e spirito
L’icona della missione
Vivere e annunciare la libertà
Paolo traccia nuovi sentieri
eggendo queste parole,
forse nasce in voi un sentimento di incredulità e di perplessità. Sentimenti che io stessa ho avuto, quando le ho lette in
un articolo scritto da padre José Comblin, il missionario belga che lavora in America latina
dal 1958. Sono parole che ci obbligano a guardare in faccia alla
realtà, senza tanta poesia.
La realtà senza poesia. E sorgono in noi alcune domande:
Il mondo degli esclusi è proprio
destinato a restare per sempre?
Chi nasce nell’esclusione non sarà mai più incluso? Annunciare la
fine dell’esclusione è davvero un
segno di irresponsabilità?
Queste e una serie infinita di
domande si agitavano dentro di
me, nel leggere quell’articolo. E
quando ho presentato quello scritto ad altre persone, è successo il
pandemonio: “Ma come? Dov’è
allora la speranza cristiana? Ma
questo è pessimismo, è una lettura distorta della realtà!...”. Alla
fine dell’incontro, la mia testa girava come una trottola.
Anche la testa di Paolo doveva essere in forte agitazione quando si è messo a scrivere la lettera
ai Galati. Era agitato, perché gli
avevano detto che nella comunità cristiana esistevano divisioni.
Come certamente bolliva la testa
dell’apostolo quando pensava ai
cristiani di Tessalonica che speravano nel ritorno imminente del
Signore Gesù, e per questo avevano smesso di lavorare... Come
doveva essere agitato mentre cercava le parole giuste da scrivere a Filemone per convincerlo a
lasciar libero il suo schiavo e ad
amarlo come fratello...
Paolo era indignato davanti alla schiavitù e all’esclusione, situazione istituzionalizzata nell’impero romano. Si agitava ogni
volta che rifletteva sull’esperienza di libertà che lui aveva vissuto e che si prolungava nella sua
vita, dopo l’evento di Damasco.
Si agitava ogni volta che si interrogava sui passi da fare affinché
anche tanti altri uomini e donne
potessero fare la stessa esperienza di incontrare Cristo e acquistare la libertà interiore.
Forse oggi ci manca l’umiltà di lasciarci sfidare; di permettere alle domande di agitarsi nel
nostro intimo; di lasciare che la
nostra mente vada in ebollizione; di permetterci di uscire dal
cammino tracciato e sicuro.
Sì, perché Paolo era uscito dal
cammino tracciato. Era uscito
dal cammino tracciato dal giudaismo: “Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho
reputato una perdita a motivo di
Cristo...” (Fil 3,7). Era uscito dal
cammino sicuro di cittadino romano: “...un punto di onore: vivere in pace, attendere alle cose vostre e lavorare con le vostre
mani, al fine di condurre una vita
Mosaico Cappella Palatina, Monreale
L
tea FRiGERIO, mM
Paolo in fuga da Damasco,
cerca vie nuove
LA PROVOCAZIONE
Il mondo degli esclusi è destinato a restare... Chi nasce nel mondo
degli esclusi già nasce escluso; non potrà mai recuperare la distanza
che lo separa da chi nasce in una famiglia inclusa... Annunciare la fine dell’esclusione è un segno di irresponsabilità perché, così facendo, si alimenta nelle persone un’illusione, ritardando la presa di coscienza e l’adozione di mezzi adeguati per far fronte alla realtà... Si
continua a parlare di scelta dei poveri e degli esclusi, ma il discorso
e le scelte pastorali sono sempre più distanti dalla realtà dei poveri
p. José Comblin
ed esclusi.
decorosa e di non aver bisogno
di nessuno” (1Tess 4,11-12). Era
uscito perfino dal cammino tracciato dai criteri apostolici: “Non
sono io libero? Non sono un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la
mia opera nel Signore? Anche se
per altri non sono apostolo, per
voi almeno lo sono; voi siete il
sigillo del mio apostolato nel Signore...” (1Cor 9,1-2).
Rischiare nuove vie. Paolo
era uscito dal tracciato per aprire
sentieri e cammini nuovi: “Tutti
voi siete figli di Dio per la fede
in Cristo Gesù poiché, battezzati
in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna,
poiché tutti voi siete uno in Cristo” (Gal 3,26-28).
Dio in forma di pane
Mahatma Gandhi:
A fferma
“Ci sono così tante perso-
Anno Saveriano
LeGGERE, NON BASTONARE !
p. ALFIERO CERESOLI, sx
notte altri due! Uno aveva sedici anni; l’altro meno di
Q uesta
venti. E non dico la data, perché ieri ne avevano ucciso uno
2
e domani, forse, ne uccideranno altri tre! Continua il tempo caldo; non quello meteorologico. Qui in Brasile, nello stato di São
Paulo, è inverno e il fresco è piacevole. I giornali già non parlano
più della ribellione delle carceri, avvenuta nella seconda metà di
maggio, ma la violenza continua.
Del resto, esisteva anche prima. Qui nel nostro quartiere di Rosolém, nella città di Hortolândia che ospita un carcere con più di
settemila detenuti, non fa più notizia la “morte matada - la morte per uccisione”. Il Primo Comando della Capitale ha voluto dare una prova di forza: possiamo paralizzare la maggiore città del
Brasile e una delle maggiori del mondo: São Paulo. E ci sono riusciti! Questa ribellione sta lasciando una scia dolorosa. Nel caos, tutti
possono uccidere tutti. E tu non ti senti più sicuro neanche per andare al botteghino vicino casa, a comprare pane e latte.
Anche il nostro padre Claudio ne ha fatto le spese. È stato bloccato, strattonato giù dalla macchina, che gli hanno rubato (poi ritrovata) dopo averlo buttato a terra. Grazie a Dio, ne è uscito solo con un occhio pesto. La polizia li ha presi. La prima domanda
dei poliziotti al missionario è stata: “Gli diamo una lezione?”. La
risposta è stata immediata e chiara: “Assolutamente no!”.
Poi in casa, abbiamo riflettuto insieme. Anche questi ragazzi sono nostri fratelli. Anche loro appartengono a Dio; a Dio devono
essere restituiti. Il beato Guido direbbe: “sono tutti miei figli” - come ricorda il titolo di una bella biografia scritta da p. Luca.
Abbiamo ricordato una raccomandazione fatta da Francesco Saverio a p. Gaspare Barzeo, prima di partire per il Giappone (Lettera 80,35.24): “Se volete procurare molto frutto, sia a voi sia al
prossimo, e vivere consolato, conversate con i peccatori, facendo
in modo che si aprano con voi. Questi sono i libri vivi con i quali
dovete studiare e pregare e da cui trarre consolazione”. Non “lezioni” a bastonate quindi, ma dialogo e lettura di quel libro vivo che è ogni persona umana, anche se mi ha fatto un occhio livido.
Così continua il Saverio: “Conversate con volto allegro, non vergognoso né arcigno, perché se vi vedono severo e triste, per timore, molti tralasceranno di giovarsi di voi: siate pertanto affabile e
benigno, e in particolare le ammonizioni fatele con amore e garbo, senza che abbiano la sensazione che siete disgustati da coloro che parlano e conversano con voi”.
Consigli validi in ogni tempo, nel 1500 e nel 2000. Piste preziose
per crescere nella capacità di accogliere chiunque, anche il diverso
e il nemico, se nemico esiste per il cristiano.
■
Anche per noi oggi, come per
Paolo allora, la missione richiede
questo: uscire dal cammino tracciato e, con l’annuncio del vangelo di Cristo, provocare esperienze umane e comunitarie inedite per il nostro tempo.
■
La missione CHIAMA
CARISMA è MISSIONE
Era uscito dal cammino tracciato per lasciarsi guidare dalla forza
della Parola, dalla forza dello Spirito, dalla forza degli avvenimenti: “Non mi sono mai sottratto a
ciò che poteva esservi utile... Non
so cosa mi accadrà. So soltanto
che lo Spirito Santo mi dice che
in ogni città mi attendono catene
e tribolazioni... purché conduca
a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza
al messaggio della grazia di Dio”
(Atti 20,17-37).
ne affamate nel mondo che Dio
si può rivelare solo in forma di
pane”. Gandhi ha colto una dimensione vera dell’Eucarestia: il
nostro essere figli di Dio-Amore e fratelli tra noi. La fede in un
“Dio di pane”, e pane spezzato
per la vita del mondo, ci lega in
modo incredibile a quanti sono
privi del necessario.
La mistica del sacramento ha
un carattere sociale. L’unione con
Cristo è anche l’unione con tutti.
Il nostro prossimo è universale,
ma rimane concreto e richiede un
impegno pratico, qui e ora. Gesù
si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi,
malati, carcerati. Papa Ratzinger
ce l’ha ricordato più volte.
Eppure 30 mila bambini al
giorno muoiono di fame o di
malattie curabili. Sono bambini
che fanno parte di quel miliardo
di persone che vive con meno di
un dollaro al giorno, e di quei 18
milioni di persone (50 mila al
giorno) che muoiono ogni anno
per cause legate alla povertà. Oltre le cifre, c’è il volto reale della fame; ci sono persone concrete con il loro nome.
Noi missionari non possiamo
dimenticarli. Per questo, insieme
a coloro che hanno a cuore la dignità di tutti gli uomini, ci sentiamo impegnati a cercare, alla luce
del vangelo, risposte adeguate e
più umane ai problemi della fame e dei rapporti tra i popoli.
La fame oggi è soprattutto un
problema di giustizia economica. L’economia presenta non pochi aspetti “selvaggi” nelle relazioni tra uomini e donne della
stessa famiglia umana. Eppure la
persona umana si realizza pienamente solo nel dono di sé e nelle
relazioni giuste con gli altri.
La fede nel Padre-Amore sprigiona nell’esistenza la fiducia in
Dio e la responsabilità verso il
prossimo: “Vi ho chiamato amici”, ha detto Gesù. Amici: è qualcosa di più che fratelli, perché
l’amicizia esprime la libertà, la
reciprocità, il rischio, la gioia dei
diversi che si riconoscono fratelli. Non un fatto elitario, ma un
motivo per una nuova socialità.
È qualcosa di nuovo.
“Cibopertutti”. Sto vivendo a
Parma un’esperienza interessante con un gruppo di lavoro composto da rappresentanti di varie
associazioni. Ci siamo proposti
di riflettere e agire sul tema del
cibo come diritto, come risorsa
naturale, come oggetto di cambio e di consumo.
“Cibopertutti” è il nome del-
INTENZIONE MISSIONARIA
E PREGHIERA DEL MESE
Nei territori di missione,
l’intero popolo di Dio avverta
come priorità la propria formazione permanente.
Coloro che utilizzano i
mezzi di comunicazione sociale, lo facciano sempre con
coscienza e responsabilità.
Saverio: ”Conversate con volto allegro; siate affabili; ammonite con amore e
garbo”.
p. siLVIO TURAZZI, sx
l’associazione che vuole contribuire attivamente alla promozione di un mercato equo e accessibile a tutti, offrendo occasioni
di incontro tra produttori e consumatori, attraverso esperienze di
vita e di imprenditorialità a partire dal sud. A ottobre è previsto il
festival “Kuminda”, una parola in
lingua creola che significa cibo.
La novità sta in questo: vedere l’economia come espressione di un rapporto umano genuino. Nasce così una forma di “inter-esse” saggio, dove l’efficienza vive insieme alla solidarietà,
alla reciprocità, a ciò che è bello e buono per tutti, e perché no,
alla spiritualità e alla comunione. Lo intuiva mio papà ortolano che vendeva frutta e verdura.
Diceva con semplicità: “Se tu sei
onesto, sei in pace, fai contento
il cliente e lui tornerà a comprare da te”.
L’economia diventa allora un
potente invito alla conversione
verso il progetto di Dio, Padre
di tutti gli uomini. Un’economia
che tocca i conti in banca e apre
la borsa della spesa alla condivisione con il prossimo lontano. Il
fratello mi è sempre vicino, anche se vive a 10 mila chilometri
di distanza.
Ho bisogno, tutti abbiamo
bisogno di ripartire da Nazaret, dalla casa del lavoratore Gesù. “Solo partendo da lì, anche
la chiesa potrà prendere un nuovo slancio e guarire. La chiesa
non potrà mai dare la vera risposta alla rivolta del nostro secolo
contro la potenza della ricchezza, se non vive la realtà di Nazaret” (card. Ratzinger ai Piccoli
fratelli).
■
2006 SETTEMBRE
V ITA SAVERIANA
Sperano sempre, con pazienza
La gente del Congo avrà una vita normale?
In Congo, il 30 luglio scorso,
si sono svolte le elezioni. Insieme agli “osservatori” dell’Onu
e dell’Unione europea, c’erano
anche i “volontari” italiani, tra
cui i laici saveriani e p. Silvio
Turazzi che, in carrozzella, ha
voluto essere presente in questo
grande momento di speranza per
la nazione africana. Angela Marano, laica saveriana di Salerno, lavora a Goma e ci racconta qualcosa dei giorni che hanno
preceduto l’evento.
I
l 27 giugno sono arrivati a Kigali i laici saveriani Giovanna, Carmine e Nuccia.
Il giorno prima era arrivata una
coppia di Parma. Sul bus a noleggio, che ci ha trasportati fino
a Goma, eravamo in sette, più
i bagagli. A casa, i nostri ospiti
hanno trovato le zanzariere alle
finestre, una protezione necessaria, soprattutto dal tramonto fino
all’alba, quando le zanzare diventano pericolose e minacciano la quiete notturna.
Gli osservatori italiani
Dall’inizio di giugno avevamo
già predisposto un po’ di letti per
l’arrivo di don Albino Bizzotto,
Lisa e Roberto, dell’associazio-
ne “Beati i costruttori di pace”
che erano venuti a Goma per organizzare la presenza di 60 osservatori della società civile italiana nella regione del Kivu, durante le elezioni del 30 luglio, le
prime elezioni democratiche in
Congo dopo 45 anni dalla fine
della colonizzazione belga.
Per alloggiare i vari gruppi di
osservatori durante le elezioni,
sono stati contattati i parroci congolesi della zona. Anche la nostra casa è rimasta a disposizione
del gruppo di coordinamento per
Goma. Tra i coordinatori, c’erano
anche il dott. Paolo Volta e p. Silvio Turazzi. La loro conoscenza
dei luoghi e dello scenario degli
scontri, che rendono questa regione di frontiera una delle più turbolente del Congo, hanno facilitato
le operazioni di monitoraggio.
Invece, della nostra jeep sgangherata non è stato possibile fidarsi. Già al secondo giro intorno a Goma ci ha lasciati per strada. Così, per raggiungere i territori impervi, si è dovuto ricorrere agli elicotteri della Monuc, la
missione dell’Onu.
ANGELA MARANO
cognizione dei nostri amici italiani sono rimaste le incertezze,
soprattutto del dopo elezioni,
ma anche l’apprezzamento della
gente per il sostegno dato al processo di pace e di democrazia in
questo martoriato Paese.
Qui tutti sono consapevoli che
il voto è solo il primo passo verso la pace duratura, ma quest’occasione non può andare sprecata. Ora le attese della gente sono
tante, ma la sfiducia verso dirigenti, sempre protetti da interessi stranieri, resta grande.
A metà giugno, un candidato alle presidenziali era venuto a
Goma, promettendo l’avvio del
dialogo intercongolese. Il mio
insegnante di kiswahili mi ha informato delle atrocità commesse da questo signore della guerra. Ma anche degli altri candidati non si diceva meglio. Nonostante tutto, la gente continua a
sperare con la pazienza di sempre e ha accolto ogni iniziativa
a favore della democrazia. Anche le mamme del nostro centro
di educazione femminile hanno
Le mamme congolesi del corso educazione femminile festeggiano l’arrivo
degli “osservatori” italiani per le elezioni del 30 luglio 2006
partecipato attivamente. Mamma
Elisabet, con l’aiuto di poster, ha
svolto un corso di educazione civica ed elettorale.
Una pannocchia bollita
La febbre malarica ha colpito molta gente, tra cui nonna Venanzia, la più anziana dei partecipanti al corso di alfabetizzazione.
Dicono che abbia ottant’anni, ma
secondo me non supera i sessanta. Comunque il suo spirito è giovane. Ha tanta voglia di imparare
il kiswahili, ma la sua lingua materna è il kinyiarwanda, perché
è di origine ruandese. L’ho scoperto qualche giorno fa, quando
l’avevo incoraggiata a raccontare una favola ai bambini della
scuola materna. Solo pochi hanno avuto bisogno di traduzione,
perché la maggioranza dei piccoli
parla la sua stessa lingua.
Il giorno prima di cadere malata, nonna Venanzia era venuta
con un regalo per me: una pannocchia bollita, avvolta nelle foglie ancora umide. Ho dovuto
metterla nella mia sacca, per farla
contenta. Speriamo che guarisca
presto.
■
Speranze della gente,
ma i dirigenti...
Nel bilancio del viaggio di ri-
SCUOLA DI MISSIONE
FRANCESCO SAVERIO / 8
Le grandi gioie del missionario
p. FABRIZIO TOSOLINI, sx
Nelle sue lettere, il Saverio ci fa partecipare anche ai momenti di gioia che egli prova in mezzo ai travagli della vita
missionaria.
Spesso è una gioia che nasce dalla speranza, legata alle
possibilità che egli intravede in nuovi campi di lavoro: Celebes, Amboina, le isole del Moro, Ternate, e soprattutto il
Giappone e la Cina. A gennaio 1548, dall’India meridionale,
egli scrive a sant’Ignazio: “Ho grande speranza, e questa è
tutta in Dio nostro Signore, che in Giappone molti si faranno
cristiani. Provo tanta consolazione interiore nel fare questo
viaggio, essendo molti e grandi i pericoli di morte... In effetti, ho una grandissima speranza in Dio che in quei luoghi la
nostra santa fede crescerà molto” (Lettera 70).
Altre volte la gioia è legata ai frutti di conversione, ottenuti tra coloro che sono già cristiani. Nel novembre 1545,
Francesco scrive da Malacca: “A San Thomé (India), ho trovato un mercante. Parlai con lui delle cose di Dio. E fu Dio a
fargli sentire che esistevano altre mercanzie con le quali egli
non aveva mai commerciato, di modo che abbandonò nave
e merce, e tutti e due andammo a Macassar, essendosi deciso a vivere in povertà per tutta la vita, servendo Dio nostro
Signore” (Lettera 52).
Lo riempie di gioia il servizio missionario: “Finito in un villaggio, vado in un altro e in questo modo cammino di luogo
in luogo facendo cristiani, e ciò con molte consolazioni, assai più grandi di quelle che potrei scrivervi per lettera o spiegarvi di persona” (Lettera 48).
E dal Giappone scrive: “Le fatiche di lavorare con gente
educata, desiderosa di conoscere con quale legge dovrà salvarsi, porta con sé una grandissima gioia. A Yamaguchi, dopo che il duca ci diede il permesso per predicare la legge di
Dio, erano tante le persone che venivano a chiedere e a discutere, da sembrarmi veramente di poter dire che nella mia
vita non ho mai ricevuto tanta gioia e allegrezza spirituale”
(Lettera 96).
Francesco esulta in modo particolare per la fede e il coraggio apostolico dei neo convertiti. Dei nuovi cristiani dell’India meridionale egli scrive: “Il piacere di vedere la gioia
dei cristiani non mi faceva sentire le fatiche corporali. D’altra parte, vedevo quanto lavoravano i cristiani nel discutere, vincere e persuadere i pagani affinché si facessero cristiani, e mi confortava la gioia con cui ognuno mi raccontava” (Lettera 20).
Queste esperienze avvengono spesso anche oggi. I più entusiasti evangelizzatori sono proprio i neo convertiti. Ciò dimostra la potenza di Dio, che va oltre le risorse umane e gli
sforzi dei missionari.
Il “nuOvo” di p. mondin
L’11 maggio scorso, presso
l’ateneo Regina apostolorum
di Roma, è stato presentato
il “Nuovo dizionario enciclopedico dei papi. Storia e insegnamenti”, l’ultima fatica di p.
Battista Mondin. Il libro, versione aggiornata del precedente,
è edito da Città Nuova, ha 664
pagine e si vende a € 52,00. A
presentare il volume sono intervenuti il cardinale Georges Cottier, mons. Ambrogio Spreafico,
rettore dell’Urbaniana, Javier
Garcia e p. Paolo Scarfoni.
L’opera ha un taglio storico e teologico. Ricostruisce la
personalità e l’opera dei papi,
nel contesto della storia civile
ed ecclesiastica dell’Europa nel
corso dei secoli. Ma mette in
risalto anche il loro contributo
allo sviluppo dell’insegnamento e del dogma della chiesa. Se
ne ricava una visione complessiva non solo dei singoli papi,
ma anche della storia civile e
religiosa dell’Europa.
Il volume è aggiornato fino
a Giovanni Paolo II e all’enciclica “Deus caritas est” di Benedetto XVI. L’autore aveva dato
personalmente una copia della
Padre Mondin s’intrattiene
con il cardinale Cottier
prima edizione a papa Woytjla, durante una cena. Il papa si
era complimentato con lui “per
l’obiettività dell’esposizione e
per la serenità dei giudizi”.
Padre Battista Mondin, saveriano di origine vicentina, ha
compiuto 80 anni il 29 luglio
scorso; è saveriano da 62 anni
e sacerdote da 54. Insegnante
di storia della filosofia all’Urbaniana, è stato decano di facoltà per vent’anni, fino al 2000.
è uno scrittore e teologo di fama internazionale. La sua produzione di pubblicazioni ha superato i cento volumi. (di p. Andrea Rossi)
■
IL DIALOGO IN GIAPPONE
È stato pubblicato in lingua
giapponese il volume, Dialogo interreligioso. Documenti
e Commenti (180
pagine, 900 yen). Il
libro raccoglie i documenti della chiesa universale dal
Vaticano II a oggi e
gli interventi dei vescovi asiatici (Fabc) e
giapponesi. Presenta in modo organico
l’insegnamento della
chiesa sul dialogo in-
terreligioso.
L’antologia di
testi è arricchita
da due prefazioni
e da quattro articoli sul dialogo tra
le religioni, tra cui
uno con la mia firma su “Perché il dialogo?”, e uno di p.
Franco Sottocornola
sul tema “Pregare
insieme con persone
di altre religioni”.
Il volume è stato ideato e
curato da me personalmente e
pubblicato dalla Commissione
del dialogo interreligioso della
Conferenza episcopale giapponese, di cui p. Franco e io siamo
membri. Il lavoro ha richiesto
la scelta dei testi, la traduzione
dei documenti che non erano
mai stati tradotti in giapponese, la preparazione delle introduzioni, i commenti e le note,
le tabelle esplicative e tutto il
lavoro redazionale. È il frutto
di un anno di fatica, impiegando i ritagli di tempo dalle varie
attività del centro di spiritualità e dialogo Shinmeizan.
Il cammino del dialogo interreligioso non è facile. L’insegnamento della chiesa in proposito è spesso ignorato o disatteso. Per questo, si è pensato
di preparare un sussidio organico e di agile consultazione. Sacerdoti,
operatori pastorali e laici cristiani - e
anche i credenti di
altre religioni - possono ora conoscere e approfondire
il genuino pensiero
della chiesa su questo tema. (di Maria
De Giorgi, mM) ■
3
L'Avventura
SAVERIO IN INDONESIA: AVVENTURA DELLA MISSIONE
SAVERIO AGGRAPPATO A DIO
Verso le Molucche, i rischi del viaggio
p. MARCELLO STORGATO, sx
San Thomé in India, Saverio attraversa l’oceano fino
D aa Malacca,
non lontano dalla moderna Singapore. I por-
toghesi l’avevano conquistata nel 1510 e vi avevano costruito il porto commerciale più importante dell’Oriente. Il suo
piano evangelico era di puntare verso Macassar, al nord dell’isola di Celebes. Per la sua forma, l’isola assomiglia a una
grande orchidea frastagliata, santuario privilegiato dei pirati.
I portoghesi la chiamavano il “luogo degli infami”. Il missionario aveva sentito che la gente dell’isola era disposta a diventare cristiana.
Alla fine, si arrende e cambia il piano
A Malacca, Saverio deve aspettare 3 mesi e mezzo per il
monsone favorevole. Prende alloggio nell’ospedale. Ne approfitta per scrivere alcune lettere ai “compagni” gesuiti in Europa e in India. Ma poi, come al solito, trova un gran daffare, per
cercare di portare i portoghesi entro i limiti di una vita cristiana decente. Confessa gli infermi, celebra Messa per loro; la
domenica predica in chiesa; ogni giorno insegna le preghiere
ai bambini. Ma la sua preoccupazione maggiore è tradurre le
orazioni nella lingua parlata a Macassar. Afferma: “È una faccenda assai penosa non conoscere la lingua”.
Da qui rinnova l’appello di “inviare tutti gli anni molti compagni, poiché vi è grande scarsità, e che siano molto sperimentati”. Dà perfino istruzioni pratiche: “portino tutto il necessario per dire Messa e i calici siano di rame, poiché è metallo più sicuro dell’argento per noi che andiamo fra gente non
santa”. Meglio non dare occasioni a... mani furtive!
Purtroppo, Saverio deve abbandonare il piano originario.
Nella lettera ai compagni di Goa (del 16 dicembre 1545), scrive di aver ricevuto “notizie non tanto buone” di Macassar. Decide perciò di andare ad Amboina, un’isola a sud delle Moluc-
che, “dove i cristiani sono molti e ancora più sono coloro disposti a diventarlo”. Lo spinge non solo il desiderio di ravvivare la fede dei cristiani e di diffondere la fede in Cristo, ma
anche il desiderio di conoscere personalmente “le buone disposizioni della gente e il frutto che se ne può trarre”, per poi
indicare agli altri missionari dove potranno “maggiormente
servire Dio e far accrescere la fede”. Non per sentito dire, ma
in base all’esperienza fatta da lui stesso.
Sperando solo nel Creatore
Da Malacca, il Saverio parte i primi di gennaio 1546, con
una nave diretta alle piccole isole di Banda per fare il pieno di
spezie. Il viaggio dura un mese e mezzo, costeggiando le isole di Sumatra, Giava, Bali, Sumbawa e Flores, per poi risalire
verso nord. Approda ad Amboina il 14 febbraio 1546 e si ferma tre mesi; altri tre mesi si fermerà al ritorno.
Saverio stesso racconta le peripezie del viaggio. “Durante il
viaggio mi sono trovato in molti pericoli, sia per le tempeste
del mare sia per i nemici. Soprattutto quando eravamo su una
nave di 400 tonnellate, abbiamo navigato con il vento forte
toccando sul fondale con il timone. Se urtavamo negli scogli,
la nave si sfasciava; se trovavamo meno acqua, restavamo in
secca. Ho visto molte lacrime su quella nave...”. C’erano poi
le temute apparizioni dei pirati, come quando, ormai prossimi ad Amboina, due imbarcazioni si erano avvicinate con intenzioni... non chiare.
Lo stato d’animo del Saverio era fiducioso: “Sperare solo nel
Creatore, la cui mano potente ci rende forti, quando riceviamo i
pericoli per amor suo”. Ogni missionario sa quanto sia vero ciò
che egli afferma, con intuito profondamente umano: “Passati i
pericoli, l’uomo non sa raccontare ciò che ha provato in quei
momenti, anche se ne conserva impressa la memoria”.
Oggi ad Amboina, il luogo più significativo per noi è il villaggio di Soyas Atas, sulle pendici del monte Gunung Sirimau,
a 950 metri di altezza. Vicino alla chiesa, i protestanti hanno costruito un modesto monumento: su una lastra di pietra è incisa
l’isola di Amboina, circondata dal mare azzurro. Dal centro dell’isola si alza una colonna con il busto del Saverio
che guarda verso le Molucche. L’iscrizione ricorda
l’anno dell’arrivo del santo sull’isola: 1546.
foto MS / S. Coronese
Sui monti, visitando i “nidi d’aquila”
Saverio e l’amico Juan devono aver abitato una
casetta sul mare, costruita su pali e coperta di foglie di palma. Vicino, una piccola chiesa, sullo
stesso stile. Da lì, devono aver ammirato i paesaggi d’incanto, con la sabbia limpida e il mare trasparente. Gli abitanti vivevano di pesca, di caccia
e dei frutti delle grandi foreste.
I primi cristiani dell’isola erano stati battezzati
nel 1538 da un cappellano della flotta portoghese, accorsa a dare una mano ai capi locali contro i
giavanesi e i musulmani che volevano controllare
l’isola. Ma poi erano rimasti “senza pastore”.
Egli cerca di fortificare la fede dei cristiani,
A Soyas Atas, il monumento al Saverio; nel riquadro la data dell'arrivo nell'isola: 1546
affrontando ogni difficoltà. Alcuni villaggi sono arroccati sui monti come
“nidi di aquila”, con le casupole una
sull’altra; altri sono nascosti nel fitto
bosco, con sentieri da aprire e serpenti
Il Saverio non ne parla mai nelle sue lettere e racconti. Ma
da tenere d’occhio... L’accompagna il
le testimonianze sul miracolo sono attendibili. Cosa era sucgiovane Manuel, figlio di un capo del
cesso? Nel marzo del 1546 ad Ambon, il Saverio incontra un
posto, che gli fa da interprete.
mercante portoghese che sta andando nell’isola di Seram.
Il suo programma è semplice. MaNon perde l’occasione e sale sulla nave. Con loro, c’è Fausto
nuel lo precede tra le viuzze, portando
Rodríguez, un giovane inquieto e analfabeta, che aveva abla croce; altri ragazzi si uniscono alla
bandonato casa e patria per una vita di avventura.
Dopo tre giorni di viaggio normale, quando ormai erano in
comitiva, man mano che vanno di cavista di Seram, si scatena la tempesta. L’imbarcazione rischia di
sa in casa, domandando se ci sono inschiantarsi contro gli scogli e andare a pezzi. Saverio prende il
fermi o bambini da battezzare. In casa,
Crocifisso che porta al collo con un cordone e lo cala nel mare,
i ragazzi recitano il Credo e i Comanmentre prega Dio di salvarli. Ma il cordone si spezza e il Crocidamenti. Il missionario legge qualche
fisso gli scappa di mano, portato via dalle onde. La tempesta
frase del vangelo, benedice gli infermi,
continua per un giorno e una notte, finché la nave incaglia sulla spiaggia di Seram.
battezza i bambini. Alla fine, riunisce
A terra, Saverio e Fausto si avviano verso il villaggio di Tamilau. Dopo pochi passi, vebambini e adulti per insegnare le predono un granchio uscire dall’acqua, con il Crocifisso tra le chele. Il Saverio prende in conghiere e le verità della fede.
segna il suo piccolo Crocifisso di legno, lo bacia, lo stringe tra le mani e si raccoglie in
Manuel non dimenticò quelle giorpreghiera, ringraziando Dio per lo scampato pericolo e per il Crocifisso ritrovato. Ne è
nate passate con il Saverio. Divenutestimone quel giovane Fausto che, nel maggio del 1617, poco prima di morire, chiese
to lui stesso capo del luogo, protesse i
di essere sepolto con una piccola colomba, simbolo dello Spirito Santo, che gli aveva docristiani di Amboina durante le persenato il Saverio come pegno che “ambedue si sarebbero rivisti in cielo”.
cuzioni degli anni 1558-1561. Ha racAncora oggi, nelle isole Molucche, i mercanti di pesce mettono in vendita “i granchi
contato: “Io sono un amboino di bodel Saverio”. Dicono che sia una specie unica al mondo: con qualche sforzo e un pizzico
sco; non so spiegare cosa significa esdi fantasia, sulla corazza si può scorgere l’impronta di una croce.
sere cristiano o chi è Dio. Ma so una
Saverio si ferma a Seram solo otto giorni. Visita anche altre piccole isole vicine, come
cosa, che mi diceva padre maestro
Nusa Laut, andando per i villaggi con l’amico Fausto. In ogni luogo parla di Cristo, ma
Francesco: che è bene morire per amoa parte il granchio, nessuno si sente di abbracciarlo. Quelle isole erano abitate da tribù
re di Gesù Cristo, e solo questo mi daostili tra loro, con il vezzo di tornare a casa con le teste dei vinti e appenderle all’ingresva coraggio e forza per lottare fino alla
so come trofei. Al momento di lasciare l’isola e tornare ad Ambon, Saverio toglie i sandali e scuote la polvere: non vuole portarsi dietro una terra così malvagia!
morte”.
■
IL MIRACOLO DEL CROCIFISSO RITROVATO
4
“QUESTE SONO LE ISOLE DELLA SPERANZA IN DIO”
pagina a cura di p. MARCELLO STORGATO, sx
L
e Molucche, l’arcipelago di migliaia di isole che compongono la parte più orientale dell’attuale Indonesia, hanno
visto l’instancabile attività e la grande santità del missionario Francesco Saverio, per un periodo di 15 mesi. Saverio ha visitato solo una decina di isole, dove già vivevano piccole comunità cristiane di portoghesi e nativi, attorno ai fortini coloniali. Ha affrontato ogni sorta di pericoli, passando dallo stretto di Malacca
e navigando nell’oceano Indiano verso l’oceano Pacifico, e inoltrandosi - senza saperlo - fin nelle
vicinanze dell’Australia a sud e delle Filippine al nord.
Nella nazione musulmana più popolosa del mondo, i cattolici sono solo il 3 per
cento, ma hanno la loro importanza, perché credono nella fraternità universale e
nel dialogo dell’amore.
Scrive il Saverio: “Non mi ricordo di aver mai avuto tante e così continue consolazioni spirituali come in queste isole, e con tanto poco rammarico per le
fatiche fisiche: andare continuamente per isole accerchiate da nemici e popolate da amici poco sicuri,
e attraverso terre che mancano di ogni rimedio
per le infermità corporali e quasi di ogni aiuto
in ciò che serve a mantenere la vita. È meglio
chiamare questi luoghi le isole della
speranza in Dio”.
■
(lettera da Cochín,
20 gennaio 1548)
Foto MS / Agostino Carlesso
IL METODO
Missionario di tutta la chiesa
Saverio inventa nuove vie evangeliche
C
ome ogni bravo missionario, il Saverio raccoglie informazioni e documentazione accurata dei luoghi e dei popoli che visita e fa da ponte tra questi popoli e la chiesa che lo
ha inviato. Perciò egli “passa” tutte le informazioni e le esperienze agli altri missionari e alla chiesa intera, perché ne condividano la conoscenza e la passione evangelica per l’umanità.
L’informazione stimola la missione
In una lettera scrive: “Vi do queste notizie perché sappiate
quanto queste isole siano abbondanti di consolazioni spirituali; poiché tutti questi pericoli e travagli, presi volontariamente
solo per amore e servizio di Dio, sono tesori ricchi di consolazioni spirituali”. Ringrazia per l’aiuto della preghiera e la sollecita continuamente, come partecipazione all’opera missionaria: “Sento nell’anima che il Signore mi ha salvato da tanti
pericoli corporali e travagli spirituali grazie ai sacrifici e alle
preghiere di tutti”.
Anche le calamità naturali fanno parte della sua comunicazione missionaria. “Una di queste isole trema quasi sempre, perché c’è un monte che di continuo emette fuoco e cenere. Con il vento, dalla montagna scende tanta cenere che i lavoratori nei campi tornano a casa pieni di cenere. La cenere acceca e uccide molti
animali e sulla riva del mare si trovano
molti pesci morti...”. Del mare scrive:
“Abbiamo attraversato molti pericoli
per le grandi tempeste, durate tre giorni e tre notti, assai maggiori di quelle
che io abbia mai visto in mare”. Sembra quasi una cronaca dei recenti terremoti e tsunami.
Doveva avere anche un buon senso di umorismo,
se non gli sfugge di raccontare - tra le tante cose pie
che scrive - un fatto curioso che gli è capitato di verificare di persona: la storia del caprone con la mammella. L’aveva trovato a Ternate Francisco Palha, un
portoghese diventato amico e aiutante del missionario. L’aveva portato ad Ambon, con l’intenzione di
farne dono al re del Portogallo. Ecco il racconto del
Saverio: “Ho visto una cosa che non vidi mai nella
mia vita: un caprone che fa latte e genera; ha una sola mammella prope genitalia (usa il latino per dire,
vicino ai genitali - ndr), dà ogni giorno una scodella
di latte e i capretti bevono il suo latte”. Roba da non
crederci! Ma il Saverio continua: “Io stesso, con le
mie mani, gli ho munto il latte una volta, credendo che non
fosse vero e sembrandomi una cosa impossibile”. Come non
credere a un santo missionario che racconta quel che ha visto
e fatto di persona?
Il metodo missionario delle isole
A Ternate, il Saverio inventa qualcosa di originale. Compone una spiegazione delle principali verità della fede cristiana,
basata sul Credo e sulla storia della salvezza. Era in versi, facile da imparare a memoria e da cantare. Questo testo è stato
poi tradotto in altre lingue, stampato nella prima tipografia a
Goa e utilizzato da tanti missionari dell’Oriente.
È un successone. Lo racconta Saverio stesso. “L’effetto era
tanto che in Ternate i fanciulli per le piazze e nelle case, di
giorno e di notte, le fanciulle e le donne, e nei campi i lavoratori e nel mare i pescatori, invece di vane canzoni, cantavano
canti sacri come il Credo, il Pater, l’Ave Maria, i Comandamenti, le opere di misericordia, la confessione generale e molte altre orazioni, tutte nella lingua del luogo, di modo che tutti le capivano, sia chi era convertito di recente alla nostra fede
sia chi non lo era”.
Le canzoni sono frutto di una catechesi sistematica, che il
Saverio fa tutti i giorni, dopo mangiato. “Accorreva molta gente - egli ammette - e mi sembra che il motivo era
che spiegavo sempre una parte del Credo”. Spiega
ogni frase, con parole semplici, adeguate alle capacità delle persone da poco convertite, “in
modo da formare in esse una solida base per credere bene e veramente in Gesù Cristo”. Si può impiegare un anno
intero, insegnando venti parole al giorno, da fissare nella memoria.
Un’altra scena interessante avviene
la sera. Lui stesso, di notte, va per le
vie con una piccola campana, pregando per le anime del purgatorio e per chi
vive in peccato mortale. È accompagnato da frotte di bambini, ai quali insegna catechismo
durante il giorno. I cristiani di Ternate addirittura incaricano un uomo che tutte le notti, con una lanterna
in mano e una campanella nell’altra, va nelle piazze
e prega ad alta voce per le anime sante e “per le anime di tutti coloro che perseverano nel peccato mortale senza volersene liberare”. Questa pratica, afferma il Saverio, “causa devozione e perseveranza nei
buoni, e timore e spavento nei malvagi”.
L’espediente era di grande effetto a quei tempi.
Chissà oggi, nelle nostre società, cosa inventerebbe il
Saverio per attrarre la nostra gente così distratta... ■
Il Crocifisso del granchio, ora esposto nella cappella del palazzo reale di Madrid. Alla morte del Saverio, l’avevano preso i
gesuiti di Goa, ma in seguito era stato mandato in Portogallo
e poi in Spagna, dove fa parte del “patrimonio nazionale”.
2006 SETTEMBRE
IL CONFINE
L'INSAZIABILE MISSIONARIO
Saverio nelle temute isole del Moro
p. MARCELLO STORGATO, sx
L
e isole del Moro - oggi chiamate Morotai - sono le più
orientali delle Molucche, a sud delle Filippine. Erano
abitate da gente che praticava il cannibalismo e usava veleni
per uccidere. Con i portoghesi, erano arrivati anche due sacerdoti per evangelizzare gli indigeni. Ma i re locali erano contro;
avevano bruciato le piccole chiese; un missionario era stato
assassinato e l’altro era morto a Ternate. I pochi cristiani erano
rimasti abbandonati alla mercè di musulmani e gente feroce.
Solo a sentire questa storia, Saverio si appassiona a loro:
deve andare e prendersi cura di quei poveri cristiani. Gli amici
lo scoraggiano a mettersi in un’avventura così rischiosa. Lui
invece scrive: “Vista la necessità che questi cristiani hanno di
dottrina spirituale e di chi li battezzi per la salvezza delle loro
anime, oltre al bisogno che io ho di perdere la mia vita temporale per soccorrere la vita spirituale del prossimo, ho deciso
di recarmi al Moro, per aiutare i cristiani nelle cose spirituali,
pronto a ogni pericolo di morte e riponendo ogni speranza e
fiducia in Dio”.
Nel lungo tragitto, sulla destra sono
evidenziate le isole visitate dal Saverio
i demoni di quei luoghi, che impedivano il servizio di Dio”,
commenta il missionario.
Il Saverio incontra l’islam
Nelle isole Molucche, il Saverio viene nuovamente a contatto diretto con i seguaci dell’islam. Il primo contatto era
avvenuto nel suo viaggio da Lisbona all’India, sulle coste
dell’Africa. Erano “i mori che vivono in pace”. I musulmani
delle Molucche risentono invece dell’influsso piratesco degli
abitanti dell’arcipelago. L’islam era arrivato nelle Molucche
verso la fine del secolo XV, poco prima dell’arrivo dei portoghesi.
Il Saverio raramente ha parole di simpatia verso i musulmani. “I pagani e i musulmani si detestano. Questi ultimi vogliono che i primi si facciano musulmani, oppure divengano loro
schiavi. Ma i pagani non vogliono diventare né musulmani né
schiavi”. Considera questi musulmani “in buona fede”, perché
sanno poco del vero islam. Il suo rammarico è che non ci sono
abbastanza missionari per predicare la verità. Se ci fossero,
“tutti si farebbero cristiani, poiché i pagani preferirebbero diventare cristiani piuttosto che musulmani”. Forse il Saverio si
illudeva un po’, nel suo zelo missionario!
L’unico merito che egli riconosce ai predicatori dell’islam
è di aver portato la scrittura ai popoli delle isole. “Usano i
caratteri arabi, che i preti musulmani insegnano a scrivere.
Prima che si facessero musulmani, non sapevano scrivere”.
Per il resto, il Saverio non risparmia l’uso di espressioni ideologiche come “setta perversa”, “setta malvagia”; frasi che oggi
facciamo difficoltà a pronunciare, se non per quelle frange che
si dedicano al terrorismo e all’odio.
Racconta anche di un certo re delle Molucche, suo amico:
“Non ha altro di musulmano se non l’essere stato circonciso
da piccolo e poi, da grande, di essersi sposato cento volte: perché ha cento mogli ufficiali e molte altre meno ufficiali... Voleva che lo amassi, nonostante la colpa di essere musulmano,
dicendomi che cristiani e musulmani abbiamo un Dio comune, e che fra qualche tempo saremmo tutti una cosa sola. Si
rallegrava molto quando lo visitavo, ma non potei mai ottenere
da lui che si facesse cristiano...”.
■
L’istinto missionario di andare oltre
Il Saverio non era un temerario sprezzante, senza emozioni.
Continua, infatti: “Quando uno si trova nella situazione di dover decidere a perdere la vita per Dio e quando si presentano
situazioni pericolose per le quali è probabile che egli perda la
vita proprio per le decisioni che prende, allora tutto si fa così
buio che anche le cose più chiare cominciano a offuscarsi”.
Con questo sentimento, lucido e coraggioso, il missionario
decide di andare, affidandosi pienamente nelle mani di Dio,
che lo manda “come agnello in mezzo ai lupi”.
La prima tappa è a Ternate, 500 chilometri a nord di Amboina, l’isola famosa per i “chiodi di garofano”. Vi arriva nel
luglio del 1546 e vi resta tre mesi, sempre indaffarato. Vi
ritorna in seguito per altri tre mesi, fino a Pasqua dell’anno
seguente.
Saverio si dedica subito all’insegnamento del catechismo,
ogni giorno, mattino e sera. In breve tempo, acquista la simpatia di tutti, portoghesi, cristiani, indigeni e musulmani. L’entusiasmo del missionario cresce e lo aiuta a inventare nuovi
espedienti per insegnare la fede.
Di quel periodo, a Ternate rimangono solo le rovine dei fortini coloniali, nascosti tra piante secolari e grovigli di liane.
Dell’apostolato del Saverio restano ancora meno tracce. Sulla
chiesetta dove il missionario era solito celebrare Messa, ora
sorge una moschea per i musulmani della città.
SULLA VIA DEL RITORNO
VERSO L'INDIA
foto MS / A. Carlesso
2006 SETTEMBRE
I bambini: i prediletti di Gesù, del Saverio e di ogni missionario
Per recuperare i cristiani smarriti
Ancora più a nord, nelle tre isole del Moro, gruppi di cristiani vivevano in 29 villaggi. Avevano accettato di diventare
cristiani per convenienza “commerciale”. Il mercante Gonzalo
Veloso appoggiando i signorotti delle isole a liberarsi dai pirati
con l’efficacia delle armi da fuoco, aveva posto la condizione
che diventassero cristiani. Ma poi gli interessi commerciali
avevano riacceso i conflitti, con il concorso anche dei mozzatori di teste che vivevano nelle foreste. Molti cristiani avevano
apostatato, insieme ai loro capi.
Saverio parte per queste isole a settembre del 1546: un viaggio di pochi giorni. Anche qui rimane tre mesi, istruendo i
cristiani e battezzando i bambini. Visita tutti i villaggi, sotto
un caldo asfissiante, cercando di non cadere nelle fauci sia
dei cannibali sia dei coccodrilli. I cristiani lo accompagnano
dovunque; gli raccontano la loro vita; gli mostrano il vulcano
sempre attivo; gli parlano dei terremoti... Proprio il 29 settembre, festa di san Michele arcangelo, un forte terremoto
scuote le isole, mentre il Saverio celebra la Messa. L’altare
sembra andare in pezzi per gli scossoni. “Forse, per virtù divina, san Michele puniva e comandava che andassero all’inferno
Dalle isole del Moro, Saverio prende la via del ritorno verso Ternate, Ambon e Malacca, con destinazione
Goa: circa 10mila chilometri di mare da navigare, con
tanta fiducia in Dio. Vorrebbe affrettare la traversata, approfittando di una nave in partenza. Ma i cristiani di Ternate lo supplicano di restare ancora, per tutta la quaresima. Loro stessi l’avrebbero poi accompagnato fino ad Ambon, in tempo per prendere la nave
per Malacca.
Con sé, porta tanta esperienza missionaria, un incredibile entusiasmo, una profonda soddisfazione spirituale e anche un bel gruppo di giovani. Vuole che studino nel collegio “Santa Fede” di Goa, diventino missionari e tornino nelle loro isole per continuare l’opera di evangelizzazione che egli ha iniziato, vivendo la
missione con il suo stesso stile di vita.
Alfonso Teixeira, portoghese di Ternate, dà questa
testimonianza: “Conduceva una vita virtuosa, una vita santa. Viveva poveramente di elemosina e dava ai
poveri tutto quello che gli avanzava. L’ho visto dormire su una branda di fibra di cocco e un cuscino di cotone nero. Era sempre indaffarato a insegnare la dottrina cristiana ai bambini e alle donne, a confessare e a
convertire tutti coloro che poteva, per guadagnarli alla fede di Cristo”.
Nessuna meraviglia se, al momento di partire, accadevano scene commoventi, che lui stesso non riesce a
dimenticare. “Per evitare le lacrime dei devoti durante il commiato, mi imbarcai quasi a mezzanotte. Ma
non bastò per evitarle, perché non mi era possibile celarmi a loro. La separazione dai miei figli e figlie spirituali mi aiutarono a comprendere che la mia assenza
li avrebbe forse privati di un aiuto per la salvezza delle loro anime”.
Scrive il Saverio, alla fine del lungo viaggio nei mari
dell’Indonesia: “Mi accorgo che questo impegno missionario è un grande servizio a Dio ed è un debito che
abbiamo con tutti”.
5
2006 SETTEMBRE
il m ondo in casa
SUD/NORD NOTIZIE
Il coraggio di sperare
Un futuro diverso
Nepal / 1: si cambia. Il parlamento ha approvato all’unanimità una risoluzione che riduce le prerogative del re Gyanendra, convertendolo in monarca
costituzionale. Il re potrà essere giudicato in tribunale, se agisce contro la legge, dovrà rendere pubblico il suo reddito e pagare le imposte come un normale
cittadino. Inoltre, i maoisti hanno siglato un accordo con il governo che prevede la stesura di
una nuova costituzione ad interim, la successiva formazione di
un nuovo governo di transizione
allargato ai ribelli maoisti ed elezioni di un’assemblea costituente non oltre il maggio del 2007.
Il capo dei ribelli Prachanda
ha affermato che i maoisti del
Nepal non ricominceranno mai
più una guerra.
●
Nepal / 2: il commento.
Mons. Anthony Sharma, prefetto
apostolico del Nepal, ha dichiarato che sollievo e speranza sono le due espressioni ben visibili
sui volti dei nepalesi. “La sensazione diffusa è che si stia procedendo nella giusta direzione. Bisogna ora guardare agli sviluppi dei prossimi mesi, passo dopo passo, e augurarsi che ogni
impegno sia mantenuto. La gente, però, adesso ha il coraggio di
sperare nel futuro”.
●
pagina a cura di DIEGO PIOVANI
Il clima che si respira nel Paese sembra cambiato. “La gente si
sposta liberamente anche in zone un tempo pericolose, i ragazzi
vanno a scuola e non ci sono più
i posti di controllo dell’esercito
su ogni strada. Si respira un altro clima e tutti sperano che questa normalità torni ad essere una
realtà duratura”.
■
Armi e disarmo
Convenzione africana. Alcuni stati dell’Africa occidentale
hanno firmato una convenzione
contro la proliferazione di armi
leggere. Ogni trasferimento internazionale di armi è vietato, se
non per rispondere a bisogni di
difesa, sicurezza o di missioni di
mantenimento della pace. Così,
i governi dovranno assumersi la
responsabilità per i traffici d’armi oltre confine, che hanno alimentato decenni di conflitti. Sarebbero circa otto milioni le armi leggere in circolazione nell’Africa occidentale.
●
Conferenza dell'Onu. Alla
Conferenza mondiale dell’Onu
sulle armi leggere, Kofi Annan
ha spiegato che ogni giorno questi ordigni provocano almeno
mille vittime. Per Amnesty, la loro diffusione ha facilitato le più
gravi tragedie dei nostri tempi,
●
mentre la vendita di queste armi
verso alcuni paesi violatori dei
diritti umani non si ferma.
Purtroppo, la forte opposizione
dell’industria armiera degli Stati
Uniti e dei governi di pochi altri Paesi ha portato al fallimento
del summit di inizio luglio. Nonostante un’intesa tra Europa, Paesi africani e latinoamericani per
controlli più rigidi sul commercio
internazionale, la Conferenza si è
conclusa senza un accordo. Gli
Usa si sono detti non più disponibili in futuro per altre conferenze mondiali sul traffico d’armi.
Italia: triste primato. L’Italia
è il secondo esportatore nel mondo di armi di piccolo calibro (fucili, pistole, mitra, munizioni ed
esplosivi) dopo gli Stati Uniti. Nel
biennio 2004-2005, le esportazioni italiane di “piccole” armi sono
aumentate del 22%. Di queste, un
quinto è diretto in aree teatro di
guerre o di conflitti interni (Colombia e Congo Brazzaville). ■
●
Situazioni non risolte
Bangladesh: scioperi e proteste. I lavoratori del settore tessile
sono scesi in piazza per protestare
contro le impossibili condizioni di
lavoro cui sono costretti e contro
il salario molto basso che li riduce alla miseria. In Bangladesh vi
●
MISSIONI NOTIZIE
Diritti da garantire
L'invito del Papa. Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i
nuovi ambasciatori di Ciad, India, Capo Verde, Moldova, Australia. Nel suo discorso, il Papa
ha ribadito la necessità che ciascuno si impegni concretamente, accettando di considerare il
bene comune delle popolazioni
del Paese e, più in generale, dell’umanità intera. “È importante
che, ovunque nel mondo, tutti
possano aderire alla religione di
propria scelta e praticarla liberamente e senza paura, poiché nessuno può fondare la propria esistenza unicamente sulla ricerca
del benessere materiale”.
●
6
dei credenti delle diverse fedi”.
Da tutto il mondo sono arrivati
cristiani, ebrei, musulmani, buddhisti e indu.
Alessio II, illustrando lo scopo
dell’incontro, ha spiegato “che le
diverse religioni devono trovare
uno sguardo comune non tanto
sulle questioni dottrinali, ma sui
gravi problemi etici del nostro
tempo”. Per il cardinale Kasper,
delegato del Vaticano, il vertice
è stata anche un’occasione importante per proseguire il dialogo con gli ortodossi.
Pakistan: conversioni forzate. Il fenomeno delle conversioni forzate all’islam sta creando
preoccupazioni nella comunità
cristiana e in altre minoranze re● Russia: il G8 delle religioligiose del Pakistan. Alcuni leani. Per la prima volta nella sua der religiosi hanno lanciato l’alstoria, la Russia ha ospitato un larme per una pratica che si sta
vertice mondiale delle religioni, diffondendo nel Paese, soprattutpromosso dal patriarcato di Mo- to a scapito di donne e bambini.
sca. Il presidente Putin si è riMons. Joseph Cutts, vescovo
volto ai leader religiosi per lan- di Faisalabad, ha detto: “è triste
ciare un appello “a combattere constatare che le minoranze rel’estremismo e il fondamenta- ligiose, in particolare i cristiani
lismo, riavvicinando la visione
e gli indu, non
possano godere
dell’uguaglianza dei diritti, un
principio sancito nella Costituzione del
Pakistan”.
Spesso, i
grandi proprietari terrieri musulmani chieIl cardinale Etchegaray saluta
il presidente russo Putin.
dono ai contaA destra il patriarca Alessio II
dini di conver●
tirsi all’islam prima di dare loro
un lavoro. Forti del potere economico e politico, sequestrano
giovani donne, le costringono a
convertirsi all’islam e le prendono come mogli. In Pakistan, i
cristiani sono il 2,5% (poco più
di un milione i cattolici); gli indu
sono l’1,5%.
■
Due curiosità
Cina: piazza Matteo Ricci.
La città Nan Chang, in Cina,
ha recentemente inaugurato una
grande piazza dedicata a p. Matteo Ricci, grande “apostolo della
Cina”. Al centro della piazza, si
erge una statua alta oltre tre metri, con una biografia in cinese e
inglese. Padre Ricci ha trascorso
a Nan Chang tre anni abbastanza felici del suo soggiorno cinese. Ha portato la tecnologia occidentale e ha imparato la cultura cinese, facendo amicizia con
la gente e con intellettuali. Lui
stesso ha dedicato tanti scritti a questa città nelle sue lettere, dicendo che era due volte più
grande di Firenze.
●
● Olimpiadi saveriane. Si chia-
mano “Saveriadi” e sono le mini
olimpiadi riservate agli studenti degli ultimi anni delle scuole
superiori dei centri scolastici dei
gesuiti nel mondo. Ai primi di
luglio, circa 600 ragazzi di dieci nazioni si sono confrontati in
sei discipline sportive (pallacanestro, calcio, pallavolo, rugby,
combinata nuoto-corsa, beach
volley) in diverse città italiane.
Una miniera a cielo aperto vicino a Bukavu, in Congo
sono circa 4.000 imprese tessili,
che impiegano soprattutto donne
e che negli ultimi due anni hanno
trascinato l’economia nazionale a
una crescita intorno al 20%.
Intanto, si è svolto uno sciopero generale nazionale di 36 ore,
organizzato dall’opposizione guidata dalla Lega Awami, per protestare contro “le brutalità della polizia” avvenute durante una manifestazione a Dhaka. È stata solo
l’ultima di una serie di agitazioni
dell’opposizione, per chiedere riforme alla legge elettorale prima
delle elezioni politiche del 2007.
Se non ascoltata, l’opposizione
minaccia scioperi a oltranza e il
boicottaggio del voto.
●
Diamanti e minerali. Mal-
grado piccoli progressi, è ancora grave il problema dei diamanti che provocano violazioni
dei diritti umani. Le cosiddette
“gemme insanguinate” sono una
delle cause delle tensioni nell’est
del Congo. In Costa d’Avorio, la
vendita illegale dei diamanti costituisce una delle principali fonti di guadagno per i ribelli.
Sempre in Congo, è stato anche
accertato che grandi quantità di
minerali escono dai confini senza
documenti, provocando una massiccia perdita per l’economia nazionale e un cospicuo guadagno
per un piccolo gruppo di potenti.
L’Onu attribuisce le responsabilità ai governi stranieri (Ruanda e
Uganda), ma anche ai dirigenti locali e alle multinazionali.
■
MESSAGGI ALLE CHIESE
LA FAMIGLIA NON HA ALTERNATIVE
BENEDETTO XVI
Prima dell’incontro di Valencia del luglio scorso in Spagna, il Papa ha sottolineato più volte l’importanza della famiglia. Pubblichiamo alcune frasi.
Tutti i popoli, per conferire un volto veramente umano alla società,
non possono ignorare il bene prezioso della famiglia, fondata sul matrimonio. La chiesa non può cessare di annunciare che, conformemente ai piani di Dio, il matrimonio e la famiglia sono insostituibili e non
ammettono alternative.
È molto importante la testimonianza e l’impegno pubblico delle famiglie cristiane, specialmente per riaffermare l’intangibilità della vita
umana, dal concepimento fino al suo termine naturale, il valore unico
e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di
provvedimenti legislativi e amministrativi che sostengano le famiglie.
Oggi occorre annunciare con rinnovato entusiasmo che il vangelo
della famiglia è un cammino di realizzazione umana e spirituale. Questo annuncio è spesso deformato da false concezioni del matrimonio e
della famiglia che non rispettano il progetto originario di Dio.
La stabilità della famiglia è oggi particolarmente a rischio; per salvaguardarla occorre spesso andare controcorrente rispetto alla cultura
dominante, e ciò esige pazienza, sforzo, sacrificio e ricerca incessante
di mutua comprensione. L’unità e la saldezza delle famiglie aiutano la
società a respirare i valori umani autentici e ad aprirsi al vangelo. La famiglia cristiana ha, oggi più che mai, una missione nobile e inevitabile:
trasmettere la fede ai figli e inserirli nella comunità ecclesiale.
Non stancatevi di essere sempre coraggiosi difensori della vita e della famiglia; proseguite gli sforzi intrapresi per la formazione umana e
religiosa dei fidanzati e delle giovani famiglie.
La manifestazione è una delle
iniziative per dare particolare rilievo alla figura di san Francesco
Saverio. Oltre alle gare sportive,
in ogni sede ci sono stati momenti di animazione spirituale,
visite culturali e dibattiti sulle
grandi questioni sociali del mondo, affrontate con una forte connotazione missionaria, nello spirito di san Francesco Saverio. ■
Una storia speciale
● Caro vescovo... Ai partecipan-
ti al corso di aggiornamento pastorale, riuniti a Parma a fine giugno, è stata consegnata un’ipotetica lettera che un pendolare ha
scritto al proprio vescovo.
“Caro vescovo, sento di aver
davanti un uomo come me che,
però, parla di Dio. Non mi continuare a dire che siamo pecca-
tori, materialisti, che ci costruiamo un Dio a nostra misura. È vero, ma sono frasi che nascondono solo il bisogno di una grande
speranza. Ho bisogno di un vescovo che mi dica dove sta Gesù, che mi insegni dove lo posso
contemplare, dove posso trovare
la sua parola.
Sei una guida, una forza, sei
davvero un pastore che va a prendere le sue pecore ovunque. Non
stare solo con le 99; esci anche
per me e per quelli che, come
me, prendono tutti i giorni un treno per andare al lavoro. So che
tanti preti ti seguono, ti ascoltano.
Oso troppo se ti chiedo di giocare
e cantare con loro, di stare tra la
gente a farci sentire la tenerezza
e la speranza di Dio? Sicuro della
tua guida coraggiosa e profetica,
spero di imboccare la strada giusta della vita”.
■
2006 SETTEMBRE
DIA LO G O E SO LIDARIET À
lettere al direttore
p. Marcello Storgato
MISSIONARI SAVERIANI
Via Piamarta 9 - 25121 Brescia
E-Mail: [email protected]
Pagina web: saveriani.bs.it/missionari_giornale
pEr convincere i saveriani...
Caro Direttore,
ho vissuto un mese e mezzo in un grande centro giovanile in Africa. Dovresti dare più spazio alle testimonianze che vengono da quel
centro, per far capire a tutti i saveriani che è meglio aiutare i giovani
a crescere assieme, a creare una società tramite i giochi e i campi
di lavoro. È meno importante battezzare le persone quando si è in
terra di missione!
Sto per entrare in seminario e quindi so bene cosa significhi missione. Io sono sempre più dell’idea che noi possiamo vivere il vangelo senza per forza battezzare gli altri. Domandiamoci: è così necessario battezzare, o è meglio trasmettere il vangelo con il nostro modo
di vivere? Penso sia giusto lasciare a ognuno la propria religione e la
propria credenza. Cordiali saluti,
Marco, via E-mail
Caro Marco,
innanzitutto mi rallegro per la tua breve esperienza al centro giovanile, al quale abbiamo dato lo spazio che merita un’attività così significativa e faticosa in contesto africano. Ma non scriviamo su questo
giornale per convincere i saveriani su cosa sia meglio fare: meglio
i mattoni e i giochi, o meglio i battesimi? Tu sei
convinto che battezzare non è così importante
né necessario; sei convinto che è giusto lasciare
che la gente creda quel che crede...
Comunque, io sono convinto che un mattone, una
gara di gioco e ogni altro impegno, aiutano la società a crescere meglio, se vivificati dal vangelo e dalla fede in Cristo salvatore.
Avrai sentito parlare di qualche laico che è “più clericale del prete”. Beh, a volte capita che qualche missionario sia più laicizzato dei
laici! Ma la missione è un’altra cosa. Basta guardare Gesù e leggere i
vangeli. Egli guariva i malati, faceva vedere i ciechi, ascoltare i sordi,
parlare i muti; consolava i poveri; a volte, procurava perfino il cibo e
il vino... Con la parola e con i fatti, dava la prova che il regno dei cieli
era in mezzo a noi. E ci teneva molto che tutti avessero fede in lui e
nel Padre celeste. A noi, battezzati nello Spirito Santo, ha detto di andare in tutto il mondo, essere suoi testimoni, predicare il suo vangelo
a ogni creatura, perché chi crede e sarà battezzato sarà salvo.
Al missionario spetta fare tutto questo, sull’esempio di Gesù. Spetta anche a ogni cristiano e a ogni prete. Nessun altro, come i missionari, fa tanto per l’umanità povera e sofferente: grazie alla generosità
di tante persone, costruiamo case per vivere, ospedali per curare,
scuole per educare, cooperative per lavorare, pozzi per l’acqua potabile... Lasciamo casa e nazione, amici e comodità, per essere con
i poveri del mondo, fino a dare la nostra vita per loro. Ma i doni più
belli - che abbiamo ricevuto gratuitamente - sono la fede in Cristo,
il vangelo e la chiesa, di cui facciamo parte con il battesimo. Questi
sono anche i doni più belli che noi possiamo e dobbiamo fare all’umanità. Mai “per forza”, sempre “con amore”.
Entrando in seminario, caro Marco, avrai certamente modo di riflettere sul vero significato della “missione”. Saluti fraterni
a te e a tutti,
p. Marcello, sx
strumenti di animazione
il dialogo nelle nostre scuole
Per l’ottobre missionario, appoggiamo due belle iniziative.
Venerdì 27 ottobre è il giorno
scelto per lanciare la “Giornata
del dialogo tra le religioni nelle
scuole”. La proposta è stata fatta da Paola Bignardi, in ricordo
del grande incontro di Assisi, avvenuto il 27 ottobre 1986, tra i
rappresentanti delle religioni.
Venerdì 20 ottobre, ultimo venerdì di ramadan, celebriamo la
Giornata di dialogo cristiano-islamico, con la preghiera e il digiuno
per la pace.
Ai nostri lettori proponiamo di far
conoscere queste due iniziative ai propri ragazzi che frequentano
le scuole, perché ne diventino promotori nelle proprie classi, magari attraverso gli insegnanti di religione.
Per l’occasione, abbiamo preparato 8 poster a colori (cm 48 x
68), che mostrano il pensiero delle 12 maggiori religioni al mondo su 8 aspetti importanti: religione, regola d’oro, dialogo, bambini, pace, nomi di pace, ecologia, ospite.
• La serie di 8 poster vale € 14,00; un poster vale € 2,00.
Richiedere a Libreria dei Popoli, Via Piamarta 9 - 25121 Brescia:
Tel. 030 3772780 / int. 2; E-mail: [email protected]
I MISSIONARI SCRIVONO
Padre Leone e la grande festa del casato Occhio
“La festa è stata un grande successo.
Ci siamo ritrovati nella vecchia cascina, fatta costruire dal nonno nel 1910,
dove siamo nati noi tutti undici fratelli, dei quali ancora sei in vita. Erano
oltre cento persone, tutti discendenti della nostra famiglia”. Così Franco
Occhio, uno dei fratelli di padre Leone racconta la grande festa nella cascina Primavera di San Gabriele, a Gallignano (Cremona). È una tradizione: la
fanno ogni volta che il saveriano torna
a casa dal Brasile, dove è missionario
da oltre 50 anni.
Una favela brasiliana, dove p. Leone Occhio (nel riquadro) ha lavorato
“Abbiamo fatto vedere le immagini
riprese durante la visita che alcuni di
noi hanno fatto in Brasile lo scorso anno. Abbiamo visto i vari posti del Brasile, dove è stato missionario
p. Leone. Abbiamo incontrato tanti saveriani a Belém, Abaetetuba, Manaus, Belo Orizonte, Fabriciano,
Hortolandia e San Paolo”, racconta Franco.
Durante la Messa in paese, p. Leone ha detto: “Sono tornato qui, dove conservo le mie radici e i più bei
ricordi d’infanzia. Il paese ora è cambiato, anche nei volti e nel linguaggio, con fratelli di altre nazionalità, che ancora chiamiamo extra-comunitari”.
Padre Leone è già tornato in Brasile. Gli auguriamo un buon apostolato, per molti anni ancora!
Dall'Amazzonia, l'abbraccio riconoscente di p. Borghesi
Cari amici di “Missionari Saveriani”, desidero ringraziarvi di cuore per l’aiuto che avete dato al progetto “Centro di formazione cristiana di Tucumã”, in Amazzonia
(1/2005). Non abbiamo ancora finito di costruirlo, ma siamo a buon punto e abbiamo già cominciato a fare incontri e corsi. Il centro può
ospitare fino a 200 persone. È un bel regalo per la chiesa locale!
Qui la dignità della vita è minacciata non solo dalla miseria economica e dalle frequenti ingiustizie, ma anche dalla mancanza di conoscenza profonda del
messaggio e della persona di Gesù. Perciò un centro di formazione è davvero
prezioso. Bambini e ragazzi dell’infanzia missionaria, giovani e famiglie, capi di comunità e catechisti, ne avranno un grande beneficio. Qui i giovani del
progetto “scuola familiare rurale” si preparano a lavorare la terra in modo più
moderno e produttivo. Organizziamo anche corsi biblici e incontri di animazione missionaria. Insomma,
questo centro è una vera grazia di Dio!
A nome della nostra gente di Tucumã, vi dico “grazie!”. Nella nostra preghiera quotidiana non dimentichiamoci gli uni degli altri. Forse non avremo la possibilità di incontrarci e conoscerci, ma nello Spirito
vi diamo l’abbraccio della riconoscenza.
p. Giuseppe Borghesi, sx
Padre Sommacal è tornato in Congo ed è felice!
Dopo due anni in Francia e Italia, sono tornato in Congo. In Europa si sta bene. Ma io preferisco vivere con questa gente martoriata, e mi sento bene. Dopo le elezioni, la popolazione torna a sperare. Forse è
la volta buona: avremo la pace e la possibilità di ricostruire il Paese. Le comunità cristiane sono in prima
fila nell’impegno. Le Messe sono una festa, piena di gente. I cristiani escono con un impegno: insieme
costruiamo un Congo nuovo dove sia bello vivere.
Vorrei rivolgere un appello ai figli d’Africa, ai professionisti e agli intellettuali che vivono in Europa, America e Asia: Tornate a casa! Qui c’è bisogno
delle vostre competenze. Lo stesso dico ai preti che tardano a rientrare nelle
loro comunità africane.
Ho un desiderio: aiutare a “costruire persone nuove”. Il mondo si rinnova
con persone nuove. L’educazione è la via maestra per formare le persone e promuovere uno sviluppo vero e duraturo. In questo, l’apporto del vangelo è essenziale. Ringrazio per gli aiuti, perché mi date l’onore di essere tramite della
vostra generosità verso questi fratelli che sono nel bisogno. Ricordo il proverbio biblico: “Chi fa la carità a un povero fa un prestito al Signore,
che gli ripagherà la buona azione”.
p. Raimondo Sommacal, sx
solidarietÀ
piccoli progetti
2/2006 - YAOUNDé
Per i teologi saveriani
3/2006 - BRASILE
Missionari per gli indio
A Yaoundé, in Camerun, vive la teologia saveriana dell’Africa: 17 studenti e 4 padri formatori. Il costo medio per studente è di euro 13 al
giorno. Si cercano amici disposti a sostenere, almeno parzialmente, le spese per la formazione
di questi giovani studenti, missionari della chiesa di domani.
• Responsabile del progetto è il saveriano p. Carlo Girola (superiore).
In Brasile, circa 400 laici missionari e missionarie sono impegnati nella pastorale missionaria tra
le popolazioni indio, con un sostegno di € 250,00
mensili. I vescovi desiderano creare un fondo per
sostenere questi missionari. Sono gradite offerte
libere per costituire il fondo.
• Responsabile del progetto in Italia è il saveriano p. Diego Pelizzari.
Chi desidera partecipare alla realizzazione di questi
progetti, può utilizzare l’accluso Conto corrente postale, oppure può inviare l’offerta direttamente al C/c.p.
00204438, intestato a:
Procura delle Missioni Saveriane,
Viale S. Martino 8 - 43100 PARMA
oppure bonifico bancario su C/c 000072443526
Cari Parma e Piacenza, Agenzia 6
abi 06230 cab 12706
Il conto corrente postale
Si prega di specificare l’intenzione
e il numero di Progetto sul C/c.p. Grazie.
L’inserimento mensile del conto corrente postale è richiesto da molti lettori, per facilitare il
rinnovo dell’abbonamento o inviare offerte, come e quando desiderano.
Si prega di specificare la causale, scrivendola
nello spazio riservato nel C/cp, sempre e solo davanti, mai nel retro. Grazie.
2006 SETTEMBRE
ALZANO
24022 ALZANO L. BG - Via A. Ponchielli, 4
Tel. 035 513343 - Fax 035 511210
E-mail: [email protected] - C/c. postale 233247
Ad Alzano da mezzo secolo
E
ra il 3 maggio del 1956
quando il vescovo di Bergamo, mons. Giuseppe Piazzi,
inaugurava la casa dei saveriani ad Alzano Lombardo. Da allora è passata molta acqua sotto
i ponti. Abbiamo chiesto a p. Ettore Fasolini, saveriano di Bergamo, noto scrittore e già direttore di “Missionari Saveriani”,
di raccontarci qualcosa di quegli
anni, e non solo...
Partiamo dall’inizio...
Il beato Conforti, fondatore
dei saveriani e vescovo di Parma, all'inizio aveva pensato a un
seminario emiliano per le missioni. Poi, nel 1919, è stata fondata la prima casa apostolica per
ragazzi delle scuole medie a Vicenza, dove è stato rettore il servo di Dio p. Uccelli. Allora, i
saveriani erano pochi e l’unica
missione era la Cina. In seguito, è stata aperta una casa a Grumone, tra Cremona e Brescia. A
Grumone c’erano due saveriani
che facevano propaganda missionaria ai ragazzi delle parrocchie. In tempo di guerra, si erano
divisi le zone: padre Lini andava
in bicicletta a Bergamo e nelle
valli; padre Boggiani, sempre in
bicicletta, andava a Brescia.
Hai conosciuto p. Lini?
Certo. Ricordo bene quando è
venuto nel mio oratorio e ha parlato a tutti i ragazzi. Eravamo almeno 200. Alla fine, ha chiesto
chi voleva diventare missionario
e una trentina di noi si sono fatti avanti. Dopo qualche giorno,
p. Lini è andato casa per casa, a
parlare con i genitori e chiedere
se poteva portare con sé i ragazzi. In dodici siamo partiti, con il
carretto, fino a Brescia e da Brescia a Grumone con un camion.
Tra questi ragazzi, oltre a me,
c’era il ragazzo Fulvio Boffi. Era
il 7 agosto del 1944.
Perché una casa a Bergamo?
Con il passare del tempo, i sa-
a cura di DIEGO PIOVANI
veriani si sono accorti che le vocazioni a Bergamo erano molto
numerose. Per questo, hanno deciso di aprire una casa. Durante
la guerra, il vescovo mons. Bernareggi aveva dato il permesso
di aprire provvisoriamente una
casa in alta val Seriana, a Gromo
San Marino. Qui erano sfollati
un gruppo di ragazzi con p. Dagnino e p. Fellini. Finita la guerra, il vescovo non ha più concesso il permesso per rimanere lassù perché a Bergamo c’erano già
molti istituti religiosi: tra la città e Albino, in soli dodici chilometri, ce n’erano tre; altri ancora in pianura.
Come s’è risolto il problema?
Qualche anno dopo, i saveriani hanno ottenuto una residenza
a Pedrengo con p. Achille Morazzoni. Vi erano ospitati non i
ragazzi, ma le cosiddette “vocazioni adulte”. Nel 1955, il nuovo vescovo mons. Piazzi, a cui
p. Achille era molto legato, ha
In parrocchia e nelle scuole
I racconti di Salgari e la missione
P
roseguiamo la chiacchierata con p. Ettore tra ricordi,
aneddoti e curiosità.
Come sceglievate i ragazzi?
Ogni sabato, il direttore del
centro missionario don Lecchi,
ci dava il nome delle parrocchie dove andare la domenica
per la giornata missionaria. Lì
facevamo anche propaganda
vocazionale. Inoltre, durante la
settimana andavamo nelle scuole
elementari e negli oratori.
Erano tre occasioni in cui raccoglievamo adesioni. Per un mese durante l’estate, portavamo i
ragazzi aspiranti missionari a
Gromo San Marino e sceglievamo quei trenta o quaranta che
ci sembravano più adatti per la
vita missionaria e che avrebbe-
8
ro potuto studiare con noi. Nelle medie, abbiamo avuto fino a
100 studenti, tanto che p. Giuseppe Crippa ha dovuto costruire
un’ala nuova della vecchia casa
di via Adobati.
Cosa raccontavate ai ragazzi?
Il mio pezzo forte erano i
racconti di Salgari. Raccontavo
ai ragazzi che anch’io ero stato
uno di loro e che ero diventato
missionario perché p. Lini diceva che saremmo andati nel
mondo. Da bambino sognavo di
raggiungere le isole più sconosciute, proprio come “il pirata
della Malesia”. Il racconto folcloristico e la chiamata di Dio
facevano scoccare la scintilla.
Anche oggi le mie omelie ai ragazzi nelle giornate missionarie
Escursione invernale in alta val Seriana. Primo a destra basso, il rettore p. Romano
Didonè; primo a destra alto, p. Giovanni Carrara
a cura di D. PIOVANI
sono impostate su questo copione: vocazione e missione, oltre
al consiglio di leggere i miei libri che raccontano la missione.
E gli insegnanti...
Fino al 1965, facevamo scuola noi saveriani, con l’aiuto di
qualche professore che veniva
da fuori. I nostri ragazzi facevano gli esami come privatisti.
Poi abbiamo ottenuto la scuola
parificata. Così abbiamo avuto
insegnanti e direttore esterno.
Noi saveriani insegnavamo solo
religione e curavamo la formazione. La nostra scuola è stata
chiusa nel 1990.
Come reagivano le famiglie?
Fino agli anni cinquanta le
famiglie bergamasche avevano
molti figli. Ai genitori non dispiaceva che uno di loro studiasse in seminario o in un istituto
missionario. Le uniche perplessità le avevano per il carattere
dei figli, che erano un po’ discoli. Ma noi cercavamo proprio
quelli!
C’era un legame molto forte tra
le famiglie e l’istituto. I genitori
venivano la domenica e noi andavamo a trovarli in casa. L’aspetto
formativo e spirituale era agevolato molto da questa unione e da
questo rapporto.
■
foto MS / A. Costalonga
Intervista a p. Ettore Fasolini
Vacanze a Gromo San Marino con il rettore padre Pacifico Fellini
dato ai saveriani il permesso di
aprire una casa per gli “apostolini”. Così erano chiamati i ragazzi delle medie che studiavano dai saveriani.
Il vescovo ha inaugurato ufficialmente la casa il 3 maggio
1956. Padre Achille Morazzoni
ne è stato il primo rettore. A settembre, sono iniziate le attività
del seminario minore con “apostolini” provenienti da Bergamo
e dalla Sardegna. Con gli altri
istituti religiosi non c’era rivalità; anzi, c’era collaborazione,
soprattutto in ambito scolastico.
Quanti saveriani c’erano?
Nel 1957, c’erano una quarantina di “apostolini”. Il rettore era
p. Pacifico Fellini. Economo era
p. Giuseppe Novati, che si è dato
da fare per ristrutturare la casa.
Direttore spirituale era p. Luigi
Simoncelli. C’era anche p. Angelo Costalonga. Io ero vice rettore, facevo scuola, mi occupavo
della formazione dei ragazzi e,
insieme a p. Simoncelli, andavo
in cerca di vocazioni. L’anno dopo questo ruolo l’ha assunto p.
Silvano Zennari.
■
(continua a lato)
NOTIZIE DELLA FAMIGLIA
Il 30 giugno scorso è morta a Lodrino
(BS) la sig.ra Giuseppina Leviti, mamma
di padre Marino Bettinsoli, all’età di 81
anni. Alla Messa di commiato, domenica pomeriggio, p. Marino, a nome
della famiglia, ha ringraziato i fedeli presenti, i numerosi saveriani e sacerdoti, tra cui anche una delegazione della vicaria di Alzano Lombardo
(BG), dove lavorano i saveriani. Dal
Burundi, dove p. Marino ha lavorato,
erano presenti p. Giovanni Carrara e
p. Giuseppe De Cillia, mentre dal Centro giovanile Kamemge p. Claudio Marano ha fatto pervenire un messaggio di partecipazione con le firme di oltre 165 giovani.
Dio accolga nella felicità eterna questa mamma missionaria.
LA TRADIZIONE CONTINUA
p. ETTORE FASOLINI, sx
I saveriani di Alzano hanno sempre avuto
a cuore il rapporto con i sacerdoti e il vescovo della diocesi. Godevano della stima dei
sacerdoti che li chiamavano per il ministero
della confessione e della predicazione. Eravamo presenti anche negli oratori e nelle
scuole e siamo stati sempre ben visti. Questa tradizione continua anche oggi.
I sacerdoti seguivano con interesse il percorso formativo dei “loro” ragazzi saveriani che andavano a Desio per il liceo, a Parma per la teologia e poi partivano per la
missione. Ogni parrocchia a Bergamo ha un
mensile illustrato; in ogni numero vengono
date notizie dei missionari. Nella mia parrocchia siamo quattro saveriani. Oltre a me ci sono p. Lino Maggioni
che è in Burundi, p. Alfiero Ceresoli che è in Brasile, p. Giacomo Milani che è in Messico.
Oggi sono cambiate le situazioni della diocesi e delle parrocchie; ma
il contatto e il rapporto con i saveriani si sono consolidati nel tempo.
I sacerdoti ci chiamano; la gente viene a trovarci; l’affetto e la simpatia rimangono quelli di sempre.
Noi saveriani ci sentiamo molto legati alla nostra gente e alla nostra
chiesa. E la gente è molto legata ai suoi missionari. Quando andiamo
in missione, il legame rimane molto forte; quando torniamo, siamo
sempre accolti bene, quasi fossimo degli eroi. E noi in ogni occasione
cerchiamo di far capire alle famiglie che la cosa migliore che possono
fare è offrire un figlio alla missione nel mondo.
2006 SETTEMBRE
BRESCIA
25121 BRESCIA BS - Via Piamarta, 9
Tel. 030 3772780 - Fax 030 3772781
E-mail: [email protected] - C/c. postale 216259
Giovane in mezzo ai giovani
Padre Loda, missionario in Colombia
P
adre Mauro Loda, saveriano di Cellatica (BS), da sei
anni è missionario in Colombia.
Trovandosi a casa per un periodo di vacanza, ne abbiamo approfittato per farci raccontare la
sua esperienza di misisone.
Hai studiato a San Cristo?
Ho frequentato gli ultimi due
anni di scuola media, prima che la
scuola apostolica chiudesse. Con
p. Renato Filippini di Ghedi, ora
missionario in Giappone, siamo
gli ultimi saveriani bresciani che
hanno studiato a San Cristo.
Eravamo una settantina di ragazzi e alloggiavamo qui. Ricordo i momenti di gioco in cortile e il bel clima che si respirava.
Tornavamo a casa ogni 15 giorni, oppure venivano a trovarci i
nostri genitori e familiari.
E hai conosciuto i saveriani
Sì, li ho conosciuti grazie a p.
Bruno Geremia, che era venuto a
parlare nella mia scuola, quando
facevo la quinta elementare. Ma
al momento non ero rimasto colpito. L’anno dopo, p. Geremia è
tornato in oratorio e mi ha invita-
to alle giornate dell’amicizia che i
saveriani organizzavano, una volta al mese, per i ragazzi bresciani.
Mi piaceva l’idea di stare insieme agli altri, di vivere in comunità. Dopo un campeggio a Rino di
Sonico, ho detto ai miei genitori
che volevo diventare saveriano.
Adesso sei in Colombia...
Sono partito per la Colombia a
gennaio del 2000 e lavoro a Bogotà. Sono arrivato in un momento di cambiamento per la missione, quando i saveriani hanno deciso di accogliere le vocazioni
locali. È iniziata così un’attività nuova, quella dell’animazione
vocazionale per la missione. Mi
sono inserito in questo lavoro.
Quindi lavori con i giovani?
Una parte del mio lavoro ricalca quello che aveva fatto p. Geremia con me. Visito le scuole, parlo delle missioni, invito i ragazzi ai
ritiri e alle giornate di convivenza.
Cerco di capire chi è interessato a
una vita missionaria. Nel 1998, a
Medellin, abbiamo aperto una casa di formazione, dove accogliamo
i giovani dopo le superiori.
A Messa e a tavola
Incontri per la Colombia
P
er un missionario è una fatica salutare parenti e amici prima di andare in missione.
Così è stato anche per p. Gianni
Zampini, responsabile della “Libreria dei popoli” di Brescia, alla
vigilia della sua partenza per la
Colombia nel 1980. I fratelli di
p. Gianni, però, hanno rimediato
al problema. Hanno organizzato
a Bussolengo (VR) un grande incontro, invitando parenti e amici
a pregare e mangiare insieme al
missionario partente.
Il Cottolengo a Buenaventura
Questa tradizione continua anche oggi che p. Gianni è in Italia.
Ma la decisione di proseguire non
è stata casuale. “Nel 1988 - spiega p. Gianni - i miei fratelli sono
venuti a trovarmi in Colombia, a
8
DIEGO PIOVANI
Buenaventura. Così hanno conosciuto la realtà del Cottolengo. Un
italiano non può rimanere indifferente, quando viene a contatto con
la gente più emarginata”.
Il Cottolengo è una struttura
che ospita persone abbandonate o in situazioni difficili: orfani, handicappati, disabili, bambini di cui nessuno si prende cura.
Funziona grazie all’opera di una
congregazione spagnola, le suore del Cottolengo. Il fondatore è
padre Arrupe, gesuita di Barcellona. “I miei fratelli sono rimasti
meravigliati dal clima sereno e
dall’aiuto reciproco tra gli ospiti.
Così, l’incontro di Bussolengo si
è rinnovato con finalità nuove”.
La Colombia nel cuore
Nel 1991 la festa si è allarga-
Solo alcune delle tante persone che hanno pertecipato alla festa di Bussolengo
a cura di DIEGO PIOVANI
Che ragazzi scegliete?
Di solito, cerchiamo ragazzi che abbiano una famiglia abbastanza stabile, con cui parlare
durante l’anno di discernimento, prima di entrare in seminario. Sono ragazzi che non hanno
alle spalle situazioni familiari...
disastrate. È un’attività difficile,
ma dà anche soddisfazioni, perché con molti ragazzi s’instaura
un’amicizia che continua, anche
se non entrano in seminario.
Come sono i colombiani?
In Colombia non è ancora arrivato tutto il benessere che c’è
qui. C’è ancora attaccamento a
tutto ciò che è religioso. Anche
i ragazzi, passando davanti a una
chiesa, fanno il segno della croce.
Ma è una religiosità di tipo “magico”. Hanno un rapporto superstizioso con il divino. Pensano:
“Se faccio questo, Dio mi protegge”. È un aspetto molto radicato, difficile da estirpare. Per diventare missionario occorre avere
la giusta idea di Dio. Nei giovani,
inoltre, si respira molto la violenza. Sono sempre sulla difensiva:
l’altro è un possibile nemico.
ta agli amici e alla parrocchia.
Ogni anno è presente un missionario che lavora in Colombia. Il
gruppo degli alpini si è offerto
per curare la parte gastronomica.
Adesso è un appuntamento fisso
per oltre 500 persone: ogni anno,
il primo sabato di luglio.
“Il Cottolengo colombiano è
nella parrocchia di Cristo Redentore, dove lavorano i saveriani. Mi
sento legato a questo posto perché è sorto nel territorio dell’istituto Matia Mulumba dove lavoravo. È bello continuare a sostenere il lavoro delle suore che vivono
di provvidenza, solo con la carità
della gente. A noi sembra impossibile, ma quelle suore hanno tanta fede e riescono a commuovere
la gente”, commenta p. Gianni.
Con p. Mauro Loda
Quest’anno ospite della festa,
è stato p. Mauro Loda, missionario in Colombia. Ha detto: “A
Bussolengo si respira un’aria di
missione, che fa bene anche alla
chiesa locale”.
Anche a Brescia, da tre anni, c’è un’iniziativa simile chiamata Colombia’s friends. Approfittando della presenza di p.
Mauro, tanti amici si sono riuniti nel chiostro di San Cristo per
un concerto musicale tenuto dal
grande coro Erika e dal gruppo
latino americano Alma de sur:
due mondi a confronto.
■
Padre Mauro durante la processione delle Palme a Buenaventura
La Colombia è proprio così?
Quando arrivi, non te ne accorgi. Poi capisci che le cose sono
drammatiche. La violenza principale è per reati comuni. Le armi
girano facilmente e la vita non ha
valore. Fortunatamente, noi siamo
a contatto con persone che ci vogliono bene, ci proteggono, hanno
un occhio di riguardo per noi.
Cosa si potrebbe fare?
Investire di più su educazione
e istruzione, mentre la Colombia
privilegia la difesa (esercito e sicurezza). Il motto è: “devo cerca-
re di sopravvivere a tutti i costi,
anche se per farlo mi tocca ammazzare qualcuno”. Le “menti”
della Colombia se ne vanno, chi
riesce a studiare espatria o entra
in una piccola elite.
E la chiesa?
La chiesa è impegnata nel processo di pace, ma ha anche paura.
Ci sono situazioni che andrebbero denunciate, gridate; ma siamo
nel Paese dove hanno ucciso più
sacerdoti. Qualche anno fa hanno fatto fuori anche il vescovo di
Cali.
■
NOTIZIE DELLA FAMIGLIA
Il 30 giugno scorso è morta a Lodrino (BS)
la sig.ra Giuseppina Leviti, mamma di padre Marino Bettinsoli, all’età di 81 anni.
Alla Messa di commiato, domenica pomeriggio, p. Marino, a nome della famiglia, ha ringraziato i fedeli presenti,
i numerosi saveriani e sacerdoti, tra cui
anche una delegazione della vicaria di
Alzano Lombardo (BG), dove lavorano
i saveriani. Dal Burundi, dove p. Marino
ha lavorato, erano presenti p. Giovanni
Carrara e p. Giuseppe De Cillia, mentre dal
Centro giovanile Kamemge p. Claudio Marano ha fatto pervenire un messaggio di partecipazione con le firme di oltre 165 giovani.
Dio accolga nella felicità eterna questa mamma missionaria.
tempo di Anniversari
p. RENATO FILIPPINI, sx
Il 2006 per la mia famiglia è un anno speciale. Dieci anni fa, proprio in occasione della beatificazione del Conforti, nella basilica di san
Paolo fuori le mura a Roma, ho fatto la promessa definitiva di essere
saveriano, assieme ad altri 13 confratelli.
Papà e mamma, invece, hanno raggiunto 40 anni di vita matrimoniale, essendosi sposati il 28 maggio del 1966. Per come vanno le cose oggi, questa è una notizia da prima pagina dei giornali, invece del
solito scoop sull’ennesimo divorzio del vip di turno...
Le celebrazioni per il quinto centenario della nascita del Saverio ci
hanno dato lo spunto per festeggiare e ringraziare il Signore per queste due tappe significative nella nostra vita religiosa e familiare. In
maggio, con mamma e papà, mi sono recato in Spagna per un pellegrinaggio nei luoghi dove il 7 aprile del 1506 era nato il Saverio.
San Francesco Saverio mi aveva affascinato già all’età di dodici anni,
quando decisi di entrare dai saveriani. Agli inizi della mia attività missionaria mi è stato così
P. Renato con mamma e papà
vicino che l’ho portato...
al castello di Javier, in Spagna
in braccio. Infatti, nel
1999, conclusi gli studi
di lingua giapponese,
sono stato destinato a
Kagoshima, proprio nel
450.mo anniversario del
suo arrivo. Per tale occasione, da Roma era stata portata la reliquia del
braccio del santo e io ho
avuto la gioia di portarlo in processione con le
mie stesse mani.
2006 SETTEMBRE
CAGLIARI
09121 CAGLIARI CA - Via Sulcis, 1
Tel. 070 281310 - Fax 070 274419
E-mail: [email protected] - C/c. postale 12756094
Nella chiesa dedicata al Saverio
Da Orani, le bandiere della missione
11 giugno i misD omenica
sionari saveriani di Caglia-
ri e Macomer hanno organizzato
un pellegrinaggio alla chiesa
campestre di san Francesco Saverio di Orani, in provincia di
Nuoro. è stata una delle iniziative per celebrare i 500 anni della
nascita del santo missionario,
modello dei saveriani.
Canti e bandiere al vento
Gli amici di Cagliari hanno
percorso la salita portando le
tredici bandiere dei paesi dove
lavorano i missionari saveriani.
Il sentiero è una vecchia pista
che portava alla miniera di talco, ora chiusa. Le ruspe l’hanno
reso percorribile nella bella stagione anche alle auto, che però
sollevano un gran polverone sui
viandanti pellegrini.
Alla fine della Messa, le tredici bandiere sono state fatte sventolare su Orani e sulla Sardegna,
dalla cima del monte. È stato un
augurio e un gesto di benedizione perché si diffonda un nuovo
spirito missionario nelle comunità cristiane dell’isola.
Gli amici di Orani, con la priora
della chiesa, hanno preparato i fogli del “gosos de santu Franziscu
Saveriu”, cantato alla fine della
Messa con il parroco don Pietro,
salito per l’occasione sul monte
con i suoi giovani. Don Pietro
ha ricordato di aver ammirato il
lavoro dei missionari saveriani
durante il suo viaggio in Bangladesh, quando ha fatto visita a suor
Filomena, missionaria di Orani.
La novena della grazia
Padre Ezio Meloni, tornato
dal Congo per un periodo di
riposo, ha portato la bandiera
sarda dei quattro mori, per ricordare l’impegno dei saveriani
sardi nei quattro continenti dove
sono missionari. Erano presenti i genitori di p. Andrea Rossi,
la mamma di p. Marco Milia e
p. DINO MARCONI, sx
p. Giovanni Matteazzi, attuale
maestro dei novizi ad Ancona,
che è venuto a rivedere la Sardegna dove aveva lavorato come
animatore giovanile.
La chiesa campestre di Orani è usata per la “novena della
grazia” a san Francesco Saverio,
che si pratica dal 4 al 12 marzo. La devozione è stata diffusa
dal gesuita Mastrilli che, dopo
la guarigione ottenuta, per gratitudine, cercò di diffondere la
devozione a san Francesco Saverio. Mastrilli raccontava che
il Saverio lo aveva rassicurato
che “quanti avessero richiesto
la sua intercessione presso Dio
per nove giorni, avrebbero sperimentato gli effetti del suo grande
potere nei cieli e avrebbero ricevuto qualsiasi grazia che avesse
contribuito alla salvezza”.
Come il giocattolo preferito
Padre Pierobon, durante la
Messa, ha ricordato che nella
Una giornata di festa e di fede
I saveriani delle comunità
di Cagliari e Macomer
hanno celebrato la Messa
con i pellegrini, davanti
alla statua di san Francesco
Saverio. Da sinistra,
p. Lorenzato, p. Meloni,
p. Pierobon, p. Matteazzi,
p. Rossi, p. Corvini.
Tra le bandiere e tanta gente,
erano presenti anche i genitori
di p. Andrea Rossi.
8
La Madonna di Gonare con in
braccio Gesù bambino che tiene
nella mano la sfera del mondo.
Le bandiere delle nazioni sono state benedette e fatte sventolare
dalla cima del monte, su Orani e la Sardegna
chiesa del castello di Navarra,
dove Francesco Saverio è nato,
si venera il Cristo crocefisso
sorridente, che deride la danza
macabra degli scheletri di morte, affrescati sulle pareti. Sembra
che dica: “Io ho vinto la morte!”.
Padre Corvini ci ha dato appuntamento per il prossimo anno,
ancora più numerosi.
I partecipanti più agili, accompagnati dalla saveriana Piera
Grandi, sono saliti al santuario
di Gonare per il ripido e roccioso sentiero. Hanno recitato il
rosario missionario sulla cima
del monte. La statua rappresenta
la Madonna con il Bambino in
braccio che, a sua volta, tiene
una sfera sottobraccio. Sembra
che Gesù tenga caro il mondo,
come un bambino il suo giocattolo preferito.
Là piove, qui è sereno
Gli amici dei saveriani di Macomer, il 2 giugno, hanno fatto
un pellegrinaggio al santuario
mariano “Noli me tollere” di Sorso. Qui si sono trovati a pregare
con altri pellegrini provenienti da
Cagliari. Hanno goduto una giornata di sole, mentre a Macomer
pioveva, secondo i messaggi arrivati sui telefonini. Infatti, il vento
spingeva le nubi all’interno della Sardegna e lasciava a noi contemplare l’azzurro mare di Balai,
dove si trovano le chiese dei protomartiri torritani.
■
I BAMBINI POLIO DI BUKAVU
p. LORENZO CASELIN, sx
Padre Lorenzo Caselin da quasi quarant’anni è missionario in Africa. In una lettera agli amici sardi descrive la situazione del Congo e
il suo lavoro.
La situazione qui in Congo è ancora drammatica. Nella regione del Kivu, la gente paga con la vita le violenze di bande armate che spadroneggiano. Anche l’esercito governativo, mal pagato, invece di contribuire alla pace e alla sicurezza, abusa
delle sue armi contro i civili.
Dal 1996, il clima di violenza ha
provocato la morte di circa 4 milioni di persone. È un quadro catastrofico che ha fatto della crisi congolese
“la più sanguinosa nel mondo” dalla fine della seconda guerra mondiale. Le violazioni dei diritti umani e i
combattimenti sono durati troppo a
lungo, perché la pace possa stabilirsi senza un forte aiuto da parte della
comunità internazionale.
Le elezioni del 30 luglio, per il rinnovo del parlamento e del presidente, possono essere l’occasione per un
processo di pace e di democrazia. Il
popolo ha bisogno di uomini che si
impegnano nello sviluppo del Paese,
costruendo pace e giustizia.
Io continuo il mio lavoro al cenPadre Lorenzo con un bambino
tro Hery Kwetu, che assiste i ragazzi
colpito da poliomielite, in Congo
handicappati con apparecchi ortopedici. Cerchiamo di far diventare questi ragazzi sarti, calzolai, falegnami, meccanici..., perché possano essere autosufficienti in futuro. La maggior parte dei bambini viene dalla
città di Bukavu e dalla regione del Kivu dove, per mancanza di vaccinazione, i bambini poliomielitici sono in aumento.
2006 SETTEMBRE
CREMONA
26100 CREMONA CR - Via Bonomelli, 81
Tel. 0372 456267 - Fax 0372 39699
E-mail: [email protected] - C/c. postale 00272260
In Africa, Gesù mi aspettava
Intervista a p. Vittorio Bongiovanni
a cura di don PIERGIORGIO TIZZI
Padre Vittorio Bongiovanni è nato a Bozzolo (MN) 65 anni fa. Dopo aver studiato a Cremona, è
diventato saveriano il 3 ottobre 1960 e otto anni dopo è stato ordinato sacerdote. È nipote di un
famoso missionario saveriano cremonese, morto in Congo nel 1985: p. Pacifico Fellini. Rosa Maria
Fellini, sua sorella era una santa mamma. Insomma, siamo davanti a una famiglia di santi!
Padre Vittorio ha lavorato per molti anni, con entusiasmo giovanile, nell’animazione missionaria e vocazionale presso la comunità saveriana di Vicenza. Ha lavorato così bene “che tutti lo volevano e non lo lasciavano partire per le missioni”, così mi ha confessato un suo compagno vicentino. Padre Vittorio ha parlato un po’ di sé in quest’intervista rilasciata a un nipote, don Piergiorgio Tizzi, giovane sacerdote cremonese, figlio di sua sorella Milla.
p. Sandro Parmiggiani, sx
zio saveriano, padre
A llo
Vittorio, ho rivolto alcu-
ne domande. Volevo che raccontasse almeno qualcuna delle sue
mille esperienze missionarie,
tutte interessanti e vivaci. Mi ha
subito detto che gli era difficile
contarle e raccontarle tutte, che
sono state tutte belle, almeno per
lui, e che sperava che anche la
sua gente si fosse trovata bene
con lui. A loro egli ha dedicato
gran parte della sua vita.
Sei stato in Sierra Leone...
Sì, in Sierra Leone ho trascor-
so 26 anni della mia vita. I primi
dieci anni ho lavorato come missionario nei villaggi. Mi avevano mandato in una zona musulmana, vasta come la provincia di
Cremona, per iniziare una missione di evangelizzazione. Non
c’era nessuna comunità cristiana. Dopo dieci anni di lavoro, se
n’erano formate quattordici. Sono arrivato là e ho preso in affitto la stanza di una capanna. Per
l’affitto annuale ho pagato due
sacchi di cemento, che il proprietario ha usato per fare un po’
di pavimento nella mia stanza:
Padre Vittorio presenta ai ragazzi le ospiti cremonesi in visita in Sierra Leone
ha fatto chiudere i buchi nel pavimento di terra battuta, da dove
entravano certi toponi...
Dall'Africa a Chicago e ritorno
Continua l'intervista a p. Vittorio
1991 in Sierra Leone è
N elscoppiata
una terribile e
interminabile guerra. Vari missionari e missionarie sono state
sequestrate dai ribelli. Anche p.
Vittorio ha vissuto in prima persona esperienze drammatiche.
Come ti sei comportato?
La guerra è durata dieci anni,
dal 1991 al 2001. In questo periodo ho scoperto la mia nuova
vocazione: liberare i bambini
soldato dai ribelli. Due volte mi
hanno preso come ostaggio. Su
quello che ho vissuto potrei scrivere un libro. Più semplicemente, la mia storia è molto simile a
quella raccontata nel film “Hotel
Ruanda”. Il film racconta la mia
storia, solo che io l’ho vissuta in
Sierra Leone. Io sarei il manager
dell’hotel...
8
Perché sei finito a Chicago?
Per tutto quello che avevo passato, i superiori mi hanno detto
che avevo bisogno di una pausa,
cioè di venire via dall’Africa per
un certo periodo. E così sono
approdato negli Stati Uniti con
il compito di formatore degli
studenti saveriani di teologia, a
Chicago. Sono stati tre anni lunghi come trenta, ma finalmente
adesso posso ripartire per la
Sierra Leone.
Quali sono le necessità
urgenti della missione?
Tutto il mio ministero, diversamente da come possa apparire, è
stato finalizzato alla “costruzione”
di persone, non di edifici. Certo,
abbiamo anche costruito chiesette
e scuole; ma questo lavoro l’hanno fatto soprattutto i sierraleonesi.
Io cercavo solo di far capire loro il
significato e l’importanza di questi edifici. A tutto il resto ci hanno
pensato loro.
Padre Vitttorio in Sierra Leone vestito da
capo tribù, in una foto di qualche anno fa
a cura di don PG. TIZZI
Come possiamo sostenerti?
Negli anni trascorsi in Sierra
Leone ho aiutato molti giovani,
ragazzi e ragazze, ad andare a
scuola, a prendere coscienza della loro dignità. Avevo in mente
il piano di mandare i giovani all’università e di aprire loro una
strada che li portasse a coprire
posti di responsabilità e di governo nel Paese.
È importante avere una classe
dirigente, impegnata nella società con idee cristiane. Per questo,
ritengo indispensabile la formazione dei giovani perchè diventino formatori dei loro fratelli e
delle loro sorelle.
Se mi volete aiutare, il vostro
sostegno servirà per mandare a
scuola e formare giovani poveri ma intelligenti. Per fortuna, i
ricchi non hanno ancora il monopolio dell’intelligenza...
Cosa significa per te
essere missionario?
Significa semplicemente essere cristiano; prendere cioè sul
serio il Signore e cercare di aprire occhi, orecchie e soprattutto il
cuore, per fare la sua volontà là
dove egli mi vuole. Questo non è
sempre facile. L’ho sperimentato
andando negli Stati Uniti, quando il mio cuore si era fermato in
Sierra Leone.
■
In pratica, cosa facevi?
Tutta la mia attenzione era diretta a creare le comunità di base. Io ho una convinzione: i sierraleonesi devono essere convertiti da sierraleonesi, non da stranieri. Perciò il mio lavoro non
consisteva nel riempire bottiglie
vuote, ma nello stappare bottiglie e tirare fuori quello che già
avevano dentro.
Prima di partire per l’Africa,
mi dicevano che ero bravo perchè portavo Gesù tra gli infedeli. E io, povero illuso, ci credevo. Sono arrivato in Africa e, con
mia sorpresa, ho scoperto che
Gesù era già là che mi aspettava.
Poi cos’è successo?
II vescovo mi ha “punito”, tradendo i miei gusti, e mi ha portato via dai villaggi dove mi trovavo davvero a mio agio. Mi ha
nominato direttore del centro pastorale e responsabile della pastorale giovanile della diocesi.
Qui il mio compito è stato quello di preparare sussidi di pastorale per le parrocchie e di organizzare corsi di formazione per
catechisti, per capi di comunità
e per i giovani. Ho imparato tanto, soprattutto ascoltandoli e crescendo insieme a loro. Mi avevano promesso che, al massimo
dopo nove anni, mi avrebbero liberato da questo impegno. Invece, in questo ministero sono stato impegnato per ben sedici anni
continui.
■
(continua a lato)
una malattia strana
p. SANDRO PARMIGGIANI, sx
C’è un male strano che colpisce gli africani e soprattutto i missionari. Non è una malattia del corpo, come la malaria, la tubercolosi, l’Aids o la lebbra. È come un malessere che si prova nello spirito e nella
mente, un male psicologico che porta a un rimpianto, a una nostalgia profonda dell’Africa, dei suoi orizzonti infiniti, delle sue foreste e
perfino dei suoi deserti immensi, della sua povertà rassegnata e spesso spensierata, della sua semplicità quasi infantile.
Questa strana malattia si chiama “mal d’Africa”. Colpisce gli africani che sono costretti a emigrare per non lasciar morire di fame le loro
famiglie. Colpisce anche i missionari, costretti a lasciare le missioni e
i villaggi per curare la loro salute compromessa dall’età, dalle fatiche
e da malattie incurabili.
Quando vado a Parma, nella nostra casa madre fatta edificare dal
fondatore il beato Conforti, mi piace visitare i numerosi missionari anziani e malati, che sono amorevolmente assistiti e curati da confratelli più giovani e da personale laico specializzato.
Questa sollecitudine fraterna verso i missionari infermi mi commuove. Ne sono riconoscente e ammirato, santamente orgoglioso. I nostri “vecchi” noi li teniamo
in famiglia, non li abbandoniamo in case di riposo. E se non riusciamo
a prolungare la loro vita e a migliorare la loro salute fisica, riusciamo però ad alleggerire
le loro pene corporali e interiori.
Padre Martini aiutato da un
giovane confratello congolese alla casa madre di Parma
2006 SETTEMBRE
DESIO
20033 DESIO MI - Via Don Milani, 2
Tel. 0362 630591 - Fax 0362 301980
E-mail: [email protected] - C/c. postale 00358200
Ragnatela, muschio e lumaca
Contemplando Dio, in mezzo alla natura
le vacanze, la nostra
D urante
comunità di Desio ha tro-
vato il tempo per un giorno di ritiro fra le vette dolomitiche e le
acque dolci del lago di Molveno. Eravamo insieme ai novizi e
ai missionari della comunità saveriana di Ancona.
Tre segni da rispettare
Padre Giovanni Matteazzi,
“maestro dei novizi”, ci ha
condotti per mano a passeggio fra le pagine bibliche, aiutandoci ad aprire le orecchie alla “parola-messaggio” che il
Signore ci dona attraverso il linguaggio della natura.
Il silenzio che accompagnava la riflessione era un invito ad
aprire gli occhi e a cogliere quanto ci parlava di Dio.
L’idea era quella di portare alla
celebrazione eucaristica qualcosa, un segno da condividere con
gli altri. Sul sentiero boschivo,
alla ricerca dei “segni”, ho deciso che non avrei portato nulla all’altare. Non per pigrizia, ma per
rispetto.
Infatti, mi ero imbattuto in tre
segni che avevano suscitato in
me fantasia, ammirazione e preghiera. In effetti, li avevo con-
Quadro in lacca: il Crocefisso completa
e valorizza le bellezze del Giappone
p. CLAUDIO CODENOTTI, sx
templati! Il primo era una ragnatela che, intrisa di rugiada, luccicava tra i rami di un nocciolo.
Il secondo era una lumaca che,
ai limiti del sentiero, tentava di
valicare alcune foglie bagnate.
Il terzo era un sasso coperto dal
muschio, rinverdito dallo scroscio d’acqua della notte.
Dio presente in tanti modi
Come portare via queste cose dal loro ambiente naturale?
Come annullare la fatica di
ore della lumaca, di giorni
della ragnatela, di anni del
muschio sul sasso... per
un gesto devoto, ma poco
rispettoso della “preghiera” che la natura innalza
al suo Creatore?
Nel silenzio e nello
sguardo rispettoso, pensavo
alla fretta che spesso guida le
nostre azioni. Il tutto, il facile e
il subito è diventata la legge per
tanti giovani e adulti, che pretendono di stringere le dita e di afferrare quello che è stato dona-
Incontri per tutto l'anno
Nella diversità la nostra ricchezza R
8
icordo la pelle d’oca sulle mie braccia la prima
volta che in un tempio shintoista ho ascoltato un concerto dei
giganteschi tamburi giapponesi.
La stessa esperienza l’ho vissuta
quando ho ascoltato per la prima
volta la recita di una sutra buddhista, fatta da un coro di monaci.
anno intero. Avrà il suo culmine
in una mostra dedicata a questo
tema, a maggio, durante la Festa
dei popoli.
Faremo anche un lavoro capillare nelle scuole, utilizzando i ricchi sussidi che i saveriani
di Brescia e “Cem Mondialità”
hanno preparato con gli otto poster proprio su questo tema.
Le religioni a confronto
Ho provato emozioni identiche
anche al concerto del coro “Città di Lissone” del nostro amico
Emilio. Il concerto aveva per titolo “I popoli cantano il divino”.
Era una raccolta di canti religiosi di vari popoli e culture. È
davvero bello vedere
come i popoli esprimono in modi così
diversi la loro disposizione al mistero divino.
Ancora di più, ho capito
quanto spazio ci sia per il
lavoro missionario.
Per questo, i saveriani di
Desio propongono un “corso” a tutti gli amici interessati. Si tratta di alcuni incontri formativi e momenti artistici
per conoscere, in modo approfondito e immediato, le espressioni religiose dei popoli di continenti diversi. Il corso dura un
Non perdiamo l’occasione
La paura lasci spazio allo stupore; la curiosità si trasformi in
conoscenza e rispetto; l’indif-
p. C. CODENOTTI, sx
ferenza ceda il passo al desiderio di comunicare il tesoro della
multiforme ricchezza religiosa
dell’umanità. Siamo missionari
nella misura in cui ci sentiamo
ricchi di qualcosa che vogliamo
offrire. Siamo tutti invitati, dunque, ad approfittare di queste opportunità, che i saveriani offrono
sia nella loro sede di Desio che
in altri luoghi, come verrà specificato nel programma.
Inizieremo a novembre con
incontri approfonditi. Tra aprile
e maggio avremo momenti culturali e artistici, per gustare i doni dell’incontro con le religioni del mondo. La mostra
- valida per i grandi e
per i bambini - raccoglierà oggetti di culto e immagini folcloristiche o cultuali di
tante tradizioni religiose.
Noi ci stiamo già
preparando e vi aspettiamo. Nel riquadro
accanto, potete leggere il programma completo.
Per conoscere e acquistare i poster, potete
vedere a pagina 7, nel
riquadro “Strumenti di
animazione”.
■
L’ideogramma “kokoro - cuore”, dipinto dal bonzo giapponese Furukawa
to per tutti.
La natura mi insegna a rispettare i tempi, a non fuggire dalla legge della fatica-lavoro. Ma,
come dicevo, mi trasporta anche
nel modo in cui Dio è discretamente presente nella nostra vita.
È la testimonianza della sua pazienza, della varietà del suo manifestarsi e della capacità di servirsi dei movimenti del cuore
umano, per aprire vie che conducono a lui.
Una sveglia per il cuore
In Giappone ho incontrato
molte persone non cristiane che,
attraverso la natura, hanno saputo iniziare cammini di contemplazione che li hanno portati all’incontro con Gesù. Il Signore
si è servito della loro sensibilità
religiosa per parlare al loro cuore. Non conta il tempo impiegato e la fatica. Quel che conta è la
meta intravista, perseguita e poi
raggiunta.
Con profondo rispetto, ammirazione e silenzio ho visto compiersi questi miracoli. Non ho affrettato la fioritura. Ho solo indicato ciò che avrebbe dato splendore alla bellezza da loro gustata. Nelle espressioni culturali, artistiche, estetiche o gioiose
dei giapponesi c’è già il germe
della conoscenza di Dio. Alcuni di questi loro momenti, a cui
ho partecipato, hanno la capacità di smuovere davvero le corde
del cuore. Sono un aiuto dato ai
sensi e al nostro corpo, perché si
accorgano della dimensione dello Spirito.
Sta a noi missionari riuscire
a fare questo salto nell’incontro
con Dio, che si è fatto uomo e ci
ha parlato di sé usando parabole così vicine alla nostra vita e
al creato. Non è un lavoro facile,
perché ci coinvolge nella nostra
esistenza, che deve essere fedele
e, nello stesso tempo, un segno
facile da leggersi.
■
INIZIATIVE DI FORMAZIONE 2006-07
Programma culturale
Nell’ambito degli incontri sul tema “Religioni: nella diversità la ricchezza”, proponiamo un corso con cinque appuntamenti, un sabato
al mese, dalle 15 alle 18, presso i missionari saveriani di Desio. Chi è interessato, è pregato di prenotarsi chiamando il numero 0362 630591.
È previsto un piccolo contributo spese. Ecco il calendario:
• sabato 18 novembre: Introduzione generale
• sabato 16 dicembre: L’islam (prima parte)
• sabato 20 gennaio: L’islam (seconda parte)
• sabato 17 febbraio: Panorama italiano delle religioni
• sabato 17 marzo: Laboratorio con i poster del Cem
Le serate culturali, aperte a tutti, saranno il 14 e 20 aprile, il 4 e 11
maggio 2007, nella casa saveriana di Desio alle ore 21,00.
Il gruppo “Terza domenica”
Con l’arrivo dell’autunno anche il gruppo “Terza domenica” riprende le attività. È un cammino di formazione missionaria per i giovani
che desiderano scoprire la bellezza della missione, ascoltare i testimoni della missione, vivere l’urgenza della missione per incontrare i più
lontani con uno stile di vita evangelico.
Gli incontri si terranno la terza domenica del mese, dalle 9 alle 18,
presso i missionari saveriani di Desio. Iniziamo sabato 17 settembre,
con una biciclettata di “inizio anno”. Le altre date mensili, da segnare
subito sul vostro calendario, sono: domenica 29 ottobre; domenica 19
novembre; domenica 17 dicembre; domenica 21 gennaio; domenica
18 febbraio; domenica 25 marzo; domenica 22 aprile.
Inoltre, dal 18 al 25 marzo, faremo una settimana di vita comune;
il 19 e 20 maggio celebreremo la “festa dei popoli”; il 9 e 10 giugno
faremo la gita conclusiva.
2006 SETTEMBRE
FRIULI
33100 UDINE UD - Via Monte S. Michele, 70
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La scuola apostolica di Udine
“Una vita dura, ma eravamo felici”
Riprendiamo la storia della
presenza dei saveriani a Udine,
dopo la prima “puntata” pubblicata su “Missionari Saveriani” del mese di maggio.
I
l motivo principale per cui
la casa è stata aperta nel
1946 era la cura delle vocazioni missionarie. L’arcivescovo di
Udine mons. Nogara, ricevendo
l’8 ottobre 1946 i saveriani della comunità che gli rendevano
omaggio, porgeva fervidi auguri perché il “nido missionario si
sviluppasse accogliendo numerose vocazioni”.
Una giornata ordinaria
I ragazzi rimanevano a Udine
tre anni, per compiere gli studi
delle medie inferiori. Erano chia-
La posa della prima pietra per l’ampliamento della casa, con il vescovo
mons. Nogara, il rettore p. Morandi, il direttore spirituale p. Fantelli e p. Pozzato
Una nuova primavera
Tempi diversi, stesso stile
subito che la criD iciamo
si delle vocazioni non ci
ha colto di sorpresa e non sono
mancati i tentativi per affrontare
il problema.
8
L’accompagnamento
in famiglia
Prima che venisse chiusa definitivamente l’esperienza degli “apostolini”, siamo partiti con l’iniziativa di “accompagnare” i ragazzi nelle loro famiglie. I ragazzi restavano in famiglia e noi li visitavamo per aiutarli a rispondere alla vocazione
missionaria. Questa esperienza
ha comportato un lavoro prezioso di rapporto fraterno e formativo con tante famiglie. I genitori erano particolarmente coinvolti nell’aiutare i propri figli a
compiere una scelta vocazionale missionaria. Questo tentativo
è durato alcuni anni. Nonostante gli sforzi e le risorse pedagogiche adottate, non ci sono stati
grandi risultati.
La situazione concreta ci ha
spinti a rinnovare la nostra presenza missionaria, non solo qui
in Friuli ma in tutta l’Italia. La
preoccupazione ora non è quella di portare in casa i ragazzi per
un discernimento vocazionale
missionario, ma quella di esse-
p. D. MENEGUZZI, sx
re “anima missionaria” per tutta la diocesi. Naturalmente, siamo ben felici di accompagnare
ragazzi e giovani che manifestano il desiderio di seguire l’ideale
missionario per tutta la vita!
La casa di presenza
La nostra casa e la nostra presenza, pian piano, hanno perciò
preso un altro volto, per realizzare un altro obiettivo: stimolare la chiesa locale alla dimensione missionaria universale. In altre parole, noi missionari siamo
a disposizione della chiesa locale, nella nostra diocesi, per ricordare in tutti i modi il progetto di
p. DOMENICO MENEGUZZI, sx
mati “apostolini”, cioè piccoli
apostoli. La vita era come quella
degli altri ragazzi impegnati nello studio. Ma la loro giornata era
impostata con momenti particolari che cercavano di far crescere
la dimensione cristiana e missionaria di ogni ragazzo.
Appena alzati, partecipavano
alla Messa, preceduta dalle preghiere del mattino e da una meditazione sotto la guida dal rettore o del padre spirituale. Dopo
la colazione, tutti in classe per
seguire le lezioni. Nel pomeriggio c’erano momenti di gioco e
di studio. La giornata si concludeva con una breve sosta in chiesa e le preghiere della notte. I ragazzi erano contenti dell’esperienza, anche se la vita a volte
era un po’ spartana.
Il ghiaccio nel catino
e patate bollite
Anch’io sono stato un “apostolino” di Udine. Tra tanti episodi, per esempio, ricordo che
nell’inverno del 1954 per poter
Gesù Cristo: predicare il vangelo
a tutti i popoli, per fare del mondo una sola famiglia.
Ogni chiesa locale, ogni diocesi, deve tenere sempre presente l’orizzonte universale. Cristo
è venuto per tutti e si serve di noi
perché ogni persona vivente nel
mondo possa capire che Dio la
ama in modo infinito. Ogni comunità parrocchiale deve sentire l’ansia evangelica di far conoscere e amare Gesù a tutti coloro che ancora non lo conoscono
e amano.
In questo modo, noi saveriani
cerchiamo di mantenere sempre
acceso l’ideale missionario. Giovanni Paolo II ha scritto: “la missione alle genti è solo agli inizi;
vedo rifiorire una nuova primavera missionaria”. Noi restiamo qui
a Udine proprio per questo! ■
In montagna, gli “apostolini” intrattengono i genitori in visita
Padre Roberto Dal Forno celebra la Messa con gli “apostolini”,
nello sfondo suggestivo dei monti della Carnia
lavarci il viso dovevamo spaccare il ghiaccio che si era formato nel catino. Né ho dimenticato tutte quelle volte in cui, per
risparmiare, mangiavamo patate
al posto del pane.
Oggi, forse, si possono valutare diversamente quei tempi. Eppure, tranne qualche eccezione,
eravamo tutti contenti. Ne abbiamo ricevuto conferma anche durante i vari incontri che abbiamo
avuto recentemente con coloro
che sono stati nostri compagni in
quegli anni. Tutti ricordano con
gioia i momenti trascorsi con noi
missionari, anche se qualcuno
talvolta è stato ripreso con metodi non troppo... cristiani.
1967, la festa del Saverio
Si può capire quale fosse il
clima di quei tempi, leggendo la
cronaca della festa di san Francesco Saverio del 1967.
“Giornata primaverile. Tutto è
preparato a festa: corridoi, cortili con bandiere e manifesti. Ore
10,30: Messa solenne con discorso, celebrata dal nuovo vicario generale della diocesi, mons.
Ganis. Alla Messa prendono parte anche alcuni parenti dei nostri
ragazzi. Oggi è anche domenica.
Ore 12,30: pranzo speciale per
tutti. Sono nostri ospiti l’onorevole Bersanti, il prof. Burtolo, il
sig. Cossio e altri. Dopo pranzo,
gare sportive. Ore 16,00: cinema,
“800 leghe sull’Amazzonia”. Ore
18,30: arriva S. E. mons. arcivescovo per la solenne concelebrazione. Comunione con l’Ostia e
il Vino. Mons. Zaffonato si ferma
con noi a cena. Ore 21,00: preghiera e riposo. Tutto è riuscito
bene. Deo gratias!”.
La chiusura della scuola
Così, anno dopo anno, gli
“apostolini” sono andati sempre
aumentando a tal punto che la
casa ha dovuto essere ampliata.
Nel grande cortile dove giocavamo - lo chiamavamo “buca”,
perché ricavato dal fosso per costruire l’argine che doveva servire per la linea ferroviaria verso Pagnacco - sono stati fatti due
ampliamenti in tempi diversi.
Ma la Provvidenza ci ha messo a dura prova. Nel 1975, una
volta ultimate tutte le strutture, è
iniziata la crisi delle vocazioni. I
ragazzi cominciarono a diminuire finché, nel 1992, si è arrivati
a chiudere la cosiddetta “scuola apostolica”. È stata una sofferenza sentita da tutti, non solo da
noi missionari, ma anche da tanta gente che ci ha voluto bene e
che ci ha accompagnato con tanto amore.
■
(continua a lato)
VI DICIAMO “grazie!”
p. DOMENICO, sx
Siamo in festa. Noi missionari saveriani in questo mese di settembre
compiamo sessant’anni di vita e di presenza nell’arcidiocesi di Udine. È
una tappa importante, perché lungo questi anni abbiamo visto la Provvidenza che ci ha sempre guidato per realizzare il carisma del nostro fondatore, il beato Guido Conforti: dare vita a una famiglia
di missionari da inviare in tutto il mondo.
Sono una cinquantina i saveriani friulani che annunciano
il vangelo di Gesù in
varie nazioni. Siamo
consapevoli che senza
l’aiuto di tante persone - sacerdoti e laici incontrate nel nostro
cammino, non saremUn record: cinque friulani ordinati lo stesso anno mo mai arrivati a queDa sinistra in piedi, p. Giuseppe De Cillia, p. Pio Devoti
sto traguardo. Grazie
(già in cielo) e p. Ernesto Tomè. In basso da sinistra,
p. Natalio Fornasier e p. Giuseppe Nardo
di cuore a tutti.
2006 SETTEMBRE
MACOMER
08015 MACOMER NU - Via Toscana, 9
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Nella chiesa dedicata al Saverio
Da Orani, le bandiere della missione
11 giugno i misD omenica
sionari saveriani di Caglia-
ri e Macomer hanno organizzato
un pellegrinaggio alla chiesa
campestre di san Francesco Saverio di Orani, in provincia di
Nuoro. è stata una delle iniziative per celebrare i 500 anni della
nascita del santo missionario,
modello dei saveriani.
Canti e bandiere al vento
Gli amici di Cagliari hanno
percorso la salita portando le
tredici bandiere dei paesi dove
lavorano i missionari saveriani.
Il sentiero è una vecchia pista
che portava alla miniera di talco, ora chiusa. Le ruspe l’hanno
reso percorribile nella bella stagione anche alle auto, che però
sollevano un gran polverone sui
viandanti pellegrini.
Alla fine della Messa, le tredici bandiere sono state fatte sventolare su Orani e sulla Sardegna,
dalla cima del monte. È stato un
augurio e un gesto di benedizione perché si diffonda un nuovo
spirito missionario nelle comunità cristiane dell’isola.
Gli amici di Orani, con la priora
della chiesa, hanno preparato i fogli del “gosos de santu Franziscu
Saveriu”, cantato alla fine della
Messa con il parroco don Pietro,
salito per l’occasione sul monte
con i suoi giovani. Don Pietro
ha ricordato di aver ammirato il
lavoro dei missionari saveriani
durante il suo viaggio in Bangladesh, quando ha fatto visita a suor
Filomena, missionaria di Orani.
La novena della grazia
Padre Ezio Meloni, tornato
dal Congo per un periodo di
riposo, ha portato la bandiera
sarda dei quattro mori, per ricordare l’impegno dei saveriani
sardi nei quattro continenti dove
sono missionari. Erano presenti i genitori di p. Andrea Rossi,
la mamma di p. Marco Milia e
p. DINO MARCONI, sx
p. Giovanni Matteazzi, attuale
maestro dei novizi ad Ancona,
che è venuto a rivedere la Sardegna dove aveva lavorato come
animatore giovanile.
La chiesa campestre di Orani è usata per la “novena della
grazia” a san Francesco Saverio,
che si pratica dal 4 al 12 marzo. La devozione è stata diffusa
dal gesuita Mastrilli che, dopo
la guarigione ottenuta, per gratitudine, cercò di diffondere la
devozione a san Francesco Saverio. Mastrilli raccontava che
il Saverio lo aveva rassicurato
che “quanti avessero richiesto
la sua intercessione presso Dio
per nove giorni, avrebbero sperimentato gli effetti del suo grande
potere nei cieli e avrebbero ricevuto qualsiasi grazia che avesse
contribuito alla salvezza”.
Come il giocattolo preferito
Padre Pierobon, durante la
Messa, ha ricordato che nella
Una giornata di festa e di fede
I saveriani delle comunità
di Cagliari e Macomer
hanno celebrato la Messa
con i pellegrini, davanti
alla statua di san Francesco
Saverio. Da sinistra,
p. Lorenzato, p. Meloni,
p. Pierobon, p. Matteazzi,
p. Rossi, p. Corvini.
Tra le bandiere e tanta gente,
erano presenti anche i genitori
di p. Andrea Rossi.
8
La Madonna di Gonare con in
braccio Gesù bambino che tiene
nella mano la sfera del mondo.
Le bandiere delle nazioni sono state benedette e fatte sventolare
dalla cima del monte, su Orani e la Sardegna
chiesa del castello di Navarra,
dove Francesco Saverio è nato,
si venera il Cristo crocefisso
sorridente, che deride la danza
macabra degli scheletri di morte, affrescati sulle pareti. Sembra
che dica: “Io ho vinto la morte!”.
Padre Corvini ci ha dato appuntamento per il prossimo anno,
ancora più numerosi.
I partecipanti più agili, accompagnati dalla saveriana Piera
Grandi, sono saliti al santuario
di Gonare per il ripido e roccioso sentiero. Hanno recitato il
rosario missionario sulla cima
del monte. La statua rappresenta
la Madonna con il Bambino in
braccio che, a sua volta, tiene
una sfera sottobraccio. Sembra
che Gesù tenga caro il mondo,
come un bambino il suo giocattolo preferito.
Là piove, qui è sereno
Gli amici dei saveriani di Macomer, il 2 giugno, hanno fatto
un pellegrinaggio al santuario
mariano “Noli me tollere” di Sorso. Qui si sono trovati a pregare
con altri pellegrini provenienti da
Cagliari. Hanno goduto una giornata di sole, mentre a Macomer
pioveva, secondo i messaggi arrivati sui telefonini. Infatti, il vento
spingeva le nubi all’interno della Sardegna e lasciava a noi contemplare l’azzurro mare di Balai,
dove si trovano le chiese dei protomartiri torritani.
■
I BAMBINI POLIO DI BUKAVU
p. LORENZO CASELIN, sx
Padre Lorenzo Caselin da quasi quarant’anni è missionario in Africa. In una lettera agli amici sardi descrive la situazione del Congo e
il suo lavoro.
La situazione qui in Congo è ancora drammatica. Nella regione del Kivu, la gente paga con la vita le violenze di bande armate che spadroneggiano. Anche l’esercito governativo, mal pagato, invece di contribuire alla pace e alla sicurezza, abusa
delle sue armi contro i civili.
Dal 1996, il clima di violenza ha
provocato la morte di circa 4 milioni di persone. È un quadro catastrofico che ha fatto della crisi congolese
“la più sanguinosa nel mondo” dalla fine della seconda guerra mondiale. Le violazioni dei diritti umani e i
combattimenti sono durati troppo a
lungo, perché la pace possa stabilirsi senza un forte aiuto da parte della
comunità internazionale.
Le elezioni del 30 luglio, per il rinnovo del parlamento e del presidente, possono essere l’occasione per un
processo di pace e di democrazia. Il
popolo ha bisogno di uomini che si
impegnano nello sviluppo del Paese,
costruendo pace e giustizia.
Io continuo il mio lavoro al cenPadre Lorenzo con un bambino
tro Hery Kwetu, che assiste i ragazzi
colpito da poliomielite, in Congo
handicappati con apparecchi ortopedici. Cerchiamo di far diventare questi ragazzi sarti, calzolai, falegnami, meccanici..., perché possano essere autosufficienti in futuro. La maggior parte dei bambini viene dalla
città di Bukavu e dalla regione del Kivu dove, per mancanza di vaccinazione, i bambini poliomielitici sono in aumento.
2006 SETTEMBRE
MARCHE
60129 ANCONA AN - Via del Castellano, 40
Tel. 071 895368 - Fax 071 2812639
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DIARIO DELLA COMUNITà
Storie di una calda estate
Per dire qualche grazie a tanti amici
I
l caldo di quest’estate è
stato alleviato dalla frescura dei colli marchigiani. Così, pochi reduci della nostra comunità hanno deciso di non lasciare le amate Marche. Nel mese di luglio, l’assenza di p. Matteazzi, dei suoi novizi e la recente partenza dell’economo p.
Raffaele, hanno ridotto all’osso
la nostra comunità. Ma c’è qualcuno che non si è arreso, anzi ha
continuato a tener testa ai numerosi impegni.
Benedizioni... scivolose
In questo periodo le giornate
missionarie “assediano” le nostre domeniche. Dobbiamo dire
un grosso grazie a p. Aldo, che
più di tutti si prodiga per coprire le tante richieste di ministero.
Padre Narciso si è ormai quasi
del tutto rimesso, dopo il famoso
incidente sul lavoro: scivolando
sulle scale di una casa che aveva appena benedetto, si è lussato due dita della mano. Ha fatto
spaventare tutti, preoccupati soprattutto che le sue benedizioni
avessero questo infausto effetto.
Ma adesso, dopo cure e terapie
amorose, ha ripreso a pieno regime le attività di ministero, insieme ai servizi in casa.
Nel frattempo, p. Piermario
aumenta il ritmo del suo lavoro
principale: l’insegnamento dell’italiano. In questo periodo un po’ per l’estate, un po’ per il
mare - molti vengono a studiare
italiano qui da noi. E lui, che in
spiaggia non ci va, li aiuta ad apprendere la lingua.
Padre Piergiorgio presiede,
in assenza del superiore, l’anda-
p. MARIO, p. EMANUELE
mento della comunità e, “a bassa
voce”, inizia a prendere in mano l’economia che p. Raffaele ha
lasciato per “fuggire” in Amazzonia.
Gli animali di p. Raffaele
Da un anno vi abbiamo annunciato l’imminente partenza di p.
Raffaele per la missione. Ma solo il 20 giugno scorso è riuscito
a partire. È stato davvero complicato. Tutto sembrava voler
fermare il suo ritorno in Brasile.
Un problema burocratico ha richiesto mesi di lavoro per essere
risolto. Anche l’aereo, che aveva
prenotato all’ultimo momento, è
saltato e lui ha dovuto trovare un
altro volo. Adesso però si trova
a Belém, dove l’unica cosa che
rimpiange è la torta salata delle
Marche.
SAVERIANI MARCHE
Missione accanto ai poveri
Offagna, intitolata una via a p. Barbini
S
abato 1 aprile, la comunità di Offagna ha avuto la
gioia di ospitare mons. Edoardo
Menichelli, arcivescovo della
diocesi di Ancona-Osimo, in visita pastorale. Il vescovo è stato
invitato per inaugurare una piccola piazza, dedicata a Giovanni
Paolo II, e per onorare la memoria di un nostro concittadino: il
saveriano p. Fausto Barbini.
In Giappone per 50 anni
Padre Fausto era nato a Offagna nel 1918. Fin da ragazzo,
aveva coltivato il sogno della
vocazione missionaria ed era
entrato nella comunità dei saveriani a Poggio San Marcello nel
1930. Ordinato sacerdote il 28
maggio 1944, era stato destinato
come missionario in Cina, dove
però non era mai arrivato, a cau-
8
sa della situazione politica e della rivoluzione di Mao Ze-dong.
Nel 1950, era perciò partito per
la nuova missione del Giappone. Era la prima spedizione dei
saveriani dall’Italia, sebbene alcuni missionari si trovassero già
lì, dopo la loro espulsione dalla
Cina.
Padre Fausto è rimasto nella terra del Sol Levante fino al
2001, per oltre mezzo secolo.
In questi lunghi anni, ha potuto realizzare finalmente il suo
carisma: evangelizzare gli ammalati, i poveri e gli emarginati.
Aveva la letizia di chi è riuscito
a innescare il circuito virtuoso
tra azione e contemplazione, tra
amore di Dio e amore del prossimo, come confessava nella
celebrazione dei suoi 60 anni di
ordinazione: “L’esperienza più
forte è che l’apo­sto­
lato missionario è una
via maestra di vivere
le virtù teologali fede,
speranza, carità; vita
attiva, incentivo alla
vita contemplativa”.
La cerimonia di intitolazione della via.
Sul muro la targa con il nome di p. Barbini
La casa natale
con il suo nome
A due anni dalla
sua morte (23 settembre 2004), è stata a lui
dedicata una via del
paese. La cerimonia si
è svolta in modo semplice, ma molto sen-
B. LUIGI
Da sinistra, p. Narciso Passuello, p. Nando Mencarelli e p. Pier Giorgio Venturini
in versione... campioni del mondo!
La sua partenza ha lasciato un
vuoto non solo nei nostri cuori, ma anche nei mille lavori che
portava avanti: orto, galline, conigli e piccioni. Ora fatichiamo a
seguire tutti questi... animali domestici! Per fortuna c’è p. Nando, che ci tiene allegri con la sua
musica e i canti.
Tanti amici ci aiutano
Malgrado un po’ di fatica nella gestione della nuova situazione della comunità, siamo grati al
Signore perché la nostra piccola
famiglia non è sola. Tante persone ci stanno vicine e ci aiutano
con tanti servizi. Approfittiamo
di questo spazio per dire il nostro grazie ad alcuni amici.
Diego, l’unico che conosce le
cose che sapeva e faceva p. Raffaele, è un vero amico tuttofare.
Suo papà, Fabio, è sempre pronto per i lavori sporchi, come tirare il collo alle galline o ammazzare i conigli. Poi c’è la coppia
più pazza del mondo: Giuseppe e Imelda, i nostri infermieri,
quelli che scarrozzano Nando,
Narci e Piergiorgio per le visite o le cure all’ospedale. Infine,
dobbiamo ringraziare Luciano e
Anna sua moglie, che ci aiutano
nell’economia di casa. Insieme
a p. Piergiorgio, stanno cercando di mettere ordine tra le scartoffie e le cartelle di p. Raffaele,
che sicuramente amava più l’orto dell’ufficio.
C’è posto per tutti
La lista dovrebbe continuare.
Forse qualcun altro ha voglia di
allungarla. Non abbiate paura:
c’è posto per tutti! Se avete voglia di dare una mano, di tagliare un po’ d’erba, zappare il campo o fare tanti piccoli lavoretti di
casa, siamo sempre disposti... a
farci aiutare.
Questo scritto non è molto teologico o spirituale, ma è un modo simpatico per farvi partecipi
delle piccole cose di vita quotidiana, che avvengono in una comunità di missionari. Un abbraccio, nella preghiera.
■
SPAZIO GIOVANI
P. Fausto Barbini
tito. Erano presenti i familiari,
una delegazione dei saveriani
di Ancona (tra cui il maestro, p.
Matteazzi), le autorità e quanti
hanno conosciuto personalmente
padre Barbini.
Di lui è stata ricordata la generosa umanità e la semplicità di
vita, che in questi luoghi lo hanno visto bambino e poi ragazzo,
fino alla vocazione missionaria
che lo ha portato in Giappone.
La via a lui dedicata è proprio
quella che l’ha visto crescere.
La strada sulla quale sorge la sua
casa natale ha così preso il suo
nome, con grande gioia di tutti
i presenti.
L’intera comunità offagnese lo
ricorda con affetto e gratitudine,
memore delle numerose notizie
che lui era solito offrire a parenti e amici. “Attraverso quei racconti sentivamo più vicino quel
mondo tanto lontano”. Ora i suoi
concittadini sono felici di avere
un segno concreto che riporti alla
memoria il caro padre Fausto. ■
IL RIPOSO NON GUASTA
DAVIDE LAI
Quest’estate, anche la comunità saveriana di Ancona ha avuto la
grazia di qualche giorno di vacanza a Molveno, in Trentino, insieme
alla comunità di Desio e ai nostri genitori e parenti. È stata una bella
settimana, di fraternità e amicizia tra noi e le nostre famiglie.
Abbiamo goduto dei monti, del lago, dei prati, opere meravigliose
in cui abbiamo sperimentato la presenza e la bontà del Signore per
noi, sue creature. I nostri genitori ci hanno deliziato con i loro piatti
tipici e noi non ci siamo tirati indietro. Abbiamo vissuto insieme anche
i momenti della preghiera: la Messa, l’adorazione eucaristica, il ritiro
spirituale. Abbiamo ringraziato il Signore per quanto ci ha donato.
Non sono mancati, inoltre, momenti di svago, giochi, canti e tante
risate! Così abbiamo fatto esperienza di ciò che il Signore promette e
mantiene: la sua bontà si manifesta proprio attraverso le persone che
incontriamo e che ci vogliono bene. Dopo questa settimana di grazia,
possiamo riprendere le nostre attività, con gioia ed energia.
Nella settimana di riposo a Molveno, dal 25 giugno al 2 luglio, pronti per un bel gelato
2006 SETTEMBRE
PARMA
43100 PARMA PR - Viale S. Martino, 8
Tel. 0521 990011 - Fax 0521 960645
E-mail: [email protected] - C/c. postale 153437
A tutti i miei lettori... ignoti
Mi preparo per tornare in Giappone
C
are lettrici, cari lettori, con
po’ di nostalgia, un pizzico di rammarico, ma certamente
anche con una certa gioia che
nasce dal profondo del mio cuore missionario, vi comunico che
con questo mese concludo il mio
compito di redattore della pagina di Parma del nostro giornale
“Missionari Saveriani”. Con
alcuni mesi dediti allo studio e,
perché no, anche con un po’ di
riposo, mi preparerò al mio ritorno nella missione del Giappone,
dove sono già stato per diversi
anni.
Un grande grazie a voi
Mi dispiaceva concludere
questo servizio senza aver detto
un grazie sentito, e di tutto cuore, a chi con tanta pazienza ha
corretto e ricorretto le bozze dei
miei articoli, a chi ha collaborato preparando riflessioni e stralci da inserire nella pagina, per
completare le mie insufficienze,
a chi ha offerto il suo volto per
le fotografie e soprattutto a tutti
voi che, con grande bontà, avete
letto gli articoli della pagina di
Parma di “Missionari Saveriani”,
dal gennaio 2003 fino a oggi.
Vorrei ringraziare in particolare le lettrici e i lettori dei miei
articoli. Ritengo, con un po’ di
presunzione, che qualcuno ce ne
sia certamente stato.
Pur non avendo avuto
la fortuna di incontrarvi né di conoscervi
personalmente, desidero ringraziarvi per
avermi dato l’opportunità e lo scopo di scrivere sempre qualcosa,
per avermi permesso
di comunicare quello
che avevo nell’anima
e che, in modo particolare, desideravo
trasmettere a tutti voi,
cari amici dei missionari.
p. PIERGIORGIO MOIOLI, sx
i miei scritti abbiano portato
qualche attimo di gioia, un po’ di
conforto e di speranza a chi casualmente li ha letti e soprattutto si sia sentito toccato dalla mia
riconoscenza per aver accolto un
dono che ho sempre cercato di
offrirvi con tutto il cuore.
Un ultimo segreto...
Ho voluto fare un dono a chi,
in qualche modo, era già ben
L’importante
è donare
Mi auguro solo che
Un dono della Provvidenza
Una bella giornata in agriturismo
C
hi avrebbe mai pensato
che un gruppo di missionari vecchi e malati potesse andare in un agriturismo! Eppure
la Provvidenza ha regalato a noi,
che indegnamente lavoriamo per
il suo regno - una giornata insolita e del tutto eccezionale. È stata una vera sorpresa.
La Messa sotto la barchessa
Verso la fine di maggio ci siamo recati all’agriturismo S. Giuseppe a Taneto, vicino a Reggio
Emilia. Siamo stati invitati dal
gestore, il signor Giuseppe, nipote di p. Dante Mainini, missionario in Brasile alla bella età
di quasi novant’anni. Abbiamo
trascorso alcune ore spensierate
8
in un luogo favoloso, nel mezzo
della campagna reggiana.
In mattinata, il rettore della comunità, p. Emilio Baldin,
ha presieduto la Messa sotto la
barchessa della fattoria. La celebrazione è stata accompagnata
dalla corale della parrocchia di
Taneto. La Messa all’aria aperta ci ha dato la sensazione che
i confini del sacro e quelli della
natura fossero cosi impercettibili
da essere fusi insieme in un’unica realtà. Il tepore che abbiamo
percepito era dovuto al bel clima di primavera; ma era anche
un effetto di quello Spirito che
ci anima sempre, quando ci sentiamo contenti, nella preghiera e
nella vita.
Un momento della Messa celebrata sotto la barchessa, tettoia annessa
alla casa colonica, dove erano custoditi fieno e grano
Non ho altro da aggiungere, se
non ripetere ancora “un grazie!”,
se non avessi paura di stancarvi.
Ma desidero esprimere anche un
augurio a voi, care lettrici e cari
lettori: che qualcosa di ciò che
ho scritto possa essere servito a
colorare un pochino la vostra vita, a scoprire qualche meraviglia
che il Signore ci ha messo nelle
mani e nel cuore. Ho cercato di
offrire così qualche dono, anche
se a volte con un po’ di fatica,
per le molte cose che c’erano da
fare qui nella comunità saveriana della casa madre. Anche se il
tempo non era mai sufficiente,
mi sono sforzato di farlo con il
maggior impegno possibile.
p. GANRIU, sx
Un dessert “artistico”
Terminata la Messa, abbiamo pranzato in un’unica lunga
tavolata che ricordava quella
del Cenacolo. Il pranzo, a base
di squisitezze della cucina reggiana, era davvero ottimo. Un
dolce artistico e del tutto originale, con una fontana di fuochi
d’artificio in mezzo e la scritta
“SX”, simbolo dei saveriani, ha
messo fine alla bella giornata.
Purtroppo, tutto è trascorso velocemente e si è concluso così
in fretta, che quasi non abbiamo
potuto terminare i discorsi iniziati in un clima festoso, gioviale e fraterno.
Il nostro grazie va ai gestori
dell’agriturismo e, in particolare, al signor Giuseppe che ci
ha ospitati dandoci questa bella
opportunità. Ringraziamo anche
il parroco di Taneto, per il suo
calore ed entusiasmo, e il coro
che si è esibito con canti e melodie eccezionali. A p. Dante,
in Brasile, abbiamo inviato il
nostro grazie e il nostro ricordo,
con un biglietto firmato da tutti
i presenti.
Più di ogni altra cosa, però,
dobbiamo ringraziare la divina
Provvidenza che ci concede i doni più belli, ancor prima che noi
li desideriamo.
■
disposto ad accoglierlo. Non
posso negare che, in fondo, nei
momenti in cui scrivevo quelle
poche righe, il mio stato d’animo
era molto simile a quello indicato da Gesù. Più volte, infatti, mi
sono accorto che “c’è più gioia
nel dare che nel ricevere”.
Prima di salutarvi, però, vorrei svelare un segreto a chi non
l’avesse ancora scoperto. Dovete sapere che quando leggevate
gli articoli firmati da “Ganriu”,
l’autore ero sempre io. Infatti, il
mio nome, Piergiorgio Moioli,
tradotto in giapponese è “Moiori
Ganryu Shinpu”. Del resto, tutti
i grandi giornalisti hanno avuto
nel loro curriculum uno pseudonimo. Anch’io - modestia a parte
- ho voluto adottare questo stratagemma.
Un caloroso arrivederci a tutti. ■
Permettete, care lettrici e cari lettori, che per una volta sia
io - come direttore di questo mensile - a dire “grazie” a Ganriu, p. Piergiorgio Moioli, e lo faccia anche a nome vostro. Più
che un giornalista, p. Piergiorgio è stato un grande “saggio”.
Quando - puntualmente, anzi con buon anticipo - arrivavano
i suoi scritti, la tentazione di leggerli subito era per me irresistibile. Ne uscivo sempre con la testa frastornata, al pensiero
di come raccogliere tanta “saggezza” e tradurla in linguaggio
semplice e lineare, perché anche voi poteste gustare la soavità
del pensiero... orientale.
Grazie, p. Piergiorgio. Buona missione. Ma vorremmo da te
una promessa: dal Giappone, facci avere ancora le tue “briciop. Marcello, sx
le di saggezza”.
LE MEDICINE MIGLIORI
p. MOIOLI, sx
Non tutte le medicine curano le malattie per cui sono state fatte.
Alcune ci riescono, altre meno. Le medicine raccolte, suddivise e distribuite alla casa madre non solo funzionano bene, ma curano in modo
del tutto particolare.
La storia è questa. Tante persone che hanno medicine valide in esubero, le portano alla nostra portineria. Queste vengono selezionate
da alcuni pazienti saveriani. Poi, per ordine di scadenza e per qualità,
sono sistemate in appositi scaffali, fatti predisporre proprio quest’anno dal nuovo rettore, p. Emilio Baldin.
Queste medicine servono per gli anziani e i malati, oppure sono spedite nelle missioni, a seconda delle richieste dei missionari. In questo
modo, ogni medicina acquista, oltre alle sue proprietà curative, anche
una buona dose d’amore. Quando arriva a destinazione, non può non
funzionare. Anzi, cura benissimo!
Le malattie si curano anche accogliendo la sofferenza che il Signore
ci dona, come qualcosa da rielaborare. Si curano condividendo la sofferenza, facendone un’offerta al Signore per chi soffre più di noi. E perchè no, si curano anche sorridendo, come segno di riconoscenza verso
le persone che ci aiutano e si occupano di noi con tanto amore.
Per questi motivi, le medicine raccolte, selezionate e distribuite alla
casa madre per i missionari e le missioni nel mondo, si possono considerare davvero “le migliori”.
Gli scaffali con le medicine alla casa madre dei saveriani a Parma
2006 SETTEMBRE
PIACENZA
25121 BRESCIA BS - Via Piamarta, 9
Tel. 030 3772780 - Fax 030 3772781
E-mail: [email protected] - C/c. postale 216259
In Africa, Gesù mi aspettava
Intervista a p. Vittorio Bongiovanni
a cura di don PIERGIORGIO TIZZI
Padre Vittorio Bongiovanni è nato a Bozzolo (MN) 65 anni fa. Dopo aver studiato a Cremona, è
diventato saveriano il 3 ottobre 1960 e otto anni dopo è stato ordinato sacerdote. È nipote di un
famoso missionario saveriano cremonese, morto in Congo nel 1985: p. Pacifico Fellini. Rosa Maria
Fellini, sua sorella era una santa mamma. Insomma, siamo davanti a una famiglia di santi!
Padre Vittorio ha lavorato per molti anni, con entusiasmo giovanile, nell’animazione missionaria e vocazionale presso la comunità saveriana di Vicenza. Ha lavorato così bene “che tutti lo volevano e non lo lasciavano partire per le missioni”, così mi ha confessato un suo compagno vicentino. Padre Vittorio ha parlato un po’ di sé in quest’intervista rilasciata a un nipote, don Piergiorgio Tizzi, giovane sacerdote cremonese, figlio di sua sorella Milla.
p. Sandro Parmiggiani, sx
zio saveriano, padre
A llo
Vittorio, ho rivolto alcu-
ne domande. Volevo che raccontasse almeno qualcuna delle sue
mille esperienze missionarie,
tutte interessanti e vivaci. Mi ha
subito detto che gli era difficile
contarle e raccontarle tutte, che
sono state tutte belle, almeno per
lui, e che sperava che anche la
sua gente si fosse trovata bene
con lui. A loro egli ha dedicato
gran parte della sua vita.
Sei stato in Sierra Leone...
Sì, in Sierra Leone ho trascor-
so 26 anni della mia vita. I primi
dieci anni ho lavorato come missionario nei villaggi. Mi avevano mandato in una zona musulmana, vasta come la provincia di
Cremona, per iniziare una missione di evangelizzazione. Non
c’era nessuna comunità cristiana. Dopo dieci anni di lavoro, se
n’erano formate quattordici. Sono arrivato là e ho preso in affitto la stanza di una capanna. Per
l’affitto annuale ho pagato due
sacchi di cemento, che il proprietario ha usato per fare un po’
di pavimento nella mia stanza:
Padre Vittorio presenta ai ragazzi le ospiti cremonesi in visita in Sierra Leone
ha fatto chiudere i buchi nel pavimento di terra battuta, da dove
entravano certi toponi...
Dall'Africa a Chicago e ritorno
Continua l'intervista a p. Vittorio
1991 in Sierra Leone è
N elscoppiata
una terribile e
interminabile guerra. Vari missionari e missionarie sono state
sequestrate dai ribelli. Anche p.
Vittorio ha vissuto in prima persona esperienze drammatiche.
Come ti sei comportato?
La guerra è durata dieci anni,
dal 1991 al 2001. In questo periodo ho scoperto la mia nuova
vocazione: liberare i bambini
soldato dai ribelli. Due volte mi
hanno preso come ostaggio. Su
quello che ho vissuto potrei scrivere un libro. Più semplicemente, la mia storia è molto simile a
quella raccontata nel film “Hotel
Ruanda”. Il film racconta la mia
storia, solo che io l’ho vissuta in
Sierra Leone. Io sarei il manager
dell’hotel...
8
Perché sei finito a Chicago?
Per tutto quello che avevo passato, i superiori mi hanno detto
che avevo bisogno di una pausa,
cioè di venire via dall’Africa per
un certo periodo. E così sono
approdato negli Stati Uniti con
il compito di formatore degli
studenti saveriani di teologia, a
Chicago. Sono stati tre anni lunghi come trenta, ma finalmente
adesso posso ripartire per la
Sierra Leone.
Quali sono le necessità
urgenti della missione?
Tutto il mio ministero, diversamente da come possa apparire, è
stato finalizzato alla “costruzione”
di persone, non di edifici. Certo,
abbiamo anche costruito chiesette
e scuole; ma questo lavoro l’hanno fatto soprattutto i sierraleonesi.
Io cercavo solo di far capire loro il
significato e l’importanza di questi edifici. A tutto il resto ci hanno
pensato loro.
Padre Vitttorio in Sierra Leone vestito da
capo tribù, in una foto di qualche anno fa
a cura di don PG. TIZZI
Come possiamo sostenerti?
Negli anni trascorsi in Sierra
Leone ho aiutato molti giovani,
ragazzi e ragazze, ad andare a
scuola, a prendere coscienza della loro dignità. Avevo in mente
il piano di mandare i giovani all’università e di aprire loro una
strada che li portasse a coprire
posti di responsabilità e di governo nel Paese.
È importante avere una classe
dirigente, impegnata nella società con idee cristiane. Per questo,
ritengo indispensabile la formazione dei giovani perchè diventino formatori dei loro fratelli e
delle loro sorelle.
Se mi volete aiutare, il vostro
sostegno servirà per mandare a
scuola e formare giovani poveri ma intelligenti. Per fortuna, i
ricchi non hanno ancora il monopolio dell’intelligenza...
Cosa significa per te
essere missionario?
Significa semplicemente essere cristiano; prendere cioè sul
serio il Signore e cercare di aprire occhi, orecchie e soprattutto il
cuore, per fare la sua volontà là
dove egli mi vuole. Questo non è
sempre facile. L’ho sperimentato
andando negli Stati Uniti, quando il mio cuore si era fermato in
Sierra Leone.
■
In pratica, cosa facevi?
Tutta la mia attenzione era diretta a creare le comunità di base. Io ho una convinzione: i sierraleonesi devono essere convertiti da sierraleonesi, non da stranieri. Perciò il mio lavoro non
consisteva nel riempire bottiglie
vuote, ma nello stappare bottiglie e tirare fuori quello che già
avevano dentro.
Prima di partire per l’Africa,
mi dicevano che ero bravo perchè portavo Gesù tra gli infedeli. E io, povero illuso, ci credevo. Sono arrivato in Africa e, con
mia sorpresa, ho scoperto che
Gesù era già là che mi aspettava.
Poi cos’è successo?
II vescovo mi ha “punito”, tradendo i miei gusti, e mi ha portato via dai villaggi dove mi trovavo davvero a mio agio. Mi ha
nominato direttore del centro pastorale e responsabile della pastorale giovanile della diocesi.
Qui il mio compito è stato quello di preparare sussidi di pastorale per le parrocchie e di organizzare corsi di formazione per
catechisti, per capi di comunità
e per i giovani. Ho imparato tanto, soprattutto ascoltandoli e crescendo insieme a loro. Mi avevano promesso che, al massimo
dopo nove anni, mi avrebbero liberato da questo impegno. Invece, in questo ministero sono stato impegnato per ben sedici anni
continui.
■
(continua a lato)
una malattia strana
p. SANDRO PARMIGGIANI, sx
C’è un male strano che colpisce gli africani e soprattutto i missionari. Non è una malattia del corpo, come la malaria, la tubercolosi, l’Aids o la lebbra. È come un malessere che si prova nello spirito e nella
mente, un male psicologico che porta a un rimpianto, a una nostalgia profonda dell’Africa, dei suoi orizzonti infiniti, delle sue foreste e
perfino dei suoi deserti immensi, della sua povertà rassegnata e spesso spensierata, della sua semplicità quasi infantile.
Questa strana malattia si chiama “mal d’Africa”. Colpisce gli africani che sono costretti a emigrare per non lasciar morire di fame le loro
famiglie. Colpisce anche i missionari, costretti a lasciare le missioni e
i villaggi per curare la loro salute compromessa dall’età, dalle fatiche
e da malattie incurabili.
Quando vado a Parma, nella nostra casa madre fatta edificare dal
fondatore il beato Conforti, mi piace visitare i numerosi missionari anziani e malati, che sono amorevolmente assistiti e curati da confratelli più giovani e da personale laico specializzato.
Questa sollecitudine fraterna verso i missionari infermi mi commuove. Ne sono riconoscente e ammirato, santamente orgoglioso. I nostri “vecchi” noi li teniamo
in famiglia, non li abbandoniamo in case di riposo. E se non riusciamo
a prolungare la loro vita e a migliorare la loro salute fisica, riusciamo però ad alleggerire
le loro pene corporali e interiori.
Padre Martini aiutato da un
giovane confratello congolese alla casa madre di Parma
2006 SETTEMBRE
PIEMONTE
e liguria
16156 GENOVA PEGLI GE - Viale Modugno, 39
Tel. 010 6969140 - Fax 010 6967910
E-mail: [email protected] - C/c. postale 00303164
La difficile situazione del Sudan
Intervista a mons. Cesare Mazzolari
ricevuto la gradiA bbiamo
ta visita di mons. Cesare
Mazzolari, missionario comboniano di Brescia, vescovo della
diocesi di Rumbek in Sudan dal
1999. Era a Genova per un incontro con amici, attenti alla difficile situazione del Sudan. Gli
abbiamo fatto alcune domande,
per capire la sorte di questo
grande paese africano, dove il
conflitto interno va avanti da
molti anni.
Com’è la situazione in
Sudan?
Nel sud del Sudan, dove si
trova Rumbek, si è combattuta
una guerra civile che, tra scontri
e malattie, in vent’anni ha fatto
dai due ai tre milioni di morti.
Oggi posso ancora predicare il
vangelo, perché vivo in un territorio controllato dallo Spla, “Armata di liberazione del popolo
sudanese”, comandata da John
Garang, un ribelle di religione
protestante che lotta contro il
governo islamico di Khartoum.
È vero che i cristiani sono
convertiti all’Islam?
Sì, purtroppo. Almeno tre milioni si sono trasferiti al nord, spinti
dalla fame, e hanno dovuto pronunciare la shahada, la professione pubblica di fede, per avere
un lavoro. I convertiti vengono
marchiati a fuoco. Li timbrano
su un fianco, come le mucche,
per distinguerli dagli infedeli.
E la gente come vive?
I sudanesi vivono un martirio
a cura di p. ALFONSO APICELLA, sx
quotidiano che rimane escluso
dall’informazione nei giornali
occidentali. Subiscono le ingiustizie e le malattie senza astio,
ma da loro c’è solo da imparare.
Battono il tamburo e danzano
anche se hanno la pancia vuota.
Gli occidentali sono umanamente molto più poveri di loro.
Cosa vuol dire?
Tante persone ogni giorno
vengono a chiedermi cibo e
non lo trovano. Queste sono
le vere vittime del ricco sistema occidentale, che spreca e
lascia morire di fame. E mentre muoiono si sentono dire
dal loro vescovo: “Il Signore ti
vuole bene”. Allora, con l’ultimo fiato che hanno in corpo,
sussurrano: “Dì al Signore che
Le ultime notizie dell'estate
Meteora o cometa?
N
el salutare tutti gli amici,
soprattutto quelli che ho
potuto incontrare e conoscere,
ringrazio Dio per questo breve
periodo trascorso nella comunità
saveriana di Pegli, tra alti e bassi,
gioie e difficoltà. Il mio passaggio, forse, è stato come la luce
di una meteora, che si vede per
un attimo e poi subito sparisce.
Il mio desiderio, invece, sarebbe
quello che la mia breve presenza
potesse essere come la scia breve
e luminosa della cometa che ha il
compito di indicare la strada per
arrivare a Cristo salvatore. L’ho
desiderato. Ci ho provato. Spero
di esserlo stato, almeno un po’.
Ringrazio soprattutto i miei confratelli per aver sopportato la mia
presenza... massiccia. Ora ho nel
cuore il desiderio di partire per il
Messico e questo avverrà presto.
Permettete che vi chieda due
cose. Continuate ad amare e a
voler bene ai missionari saveriani. Disturbateli, invitateli: hanno
tante ricchezze da condividere.
Hanno l’amore per il Signore e
per il mondo, hanno il desiderio
di condividere questo amore con
più persone possibile. Vi sembra
poco? D’altronde, siamo missionari proprio per questo.
Per me chiedo il ricordo nelle vostre preghiere e l’offerta
dei vostri sacrifici e sofferenze,
qualora vengano. Vivendoli in
comunione con Cristo in croce,
offriteli per la santificazione dei
missionari. Un abbraccio fraterno a tutti. Dio vi benedica. ■
p. ALFONSO APICELLA, sx
8
l coro della parrocchia
di san Francesco d’Assisi di Genova Pegli si è esibito nel concerto “Il vangelo
in musica”. L’iniziativa aveva
lo scopo di cercare un nuovo
modo per far conoscere il vangelo. Il concerto, ben preparato ed espresso con voci angeliche, ha ripercorso attraverso varie espressioni musicali
il mistero della buona notizia
di Cristo. Sono stati presentati
brani di corali classiche di Bach e di Mozart, ma anche pezzi di spiritual americano, gregoriano e madrigale…
Il mistero della salvezza in
musica era intervallato e ac-
Lilly, nostra collaboratrice, e sua figlia Chiara,
due splendide voci che hanno animato
“il vangelo in musica”
siamo stati puniti abbastanza”.
C’è dialogo tra le religioni?
Quando sono in gioco gli interessi, i potenti e gli economisti occidentali dicono di essere
pronti al dialogo. Che credono
in Dio, l’hanno scritto solo sulle
loro banconote; in realtà credono
più nel verde del dollaro.
Potrà mai esserci pace?
Il rispetto tra le popolazioni e le culture in Sudan
verrà dopo che ci saremo conosciuti. Oggi condividiamo
solo la terra che calpestiamo.
Il petrolio c’entra qualcosa?
Nessuno vuole la pace del
Sudan; tutti vogliono il suo petrolio. Ci sono 1.500 chilometri
di oleodotto da Rumbek a Khartoum. Ha cominciato la Chevron
nel ‘78 a venirsi a prendere le
nostre riserve. Poi sono arrivati
tutti gli altri. Oggi il 42% del
greggio ce lo rubano i cinesi,
che lo fanno estrarre a un piccolo esercito di 25mila uomini tra
mercenari ed ex galeotti. Il 24%
lo porta via la Malesia. Al Canada è subentrata l’India.
Perché è diventato
missionario?
Forse perché vedevo mio
padre, un ortolano, portare la
minestra ai carcerati. Fin da
bambino, non ho mai pensato
di fare altro. A 8 anni ero chierichetto nel santuario del Sacro
Cuore a Brescia, diretto dai
comboniani. A 9 sono andato a
visitare il loro seminario di Crema. A 10 ho deciso di entrarci.
Ha paura?
Non farei il missionario se
avessi paura. Con la paura non
si sopravvive. Quando mi accorgo che un mio sacerdote ha paura, lo tiro via dalla missione. La
paura è una malattia contagiosa.
Il giorno che diventassi pauroso,
prego Dio di prendermi con sé.
Tornerà mai in Italia?
La mia patria è il Sudan. Ho
promesso ai miei fedeli che non
li abbandonerò, neanche da morto. Loro sanno già dove mi devono seppellire.
Noi che possiamo fare?
Pregate tanto per noi, e non dimenticateci.
■
SONO PRONTO AL MARTIRIO
Padre Alfonso Apicella, dopo una
breve permanenza nella comunità saveriana di Pegli, parte per la missione
Il vangelo... in musica
I
Da destra: il dottor Alberto, amico e benefattore dei saveriani di Pegli,
mons. Cesare Mazzolari, p. Antonio Benetti, la responsabile del gruppo
per il Sudan di Genova e p. Alfonso Apicella
compagnato da brani biblici
dell’annunciazione, della pentecoste e dei grandi personaggi
della bibbia. Tra tutti, spiccava
la figura di “John the revelator
- Giovanni il rivelatore”, meraviglioso inno tratto dal film
The Blues Brothers 2000.
Insomma, è stato un vero godimento spirituale, un momento di riflessione e di preghiera,
un’occasione creativa di evangelizzazione. Abbiamo gustato quella gioia che viene dal
rimanere uniti a Cristo e dall’ascoltare la sua Parola. Da
san Francesco, la buona novella si esprime nel cantico di letizia.
■
mons. CESARE MAZZOLARI
Mi trovo a Rumbek, nel Sudan meridionale, dal 1990. Posso dire che la
diocesi negli ultimi 12 anni si è ben
sviluppata. Attualmente, serve una
popolazione di 3.800.000 abitanti, è
lunga quanto l’Italia e i suoi 30 preti devono prendersi cura di 350mila
anime ciascuno. La cattedrale è una
capponaia del diametro di 20 metri
col tetto di zinco, così non possono
bruciarlo.
Come diocesi siamo impegnati nell’attività pastorale, nell’educazione,
nella sanità e nell’aiuto umanitario.
Tra tutte le istituzioni attive nel Sudan meridionale, le diocesi cattoliche hanno la fama di essere le più attive. Hanno assistito centinaia di
migliaia di persone per dare loro cibo, medicine e speranza.
La lunga guerra ha messo a dura prova la chiesa cattolica presente in quelle regioni. Tra i due milioni di vittime, si contano numerosi cristiani. L’islam è forte ed è fatto di crocifissioni, schiavitù, conversioni forzate, inganni. Purtroppo, anche dai guerriglieri cristiani, che
hanno preso le armi contro i musulmani di Khartoum, abbiamo dovuto patire guai.
Anche per me, si sta avvicinando il momento del martirio. Spero che
il Signore ci dia la grazia di affrontare questo spargimento di sangue.
C’è bisogno di purificazione. Molti cristiani saranno uccisi per la loro
fede. Ma dal sangue dei martiri nascerà una nuova cristianità.
2006 SETTEMBRE
REGGIO
CALABRIA
89055 GALLICO SUPERIORE RC - Via Rimembranze
Santuario Madonna della Grazia
Tel. 0965 370304 - Fax 0965 373137 - E-mail: [email protected] - C/c. postale 10444891
Un'esperienza indimenticabile
Il campo delle giovanissime a Gallico
Anche quest’anno si è svolto a Gallico il campo di formazione per le giovanissime. Il tema scelto era “Sulle tracce di Gesù
come il Saverio”. Marika Foro, Mariella Messineo erano le animatrici. La saveriana Francesca Mura, p. Pierluigi Felotti e p.
Nico Macina erano le guide spirituali. Sono stati coinvolti anche gli altri saveriani della comunità: p. Bacchin, p. Marcelli e
p. Guerra.
Carmen e le amiche Katia, Simona, Annalisa, Maria Antonietta e Francesca, ci hanno raccontato l’esperienza.
I
l campo estivo è per ciascuno di noi un momento importante, fra i più attesi. Vi
partecipiamo con grandi aspettative, con la voglia di fare nuove
esperienze e amicizie. Quest’anno, l’esperienza è stata ancora
più entusiasmante perché noi,
gruppo giovanissime di Gallico,
ci siamo messe in cammino sulle tracce di Gesù come Francesco Saverio.
Nuovo compagno di viaggio
Tante volte abbiamo sentito parlare del Saverio dai nostri
missionari durante gli incontri.
Abbiamo imparato a conoscerne meglio la vita e l’esperienza
di fede. All’inizio ci domandava-
mo come potesse questo grande
missionario di altri tempi soddisfare le nostre aspettative e rendere il campo un’esperienza indimenticabile.
Ma la strada riserva sempre
delle sorprese ai pellegrini che
la intraprendono con entusiasmo. E noi ben presto ci siamo
ritrovate il Saverio come amico
e compagno di viaggio. Ci ha reso il viaggio stesso più agevole
e meno faticoso, infiammando i
nostri cuori e schiarendoci la via
per raggiungere la meta.
Ci siamo perciò ritrovate a
calcare le sue orme sulla spiaggia. In riva al mare, era già viva
in noi la sua presenza: le barche
e l’infrangersi delle onde ci por-
Caro amico, ti scrivo
Lettera a Francesco Saverio
C
aro Francesco, non avrei
mai pensato di scrivere
una lettera proprio a te, ma adesso eccomi qui! Incontrandoti, mi
hai posto delle domande, alle
quali cercherò di rispondere.
Sei contenta?
Direi proprio di sì. È stato entusiasmante conoscerti più a fondo,
conoscere la tua storia, svolgere
attività per capire le tue missioni,
rivivere i tuoi viaggi attraverso i filmati, guardare il tuo stesso Crocifisso, quello che ci trasmette gioia,
e cercare di provare le stesse tue
emozioni. A volte, contemplarlo e
capirlo non è stato molto facile.
Ciò che ho vissuto in questo
8
KATIA
campo è stato meraviglioso. È
stata un’esperienza nuova, nonostante conoscessi questo posto da
sempre; un’esperienza ricca, che
mi ha aiutato a riflettere molto;
un’esperienza unita e divisa: unita dalle attività, dai confronti e dal
divertimento; ma anche divisa,
perché ognuno è stato artefice del
proprio percorso interiore di cinque giorni. È stata un’esperienza
irripetibile. Forse ce ne saranno di
più belle, ma finora questa è stata
il massimo; un’esperienza dalla
quale è nata una canzone scritta
da noi in una piccola cucina.
Cosa avresti aggiunto?
Magari qualche giorno in più…
La gioia di stare insieme coinvolge tutti, anche la saveriana Francesca Mura
CARMEN e AMICHE
tavano con la mente a solcare i
grandi mari da lui attraversati; la
gente intorno a noi erano i numerosi popoli da lui battezzati,
mentre i monti della Sicilia erano quelli della lontana Cina, ai
quali egli volse fino alla fine il
suo sguardo.
Emozione ed entusiasmo
A piedi nudi, abbiamo lasciato
dietro di noi le nostre orme e ci
siamo dirette verso il parco della mondialità, luogo dove siamo
andate a vivere la nostra magnifica esperienza.
Il suono della campanella, che
Francesco amava usare per radunare attorno a sé la gente, segnava per noi l’inizio di ogni nuovo giorno. Dopo la preghiera, la
visione del film sulla sua vita ci
permetteva di conoscerlo meglio, di capire cosa lo spingeva a
muoversi e lasciare sempre tutto
per andare oltre.
Emotivamente coinvolte e cariche d’entusiasmo, abbiamo
sviluppato diverse tematiche: la
ricerca e la scelta; la missione e
So già che sarà difficile tornare a
casa; mi dispiacerà non stare tutte insieme, vivere vicine, ridere,
scherzare, parlare, raccontarci. Mi
dispiacerà, anche se non mi mancherà, non svegliarmi con il suono della campana. Semplicemente mi mancheranno questi giorni,
dalla sveglia alle 7.00 del mattino
a tutto il resto della giornata.
Cosa hai ricevuto?
Forse è un po’ difficile da spiegare. Ho imparato a scavare più
a fondo, a non fermarmi in superficie. Ho imparato ad ascoltare ciò che il Signore mi diceva
e mi dice. Prima non ci riuscivo.
Ho imparato a ringraziarlo. Prima lo facevo troppo poco.
Cosa hai dato?
Tutta me stessa. Ci ho messo
tutta la forza che ho per cercare di riuscire e spero di avercela
fatta, anche solo un po’. Ho dato
il mio impegno e mi sono messa
in gioco. Mi hanno parlato tanto di te, è vero, e adesso credo
di conoscerti un po’ meglio. Tu
che ne dici, sono pronta ad essere pellegrina o ancora un po’
vagabonda?
Comunque, non avrei voluto
togliere niente di tutto ciò che ho
vissuto. Sono molto felice di avere scelto di impegnarmi a conoscerti, perché sicuramente mi hai
fatto crescere! Grazie di essere
stato Francesco Saverio e di essere come sei. Ti voglio bene! ■
Le giovanissime con padre Pierluigi e la saveriana Francesca,
intorno alla statua di S. Francesco Saverio per una foto ricordo
i poveri; la gioia e il sogno. Questo è stato il percorso personale
che insieme al Saverio ciascuno
di noi, nel nostro piccolo, ha vissuto, lasciandosi interrogare dallo sguardo sorridente del Cristo
crocifisso del castello di Javier.
Impegno, preghiera, allegria
I momenti di preghiera sono
stati intensi. La testimonianza dei
due giovani della fraternità dell’Immacolata, che ci hanno coinvolto nella gioia della loro vocazione, è stata per noi edificante e
costruttiva. Il tempo trascorso a
servizio degli anziani e dei disabili è stato fruttuoso. Affascinante
è stato l’incontro notturno nel parco con gli amici del Saverio: san-
t’Ignazio di Loyola, il capitano
della nave, il giapponese Anjro, il
beato Guido Conforti...
Il “deserto” vissuto nella quiete dei boschetti di Sant’Elia è
stato carico di emozioni. Indimenticabili sono stati i momenti di gioia e di allegria vissuti
mangiando la pizza con vecchi
e nuovi amici, cantando al ritmo della chitarra. Emozionante la processione del Crocifisso,
portato all’altare per la Messa di
ringraziamento.
Finalmente, Francesco Saverio
lasciava il posto di guida; concludeva tra noi la sua missione, facendoci approdare fra le braccia
di Gesù, nostro nuovo amico e
compagno di viaggio.
■
TUTTI E NESSUNO
“Tutti e nessuno” è una canzone nata
nel cuore della notte del 27 giugno 2006,
durante la permanenza al campo di formazione. Per scriverla, ci siamo nascoste al
buio, in cucina, illuminate solo da una piccola torcia, evitando anche il minimo rumore. Questa canzone sarà il segno di un
legame che va man mano consolidandosi,
per grazia di Dio e con la nostra buona volontà.
E siamo qua,
affidando le nostre speranze
a questa notte, piene di sogni e desideri
sperando che un giorno diventino realtà.
Rit: Siamo noi, semplici ragazze,
Con un unico obiettivo:
superare le nostre paure.
E siamo qua,
in questa piccola cucina tutte insieme,
pensierose e un po’ assonnate
ma sempre con tanta voglia di andare oltre.
E siamo qua,
come fuggiaschi a raccontare le nostre storie passate,
mentre le vite si intrecciano nel buio,
noi ritorniamo ad essere bambine.
E siamo qua,
sempre più unite e complici dello stesso mondo,
sempre più pronte ad affrontare la vita
con il nostro sorriso che ci contraddistinguerà.
Rit: Siamo noi, semplici ragazze,
Con un unico obiettivo: superare le nostre paure.
Siamo noi, convinte di farcela e... ce la faremo!
Katia, Simona, Carmen, Annalisa, M. Antonietta, Francesca
2006 SETTEMBRE
ROMA
00165 ROMA RM - Via Aurelia, 287
Tel. 06 39366929 - Fax 06 39366925
E-mail: [email protected] - C/c. postale 45206000
La difficile situazione del Sudan
Intervista a mons. Cesare Mazzolari
ricevuto la gradiA bbiamo
ta visita di mons. Cesare
Mazzolari, missionario comboniano di Brescia, vescovo della
diocesi di Rumbek in Sudan dal
1999. Era a Genova per un incontro con amici, attenti alla difficile situazione del Sudan. Gli
abbiamo fatto alcune domande,
per capire la sorte di questo
grande paese africano, dove il
conflitto interno va avanti da
molti anni.
Com’è la situazione in
Sudan?
Nel sud del Sudan, dove si
trova Rumbek, si è combattuta
una guerra civile che, tra scontri
e malattie, in vent’anni ha fatto
dai due ai tre milioni di morti.
Oggi posso ancora predicare il
vangelo, perché vivo in un territorio controllato dallo Spla, “Ar-
a cura di p. ALFONSO APICELLA, sx
mata di liberazione del popolo
sudanese”, comandata da John
Garang, un ribelle di religione
protestante che lotta contro il
governo islamico di Khartoum.
ma da loro c’è solo da imparare.
Battono il tamburo e danzano
anche se hanno la pancia vuota.
Gli occidentali sono umanamente molto più poveri di loro.
È vero che i cristiani sono
convertiti all’Islam?
Sì, purtroppo. Almeno tre milioni si sono trasferiti al nord, spinti
dalla fame, e hanno dovuto pronunciare la shahada, la professione pubblica di fede, per avere
un lavoro. I convertiti vengono
marchiati a fuoco. Li timbrano
su un fianco, come le mucche,
per distinguerli dagli infedeli.
Cosa vuol dire?
Tante persone ogni giorno
vengono a chiedermi cibo e
non lo trovano. Queste sono
le vere vittime del ricco sistema occidentale, che spreca e
lascia morire di fame. E mentre muoiono si sentono dire
dal loro vescovo: “Il Signore ti
vuole bene”. Allora, con l’ultimo fiato che hanno in corpo,
sussurrano: “Dì al Signore che
siamo stati puniti abbastanza”.
E la gente come vive?
I sudanesi vivono un martirio
quotidiano che rimane escluso
dall’informazione nei giornali
occidentali. Subiscono le ingiustizie e le malattie senza astio,
C’è dialogo tra le religioni?
Quando sono in gioco gli interessi, i potenti e gli economisti occidentali dicono di essere
Giornate a... mani aperte
Per il Burundi, in ricordo di p. Fiore
A
maggio, l’istituto Volpicelli di Poggio Mirteto, in
provincia di Rieti, ha consentito alla nostra associazione “Mani aperte onlus” di andare a illustrare ai bambini un progetto a
sostegno della popolazione batwa in Burundi. In questa nazione aveva lavorato il compianto
missionario p. Fiore D’Alessandri, in memoria del quale è stata
fondata l’associazione.
“La carità non è elemosina”
Dai 450 allievi della scuola materna ed elementare che compongono l’istituto, dalla direttrice didattica, prof.ssa Amelia Vavalli, e
da tutti gli insegnanti siamo stati accolti con entusiasmo. I bambini, raggruppati per classi, sono
stati impegnati con noi per quattro mattine e un pomeriggio. Tutti hanno mostrato molto interesse
per l’Africa, per il Burundi e per
le attività di promozione umana
che i missionari saveriani e il clero locale stanno realizzando, tra
molte difficoltà e pericoli.
A ognuno abbiamo distribui-
8
to un pieghevole e un segnalibro,
con la frase di p. Fiore: “Carità non è elemosina, ma amore”.
Sono stati un aiuto per trasmettere meglio il messaggio di solidarietà missionaria. La scuola è disposta a continuare una collaborazione con noi. Stiamo studiando la possibilità di far preparare
ai bambini più grandi una ricerca sul Burundi e sulla sua storia
missionaria, alla quale potremmo assegnare un premio.
Poggio Mirteto e Montopoli:
mercatini della solidarietà
Il 10 giugno scorso, nella passeggiata di Poggio Mirteto, la
scuola ha allestito un mercatino
di oggetti preparati dagli stessi
alunni e ha devoluto alla nostra
associazione parte del ricavato.
Ci ha fatto piacere, in particolare, che il collegio docenti abbia riportato sui biglietti di invito il motto della nostra associazione e che abbia voluto esporre, nel luogo del mercato, lo striscione dell’associazione “Mani
aperte”.
ALVARO TOMASSETTI
Anche a Montopoli di Sabina,
sempre in provincia di Rieti, per
iniziativa della prof.ssa Paola
Vincenti e di alcune mamme degli allievi della scuola media, il
4 giugno è stato allestito un mercatino di solidarietà per sostenere il nostro progetto in Burundi. Alcuni studenti, con un’idea
veramente originale, hanno illustrato con disegni diversi episodi
della vita trascorsa da padre Fiore a Montopoli, quando era parroco. I disegni sono stati rilegati in un volume davvero bello e
interessante. È stato un piccolo
contributo al ricordo del nostro
indimenticabile don Fiore, sepolto in Burundi nel villaggio di
Gisanze.
■
Per informazioni, chiamare il
dott. Alvaro al 333 7315660.
Chi desidera contribuire al progetto in Burundi, il nostro C/c postale è 53654406, intestato a
“Mani aperte onlus”, Piazza Nicolò II, n. 2 - 02034 Montopoli di Sabina (RI); causale, “progetto batwa - Burundi”.
Da destra: il dottor Alberto, amico e benefattore dei saveriani di Pegli,
mons. Cesare Mazzolari, p. Antonio Benetti, la responsabile del gruppo
per il Sudan di Genova e p. Alfonso Apicella
pronti al dialogo. Che credono
in Dio, l’hanno scritto solo sulle
loro banconote; in realtà credono
più nel verde del dollaro.
Potrà mai esserci pace?
Il rispetto tra le popolazioni e
le culture in Sudan verrà dopo
che ci saremo conosciuti. Oggi condividiamo solo la terra.
Il petrolio c’entra qualcosa?
Nessuno vuole la pace del
Sudan; tutti vogliono il suo petrolio. Ci sono 1.500 chilometri
di oleodotto da Rumbek a Khartoum. Ha cominciato la Chevron
nel ‘78 a venirsi a prendere le
nostre riserve. Poi sono arrivati
tutti gli altri. Oggi il 42% del
greggio ce lo rubano i cinesi,
che lo fanno estrarre a un piccolo esercito di 25mila uomini tra
mercenari ed ex galeotti. Il 24%
lo porta via la Malesia. Al Canada è subentrata l’India.
Perché è diventato
missionario?
Forse perché vedevo mio
padre, un ortolano, portare la
minestra ai carcerati. Fin da
bambino, non ho mai pensato
di fare altro. A 8 anni ero chierichetto nel santuario del Sacro
Cuore a Brescia, diretto dai
comboniani. A 9 sono andato a
visitare il loro seminario di Crema. A 10 ho deciso di entrarci.
Ha paura?
Non farei il missionario se
avessi paura. Con la paura non
si sopravvive. Quando mi accorgo che un mio sacerdote ha paura, lo tiro via dalla missione. La
paura è una malattia contagiosa.
Il giorno che diventassi pauroso,
prego Dio di prendermi con sé.
Tornerà mai in Italia?
La mia patria è il Sudan. Ho
promesso ai miei fedeli che non
li abbandonerò, neanche da morto. Loro sanno già dove mi devono seppellire.
Noi che possiamo fare?
Pregate tanto per noi, e non dimenticateci.
■
SONO PRONTO AL MARTIRIO
mons. CESARE MAZZOLARI
Mi trovo a Rumbek, nel Sudan meridionale, dal 1990. Posso dire che la
diocesi negli ultimi 12 anni si è ben
sviluppata. Attualmente, serve una
popolazione di 3.800.000 abitanti, è
lunga quanto l’Italia e i suoi 30 preti devono prendersi cura di 350mila
anime ciascuno. La cattedrale è una
capponaia del diametro di 20 metri
col tetto di zinco, così non possono
bruciarlo.
Come diocesi siamo impegnati nell’attività pastorale, nell’educazione,
nella sanità e nell’aiuto umanitario.
Tra tutte le istituzioni attive nel Sudan meridionale, le diocesi cattoliche hanno la fama di essere le più attive. Hanno assistito centinaia di
migliaia di persone per dare loro cibo, medicine e speranza.
La lunga guerra ha messo a dura prova la chiesa cattolica presente in quelle regioni. Tra i due milioni di vittime, si contano numerosi cristiani. L’islam è forte ed è fatto di crocifissioni, schiavitù, conversioni forzate, inganni. Purtroppo, anche dai guerriglieri cristiani, che
hanno preso le armi contro i musulmani di Khartoum, abbiamo dovuto patire guai.
Anche per me, si sta avvicinando il momento del martirio. Spero che
il Signore ci dia la grazia di affrontare questo spargimento di sangue.
C’è bisogno di purificazione. Molti cristiani saranno uccisi per la loro
fede. Ma dal sangue dei martiri nascerà una nuova cristianità.
2006 SETTEMBRE
ROMAGNA
48020 S. PIETRO in VINCOLI RA - Via Angaia, 7
Tel. 0544 551009 - Fax 0544 551811
E-mail: [email protected] - C/c. postale 13591482
Giugno, incontro dopo incontro
Dall'agenda e dall'album fotografico
P
iù che il cronista, questo
mese vorrei provare a fare
un po’ di “filosofia della cronaca”. Credo che mai come in giugno la casa saveriana di S. Pietro in Vincoli, abbia ospitato così
tante realtà: diocesi, parrocchie,
associazioni, gruppi, scuole.
Non conosciamo i motivi della
loro scelta, ma ci fa piacere che
siano venuti in tanti e che non si
siano pentiti, nonostante i nostri
limiti.
Maggio si è chiuso con il con-
p. AGOSTINO CLEMENTINI, sx
vegno dei superiori degli istituti
missionari maschili e femminili italiani. In giugno, è stato un
susseguirsi di gruppi di vario tipo: dodici, per l’esattezza. Alcuni sono sfuggiti all’attenzione
del fotografo.
■
Sabato 3, sotto la guida
di don Adriano Ranieri, come ogni anno, sono
arrivati gli anziani della
Caritas diocesana di Forlì
per una Messa celebrata
in giardino e in chiesa.
È stato un fraterno
raduno, con momenti
di allegria.
Giovedì 8, con la consueta e straordinaria fraternità, abbiamo accolto l’arcivescovo mons. Giuseppe Verucchi e buona
parte del clero diocesano per la giornata di spiritualità sacerdotale, a conclusione di questo intenso anno pastorale.
Sabato 17, in un simile incontro, il vescovo ha incontrato la
“chiesa ministrante” di Ravenna.
Sabato 10
e domenica 11
c’è stato il 25°
incontro dell’ordine
laicale carmelitano
dell’Emilia Romagna,
sotto la guida
della signora Anna,
di p. Augusto e
suor Maricla.
Ospitalità saveriana
Mercoledì 14 c’è stato un appuntamento di intensa fraternità tra il nuovo vescovo di Forlì, mons. Pizzi, e alcuni sacerdoti
modenesi, nostalgici del loro don Lino.
Dopo una settimana, anche il nostro parroco, don Luigi Burchi, ha festeggiato qui il suo onomastico con alcuni compagni
di seminario.
RIFLESSIONE AD ALTA VOCE
p. AGOSTINO, sx
Una categoria di ospiti che si distingue per vivacità e festosità è quella dei grest.
Ne abbiamo avuti tre in diversi giorni: S. Vittore (sopra) e S. Rocco di Ravenna (sotto), guidati
da Barbara e suor Giuliana, e quello della Malva di Cervia. Barbara ci ha scritto che i suoi ragazzi non dimenticheranno mai i prati, le piante, le fontanine, la cordialità e le foto del missionario
che li ha invitati a tornare, per vedere le diapositive sull’Indonesia.
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Questa casa ci è stata offerta per aprirvi una “fabbrica di missionari” e per decenni ha sfornato centinaia di missionari. Oggi, i disegni
della Provvidenza sono diversi, ma la sua vocazione di essere a servizio della chiesa per costruire il regno di Dio non è cambiata. Quando
venite a trovarci, è una consolazione per noi missionari e per voi che
ci aiutate in tante maniere.
Siamo a servizio della chiesa locale, ma non dimentichiamo che la
nostra missione è per la chiesa universale. Per questo, potete immaginarlo, i nostri occhi anche qui in Italia sono fissi su questo gruppo di
studenti di teologia.
Grazie! E quanto leggete in questa pagina sia di incoraggiamento
anche per voi.
Dal 22 al 24 abbiamo avuto ospite tutta la comunità della teologia di Parma: i 5 formatori con
i 21 studenti, provenienti da 14 diverse nazioni. Li consideriamo come i nostri nipoti, perché
siamo proprio della stessa famiglia. Per questo, il loro arrivo è sempre molto atteso
2006 SETTEMBRE
SALERNO
84135 SALERNO SA - Via Fra G. Acquaviva, 4
Tel. 089 792051 - Fax 089 796284
E-mail: [email protected] - C/c. postale 00205849
La speranza non va in vacanza
A Bolano, come un'unica grande tribù
questo anno, dal 27
A nche
giugno al 2 luglio a Bola-
no, in provincia di Salerno, si è
svolto il campo missionario di
formazione e di lavoro. Il titolo
era davvero bello: “la speranza
non va mai in vacanza”.
La residenza per gli anziani
Durante questa settimana abbiamo riflettuto su molte que-
Gaetano Magro tappa la bocca
a un’amica del campo!
stioni importanti, tra cui l’affettività, la fragilità, la cittadinanza,
la missionarietà. Tra le novità del
campo, la più caratteristica è stata la visita alla residenza socio
assistenziale per anziani di Calvanico. Nella residenza, abbiamo incontrato molte persone con
problemi fisici, ma anche con
gravi carenze d’affetto. Alcuni
sono stati “scaricati” lì da figli
e parenti, perché ritenuti
fastidiosi, non più utili,
gravosi anche dal punto
di vista economico.
Uno di loro, “il Barone”, ci ha raccontato che
è ospite della residenza
socio assistenziale da
quando sua moglie è
morta e i suoi otto figli
hanno venduto la sua
proprietà. Tuttora, “il Barone” non accetta di stare
in quel luogo; non accetta di essere stato abbandonato dalle persone per
le quali ha fatto sacrifici
per sessant’anni della sua
GAETANO MAGRO
vita. Non accetta il fatto di voler
ancora bene alle persone che lo
hanno rinchiuso lì dentro.
Quest’incontro ci ha fatto
comprendere la fragilità che si
prova a essere soli, abbandonati dalle persone che amiamo,
colpevoli di essere “vecchi” e di
pretendere un po’ di riposo, dopo
il lavoro di una vita intera.
Una partita speciale
Un altro evento speciale è
stata la partita dei preti contro i
giovani. Molti sacerdoti si sono
cimentati con il pallone, in un
contesto dove l’importante non
era vincere, ma dare insieme “un
calcio alla violenza”. La partita è
finita 9 a 8 per i giovani, ma un
po’ tutti hanno vinto.
Quella sera abbiamo raccolto
130 euro per contribuire alla costruzione di alcune aule in una
scuola della Colombia. Ma abbiamo anche testimoniato l’amore missionario e la politica della
non violenza, che ci caratterizza
e che deve rappresentare lo stile
Impegno e divertimento
Gli animatori del campo
di Bolano. Da sinistra:
p. Alfonso Apicella,
in partenza per il Messico,
don Alfonso Capuano,
parroco di Bolano,
p. Alex Brai, p. Giuà Gargano,
in versione... intercettazione.
In cerchio, i ragazzi
che hanno partecipato
al campo di Bolano
“La speranza non va in
vacanza”: parlano, pensano,
ridono, discutono
e si confrontano.
Quest'anno i ragazzi
hanno fatto visita alla
residenza socio assistenziale per
anziani di Calvanico.
è stata un'esperienza positiva
per tutti: i ragazzi si sono
confrontati con una realtà
nuova e gli ospiti hanno
trascorso una giornata diversa
in compagnia di tanti giovani.
8
Lo striscione con il tema e il logo del campo di Bolano,
che si è svolto dal 27 giugno al 2 luglio
di vita di ogni giovane.
Il nostro inno di unità
L’inno del nostro campo formativo era la canzone “Unidos
- uniti”. Un inno veramente azzeccato, dato che l’unità è stata
la nostra guida forte. L’unità
è stato il valore senza il quale
saremmo crollati; ci ha sostenuto e ci ha fatto proseguire. C’è
stata unione nell’organizzazione
e cooperazione tra le varie parrocchie del luogo, nell’affetto e
nell’aiuto, nella missione da portare avanti. Le parole dell’inno
dicevano:
“Uniti possiamo camminare
nella fede e raggiungere così la
felicità. Uniti possiamo trionfare
sul male, abbattere il muro del
pregiudizio che ci porta ad avere paura del diverso, a isolare il
fragile, a ignorare l’oppresso, a
non lottare al fianco del giusto.
Uniti possiamo avanzare nella
vita che ci riserva ogni giorno
una sorpresa o un ostacolo. Uniti
possiamo amare come Dio ci ha
insegnato, gratuitamente, senza
alcuna forma di ricompensa; solo il sorriso della persona a cui
stai donando la gioia”.
Ho imparato che...
Grazie a questo campo ho capito tante cose. Ho capito che
prima di cercare Dio nelle persone, è proprio lui che mi trova
attraverso di loro; che aiutare
vuol dire sporcarsi le mani e non
restare fermi. Ho capito che in
realtà poveri non sono i popoli
dove la miseria la fa da padrona, ma siamo noi con la nostra
ipocrisia e i nostri egoismi. Ho
capito che il vero valore della
vita è la semplicità e non le apparenze.
Alla fine del campo di lavoro
eravamo diventati una grande famiglia, tutti amici di tutti, consapevoli e soddisfatti di avere prestato servizio ai “ricchi poveri“
del mondo. Eravamo tutti là, come una sola grande tribù: la tribù
del campo di lavoro e di formazione missionaria di Bolano. ■
Riparto dalle origini
p. ALFONSO APICELLA, sx
Cari amici, finisce una stagione
della mia vita e ne inizia un’altra.
Dopo sette anni di animazione missionaria e vocazionale in Sardegna
e dopo un anno nella comunità di
Genova, sono pronto a continuare la mia esperienza missionaria in
Messico. Di questo Paese conosco
la grande fede e la devozione del
suo popolo. Quindi, la mia missione sarà prima di tutto quella di rimanere nel Signore, per poi lasciarmi indicare in quale campo di attività potrò essere utile.
Mentre leggete queste righe,
forse sarò già partito. Perciò desidero salutare tutti voi, che in questi anni mi avete accompagnato con la vostra preghiera, il vostro incoraggiamento e il vostro aiuto. Nel salutare tutti gli amici, soprattutto
quelli che non ho potuto incontrare e rivedere di persona, ringrazio
Dio anche per il breve periodo trascorso nella comunità saveriana di
Salerno. Proprio qui, tra alti e bassi, gioie e difficoltà, è iniziato il mio
cammino vocazionale missionario. Qui, è nata la mia avventura e sono felice di iniziare un altro periodo della mia missione rivivendo la
gioia e l’entusiasmo degli inizi.
Continuate ad amare e a voler bene ai saveriani. Disturbateli, invitateli, hanno tante ricchezze da condividere. Hanno l’amore per il Signore e per il mondo: vi sembra poco? Hanno il desiderio di condividere questo amore con più persone possibile. Per me chiedo il ricordo
nelle vostre preghiere e l’offerta dei vostri sacrifici e sofferenze, qualora arrivino. Vivendoli in comunione con Cristo in croce, offriteli per
la santificazione dei missionari. Un abbraccio fraterno a tutti.
2006 SETTEMBRE
TARANTO
74020 LAMA TA - Via Tre Fontane, 15
Tel.A 099 7773186 - Fax 099 7772558
E-mail: [email protected] - C/c. postale 10423747
“Mi entusiasma l'avventura”
Dal lungomare di Bari al centro dell'Africa
I
nizio la mia storia con il
presentarmi. Sono Rosetta
Mancini, missionaria saveriana.
La mia città natale è Bari. Sono
nata in una casa che si affacciava
sul lungomare. Sarà per questo
che il mare ha su di me un’attrattiva particolare e i viaggi e
l’avventura mi hanno sempre
entusiasmato.
piaciuto leggere. I libri di “avventure” missionarie mi affascinavano e così mi nutrivo di
questi. C’era in casa un quadro
di una suora che battezzava un
bambino africano. Un giorno
- avevo circa 13 anni - mi sono
fermata a guardarlo e mi sono
detta: “Piacerebbe anche a me
fare la stessa cosa!”.
Origine della vocazione
Ho ereditato da mia madre la
tenacia e il coraggio di andare
avanti, nonostante le prove e le
inevitabili difficoltà della vita.
Mia madre, infatti, rimase vedova con 7 figli, di cui la più piccola di 3 anni e il maggiore di
18 anni. Abbiamo respirato l’atmosfera religiosa e la fede, sia in
famiglia - anche uno zio è sacerdote - sia in parrocchia, con gli
esempi che avevamo dinanzi. La
conclusione è stata la chiamata
al sacerdozio di mio fratello, alla
vita contemplativa di mia sorella
e per me la missione.
Fin da piccola mi è sempre
Missionaria di Maria
Ma ciò che mi ha fatto riflettere di più è stata la lettura della
rivista Gentes. Mi è capitato in
mano un articolo dal titolo, “E
tu?”. Parlava della chiamata alla
vita missionaria. Avevo circa 15
anni. Mi sono detta: “Questa è la
vita che fa per me!”. Volevo essere missionaria, ma non suora,
disposta ad andare in missione
anche come laica.
Nel febbraio del 1953 è arrivato a mio fratello il primo numero
del giornalino delle missionarie
di Maria. Missionarie senza un
abito religioso: era proprio quello che desideravo! Alla fine dello
ROSETTA MANCINI, mM
stesso anno, arrivavo a Parma accompagnata da mia mamma che,
in un primo momento, non mi
aveva dato il consenso, perché
temeva i rischi della missione.
Dopo il periodo di formazione, ho trascorso due anni nella
clinica saveriana di Posillipo e
lì mi hanno comunicato la notizia di essere stata scelta a far
parte del primo gruppo di sorelle
che partivano per l’Africa, per il
Congo, che nel 1960 era ancora
colonia belga.
Con madre Bottego
in Congo
Eravamo quattro sorelle. Dopo
lo stage in Belgio, abbiamo avuto la gioia di essere accompagnate in missione proprio dalla nostra fondatrice, madre Celestina
Bottego. Subito ho cominciato a
vivere l’avventura missionaria.
Dopo soli due giorni dal nostro
arrivo a Uvira, nel Kivu, dove
lavoravano i missionari saveriani, abbiamo dovuto prendere le
consegne delle attività che una
Dal cuore dell'Africa al Brasile
Ho imparato ad amare i brasiliani
T
ornata in Italia dall’Africa, dopo qualche anno trascorso nella nostra comunità a
Taranto, mi hanno chiesto se ero
disposta a partire per il Brasile
del sud. Non era più possibile
tornare in Burundi, poiché il
governo aveva espulso i missionari. Anche noi avevamo dovuto
lasciare la missione. Ho accettato la proposta del Brasile e sono
partita, disposta a imparare una
nuova lingua e a conoscere una
nuova cultura.
Nell’estrema periferia
Il Brasile è proprio un mosaico di popoli. Vi ho trovato anche l’Africa, poiché una buona
percentuale di brasiliani sono
8
discendenti di africani. Ho imparato ad amare anche il Brasile
e i simpatici brasiliani. In questi
19 anni vissuti nella “Terra di
Santa Cruz”, ho svolto l’attività di animazione missionaria e
vocazionale nelle parrocchie e
ho lavorato nella pastorale con
i catechisti e i vari movimenti
ecclesiali.
Sono più di 10 anni che lavoro
a Tiradentes, nell’estrema periferia di São Paulo, che conta circa
300.000 abitanti. Si chiama Cidade Tiradentes, ma ha pochissime strutture e infrastrutture
per essere considerata una vera
“città”. È caratterizzata da tanti
condomini con pochissimo spazio tra l’uno e l’altro ed è con-
La saveriana Rosetta da 10 anni lavora tra la povera gente
di “Cidade Tiradentes”, periferia di San Paolo, in Brasile
ROSETTA MANCINI, mM
siderata il più grande complesso
residenziale dell’America latina.
Dal centro della città siamo distanti 40 chilometri.
La maggior parte della gente
viene dal nord-est del Brasile.
È arrivata con la speranza di
trovare un lavoro più redditizio,
ma pochi riescono a realizzare
questo sogno. In questa realtà, la
povertà diventa anche miseria. A
ciò si aggiungono molta violenza e droga.
Mi dedico alle famiglie
Io svolgo la mia attività come
responsabile della pastorale di
qualche comunità. Mi occupo soprattutto della formazione cristiana e biblica delle famiglie, perché
possano inserirsi più attivamente
nella vita della parrocchia. Ho dato un’attenzione particolare alle
famiglie più colpite dai problemi
di alcol e droga, con una terapia
di auto-aiuto, perché siano capaci
di cambiare se stessi, in modo che
possano aiutare i propri familiari
con più efficacia.
Anche in questa zona emarginata del Brasile mi trovo bene.
La gente è molto accogliente,
pronta a collaborare e a sdrammatizzare le situazioni, ad accogliere nella propria casa chi ha
più bisogno di loro.
■
La saveriana barese Rosetta Mancini con i giovani di un villaggio
sulle colline del Burundi
comunità di suore belghe stavano svolgendo a Kiliba: un foyer,
un ospedale e la maternità.
In Belgio avevo omologato il
mio diploma di insegnante, ma a
Kiliba mi è stato proposto di occuparmi dei foyer per insegnare
a donne e giovani taglio, cucito,
ricamo e altre cose varie, tra cui
il programma di alfabetizzazione. Con le donne che sapevano
il francese - ma erano ben poche
- parlavamo in francese; con le
altre ci servivamo di traduttrici,
non avendo avuto tempo di imparare la lingua locale, il kiswahili.
Invocando tutti i santi
Non essendo sarta, la mia difficoltà era grande. Quando arrivava l’ora del foyer, invocavo
tutti i santi del paradiso perché
mi venissero in aiuto. In modo
strano, ma l’aiuto mi è arrivato:
dopo un mese che eravamo a
Kiliba, a causa dei gravi disordini che stavano succedendo nel
Paese, abbiamo dovuto lasciare
la missione per rifugiarci nel vicino Burundi, a Bujumbura.
Qui, con la madre Bottego
siamo rimaste ospiti delle suore
bianche per tre mesi. Intanto, visto che non si poteva ritornare in
Congo, ci siamo date da fare per
cercare una missione che avesse
bisogno della nostra attività.
Abbiamo trovato accoglienza
a Bururi, missione a circa 2.000
metri di altitudine, dove lavoravano i padri bianchi. Così la madre Bottego, dopo tanta incertezza e sofferenza, ha potuto lasciarci per rientrare in Italia. ■
SOFFERENZE E GIOIE MISSIONARIE
ROSETTA, mM
Sarebbe troppo lungo raccontare tutte le vicende dei
miei 16 anni trascorsi in Burundi. Anche la guerra del
1972 mi ha molto marcata.
Fino al 1981 sono stata nella
missione di Murago, dove ho
svolto la mia attività con i giovani e nel catecumenato, visitando le varie comunità sparse
sulle colline, per incontrare le
famiglie dei catecumeni.
In questa bellissima zona
dell’Africa ho sofferto, ma ho
avuto anche molto da gioire. È
stato gratificante accompagnare adolescenti e giovani, facendo assieme un cammino di fede e di maturazione cristiana.
Suor Rosetta con una mamma nel centro
di assistenza femminile, in Burundi
Mi sono sentita bene con i catechisti e con la gente semplice, tra cui scoprivo con stupore tanta saggezza, fede e fedeltà al messaggio evangelico. Ho ancora davanti a me gli esempi di coloro che
hanno avuto la forza di perdonare chi aveva ucciso i propri familiari;
altri hanno messo a rischio la propria vita per salvare quelli che, in quel
momento, erano considerati nemici.
Ringrazio il Signore continuamente, perché mi ha concesso di dire il
mio primo “sì”, a cui hanno fatto seguito tanti altri “sì”. Lo ringrazio
per tutti i doni che mi ha elargito, perché potessi compiere la missione che mi ha affidato. A lui sia gloria per quello che ho potuto realizzare e che mi concederà ancora di realizzare.
Il 5 luglio sorella Rosetta è ripartita per il Brasile, sua terra di adozione. Chiede che l’accompagniamo con la nostra preghiera. Certamente, lo faremo volentieri.
2006 SETTEMBRE
22038 TAVERNERIO CO - Via Urago, 15
Tel. 031 426007 - Fax 031 360304
E-mail: [email protected]
C/c. postale 267229; Banca Raiffeisen, Chiasso C/c.p. 69-452-6
TAVERNERIO
“I missionari sono ancora vivi”
Padre Rizzi, una lettera da Kitutu
P
adre Giuseppe Rizzi è tornato in Italia e sta recuperando un po’ di salute nella casa
di suo fratello a Maslianico. Con
una lettera, ci racconta che ha salutato definitivamente la sua gente della missione di Kitutu, nella
repubblica democratica del Congo. Al suo ritorno in Africa, infatti, sarà destinato a un’altra
missione. Il suo discorso d’addio è cucito di ricordi del passato, soprattutto della guerra che è
stata molto triste e drammatica,
per lui e per tutta la comunità.
Tutto è da ricostruire
Padre Giuseppe ha salutato la
sua gente, di cui ammira la capacità di perdonare coloro che li hanno fatti soffrire e hanno perfino
ucciso i loro cari. Ha sperimentato davvero che “solo i poveri hanno aiutato i più poveri di loro”.
Il 6 febbraio, gli ultimi banditi hanno abbandonato Kitutu, sostituiti dall’esercito regolare. La
guerra ora sembra finita. Speriamo che sia così. Ma tutto è da ricostruire e quasi da dimenticare,
anche se ci sono stati quasi quattro milioni di persone massacrate durante la lunga guerra.
Alla speranza del popolo si con-
trappone il freno da parte delle autorità. Padre Giuseppe invita i nostri affezionati lettori a non dimenticare i congolesi, con la preghiera
e l’aiuto, perché quel “primo vagito di pace, dopo nove anni di guerra, diventi un grido di vita e una
realtà di pace, per sempre”.
La lettera di p. Rizzi:
“Diamo spazio a Dio”
“Cari amici della missione di
Kitutu, è difficile descrivere gli
avvenimenti degli anni trascorsi
con voi, quasi sempre in guerra.
Che cosa c’è di essenziale, e anche di bello, da ricordare durante il lungo periodo di distruzioni e
di morte vissuto insieme? Ho sofferto come voi e con voi. Come la
vostra casa, anche la nostra è stata saccheggiata. Come voi, siamo
stati percossi, minacciati e insultati. Tra i vostri morti, vittime di
inutili crudeltà, c’è pure il nostro
missionario p. Natalino Tomasi.
La condivisione di vita, in quei
momenti tristi, ha edificato un
vincolo di solidarietà, di amicizia
e di fratellanza che mai si scioglierà nel tempo. Ci hanno permesso di scoprire dove stanno i
veri valori, chi è veramente colui che non c’imbroglia e rimane
p. FRANCO BERTAZZA, sx
fedele con il suo aiuto: il Cristo.
Con voi, abbiamo sperimentato la
sua presenza anche quando si era
perduta ogni speranza di soluzioni pacifiche: voi fuggendo nella
foresta; noi aspettando nella missione gli assalti dei barbari.
Al riparo, nella brush, ascoltavate la campana chiamare alla preghiera mattutina e alla celebrazione eucaristica. Ringraziavate il Signore perché la campana
annunciava “che i nostri missionari sono ancora vivi e sono ancora con noi”, infondendo nei cuori
speranza e fiducia. Sì, Cristo era
ancora con noi e non eravamo soli. Egli merita che diamo più spazio a lui nella nostra vita”.
■
p. Giuseppe Rizzi, sx
La scuola costruita a Kitutu da p. Rizzi di Maslianico, con
l’aiuto del centro missionario di Como, a cui va il nostro grazie e quello dei tanti ragazzi della scuola.
Un’aula della scuola di Kitutu. Questi ragazzi sono la speranza e il futuro della chiesa congolese; nella sofferenza, la chiesa
- corpo mistico di Cristo - continua a crescere nel mondo.
Danzare con la natura
Cantico delle creature a Tavernerio
La sig.ra Joyce, direttrice di
un gruppo di danza religiosa, da
alcuni anni è ospite dei saveriani di Tavernerio con la sua équipe. Ha scritto questo articolo per
spiegare anche ai nostri lettori,
come mai una casa di missionari
è aperta anche alla danza. Sono
tanti i modi e le forme d’arte che
ciascuno segue per raggiungere
l’unico fine: conoscere e amare
Cristo, di cui Francesco d’Assisi
era follemente innamorato.
L
e bellezze di Tavernerio e
la splendida natura che lo
circonda hanno permesso ai partecipanti all’incontro di vivere
8
davvero il Cantico delle Creature con tutto il loro essere. In
questo cantico sono presenti tanti simboli che utilizziamo anche
nelle danze sacre.
Un percorso interiore
È una gioia per me vedere delle persone interpretare il Cantico:
la danza del sole, la danza della luna, la danza per san Francesco d’Assisi, la preghiera al sole. Danzando, pregano con tutto il corpo, con tutto il loro essere. Per ogni elemento del Cantico, c’è una danza, una gestualità.
È un incontro con san Francesco
che non si svolge sul piano verba-
Un momento di danza, interpretando e meditando il Cantico delle Creature. Non ci
sono parole, ma solo una discreta e mistica gestualità, ricca di significati spirituali
sig. ra JOYCE
le, ma che permette di avvicinarsi a lui in modo nuovo e con profondità di sentimenti. Per me segna l’inizio di un nuovo percorso
interiore che dura nel tempo.
Sono d’accordo con quanto afferma J. Elker, autore di “Francesco, un santo, un sentiero, una
storia”: “Francesco incarna la
strada spirituale che può essere percorsa anche sulla terra: in
ogni luogo e in ogni tempo vi sono valori universali e senza tempo che, se ritrovati, raggiungono la scintilla divina che è in noi.
Francesco d’Assisi non è quindi
una leggenda, ma un uomo vero e vivo, il segno che Dio ci ha
mandato per insegnarci a camminare e superare sia la vita sia sorella morte, che Francesco attende con serenità e in silenzio”.
Francesco rappresenta l’unione fra il sole e la luna, fra l’oriente e l’occidente che rivelerà, sia a
lui che a tutti quelli che lo hanno
seguito, la verità e la luce. Non
posso fare altro che invitarvi a
vivere questa esperienza, incontrando san Francesco attraverso
la danza e la gestualità.
■
Un gruppo di sorelle, la maggior parte saveriane, al termine degli esercizi spirituali
condotti da p. Luigi Zucchinelli. La nostra comunità sta diventando
un luogo di preghiera, di riflessione e di... conversione
i sAveriani delle mentawai
I quattro saveriani che hanno assicurato continuità di lavoro nella missione delle Mentawai, in Indonesia. Da sinistra: p.
Angelo Calvi, p. Ottorino Monaci con la
lunga barba bianca, p. Franco Bertazza e
p. Stefano Coronese.
Padre Monaci, di origine novarese, per
ricomporre il gruppo di saveriani missionari nelle Mentawai in anni diversi, ci ha
fatto una visita a Tavernerio, tanto gradita e piena di ricordi. Le Mentawai sono la
terra del nostro cuore, angolo di paradiso
sperduto su quattro smeraldi di mare.
Padre Monaci batte il record della barba
saveriana attualmente più lunga
2006 SETTEMBRE
VICENZA
36100 VICENZA VI - Viale Trento, 119
Tel. 0444 288399 - Fax 0444 288376
E-mail: [email protected] - C/c. postale 13616362
La gioia di donare il vangelo
Pellegrinaggio sui luoghi del Saverio
I
saveriani di Vicenza hanno organizzato una “marcia” nei luoghi dov’è passato san
Francesco Saverio, in occasione
delle manifestazioni per il quinto
centenario della sua nascita.
Il Saverio a Vicenza
La manifestazione si è svolta sabato 24 giugno, partendo
dalla sede dei missionari saveriani in viale Trento, alle ore
18,30. Il superiore della comunità p. Mario Giavarini, ha dato
il “benvenuto” a tutti i presenti,
sottolineando l’importanza della
tappa di Vicenza nella vita di san
Francesco Saverio. Qui ha avuto
inizio la passione del santo per
le anime, per i poveri, per i malati. A Vicenza il Saverio ha celebrato la sua prima Messa. Qui
i primi seguaci di sant’Ignazio si
sono dati il nome di “compagni
di Gesù”.
La marcia è stata abbinata
all’iniziativa di “giovani per la
missione”, già collaudata con
successo. Settanta giovani sono
partiti quest’estate per una breve
esperienza missionaria in Africa, in Oriente e nelle Americhe.
Per la chiesa di Vicenza, che ha
donato tanto alle missioni, significa un invito a rin­forzarsi nella
fede.
Un dono particolare
Settanta giovani in missione
del pellegrinaggio,
A llanellafinechiesa
di santa Ber-
tilla, il vescovo di Vicenza ha dato il mandato missionario a 69
giovani che in estate sono partiti
per le varie missioni. Ecco il racconto di qualcuno di loro.
Suor Anna: “Come semi...”
Il momento più emozionante è stato quando padre Luciano ha chiesto che si presentassero, davanti all’assemblea, i giovani che partivano. Uno a uno si
sono schierati davanti all’altare.
Erano proprio tanti, al punto che
qualcuno ha dovuto mettersi in
“doppia fila”. Che gioia per me
poter dire che li conoscevo tutti
per nome!
Quando poi abbiamo invocato su quella schiera di giovani
l’intercessione dei santi, mi sono immaginata che anche il Padre eterno li stesse guardando
compiaciuto, come li guardavo
io. L’unica differenza è che Dio,
più di me, conosce ciascuno non
solo per nome, ma anche nel più
profondo del loro cuore. Mi sono detta: questi giovani, partendo per le varie missioni, sono come i semi in mano al seminatore,
gettati con abbondanza sul terreno buono, pronti a portare frutto, quanto e come Dio vorrà. Sta
a noi avere occhi per vederne i
germogli...
Luca: “È la strada giusta”
Emozione, orgoglio, paura...,
ma anche la consapevolezza di
una chiamata. Queste sono alcune delle mille sensazioni che ho
provato quel sabato nella chiesa di santa Bertilla. La croce che
da quel giorno porto al collo, è
il sigillo di questa esperienza
missionaria, che diventa il centro dei miei pensieri. È stato il
culmine di un cammino entusiasmante che ha cambiato la mia
vita, il mio modo di vedere le
cose e di coltivare i valori del regno di Dio.
Le parole degli animatori du-
p. GIOVANNI ZALTRON, sx
Una lunga colonna
Padre Renato Trevisan, saveriano di Caldogno e missionario
tra gli indio kayapò dell’Amazzonia, ha riassunto la vita del
grande apostolo, partendo dalla
potente molla che lo ha spinto
a partire, cioè il tormento creato
nella sua anima da sant’Ignazio
con le parole di Cristo: “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l’anima?”.
Da qui nasce l’amore di Dio,
l’amore per le anime che ha portato il Saverio ad affrontare i suoi
viaggi incredibili ed estenuanti:
900 chilometri per 13 volte; 30
mila perso­ne da lui battezzate,
rante tutti gli incontri e la riflessione del vescovo durante
la Messa mi hanno fatto capire
che avevo imboccato finalmente
la strada giusta. Non so che cosa
farò quando tornerò dalla Sierra
Leone. Qualsiasi cosa deciderò,
sono sicuro che non rispecchierà solo la mia volontà, ma anche
il progetto e il sogno che Dio ha
per la mia vita. Per questo motivo, la croce che porto è davvero
importante per me.
Andrea e Roberto:
“La fatica e l’emozione”
Quel sabato, forse per la prima volta in modo così palpabile da quando è iniziato il corso
“insieme per la missione”, ci siamo sentiti in comunione con la
chiesa vicentina e con i missionari che lavorano nel mondo. La
consegna del mandato missionario da parte del vescovo a noi
che partiamo per un’esperienza
in missione ha toccato il nostro
cuore, riempiendolo di emozioni. Se prima, il caldo e la stanchezza facevano da padroni, dopo la cerimonia eravamo tutti
contenti, tanto che le fatiche della giornata sono passate subito in
secondo piano.
■
I giovani per la missione, con i loro genitori
Alcuni pellegrini durante la marcia nei luoghi del Saverio; con la macchina
fotografica, don Luigi Simioni, parroco della chiesa di santa Bertilla
con la visione dell’ultimo viaggio verso la Cina. Sapeva che
non sareb­be più tornato indietro.
La nostra marcia è iniziata con
il canto a voci spiegate: “Esci
dalla tua terra e va...”. La colonna
si è allungata in viale Trento, si è
innestata in via dei Cappuccini,
fino alla località dove avevano
soggiornato sant’Ignazio e san
Francesco Saverio. Ora restano
solo tracce di mura diroccate.
Il convento e l’ospedale
Il gesuita p. Fantola, durante
la sosta, è intervenuto con accenni sto­rici sul luogo, partendo da una lettera del Saverio.
Nell’ottobre del 1537 gli undici
gesuiti si riunirono a Vicenza,
nel convento di S. Pietro in Rivarolo. Era un convento privo
di porte e di finestre. Dovevano
dormire sui pagliericci. Poi il
Saverio, con il sopraggiungere
dell’inverno, si ammalò e venne
ricoverato nell’ospedale degli
incurabili (ora S. Bortolo), dove
si era recato molte volte per assistere i bisognosi.
La sfilata è proseguita in via
Legione Antonini, fino alla
chiesa di santa Bertilla, dove il
vescovo mons. Cesare Nosiglia
ha celebrato la Messa. La gente
presente era davvero tanta.
L’invito del vescovo
ai giovani
“A volte - ha detto il vescovo
nella sua omelia - viene da domandarsi se Cri­sto dorme, come
nella barca sul lago di Galilea,
o come nei campi di sterminio.
Occorro­no testimoni per richiamare a maggiore speranza. Ecco
allora i giovani, che sono disponibili e credono in Dio, a cui nella è impossibile”. E ai giovani in
partenza per la missione arriva
l’invito a non vivere più per se
stessi, ma per Cristo. “Partite
con il mandato, con il sigillo
della chiesa. Gustate la gioia di
donare il vangelo, donando voi
stessi. Accendete il fuoco irresistibile dell’amore. Al ritorno, ci
farete gustare la vostra esperienza. Portate, assieme alla vo­stra
fatica, il cuore del vostro vescovo e riportateci la vostra gioia,
quella che anch’io ho provato al
rientro da una missione”.
Dopo l’invocazione ai santi
martiri d’oggi, il vescovo ha benedetto i partenti e i croci­fissi,
che aveva consegnato a ciascuno di loro.
■
UN BEL VASSOIO COME DONO
p. LUCIANO BICEGO, sx
La consegna del Crocifisso ai giovani partenti è stata una cerimonia di grande significato. Il lavoro di collaborazione tra gli otto istituti missionari, che lavorano nella diocesi e che hanno dato vita a questa esperienza missionaria giovanile, è forse il più bel regalo offerto
alla diocesi di Vicenza. Quella sera mi veniva in mente quest’immagine: un grande vassoio con una composizione variegata e armoniosa: dodici religiose e religiosi che si aiutano tra loro, dodici laici sposati e singoli, un sacerdote fidei donum e 90 giovani. Questo “oggetto d’arte” un po’ particolare è stato donato alla chiesa di Vicenza, direttamente nelle mani del vescovo. Un dono, infatti, non deve essere
mai tenuto per sé.
Il vescovo era contento di questo segno di chiesa. Gli stessi giovani
erano soddisfatti per aver trovato nel corso della loro vita una famiglia composta di religiosi e religiose che li hanno accolti e ascoltati­.
E anche i religiosi si sentivano realizzati nella chiesa locale. È stata la
dimostrazione che erano attivi e potevano proclamare il carisma del
loro istituto.
GIOVANI IN MISSIONE:
23 SETTEMBRE
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Sabato 23 settembre, inizia il nuovo corso di preparazione per i giovani che desiderano prendere parte alla breve esperienza in missione.
L’appuntamento è per le ore 15, dai saveriani in viale Trento:
tel. 0444 288399
2006 SETTEMBRE
ZELARINO
30174 ZELARINO VE - Via Visinoni, 16
Tel. 041 907261 - Fax 041 5460410
E-mail: [email protected] - C/c. postale 228304
Un successo che si rinnova
La giornata saveriana a Zelarino
I
l cielo sereno e un bel
sole hanno contribuito al
grande successo della “giornata
saveriana” di Zelarino, seguita
anche quest’anno dalla bella festa all’aperto.
In una parrocchia del Veneto,
un giovane che stava per ricevere la cresima, si chiedeva: “Chi
mi aiuterà a essere fedele ai miei
impegni se non vedo mai i miei
genitori andare a Messa? Più
che ascoltare prediche, noi desideriamo vedere testimonianze di
vita”. Una “testimonianza” ci è
venuta dai ragazzi della cresima
che, invece delle bomboniere,
hanno acquistato i biglietti della
lotteria per l’Africa. Hanno vinto… un passo avanti nella vita.
Missionari in casa
Il giorno della sua ascensione,
Gesù ha inviato in missione gli
apostoli e ogni cristiano. Lo ha
illustrato molto bene p. Mario
Diotto in tutte le Messe celebrate in parrocchia.
p. FRANCO LIZZIT, sx
Nell’omelia, p. Mario ha raccontato la sua esperienza in Congo, sul lago Tanganika. Musica e
sport erano strumenti che entusiasmavano i ragazzi. L’obiettivo era
arrivare a una catechesi solida, a
una pratica viva dei sacramenti e
in particolare alla formazione di
catechisti e leader responsabili
nelle numerose comunità sparse
della missione. Poi, attraverso i
canti, da lui composti in missione
e suonati con la sua fisarmonica,
ha inviato all’attenta assemblea
un chiaro messaggio: cominciare
a essere missionari in casa, con
il proprio stile di vita di cristiano
praticante.
Il fascino di mucca Ercolina
Nel pomeriggio, l’incontro
è proseguito nel cortile e nei
campi dei saveriani, per lodare
il Signore nella gioia e aiutare le missioni. Dieci cartelloni,
appesi alle finestre della casa,
ricordavano l’anno del Saverio, illustrando alcuni episodi
della sua vita missionaria. Per
il pranzo, circa duecento persone hanno preso posto sotto il
grande capannone smontabile,
necessario per ampliare un po’
i nostri piccoli spazi. Il saporito
menù è stato arricchito da tanta
allegria, dalla fisarmonica e da
una tombola a sorpresa, allestita
dall’instancabile p. Mario.
Ma le vere attrazioni sono state, per grandi e piccoli, un giro
in sella al cavallo o in carrozza
e il mini-zoo con tanti animali:
caprette, pony, chiocce, pulcini e
volatili, conigli, l’asino e il bue.
C’era anche la famosa mucca
Ercolina, a passeggio tra la gente, accompagnata al guinzaglio
da Bepi, il suo allevatore, che ha
dato dimostrazione della mungitura manuale, come si faceva
una volta… Qualche bambino
ha voluto perfino assaggiare il
latte appena munto.
I premi della lotteria
Anche gli scout di Zelarino-
Scene di una bella festa
Accompagnati dalla fisarmonica (fuori campo), i bambini di diversa età
si divertono giocando al trenino attorno alla vasca dei pesci
Trivignano hanno interessato i
ragazzi con i loro giochi, mentre gli adulti erano impegnati in
un’improvvisata pesca con ricchi
regali. Infine, durante la cena, è
arrivata l’estrazione dei premi
della lotteria “Chiama l’Africa”.
Il premio più grande, però,
va ai tanti volontari di Zelarino,
Trivignano e dintorni, che con
senso di vera amicizia hanno sacrificato tempo e denaro per la
riuscita di questa splendida giornata. Grazie per il bene che ci
volete. Il Signore vi ricompensi
con il centuplo e ancora di più.
Il ricavato della festa ha già
raggiunto le missioni di Luvungi,
Mboko e Baraka, nella diocesi di
Uvira in Congo. Servirà per la
formazione di leader e catechisti,
come indicato nelle finalità della
giornata. Il messaggio spirituale
continui a fruttificare in ognuno,
come il granellino di senapa. ■
Nota bene - Dei dieci premi,
nove sono già stati ritirati (i numeri sono stati pubblicati nel
numero di luglio/agosto). Rimane la macchina da cucire, abbinata al biglietto n° 19.962. Non
siamo riusciti a trovare il fortunato vincitore. L’interessato
contatti i saveriani di Zelarino:
tel. 041 907261
BEATI LA MAMMA E IL PAPà...
p. FRANCO LIZZIT, sx
Il battesimo della
sella: la prima cavalcata
è sempre una grande
emozione, purché
l’animale sia mansueto!
Mons. Mario Ronzini, responsabile dell’ufficio
matrimoni: camminare sui trampoli?
Può servire anche nella vita di coppia!
Nella festa del Corpus Domini, don Fabio Miotto, sacerdote diocesano, ha celebrato la sua prima Messa a Zelarino. È il terzo sacerdote di questa parrocchia negli ultimi nove anni. C’erano anche i saveriani, per ringraziare il Signore. Mario, papà di don Fabio, da vari anni è custode tutto-fare alla Villa Visinoni, ora centro pastorale della
diocesi di Venezia.
Don Fabio, 29 anni a novembre, è perito chimico. Ha seguito per
diversi anni gli scout ed è stato segretario dell’Avis di Zelarino. Nelle
preghiere della Messa ha ricordato questa sua attività, con l’augurio
di restare sempre unito a Cristo che ha doto il suo sangue per tutti.
Gioia e commozione erano visibili sui volti di nonna Laura, mamma
Anna e papà Mario quando, prima di concludere, don Fabio ha consegnato loro un mazzo di fiori e ha pronunciato questa benedizione:
Beati la mamma e il papà, che chiamano alla vita e sanno donare
la vita per i figli.
Beati il papà e la mamma, che crescono insieme ai figli e li aiutano
a diventare se stessi.
Beata la mamma, che sa educare con dolcezza e determinazione.
Beato il papà, che cammina con i figli verso orizzonti aperti all’uomo, al mondo e all’eternità.
Beati la mamma e il papà, che insegnano ai figli a essere migliori;
non i migliori.
Grazie papà e mamma, che vegliate sui figli, lasciando che seguano la propria strada.
Don Fabio consegna i fiori a
mamma Anna e papà Mario
(foto di Maurizio Romanello)
Uno dei giochi degli scout:
infila la noce,
rompila al volo e…
buon appetito!
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