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L`evoluzione della rabbia attraverso i secoli

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L`evoluzione della rabbia attraverso i secoli
L’evoluzione della rabbia attraverso i secoli
Dott.ssa Francesca Bellini, Dott.ssa Paola Fossati, Dott.ssa Alessia Liverini
(Rassegna di Diritto Legislazione e Medicina Legale Veterinaria, Anno 8 n.4, ottobre – dicembre
2009, pag. 27- 41)
Abstract:
La rabbia, sebbene sia una delle malattie infettive più antiche del mondo, risulta essere un argomento di
sorprendente attualità. La sua storia, ricca e a tratti fantasiosa, si colloca tra lo sviluppo delle civiltà e la
storia del mondo e rappresenta senza dubbio uno dei temi più avvincenti per tutti coloro i quali si occupano
di scienze mediche e veterinarie. Nessuna altra malattia ha saputo suscitare e concentrare nello stesso modo
l’interesse di letterati, filosofi e scienziati che nel corso dei secoli hanno sviluppato teorie sulle sue origine,
prevenzione e cura, spesso ricorrendo alla magia, alla superstizione e alla religione. Infatti, di questa
terrificante quanto affascinante malattia, si ha il possesso del più vasto patrimonio documentale e
ripercorrere le tappe fondamentali della sua storia rappresenta, indubbiamente, un percorso attraverso il quale
è possibile viaggiare e comprendere nei secoli lo sviluppo e l’avvicendarsi degli eventi dell’intera umanità
parole chiave:
malattia infettiva, storia, scienza, magia, superstizione, religione, origine, prevenzione, terapia, rabbia,
Pasteur, vaccino, cani, epidemia.
THE EVOLUTION OF RABIES THROUGHOUT THE CENTURIES
Although rabies is one of the oldest infectious diseases in the world, it appears to be today a surprisingly
current topic. Its history is eventful and sometimes rather imaginative, and takes place between the
development of mankind and world history. It no doubt represents one of the most interesting subjects for all
those who are involved in medical and veterinary sciences. No other disease was able to inspire and attract
in the same way the interest of literary men, philosophers and scientists, who over the centuries, have
developed theories on its origins, prevention and cure, often resorting to witchcraft, superstition and
religion. Regarding this terrifying and at the same time fascinating disease, we have immense documentary
assets, and retracing the fundemantal stages of its story represents undoubtedly a journey through which we
can travel and comprehend the evolution and events of the whole of humanity during the centuries.
KEY WORDS
infectious disease, history, science, witchcraft, superstition, religion, origin, prevention, therapy, rabies,
Pasteur, vaccine, dogs, epidemic.
1
Solet autem ex eo vulnere , ubi parum occursum est, aquae
timor nasci: ύδροφόβους (ύδροφοβίαν ) Graeci appellant.
Miserrimum genus morbi, in quo simul aeger et siti et aquae
metu cruciatur: quo oppressis in angustos spes est.
(Aulo Cornelio Celso)
Sebbene esistano epidemie che nel corso dei secoli hanno causato un numero considerevole di
vittime in tempi brevissimi, come la peste o il vaiolo, decimando intere popolazioni e cambiando il
corso degli eventi, nessuna malattia ha mai catturato l’immaginazione di scrittori, intellettuali e
uomini di scienza sin dai tempi dell’antichità più della rabbia.
L’inquietante sintomatologia, comune agli uomini ed ai cani, il supplizio prolungato delle
vittime e l’inevitabile fatalità della malattia allorché i sintomi diventano manifesti, hanno suscitato
una grande attenzione che ci è stata tramandata e descritta copiosamente ed in maniera dettagliata
attraverso le varie forme di scrittura, dalla poesia al documento scientifico, caratterizzate tutte da
intenso coinvolgimento e attenzione per un virus che sembra non essere cambiato affatto in 2000
anni e che è responsabile di quella che è nota per essere la malattia più antica che l’uomo conosca.
La parola rabbia deriva dal latino rabies che ha la sua etimologia nel sanscrito ràbhas che vuol
dire “impeto” e rabh-hate ossia “agire violentemente”. I greci la chiamavano lyssa (λύσσα) o lytta
(λύττα) che significa pazzo o furioso e da cui trae l’etimologia il nome del virus che provoca la
rabbia.
Conosciuta già 4000 anni fa, nel 2300 a.C., epoca in cui risalgono le prime testimonianze
sumere del periodo premosaico, nel Codice di Eshnunna (antecedente al più noto codice di
Hammurabi) si legge:
”se un cane è furioso e le autorità hanno portato il fatto a conoscenza del
proprietario, o se questo non attua tutti i mezzi per tenerlo in custodia e il cane
morde un uomo causandone la morte, allora il proprietario deve pagare i due
terzi di una mina d’argento (40 sicli). Se il cane morde uno schiavo causandone
la morte egli è soggetto al pagamento di 15 sicli d'argento”.
È evidente come il morso dell’animale malato fosse già in connessione con la morte. Inoltre è
indiscutibile che i proprietari di cani rabidi dovessero attuare ogni misura preventiva per evitare che
gli stessi potessero causare lesioni e quindi la morte (Jackson et al., 2008)
Nell’Iliade di Omero (IX – VIII sec.a.C.), Teucro paragona Ettore ad un “cane rabbioso” (κύνα
λυσσητῆρα ) 1, Ulisse descrive Ettore come invaso da una furia tremenda ( κρατερὴ δέ ἑ λύσσα
δέδυκεν) 2 e Nettuno chiama Ettore con l’appellativo di pazzo (λυσσώδης) 3
Senofonte (427 - 355 a.C.) ne parla in Anabasi (λύττα) 4, Ovidio (I sec a.C.) nelle Metamorfosi
racconta di canum rabie subiectaque terga 5 (cani rabbiosi e con il ventre che sporge), mentre nelle
Georgiche Virgilio (I sec a.C.) annovera la rabbia tra le affezioni causate dallo stato pestilenziale
dell’aria (morbo caeli) …hinc canibus blandis rabies venit 6…(così la rabbia coglie cani mansueti).
Pausania (110 – 180 d.C.), nella sua opera dal titolo Periegesi della Grecia (Ἑλλάδος περιήγησις,
Hellàdos Perièghesis) 7 richiama il mito di Atteone, figlio di Aristeo e Autonoe. Secondo Pausania
la follia colpì i cani di Atteone senza che Diana intervenisse. Infatti, sostiene che i cani affetti dalla
malattia avrebbero sbranato chiunque. L’idea di Pausania venne condivisa anche da altri autorevoli
scrittori come Euripide (Baccanti) 8 e Apollodoro (Biblioteca) 9.
La prima testimonianza indiana risale a circa sei secoli prima di Cristo. Ne troviamo infatti
traccia nel Sushruta Samhita 10, il trattato di Sushruta, nel quale il famoso chirurgo indiano Sushruta
descrive gli animali rabidi “con la coda, la mandibola e le spalle abbassate, con la bocca aperta da
2
cui esce abbondate saliva. Gli animali in questo stato di delirio, accecati e storditi dalla rabbia,
vagano e si mordono l’uno con l’altro”. Inoltre, la persona morsa da un animale rabido “ulula e
abbaia come l’animale che l’ha morso e lo imita in molti altri modi”. Nel Sushruta Samhita si legge
anche che non solamente i cani sono suscettibili alla rabbia, ma anche iene, sciacalli, tigri, lupi orsi
e altre “bestie feroci”.
Anche in Cina la rabbia è conosciuta fin dall’antichità. La più arcaica testimonianza cinese
risale al 556 a.C. nella “Cronaca di Zuo” (Commento sugli Annali delle Primavere e degli
Autunni *), una raccolta aneddotica di eventi negli stati feudali nella quale si legge:
“Nell’undicesimo mese del diciassettesimo anno del Duca di Xiang, la gente nella capitale dello
stato di Sung, dava la caccia ai cani rabidi (chi kou). Alcuni cani entrarono in casa di Hua Chhen .
La gente li seguì all’interno del recinto di Hua Chhen che, spaventato, si allontanò e trovo rifugio
nella capitale dello stato di Chhen”( Needham, 2000).
Nel terzo secolo le testimonianze sulla rabbia si fanno più numerose nella terapia del taoista Ge
Hong (281-361 d.C.) che le descrive nel “Chou Hou Pei Chi Fang” (o Manuale delle prescrizioni
per le emergenze) e altri lavori scientifici. Tra i diversi trattamenti il più comune era quello di
aspirare il sangue dalla ferita seguito dalla moxibustione †.
Un rimedio curioso prevedeva anche “l’uccisione del cane responsabile del morso, la rimozione
del suo cervello che andava sfregato contro la ferita”. A quanto sembra, con questo rimedio si
evitavano le recidive!
In quel periodo in Cina non esisteva un’adeguata organizzazione sociale che tollerasse il
sequestro del cane rabido come una possibilità pratica, così la popolazione era avvisata nei periodi
dell’anno che si riteneva fossero più a rischio di epidemia. A questo proposito appare nei libri Qian
Jin Yao Fang (Prescrizioni da cento pezzi d’oro) e Quian Jin Yi Fang o “Supplemento alle
Prescrizioni da Cento Pezzi d'Oro per le Emergenze” di Sun Si-Miao, il più famoso medico della
dinastia dei Tang del 618 d.C. un’altra descrizione della rabbia. “I cani generalmente impazziscono
durante la tarda primavera e l’inizio dell’estate. In questo periodo i bambini, le donne e le persone
anziane devono stare attenti affinché portino bastoni per la loro protezione. Per coloro che non
possono evitare di essere morsi malgrado tali misure preventive, niente evita il pericolo meglio
della moxibustione. Solamente dopo 100 giorni, facendo attenzione a non saltarne neanche uno, si
può pensare di aver evitato la sofferenza. Se in un primo stadio la ferita comincia a cicatrizzare e il
dolore si attenua, così che il paziente parla di guarigione, quello è il momento più allarmante. Una
grande catastrofe può seguire portando il paziente sull’orlo della morte…
…Quando una persona è morsa da un cane rabido i sintomi della malattia appaiono
regolarmente in una settimana. Se non succede niente entro tre settimane uno può salvarsi, ma
solamente dopo che sono passati 100 giorni senza sintomi della malattia uno può considerarsi
salvo… (Needham, 1970).
Molto presto, furono evidenti due concetti fondamentali di questa malattia: la trasmissibilità da un
animale infetto ad uno sano, e la suscettibilità di altre specie animali, come descrive Aristotele (IV
secolo a.C.) nella sua Historia Animalium 11: canes tribus morbis infestantur, quorum nomina
rabies, angina, podagra, “i cani soffrono di tre malattie che si chiamano rabbia, strozzacane e
podagra”. Delineò la rabbia come una malattia che porta l’animale alla pazzia (rabies insanos facit).
*
Gli Annali delle primavere e degli autunni sono la cronaca ufficiale del Regno Cinese Lu. Essa copre il periodo dal 722 a.C. al 481
a.C., definito appunto periodo delle primavere e degli autunni, ed è il più antico annale cinese. Il testo è estremamente conciso, e
contiene circa 16.000 parole, ma non può essere ben compreso senza l'aiuto dei commentari, tra i quali è annoverata la Cronaca di
Zuo, ossia la più antica cronaca Cinese in forma narrativa.
La moxibustione (Chinese: 灸; pinyin: jiǔ) avviene bruciando sopra o in vicinanza della cute della polvere di artemisia
(arthemisia vulgaris) al fine di ottenere una calorificazione della cute e, di riflesso, di strutture sottostanti e interne.
†
3
Sosteneva, erroneamente, che qualsiasi animale ad eccezione dell’uomo (praeter hominem), se
morso da un cane affetto da rabbia, contraesse la malattia e morisse inevitabilmente. Questa
sconcertante affermazione è stata oggetto di numerose interpretazioni e di inevitabili commenti da
parte degli studiosi di tutto il mondo (Blancou, 2003). Possibile che Aristotele considerasse gli
uomini resistenti alla malattia? Forse nell’antica Grecia non c’era la rabbia umana o invece, come
ipotizzato da alcuni studiosi del XIX sec., nell’arco dei secoli fosse stato possibile un cambiamento
nella patogenesi della malattia? Fu un mero errore di trascrizione? Nessuna di queste interpretazioni
sembra essere sufficientemente convincente ad eccezione di quanto dichiarato da Fracastoro a metà
del XVI sec., il quale sosteneva, verosimilmente, che Aristotele intendeva semplicemente fare una
distinzione fra gli animali, che riteneva manifestassero inevitabilmente sempre la malattia a seguito
del morso, e gli uomini che potevano anche non rivelare i sintomi clinici conclamati della
rabbia(Wilkinson, 1977).
Scrittori e scienziati della Roma antica del I° e II° secolo scrissero molto sulla rabbia,
ipotizzando ogni causa possibile, descrivendo un’innumerevole quantità di rimedi e terapie spesso
al limite tra magia e fede. Le loro idee, anche le più stravaganti, furono considerate le più autorevoli
in Europa e nel mondo Islamico fino al XVIII° secolo.
Dioscoride (I sec. d.C.) nella sua De Materia Medica (Περι ῦλης ιατρικής) , un trattato di medicina
e botanica, composto da cinque libri più due libri apocrifi, descrive chiaramente il contagio dagli
animali all’uomo attraverso il morso e la tragica evoluzione della malattia una volta che i sintomi
sono evidenti. Come descritto dal Mattioli in una delle sue maggiori pubblicazioni, Dioscoride
delinea con precisione il comportamento di un animale rabido: ” Arrabbiasi dunque il cane ne i
tempi degli arderissimi caldi, e parimente de gli estremi freddi. Fatto dunque, che sia egli rabbioso,
non vuole mangiare, ne manco si cura di bere: gitta una schiuma flemmatica per lo naso e per la
bocca: rimira stranamente dimostrandosi più del solito malinconico: assalta tutti senza abbaiare, e
morde indifferentemente così le bestie come gli uomini, tanto domestichi quanto forestieri. 12
Le persone che sono colpite dalla rabbia manifestano idrofobia, “abbaiando, come fanno i cani
volendo mordere, chi lor viene incontra, e mordendogli, gli fanno diventare parimente rabbiosi.”.
In terapia, oltre a rimedi come cenere di gamberi di fiume e genziana unite al vino, suggerisce di
incidere e sbrigliare la ferita, asportandone i tessuti e provocando un copioso sanguinamento, per
impedire la penetrazione del veleno. E’consigliata anche la vigorosa applicazione di ventose.
Qualora non si sia intervenuti immediatamente sul morso e il “veleno” sia già penetrato nel corpo, è
opportuno ricorrere agli evacuanti tra i quali Dioscoride indica come maggiormente efficace
l’elleboro bianco. Egli è convinto che la cauterizzazione della ferita aperta sia il rimedio d’elezione
“contra le morsure e le punture di tutti gli animali velenosi: impero che essendo il fuoco più
potente di ogni altra cosa”.
Plinio il Vecchio (I sec d.C.) nella sua Naturalis Historia sosteneva l’eziologia “parassitaria“
della malattia dichiarando che est vermiculus in lingua canum qui vocatur Graecis lytta, quo
exempto infantibus catulis nec rabidi fiunt nec fastidium sentiunt 13 ossia che fosse un verme nella
lingua del cane a trasmettere la malattia che i Greci chiamano “rabbia”. Probabilmente confondeva
il frenulo con un parassita (Jackson et al., 2002). Un’altra curiosa affermazione di Plinio legava
l’insorgenza della rabbia dei cani all’ingestione di sangue mestruale della donna “…..et in rabiem
aguntur gustato eo canes atque insanabili veneno morsus inficitur” 14(i cani che lo - il sangue
mestruale - assaggiano diventano rabidi e il loro morso è contaminato dal veleno incurabile della
rabbia). Egli descrive inoltre una serie di rimedi originali tra i quali il fegato crudo di cane infetto, o
ancora cervello o sterco di gallina, mischiato al cibo dei cani, cresta di gallo tritata; o anche cenere
di coda di topo, coda che deve essere stata amputata senza uccidere l’animale, decotto di sterco di
tasso, rondine e cuculo. Plinio menziona anche l’elleboro ed il veratro come rimedi per la malattia.
Una delle opinioni più diffuse nel mondo antico era quella che legava l’insorgenza della
malattia alla comparsa della stella Sirio (dal greco Σείριος o dal latino Sīrĭus che significa ardente,
4
incandescente perché fa la sua levata eliaca nella stagione più calda dell’anno). I romani adattarono
il sistema astronomico babilonese e chiamarono Sirio la Stella del Cane o “Canis” ed il giorno più
caldo dell’anno, che cadeva tra il 24 luglio e il 26 agosto, fu chiamato”giorno della canicola”.
Anche Plinio credeva che in questo periodo i cani contraessero con maggiore facilità la rabbia e che
pertanto fossero più frequenti tali epidemie “Rabies canum sirio ardente homini pestifera, ut
diximus, ita morsis letali aquae metu” ‡. Per esorcizzare eventi nefasti che si credevano legati a
questo periodo, in questi giorni avevano luogo nell’antica Grecia i kunophontes (Κὖνοφόντις), feste
caratterizzate da massacri di cani, mentre a Roma si festeggiavano i Furinalia (in onore della dea
Furina) in cui venivano uccisi solamente cani dal mantello fulvo.
Il mito che la rabbia insorgesse spontaneamente a seguito di condizioni estreme di caldo,
siccità, frustrazioni sessuali e altre forme di stress sopravvisse fino al XIX secolo.
Galeno più tardi, nel De locis affectis sostiene, erroneamente, che la malattia è trasmessa
solamente dal cane all’uomo attraverso la “saliva tossica” conseguenza della “corruzione degli
umori”. Sembra essere invece molto perspicace quando afferma che i cani sono gli unici animali
che contraggono la rabbia senza essere morsi o senza essere entrati a diretto contatto con un animale
infetto (Wilkinson, 1988).
Trecento anni dopo Aristotele, Aulo Cornelio Celso (I sec. D.C.), medico che visse a Roma a
cavallo della nascita di Cristo, scrisse il De re medica 15 una sorta di enciclopedia medica nella
quale mostra tutto il suo interesse per la rabbia umana, ponendo attenzione non solo alle
manifestazioni cliniche ma anche alle misure profilattiche in grado di prevenire il diffondersi della
malattia. Celso non si fa illusioni riguardo alle terapie. Descrive ampiamente il “trattamento
sintomatico” che considera essere, e che di fatto rimarrà fino alla comparsa del vaccino di Pasteur,
l’unica arma generalmente accettata contro la più spaventosa delle malattie (miserrimum genus
morbi), che tortura il malato contemporaneamente con la sete e la paura dell’acqua. Ecco quindi che
Celso descrisse, analogamente ai suoi contemporanei, un ampio numero di rimedi per uso sistemico
e locale. Egli riteneva di rilevante importanza il ricorso alla cauterizzazione della cute lesa, se non
c’era interessamento dei muscoli e dei nervi (neque nervosus neque musculosus), seguita dalla
necessità di tenere la ferita aperta per permettere al “virus” § di defluire liberamente anche quando,
come prima procedura, si era estratto il veleno con ventose (cucurbitula virus eius extrahendum
est)) immediatamente dopo il morso del cane infetto (Fleming, 1872). Molto utile sarebbe stata
l’assunzione di vino come antidoto di veleni (omnibus venenis contrarium est) ed i bagni con cui
provocare sudorazione. Fondamentale inoltre l’immersione “in piscinam”. “Se il malato non può
nuotare lascialo affondare e bere, poi tiralo su (Et si natandi scientiam non habet, modo mersum
bibere pati, modo attollere); se nuota spingilo sotto l’acqua ad intervalli in maniera che si riempia
di acqua contro la sua volontà (ut invitus quoque aqua satietur). In questo modo si rimuoveranno
allo stesso tempo la sete e la paura dell’acqua”. Ovviamente Celso sapeva bene che questo
trattamento non era scevro da pericoli. Sfortunatamente, nessuno dei trattamenti adottati da Celso
porta alla guarigione ma nonostante ciò molti di essi sono stati praticati fino al XIX° secolo.
È evidente come la maggior parte di questi concetti, sostenessero la “teoria umorale” secondo
la quale nel corpo umano si trovano quattro fondamentali umori (sangue, flemma, bile gialla,
atrabile), dalla cui miscela risultano quattro temperamenti individuali (sanguigno, flemmatico,
bilioso, atrabiliare) e dal cui equilibrio dipende lo stato di salute. Fattori che alterano o
‡
Plinio, Nat.Hist., libro VIII v. 152. Rabies canum sirio ardente homini pestifera, ut diximus, ita morsis letali aquae metu.
quapropter obviam itur per XXX eos dies, gallinaceo maxime fimo inmixto canum cibis aut, si praevenerit morbus, veratro. a morsu
vero unicum remedium, oraculo quodam nuper repertum, radix silvestris rosae, quae cynorrhoda appellatur (La rabbia dei cani nel
periodo della canicola è mortale per l’essere umano, per cui la si combatte per quei trenta giorni soprattutto con sterco di pollo
mescolato ai cibi dei cani, oppure, se la malattia si fosse già manifestata, con l’elleboro - oppure con il veratro).
§
La parola “Virus” deriva dalla forma latina vīrus, che significa "tossina" o "veleno" ed ha la sua sede etimologica nella parola greca
ιός ,“veleno”.
5
“corrompono” gli umori, come stress, freddo, caldo o intossicazione determinano l’avvelenamento
della saliva che attraverso il morso veicola il “virus”.
La rabbia ha interessato numerosi scrittori da dopo la caduta dell’impero romano fino al
Medioevo. Nel Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo dei primi secoli, i maestri più antichi
descrissero sintomi della malattia e rimedi della rabbia. “se una persona è morsa da un cane
impazzito, egli non deve mangiare il lobo di quel cane…(Mishnah Yoma 8:6). L’uso terapeutico di
parti anatomiche dell’animale rabido, specialmente il fegato, da parte dei soggetti morsi da tali
animali, era raccomandato da molti medici dell’antichità come Dioscorde, Galeno e altri, mentre nel
Talmud solamente R. Matia ben Heresh, che viveva a Roma, credeva nella sua capacità terapeutica.
Gli altri saggi del Mishnah, infatti, consideravano l’utilizzo di parti animali del soggetto rabido un
trattamento inutile dal momento che ne contestavano le proprietà curative proibendone l’uso
giacché derivava da un animale non Kosher.
I “rabbi”conoscevano bene il comportamento del cane rabido: “cinque cose sono menzionate in
connessione con un cane rabbioso: la sua bocca è aperta, la saliva gocciola, le orecchie sono
cadenti, la coda è portata tra le gambe, e cammina sul margine della strada. Alcuni riportano,
inoltre che il cane rabido abbaia senza voce.”(Rosner,1977 )
Sebbene i sintomi fossero correttamente riconosciuti l’eziologia risultava ancora poco chiara
tanto che si riteneva che, se un cane rabido si sfregava contro una persona, i suoi indumenti
dovevano essere distrutti. Il trattamento terapeutico prevedeva che la persona ferita prendesse la
pelle di una iena maschio o di un leopardo e vi scrivesse sopra una preghiera, successivamente che
si togliesse gli indumenti e che li seppellisse in una fossa per dodici mesi. Passato un anno avrebbe
dovuto dissotterrare i vestiti e bruciarli in un forno spargendone le ceneri. Secondo il Talmud
inoltre, “tutti gli animali rabidi potranno essere uccisi di Sabato”.
Tra gli autori classici, Celio Aureliano, medico numida vissuto nel V secolo d.C., fu il primo a
descrivere accuratamente e dettagliatamente la malattia. Dedica alla idrofobia “vehemens timor
aquae” ben otto capitoli del De morbis acutis et chronicis, traduzione dell’opera greca di Sorano di
Efeso (Περὶ ὀξέων καὶ χρονίων παϑῶν). Uno dei capitoli più interessanti dell’opera di Celio
Aureliano è senza dubbio quello riguardante l’eziologia della malattia. Diversamente dai suoi
predecessori Aureliano ritiene che la causa della malattia debba essere imputata non solo a morsi o
ferite provocate da cani, lupi e uomini ma anche da altre specie come l’orso, il cavallo, l’asino e il
leopardo. Inoltre il contagio può avvenire anche a seguito di inalazione dell’odore emanato dal cane
affetto da rabbia o a seguito di un’unghiata. Aureliano ammette, poi, la possibilità dell’insorgenza
spontanea della malattia (Est praetera possibile, sine manifesta causa, hanc passionem corporibus
imasci, cum talis fuerit strictio, sponte generata qualia venena 16), e descrive dettagliatamente i
sintomi della malattia nell’uomo differenziando questi dalle altre malattie simili come la mania, la
frenite e la melanconia. Infine egli discute vari trattamenti terapeutici da seguire sebbene questa
parte dell’opera sia considerata da alcuni studiosi moderni la più debole e meno incisiva della
trattazione. Aureliano consiglia di far risposare il malato in luogo caldo e luminoso, coperto con
panni puliti di lana che facilitino la sudorazione. Suggerisce come rimedi anche il salasso,
l’applicazione di ventose e la scarificazione, dimostrando di non conoscere nulla sulla
cauterizzazione delle ferite. Questa carenza, secondo alcuni autori potrebbe essere dovuta
all’appartenenza di Aureliano alla setta metodica, secondo la quale, le terapie erano solamente una
contemplazione degli sforzi della natura a promuovere il recupero dei pazienti (Théodoridès J,
1984).
Publio Flavio Vegezio Renato, visse tra la fine del IV e l’inizio del V secolo d.C. Autore de
Digestorum artis mulomedicinae libri (o Mulomedicina), un vero e proprio trattato di veterinaria.
Descrisse la rabbia nei cavalli che mordono altri animali contagiandoli “facit ipsa contagiose
rabiosa”.Vegezio, inoltre, suggerisce ,come antidoto per i bovini che sono stati morsi da un cane
6
rabido, di somministrare lo stesso fegato del cane infetto mischiato con l’alimento oppure forzando
gli animali ad ingerirlo come fosse una medicina (Steele et al.,1991).
Le più autorevoli personalità scientifiche del mondo islamico come Rhazes, e Avicenna
nell’XI° secolo subirono molto l’influenza di Celso e della dottrina umorale.
Il persiano Rahazes o al-Rāzi, (864-930), considerato uno dei più grandi alchimisti di ogni
tempo e uno dei più prestigiosi, medici del medioevo menziona l’idrofobia nel suo Al-Hawi,
tradotto in latino Contines, affermando che “un uomo abbaiava di notte come un cane e poi morì”,
e che ce ne era uno altro che veniva colto da tremori e convulsioni solamente alla vista dell’acqua,
ma quando l’acqua gli veniva tolta i sintomi cessavano(Steele et al.,1991).
Avicenna, conosciuto anche con il nome di Ibn Sinna, fu un medico persiano vissuto nel VIII
sec. d.C. Da molti considerato come “il padre della medicina moderna”, nel Canon Medicina, una
sorta di enciclopedia medica, comprovò la rabbia nel cane, nelle volpi, nei lupi e negli sciacalli. Egli
suggerì un’eziologia stagionale della rabbia. Sosteneva che la malattia potesse scaturire dai
cambiamenti della temperatura ambientale, credenza molto simile a quella Romana che legava
l’insorgenza della malattia alla comparsa della stella Sirio.
Nel Canon Avicenna sostiene che le ferite debbano rimanere aperte per 40 giorni e raccomanda,
come rimedio infallibile, la meloe vescicatoria (lytta vescicatoria o mosca spagnola). Allude ad un
interessamento dell’apparato urinario, sostiene che gli idrofobi abbaiano come cani, che hanno un
forte desiderio di mordere altre persone, che ci sono soggetti che soffocano mentre bevono e che
spesso la malattia termina con l’apoplessia. Nell’insieme questo trattato è molto completo e
certamente rappresenta un passo in avanti rispetto i suoi predecessori.
Come per la maggior parte delle questioni mediche nel medioevo in Europa i critici ebbero
qualcosa da aggiungere a quanto detto dagli scrittori islamici.
Arnoldo di Villanova, medico del XIII sec., sebbene fosse convinto che i cani diventassero
rabidi dopo aver mangiato i cadaveri, in maniera corretta pose l’accento sulla pulizia accurata della
ferita da morso.
L’incurabilità della malattia e il suo ineluttabile decorso per secoli ha evocato riti e culti al
limite tra superstizione e religione. Tra i più celebrati c’era il culto di Sant’ Uberto **, Santo
protettore dei cacciatori e dei cani contro la rabbia. A partire dal secolo XII Sant’Uberto è diventato
il taumaturgo contro questa piaga. Una volta che si palesavano i sintomi, molte persone ricorrevano
alla guarigione religiosa. Per guarire i malati veniva praticata loro un’incisione sulla fronte dove
s’introduceva un filamento tratto dalla stola del Santo. Pare che fossero eseguite dalle 500 alle 800
incisioni all’anno. Un’altra leggenda attribuisce a Sant’Uberto una chiave d’oro lasciatagli da San
Pietro che riscaldata fino a renderla incandescente e applicata ardente sulla cute lesa guarisse le
ferite causate da animale rabido.
Siamo in pieno rinascimento quando nel 1546 esce a Venezia il De contagione et contagiosis
morbis et curatione eorum scritto dal medico veronese Girolamo Fracastoro (1478-1553),
probabilmente il primo vero trattato dedicato esclusivamente alle malattie contagiose. Fracastoro,
intuì l’esistenza di elementi piccolissimi, invisibili, qualcosa di più simile a un germe o ad un
veleno autoreplicante che ad un microrganismo, i seminaria morbi, che si moltiplicano nell’ospite e
si diffondono per contatto diretto (“alia contactu solo afficiuntur “), indiretto, mediante indumenti e
suppellettili (“ut fomites fiant, lana vero, et panni, et lignorum multa, idonea magis sunt”), o a
distanza per mezzo dell’aria e dell’acqua (“ad distans etiam transferunt contagionem ...cum aere
qui attrahitur, ingrediuntur commixta contagionum seminaria”). Per questo motivo egli viene
considerato l’antesignano della teoria del “contagium vivum”, ossia la trasmissione della malattia
attraverso organismi viventi, precursore della teoria del batterio, in contrapposizione all’
**
Sant’Uberto visse nell’VIII sec. Fu missionario ed evangelizzatore degli ultimi pagani che vivevano nei recessi dei boschi esistenti
ai confini della sua diocesi, nel Brabante meridionale e nelle Ardenne e Vescovo di Liegi.
7
interpretazione miasmatica, allora dominante, secondo cui le infezioni erano dovute alla corruzione
dell’aria dovuta alle esalazioni ed ai miasmi (la parola deriva dal greco, μιαίνῶ, miaino che
significa contaminare). Anche riferendosi alla rabbia Fracastoro, asserisce che i “seminaria” sono
trasmessi con il morso attraverso la ferita cutanea passando dalla saliva dell’animale infetto al
sangue della persona morsa; egli lascia il suo lettore senza dubbio alcuno sull’impossibilità della
trasmissione della malattia con il semplice contatto attraverso un agente veicolante o fomite, o a
distanza. Nonostante l’originale e quasi chiaroveggente interpretazione sulla modalità di
trasmissione delle malattie contagiose, Fracastoro non si discosta molto dalla tradizione terapeutica.
Consiglia, immediatamente dopo il contatto con l’animale infetto, di scarificare e cauterizzare la
parte lesa e di applicare ventose e unguenti che facilitino l’eliminazione di quanto penetrato
attraverso la ferita. Questi rimedi sono sconsigliati invece, se la malattia è già ad uno stadio
avanzato. Indica, infine, una lunga serie di purganti e di evacuanti, utili per il trattamento della
rabbia.
Fracastoro rappresenta un punto di svolta importante nella comprensione della malattia tra il
mondo classico e i progressi del XIX secolo. Fu, poi, il primo a sostenere che il morso di un cane
rabido non è sempre infettante.
Bisogna sottolineare che, sebbene il concetto di seminaria morbi o trasmissione delle malattie
attraverso semi, non fosse originale, come brillantemente discusso da Vivan Nutton 17,
probabilmente Fracastoro riuscì ad argomentarlo ed approfondirlo come nessun altro prima di lui.
Fracastoro, scrivendo più di un secolo prima che Leeuwenhoek (1632-1723) cominciasse a
molare le sue lenti, quando menziona i “germi” o “seminaria” con la capacità di propagarsi e
generare cose simili a loro stessi egli certamente non vide i germi come organismi vivi, tantomeno
animalculae, sebbene egli aggiunse che gli animali morivano della malattia non più “preservando il
contagio” perche “i germi del contagio morivano insieme con il calidum innatum”.
Nel XVI° secolo un chirurgo francese, Ambroise Paré (1509-1590), definito come il padre
della chirurgia moderna ed autore del trattato Des venins, descrisse clinicamente la rabbia e
riconobbe il coinvolgimento del SNC. Considerò sintomi patognomonici per gli animali affetti dalla
malattia gli occhi rossi, la testa abbassata, la mandibola aperta, le orecchie e la lingua pendule,
anoressia ed una spiccata aggressività nei confronti di animali familiari e uomini senza alcuna
ragione apparente. Sfortunatamente ritornò alla teoria umorale stando alla quale tra i sei possibili
fattori predisponenti la rabbia canina ci sono, in aggiunta al morso dell’animale rabido, le
temperature estreme, l’alimentazione e la melanconia che coglie il cane quando perde il suo
padrone ( Blancou, 2003).
Il crescente interesse per la malattia, dovuto presumibilmente al diffondersi delle epidemie in
tutta Europa, produsse una fiorente letteratura sulla rabbia e sull’idrofobia che caratterizzò i decenni
seguenti. Nonostante l’elevato numero di pubblicazioni, molto poco si aggiunse alle conoscenze
scientifiche sulla malattia, tantomeno furono adottati protocolli terapeutici utili ad alleviare la
sofferenza sebbene fossero sperimentati una moltitudine di rimedi più o meno esotici, che furono
inevitabilmente scartati. Neanche lo sviluppo della professione veterinaria che si compì a partire
dalla metà del XVIII secolo ††, ebbe un impatto significativo sulla comprensione del problema della
rabbia.
È tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo che cominciano a fiorire a Londra e nel mondo
società mediche e scientifiche che segnano un approccio più tecnico e sperimentale alla conoscenza
delle malattie caratterizzato dalla pubblicazione di numerosi lavori che determinano una svolta
significativa per il futuro di questa malattia.
††
La prima facoltà di medicina veterinaria fu fondata nel 1762 a Lione da Claude Bourgelat, medico chirurgo veterinario.
8
Inizialmente l’approccio allo studio della malattia fu di tipo macroscopico: furono compiute
numerose autopsie che, tuttavia, diedero scarsi risultati in quanto le lesioni sono apprezzabili a
livello istologico. La crescita della letteratura fu notevole specialmente in Francia, dove esisteva un
considerevole interesse per la rabbia, in conseguenza anche delle importanti epidemie che si
andavano diffondendo. Attorno al 1750, molti medici credevano nella rabbia spontanea. Ma nel giro
di qualche decade fu chiaro che sebbene la rabbia conseguisse ai morsi di animali rabidi, non tutti i
morsi trasmettevano la malattia.
Joseph-Ignace Guillotin, (1738 – 1814), medico francese divenuto celebre per aver dato il
nome alla famosa macchina, pur non essendone l’inventore, propose un approccio sperimentale: i
criminali condannati sarebbero stati morsi da animali malati, dopodiché le prove di vari rimedi
sarebbero stati condotti su di essi. Questo modello non fu mai adottato, ma furono condotti alcuni
importanti esperimenti attorno alla fine del XIX° secolo(Kiple, 2003).
Un medico inglese John Hunter (1728-1793), autore di un articolo dal titolo “ Observations
and heads of inquiry on canine madness” pubblicato nel 1793 sulla prestigiosa Transactions of a
Society for the Improvement of Medical and Chirurgical Knowledge, fu tra i primi a proporre
l’inoculazione sperimentale della saliva nel 1790. Egli pur ammettendo di non avere la certezza che
la rabbia non potesse insorge spontaneamente, asseriva che le prove a disposizione suggerivano che
la malattia sopravvenisse, per lo più, a seguito di una qualche infezione. La sua personale
esperienza in Giamaica, un’isola dal clima caldo e piena di cani e indenne per più di 40 anni dalla
rabbia, lo convinse che le epidemie di rabbia insorgessero a seguito dell’introduzione di cani dal
Nord America. Nelle pagine conclusive del suo lavoro, Hunter afferma l’importanza della
sperimentazione eseguita sul “veleno” della malattia. Propone, sebbene non abbia mai messo in
pratica tali consigli, di inoculare la saliva presa da un cane (o da un uomo) rabido in cani ed in altre
specie, per studiare la natura della malattia, le modalità di trasmissione e la comparsa dei sintomi
(Wilkinson, 1976). Dieci anni dopo, nel 1804, un ricercatore tedesco Georg Gottfried Zinke mette
in pratica i suggerimenti di Hunter eseguendo i primi esperimenti di inoculazione della saliva. I suoi
risultati furono pubblicati in un volumetto pubblicato a Jena nel 1804. Di fatto questo rappresenta la
prima documentazione di una completa serie di sperimentazioni di trasmissione della malattia
destinate a dimostrare la patogenesi dell’agente eziologico della rabbia.
Zinke utilizzò la saliva da un cane rabido spazzolandola nell’incisione che aveva fatto nella
zampa anteriore di un bassotto. Il cane si ammalò il settimo giorno, l’ottavo giorno rifiutò acqua e
cibo, strisciando nell’angolo della sua gabbia. Dal decimo giorno i sintomi della rabbia furono
evidenti(Steele et al., 1991).
Eusebio Valli (1755-1816) ricercatore toscano, mise in pratica i suggerimenti di Hunter
riuscendo a trasmettere la malattia attraverso l’inoculazione di saliva proveniente da un animale
rabido. Affermava, inoltre, di essere riuscito a rendere il “virus” meno virulento mescolando la
saliva infetta con il succo gastrico dalle rane. Sosteneva poi che l’inoculazione in un cane di saliva
“neutralizzata” non comportava l’insorgenza della malattia e dichiarò di aver trattato con successo
con questo rimedio due persone morse da cani.
Le moderne conoscenze sulla rabbia sono datate metà del XIX ° sec. e sono strettamente
connesse all’incremento della metodologia sperimentale e alla teoria dei germi.
La rabbia non era ancora nota per essere uno dei più grandi pericoli per la salute pubblica ma
era sufficientemente spettacolare da attrarre una discreta quantità di ricercatori.
Il ricercatore francese Francois Magendie (1783-1855), insieme all’anatomista francese
Gilbert Breschet (1785-1845) inoculò saliva umana di un uomo infetto, riuscendo a dimostrare la
trasmissibilità da uomo ad animale( Kiple, 2003). Sebbene l’esperimento fosse stato condotto nel
1813, fu pubblicato solamente nel 1821 in un documento che illustrava anche la drammatica
ispezione di mastini rabidi in uno stabilimento per cani da combattimento a Parigi. Benché questi
9
esperimenti non stabilissero l’agente infettivo essi chiarivano il coinvolgimento neurotrofico della
malattia. A partire dal 1820 la rabbia è stata riconosciuta come la prima zoonosi a diventare il
centro delle ricerche nella medicina comparativa (Wilkinson, 1988).
La terapia del XIX° secolo, comunque, rimase un disperato miscuglio di inutili rimedi, molti
dei quali eredità di tempi antichi. I medici provavano ogni cosa possibile dalle droghe alle purghe,
dall’elettroshock all’immersione in mare. Spesso erano impiegati sedativi e potrebbe essere stata
praticata anche l’eutanasia.
Nel XIX secolo la Gran Bretagna e l’Europa furono colpite da numerose epidemie di rabbia. Il
medico veterinario inglese William Youatt (1776 – 1847) tenne a Londra un corso sulla rabbia
canina che fu pubblicato nel 1830 sulla rivista “The Veterinarian”. Poco prima di morire scrisse un
manuale sul cane, The dog, pubblicato successivamente alla sua morte, che include un intero
capitolo sulla rabbia. Youatt credeva fermamente che la rabbia fosse una malattia trasmissibile e
che non fosse possibile una comparsa spontanea. Inoltre era convinto nella necessità incondizionata
di adottare misure di prevenzione “..se si potesse stabilire una specie di quarantena ed ogni cane
fosse confinato separatamente per 7 mesi, la malattia potrebbe essere debellata” 18 .Youatt fu molto
critico nei confronti dei possessori di cani non utili e pericolosi utilizzati per combattimento a fini
iniqui e che contribuirono alla diffusione della rabbia (Wilkinson, 1988).
Per quello che riguarda la natura del “virus” della rabbia Youatt era cosciente che le conoscenze
fossero ancora scarse ma allo stesso tempo appare profetico quando confessa che uno dei suoi
rimpianti più grandi è quello di non essere riuscito ad avviare un corso di sperimentazione sulla
riproduzione e il trattamento della rabbia nei conigli che, con poca spesa e pochi pericoli, avrebbe
potuto produrre importanti scoperte. A trenta anni dalla morte di Youatt i conigli divennero gli
animali di elezione per la ricerca sulla rabbia e costituirono le basi del lavoro di Pasteur.
Il primo ad introdurre l’uso dei conigli nel mondo della ricerca, molto prima di Pasteur, fu il
medico veterinario francese Pierre Victor Galtier (1846 – 1908), professore presso la facoltà di
Medicina Veterinaria di Lione. Per la sua attività di ricerca e per il decisivo lavoro sulla rabbia,
Galtier fu proposto per il premio Nobel ma, purtroppo, morì nel 1908, poco prima dell’assegnazione
del premio. Il suo contributo maggiore è quello di aver sviluppato un vaccino ben prima di Pasteur,
fu più che un precursore di questo nella lotta alla rabbia: Galtier è stato il creatore del vaccino e dei
concetti di base della vaccinazione.
La sua prima pubblicazione nel 1879 sull’argomento è un lavoro intitolato “Etudes sur la rage“,
pubblicato in due riviste di medicina veterinaria e le cui conclusioni sono riportate nel Comptes
rendus de l’Académie des sciences. Galtier dimostrò la trasmissibilità della rabbia dai cani ai
conigli e dai conigli ai conigli che diventarono gli animali di elezione per la sperimentazione in
laboratorio in quanto, da un punto di vista economico e pratico, molto più convenienti rispetto al
cane, dal momento che, per la stabulazione, era richiesto un minore spazio e quindi nel complesso
risultavano essere molto più facili da manipolare. Oltretutto il periodo di incubazione della malattia
sembrava essere più breve. Notò che il coniglio poteva vivere da poche ore a quattro giorni dopo
che la malattia si era manifestata chiaramente. Annotò che i sintomi predominati per questa specie
erano convulsioni e paralisi, dimostrando che la rabbia era una malattia del sistema nervoso.
Quindi Galtier ebbe un’idea geniale: sosteneva che, se avesse trovato un efficace sistema di
prevenzione sarebbe stato come scoprire la cura della malattia, specialmente se l’azione del
trattamento fosse stata efficace anche uno o due giorni dopo il morso. Questa perspicace idea pose
le basi della vaccinazione preventiva della rabbia. Dimostrò ancora che la saliva di un cane rabido,
conservata in acqua risultava essere ancora virulenta per 24 ore. Nel 1880 pubblicò il “Traité des
maladies contagieuses “ che conteneva un intero capitolo sulla rabbia. Ed è in questo lavoro che
dichiara ‡‡ “il virus della rabbia inoculato direttamente nel torrente circolatorio non ha alcun effetto,
‡‡
Le virus rabique injecté directement dans le torrent circulatoire reste sans effet, c'est du moins ce que j'ai constaté dans plusieurs
expériences où j'avais injecté dans la jugulaire du mouton une grande quantité de bave rabique.
10
almeno questo è ciò che ho riscontrato in diverse esperienze iniettando nella vena giugulare di
pecore una grande quantità di saliva infetta”. In quello stesso anno, Pasteur comincia ad interessarsi
di rabbia ed a considerare il lavoro di Galtier, non senza un certo disprezzo, sentenzia che questi
esperimenti "non permettono di avvicinarsi, tanto meno di individuare, la malattia”. Nel 1881
Galtier scriveva “Ho iniettato sette volte saliva infetta nella giugulare delle pecore senza mai
osservare la comparsa della rabbia. Ad uno dei soggetti sperimentali è stato successivamente
inoculato con la saliva di un cane infetto; dopo quattro giorni dall’inoculazione, l'animale sta
sempre bene, e sembra aver acquisito l'immunità. Ho effettuato un’inoculazione intraperitoneale
ancora quindici giorni con 8 cc di saliva rabida; sta sempre molto bene; prossimamente vorrei fare
sullo stesso soggetto un’altra inoculazione”. Lo stesso anno invia una nota all’Accademia delle
Scienze descrivendo le sue conclusioni: “Le conclusioni che emergono da questi fatti sono le
seguenti:
1 °. Les injections de virus rabique dans les veines du mouton ne font pas apparaître la rage et semblent
conférer une immunité.. Le iniezioni di virus rabido nelle vene delle pecore non palesano la malattia e
sembra che conferiscano l’immunità.
2 °. La rage peut être transmise par l’injection de la matière rabique.. La rabbia può essere
trasmessa dalla iniezione di materiale infetto ( Théodorides, 1986).
Per lo storico Jean Théodorides è la prima volta nella storia della medicina che si manifesta
l’idea di immunizzazione contro la rabbia con risultati effettivamente convincenti. Gli studi
effettuati da Galtier dimostrano che egli è stato il primo ad aver trovato una tecnica per contrastare
la rabbia 19.
La validità del metodo di immunizzazione di piccoli ruminanti attraverso l'iniezione
endovenosa verrà confermata pochi anni dopo, da due collaboratori di Pasteur, Emile Roux e
Edmond Nocard.
Negli anni successivi, Pasteur riuscì a dimostrare due aspetti fondamentali della malattia. Per
prima cosa comprovò che l’agente patogeno responsabile della rabbia aveva un carattere fortemente
neurotropico. In secondo luogo riuscì a dimostrare che il virus era presente non solo nella saliva
dell’animale rabido ma anche nel suo sistema nervoso. Lavorando con i conigli, come sostenuto da
Galtier, Pasteur usò materiale spinale essiccato come sorgente dell’infezione e intuì che con
l’inoculazione di questo tessuto, opportunamente trattato per attenuarne la virulenza prima che la
malattia esplodesse in modo irreversibile, si poteva determinare nel paziente uno stato refrattario: le
sue ricerche gli consentirono nel 1885 di proporre il primo vaccino antirabbico.
Nel 1884 Pasteur sviluppò un metodo di indebolimento dell’agente patogeno ancora
sconosciuto. L’agente infettivo attenuato fu iniettato nei cani senza causare la malattia ma, al
contrario, procurò immunizzazione nei confronti del virus virulento.
Il primo studio sull’uomo fu condotto nel 1885. Pasteur e i suoi collaboratori somministrarono
virus attenuato ad una vittima morsa da un cane rabido sperando che il vaccino trasmettesse
l’immunità prima che l’agente patogeno causasse la malattia.
Nel luglio del 1885, un bambino di 9 anni, Joseph Meister, gravemente ferito da un cane rabido,
fu portato a Parigi due giorni dopo l’esposizione al virus. I dottori si persuasero che il bimbo fosse
affetto da rabbia. Pasteur sapeva che se il ragazzo non fosse stato sottoposto a vaccinazione sarebbe
inevitabilmente morto. Joseph fu sottoposto a una serie di iniezioni di vaccino e fu la prima persona
che sopravvisse all’infezione. Curiosamente divenne portinaio dell’Istituto Pasteur dove prestò
servizio fino all’età di 64 anni quando si sparò piuttosto che permettere alla Wermacht di accedere
alla cripta dove era sepolto Pasteur.
Una seconda vittima fu trattata con successo nell’ottobre del 1885. Da quel momento, in pochi
mesi, furono trattati più di 350 casi. Solo una ragazza, che fu sottoposta a vaccinazione oltre un
11
mese dopo l’esposizione, morì. Il trattamento fu un risultato importante, che ebbe un grande
risonanza nell’opinione pubblica. Le persone morse da cani rabidi o sospetti tali si accalcavano nel
laboratorio di Pasteur da tutte le parti d’Europa per essere sottoposte al trattamento immunizzante.
Le percentuali di successo salivano costantemente, specialmente se il vaccino veniva somministrato
prontamente e se non vi erano ferite localizzate alla testa. Il governo francese cominciò
immediatamente a sostenere il lavoro di Pasteur ed il suo istituto si ingrandì (Théodoridès, 1986).
Furono due italiani Alfonso Di Vestea (1854-1938) e Giuseppe Zagari (1863-1946), i primi a
dimostrare che il virus della rabbia raggiunge il sistema nervoso centrale attraverso i nervi
periferici.
Qualche decennio più tardi, in Italia, nel 1903, Adelchi Negri (1876-1912), assistente di
Camillo Golgi, individuò l’esistenza di inclusioni citoplasmatiche, oggi conosciute come “corpi di
Negri” nelle cellule del sistema nervoso di cani rabidi. Negri ritenne erroneamente che i corpi
endocellulari osservati potessero essere gli agenti patogeni della rabbia e che si trattasse di protozoi.
Fu poco dopo che Di Vestea a Napoli e Remlinger (1871-1964) a Costantinopoli, dimostrarono,
l’uno indipendentemente dall’altro, la filtrabilità attraverso le candele Berkefeld e Chamberland
dell’agente eziologico della rabbia (Zanchin et al., 2007).
Era il 1962 quando il virus fu visto per la prima volta. Grazie all’ausilio della microscopia
elettronica Sokolov et Vanag 20dimostrarono che i corpi di Negri erano costituiti da frammenti
virali e poterono mostrare per la prima volta l’immagine caratteristica del virus della rabbia, «a
proiettile di fucile » (Zanchin et al., 2007).
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Senofonte, Anabasi, Libro V, cap VII, v. 27
5
Ovidio, Metamorfosi, Libro XIV, v. 66
6
Virgilio, Georgiche, Libro VII, v. 496
7
Pausania, Periegesi della Grecia, Beozia, Libro IX, cap.2
8
Euripide, Baccanti, v.335
9
Apollodoro, Biblioteca, libro III,cap.4.
10
Kaviraj Kunjalal Bhishagratna, An english translation of the Sushruta Samhita. Ed. del 1911, vol.
2, pag. 733-736.
11
Aristotele, Hisotria animalium, Libro VIII, cap. 22
12
Mattioli P.A. I discorsi di M. Pietro Andrea Mattioli Medico Sanese, ne i sei libri della Materia
Medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo con i veri ritratti delle piante & de gli animali,
nouvamente aggiuntivi dal medisimo. Ed.del 1585,Parte seconda, pag. 833-839.
13
Plinio il vecchio, Naturalis Historia, libro XXIX, par.100
14
Plinio il vecchio, Naturalis Historia, libro VII, par.64
15
Aulo Cornelio Celso, De re medica, libro V, cap.27, 2
16
Celio Aureliano, Acutis Morbis , Libro III, cap.9
17
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to the renaissance, Medical History, 1983, 27: 1-34.
18
James M.D. Treatise on Canine Madness. London, J. Newbery Ed., 1760
19
Pierre Victor Galtier: http://fr.wikipedia.org/wiki/Pierre_Victor_Galtier#cite_ref-11
20
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1962 Sep;6:452-7.
2
13
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