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GRATTERI la giustizia è una cosa seria
La Calabria nel mondo il mondo della Calabria Editore Amici Casa della Cultura “L. Répaci” www.amicicasarepaci.it PERIODICO TRIMESTRALE - ANNO IV - N. 12 - Aprile 2011 - Costo/copia: E 2,50 Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. post70% - Roma - Aut. n. 67/2008 In caso di mancato recapito inviare al CMP Romanina per la restituzione al mittente previo pagamento resi Un magistrato ostinato nell’attaccamento alle regole GRATTERI la giustizia è una cosa seria Occorre “una riforma non strillata, espressione di scelte concepite nell’interesse di tutti”. Nicola Gratteri, da sempre impegnato nella lotta alla criminalità organizzata, analizza i tanti problemi in campo e propone le riforme che potrebbero aiutare la giustizia n Antonio Minasi “L a giustizia è una cosa seria” ripete spesso Nicola Gratteri. E questa sua affermazione dà il titolo al volumeconversazione (Mondadori) con il giornalista Antonio Nicaso. Concetto con tanti corollari di specificazione che egli ripete, instancabilmente, quando incontra le scolaresche o quando va in televisione. Gratteri, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, è nato e vive a Gerace, ormai, in simbiosi permanente con la sua scorta, e “traspare dalle sue parole” - come scrive Vittorio Zucconi nella prefazione un “brivido di solitudine”. Oggi le modalità ed i tempi di notifica di fine in- È sul fronte della lotta alla ‘ndrangheta, col coroldagine ad avvocati ed imputati, oppure le ordi- lario di tutte le sue attività illecite, che Gratteri è nanze di custodia cautelare - alle volte faldoni fortemente impegnato, ma anche disincantato ricon centinaia di pagine a consegna manuale - spetto ai tanti successi finora conseguiti. richiedono tempi e risorse enormi. Basterebbe introdurre, in alternativa, con “Anche in Calabria esiste da tempo una una modifica del codice di procedura borghesia mafiosa che si avvale di relazioni penale, la notifica con la posta elettrodiffuse negli ambienti che contano” nica certificata e l’ordinanza di custodia racchiusa in un cd. Si risolverebbe in dieci minuti, ciò che oggi richiede, talvolta L’operazione “Crimine” - trecento arresti - ha rianche mesi. velato il solido cordone ombelicale tra ‘ndrangheAltro esempio. Se oggi nel corso del processo oc- ta della provincia reggina e ramificazione al Nord. corre sostituire un componente del collegio giu- L’Expo 2015 esercita, ora, un’ulteriore attrazione, dicante, si ricomincia da capo, richia- occasione non soltanto di arricchimento, ma di “Le grandi opere hanno sempre attratto le mafie. mando tutti i testimoni. Soluzione: an- ostentazione di potere: ‘Ho avuto la forza di veniSoprattutto la Salerno – Reggio Calabria, non nullare l’obbligo, come nei processi di re a Milano e ottenere tre, quattro appalti’. della rinnovazione degli atti. Il numero dei latitanti catturati ha raggiunto livela torto definita il corpo di reato più lungo d’Italia” mafia, Poi, sostiene Gratteri, occorre far rien- li mai primi raggiunti, parametro questo, talvolta, trare i magistrati - sono circa 150 - con utilizzato come “vetrina”. Dimostra che non ci soAscoltando Gratteri, si percepisce subito che è incarichi extragiudiziari, distaccati presso i mi- no intoccabili, ma gli equilibri non cambiano. E qui un magistrato fuori dal coro, preoccupato di mi- nisteri. “Non occorre un consigliere di Cassazio- un’affermazione da brivido: “In provincia di Regsurare le parole, di affermare soltanto ciò che la ne per decidere l’acquisto di cinque scrivanie di gio Calabria per mille arrestati, c’è pronto il ricambio, dopo una settimana, con altri diecimila”. sua esperienza, ma soprattutto la sua etica di ma- truciolato”. Nello stesso tempo occorre chiudere i gistrato, gli consentono. Le riflessioni e i suggerimenti di Gratteri per ren- piccoli tribunali accorpandoli ai più vici- “Il federalismo rischia di consegnare dere la giustizia più rapida per i cittadini e per i ni. “Certo qualche parlamentare locale definitivamente il Sud alle mafie” magistrati, appaiono di una semplicità, a volte s’incatenerà davanti alla prefettura”. disarmante, al punto che viene spontaneo chie- “Basterebbe una settimana per rendersi perché alcune riforme non siano adottate dere operative queste modifiche” con il recu- “Il successo nella lotta alla mafia non si misura mentre si continua a dibattere all’infinito di “rifor- pero di almeno il 40% del tempo oggi disperso”. con il numero di latitanti arrestati, ma con il graMa il problema è sempre lo stesso: c’è la volontà do di vivibilità assicurato ai cittadini”. ma della giustizia”. politica? Prendiamo il caso dell’usura. Le misure di re“Chi denuncia i mali del Sud non dovrebbe essere Gratteri non si sottrae a un giudizio an- pressione evidentemente non sono efficaci se guardato con sospetto. La denuncia spesso è un che sulle “toghe”. “Sembra che il noautogoverno a volte preferisca gli atto d’amore. Non basta dire c’è il sole, c’è il mare” stro atteggiamenti di tipo corporativo”. IN QUESTO NUMERO Due anni fa, per fare un esempio, il Prendiamo, per esempio, il processo breve, un’il- CSM ha messo ripetutamente a concorso dei 2 QUANDO LA CASTA NON SI ARRENDE lusione che possa snellire il carico di lavoro dei posti in sedi appetibili determinando la fuga da LA RIVOLTA DI LILLIPUT magistrati. Significherebbe, dice Gratteri, “dene- quelle disagiate del Sud. “Il problema, però, è L’IRRESISTIBILE FASCINO DEL “PORCELLUM” gata giustizia alle parti offese”. E suggerisce come che la copertura non è avvenuta sulla base del 3 AI TAGLI E AL FEDERALISMO IL SUD DICE NO soluzione l’informatizzazione del processo penale. merito, ma in base alla forza e al gioco delle correnti”. 4 UN PIANO DI SVILUPPO MAI ARRIVATO IN PORTO E le tanto contestate intercettazioni? “Sono inPERSA UNA GRANDE OCCASIONE sostituibili” afferma senza esitazione Gratteri. 5 CALABRESI NEL MONDO “A Reggio Calabria costano 11 euro più Iva al LA PICCOLA ITALIA FREGATA DALLA PAURA giorno contro mediamente i tremila di un pedinamento, magari da Reggio Calabria a Roma, 6 IL PRETE DEI POVERI CHE SFIDÒ LA MAFIA col rischio, fra l’altro, che il pedinato se ne ac7 QUANDO IN CALABRIA C’ERA L’INDUSTRIA corga…” Però, perché tante violazioni del seCOSÌ SCOPRIMMO LA FERRIERA DI MONGIANA greto istruttorio? Di chi la responsabilità? La ri8 IL RISORGIMENTO E LE ARTI IN CALABRIA sposta è lapidaria: “Fino alle indagini preliminari, polizia giudiziaria o pubblico ministero”. Ba10 ASPETTANDO ANCORA GARIBALDI sterebbe, dice il magistrato, imporre l’introduzioLA CALABRIA E I FERMENTI UNITARI ne della password nominativa per ciascun file di RACCONTI DA UN SUD DA AMARE registrazione per individuare chi è venuto meno (MALGRADO TUTTO) al dovere di segretezza. l’estorto valuta che sia meglio pagare, anziché denunciare. Ma se l’usuraio, ragiona Gratteri, anziché a due anni di carcere fosse condannato a 15 (che poi si riducono a dieci netti), allora la valutazione sarebbe che è conveniente denunciare. E il pizzo? Le mafie gestiscono risorse immense derivanti soprattutto dal narcotraffico. Perché sono così affezionate al pizzo? “Per le mafie l’estorsione è tutto. Più del traffico di droga, più degli appalti, più dei soldi. È attraverso il pizzo che le mafie manifestano la loro esistenza, il loro potere. È il riconoscimento di un’autorità diversa rispetto allo Stato”. Il 41 bis, il carcere duro, è il suo modello? “Io voglio che i detenuti godano buona salute, altrimenti qualcuno concede i domiciliari e poi scompaiono. Chi è stato battezzato nella ‘ndrangheta, crede come ad una religione. L’esperienza giudiziaria dimostra che non c’è ravvedimento”. Soluzione? “Innalzare le pene, in modo che sia chiaro che non è conveniente delinquere e far lavorare i detenuti in carcere per pagarsi il cibo e il pernottamento”. Un nuovo pericolo che si va addensando per la nostra convivenza Gratteri lo individua nel federalismo. “Consegneremo il Sud alle mafie se decentriamo il potere agli enti locali. Le organizzazioni criminali avranno maggiore potere di controllo e quindi anche d’incidere sulle scelte politiche”. E il ruolo della Chiesa? “La Chiesa può fare di più, potrebbe essere più presente. “Come mons. Morosini, vescovo della diocesi di Locri nel cui territorio ricadono San Luca, Polsi. Il suo linguaggio è ‘sì sì, no no’. “Scomunicare i mafiosi sarebbe un atto di grande valore simbolico. Dichiarare che con il loro agire criminale, i mafiosi si pongono fuori dalla Chiesa è molto, ma non basta. Alla censura deve seguire la sanzione”. Un ultimo, inquietante, dato: stando ad una indagine del Censis del 2009, tredici milioni di italiani hanno a che fare, direttamente o indirettamente, con le mafie. “Se pensiamo ai consumatori di cocaina, temo siano di più”. n 11 LO SPECCHIO DEFORMATO, MA NON TROPPO, DI CETTO LA QUALUNQUE MA LA CALABRIA NON SI VEDE 12 SOFFIA UN VENTO ANTICO CHE PORTA IDEE E SAPORI NUOVI LA DIVISIONE DEL VINO E DELL’OLIO 13 ABBIAMO ACCORCIATO E UNITO L’ITALIA 14 UN PROGETTO DI FEDELTÀ AI VALORI DI UN’ITALIA VINCENTE MATTMARK, STORIA DI UNA TRAGEDIA 15 CALABRIA UNITA NEL NOME DI SAN FRANCESCO DI PAOLA 16 NEWS 2 REGIONE ANNO VI - N. 12 - Aprile 2011 3 ANNO VI - N. 12 - Ottobre 2010 UNA “LEGGINA TRUFFA” PER LE AMMINISTRATIVE? COSENZA CREARE UN FRONTE COMUNE ALDILÀ DELLE APPARTENENZE TAGLI E FEDERALISMO IL SUD DICE NO QUANDO LA CASTA NON SI ARRENDE n Angela Altomare “Le cariche di presidente e assessore della giunta provinciale e di sindaco e assessore dei comuni compresi nel territorio della Regione sono compatibili con la carica di consigliere regionale”. È la norma, palesemente incostituzionale, votata recentemente dal Consiglio regionale, ma che si può correggere da subito se c’è la volontà politica di recuperare credibilità e trasparenza l problema della credibilità e della trasparenza della politica, se è sempre attuale nel nostro Paese, in Calabria lo è ancora di più. Avrebbe dovuto segnare una svolta per la nostra regione la proposta di legge della giunta Loiero del 6 agosto 2009: primarie obbligatorie per la scelta dei candidati alla presidenza della Regione. Non se ne fece nulla, perché su proposta dell’allora capogruppo del Pd, Nicola Adamo, l’assemblea di Palazzo Campanella decise di posticipare l’introduzione delle primarie a partire dalla prossima legislatura. In soldoni, tutto rimandato al 2015. Le anomalie, comunque, analizzando il testo approvato, non mancano. Il meccanismo “studiato” per le primarie calabresi prevede uno strano sistema di voto: quando gli elettori vanno al seggio possono scegliere tra un numero di schede pari a quello delle liste che partecipano: sulla scheda scelta pubblicamente (svelando quindi il proprio orientamento) segnano il nome del candidato preferito (oppure, perché no, votano in massa per il candidato più improbabile o più debole dello schieramento avversario). Appare fin troppo facile intuire che tutto questo viola uno dei cardini della democrazia rendendo, potenzialmente, la legge incostituzionale: la segretezza del voto. Non a caso il governo ha deciso, nello scorso ottobre, di impugnare la legge davanti alla Consulta. Uscendo per un attimo dallo scontro istituzionale c’è da dire che in Calabria, le primarie sono state già sperimentate. I Le ha celebrate il Partito democratico per la scelta del candidato a governatore. La competizione fu vinta da Agazio Loiero che prevalse su Giuseppe Bova e Bruno Censore. Fu una vittoria di Pirro perché il centrosinistra si presentò diviso alle urne con Italia dei Valori schierata al fianco dell’imprenditore Pippo Callipo. Finì con la netta vittoria di Giuseppe Scopelliti e della coalizione di centrodestra. Ora si è aperto un altro caso di manifesta incostituzionalità di una “leggevergogna” votata in una seduta nella generale distrazione dell’euforia prenatalizia. L’ha presentata Nicola Adamo capogruppo del Pd nella passata legislatura e ora iscritto (dopo le roventi polemiche con i vertici del suo partito) al Gruppo Misto. Il testo normativo del 29 dicembre 2010 n. 34 (che come accade quando ai cittadini si vogliono far vedere lucciole per lanterne, si apre con una promettente dichiarazione: “Programma di interventi per il contrasto alla ‘ndrangheta”) è passato con un codicillo. Dice che «anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 4 legge 154/81 e dell’articolo 65 decreto legislativo 267/00, le cariche di presidente e assessore della giunta provinciale e di sindaco e assessore dei comuni compresi nel territorio della Regione sono compatibili con la carica di consigliere regionale». In parole povere: contrariamente a quanto dispone la legge, sarà possibile per gli eletti nell’assemblea regionale essere contemporaneamente sindaci o assessori perfino di grandi Don Chisciotte, l’invincibile C ambiare la Calabria? È come lottare contro i mulini a vento. Potrebbe essere questo il messaggio - quasi un avvertimento - che viene dal quadro che a Catanzaro fa bella mostra di sé nell’ufficio del presidente della giunta regionale Giuseppe Scopelliti. L’ha realizzato il pittore reggino Natino Chirico, artista che da Reggio Calabria approdò negli anni ’70 a Milano e di qui a Roma, con studio nel quartiere Parioli. Per lui l’estroso cavaliere nato dall’immaginazione di Cervantes non è un simbolo di sconfitta. La rivolta di Lilliput G città. (E il primo ad approfittarne è l’on. Peppe Bova, candidato sindaco a Reggio Calabria nella imminente tornata elettorale). Per la cronaca, unica voce fuori dal coro quella dei democrat che nonostante l’innovazione possa tornare utile un domani anche a qualche esponente della sinistra, ha votato contro. Il governatore Peppe Scopelliti in aula si è astenuto salvo poi riparare in corner dichiarando di aver lui stesso “caldeggiato” l’impugnazione governativa della legge. Un comportamento alquanto contraddittorio. Se c’era in partenza il sospetto di palese incostituzionalità della norma, perché - fra l’altro nel suo ruolo di coordinatore regionale del Popolo della Libertà - ha deciso di lasciare mano libera alla sua maggioranza? Quasi una “libertà di coscienza» neppure si trattasse di temi “sensibili”. O meglio “sensibile” il tema lo è perché mette in discussione la credibilità della politica e, a cascata, delle istituzioni, al punto che Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera, ha potuto titolare, ironicamente, riferendo del voto del Consiglio regionale, “Il partito degli ingordi”. Ma se vuole, l’on. Scopelliti un rimedio efficace a portata di mano ce l’ha: si faccia promotore del ripristino delle vecchie regole, prima che si vada al voto. Il “ravvedimento operoso”, in questo caso, non sarà ammissione di debolezza, ma espressione alta di rispetto delle leggi e dei cittadini e quindi di affidabilità della classe politica. n «Considero Don Chisciotte un personaggio positivo» dice Chirico a Itaca «un invincibile, uno che cade e si rialza, che non ha paura, che non arretra mai davanti a niente, insomma quello che ci vuole per risolvere i problemi della Calabria». Ma è stato Scopelliti a chiederle il quadro? «No, sono io che ho voluto donarlo al presidente perché ha mostrato sempre grande attenzione al mio lavoro, che segue da molto tempo. Grazie alla sua sensibilità ho potuto realizzare rassegne importanti, come l’antologica al Vittoriano e al Comune di Reggio e la mostra dedicata alle donne nel cinema». Il cinema è la principale fonte d’ispirazione di Chirico, che ne reinterpreta i personaggi e li restituisce sulle tele con originalità. Il più dipinto è Charlot, utilizzato anche per creare il nuovo logo di Azienda Calabria Lavoro, organismo che ha il compito di supportare l’ente Regione nelle politiche occupazionali. «In Tempi moderni Charlie Chaplin mostra come le macchine mortifichino l’uomo, mentre lo sforzo deve essere quello di dare dignità e umanità al lavoro. Per questo ho pensato a Charlot come miglior testimonial». Anche Charlot come Don Chisciotte è un simpatico spiantato. Viene il dubbio che solo dei poveracci possano rappresentare la Calabria e ispirarla. Comunque sia, Chirico è convinto di una cosa: «Anche l’arte può offrire il suo contributo per la crescita della Calabria, a tutti i livelli, compreso quello economico». en.ro. iuseppe Bova e Agazio Loiero sono stati i due big della passata legislatura regionale, ai massimi vertici politici e istituzionali. Il primo Presidente del Consiglio Regionale, il secondo “Governatore”. Entrambi eletti nelle liste del Pd. Ma con la nuova tornata elettorale, ora in minoranza, non si sono più riconosciuti nello schieramento di provenienza, rifiutando di far parte del Gruppo Pd a Palazzo Campanella. Hanno preso altre strade: Peppe Bova ha formato un nuovo raggruppamento, “A testa alta” che per acclamazione lo ha candidato a sindaco di Reggio Calabria; Loiero si riappropria di A&D (Autonomia e Diritti) messa in campo alle regionali 2010. All’origine, l’inconciliabile dissidio con Adriano Musi, commissario regionale del Pd, che ha commissariato, senza chiedere permesso, tutto quanto era commissariabile nel partito, uscito a pezzi dalla competizione elettorale dello scorso anno e di cui i due, evidentemente, pur qualche responsabilità hanno avuto. Ma lo scontro, in realtà, è stato con Giuseppe Bersani, immemore secondo Loiero del notevole apporto caBova labrese alla sua elezione al vertice del partito. Bersani, in realtà, ha cercato di mettere ordine, con la nomina del sen. Musi, in un partito allo sbando e ingovernabile, incapace di fare autocritica rispetto al mortificante esito elettorale. Le prospettive future? “Non saremo” - dice Bova - “né con Scopelliti e Berlusconi e neanche con Bersani e Musi, loro Gulliver e noi tanti lillipuziani. No, non ci stiamo”. Ma on. Bova, Agazio abbia fiducia, anche i lillipuziani furono in grado di imbriLoiero gliare il corpaccione dormiente di Gulliver… La defezione dei due condottieri, comunque si sia verificata, è stata vissuta, in quel che resta del Pd, come una sorta di liberazione, la possibilità concreta di un nuovo corso. “Prima il Pd si libera dei suoi padri padroni e prima potrà cambiare pagina e scommettere su una nuova classe dirigente”, è il caustico giudizio dell’on. Franco Laratta. “Non è giusto andare via nel momento di grave difficoltà in cui vive il Pd calabrese. Soprattutto da parte di chi ha avuto. Avrà certamente dato, ma anche avuto. E molto… Noi continueremo a pagare per gli errori gravi del Pd che non avrebbe dovuto ricandidare Loiero perché erano evidentissime le ragioni della sconfitta”. E l’on. Doris Lo Moro, assessore alla Sanità in una delle giunte Loiero: “Penso che essere stato tra i 45 fondatori del Pd e poi uscire per cambiare bandiera non sia un esempio di grande signorilità politica”. È nobile l’intento del governatore Scopelliti: impedire l’inserimento nelle liste elettorali di personaggi collusi con la ‘ndrangheta, ma la sua proposta delle liste bloccate somiglia molto a quella introdotta a livello nazionale dal leghista Calderoli… n Antonio Ricchio Giuseppe Scopelliti È un grido d’allarme a più voci quello che si leva nei confronti dell’introduzione del federalismo fiscale. Una preoccupazione avvertita non solo dagli amministratori degli enti locali meridionali, ma anche dalle forze politiche, istituzionali e sociali. Gravissimi potrebbero essere, infatti, gli effetti che sommati a quelli dei tagli ai trasferimenti erariali operati dal Governo con l’ultima finanziaria, il nuovo sistema fiscale, basato su autonomia e decentramento finanziario, potrebbe arrecare al Mezzogiorno, e in particolare alla Calabria. Il rischio temuto è che un regime di proporzionalità diretta tra le imposte riscosse in una determinata area territoriale e le imposte effettivamente utilizzate, potrebbe generare una grave difficoltà, per quegli enti locali dotati di minore capacità impositiva, non più in grado di garantire adeguati servizi ai cittadini, qualora venissero a mancare risorse adeguate. Decentrare imposte e spesa pubblica in un paese come l’Italia, caratterizzato da un forte dualismo nei livelli di sviluppo economico tra Nord e Sud del Paese, rischierebbe di penalizzare le realtà territoriali più povere. Una vera e propria mobilitazione unitaria, al di là delle appartenenze politiche, contro i tagli erariali operati dal Governo, è partita dalla Provincia di Cosenza. Dibattiti, conferenze stampa, appelli, incontri, fino alla convocazione di una seduta ad hoc del Consiglio provinciale al quale hanno partecipato tantissimi cittadini, alcuni consiglieri regionali, moltissimi amministratori locali, che ha portato all’approvazione all’unanimità di un documento finale contro le decurtazioni operate dal Governo nei confronti degli enti locali del Mezzogiorno e della Calabria. Una situazione finanziaria quella degli enti locali calabresi che rischia secondo il Presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, di essere “sempre più intollerabile e insostenibile” Una situazione grave e insostenibile quella che i tagli previsti dall’ultima finanziaria e dai decreti attuativi del federalismo fiscale potranno generare sugli enti locali calabresi, così come ha ribadito il Presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, in occasione della visita del Presidente della Corte Costituzionale, Ugo De Siervo. Presidente Oliverio, quali saranno gli effetti dell’attuazione del federalismo fiscale per la Provincia e per gli altri enti locali della Calabria e del Mezzogiorno? In base alla manovra finanziaria estiva assunta dal Governo e convertita per le cinque Province calabresi si registrerà già per l’esercizio in corso un minore trasferimento di oltre 36 milioni di euro pari ad una decurtazione di 18 euro per abitante. Per la Provincia di Cosenza, in base ai criteri indicati dal ministero competente, i tagli ai trasferimenti sono quantizzati in undici milioni e 300 mila euro. E nel 2012 saranno ancora più pesanti. Quasi il doppio. I Comuni introiteranno minori entrate per oltre 70 milioni di euro, pari a meno 33 euro per abitante. Queste decisioni, assolutamente non condivisibili, rischiano di rendere la situazione finanziaria dei Comuni e delle Province calabresi e meridionali sempre più insostenibile ed intollerabile. È questo l’antipasto di una situazione che sarà destinata ad aggravarsi come conseguenza di provvedimenti per l’attuazione del Federalismo fiscale così come proposto dal governo. Quali saranno le conseguenze di queste drastiche decurtazioni? Importanti servizi rischiano di essere smantellati, i programmi d’investimento taglieggiati, gli interventi per garantire l’esercizio delle competenze, compressi. L’ordinaria amministrazione rischia addirittura di essere fortemente compromessa. Un quadro quello che si verrà a delineare che metterà Comuni e Province nelle condizioni di non potere chiudere i bilanci, perché non tiene conto delle condizioni economiche e territoriali. Tutto ciò rischia di affermare gravi elementi di disarticolazione del nostro Paese. In un’Italia “a due velocità” le misure del federalismo fiscale rischiano di accentuare ancora di più il gap tra il Nord e il Sud del Paese? Il Nord senza il Sud rischia di diventare marginale nei processi di sviluppo e di integrazione europei. Il Paese non può essere costituito da figli e figliastri. I problemi del Sud non sono in contrapposizione con i problemi del Nord. Anzi, essi convivono e si integrano con un’esigenza comune, che è quella di uscire dalla crisi in atto. In questo contesto, pertanto, non può esserci alcuno sviluppo sociale, economico e competitività nello scenario europeo e italiano se non si assume il Mezzogiorno come priorità da porre al centro delle politiche nazionali. Quindi a suo avviso, per il rilancio del Sistema Paese, lo sviluppo del Mezzogiorno dovrebbe rappresentare la vera sfida? Il Mezzogiorno e la Calabria desiderano contribuire alla crescita del Paese a patto che ognuno abbia le stesse opportunità degli altri. Un federalismo che toglie ai poveri per dare ai ricchi non assicura di certo le stesse opportunità. Il Paese non cresce, non avanza se con esso non cresce e non avanza l’intero Mezzogiorno. Il Mezzogiorno deve sapersi rimettere in piedi ed alzare la voce. Il Mezzogiorno deve essere aiutato attraverso adeguate, intelligenti e moderne politiche nazionali, tese a L’irresistibile fascino del “porcellum” L a proposta del governatore Giuseppe Scopelliti è arrivata attraverso un’intervista al settimanale Panorama: “Ho intenzione di proporre in Calabria una nuova legge elettorale: stop alle preferenze e introduzione delle liste bloccate”. Né più, né meno di quanto introdotto a livello nazionale dalla legge che porta il nome del ministro Calderoli. Quella legge che il politologo Giovanni Sartori ha definito “porcellum” per via del fatto che gli elettori non scelgono più i candidati a cui accordare la loro preferenza, ma possono soltanto esprimere il loro gradimento per la lista di nomi proposta dai vari partiti presenti nella competizione elettorale. Scopelliti punta il dito contro i “colletti grigi”, rei di bloccare ogni forma di emancipazione della Calabria e parte dall’assunto che, per bloccare gli accordi criminali fra ‘ndrangheta e politica, occorrano misure drastiche. Il caso di Santi Zappalà, il consigliere regionale del Pdl arrestato con l’accusa di essere il candidato delle cosche della Locride, insegna e spinge il presidente della Regione a dire che “nella scorsa consiliatura ci siamo ritrovati con decine di eletti indagati. E pure in questa, benché le forze politiche sane abbiano fatto la guardia, è già emersa qualche collusione. È un danno di immagine e di sostanza che rallenta il cambiamento”. Per poi aggiungere: “Con le liste bloccate - si legge sempre nell’intervista concessa lo scorso mese a Panorama - si responsabilizzano i partiti, in questo caso le segreterie regionali, e si abbatte il meccanismo della rincorsa al consenso a ogni costo e si chiudono le porte in faccia ai singoli imbecilli che a ogni elezione producono accordi criminali e clientelari con la ‘ndrangheta. Secondo me, per coltivare il nuovo, bastano due legislature, poi si potrà tornare anche alla preferenza”. Ma facciamo un passo indietro e concentriamoci su quanto è avvenuto in Calabria in questi ultimi mesi. A chi spetta la composizione delle liste? Al coordinatore del partito che, nel caso del Popolo della Libertà, è lo stesso governatore Scopelliti. Che ha inserito Zappalà in lista assieme a qualche altro candidato spingendolo, col senno di poi, a parlare di “qualche collusione” e non di “una collusione”. Non ha spiegato il governatore della Calabria chi ha voluto la candidatura di Santi Zappalà. Chi lo ha inserito in lista? Come mai non è stata ritirata la sua candidatura come, invece, è avvenuto per quella dei candidati “impresentabili” Tommaso Signorelli e Antonio La Rupa, per i quali è stato sufficiente il codice etico per l’autoregolamentazione delle candidature? E le oltre undicimila preferenze raccolte da Zappalà, a quale candidato a presidente erano collegati? E soprattutto, con quale criterio, la candidatura del consigliere regionale arrestato (incensurato fino a dicembre 2010) sarebbe stata evitata se fosse stata in vigore la legge che prevede liste bloccate? Il dibattito è tutt’altro che aperto. E allora, siamo davanti ad una proposta da cestinare tout court? Non proprio. A Scopelliti va riconosciuto il merito di aver aperto il dibattito non a ridosso della scadenza della legislatura (è successo varie volte in passato con maggioranze di centrodestra e di centrosinistra) quando ogni tipo di scelta può prestarsi a strumentalizzazioni di parte. Certo, gli ostacoli da superare non sono pochi. In primis quello di un’opposizione che su questo punto non sembra voler concedere sconti. Basta ascoltare il capogruppo del Pd a palazzo Campanella, Sandro Principe, per rendersene conto: “Il Pd non può condividere un’impostazione ‘antidemocratica’, perché il cittadino calabrese non può perdere il diritto di scegliere i propri amministratori. Di fronte a un presidenzialismo forte, come quello attuale, si può pensare di ridurre il numero dei consiglieri e poi applicare la formula dei collegi uninominali nelle cinque province. Una sfida fra due, al massimo tre, candidati da una parte riduce la corsa forsennata alla candidatura, realizzare obiettivi di crescita e di recupero dei ritardi nei vari campi dell’economia, della società e dei servizi. Anche le risorse comunitarie nella disponibilità delle regioni meridionali, possono e devono essere più efficacemente utilizzate per la realizzazione della crescita economica e sociale dei nostri territori, se sono accompagnate e rafforzate da programmi nazionali che vanno in direzione dell’ammodernamento infrastrutturale, del sostegno alle imprese, dell’agevolazione dell’accesso al credito, della ricerca e dell’innovazione. È possibile, dinanzi a temi come quello del federalismo fiscale, accantonare le differenze anche politiche, ed unirsi in una battaglia comune, trovando quel terreno di confronto costruttivo che spesso oggi manca? Se sapremo creare un fronte vasto, coeso e unitario, al di là dei colori e delle appartenenze politiche, saremo più forti e daremo un contributo importante al nostro territorio e al Paese. Guai, perciò, a far prevalere la rassegnazione. È necessario reagire, affinché siano assunte misure e provvedimenti fortemente correttivi da parte del Governo e del Parlamento. Ecco perché è importante far leva su iniziative che riescano a coinvolgere non solo gli Enti locali, ma anche le parti sociali. Mai come in questo momento il destino del Mezzogiorno è indissolubilmente legato al destino del Paese. Il nostro intento è quello di riaccendere i motori perché il Meridione possa definitivamente tornare ad essere di nuovo protagonista in Italia e in Europa. n Mario Oliverio dall’altra rafforza ancora di più il lavoro di selezione dei partiti e delle coalizioni”. Posizioni assai divergenti, insomma. Che non scoraggiano, però, Scopelliti, tornato alla carica. Il pretesto gli è stato offerto dalla relazione annuale sulla dinamiche e le strategie della criminalità organizzata nel nostro Paese presentato dalla Direzione nazionale antimafia. “La relazione della Dna - dice Scopelliti - dice che il sistema elettorale delle politiche dovrebbe essere ripetuto nei collegi regionali, soprattutto dove è presente la mafia, perché allontana la mafia dalla politica. Voglio, però, discutere, perché in Calabria dobbiamo discutere. Questo meccanismo delle ‘liste bloccate’ riduce anche le forme clientelari che fino ad oggi hanno rappresentato uno dei limiti della Calabria”. Come andrà a finire è troppo presto per capirlo. L’interrogativo, d’altronde, semmai la modifica alla legge elettorale dovesse andare in porto, è sempre quello: chi controllerà il controllore? Ovvero: a chi risponderanno i vari segretari di partito che avranno il compito di redigere le liste? Sono tutti interrogativi che potrebbero essere spazzati via qualora si scegliessero le primarie per la scelta dei candidati. Ma questa è una strada ancora tutta da percorrere… n 4 GIOIA TAURO ANNO VI - N. 12 - Aprile 2011 LA CRISI DEL PORTO, LE RISPOSTE DELLA POLITICA EMIGRAZIONE Un PIANO di SVILUPPO mai arrivato in PORTO n Agostino Pantano A 5 ANNO VI - N. 12 - Ottobre 2010 ll’inizio dello scorso gennaio, il porto di Gioia Tauro, cuore pulsante dell’intera economia regionale, per la seconda volta dopo 15 anni d’intensa attività, si è fermato, improvvisamente, per 30 ore. Una vera e propria serrata della Società Medcenter (Gruppo Contship) che ha colto di sorpresa i lavoratori innanzitutto, ma anche tutte le istituzioni locali e regionali. Un azzardo quello di Medcenter, società monopolista, che però sconta una crisi che dura dal 2009 e che ha comportato, per i suoi 1.200 dipendenti, il ricorso per due semestri ai sussidi statali della cassa integrazione. Il danno d’immagine è stato enorme, ma ha costretto la politica ad interessarsi della progressiva caduta di competitività dell’hub calabrese, a lungo leader nel Mediterraneo con i suoi tre milioni di container movimentati negli anni d’oro. Sulla vertenza ingaggiata dal colosso dei container, certamente hanno influito le ristrettezze finanziarie cui è condannato in questo momento il Paese, un modello di sviluppo che sembra penalizzare nuovamente il Mezzogiorno, ma anche la farraginosità della strategia messa in campo dalla Si apre una nuova sfida per l’hub delle navi portacontainer, cuore pulsante dell’economia calabrese. Alla crisi internazionale si aggiunge la concorrenza dei porti del nord Africa assieme agli incredibili ritardi nella creazione delle infrastrutture attese da anni società concessionaria, probabilmente spiazzata dagli effetti della crisi internazionale dei traffici via mare, comunque disabituata nei 16 anni di vita del porto a puntare su un metodo inclusivo anche delle istanze più ampie del territorio che ospita la grande infrastruttura. Il gruppo Contship ha chiesto a più riprese - anche attraverso un battage insistente sulla grande stampa nazionale - nuove misure tese a far rientrare le perdite che, da quanto dichiarato dalla presidente Cecilia Battistello, sarebbero “di 10,5 milioni l’anno”. Fra gli incentivi richiesti, la manager ha indicato la riduzione delle accise sui carburanti per i mezzi meccanici interni al porto, la fiscalizzazione al 45% dei contributi Inps per i lavoratori, l’abolizione delle tasse di ancoraggio. Tutti interventi proposti alle istituzioni nazionali, di nuovo senza presentare un Cecilia Battistello articolato piano di rilancio che, invece, da più parti è invocato sin dal 2009, anche per spiegare se vi sia stato un qualche effetto migliorativo dopo l’elargizione degli ammortizzatori sociali. Il terminalista - gode di una concessione demaniale cinquantennale che per lunghezza non ha precedenti - ha agganciato le sue rivendicazioni ai mutamenti di mercato avvenuti negli ultimi anni nel Mediterraneo, in particolare con il prevedibile rampantismo dei porti della costa africana, di Tangeri in Marocco e Port Said in Egitto, operativi con costi del lavoro e tassazione di gran lunga più competitivi. Un quadro reso più allarmante dalla fuga di tanti operatori, non da oggi, dallo scalo gioiese verso quello marocchino (qui la Contship si è già insediata ed ha contribuito con proprie maestranze all’avvio del terminal) e verso quello egiziano, dove ha trasferito i suoi traffici la compagnia Maersk titolare del 30% di Medcenter. La compagnia svizzera Msc, ultimo grosso cliente di Medcenter a Gioia Tauro, dopo la serrata di gennaio è uscita allo scoperto rivelando la sua intenzione di entrare nell’azionariato del terminalista calabrese in crisi. Non è nuova la tendenza dei proprietari delle navi a gestire anche i porti in autonomia e quindi l’unica sorpresa riguarda i tempi di un’esternazione 459 milioni per la logistica Antonella Stasi “Il futuro di Gioia Tauro passa attraverso la logistica. La Regione Calabria ci crede e sta lavorando per attuare un piano concreto”. Lo ha affermato Antonella Stasi, vicepresidente della Giunta regionale, intervenendo a Reggio Calabria al Convegno nazionale della UIL Trasporti. L’APQ (Accordo di Programma Quadro) siglato tra Regione, Gruppo F.S., ministri dello Sviluppo economico e dei Trasporti, per complessivi 459 milioni di euro potrebbe segnare, finalmente, il momento di svolta da tanto atteso. PERSA UNA GRANDE OCCASIONE Fallimentare la governance politica dell’ex “porto dei miracoli” incapace d’innescare un processo d’industrializzazione. La maggior parte delle aziende legate all’attività portuale è nata prevalentemente per drenare fondi pubblici. La responsabilità del Consorzio ASI S e il “sistema Gioia Tauro”, comprensivo dell’area portuale e delle tre zone industriali ad essa adiacenti, fosse governato da una società privata, non c’è dubbio che sarebbe inevitabile portare i libri in tribunale dichiarando fallimentare una gestione che non ha mai integrato due fattori produttivi che, visti i numeri e le potenzialità di mercato, tutto il mondo, fino all’altro ieri, ci ha invidiato. Ma è politica la governance frammentaria e rissosa che da quasi un ventennio programma male e spende peggio in questo mancato perimetro d’oro. Tramonta malinconicamente la comoda immagine di Gioia Tauro isola felice nel panorama asfittico di una regione in coda a tutte le classifiche. Le istituzioni regionali e la deputazione calabrese si sono mostrate impreparate a gestire l’unica grande occasione di creare condizioni vantaggiose, stabili e durature per tutto il territorio, aldilà dei record nella movimentazione delle merci o della criticità dei traffici internazionali. Dal 1995 si diceva Gioia Tauro e si pensava al “porto dei miracoli”, omettendo però di ricordare il modello di sviluppo della struttura, transhipment di container le cui merci venivano sdoganate successivamente nei porti più piccoli del trasferimento finale. Dunque, il beneficio fiscale era ed è lucrato altrove. Le tre aree industriali programmate dal consorzio Asi, inadeguato braccio operativo della Regione, non hanno saputo mettere in campo le necessarie strategie di sviluppo. Così, mentre altrove in Europa le aree portuali soffrivano per la saturazione e l’impossibilità di reperire terreni adatti per la lavorazione delle merci da immettere nel mercato continentale, la Calabria per responsabilità che sono tutte politiche non ha che, avvenuta nel bel mezzo della vertenza aperta da Medcenter, ha finito col rendere evidente l’interesse dei due operatori privati a socializzare le perdite in vista di una partnership che sembra immiGiovanni Grimaldi nente. Per salvare la società che è in crisi, ma svolge un servizio appetibile, Msc aspetta che il governo batta un colpo per rendere ancora più vantaggioso un investimento che, però, non sembra avere alternative per i due contraenti che tempo fa ingaggiarono una lotta furibonda, a causa della richiesta degli svizzeri di aprire un secondo terminal container a Gioia Tauro. Tra le richieste della Battistello, la più problematica da accogliere, perché graverebbe sui conti pubblici, è quella dell’abolizione della tassa d’ancoraggio dovuta da ogni nave che attracca in porto. Un vantaggio offerto, lo scorso anno, dall’Autorità portuale presieduta da Giovanni Grimaldi, che ha messo in campo, tagliando altre voci di bilancio, quattro milioni di euro pur d’incentivare il ritorno delle portacontainer, che nel frattempo avevano fatto rotta verso l’Africa, nei cui porti l’approdo è libero da balzelli fiscali. Per riproporre il taglio della tassa serve una volontà politica che al momento manca. Nessun segnale d’inversione di tendenza da parte del ministero guidato da Giulio Tremonti è stato fin qui registrato, nel quadro di una politica nazionale che complessivamente è orientata ad assecondare l’ottimo adattamento che i porti del Nord, Genova e Trieste in primis, stanno dimostrando rispetto ai flussi di merce che bypassano la Calabria, rimasta al palo in fatto di trasporti intermodali, senza l’alta capacità ferroviaria - è semplicemente incredibile che in tanti anni non si sia riusciti a potenziare il fondamentale collegamento del porto alla ferrovia (il “gateway”) - e con l’autostrada che è una mulattiera. Sembrano lontani i tempi in cui lo scalo calabrese, dedicato esclusivamente al trasbordo dei container, fu capace di portare benefici all’intera portualità italiana, spezzando nel cuore del Mediterraneo le rotte transoceaniche delle portacontainer, per rifornire con altre navi più piccole i porti europei. Sedici anni di occasioni mancate, per trarre altro vantaggio dal transito delle merci, ma i calabresi non gridino al complotto. COSA OFFRIRE ALLA CALABRIA DELL’ESODO? CALABRESI NEL MONDO Si aprono nuovi scenari della politica regionale per le comunità emigrate. Perfezionato l’assetto istituzionale con le nomine di Alfonsino Grillo e Giuseppe Galati. In ritardo la creazione della Consulta dell’Emigrazione. Urgente inserire in agenda il rapporto con le nuove generazioni n Antonio Minasi C’ è molta attesa per la nomina della Consulta dell’Emigrazione, in ritardo ormai di quasi un anno. Sarebbe dovuta avvenire, a norma di legge, entro 60 giorni dall’insediamento del Consiglio regionale eletto. Probabilmente si è voluta dare la precedenza a due fatti istituzionali: la delega per i problemi dell’emigrazione conferita dal governatore Scopelliti al consigliere Alfonsino Grillo; la costituzione della Fondazione Calabresi nel mondo, attuata, per la prima volta, in applicazione della Legge n.33, legge aggiornata con accordo bipartisan nel luglio 2009. Presidente della Fondazione, il parlamentare Giuseppe Galati (UdC). Sarà interessante vedere come andrà costruendosi il rapporto fra questi due poli istituzionali, soprattutto in tema di competenze e di riferimento organizzativo per tutte le associazioni dell’emigrazione presenti in Italia e nel mondo. Sui programmi futuri, qualche anticipazione è venuta dall’on. Grillo: accorpamento in un testo unico delle tre leggi esistenti che regolano il settore, con le novità della “Festa dell’emigrante calabrese” da realizzare ogni anno in un Paese diverso e del Premio “Calabresi nel mondo”. Bene la “festa dell’emigrante” come tante altre regioni Alfonsino Grillo già fanno (e meglio sarebbe se ci fosse una data stabile che coinvolgesse contemporaneamente l’universo mondo dell’emigrazione e non solo un singolo paese). Una festa capace di proporre, ovunque, anche un momento di aggregazione con le altre comunità presenti sui territori, con le quali condividere, ricordi, immagini, suggestioni - dal cibo alla musica - della Calabria tutta. Lascia piuttosto perplessi l’ipotesi del ”premio”. Di premi ce ne sono già troppi e in qualche caso con oneri non indifferenti a carico della stessa Regione che interviene, magari, a favore di una serata di “bla, bla, bla” e di ricco buffet. Realisticamente l’organizzazione del premio accenderebbe una inutile competizione e una dispersione Giuseppe Galati enorme di risorse destinabili a impieghi più pertinenti. Se si vuole veramente - e l’abbiamo scritto più volte - che l’emigrazione diventi risorsa occorre ripensare la politica finora adottata. Occorrono, strettamente uniti, progettualità e investimenti. Liquidiamo il discorso investimenti: le attuali dotazioni sono semplicemente risibili, soprattutto in confronto con gli stanziamenti di altre regioni. (Il Veneto ha stanziato, quest’anno, 600 mila euro destinati alle iniziative d’informazione, istruzione e cultura ed alle attività delle Associazioni). Il problema numero uno è sicuramente quello dei giovani e della lingua. Intanto è importante che nella Consulta facciano il loro ingresso - come peraltro previsto dalla legge 33 - rappresentanti delle nuove generazioni e, aggiungeremmo noi, anche giovani di recente emigrazione intellettuale. Sappiamo, per conoscenza diretta, come nell’area dell’emigrazione, il mondo giovanile di ultima generazione sia nettamente diviso. Da una parte, fortunatamente minoritaria, prevale l’indifferenza per le proprie origini familiari; dall’altra, c’è, invece, un desiderio intenso, molto spesso insoddisfatto, di conoscere quella realtà che il racconto nostalgico dei genitori e dei nonni ha sempre evocato. È intuitivo allora, come sia fondamentale - e non soltanto per la lingua - stabilire un forte raccordo con le università calabresi, in termini di master, borse di studio, stage di studio/vacanza, capaci di offrire anche un fecondo raccordo con i diversi aspetti della realtà regionale. La Regione Lazio ha messo in campo una interessante iniziativa: individuare i mercati esteri verso i quali le aziende intendono dirigersi, selezionare direttamente lì giovani di origine laziale meritevoli, formarli in Italia e farne dei promoter delle imprese della regione nel paese in cui sono nati e cresciuti. C’è insomma la diffusa consapevolezza che il mantenimento dei rapporti di tipo storico e culturale con le generazioni un po’ più avanti con gli anni, sono destinate ad affievolirsi sempre più, e quindi è fondamentale pensare al ricambio se si vuol mantenere un legame identitario con le comunità all’estero. Infine, per concludere, c’è da compilare il solito promemoria - impossibile non ripetersi - degli interventi utili per una efficace politica: promozione del turismo etnico, export dei prodotti locali d’eccellenza, emigrati di ritorno motivati, magari, ad investire in regione… Ed in questa prospettiva indispensabile si rivela il collegamento con l’Assessorato all’Internazionalizzazione. L’intreccio di relazioni istituzionali faciliterà o ritarderà la definizione di una politica regionale per i calabresi all’estero (e non semplicemente dell’emigrazione)? Staremo a vedere. Non rinunciamo, intanto, all’ipotesi già formulata da questo giornale, di uno specifico assessorato o in subordine un Sottesegretariato della Presidenza che unifichi e coordini le diverse funzioni. n n saputo mettere a frutto il combinato disposto tra un porto capace di movimentare ben tre milioni di container l’anno e i circa 1500 ettari delle zone industriali nell’area del retroporto. Si conta che su una cinquantina di aziende insediate e finanziate con fondi pubblici, ne siano effettivamente attive meno di una decina. Il porto oggi soffre per la congiuntura internazionale e per l’emergere di nuove leadership nello scacchiere mediterraneo. È rimasto ciò che era nel 1995, ovvero uno scalo per il solo transito di merce, che non crea valore aggiunto in una regione che ha visto insediare a ridosso del terminal, senza efficaci controlli sulla valenza economica dei programmi industriali, per la maggior parte aziende nate o allo scopo di fruire dell’elargizione di fondi pubblici, oppure in settori produttivi che nessuna convenienza potevano trarre dalla vicinanza del porto. Le classi dirigenti e politiche si sono cullate nel miraggio che il solo porto potesse bastare. È stata sprecata finora la grande occasione per intercettare parte delle merci in arrivo, materie prime e semilavorati, per trasformarle ulteriormente in prodotti finiti e innescare così un processo d’industrializzazione su larga scala, capace di rivitalizzare il circuito economico e sociale del territorio. A. P. La piccola Italia fregata dalla paura Quei migranti così simili a noi raccontati da Annarosa Macrì in Alì voleva volare n Enzo Romeo C alabria è una sorta di portaerei sul Mediterraneo, dove tutti tentano di atterrare. Come Alì, il piccolo marocchino che ha ispirato la penna della giornalista Annarosa Macrì. Il bambino vive a Sellia, figlio di un venditore ambulante che tutti chiamano Vu’ Cumprà e che ogni giorno va al mercato di Crotone a montare il suo banchetto. Il libro della Macrì si intitola Alì voleva volare (Abramo editore), perché il ragazzino sogna di diventare pilota e così poter fare la spola con l’aereo fra le sue due patrie, l’Italia e il Marocco. Per adesso deve accontentarsi di una bicicletta, con cui tenta di raggiungere Catanzaro, dov’è ricoverata la nonna, sfidando il traffico della SS. 106, la strada della morte. Annarosa Macrì ricorda che gli immigrati marocchini chiamano i calabresi cugini. E che i calabresi, e in generale i meridionali, che sgobbavano negli Stati Uniti piuttosto che in Svizzera o in Francia, portavano appiccicato addosso l’appellativo di Marocco. Vallo a distinguere uno di Reggio da uno di Fès, uno di Soverato da uno di Marrakech. Stessi occhi, stesso tratto malinconico. I maghrebini è gente venuta in Italia, in Calabria, come noi andavamo nelle Americhe, in Australia o nel Nord Europa, in cerca di lavoro e di fortuna. Solo che oggi prevale la paura dello straniero, del «diverso», anche quando il diverso è in realtà molto simile a noi. E allora non comprendiamo che gli immigrati del terzo millennio ci riportano quel mondo nuovo che i nostri padri e i nostri nonni hanno cercato lontano da qui, a costo di tanti strazianti addii. Come il signor Franco Suraci, partito a cinque anni con i genitori da Gizzeria per Buenos Aires. Papà e mamma lavorarono da cani per farlo studiare da geometra, ma fu preso dalla passione per il volo - lo stesso sogno di Alì - e divenne pilota di elicotteri. Finì negli Stati Uniti in cerca di occasioni e di qui, senza neppure rendersene conto, nell’inferno del Vietnam. Era il ’69, l’epoca dei Beatles, dei Rolling Stones e delle chitarre che davano solo la nota della mitraglia: tatatatatà tatatatatà... Alla fine, dopo mille avventure, Franco è tornato nella sua Itaca-Gizzeria e vola per conto della Protezione civile sulla Calabria delle frane e delle alluvioni. “I calabresi sono così” commenta amaro. “Distruggono tutto, il mare e la montagna, le città e i paesini. Poi se ne vanno in giro per il mondo e dicono: com’era bello il mio mare, com’era verde la mia montagna”. L’autrice racconta queste e altre storie (sette in tutto) con stile originale, restituendoci il parlato dei protagonisti. Lei si autoproclama extracomunitaria ad honorem e le sue pagine vogliono essere un antidoto alla piccola Italia fregata dalla paura. Cosa sarebbe oggi il ricco Nordest senza i lavoratori stranieri che fanno i manovali, gli operai nelle concerie e alle catene di montaggio? In che modo andrebbe avanti l’agricoltura campana senza gli africani che si rompono la schiena nei campi di pomodori? E che dire della sommossa di Rosarno, con gli stagionali della raccolta delle arance che si sono ribellati allo sfruttamento subìto per tanti anni? Quanto è avvenuto nella cittadina tirrenica è stato quasi un preambolo alla rivoluzione dei gelsomini, che la Macrì profetizza con un anno di anticipo: “Se fossero loro a perdere la pazienza, a sfoderare quel po’ di lauree che hanno più di noi, quelle due o tre lingue che conoscono più di noi, se fossero loro a prendere l’iniziativa, a scendere in piazza e a indicarci come si fa a costruire dalle macerie un mondo nuovo?”. È accaduto proprio così. n 6 ANNO VI - N. 12 - Aprile 2011 REGGIO CALABRIA 7 ANNO VI - N. 12 - Ottobre 2010 IL SENSO PROFONDO DI UNA TESTIMONIANZA DI CONDIVISIONE MONGIANA L’ARRIVO DEI PIEMONTESI SPENSE FABBRICA E SPERANZE QUANDO IN CALABRIA C’ERA L’INDUSTRIA AD ECCEZIONE Fratello che da ragazzo levavi lo sguardo di chi non sa cosa vuol dire resa Fratello la cui scelta di vita fu scommessa in un mondo solo predicato Fratello al cui collo si è aggrappato, come l’ostrica, chiunque andava a fondo Fratello la cui casa è stata aperta com’è aperta una porta spalancata Fratello che di tutto ti sei spogliato ad eccezione della tua coerenza. Furono tempi d’oro quelli della Regia Fabbrica d’Armi di Mongiana, la più avanzata in Europa. Forniva i fucili ai soldati di Sua Maestà il Re delle due Sicilie. Poi arrivò l’Unità d’Italia e fu un’altra storia, così come la ricostruisce Pino Aprile nel suo bestseller Terroni Corrado Calabrò IL PRETE DEI POVERI CHE SFIDÒ LA MAFIA n Piero Cipriani ent’anni sono pochi, forse, per l’analisi storica di un evento o di un percorso di vita. Ma il passare degli anni - e ne sono trascorsi poco più di venti dalla morte di don Italo Calabrò, scomparso a Reggio Calabria il 16 giugno 1990 - conferma questo straordinario prete del Sud come una delle figure più rappresentative della Calabria del ‘900. Una testimonianza di vita, la sua: perché don Italo fu soprattutto - per intere generazioni, di credenti e no - un testimone prima ancora che un maestro. Una testimonianza di servizio, che vive ancora oggi nelle molteplici esperienze di accoglienza e di solidarietà avviate da lui V Don Italo Calabrò con mons. Giovanni Ferro, Arcivescovo di Reggio Calabria, di cui fu anche vicario generale In alto, la poesia che Corrado Calabrò, Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha dedicato al fratello don Italo Don Italo Calabrò fu un prete da prima linea fino alla sua morte avvenuta nel 1990. Direttore della Caritas di Reggio Calabria, fece della città dello Stretto un luogo d’avanguardia per l’accoglienza dei poveri e chiamò i mafiosi “uomini del disonore”. Il ricordo di colui che ne fu il braccio destro e da chi ne sta proseguendo l’opera. Una testimonianza di amore, per la Chiesa e per la sua terra, cui fu sempre profondamente legato. Colpiva, in lui, soprattutto la concretezza di un Vangelo vissuto. La fedeltà a Dio inscindibile dalla fedeltà all’uomo. E poi il senso tutto cristiano dell’ottimismo, dell’apertura al futuro, al nuovo. A dare una svolta decisiva alla sua vita era stato il pontificato di papa Giovanni XXIII: lui, già sacerdote da una decina d’anni, era rimasto affascinato da Roncalli, che gli appariva l’incarnazione di una Chiesa più evangelica e meno mondana. Quei tratti tipici del papato giovanneo - la semplicità nel rapporto con i fedeli, il dialogo con tutte le persone di buona volontà, lo sguardo al di fuori dei recinti ecclesiali per cogliere i “segni dei tempi” che lo Spirito suscita ovunque - li ritroviamo anche in don Italo e nel suo essere prete. I poveri e i giovani sono le due polarità tra cui si è sviluppata l’esperienza ecclesiale e sociale di don Calabrò. Alla fine degli anni ’60 - quando anche a Reggio si avvertono i fermenti della contestazione - lui è insegnante di religione all’Istituto tecnico-industriale Panella, tremila alunni, una scuola difficile, dove don Italo diventa il punto di riferimento per tutti, studenti e altri professori. Ma la sua è una presenza mai accomodante e scontata: a quei giovani che rimproverano alla Chiesa inerzie e anacronismi, lui rilancia proponendo un percorso personale e di gruppo, chiede di assumersi le loro responsabilità nel cuore dei problemi. Per approfondire la figura di don Italo Calabrò e delle opere da lui promosse, si possono consultare Centro Comunitario Agape (www.centroagape.org) Piccola Opera Papa Giovanni (www.piccolaopera.org) concepite come “segni”, senza la presunzione di dare risposte esaustive, ma come provocazione attiva, intelligente, esemplare, perché anche altri (l’ente pubblico in primo luogo) facciano la loro parte. Strutture piccole, aperte al coinvolgimento delle comunità locali, delle parrocchie. È la “pedagogia dei fatti”, cara in quegli anni alla Caritas Italiana, di cui don Italo fu uno dei cofondatori: educare, con gesti concreti, all’amore e alla solidarietà, che nella Chiesa non possono essere più delegati a qualcuno. È lo stesso motivo per cui don Italo già dagli anni ’70 scommette con entusiasmo sulle nuove forme di coinvolgimento: il volontariato, l’affidamento familiare, l’obiezione di coscienza, il servizio civile. Segni controcorrente, spesso, rispetto alla cultura dominante. Nel Sud, soprattutto. Don Italo ne era consapevole, lui, uomo profondamente incarnato nella sua terra. L’impegno per il riscatto del Mezzogiorno, infatti, fu l’altro tema portante del suo impegno pastorale: la lotta alla disoccupazione, la denuncia del malaffare e della cattiva politica, l’opposizione alla ‘ndrangheta, che per lui era l’anti-vangelo, la negazione dei valori più autentici dell’uomo e della fede stessa. Quando nel 1984, con un gesto allora clamoroso, da vicario generale decise la sospensione dei festeggiamenti patronali a Lazzàro, perché la mafia aveva rapito Vincenzino Diano, un bambino di undici anni, l’omelia che tenne in piazza divenne un vero manifesto ecclesiale contro la ‘ndrangheta: Nasce lì, sui banchi del Panella, quel gruppo di giovani amici che poi via via negli anni darà vita alle case-famiglia, alle comunità di accoglienza, alle cooperative di lavoro, alla rete di famiglie affidatarie. Servizi per i disabili, i dimessi dall’ospedale psichiatrico, le ragazze-madri, i minori a rischio. Esperienze diffuse sul territorio, anche nei centri più piccoli e poveri della diocesi reggina, perché dovunque - insisteva don Italo - la solidarietà può e deve diventare prassi, stile di vita diffuso. Amava ripetere spesso il titolo di un libro di Arturo Paoli, Camminando s’apre cammino: e mi sembra esprima bene il suo percorso esistenziale. La scelta dei poveri non era per lui “Abbiamo trovato difficoltà, contrasti, un fatto ideologico o politico, un piano astratto studiato a tavolino, ma il modo ma sempre abbiamo aperto, abbiamo accolto, concreto di vivere il vangelo, accanto a abbiamo amato: questa è preghiera” chi fa fatica, con la capacità di “spostare “Quella gente oggi in mezzo a noi esprime il pole tende sempre più in là”. Man mano che si incontravano i problemi e so- tere di Satana, il regno del male”. E altro che uoprattutto le persone reali. Perciò la sua casa era mini d’onore: “I mafiosi non sono uomini. I mafiosempre aperta a tutti, così come il suo ufficio in si non hanno onore”. Curia (don Italo, oltre che parroco nel paesino di Il suo lavoro in mezzo alla gente lo portò spesso San Giovanni, sulle pendici aspromontane, fu an- a incrociare le vittime di mafia, le storie di chi che vicario generale della diocesi). cercava di uscirne, ma anche a confrontarsi a Secondo una sua precisa regola di vita: “Non si muso duro con boss e uomini delle cosche. E, fa mai l’elemosina, neppure di una parola buona. soprattutto negli ultimi anni, a sostenere le Si condivide”. esperienze di resistenza alla mafia che nasceNon più la carità deformata a paternalismo o, vano nei quartieri, nelle scuole, nelle associapeggio, a strumentalizzazione del bisogno. Ma la zioni giovanili. “Serve una reazione nonviolencondivisione, che significa farsi carico, accom- ta”, ripeteva, “una nonviolenza forte, coraggiopagnare. E le opere, quando nascono, vanno sa, perché il vangelo è questo, non le interpretazioni sdolcinate che ne danno”. Era questa la sua spiritualità: profonda, mai disincarnata. Che si ritrova nelle parole con cui, pochi giorni prima della morte, don Italo si accomiatò dalla sua comunità dell’Agape: “Io credo che abbiamo pregato in tutta la nostra vita. Ogni volta che Piero Cipriani abbiamo lottato per gli ultimi, ogni volta che ci siaNESSUNO mo fatti carico di nuove situazioni, era il Signore ESCLUSO, MAI che pregava. Abbiamo trovato difficoltà, contrasti, Italo Calabrò prete del Sud, ma sempre abbiamo aperto, abbiamo accolto, abbiamo amato: questa è preghiera”. Credo sia il Edizioni La Meridiana senso più profondo della sua eredità. n n Massimo Vivarelli o sai? Qui c’erano le più grandi e moderne acciaierie d’Italia, le sole in grado di competere, per qualità e produttività, con le migliori d’Europa” mi raccontava il mite Sharo Gambino, scrittore fecondo del fiume Angitola, dei boschi dell’Ancinale…” È questo l’incipit del capitolo I meridionali non hanno cultura industriale del volume Terroni di Pino Aprile, bestseller da - al momento - trecentomila copie, e che sta alimentando dibattiti a non finire e ispirando “traduzioni” teatrali. “Questo era” scrive Aprile “il più grande distretto minerario e siderurgico del Regno delle Due Sicilie e dell’Italia intera. Fu soppresso dal governo unitario, per un grave difetto strutturale: era nel posto sbagliato, nel Meridione”. Dopo l’Unità, è la tesi di Aprile, al Nord furono concentrate tutte le opportunità, “L tanti ostacoli, invece, per il Sud privato molto di quel che c’era. “Gli altiforni di Mongiana, che erano i più grandi e tecnologicamente più avanzati d’Italia, vennero ribattezzati Cavour e Garibaldi (invece che San Francesco e San Ferdinando, dal nome dei re napoletani che li avevano voluti e pagati). E poco dopo furono spenti. Le rotaie che servivano al trasporto dei minerali estratti dalle miniere della zona furono divelte e vendute a peso, come ferro vecchio. L’intero stabilimento fu messo all’asta e ceduto ad un ex sarto, garibaldino, poi divenuto parlamentare e già coinvolto in una colossale truffa ai danni dello stato. Nel prezzo, il maggior valore (i quattro quinti) fu attribuito ai boschi che erano in dote alla fabbrica e non agl’impianti. Un inutile, estremo insulto”. Gli operai, 1.200, furono mandati a casa. Così scoprimmo la ferriera di Mongiana n Gennaro Matacena n un’estate di circa quarant’anni fa, il mio amico Brunello de Stefano Manno, di origine serrese ma trasferitosi a Napoli dove aveva frequentato l’univeristà, mi invitò a passare qualche giorno a Serra San Bruno. Tra le gite nei dintorni, a Mongiana, in quello che ci apparve come il quasi rudere di un edificio neoclassico, “scoprimmo” alcune colonne di ghisa, di fattura e dimensioni inusuali. Informazioni raccolte sul posto facevano riferimento ai resti di una Ferriera, probabilmente borbonica. Troppo poco per soddisfare la curiosità di giovani architetti. Di nuovo a Napoli, consultando testi sulla Storia del Regno delle Due Sicilie, trovammo frammentarie informazioni sul centro siderurgico calabrese. Da successivi sopralluoghi a Mongiana e da iniziali ricerche in archivi, (soprattutto quello militare di Napoli), ci rendemmo conto che la vicenda della Mongiana era stata complessa ed era meritevole di approfondimenti. In effetti era la vittima di una clamorosa, quanto inspiegabile, rimozione storica, tenendo conto che era stata la più importante fonderia del Regno delle Due Sicilie, non meno sviluppata di quelle coeve di Follonica, (poi ILVA), nel Granducato di Toscana, e di un altro paio tra Lombardia e Piemonte. Nella Fabbrica d’Armi calabrese, attiva fino a pochi anni dopo l’Unità d’Italia, si produssero infatti pregevoli fucili e armi bianche. I Eppure gli acciai di Mongiana - lame damascate, carabine di precisione, sciabole e armi - avevano ottenuto, fino ad allora, riconoscimenti e premi in tutte le esposizioni internazionali. Eppure, i mongianesi si erano illusi, all’arrivo dei garibaldini, che mai l’Italia avrebbe potuto fare a meno della loro eccellenza siderurgica. Il governo di Torino scelse, invece, di costruirne di nuovi, più a nord. Così al referendum per l’annessione al Regno di Sardegna, “l’amarezza della Mongiana tradita divenne rifiuto: alle urne si contò una delle più alte percentuali di ‘no’ dell’intera provincia di Catanzaro”. Insomma, il giusto risentimento di coloro che col Borbone erano stati concorrenti dei migliori produttori d’acciaio d’Europa, che avevano reso il regno precedente autonomo nella produzione di armi e di travi per la costruzione dei primi ponti sospesi in ferro d’Italia. A tantissime famiglie toccò emigrare Oltreoceano o verso Nord. “Ma la voglia di ferro e la capacità di lavorarlo resistettero”. È incredibile, ma oggi a Lumezzane, cinquecento mongianesi con l’ondata migratoria di un secolo dopo, negli anni Sessanta, si trovano a lavorare nelle fonderie del Bresciano. E lì la vera Mongiana, quella originale è ridotta a “Mongianella”. Sulle ferriere e sul loro glorioso passato, progressivamente era caduto un velo, per non dire una coltre, di dimenticanza. Sono stati due giovani architetti, mezzo secolo fa, ad incuriosirsi davanti a due colonne di ghisa, che oggi è possibile ridare vita e memoria a Mongiana, così come racconta Gennaro Matacena nella testimonianza che segue. L’ingresso della fabbrica d’armi come appariva nel 1975 ed ora dopo il restauro L’architetto Gennaro Matacena racconta la quarantennale storia del restauro, a lui affidato, della Regia Fabbrica d’Armi riportata alla luce dopo una clamorosa, quanto inspiegabile, rimozione storica Accertammo infine che le colonne di ghisa che ne decorano l’accesso, che tanto ci avevano sorpreso, erano state fuse a Mongiana nel 1852, e rappresentavano uno dei primi tentativi nell’architettura italiana di uso dell’acciaio come elemento strutturale. Tanto bastò. Proponemmo al sindaco di Mongiana, il cavaliere Vincenzo Rullo, (che era anche direttore amministrativo del Corpo della Forestale) di avviare il restauro della Fabbrica, (all’epoca prevalentemente privata, trasformata in abitazioni e depositi agricoli), per destinarlo a museo della siderurgia della Calabria che avevamo scoperto - era attiva già dal Medioevo. Il restauro cominciò nel 1972… Dopo quasi quarant’anni, sta infine per concludersi, proprio mentre a guidare il Comune di Mongiana è la dottoressa Rosamaria Rullo, figlia del sindaco con il quale avviammo l’impresa. In questi decenni, gli altri due sindaci che si sono succeduti Mongiana, al di là del loro schieramento politico, hanno dato il loro contributo per completare il restauro: Gesualdo Campese e Vito Scopacasa, nipote del parroco Scopacasa, autore dell’unico articoletto che, agli inizi della nostra avventura, ci informava dell’esistenza della Ferriera di Mongiana. Finanziamenti a singhiozzo e problematiche di varia natura (amministrative e ambientali) hanno rallentato e reso complesso il recupero di questa importante testimonianza di archeologia industriale italiana, caratterizzata anche da problematiche specifiche inerenti al delicato rapporto tra restauro filologico e consolidamento strutturale antisismico, nonchè il recupero di tipologie costruttive connesse alle attività produttive, e di cui si erano perse tracce. La Mongiana ha dunque attraversato la mia attività professionale lungo quattro decenni, cadenzato da numerose interruzioni e conseguenti momenti di sfiducia. Spesso, ho temuto di non riuscire a vedere terminato il recupero della Fabbrica e l’apertura del Museo nel quale raccogliere armi e documenti, testimonianze concrete dell’alto livello artigianale e tecnologico raggiunto da generazioni di operai. Ho potuto superare i momenti di scoraggiamento grazie all’interesse sempre crescente manifestato verso la storia della Mongiana e, più in generale, per l’industria calabrese preunitaria, che seppe trasformare le sue risorse, minerarie e agricole, in prodotti di ampio consumo, (seta, zucchero da cannamela, olio, conservazione del tonno, liquirizia, e altro ancora). L’apertura del Museo della Fabbrica d’Armi rappresenta per i calabresi un impegno morale a “fare qualcosa” che serva testimoniare il lavoro degli operai della Mongiana - minatori, carbonai, fonditori - la cui abilità fu premiata in esposizioni e fiere, nel Regno e in altre nazioni europee. n 8 ANNIVERSARI ANNO VI - N. 12 - Aprile 2011 9 ANNO VI - N. 12 - Ottobre 2010 DIPINTI E SCULTURE MEMORIA DI UN GRANDE EVENTO Da qualche anno un gruppo di ricerca guidato da Giovanna Capitelli, professore associato di Storia dell’arte moderna dell’Università della Calabria, indaga la cultura artistica dell’Ottocento in Calabria e dunque anche il contributo degli artisti calabresi al Risorgimento italiano. Un ricco volume sull’argomento, illustrato da una campagna fotografica di Giulio Archinà, sarà in libreria nel prossimo dicembre Il Risorgimento e le arti in Calabria Domenico Russo, Garibaldi e Roma, 1862, Napoli, Museo Nazionale di San Martino Andrea Cefaly, La battaglia di Legnano, Catanzaro, Museo Marca Un incontro con Giuseppe Verdi asseggiavamo un giorno, sulla celebre striscia bianca, avanti palazzo reale di Napoli, ed eravamo io, Achille Martelli, il povero Saro Cucinotta (che fu fucilato poi al tempo della Comune di Parigi), l’incisore Micale e, mi pare, anche De Bartolo», così inizia il racconto dell’incontro «P fortuito con Giuseppe Verdi di Andrea Cefaly, narrato in una lettera inviata dal pittore a Francesco Jerace il 7 aprile 1897. È il 1857-58 quando, per le strade di Napoli, un gruppo di giovani studenti di Belle Arti, tra cui il giovane Cefaly, s’imbatte nel maestro, presentandosi con ammirazione Andrea Cefaly, artista e patriota ell’ambito delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia e del progetto “Italia Unita, Musei Uniti”, il riallestimento degli spazi espositivi di un’ala del Museo MARCA di Catanzaro si configura come un’occasione per accostarsi a un gruppo di opere permeate degli ideali risorgimentali. L’esposizione dal titolo “Andrea Cefaly pittore e patriota”, a cura di Manuela Alessia Pisano e Maria Saveria Ruga, è infatti dedicata ad una delle figure più significative della scena artistica calabrese ottocentesca e sebbene contenuta nel numero, è significativa per la comprensione di mode e gusti del Mezzogiorno risorgimentale. Nato nel 1827 a Cortale (CZ) da una nobile famiglia di ricchi possidenti, N Andrea Cefaly frequenta l’ambiente napoletano sin dalla più giovane età maturando una spiccata propensione per la pratica artistica. La scena della città partenopea della seconda metà del XIX secolo era piuttosto vivace, con personalità quali Filippo e Nicola Palizzi, Domenico Morelli, Michele Cammarano, Vittorio Imbriani. La mostra si apre con il celebre Autoritratto del 1860 che, attraverso uno sguardo che è finestra sul mondo interiore, introduce il visitatore al grande carisma e all’eccezionale tempra morale del pittore-patriota cortalese. Il percorso espositivo prosegue con l’Autoritratto in divisa garibaldina che testimonia, in una chiave pittorica innovativa, il suo Andrea Cefaly, Campagna del Volturno,1860/61, Reggio Calabria, Pinacoteca Civica e riconoscendo in lui uno dei principali emblemi del patriottismo risorgimentale. È noto come i temi cantati da Giuseppe Verdi - il cui stesso cognome divenne, nel motto Viva Verdi, acronimo di Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia - non mancarono di far sentire la loro influenza nella scelta dei impegno civile e la sua adesione alle istanze di repubblicanesimo risorgimentale mazziniano. Si continua con il Bivacco di garibaldini in cui, con evidenti richiami al naturalismo di matrice palizziana e alla nascente tecnica della macchia, si dà conto di uno squarcio di vita militare in un momento di pausa tra una battaglia e l’altra. La mostra è, inoltre, arricchita da due importanti inediti. Sono i due disegni di soggetto allegorico-politico, provenienti dalla collezione Russo, che s’inseriscono nel percorso espositivo ad ulteriore riprova della centralità dell’impegno risorgimentale nella vita sociale e artistica di Cefaly. Accanto ad essi è il monumentale Bruto che condanna i figli del 1863, quadro d’impostazione mancinelliana, esaltazione degli ideali di patriottismo e democrazia e soggetto iconografico soggetti degli artisti patrioti. La stessa Battaglia di Legnano (Catanzaro, MARCA), dipinta da Andrea Cefaly, non può che essere letta in relazione all’omonima opera messa in scena da Verdi nel 1849 - su libretto del napoletano Salvatore Cammarano - dedicata ad uno dei temi divenuti simbolo della lotta per l’indipendenza, inserendosi nel filone storico di stampo patriottico caro alla pittura del Risorgimento. Maria Saveria Ruga, Università di Pisa che gli consente di assecondare le sue inclinazioni ideologiche repubblicane. Ed infine la Battaglia di Benevento dei primi anni ‘70, di ispirazione morelliana, con la quale rievoca una delle più gloriose battaglie dell’Italia meridionale, concausa della perdita di indipendenza per il Regno delle Due Sicilie, e la tela di Chi compra Manfredi? che celebra l’eroica epopea del giovane re di Sicilia. Con la mostra dedicata ad Andrea Cefaly sarà possibile ripercorrere la vicenda di tanti artisti patrioti che si mobilitarono per la strenua difesa della libertà, oltre che approfondire quella di uno dei maggiori protagonisti e testimoni in pittura delle vicende del Risorgimento meridionale. Manuela Alessia Pisano, Università della Calabria Giuseppe Scerbo, passione per l’arte e ideale di patria epopea risorgimentale che infiamma la Calabria tutta, trova la sua espressione nell’opera dello scultore Giuseppe Scerbo (Polistena 1844 - Reggio Calabria 1902), straordinaria combinazione tra la passione per l’arte e l’ideale della patria. Scerbo scolpisce la statua del generale Francesco Stocco (1806-1880) in Catanzaro, un eroe calabrese tra i mille partiti da Quarto al fianco di Garibaldi, e in seguito generale maggiore nell’esercito e poi deputato nel Parlamento. L’opera, inaugurata nel 1898 per volere della cittadinanza e della provincia, rappresenta il culmine della produzione scultorea civile di questo artista, sia per la tecnica che per il grado di espressività raggiunto. Nel marmo, Scerbo condensa gli elementi distintivi di un combattente tra i più valorosi nella regione; sceglie di rappresentare un momento di vita privata, in cui il generale stringe nel pugno un telegramma recante notizie negative su un’insurrezione da lui organizzata. La cura dei dettagli con cui Scerbo celebra il personaggio, si coglie nella collera del gesto della mano e nella forte idealizzazione dello sguardo, ed è legata ai ricordi della sua giovinezza, quando partecipa ai moti, tra le fila del generale Stocco, insieme a molti altri artisti come i pittori Andrea Cefaly e Antonio Migliaccio. La figura di questo scultore mostra interessanti sviluppi, ancora da indagare per molti aspetti. Si forma nella bottega dei Morani a Polistena, poi all’Accademia Napoletana negli anni ’70 dell’800, e lavora ininterrottamente fino alla morte a Reggio Calabria, rimanendo così confinato nell’ambito artistico regionale. Tra le sue opere suscita particolare interesse un filone di marmi post-risorgimentali, dove ritrae personaggi impegnati nei moti e nelle lotte per l’Unità, che include la statua a Stocco, il busto a uno dei fratelli Plutino a Reggio Calabria e la statua del martire risorgimentale Battista Falcone ad Acri. I caratteri distintivi dello stile di Giuseppe Scerbo si consolidano nelle opere di Acri e Catanzaro; per fermare il pathos del soggetto e trasmetterlo al fruitore, l’artista utilizza vicende del personaggio, ricordi privati o pubblici, che costituiscono un nesso tra l’opera e lo spettatore, capace di rafforzare il valore dell’arte come mezzo di comunicazione di ideali e sentimenti al popolo. L’ Graziella Staltari, Università della Calabria Giuseppe Scerbo, Monumento al martire Battista Falcone, 1888, Acri, Piazza Vittorio Emanuele III Foto Giulio Archinà Garibaldi, sogno e tradimento a Calabria, con i suoi pittori-patrioti e i suoi scenari paesistici, entra di diritto nel patrimonio artistico e visivo del Risorgimento almeno attraverso due dipinti di straordinaria importanza per la nazione in fieri, due opere capaci di raffigurare la portata simbolica del sogno garibaldino e il suo repentino tradimento. La prima è un ritratto allegorico di Garibaldi eseguito nel 1862 da un (ancora troppo poco noto) artista di Nicotera, Domenico Russo. Il suo titolo è Garibaldi e Roma: un pezzo visionario che, specie a confronto con la sterminata e spesso monotona iconografia garibaldina, rappresenta una testimonianza pittorica di eccezionale elaborazione formale. La seconda è La discesa d’Aspromonte di Gerolamo Induno, un grande quadro di storia contemporanea che raffigura la discesa dei Garibaldini dalla montagna all’indomani dello scontro con i Bersaglieri del Regno d’Italia: l’episodio che notoriamente aveva bloccato l’avanzamento del gruppo del generale verso Roma. L’opera, presentata a Brera nel 1863 e subito amata dal pubblico, fu argomento di grande discussione, così come lo era stata nell’agosto del 1862 la notizia del ferimento e dell’arresto di Giuseppe Garibaldi per mano italiana. L “La sventura di Aspromonte: il più lugubre avvenimento che abbia contristati i primi anni del Risorgimento italiano” rappresentò infatti per una parte dell’opinione pubblica un fatto da cancellare per sempre dalla storia scritta, dipinta e parlata. L’opera di Gerolamo Induno ne offrì invece una pacata rievocazione, lontana dalle polemiche e incredibilmente intensa. Lo notarono molti contemporanei, fra cui Camillo Boito che scrisse: “Quelle sue figure… scendono meste, pensose e tacite, perché i grandi dolori amano il silenzio”. Sostenuto da una barella di pronto soccorso, Garibaldi emerge tra la folla dei suoi soldati come un Cristo doloroso ma paziente, un eroe sereno e incapace di provare amarezza. Lo accompagnano i suoi fedelissimi: il figlio Menotti, il dottor Ripari, Enrico Cairoli, Francesco Nullo, Enrico Guastalla, lo stesso pittore. Lo salutano le donne e i contadini calabresi, che accompagnano la triste discesa verso il mare con gesti di accoglienza e di affetto. Giovanna Capitelli, Università della Calabria I temi patriottici entrano anche nel repertorio della pittura di genere, vestendosi di significati diversi alle varie latitudini dell’Italia. Migliaccio e Lenzi appartengono al giro più stretto dei sodali di Andrea Cefaly, prima a Napoli, poi a Cortale Gerolamo Induno, La discesa d’Aspromonte, 1863, Collezione Terlizzi Eduardo Fiore, originario di Sambiase, è una figura più isolata, ma di estremo interesse per le sue ricerche demo-etnografiche, che qui emergono nella rappresentazione della casa borghese e dei costumi delle donne Tra delusione e impegno sociale Giovanni Pacchioni, Monumento alla Libertà, 1878, Cosenza, Piazza della Prefettura La statua cosentina è una delle prime testimonianze in Calabria della ‘monumentomania’ postrisorgimentale. Lo scultore, bolognese, aveva fatto parte della spedizione dei fratelli Bandiera nel 1844, per la quale aveva scontato lunghi anni di reclusione Eduardo Fiore, La bandiera italiana, collezione privata? Foto Giulio Archinà Michele Lenzi, Il ritorno del garibaldino, 1861, Napoli, collezione del Comune el 1866, Andrea Cefaly presenta alla IV esposizione della Società promotrice di Belle Arti di Napoli un dipinto di contestazione in aperta polemica con la politica dell’Italia unita. L’opera era registrata nel catalogo con il titolo Il miglior modo di viaggiare in Calabria (Napoli, Museo Civico di Castel Nuovo), insieme all’annotazione del proposito dell’autore di dedicare il dipinto al Ministro dei Lavori Pubblici per denunciare lo stato della viabilità calabrese. Inviato a Napoli ed affidato alle cure di Filippo Palizzi, il quale intervenne direttamente sulla tela ritoccandone l’intonazione luministica del fondo, l’opera suscitò non poco scalpore, ma riscosse i favori del politico calabrese Giovanni Nicotera - impegnato nel migliorare le vie di comunicazione della regione - che lo fece acquistare dal Municipio di Napoli. Il dipinto costituisce la prima opera di Cefaly di dichiarato impegno sociale che riflette l’interesse crescente dell’artista per le questioni civili, un’inclinazione già espressa nel suo non lontano passato da garibaldino - acuitasi negli anni del forzato rientro in Calabria, nel 1862, per motivi familiari - preludio del suo attivismo politico. N Antonio Migliaccio, Garibaldini in osteria, Napoli,Museo Nazionale di Capodimonte Andrea Cefaly, Il miglior modo di viaggiare in Calabria, Napoli, Museo Civico di Castel Nuovo Cefaly insiste sul tema anche nella V Promotrice del 1867-68, esponendo due dipinti: Il Commercio di Calabria: senza ponti, senza strade e coi briganti! e La ferrovia promessa dal ministero Italiano pel 1867 è rimasta in aria - rintracciata nella collezione della Banca d’Italia a Catanzaro - insieme a I Calabresi, veduto ch’è inutile lo sperare più strade, tentano mettersi in relazione con gli altri popoli affidandosi ad un pallone spinto da un razzo volante. Confusi dalla critica con la tela presentata alla IV Promotrice, per il soggetto ed i titoli, questi due lavori costituiscono una naturale prosecuzione della polemica con essa innescata. Le due opere furono aspramente criticate da Vittorio Imbriani e Carlo Tito Dalbono, insistendo sull’invito al pittore di occuparsi di pittura e non, attraverso l’arte, di politica. Questa stroncatura ed il conseguente richiamo di Filippo Palizzi a rientrare al più presto a Napoli - per non prolungare la “lontananza dalla fucina rivoluzionaria dell’arte” - giunto a Cefaly con una missiva del marzo del 1868, indussero poi il pittore di Cortale ad abbozzare una lettera di autodifesa, pubblicata da Alfonso Frangipane, indirizzata allo stesso Imbriani: “Non essendo, né scrittore (di buona qualità) né giornalista, né storico, né Poeta come dovrei esprimere a gl’Italiani fratelli, le sofferenze di noi altri Calabresi?... E tu, perdona, che ‘l dica, tu come garibaldino, figlio di un famoso patriota avresti dovuto riguardare i miei brutti lavori dal lato solo della mia buona intenzione, tramandando… il giudizio sull’Arte». Maria Saveria Ruga, Università di Pisa 10 ANNO VI - N. 12 - Aprile 2011 11 ANNO VI - N. 12 - Ottobre 2010 STORIA TEATRO CINEMA MUSICA La Calabria e i fermenti unitari n Saverio Musolino artecipò la Calabria ai moti risorgimentali? Che ruolo ebbero i patrioti calabresi nel processo che portò all’unificazione della penisola? Scarso o nullo, a giudicare dallo spazio riservato dai testi di storia per la scuola. Bene che vada, si citano i fratelli Bandiera, ufficiali veneziani che in Calabria trovarono solo la morte. Di Calabria se ne parlerà dopo l’unità, per mettere in risalto gli aspetti - negativi legati al brigantaggio, fenomeno sul quale si ritiene, erroneamente, affondi le radici il fenomeno mafioso. Invece, contrariamente a quanto rappresentato dalla storiografia ufficiale, la Calabria, nella storia risorgimentale, ebbe un ruolo di primo piano, sotto il profilo della cospirazione, dell’azione e del pensiero. Proprio a Pizzo, nacque e operò Benedetto Musolino (da non confondere con l’omonimo e più famoso brigante, nato alla fine dell’800, in epoca post-unitaria), che discendeva da una famiglia di patrioti che già nel 1799 avevano abbracciato le idee egalitarie e illuministiche della Repubblica Partenopea e per questo avevano subìto la rappresaglia delle orde del Cardinale Ruffo, nella sua crociata volta a far riconquistare il Regno al Borbone spodestato. Benedetto Musolino fondò la setta segreta dei Figlioli della Giovane Italia, cui aderì subito Luigi Settembrini e il giovanissimo Giovanni Nicotera, nipote del fondatore. Fu questa l’unica Giovane Italia diffusa nel Meridione (come attesta lo stesso Settembrini nelle Ricordanze), che era non solo distinta ma addirittura contrapposta a quella del Mazzini, cui ingiustamente - ed erroneamente - Benedetto Musolino ancora taluno attribuisce la paternità. Nel 1848, dopo che il Re Ferdinando II aveva abiurato la concessa Costituzione, fu proprio in Calabria che fu organizzata la più vibrata reazione, che portò alla formazione a Cosenza di un Governo provvisorio rivoluzionario, guidato dal Ricciardi, al quale prese parte anche il cosentino Domenico Mauro, oltre al Musolino. È in Calabria che avvennero gli scontri più sanguinosi con le milizie borboniche, come la battaglia dell’Angitola e l’eccidio di Pizzo nel 1848. Per non dimenticare il sacrificio di Domenico Romeo e dei cinque martiri di Gerace. I patrioti calabresi, dopo che fu sedata la rivoluzione con la repressione borbonica, combatterono anche a Roma nel 1849 (Musolino e Nicotera), al fianco di Garibaldi e quindi a Venezia. Seguirono dieci lunghi anni di esili e di galere borboniche, ma mai essi smisero di cospirare, tanto da congiungersi a Garibaldi nell’impresa dei Mille. Si distinsero Giovanni Nicotera, Francesco Stocco e Benedetto Musolino il quale, la notte dell’8 agosto 1860, su disposizione di Garibaldi, attraversò lo Stretto al comando di 200 uomini, a bordo di piccole barche, approdando a Santa Trada, nei pressi di Villa S. Giovanni, spianando così la strada al Dittatore, che sbarcherà una decina di giorni dopo a Melito. La vicenda, ignorata dai testi di storia in uso nelle scuole, è testimoniata da una fitta corrispondenza, custodita nell’archivio Musolino, con la quale il Dittatore, dalla Sicilia, impartiva le direttive in vista del suo arrivo. Tutto questo fermento prova non solo la partecipazione della Calabria ai moti unitari, ma attesta altresì che questa Terra, ai primi dell’‘800, non era affatto, sotto il profilo culturale, la cenerentola che si vuol far credere. P L’attore Gregorio Calabretta ripropone con il suo spettacolo un quesito irrisolto: l’Unità d’Italia per il Sud significò annessione, perdita di identità, emigrazione forzata? Le opinioni degli studiosi a confronto n Giuseppe Chiellino C’ è chi ha celebrato in Calabria il 150° anniversario dell’Unità d’Italia con uno spettacolo che mette a soqquadro i libri di storia e i loro personaggi. S’intitola Aspettando, ancora, Garibaldi, allestito da Gregorio Calabretta, autore, regista e attore calabrese autodidatta, originario di Stallettì. È un “viaggio in Calabria dall’Unità d’Italia ad oggi” che seduce lo spettatore, giocando con il dialetto e con le immagini per raccontare “ciò che i libri di scuola non dicono sull’Unità”. E lo fa attraverso la storia di tre generazioni di una famiglia calabrese, dall’arrivo dei garibaldini nel 1860 all’eccidio dei braccianti di Torre Melissa che reclamavano le terre, nell’Italia repubblicana del 1949. Un testo che, spiega l’autore, “fonde in un’unica trama i racconti di tre scrittori, Leonida Répaci (La marcia dei braccianti di Melissa), Francesco Perri (Emigranti, 1928) e Saverio Strati (Mani vuote) che nel corso del ‘900 hanno affrontato il dramma delle lotte dei contadini del Sud e dell’emigrazione massiccia che ha svuotato campagne e paesi del Mezzogiorno. “La sconfitta più grande per noi meridionali causata dall’Unità - afferma Calabretta in un dialogo immaginario con Garibaldi - è stata la perdita della nostra identità culturale, il senso di appartenenza che rende gli uomini orgogliosi della propria terra. Vi sono due modi per cancellare l’identità di un popolo: il primo è di distruggere la sua memoria storica, il secondo è di sradicarlo dalla propria terra. Noi meridionali li abbiamo subiti entrambi”. “Sono punti di vista di una vulgata ricorrente - osserva Sergio Luzzatto, docente di Storia moderna all’Università di Torino - ma nella vulgata non c’è solo storia d’accatto. In questo caso, non è tutto falso. Tutt’altro”. A parte il giudizio su Garibaldi, che Luzzatto non ha problemi a definire un “avventuriero generoso, ma poco accorto e di scarse vedute”, lo storico individua nella repressione “indiscriminata e senza prigionieri” del brigantaggio “la ferita più grave del Risorgimento, che non si è mai rimarginata del tutto”. ASPETTANDO ancora GARIBALDI Non c’è dubbio, secondo Luzzatto, che “l’Italia che portava i medici, le scuole, il sistema metrico decimale nell’ex Regno di Napoli portasse anche tante altre cose che sono sparite dai libri di storia”. Un grande esperto di storia risorgimentale e del Mezzogiorno, Giuseppe Galasso, autore tra l’altro della Storia del Regno di Napoli, è prudente nelle critiche al processo unitario condotto con la regia di Cavour. “È vero che le casse del Regno delle due Sicilie erano piene di soldi che sono serviti ai Savoia per riequilibrare i conti dello Stato. Ma era una ricchezza inerte. Improduttiva”. Una prova? “Nel 1860 in tutto il Regno di Napoli c’erano non più di 110 km di ferrovie. In Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto occidentale ce n’erano 1.500”. Nel dibattito s’inseriscono, non senza una venatura polemica, i monarchici. “Lo scenario rivendicativo meridionalista è poco credibile”, afferma Alberto Casirati, presidente dell’Istituto della Reale Casa di Savoia. “È un fatto storicamente accertato che le sorti del Regno borbonico erano affidate ad una classe dirigente composta in massima parte da corrotti e da traditori, come dimostra la repentina decomposizione del Regno dopo lo sbarco dei Mille a Marsala”. E aggiunge: “Come ogni esperienza umana, anche il nostro Risorgimento ha avuto le sue ombre, ma non v’è dubbio che abbia costituito per il Sud un’occasione vera di sviluppo. Se ne ricordarono bene, solo 86 anni dopo, i cittadini meridionali quando votarono a grande maggioranza a favore della Monarchia sabauda nel referendum istituzionale”. Miguel Gotor, docente di storia all’Università di Torino non è sorpreso dalla “riemersione carsica” degli argomenti antirisorgimentali, ma li etichetta come “retorica del ribaltonismo”. Secondo lui “era fatale che ai localismi ‘leghisti’ che trovano una definizione nella questione settentrionale, giungesse una risposta identitaria dal Mezzogiorno”. Gotor fa riferimento al “fenomeno” Lombardo in Sicilia, ma anche alla difficoltà di Pdl e Pd a rappresentarsi come partiti nazionali al Sud. “È normale che ciò accada quando tutto il Paese vive un momento di difficoltà, quando c’è, come oggi, una crisi economica mondiale e si fatica a comprendere quale sarà il ruolo internazionale dell’Italia, anche dal punto di vista del prestigio economico”. E tuttavia non serve a niente creare “il mostro-Sud proprio nel momento in cui l’industria del Nord non ha più bisogno della manodopera meridionale”. Il Sud non è tutto uguale e i meridionali devono essere aiutati a “non stare fermi”, per usare l’immagine dello spettacolo di Calabretta. Ciò significa “valorizzare ciò che c’è di buono, tagliare i legami con la criminalità organizzata e affermare il buon governo della cosa pubblica”. n Racconti di un Sud da amare (malgrado tutto) Cataldo Perri medico, amministratore comunale, ma soprattutto cantautore, torna con un nuovo disco, sintesi di memorie lontane e di umori contemporanei n Gianluca Veltri sei anni da Bastimenti, torna Cataldo Perri, il cantastorie di Cariati. I suoi lavori hanno una gestazione lunga, ma poi sono molto longevi. Guellarè è il titolo del nuovo lavoro di Perri, il quale, oltre a essere un artista conosciuto in mezzo mondo e un virtuoso della chitarra battente, è medico condotto nel suo amato paese jonico ed è reduce da un’esperienza come assessore e vicesindaco che lo ha molto impegnato. Rotte Saracene, il suo primo disco, nel 1992, narrava una storia remota, quella di Laura, la bella cariatese rapita dai turchi nelle loro incursioni, nel 1540, A sulle nostre coste. Bastimenti, del 2005, metteva in musica un’epopea, quella della diaspora di migliaia di braccia calabresi nelle Americhe, dei loro sogni e delle speranze di cambiamento; raccontava l’emigrazione attraverso la storia argentina del nonno Michele. Guellarè, la fatica più recente di Cataldo Perri, ribolle di melodie maghrebine, tanghi e tarantelle, preghiere cristiane e musulmane. Affronta temi diversi e complessi: gli sbarchi delle carrette del mare, l’invadenza mafiosa, la piaga delle “morti bianche”, il rapporto figli-genitori dentro relazioni familiari tipiche del Sud. Insomma, pubblico e privato. Lo specchio deformato, ma non troppo, di Cetto La Qualunque Nelle sale cinematografiche ha spopolato Qualunquemente, film-parodia dei peggiori vizi di un certa classe politica: arrivismo, ignoranza, disprezzo delle regole n Enzo Natta Q ualunquemente di Giulio Manfredonia, cosceneggiato e interpretato da Antonio Albanese, presentato nella sezione “Panorama” del 61° Festival di Berlino, è stato accolto dal commento pressoché unanime della stampa straniera, che, pur nella sua chiave grottesca, l’ha visto come uno specchio fedele delle vicende politiche italiane. Giudizio condivisibile? Forse, in questo caso, bisognerebbe tirare in ballo Majakovskij, quando diceva che il cinema e il teatro non sono lo specchio della società, bensì la loro lente d’ingrandimento, spesso deformante. Giudizio che ben si addice a Qualunquemente, cronaca di una produzione annunciata dopo il successo raggiunto dal personaggio di Cetto La Qualunque, nato in Rai nel 2003 all’interno del programma Non c’è problema fino a conseguire un largo consenso di pubblico con la Gialappa’s band nel programma Mai dire domenica, rafforzatosi ulteriormente con la partecipazione a Che tempo che fa di Fabio Fazio. Cetto La Qualunque è un “miles gloriosus” del nostro tempo, imprenditore calabrese, corrotto, depravato, spudoratamente ignorante e tronfiamente incolto, sprezzante di ogni valore, dall’onestà alla dignità, dalla famiglia alle regole basilari della democrazia, dal rispetto dell’ambiente a quello della donna, ritenuta niente di più di un famelico oggetto del desiderio e di un protervo consumo usa e getta. È l’immagine restituita dalla lente d’ingrandimento di un deprecabile tipo di comportamento all’interno Gli attori protagonisti di Qualunquemente Guellarè è un termine arabo che significa “bambino”, ripescato da Perri nel pozzo della sua memoria infantile. “He Guellarè, màmmita ha fatti i cudduredd, era l’incipit di una cantilena con la quale ci prendevamo in giro da ragazzini”, ricorda. Quello scherno torna oggi come una tenerezza, ma anche come un simbolo di ricchezza culturale. La parola “guellarè” diventa una testimonianza delle contaminazioni fra i popoli del Mediterraneo, l’eredità di una parentela. “La Calabria”, ricorda il cantautore, “è stata crocevia di tanti saperi e in un brano di musica di tradizione è racchiusa la storia di un popolo”. Il mio Sud è il brano iniziale del disco, quello che forse con più dolorosa verità racconta i mali della Calabria: “il degrado urbanistico e ambientale, l’incivile giogo della criminalità organizzata”, riassume Perri, da sempre in prima linea nelle iniziative civili, negli ultimi tempi anche come amministratore. Guellarè ha molto impressionato Renato Marengo e Michel Pergolani, i due celebri dj conduttori della trasmissione “Demo” su Radio Uno, che hanno dedicato uno speciale interamente a Perri, per l’anteprima di Guellarè. “Il cd di un’artista che ci colpisce e ci stupisce”, dicono, “che ci invade il cuore e ci strizza l’anima”. Il medico-cantastorie vive a Cariati a pochi metri dal mare. Lo Jonio, la sua risacca, i suoi profumi, gli fanno compagnia da sempre. “Le voci animate del tessuto politico e sociale, dicevamo, che fa risaltare la materia deformandola ed esasperandola con tratti quanto mai grotteschi e paradossali, accentuati da una scenografia di contorno e da costumi che ne acuiscono il tratto fino a dilatarsi nella buffoneria. Nel bel mezzo di questo “décor”, come monarca assoluto trionfa il personaggio di Cetto. Che fa strame di tutto: affetti, sentimenti, doveri civici e familiari, onore, integrità morale, galateo, siti archeologici, aree protette e chi più ne ha più ne metta. Ma, nel passaggio dalla ribalta televisiva al cinema, non basta allungare il brodo aggiungendo acqua (come la proverbiale minestra del convento) perché una macchietta si trasformi in un carattere. Su un’idea (e quella di Cetto La Qualunque al momento è soltanto un’idea) bisogna spalmare una storia perchè uno sketch si converta in una sceneggiatura dall’ossatura ben articolata e questa in un film. Condizione che non trova compimento in Qualunquemente, sfilacciato e ripetitivo collage di siparietti fine a se stessi, dove tutto è prevedibile, dove ogni scena annuncia e anticipa quella successiva e dove la regia non va mai al di là di un accompagnamento che si limita a rassettare il poco di cui dispone. Con un traguardo finale preventivato in venti milioni di euro, ogni appunto e ogni rilievo rischiano comunque di risuonare come un’eco spuntata, ma anche il più soddisfacente successo potrebbe esaurirsi in uno sfogo generalizzato e qualunquista, esito finale di un’inutile polemica senza destinatario quando il bersaglio è così vago e impreciso da scomparire ancor prima di poter prendere la mira. Con un paese in affanno e una ripresa economica in stallo l’evasione consumata fra la burletta e la canzonatura ha le gambe corte e non può andare molto lontano. Rischia di non colmare lo iato fra la politica e la satira e di fermarsi a metà strada. Come ha fatto con Qualunquemente. Il senso del ridicolo che procede sottobraccio alla costante amoralità di Cetto La Qualunque non si traduce in disprezzo, ma in compiaciuta tenerezza, che se insistita si fa complicità e che, in una perversa forma di torsione verso il basso, la rende prigioniera della stessa volgarità che inizialmente avrebbe voluto bollare. Eppure, qualche bella trovata, per palati fini, non manca. Per esempio il gemellaggio di Marina di Sopra con Weimar, la repubblica che per la sua inettitudine e l’incapacità di reagire generò il nazismo. Ma l’effetto, così isolato e subito rimosso, è quello di una cattedrale nel deserto. n MA LA CALABRIA NON SI VEDE Eppure il film ha ricevuto i contributi della Regione L a cosa che più ha sorpreso è che il film sia stato prodotto con l’ausilio economico e logistico della Film Commission Calabria che ha versato alla Fandango 25.000 euro. In cambio, la promozione turistica della Calabria è stata realizzata con due fondamentali inquadrature: l’ingresso dell’aeroporto di Lamezia Terme (appena riconoscibile da chi lo frequenta) e il pilone di Santa Trada. Ciliegina sulla torta, esclusione di tutti gli attori calabresi convocati per il casting. “Appaiono sconcertanti” ha dichiarato Antonio Caputo, consigliere regionale Pdl, le dichiarazioni sul film di Albanese fatte sulla stampa da Francesco Zinnato, presidente (non riconfermato dalla nuova Giunta, N.d.R.) della Film Commission Calabria in base alle quali si ritiene quasi doveroso fare delle criticità calabresi il messaggio promozionale di questa regione”. E a proposito di criticità, il ricordo corre allo spot confezionato, con ben altri sostanziosi costi, da Oliverio Toscani, qualche anno addietro. L’allegra brigata dei giovani selezionati, gioiosamente proclamava, per quel che ricordiamo, “siamo calabresi, siamo mafiosi”. Ma, obiettivamente, improponibile il confronto con Cetto. dei pescatori, le loro storie, la loro ironia”, ricorda. “Il peso del loro lavoro e gli sforzi per difendere la dignità. Ricordo quando trovavo sulla nostra infinita spiaggia quintali di pesce azzurro buttato con rabbia dai nostri pescatori per gridare ‘no’ ai prezzi mortificanti che voleva imporre il racket del pesce”. Quel sussulto di coscienza dei pescatori cariatesi gli ha ispirato il brano Controvento. Ancora una volta ad accompagnare Cataldo Perri sono gli straordinari musicisti dello Squintetto: Checco Pallone, Nicola Pisani, Enzo Naccarato, Piero Gallina, Carlo Cimino. “Il nostro lavoro trasuda amicizia”, rivendica il cantautore, “il sapore delle soppressate affettate in studio e cioccolata fondente”. Già, perchè Guellarè sarà il primo gastrodisco della storia. Abbinato al cd ci sarà un buono acquisto di una nota marca di soppressata calabrese. “Voglio portare avanti questa provocazione”, spiega Perri, “perché è ormai morto il mercato del disco, mentre il mangiare resta una delle ossessioni per noi italiani. La musica è il nutrimento dell’anima, ma nel caso questo disco non dovesse riuscirci, la soppressata potrebbe essere il nutrimento e basta. Lo slogan della campagna promozionale sarà Soddisfatti o soppressati. Non manca una tarantella neanche nel nuovo lavoro, s’intitola Tarabella. Perri è un ricercatore sensibile, affezionato, ma curioso e mai banale, che rimane in contatto con il materiale folklorico sforzandosi di rivitalizzarlo. “Adoro la nostra tarantella”, dice, “è cultura peculiare, identitaria, come lo è il flamenco per la Spagna e il tango per l’Argentina. La mia prima Tarantella di Cariati è stata la sigla del Meteo Rai per alcuni anni, a dimostrazione che quando si lavora con amore sulla propria cultura si può parlare anche al mondo intero. La nuova tarantella, Tarabella, parte dalla tradizione con un ritmo lento sensuale per poi approdare a suoni e ritmi trasgressivi. Possiamo provare a creare la tradizione del futuro, senza ripetere pedissequamente il passato, che può anche essere affrontato con il sapere e la sensibilità di oggi”. Un’altra ballata, dal titolo Malanottata, rievoca la tragedia del 31 dicembre 1974, quando perirono nello Jonio dodici pescatori di Schiavonea usciti in mare in quel giorno di festa pur di poter guadagnare qualcosa. “Attraverso Malanottata”, spiega Perri, “ho voluto rendere omaggio alle vittime del mare e del lavoro in generale. Dalla cronaca epicizzata di una tragedia collettiva dimenticata, alla riflessione struggente di una relazione privata, Antonio Caputo Il tempo e il pudore dedicata ai genitori. Una canzone toccante, cantata a due voci con Rosa Martirano, con cui il 52enne cantautore ricorda “la rasserenante semplicità e la tenerezza nel manifestare i sentimenti dei suoi vecchi, lo spirito di sacrificio nell’affrontare la durezza della vita”, ma anche il buonumore di una famiglia numerosa negli anni del boom, desiderosa di lasciarsi alle spalle le macerie della guerra. È fitto, insomma, di narrazioni e suggestioni, questo Guellarè nuovo di zecca, da ascoltare e forse pure meditare. n Perri con gli amici della sua band, lo “Squintetto” 12 ANNO VI - N. 12 - Aprile 2011 NICOTERA 13 ANNO VI - N. 12 - Ottobre 2010 ...DI CHI FA IMPRESA AL SUD SCOMMESSE E SFIDE... ROSSANO Il libeccio soffia da sempre sulle coste calabresi. Ma stavolta, oltre alla brezza umida, ha portato un’idea vincente: quella di un nuovo vino che prende il suo stesso nome in vernacolo, il Libìci. Lo produce l’azienda Casa Comerci, che sulle colline ventose di Nicotera cattura e mette in bottiglia tutti i sapori di quella terra ABBIAMO ACCORCIATO E UNITO L’ITALIA SOFFIA UN VENTO ANTICO CHE PORTA IDEE E SAPORI NUOVI Dal 1946 gli autobus rossanesi della famiglia Smurra fanno da trait d’union tra Calabria, Italia ed Europa. Oggi la SIMET conta più di trecento dipendenti, 130 agenzie dislocate in tutta la Penisola e un sistema online d’avanguardia n Massimo Zeno ibìci mai bbeni fici. Il libeccio non ha mai fatto bene. È uno dei tanti proverbi contadini della Calabria. Che stavolta, però, va aggiornato. Perché il Libìci da qualche anno è anche il nome di uno dei più interessanti vini calabresi. Un magliocco canino prodotto da Casa Comerci, azienda agricola di Badia di Nicotera. L’idea di chiamare così questo vino è venuta a un bravo ristoratore, Salvatore Pavia, titolare del ristorante Peppino il Pescatore di Ricadi. La suggerì a Domenico Silipo, il fondatore (anzi, ri-fondatore) di Casa Comerci, che la approvò subito. Quel vento, che in estate soffia come una piacevole brezza di mare e d’inverno segnala la tempesta, è il miglior modo per indicare un vino dal raro bouquet floreale, dal colore leggero, dal sapore rotondo e strutturato. Adatto ad accompagnare ogni tipo di pasto, si esalta con i primi piatti dai sapori forti, le carni rosse e i formaggi stagionati. Se a tavola c’è un bel piatto fumante di pasta fatta in casa (a fileja), magari condita con ragù di maiale, allora il Libìci darà il massimo al nostro palato. Prima la schiettezza, poi l’eleganza: potrebbe essere questo il suo motto. Le sue uve contengono infatti i sapori che il libeccio porta dall’Africa e che sono mitigati sulle colline aperte verso la Piana di Rosarno. Un’altitudine di circa 250 metri, quanto basta per aprire lo sguardo all’orizzonte. Il vento la fa da padrone in quei dodici ettari di terra, dove l’occhio si perde tra l’azzurro del Tirreno e il verde delle Serre. Da sempre lì si coltiva la vite. Filari bassi e ordinati, che anche nelle L Domenico Silipo giornate più calde trovano nutrimento nelle zolle che trattengono il fresco dell’acqua piovana. Un posto del genere valeva la scommessa di far risorgere ciò che apparteneva ormai solo alla memoria familiare. E così Silipo, che aveva lasciato la Calabria 40 anni fa per esercitare in Emilia la professione di avvocato, torna nella casa del nonno. Francesco Comerci alla fine del 1800 aveva già le vigne e produceva il vino di Nicotera, quello «formato nell’argilla e scolpito nella pietra». Quanti ricordi! La scala di granito, la finestra dalla quale s’intravedeva l’uva appena raccolta, il suono ritmico delle presse, l’odore dello zolfo che serviva a preparare i tini… Si comincia da capo, piantando il vitigno magliocco, la qualità autoctona che più si adatta al luogo. La pianta è generosa, produce grappoli dai chicchi radi, con acini di colore blu scuro e dalla buccia spessa. A guardarli sembrano l’emblema stesso della Calabria. Hanno un aspetto forte, quasi rude, che nasconde un’anima delicata. Eppure non è facile «addomesticarli». Anni di tentativi, fin quando finalmente arrivano i risultati. Grazie, tra l’altro, all’apporto della moderna tecnologia. Nel vigneto viene sistemata una stazione meteo per conoscere in tempo reale pioggia, umidità, temperatura del suolo e dell’aria. Si misura la bagnatura fogliare e l’evapotraspirazione, in modo da realizzare una viticoltura ragionata e rispettosa dell’ambiente. Nell’antica cantina di pietra le vecchie botti sono sostituite con serbatoi in acciaio inox di ultima generazione, la vinificazione è a temperatura controllata, tutto è controllato dai computer. Casa Comerci è oggi un piccolo gioiello tra i marchi della tipicità agroalimentare del Mezzogiorno. La scommessa è vinta, ma la sfida continua. Per il futuro si progetta una nuova cantina, più grande, interrata quasi totalmente nel declivio della collina che guarda il mare. Intanto l’azienda sperimenta una prima diversificazione della propria offerta, con una piccola (per il momento) produzione di Greco di Bianco, fine pasto tipicamente calabrese. Non solo vino, però. Sull’antica proprietà e sul nuovo fondo Sant’Andrea ci sono anche gli ulivi. L’olio che se ne ricava è un monocultivar ottobratica di coltivazione biologica. Per chi se ne intende diciamo che contiene pochissimi perossidi e molti polifenoli. Ciò vuol dire garanzia di grande qualità. E poi va assaggiata la vinaccia, una grappa leggera e profumata. «Proprio come la rugiada del mattino» dice Domenico Silipo «e per questo l’abbiamo chiamata Acquazzina, un altro termine preso in prestito dal nostro dialetto, perché ci teniamo a richiamare sempre le nostre radici». L’azienda vuol diventare inoltre un luogo d’attrazione socio-ambientale. L’attenzione dei particolari, la cura del verde e dei fiori, le statue che adornano il giardino… Ogni cosa richiama l’armonia e il posto consente, certo, l’avvio di un’attività agrituristica. Andando, però, oltre gli schemi consueti. Silipo e i suoi collaboratori vorrebbero che sulle loro colline non si andasse solo per «stare un po’ in campagna». Verranno recuperati gli antichi strumenti usati per vinificare. Chissà, forse potrà sorgere una cantina-museo (si conservano ancora alcune bottiglie del vino imbottigliato un secolo fa), dedicata soprattutto alle nuove generazioni che vogliono affacciarsi sul domani senza smarrire le tradizioni. In questa stessa ottica nascerà una scuola di cucina per valorizzare i prodotti alimentari del territorio. Nicotera è divenuta l’emblema della dieta mediterranea. «Chi mangia come a Nicotera campa cent’anni» si dice. E non è una battuta, ma il risultato di ricerche scientifiche condotte già molti decenni fa da studiosi del valore di Ancel Keys – il fisiologo Gerardo Smurra con i figli, impegnati anche loro nella gestione dell’azienda n Rocco Militano americano esperto di malattie vascolari – e ribadite recentemente da studi dell’Università romana di Tor Vergata. Negli anni ’50 Keys, sbarcando in Calabria dal Minnesota, verificò che i braccianti che si nutrivano semplicemente con pane, olio, cipolle rosse di Tropea e pomodori erano molto più sani dei pasciuti cittadini di New York. L’avventura di Casa Comerci ha suscitato una certa curiosità tra gli esperti del settore enogastronomico. Alla Calabria vengono riconosciute grandi potenzialità, che non sempre sono adeguatamente espresse. È bastato un bel IGT, un vino di «indicazione geografica tipica», per far spirare un vento nuovo. Vento di Libìci. n L’enologo Giuseppe Meglioli con Lea Corigliano, amministratrice di Casa Comerci “A bbiamo sempre ascoltato ed assecondato le esigenze del mercato”, dice Gerardo Smurra, “considerando il cliente come il nostro unico datore di lavoro. È, questo, forse, il motivo per il quale, in questo territorio, ma potrei dire in questa regione, siamo considerarti un’azienda un po’ anomala, perché viviamo esclusivamente di mercato, ci rivolgiamo al cittadino utente e non chiediamo sovvenzioni alle istituzioni”. Una affermazione di giusto orgoglio avvalorata da una storia familiare e aziendale che attraversa, ormai, più generazioni. Gerardo Smurra è il presidente della Simet SpA, azienda di trasporto su strada, da oltre sessant’anni in viaggio con i Calabresi e non solo. Smurra ricorda quell’11 novembre del 1965 quando suo padre Stanislao diede vita alla Società, da allora e ininterrottamente, con la sede ed il cuore nel centro storico bizantino di Rossano. In realtà Simet era la prosecuzione ideale, o meglio lo sbocco maturo, della precedente Società Atas (Azienda Trasporti Autolinee Smurra), costituita nel lontano 1946 con il collegamento Cosenza - Longobucco e a seguire Cosenza - Napoli. Poi, nel tempo, si sono aggiunte nuove mete: Roma, innanzitutto, con due corse quotidiane, diventate oggi otto. Con l’acquisizione della società di trasporto Pasqualini di Verona nel 1989, la città scaligera ha costituito il fronte più avanzato in territorio italiano. Ma il balzo più significativo doveva avvenire Nelle due foto sopra: ieri e oggi della Simet. Se n’è fatta di strada… Accanto, la squadra Simet al gran completo con il collegamento con Francoforte. Un percorso sud-nord che travalica le Alpi e che fa della Simet un’impresa autenticamente europea. “Le più grandi soddisfazioni le abbiamo ricevute dai lavoratori calabresi emigrati in Germania. Ci hanno accolto con grande entusiasmo, grati di poter usufruire di un collegamento con la propria regione di origine”. LA DIVISIONE DEL VINO E DELL’OLIO lio e vino calabresi. Avranno, si spera presto, una vetrina dignitosa e accogliente. La Giunta regionale ha approvato due proposte di legge per istituire la “Casa dei vini di Calabria” e la “Casa degli oli extravergine d’oliva”. L’idea dell’enoteca regionale non è nuova. Emilio De Masi, capogruppo Idv in Consiglio regionale, la rivendica. Era stato lui, afferma, quando era vicepresidente della Provincia di Crotone, a farsene promotore. La proposta, nonostante l’impegno dell’allora assessore regionale Sulla, non andò in porto. Ma è proprio Francesco Sulla (PD), ora consigliere regionale di minoranza, ad esprimere un totale disappunto a proposito delle scelte fatte. O Emilio De Masi Francesco Sulla L’ipotesi più ovvia era di creare a Cirò, territorio che da secoli identifica vino con Calabria, la sede naturale dell’enoteca. Ma siccome il “campanile” è duro a morire, cosa si sono inventato: sede legale nel Cirotano, sede per l’innovazione tecnologica a Lamezia Terme, sedi territoriali per lo studio e la promozione dei vini regionali autoctoni a S. Marco Argentano, Monasterace, Vibo Valentia. E così tutte e cinque le province avranno i gradi di cui fregiarsi. “Quando abbiamo cominciato”, ricorda Smurra, “non ci credeva nessuno, neppure mia moglie”. Ma ora l’Azienda è giunta felicemente alla quarta generazione. Papà Gerardo è il presidente, ma i suoi figli, Stanislao - il nome del nonno -, Emanuele e Daniele, hanno preso in carico, con differenti mansioni e idee innovative, la gestione aziendale. E a dar man forte ci Più moderata la frantumazione a proposito dell’olio: sede legale Gioia Tauro; Corigliano per gli oli Dop e Igp e da agricoltura biologica. “Siamo alle solite. Quando una provincia dalle antiche radici culturali come Crotone, ha l’opportunità di vedersi finalmente riconosciuta una delle sue peculiarità più indiscusse, sia sul piano delle produzioni attuali che della storia enologica mondiale, ti aspetteresti l’unanimità di vedute nell’individuazione esclusiva, in questo caso dell’Enoteca, nel suo territorio. Invece – lamenta Sulla – si è fatta la scelta della doppia sede. Lamezia, al più, avrebbe potuto, grazie alla sua riconosciuta posizione geografia baricentrica, essere luogo di rappresentanza e di ‘vetrina’ per i nostri vini, mentre il Crotonese avrebbe dovuto essere riconosciuto come luogo esclusivo per la ricerca e l’innovazione legata a tradizioni millenarie, storiche e mitologiche”. Di opposto avviso il lametino on. Mario Magno (PdL), Presidente della Commissione Riforme e Decentramento, che si compiace della “vittoria della città di Lamezia Terme”. n sono pure i cognati Mariella De Florio col marito Antonello Lauria. “Mi sono alleggerito dalla pressione della mobilità che in passato è stata sopportata anche da mia moglie Raffaella”. “Ma di annoiare non mi annoio” assicura Smurra. Ed infatti lo tengono impegnato gli incarichi in Confindustria e nella Camera di Commercio di Cosenza, ma in particolare la presenza nel Consiglio di Amministrazione della Banca Popolare del Mezzogiorno (ex Popolare di Crotone). Tutti spazi dove portare un’esperienza d’impresa ormai decennale e che fatalmente rimanda alla realtà calabrese nel confronto con il nord d’Italia. “Da noi ci si adagia nell’assistenzialismo. Il potere politico ‘docet’ e la società si è appiattita a confronto di una iniziativa privata al Nord molto vivace. Siamo, insomma, carenti di cultura d’impresa. Ma c’è pure da dire che fare impresa al Sud ha molti condizionamenti obiettivi di cui il Nord non soffre”. In questo quadro di riferimento il problema della mobilità nel territorio, diventa decisivo. E proprio a questa irrinunciabile esigenza è venuta la significativa risposta dalla Simet. Intanto di supplenza alle deficienze del sistema ferroviario e a quello stradale (basti pensare alla Salerno-Reggio Calabria e alla statale 106 jonica). Ma soprattutto Gerando Smurra ha mirato a operare sempre meglio per “fidelizzare”, come oggi si dice, la propria clientela, a ottimizzare lo standard qualitativo del servizio: dall’esperimento del primo telefono a bordo dei propri mezzi qualche ventennio fa; al primo autobus a due piani presentato ufficialmente a metà anni ’80 alla Bit di Milano; al catering a bordo: sono, queste, alcune delle tappe e delle innovazioni storiche che Gerardo Smurra ama ricordare nel ripercorrere una storia aziendale di successo e che, oggi, annovera oltre trecento dipendenti, 130 agenzie dislocate in tutta Italia e una biglietteria online all’avanguardia. Migliaia di viaggiatori, per turismo o per lavoro, hanno fatto e continuano a fare comodamente la spola tra la Germania e la Calabria, dal Po al Pollino, dall’Arena al Teatro magno-greco di Sybaris. Un andirivieni che, nel piccolo, può anche esser letto, senza retorica, come un modesto contributo, al 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. “La sfida - afferma Gerardo Smurra è sempre quella degli inizi: accorciare l’Italia per unificarla”. n 14 MELBOURNE ANNO VI - N. 12 - Aprile 2011 15 ANNO VI - N. 12 - Ottobre 2010 UN PONTE IDEALE COSTRUITO MEZZO SECOLO FA NEL MONDO SI CELEBRA SOLENNEMENTE LA FESTIVITÀ DEL 2 APRILE Il Globo, giornale degli italiani d’Australia, fu la risposta che un emigrato calabrese, Ubaldo Larobina, volle dare ai tanti connazionali desiderosi di ritrovarsi intorno a obiettivi comuni innanzitutto quello di preservare la nostra lingua L’ Australia aveva pagato in modo pesante la sua partecipazione alla seconda guerra mondiale nella regione del Pacifico e anche in Europa con centinaia di migliaia di vittime. L’assenza per lunghi anni, di uomini validi per l’industria e l’agricoltura aveva messo la nazione in ginocchio. Era urgente e indispensabile ripopolare il continente. Alla fine degli anni ‘40 l’Australia aveva poco più di sette milioni di abitanti. “Contiamo di arrivare ad una popolazione di dieci milioni, aveva detto il ministro dell’Emigrazione Calwell, entro il 1954 e per questo continuo e progressivo aumento sarà dato a molti degli australiani d’oggi di vedere la loro terra abitata da venti milioni di abitanti. Iddio lo voglia! Sarà un successo grandioso”. Obiettivo pienamente raggiunto poiché la popolazione australiana è arrivata a quota 22.000.000. Un progetto di fedeltà ai valori di una Italia vincente n Germano Spagnolo Calabria unita nel nome di San Francesco di Paola n Assunta Orlando Spetta agli emigrati da Oriolo (CS) il primato di aver istituito per primi, nel 1927, un’associazione dedicata a S. Francesco di Paola. Il prossimo anno ricorre il cinquantenario della proclamazione del Santo a Patrono della Calabria. Si spera che non si ripetano le negligenze della Regione Calabria, come negli anniversari celebrati negli anni scorsi Uno dei progetti storici è stato il “Miss Italian Community Quest”, concorso di eleganza e beneficenza durato 22 anni, dal ‘64 al 1986. L’intento era duplice: fare emergere, nella complessa società multietnica d’Australia, la “bellezza tipicamente italica” delle giovani italiane, e quello di una generosità esemplare a beneficio delle strutture sanitarie e assistenziali. Per ben sette anni la “Miss Charity Queen” della comunità italiana ha vinto il concorso di “Miss Australia Charity Queen”, e per 13 anni quello di “Victorian Charity Queen”. Ma è stato soprattutto nei momenti delle grandi catastrofi, degli incendi che hanno devastato il Victoria (febbraio 2009) e del terremoto dell’Abruzzo (aprile 2009) che Ubaldo Larobina ha chiamato a raccolta organizzazioni e singoli individui per dare prova di una grande generosità collettiva. l 2 aprile, festività del Santo, è celebrato solennemente in tutto il mondo e anche a Toronto, dove numerosi sono i devoti, una solenne celebrazione officiata da Mons. John Iverinci, Vicario episcopale degli Italiani in Canada, con la partecipazione, quest’anno, del soprano Cesira Frangella, solista nella Corale del Santuario di Paola. La “Fondazione San Francesco da Paola nel mondo” di cui è presidente il maestro Antonio Caruso, ha riunito a Toronto, dove ha sede, devoti provenienti dall’estero in rappresentanza delle Associazioni dedicate al Santo per la sottoscrizione del “Patto di Fraternità” che favorirà la nascita di una solidale collaborazione ispirata alla devozione verso San Francesco di Paola e ai profondi sentimenti verso i paesi d’origine. Molto significativa, infatti, è la devozione verso il Santo, di chi ha lasciato la propria terra perché lo sente ancora più vicino, avendo San Francesco vissuto gli stessi struggenti sentimenti dovuti alla lontananza dai luoghi natii, quando per obbedire al Papa, partì per la Francia, dove morì senza più tornare a rivederli. È proprio dagli emigranti che viene una grande testimonianza d’identità religiosa che s’identifica in quella etnica. La prima Associazione dedicata a San Francesco di Paola, istituita all’estero risale al 1927 ed è stata fondata da emigranti di Oriolo (Cs), paese che venera il Santo, a Frankfort, nello Stato di New York. La cappella, originariamente in legno, che ne custodisce la statua, è stata ricostruita artisticamente in pietra e sulle pareti due dipinti riproducono scene di Oriolo. Si racconta che furono dipinti da un uomo che fu rinchiuso nella cappella fino a che non terminò il lavoro. Con il tempo ai membri calabresi della Società si sono uniti molti siciliani e insieme continuano ad onorare il Santo. Il “Patto di Fraternità” tra la Società di Frankfort e il “Comitato San Francesco di Paola” di Salemi istituito a Toronto quarant’anni fa da emigrati siciliani, consoliderà l’unione delle comunità che venerano il Santo con particolare devozione. Calabresi e siciliani uniti nel nome del Santo che simbolicamente, unì le sponde delle due regioni attraversando miracolosamente lo Stretto di Messina sul suo mantello. Sopra e nelle foto del titolo i festeggiamenti a Toronto Frankfort (NY), qui la prima associazione per il Santo Anche a Sidney il “patto di fraternità” fra i devoti I Ubaldo Larobina e la moglie Lynnette Powell Arrivarono giovani da ogni parte d’Europa ed in particolare dal bacino del Mediterraneo, con l’Italia in prima linea. Calabria, Sicilia, Veneto, Friuli e Abruzzo sono state le regioni che hanno dato il maggior contributo. Quei giovani avevano voglia di costruirsi un avvenire migliore; ma con il passare dei mesi e degli anni, sentivano già un vuoto di carattere “culturale”, anche se cultura significava la canzonetta del festival di Sanremo, il fotoromanzo di Grand Hotel, il film di Totò o di Gina Lollogrigida, i risultati del campionato di calcio e di ciclismo. A Melbourne, data la necessità di colmare questo vuoto, Ubaldo Larobina e Tarcisio Valmorbida fondarono Il Globo, subito battezzato come “il giornale degli italiani d’Australia”. La scelta del nome, secondo Larobina, veniva dettata dalla semplicità e comprensione della parola, molto simile all’inglese The Globe e quindi ampiamente recepita come indicativa di un “notiziario” internazionale. Ubaldo aveva esperienza di giornalismo in Italia avendo lavorato presso la redazione de Il Tempo di Roma. Nato a Reggio Calabria nel 1931, aveva completato il percorso di formazione nel Lazio, ottenendo il diploma di Maturità Classica nella cittadina di Velletri. La passione per il giornalismo, come mezzo d’informazione e di coinvolgimento dei connazionali in progetti comuni, lo ha accompagnato in ogni scelta. La prima edizione de Il Globo porta la data del 4 novembre 1959. Una data scelta non a caso per un “lancio” che doveva avere un carattere distinto d’italianità. Infatti, nell’articolo di fondo, dal titolo “Ponte Ideale”, si ricollegava l’anniversario della Vittoria con il successo dell’emigrazione italiana in Australia, a dimostrazione della nobiltà e forza di carattere del popolo italiano. Ed è proprio per questo che doveva essere salvaguardata la lingua italiana, fonte di informazioni comprensibili, ma anche di piacevoli e gratificanti letture. “Non possiamo sacrificare sull’altare dell’assimilazione, scriveva Ubaldo Larobina, una lingua che ci fa onore e ci dà soddisfazioni”. E su questo punto Il Globo è sempre stato molto fermo. Con il passare degli anni Larobina ha investito in modo generoso e lungimirante nel campo dell’editoria. Ha fondato la “Italian Media Corporation Pty Ltd” con l’acquisizione del giornale La Fiamma di Sydney, azione mirata ad avere un giornale unico, anche se con due diverse testate, un Taglio della torta del 50° anniversario del giornale. Sopra, Dario Nelli direttore de Il Globo con il fondatore unico direttore (Dario Nelli dal 2007), e il supporto della stazione radio “Rete Italia” diretta da Ivano Ercole. Il giornale ha cambiato formato negli anni ’90 (è divenuto tabloid) ed è pubblicato da lunedì a venerdì in tutti gli Stati d’Australia. Con il supporto e la collaborazione dei figli (Julian e Nicoletta, mentre Marco è laureato in Medicina e Chirurgia) Larobina ha esteso il suo campo d’azione. È presidente di due importanti compagnie: “Tempo Media” (che pubblica le riviste Australian Teachers Magazine, S Press e Australian Student, giornale per alunni delle scuole secondarie distribuito in tutta l’Australia) e “Street Press Australia”, network di cinque riviste di musica e intrattenimento per giovani. Nei momenti in cui la comunità italiana è stata chiamata a dare prova di unità, solidarietà e prestigio, il gruppo editoriale di Larobina ha fatto da volano di tutte le iniziative di associazioni, club, circoli di pensionati, comitati parrocchiali... SAN GIOVANNI IN FIORE Mattmark, storia di una tragedia annunciata S an Giovanni in Fiore, in provincia di Cosenza, è da sempre l’emblema dell’emigrazione calabrese. Da quest’antico paese, infatti, sono partiti, nel secolo scorso, alla ricerca di un lavoro, prima oltreoceano e poi nell’Europa opulenta, più di 7500 persone molte delle quali non hanno fatto più ritorno al paese d’origine e l’esodo continua ancora oggi con la partenza di decine di giovani che conseguita una laurea nella vicina Università di Arcavacata, vanno a cercare un lavoro nel Nord d’Italia. Con una differenza sostanziale però: prima ci s’imbarcava su navi traballanti e con la valigia di cartone, mentre oggi si parte con il pc a tracolla. Ma se il grosso centro silano rappresenta il paese simbolo di una Calabria errante, è ancora più triste il primato che detiene di paese con il maggior numero, all’estero, di caduti sul lavoro. La prima tragedia risale al 6 dicembre 1907 quando a Monongh nel West Virginia rimasero sepolti in una miniera di carbone 34 sangiovannesi; poi è stata la volta di Mattmark nel cantone Vallese il 30 agosto 1965, quando sette emigrati stagionali rimasero sepolti sotto una massa di ghiaccio staccatisi dall’Allalin. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Per ricordare il sacrificio di tanti emigrati, i giornalisti Saverio Basile e Francesco Mazzei hanno pubblicato recentemente Mattmark storia di una tragedia annunciata (Edizioni Pubblisfera) in cui raccontano quei tragici giorni vissuti con angoscia e dignità da tutta la popolazione silana. I due autori hanno raccolto le testimonianze dei sopravvissuti, hanno dato risalto al parere dei tecnici che da sempre sostenevano che “la montagna Due degli operai periti a Mattmark sovrastante il cantiere slittava a valle”, hanno riprodotto le prime pagine dei giornali più diffusi che all’epoca dei fatti diedero ampio risalto all’evento. Numerosi i politici che hanno reso omaggio ai familiari e alla città delle vittime di quell’immane catastrofe (ultimo il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat in visita a San Giovanni il 21 aprile 1966). “Un libro scritto con il cuore”, ha sottolineato l’assessore comunale alla cultura Giovanni Iaquinta durante la manifestazione di presentazione del volume. La stampa italiana d’Australia ha anche il grandissimo merito di aver difeso con editoriali di fuoco la comunità italiana dall’accusa di corruzione di stampo mafioso. Ha sempre posto un chiaro spartiacque tra singoli casi di criminalità e la perfetta tenuta morale della comunità, considerata esemplare dalle stesse autorità di governo, che hanno sempre elogiato la comunità italiana per avere la più bassa percentuale di criminalità rispetto a tutte le altre etnìe. Cinquant’anni dopo, rimangono vivi e più validi che mai i principi e gli impegni presi con i lettori e la collettività in generale, dal suo fondatore e primo direttore Ubaldo Larobina, con il primo editoriale del 4 novembre 1959: quelli della costruzione di un “ponte ideale” fra gli Italiani in Australia e quelli che vivono in Italia, “rimanendo sempre vicini alla vita della comunità, rispondendo puntuali alle sue aspettative, alle sue ambizioni ed alle sue necessità”. Una sfida si presenta ora con le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, alle quali le comunità italiane all’estero sono chiamate a dare il loro valido contributo. Ubaldo Larobina ha un progetto originale, interessante, che entra nel cuore della società australiana nella parte più nobile ed accogliente, quella dei giovani nelle scuole. “Vogliamo preparare un’edizione speciale del giornale, in lingua italiana e inglese, e distribuirlo in tutte le scuole d’Australia”: questo il progetto di Larobina. La rivista avrà testi e immagini che presentano l’Italia vincente: dalle bellezze paesaggistiche all’arte, dalla moda ai motori... e speriamo qualche esempio di eroismo di quei “ragazzi” che nel secolo scorso lasciarono la loro terra per emigrare in continenti lontani. Edmondo de Amicis li aveva immortalati nel libro Cuore, nel 1886. Si era all’indomani dell’unità d’Italia, e il testo aveva il chiaro scopo di insegnare ai giovani le virtù civili, ossia l’amore per la patria, il rispetto per le autorità e per i genitori, lo spirito di sacrificio, l’eroismo, la carità, la pietà, l’obbedienza e la resistenza alle disgrazie. Quei ragazzi sono ancora tra noi, e sono un esempio da indicare alle nuove generazioni, con orgoglio. n Altra testimonianza di devozione legata al paese natio che ha come Patrono San Francesco di Paola, è data dagli emigranti di Vazzano (VV) che partiti per luoghi diversi, Argentina, Australia e Canada, hanno fondato in questi Paesi l’Associazione “San Francesco di Paola” di Vazzano. L’incontro dei devoti Vazzanesi di Buenos Aires, Sydney e Toronto per il “Patto di Fraternità” assume particolare significato per la sottoscrizione dell’atto anche da parte del Comune di Vazzano, rappresentato dal sindaco Antonino Mirenzi, giunto a Toronto con una delegazione di cittadini. Da Vazzano e dai “Devoti Vazzanesi nel mondo”, parte l’iniziativa, proposta dalla Fondazione di Toronto, di un simbolico gemellaggio dei Comuni con le comunità all’estero, al fine di “allargare la cittadinanza al di là delle frontiere” e farne progredire la fraternità in nome di San Francesco di Paola in occasione del cinquantenario, nel 2012, della proclamazione del Santo a Patrono della Calabria. Processione a Buenos Aires n Porta a casa la Calabria Gentile Lettore, probabilmente non conoscevi Itaca o magari l’hai ricevuto una o più volte in passato. Ci auguriamo che tu abbia trovato sufficienti motivi d’interesse per accordarci ora la tua fiducia sottoscrivendo l’abbonamento. Itaca è realizzato dall’Associazione, no profit, Amici Casa della Cultura ‘Leonida Répaci’ di Palmi, che sostiene i rilevanti costi di stampa e spedizione. Tutti i redattori prestano la loro collaborazione su base volontaria, motivati dal monito dello scrittore Leonida Répaci che nell’inaugurare la Casa della Cultura di Palmi affermava: “Puntare a fare, a seminare, nella consapevolezza che nient’altro come la cultura è mezzo insostituibile di reale crescita civile…” Itaca vuol essere un punto d’incontro fra tutti i calabresi ovunque nel mondo, rafforzando il rapporto con la terra d’origine; raccontando la ricchezza di beni materiali (archeologici, monumentali, paesaggistici…) ed immateriali (storia, tradizioni, usi, costumi…) che connotano l’identità regionale, ma nello stesso tempo anche le sue criticità per ricercare una piena consapevolezza dei problemi e delle possibili soluzioni. Manifestandoci la tua solidarietà favorirai l’incontro con i nostri corregionali emigrati e potrai conoscere tantissime e significative realtà che quell’altra Calabria ha saputo costruire. ABBONAMENTO ANNUALE E 10 Italia ed Europa E 13 Americhe e Australia Versamento in c/c postale n. 30597918 intestato a ‘Amici Casa della Cultura L. Repaci’ Via F. Battaglia s.n.c. 89015 Palmi / Italia oppure bonifico bancario IBAN IT 87 E 07601 16300 000030597918 dall’estero BIC/SWIFT BPPIITRRXXX CIN E ABI 07601 CAB 16300 N. 000030597918 16 NEWS ANNO VI - N. 12 - Aprile 2011 LA CALABRIA NEL MONDO, IL MONDO DELLA CALABRIA CINISELLO BALSAMO L’Associazione Calabrese fra cultura e tradizione TORONTO / Aspettando il 2 giugno ’ Italia é in festa per il 150mo L anniversario dell’unità del loro Paese. Forse con più calore, più nostalgia e con grande passione, tutti gli Italiani sparsi nel mondo si uniscono in questa meravigliosa celebrazione. È questo grande amore per la nostra terra d’origine, questo legame indissolubile che nutre e unisce gli Italiani nel mondo ovunque essi siano. In Canada gli Italiani sono circa un milione e quattrocentomila, con la più grande presenza nello stato dell’Ontario. Già da anni, dalla mia prima iniziativa, ora si celebra la festa della Repubblica del 2 Giugno, con la cerimonia dell’alza bandiera davanti al Parlamento provinciale dell’Ontario. È un evento di grande partecipazione: suoni, canti, sfilano le Ferrari e le Lamborghini, i noti ristoranti Italiani con i loro risotti e le orecchiette con rape, tante pizze e squisiti dolci italiani. Quest’anno il 2011, sarà ancora più grande ed in grande stile ci stiamo organizzando per celebrare il 150mo anniversario della nostra Unità. Anzi, le iniziative sono già cominciate dall’anno scorso, quando nel mese di ottobre il governo dell’Ontario approvò all’unanimità la mia proposta di legge per proclamare Giugno, ogni anno, il mese dedicato al “Retaggio Italiano”. Con questo grande onore conferito alla comunità italiana, il governo dell’Ontario ha voluto riconoscere l’immenso contributo degli emigrati italiani alla crescita economica e sociale del nostro Stato. È la prima volta che un governo di una nazione o stato straniero ha conferito alla comunità italiana questo riconoscimento. Allora, Giugno 2011 sarà ancora più speciale per noi e celebreremo il 150mo anniversario con questo meritato riconoscimento. Tutte le autorità italiane ed il congresso Italo-Canadese sono in pieno fermento perché nel mese di giugno ci siano attività ed eventi degni di una grande celebrazione. Dovrà essere un evento da tramandare per far sì che un domani si sappia chi erano questi emigranti italiani e come sono riusciti a dare il loro immenso contributo ad una nazione dove oggi sono fieri di vivere. Auguri. Viva l’Italia! Mario Sergio Deputato Provincia dell’Ontario BUENOS AIRES Il giorno dell’emigrante calabrese COLONIA, DORTMUND, MONACO Un comune futuro europeo L I a Federazione delle Associazioni Calabresi in Argentina (Faca) sta organizzando “Buenos Aires celebra il giorno dell’emigrante calabrese” per il prossimo 8 maggio. È quanto comunicano il presidente e il segretario della Federazione, Antonio Pisano e Julio Croci, insieme a Irma Rizzuti, presidente della Lega Donne Calabresi. Sarà una grande festa. La Faca invita a partecipare tutte le associazioni calabresi con uno stand dove dare informazioni su attività, storia, oggetti di emigranti calabresi e dove offrire specialità regionali. La federazione invita anche gli artisti della comunità calabrese che saranno protagonisti dello spettacolo che verrà orgaJulio Croci nizzato per l’occasione. “Speriamo nella vostra partecipazione alla festa di tutti i calabresi in Argentina - concludono Pisano, Croci e Rizzuti - essendo questa una buona opportunità per far conoscere la vita istituzionale e le attività della nostra collettività, sottolineando l’apporto della nostra emigrazione dato al Paese che ci ha accolto”. Com.it.es delle tre città hanno pubblicato e distribuito i testi della costituzione italiana e della Repubblica Federale di Germania, sia in lingua originale che nella traduzione a fronte. Lo spunto per questa iniziativa la ricorrenza di un duplice anniversario: il 1° gennaio 1948 entrava in vigore la costituzione italiana, il 23 maggio 1949 quella tedesca. Giorgio Napolitano e Horst Köhler, fino all’altro ieri presidente della Repubblica federale di Germania, hanno scritto l’introduzione al volume. “La legge fondamentale tedesca e la Costituzione italiana, con i valori in esse incarnati - afferma Köhler - offrono una solida base sulla quale realizzare insieme il nostro futuro europeo”. Nell’inviarci il volume, Giuseppe Rende, calabrese di Mongrassano, membro eletto del Comites di Monaco di Baviera, scrive: “Questo grande paese amico che ci ospita, spesso, per la sua struttura socio-politica, è citato da tanti nostri onorevoli come esempio da imitare. Perché non si decidono? Forse staremmo tutti più sereni. L’Europa attende e avrà il suo ruolo solo quando gli stati membri supereranno le proprie logiche”. Come dargli torto? C on l’autunno arrivano due appuntamenti importanti legati alla tradizione e alla cultura regionale. La prima è “Castagna in…cantata” il 30 e 31 Ottobre in collaborazione con l’Amministrazione comunale di Savelli. La tradizione, un vocabolo che sa di terra, di sudore e di lavoro e di tutto quello che riguarda l’universo contadino che tanto ci ha lasciato e che, ora, in un mondo così omologato e pieno di luoghi comuni spacciati per innovazioni, sta perdendo i suoi connotati più genuini e veri: colori, suoni, profumi, forme. E comunque la tradizione non delude mai quando diventa momento di aggregazione e di riscoperta di antiche sensazioni. Tutt’altro fine si propone la manifestazione dell’11 Dicembre, il nostro fiore all’occhiello che vuole attirare l’attenzione sul panorama culturale calabrese che noi stessi stiamo riscoprendo nella molteplicità dei suoi aspetti e dei suoi personaggi. Quest’anno, con l’intervento di Enzo Romeo ed Antonio Minasi, abbiamo ricordato Francesco Cilea e Leonida Répaci, entrambi nati a Palmi (RC), e fra loro legati da salda amicizia e reciproca stima. Il primo, musicista sensibile e raffinato ha ricoperto, con le sue composizioni, un ruolo importante nel panorama dell’opera lirica del primo ‘900; il secondo, romanziere prolifico, è stato, in realtà, un grande intellettuale, con interessi diffusi nel cinema, nel teatro, nelle arti, nel giornalismo, oltre alla partecipazione attiva l 12 ottobre, anniversario dell’arrivo di Colombo in America, nel Centro Italiano Venezolano, alla presenza di un bel numero di amici amanti del cinema tra cui la Luigina Peddi, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura, Rosita Belgiovane e Antonino Amodeo, consiglieri del Comites di Caracas, l’Associazione Calabrese del Venezuela ha organizzato la proiezione del film Emigranti di Marco Ottavio Graziano, raccolta di testimonianze di oriundi di Amendolara, paese dell’entroterra cosentino, negli anni cinquanta. Il regista, costruisce una storia tra la fiction e la realtà che ben potrebbe essere la storia di un adolescente qualunque che un giorno si fa forza e coraggio e decide di abbandonare la propria terra e intraprendere un viaggio per cercare un avvenire diverso. Teresina Giustiniano tra Luigina Peddi (a sinistra) e Silvana Briglio Un passaggio sconvolgente dall’adolescenza alla vita adulta. Un viaggio spesso senza ritorno verso Paesi con politiche di accoglienza che facilitavano in qualche modo la decisione di intraprendere questa avventura. Il dramma dell’emigrazione non è finito, purtroppo ancora ci sono persone che hanno la necessità di lasciare la propria terra e Paesi che un giorno sono stati di emigrazione oggigiorno sono diventati Paesi d’immigrazione. Le politiche di accoglienza sono sempre più labili e le frontiere dei Paesi sono diventati, talvolta, posti dove la violazione dei diritti umani si pratica in modo intollerabile, finanche ad uccidere chi osa attraversare un confine senza il dovuto visto d’ingresso. Nella foto sopra, targa ricordo da Gerardo ‘Gino’ Gatto a Enzo Romeo e, sotto, da Pantaleone Paparo ad Antonio Minasi Tradizione e cultura costituiscono i capisaldi della connotazione della regione, ne identificano l’anima. Oggi dobbiamo far leva proprio sulla nostra cultura per riscoprirla con orgoglio; per tentare un cambiamento di una regione che attende ma non reagisce, che spera ma non opera, perché il nostro patrimonio è costellato di quegli uomini giusti che possono aiutarci a rivalutarla, a rimuovere il fruscio di fondo che ne offusca l’immagine, affinché l’indifferenza di tanti non distrugga la buona volontà e la fermezza morale di molti. I l presidente del Comites di Hannover, Giuseppe Scigliano, ha inviato una lettera all’Assemblea del Comites per “dare l’allarme per il ridimensionamento dei fondi annunciato per il 2011”, una situazione che si prospetta difficile se non ingestibile. Fra l’altro “i fondi ritarderanno a pervenire perché il Governo ha deciso di accantonare un ulteriore 10% della miseria concessa. Questo significa che molti che non potranno fare nessunissima attività. Qualcuno come quello che rappresento avrà addirittura il problema di coprire i costi fissi”. Scigliano si appella “ai parlamentari eletti all’estero perchè intervengano. “Se cadono i Comites cadrà tutta la struttura della rappresentanza che abbiamo ottenuto. Non ha senso avere un tetto senza le fondamenta. Mi auguro che il buon senso prevalga sulla filosofia della mannaia di questo Governo che - conclude colpisce immancabilmente e soprattutto le strutture degli italiani all’estero”. Giuseppe Scigliano Questa è una faccia della moneta, ma esiste per fortuna l’altra, ed è quella in cui nonostante i traumi e dispiaceri constatiamo che emigrare ci fa conoscere ed apprezzare costumi, lingue, cibi e culture diversi che ci arrischiscono aprendoci un vasto mondo di sensazioni ed esperienze che ci costituiscono in persone più tolleranti e complete. Persone prospere non solo di beni, bensì di esperienze di vita. Emigranti ci invita alla riflessione. Ieri siamo stati noi, oggi lo sono “altri” che decidono di emigrare. E chissà l’invito non sia a sognare con un mondo senza frontiere burocratiche dove l’unico lasciapassare sia quello di avere la voglia di esserci. Teresina Giustiniano Presidente Associazione Calabrese del Venezuela Carolina Tallarico HANNOVER / Allarme Comites CARACAS / Emigranti di ieri, emigranti di oggi I alla vita politica e sociale. ITACA - Anno IV - n. 12 - Aprile 2011 PERIODICO TRIMESTRALE Registrazione n. 2/08 Tribunale Palmi (RC) del 17.01.2008 Iscrizione al ROC n. 17695 dal 22 nov. 2008 Direttore responsabile Antonio Minasi [email protected] Grafica Roberta Melarance Redazione Amici Casa della Cultura ‘L. Répaci’ Via F. Battaglia s.n.c. 89015 Palmi [email protected] POSTE ITALIANE S.p.A. Spedizione in A. P. 70% - Autorizzazione n. 67/2008 Stampa A.G. Rinascimento S.r.l. Sede Legale: Via Candia, 25 - 00192 Roma Stabilimento: Via Vaccareccia, 57 - 00040 Pomezia (Roma)