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Fiorì d`improvviso
14 -1-protostorie 26-10-2000 13:26 Pagina 1253 Fiorì d’improvviso 14 -1-protostorie 26-10-2000 13:26 Pagina 1254 Ora l’autore non vuol parlare per sé. Per lui parleranno – così come sanno parlare, come possono parlare – le poesie raccolte in questo quaderno. Non sono esse fiorite tutte d’improvviso, come il titolo del quaderno lascerebbe intendere: sono piuttosto quanto di salvabile egli ha raccolto nelle sue presunzioni degli ultimi anni, unito ad una produzione più recente («1953»), questa sì veramente d’improvviso, che è in fondo – a suo giudizio – la vera giustificazione del quaderno. Sono sette poesie riferite a situazioni reali: alla partita di calcio Lucchese-Genoa che si svolgeva durante un altro incontro (d’amore, questo); all’esperienza operaia vissuta per un breve periodo dall’autore nel 1943 in uno stabilimento industriale della provincia di Roma; ad uno stato d’animo d’infanzia; ad un ricordo, pure infantile, della rappresentazione di Josephine Baker (ma era poi lei?) data nel 1931 al Teatro Monteverdi di Spezia; ad un Luna Park di provincia che ispirò parole di fuoco al corrispondente da Foligno di un quotidiano romano, preoccupato della quiete dei «commercianti di passaggio»: l’articolo del corrispondente fu regolarmente cestinato dall’autore che lavorava nella redazione di quel giornale. La sesta e la settima poesia della serie «1953» sono riferite infine ad un certo qual disappunto dell’autore che, di fronte a tanta gente che canta i propri, si accorge con dispettosa meraviglia di non poter dir molto di personale attorno al suo paese, né forse attorno ad altri. Almeno per ora. Le altre poesie – quelle dette «del giorno prima» – sono forse più eterogenee; alcune presentano punti oscuri per il lettore ignaro delle occasioni da cui nacquero. Il cielo d’un color d’argento, incoronato di spine, fu visto dall’autore all’approssimarsi di una tempesta senza pioggia una sera d’agosto del 1947 nel paese dei Baschi, mentre egli si recava a piedi verso Saint-Jean-de-Luz; la citazione francese della poesia I giorni non è che la scritta figurante accanto alla meridiana della modesta chiesa di Rhêmes-Notre Dame in Val d’Aosta; Dadà non ha riferimenti letterari, ma è solo il nome dato a una bambola di 14 -1-protostorie 1256 26-10-2000 13:26 Pagina 1256 Fiorì d’improvviso fabbricazione ungherese (così pare) di cui fu fatto un dono; l’affresco della poesia Là dove sugli scanni angeli cantano è nella chiesa del paese natale dell’autore: si vede Abramo che sta sacrificando il figlio Isacco, mentre fra le nubi (rese più turchine o grigio-cupe dall’umidità della parete) appare l’Angelo nell’atto di proferire le famose parole della Scrittura. Infine la bimba ebrea cui si allude in un’altra poesia – Che ti dischiuse un giorno cuore e lacrime – non è realmente esistita: fu un momento del paesaggio sentimentale dell’autore, alla ricerca di una creatura – la più indifesa e la più perseguitata – in cui riflettersi. Bambina ebrea è il titolo di un’altra poesia, che in questa raccolta non appare, né apparirà in altre future; essa – giudicata più tentativo che poesia ed in sé imperfetta – conserva solo un valore autobiografico e personale. G.G. “1953” 14 -1-protostorie 26-10-2000 13:26 Pagina 1258 NELLA CITTÀ D’ILARIA Nella città d’Ilaria sugli spalti, cara, ricordi tu quando passarono ridenti alla fortuna i calciatori: borghesi li seguivano (il mattino era freddo, d’inverno) per i vetri di lucenti automobili, e poi giovani a piedi li seguivano e fanciulle con rosse e azzurre vesti che sul seno ostentavano il balzo del Grifone. Cara la squadra al mio cuore e più cara tu che l’accompagnavi d’un sorriso, trepida come loro e non per loro, ma per il tuo più difficile incontro. Poi gli occhi mi volgevi di speranza fatti più chiari: «Ma se perderanno?» tu mi chiedevi. E non perdemmo, amore. 5 10 15 IDOLO IN TERRA ERI Idolo in terra eri (o gioco d’amore?) del mutevole stuolo d’operaie: con te ritrascorrevano le giovani la stagione d’un luglio come gli altri. Una osò farsi consolare e l’aspro strido della sirena vi destò. Ti propinava un magro pane, i frutti avvizziti dell’orto delle suore, un suo dialetto veneto. Dal forno kappa avvampò nel grigio mezzogiorno l’incendio ai padiglioni. 5 10 14 -1-protostorie 1260 15 26-10-2000 13:26 Pagina 1260 Fiorì d’improvviso “1953” Una fine di guerra e nuova guerra ve l’annunziava il fuoco. Poi, più nulla: venne un giorno di festa senza gloria, il desiderio scritto sulla polvere. O QUANDO LA TUA TRISTEZZA NON AVEVA UN NOME 5 10 15 20 Anche per cinque foglie d’agrifoglio, quando ogni desiderio era inosabile, e pure apparivan le cose, vivente ingenuità di forme, colori, fanciulle acerbe e disdegnate, donne cui già era condanna l’esser tali per te guerriero fanciullo; quando ogni desiderio tuo inosabile fuggiva la facile preda di labbra da baci (e giungevano esse improvvise alla tua bocca, al porto franco dell’innocenza); quando tu ricavalcavi sugli invitti sogni Drake il corsaro e l’aggrottato ciglio dello sdegnoso giovine meccanico – la sua tristezza non aveva un nome. Ma l’incontrasti a volte in fondo al cuore ridente d’un tuo prossimo crudele sulle chiuse persiane che d’un verde cupo verde funereo castigavano lo splendore candente delle case. In te la ritrovasti se dal gioco vinto tornavi o se di su la strada ti schernivano a dito le bambine. 1261 O quando su futile danza d’oscure strida apparve fra deliri di marinai la misteriosa e nera Venere dalla gonna di banane. Un perché t’indugiava nella sera sull’abbaino del teatro, intento all’estivo spettacolo dei grandi, con la preghiera ancora sulle labbra, con sulla carne il brivido del freddo. 5 PER UNA GIOSTRA SENZA PERMESSO Attoniti s’inseguono tra specchi e un coro d’amuleti i bei cavalli della giostra e di là, dove sui tremuli banchi del tirassegno la fanciulla spezza le carabine, un grido esplode di trionfo per lui che ha fatto centro. Se a vendicare il sonno degli alberghi giungeranno i mercanti di cavalli vivi, i tristi nemici della giostra, da questa piazza grande che deserta sarà domani, è un bacio alla tua fuga, mangiatore di vetri, delle rosse domestiche l’acuta meraviglia, e il pianto dei bambini è una ventura. 5 10 COME SEI FATTO ESTRANEO Se la Venere nera più non danza per gli occhi tuoi di fanciullo furtivi, non t’è patria l’inquieta solitudine dell’abbaino e la città lontana dell’infanzia. La tua lieta e paesana cadenza di quei giorni sulle labbra vibra degli operai – ma tu la senti 5 14 -1-protostorie 1262 26-10-2000 13:26 Pagina 1262 Fiorì d’improvviso ancora più da te diversa – e canta nell’umido richiamo delle donne. 10 Come sei fatto estraneo a questa terra ultima di Liguria che sul mare sorride già del vento di Toscana. CARTOLINE ITALIANE «... Io sì, ci sono stato all’Aquila. Si prende – è vero? – una corriera che ti porta dalla stazione in città, sulla piazza. 5 Poi là tutto era buio. Mi guidarono ad un discreto albergo che per sole lire seicento ti dà da dormire». E per paura chiusi gli occhi subito. *** 10 15 «Io saponette. E lei?» «Medaglie antiche» e lui collane finte; e l’altro — il quarto viaggiatore commesso — dorme. Estraneo sei tu solo, mercante di parole. Se poi quelli riparlano di luoghi conosciuti, di quiete trattorie dove un tempo scendeva la ragazza bruna a servirli (e «non c’è più» poi dicono «tutta una lunga storia...») ti ritrovi ancora amaro il desiderio in cuore d’avere una città di cui parlare. *** 20 Libera uscita: e loro poi salutano la sentinella immobile al cancello della caserma (non tradisce il viso l’interna muta angoscia). Le domestiche con unghie rosse gli si fanno incontro: parlano con accenti di paesi “1953” (e ognuno sceglie il suo) che poi ricordano con un dialetto nel gergo d’amore. 1263 25 *** Mentisce: «Tu sei ligure all’accento». E poi la sua Milano lei con quanto orgoglio ora ricorda. E come lieta si mostra se anche tu mentisci: «In questa celebrata città mi sento estraneo». 30