Comments
Description
Transcript
dossier: la rabbia
dossier: la rabbia Anatomia della rabbia C hissà che avrà pensato Albert Mehrabian, professore emerito di psicologia all’Università della California a Los Angeles, nel vedere il morso con cui Mike Tyson ha staccato un orecchio a Evander Holyfield sul ring di Las Vegas nell’estate del 1997, o la testata di Zinedine Zidane a Marco Materazzi durante la finale dei campionati del mondo del 2006. Forse si sarà sorpreso, ma fino a un certo punto, perché i comportamenti dei due non facevano che confermare le teorie sulla comunicazione descritte in Nonverbal communication, il suo pionieristico saggio dato alle stampe nel giugno 1972. Per Mehrabian ciò che viene percepito in un messaggio vocale può essere diviso in una parte verbale in senso stretto, vale a dire le parole, che non copre più del 7 per cento della comunicazione; il 38 per cento della comunicazione passa invece attraverso il tono, il timbro, il volume e l’inflessione della voce, quello che si dice il paraverbale. Il resto di ciò che trasferiamo ai nostri interlocutori – la maggior parte in verità, visto che rappresenta il 55 per cento – passa attraverso l’atteg- È un’emozione primitiva, una reazione a volte incontrollabile di fronte alle piccole e grandi disavventure quotidiane. Che troppo spesso supera il limite dello sfogo, con conseguenze anche drammatiche. Ecco perché è importante conoscere la rabbia, e imparare a disinnescarla Dan Saelinger di Massimo Picozzi n. 90, giugno 2012 Mente & Cervello giamento non verbale, il linguaggio del corpo. E quello di Zidane e Tyson lasciava pochi dubbi sul tipo di messaggio che avevano inteso comunicare, e soprattutto sull’emozione che li aveva travolti: la rabbia. È ormai assodato che, a un certo punto dell’evoluzione, la corteccia cerebrale abbia raggiunto un tale sviluppo da assicurarsi il controllo delle più primitive strutture limbiche, responsabili, tra l’altro, delle emozioni. Ovviamente la corteccia cerebrale non ha mai garantito un filtro totale, ma le cronache degli ultimi anni sembrano raccontarci di una vigilanza sempre meno efficace, di condotte a corto circuito sempre più drammatiche e diffuse. In una deprecabile classifica sugli aspetti meno gradevoli dell’uomo, il sentimento «odio», ha ceduto il primato all’emozione «rabbia». È la rabbia ad armare la mano di quegli uomini che non sopportano il rifiuto di una donna, a trasformare un mediocre studente nell’autore di una strage, a prendere un tizio qualunque, alla guida di un’auto, e mutarlo in una belva primordiale. Storia di un’emozione Un’occasione di crescita. Dal titolo quanto mai esplicito, il saggio sulla rabbia appena pubblicato da Massimo Picozzi e Catherine Vitinger – una dei maggiori esperti di Krav Maga, tecnica israeliana di difesa personale diffusa in tutto il mondo – non ha certo l’obiettivo (illusorio) di eliminare la rabbia; al contrario, propone di accettarla e imparare a gestirla in modo costruttivo. 28 gli dei sono motivazioni tipicamente umane, come l’invidia, ma soprattutto la slealtà e la disobbedienza. Quando, nel Medio Oriente e in Europa, si impongono le grandi religioni monoteiste, le divinità si fanno meno legate, più astratte e lontane. Ma la rabbia continua a essere al centro di incredibili episodi: Yahweh, il dio del popolo ebraico, mantiene una pronta disponibilità a infuriarsi, basta ricordare la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, la distruzione di Sodoma e Gomorra, le piaghe mandate a punire le terre d’Egitto, la furia contro gli ebrei che adorano il vitello d’oro. Nella Grecia dei filosofi, Pitagora sostiene u Effetto frustrazione Cominciamo con il dire che cosa la rabbia non è: non è un sentimento, una condizione affettiva che dura più a lungo, e non è una passione, che permane ma è più profonda e travolgente del sentimento. Non è nemmeno uno stato d’animo, che corrisponde a una situazione affettiva di fondo, come per esempio alzarsi al mattino sentendosi «giù di corda». La rabbia è un’emozione, vale a dire qualcosa che accade in rapporto a una situazione esterna, e perciò assume un ruolo sociale. Come ogni emozione, la sua principale funzione è valutare costantemente ciò che accade nell’ambiente intorno a noi, in modo da poter reagire adeguatamente. In qualunque situazione preveda un confronto, che si tratti di un meeting in azienda o un colloquio di assunzione, il nostro sistema emotivo ricalibra costantemente il nostro atteggiamento in rapporto al flusso di informazioni che ci arriva e insieme regola il nostro corpo, preparandoci alla necessità di un’eventuale azione. Contemporaneamente, con le emozioni comunichiamo le nostre intenzioni, spesso con maggiore intensità ed efficacia di quanto possano fare le parole. Caposaldo dei moderni studi scientifici nel settore è certamente Charles Darwin, che nel 1872 pubblica L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri animali. A circa cent’anni di distanza, nel 1980, Robert Plutchik ne raccoglie l’eredità, presentando il suo sistema di classificazione basato su otto emozioni primarie, suddivise in coppie: di- che il controllo della rabbia possa portare alla temperanza e all’autocontrollo, e mentre Platone la considera una passione bestiale, Aristotele va contro corrente, tanto che, nella sua Etica Nicomachea, sostiene: «Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, nel grado giusto, al momento giusto, per lo scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque, e non è facile». Il concetto di collera come emozione da dominare con la ragione è sostenuto nei secoli a seguire da Cicerone e Plutarco, ma soprattutto da Seneca, che gli dedica il De Ira, composto intorno al 40 a.C. sgusto e accettazione, tristezza e gioia, sorpresa e attesa, e infine paura e rabbia. Dalle varie combinazioni di queste derivano poi le emozioni secondarie, come la gelosia, la rassegnazione, la vendetta. James Averill, forse il maggior ricercatore in tema di rabbia, ne individua tre caratteristiche principali: in primo luogo ci arrabbiamo solo quando attribuiamo la responsabilità delle nostre frustrazioni o disagi agli altri. Poi c’è il fatto che la situazione che ha innescato la nostra reazione era del tutto evitabile. Il terzo e ultimo requisito è che non c’è una motivazione valida per il comportamento che ci ha colpito, e danneggiarci porta poco o alcun vantaggio all’altro. Per Averill solo l’11 per cento delle persone si arrabbia per episodi provocati da qualcuno volontariamente, ma ritenuti da chi li subisce giustificati dalle circostanze. Nella maggior parte dei casi, è banale dirlo, ci arrabbiamo con un nostro simile: solo in un quinto dei casi chi ci manda in bestia è un perfetto estraneo; in un terzo invece la collera la indirizziamo a persone amiche, a gente che ci sta simpatica, e in circa la metà dei casi alle persone che amiamo di più. Sono perciò coniugi, fidanzati, genitori e figli quelli che hanno il potere di farci arrabbiare. In parte ciò accade perché non esiste un legame d’amore che non si trascini dietro un minimo di aggressività e rivendicazione. Ma c’è anche il fatto che le persone cui vogliamo bene sono anche quelle con cui trascorriamo più tempo, e poi pensiamo che il rapporto af- n. 90, giugno 2012 fettivo che abbiamo con loro ci permetta di perdere momentaneamente il controllo senza guastare irrimediabilmente la relazione. Ma la rabbia non è soltanto un’espressione negativa, da cancellare; rappresenta anche una risposta a una minaccia, alla frustrazione, e ci aiuta a combattere per la nostra sicurezza, fornendoci l’energia emotiva e fisica per risolvere un problema. Arrabbiarsi non è perciò sbagliato in assoluto, perché la rabbia può essere una forza positiva e costruttiva, un’emozione che permette di far valere le proprie ragioni e negoziare i propri bisogni. u Come riconoscerla Chris Perscky/Getty Images La rabbia ha sempre avuto un’importanza decisiva nelle vicende dell’uomo, come testimoniano miti, leggende e tradizioni religiose. Già agli albori della civiltà le catastrofi naturali, improvvise e imprevedibili come un’esplosione di collera, venivano attribuite a spiriti maligni o a divinità antropomorfe ancora più iraconde: personaggi come Aeshma, il dio della collera nello zoroastrismo del X secolo a.C., come Manyu, una delle dodici espressioni di Shiva nella religione hindu, o come Nemesi, figlia di Oceano e Notte, le tre Erinni, nate dal sangue di Urano evirato da Crono, e ancora Lissa, la dea greca del furore cieco. Naturalmente a far arrabbiare Tornando alla religione, anche Gesù si mostra capace di terribili accessi d’ira, come nella cacciata dei mercanti dal tempio; sempre nel Nuovo Testamento, la lettera di Paolo agli Efesini, composta intorno al 62 d.C., presenta un modernissimo esempio di gestione della rabbia attraverso la comunicazione. Nella lettera ai Galati, invece, propone la rabbia come peccato mortale, aggiungendo che una breve reazione rabbiosa è concessa, purché un nuovo sorgere del Sole non trovi ancora la collera a dominare i cuori e le menti. In ogni modo la rabbia, per quanto considerata un grave oltraggio ai comandamenti divini, non scalerà mai le classifiche, staccata di molte lunghezze dalla vetta, che continua a essere dominata dalla superbia, il peggiore degli affronti a Dio. Per lo psicologo Paul Ekman – secondo «Time» uno dei cento personaggi più influenti al mondo – esiste una mimica universale delle emozioni: pioniere nella ricerca sull’espressione delle emozioni, studiate soprattutto attraverso i movimenti del volto, Ekman ha dimostrato come la rabbia si manifesti coinvolgendo tutti i distretti facciali. In particolare le sopracciglia di chi è preda della collera si presentano abbassate e ravvicinate, e tra esse compaiono rughe verticali; quanto alle palpebre, le inferiori sono tese ma non necessariamente sollevate, e le superiori sono tese e possono essere abbassate dall’azione del sopracciglio. Lo sguardo è fisso e gli occhi sembrano sporgenti, mentre le labbra possono atteggiarsi in due modi: strette e con gli angoli diritti o abbassati, oppure a parte, a disegnare un contorno quadrato co- Mente & Cervello 29 30 Quattro classici sulla rabbia. Più uno Le dieci regole anti collera Ci sono pochi dubbi su quale sia il primo poema della storia dell’umanità: narra le gesta del mitico re dei Sumeri, Gilgamesh, ed è pervenuto a noi inciso su 11 tavolette d’argilla rinvenute tra i resti della biblioteca reale nel palazzo del re Assurbanipal a Ninive. Se il manufatto è databile attorno al VII secolo a.C., il primo nucleo della narrazione risale a 2700 anni prima di Cristo. Nell’epopea è contenuto un moderno esempio di rabbia, innescato dal rifiuto di Gilgamesh agli approcci seduttivi della perfida Ishtar. La donna, in preda alla collera, chiede l’intervento di suo padre, il dio Anu, perché liberi il toro del paradiso e lo mandi a distruggere il re dei sumeri: rifiuto, rabbia, e pure un killer su commissione. Secoli dopo, l’Iliade, il testo che più di ogni altro ha influenzato la cultura occidentale, si apre con la parola menis, l’ira funesta di Achille. Composta da Omero, datata in un periodo incerto che va dall’VIII al VII secolo a.C., per molti critici l’Iliade è una riflessione sul concetto di rabbia. Anche Dante si occupa di rabbia, e nella sua Commedia, scritta agli inizi del Trecento, la sistema nel quinto cerchio, dove gli iracondi stanno immersi nel fango della palude stigia, impegnati a percuotersi e ingiuriarsi per l’eternità. Loro custode è il re dei Lapiti Flegias, che incendiò il tempio di Delfi accecato dalla rabbia verso Apollo, colpevole di avergli sedotto la figlia. Nel 1532 Ludovico Ariosto pubblica l’Orlando furioso; il poema cavalleresco ha un intreccio complesso, e tra i tanti temi che sviluppa c’è quello della bellissima Angelica e del suo spasimante, il paladino Orlando. Peccato che la giovane gli preferisca il pagano Medoro, precipitando Orlando prima nell’ira, poi nella follia. Sarà Astolfo a recuperare il senno del paladino, custodito in un’ampolla sulla Luna, restituendogli così calma e ragione. Quattro classici della letteratura. Il quinto è pertinente, anche se è discutibile definirlo un «classico». La sua storia esce dalla penna di Stan Lee e di Jack Kirby nel 1962; il suo nome è Bruce Banner, un fisico nucleare che a causa di un incidente viene esposto a una terribile contaminazione. Tra l’incredulità di tutti, Banner riesce a sopravvivere ai raggi gamma, ma da quel momento ogni volta che si arrabbia, si trasforma in un gigante verde dalla forza sovraumana. Quel che non tutti sanno è che i padri di Hulk hanno regalato al loro personaggio un passato credibile, per giustificare la sua propensione alla collera. Bruce Banner, infatti, non ha avuto un’infanzia felice, soprattutto per colpa del padre, un alcolista cronico e violento, capace di aggredire e picchiare la moglie e il figlio senza una ragione. Ed è proprio durante uno dei suoi accessi d’ira che colpisce a morte la donna, lasciando Bruce orfano e segnando per sempre la sua personalità. 1. Prenditi una pausa Contare fino a dieci non è soltanto una cosa per bambini. Prima di reagire a una situazione di tensione, prenditi alcuni minuti per respirare profondamente e contare fino a dieci. Se necessario, allontanati per qualche momento dalla persona o dalla situazione che ti ha innescato la rabbia. 2. Quando ti sei calmato, manifesta le ragioni della tua rabbia Appena sei in grado di pensare lucidamente, esprimi i motivi della tua frustrazione in modo assertivo e non polemico. Esprimi preoccupazioni e bisogni in modo chiaro e diretto, senza offendere né tentare di controllare. 3. Ricorri all’esercizio fisico L’attività fisica può essere una valvola di sfogo per le emozioni, soprattutto se sei sul punto di scoppiare. Se ti accorgi che la tua rabbia sta crescendo, fai una veloce passeggiata, una corsa o qualunque attività tu preferisca. L’esercizio fisico stimola la produzione, a livello cerebrale, di sostanze che ti faranno sentire più felice e rilassato di quanto eri in precedenza. 4. Pensa, prima di parlare Nella concitazione del momento, è facile dire cose di cui più tardi ti potresti pentire. Raccogli allora i tuoi pensieri prima di pronunciare parola, e permetti agli altri di fare lo stesso. 5. Identifica le possibili soluzioni Anziché fissarti su ciò che ti fa impazzire, lavora per risolvere il problema. La tua fidanzata arriva tardi a cena ogni sera? Sposta l’orario in cui ci si mette a tavola, oppure impara ad accettare l’idea di mangiare da solo qualche volta alla settimana. Ricordati Mike Stone/Alamy Ecco dieci preziosi consigli per controllare la rabbia, elaborati dai ricercatori della Mayo Clinic dI Rochester, in Minnesota. n. 90, giugno 2012 me nell’atto di gridare. Le narici possono essere dilatate, ma questa informazione è meno caratteristica, perché condivisa anche con l’espressione della tristezza. Ma non c’è solo il volto a manifestare la collera; i cambiamenti psicofisiologici sono quelli tipici dell’attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico, come l’accelerazione del battito cardiaco, l’aumento della pressione arteriosa e dell’irrorazione dei vasi sanguigni periferici, l’aumento della tensione muscolare e della sudorazione. Il linguaggio del corpo della persona arrabbiata è ancora più esplicito del suo volto: tutta la muscolatura è irrigidita, ha i pugni serrati, oppure con una mano stringe fortemente l’altra, il braccio o il gomito, può mettersi a tamburellare con le dita su un tavolo, a battere i piedi a terra. Qualunque sia il canale di comunicazione privilegiato, chiunque si trovi davanti a Mente & Cervello che la rabbia non aggiusta nulla. Anzi, rende sempre le cose più difficili. 6. Sostieni le tue ragioni aprendo le frasi con «io» Per evitare le critiche eccessive, come pure il rischio di attribuire ad altri la colpa – il che aumenterebbe la tensione – declina ogni frase in prima persona. Per esempio: «Sono seccato che tu ti sia alzato da tavola senza offrirti di dare una mano con i piatti» e non «Tu non fai mai niente per mettere ordine in casa». 7. Non portare rancore Dimenticare è uno strumento potente. Se permetti alla rabbia o ad altre emozioni negative di mettere da parte la tua positività, verrai inghiottito dalla tua stessa amarezza e dal senso di ingiustizia. Ma se ti dimentichi di qualcuno che ti ha fatto arrabbiare, allora entrambi potrete imparare qualcosa dalla situazione. È irrealistico aspettarsi che ognuno si comporti sempre come tu vuoi. 8. Usa l’umorismo per allentare la tensione Ma non il sarcasmo, che può ferire i sentimenti di qualcuno e peggiorare le cose. 9. Pratica esercizi di rilassamento Quando stai per esplodere, ricorri alle pratiche di rilassamento, siano esercizi di respirazione, visualizzazione di immagini rasserenanti, una parola o una frase calmante ripetuta più volte. 10. Sappi quando chiedere aiuto Imparare a controllare la rabbia è una sfida per chiunque. Se c’è il rischio che andare in collera possa produrti problemi, e non ce la fai da solo, considera la possibilità di consultare uno specialista o aderire a un programma di anger management. un individuo arrabbiato deve prevenire il rischio che l’emozione ceda il passo all’aggressione. Per riuscirci, uno degli strumenti più validi si chiama active listening, una tecnica usata in numerosissimi campi ma sviluppata in particolare nella comunicazione in situazione di crisi, per esempio nella negoziazione degli ostaggi. u A tu per tu con l’arrabbiato L’ascolto attivo è un processo a due vie che coinvolge sia l’ascolto che la risposta in termini empatici, unito alla capacità di porre le giuste domande e di riassumere le affermazioni dell’interlocutore. Per prima cosa occorre sapere che cosa evitare durante la comunicazione con un soggetto arrabbiato: anzitutto non bisogna ascoltare in silenzio assoluto, ma nemmeno interrompere, impedendo all’altro di concludere il proprio discorso. 31 Nel laboratorio delle emozioni Poi vanno evitate le risposte che esprimono una critica, un giudizio negativo o una disapprovazione. Tantomeno vanno dati suggerimenti, salvo che non siano stati espressamente richiesti. Da ultimo, mai cercare di sviare dal tema del conflitto, oppure provare a spostare l’attenzione dell’altro dall’oggetto della sua irritazione; servirebbe soltanto a dargli l’impressione che quanto accaduto e la sua personale reazione non meritano troppa attenzione. Detto questo, il processo dell’ascolto attivo 32 di tracciamento dello sguardo (Eye-Tracking) e uno strumento per la misurazione delle espressioni facciali (Face Reader) analizzate automaticamente e in grado di rilevare le 6 emozioni di base: gioia, paura, tristezza, ira, sorpresa e disgusto. Inoltre grazie a un sofisticato programma di sincronizzazione dei vari sistemi è possibile avere una lettura chiara delle attivazioni fisiologiche del soggetto, permettendo sia la misurazione delle sua capacità di gestire le situazioni di stress sia la capacità di gestire la rabbia. Tutti elementi importanti per apprendere le tecniche di base che aiutano a controllare le emozioni in situazione di crisi organizzativa e personale. 2) E lettromiografia, o più semplicemente la contrazione muscolare sulla fronte e in prossimità degli zigomi al fine di rilevare movimenti strettamente correlati con le emozioni e altri movimenti muscolari incontrollati collegati a esse. 3) Il segnale pressorio dell’attività cardiaca (Blood Volume Pulse o BVP), da cui derivare i battiti al minuto e la distanza tra un battito e l’altro. 4) Il segnale respiratorio, per la misurazione della respirazione toracica e diaframmatica. 5) Infine il segnale elettroencefalografico, al fine di misurare le attivazioni elettoencefalografiche. A questi indicatori si aggiungono i segnali può essere sintetizzato in tre momenti, il primo dei quali riguarda le domande chiarificatrici da porre all’interlocutore, domande che devono sempre essere aperte e rivolte a indagare le motivazioni. Le domande aperte sono generiche, non specifiche; lasciano all’altro la possibilità di decidere a che cosa rispondere e lo incoraggiano a esprimersi liberamente. Inoltre, contribuiscono a creare un’atmosfera di maggiore serenità, allentando la tensione. Ecco alcuni esempi di domande aperte: «Come n. 90, giugno 2012 Vincenzo Russo Behavior & Brain Lab, IULM, Milano Ocean/Corbis gestione dello stress e le situazioni impreviste da parte di manager, sia lo sviluppo di tecniche di controllo delle emozioni soprattutto in situazioni di imprevedibilità e di crisi. Dotato di cinque postazioni interconnesse in simultanea, il laboratorio permette di registrare i segnali neuro- e psicofisiologici correlati alle principali forme di attivazione fisiologica legata alle emozioni di base. Nello specifico, le tecniche di analisi e formazione del Behavior & Brain Lab IULM si basano sull’uso del biofeedback offerto dai seguenti parametri: 1) Skin Conductance, o conduttanza cutanea, per la misurazione del grado di sudorazione della pelle, elemento correlato con l’attivazione fisiologica. Ocean/Corbis Dall’applicazione di tecnologie avanzate e dalla condivisione di saperi interdisciplinari di matrice psico-sociale, bioingegneristica e medica nasce presso l’Università IULM di Milano il Behavior & Brain Lab. Il laboratorio vede la collaborazione tra l’Università e aziende, in particolar modo con la Mind Room esperta in empowerment personale con tecniche di biofeedback, ed è finalizzato allo studio neuroscientifico e psicofisiologico degli effetti della comunicazione e dei processi di gestione delle emozioni. Tra le più promettenti aree di indagine del laboratorio vi è quella legata allo studio dei processi di gestione della rabbia in contesti aziendali. Si tratta di un settore deputato sia a valutare le capacità di ti senti rispetto al fatto appena accaduto?», «Dimmi, che pensi sia successo esattamente?», o ancora «Come pensi di gestire questa situazione?». Accanto a queste domande, le richieste specifiche sono rivolte a ottenere maggiori informazioni: «Perché?», «Perché no?», «Che cosa intendi dire?». Naturalmente ogni questione va accompagnata da un linguaggio del corpo in sintonia con la situazione, a mostrare interesse e voglia di comunicare. Perciò è essenziale mantenere sempre un buon contatto oculare Mente & Cervello ed evitare di controllare l’orologio o di leggere gli sms sul cellulare. Il secondo punto dell’active listening riguarda la capacità di riassumere le affermazioni dell’interlocutore. Il concetto implicito che si vuole comunicare è il seguente: «Sto per ripetere con le mie parole quello che mi hai appena detto, in modo da essere sicuro di avere inteso bene. Ti prego di correggermi se ti sembrerà che abbia male interpretato il tuo punto di vista». È una posizione che permette di costruire un rapporto con l’altro in relazione all’episodio, una questione centrale nella gestione delle emozioni. L’ultimo aspetto dell’active listening riguarda l’empatia, nell’ascolto e nella comunicazione. E si può sintetizzare così: «Capisco i tuoi problemi e comprendo come ti senti, sono interessato a ciò che mi stai dicendo, e non sono qui per giudicarti». L’atteggiamento empatico richiede l’accettazione delle emozioni dell’altro, per quanto lontane da chi ascolta; accettare non significa tuttavia giustificare o condividere. Possono essere utili commenti, come «Mi rendo conto di quanto la cosa ti disturbi», oppure «So quanto tutto questo fosse importante per te». In ogni caso, vanno sempre evitate affermazioni superficiali, del tipo «Non ti preoccupare, fregatene!», o «Non è il caso di prendersela per così poco». A meno che lo scopo non sia proprio quello di osservare il modo in cui una crisi di rabbia può facilmente trasforn marsi in una franca aggressione. l’autore Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo, collabora con il Behavior & Brain Lab dell’Università IULM di Milano, insegna criminologia presso l’Università LIUC di Castellanza, ed è docente per i temi della negoziazione e della comunicazione in situazione di crisi presso l’Arma dei Carabinieri e i master del «Sole 24 Ore». 33 dossier: la rabbia In ufficio, al volante Discussioni, gelosie, soprusi: spesso l’ufficio è così carico di emozioni negative che un lavoratore su due medita di cambiare posto. Per non parlare del traffico da affrontare prima di raggiungere la scrivania D ifficile stabilire quanto tempo dedichiamo al lavoro, perché non è possibile paragonare l’impegno di un dipendente che timbra il cartellino a quello di un libero professionista, confrontare una commessa e un artigiano. Poi succede che progetti o preoccupazioni ci accompagnino a casa, impedendoci di staccare, togliendoci sonno e appetito. E la crisi economica ha ulteriormente complicato il quadro, innescando vecchi conflitti o promuovendone di nuovi. In un simile contesto, non sorprende il fatto che per il 90 per cento dei lavoratori la maleducazione rappresenti un problema serio, al punto che un ambiente emotivamente negativo sarebbe la prima causa di dimissioni: la mancanza di rispetto porta un lavoratore su due a pensare di cambiare posto, e uno su otto effettivamente lo fa. Le frustrazioni e le offese possono arrivare dai colleghi, ma non c’è dubbio che dover comunicare con un capo difficile sia in cima alla lista degli eventi stressanti. u Il boss impossibile Non è sempre facile capire perché alcuni dirigenti si comportino da arroganti e presuntuosi despoti, ma alla fine la ragione non 34 Jason Stang/Corbis di Massimo Picozzi n. 90, giugno 2012 Mente & Cervello 35 Strage all’ufficio postale postale e afferra il sacco della corrispondenza, dove ha messo due semiautomatiche calibro 45 e almeno 200 colpi di scorta. Gli basta una ventina di minuti per entrare, estrarre le armi e prendere la mira, sparando con metodo. Non risparmia nessuno, nemmeno chi ha cercato rifugio sotto le scrivanie. Prima di togliersi la vita, Patrick Sherrill si lascia dietro 14 cadaveri e sei feriti, nel più grave omicidio di massa sul lavoro mai accaduto. Per amara ironia del destino, Bill Bland, il primo obiettivo della furia del postino, non è tra le vittime della carneficina: proprio quel giorno aveva deciso di prendersi un’ora di permesso e restarsene a casa a dormire. All’eccidio di Edmond fa seguito una serie di eventi drammatici, un’epidemia di stragi consumate negli uffici postali da dipendenti mossi da una furia distruttiva. Tanto che per definire una persona che ha perso il controllo, arrivando a vendicarsi sul posto di lavoro fino a uccidere in preda alla collera, si usa il termine going postal. Ma c’è anche un altro modo di classificare questo tipo di delitti, ed è quello di qualificarli appunto come «omicidi per rabbia». è importante, perché prima di ogni altra cosa bisogna imparare a gestire la situazione e soprattutto a proteggersi. Ci sono però casi difficili, e purtroppo sempre più frequenti; manager affetti da un vero disturbo della personalità detto corporate psychopathy, o psicopatia industriale. Affascinanti e determinati, gli psicopatici hanno una sorprendente capacità di manipolare gli altri a proprio vantaggio; non si tratta di pazzi deliranti, ma di opportunisti privi di ogni senso morale, spietati nel cercare un vantaggio e dare sfogo alle proprie ambizioni. E con un nuovo strumento di indagine, il «Business Scan 360», un test elaborato a partire dalla PCL-R, la Psychopaty Checklist, si è scoperta l’esistenza di veri e propri «serpenti in doppiopetto». Manager spietati, opportunisti, egocentrici, ambiziosi, scalano i vertici delle organizzazioni grazie al carisma, alla determinazione e alla loro completa mancanza di rimorso: per un corporate psychopath l’altro non è mai un individuo, ma una risorsa da sfruttare, un cliente da catturare, un avversario da sconfiggere. Le statistiche dicono che oggi, tra i dirigenti delle grandi imprese, almeno il 4 per cento è uno psicopatico. Il problema sta però nel fatto che l’accelerazione imposta dalle nuove tecnologie, dalla competizione e dalle crisi dei mercati ha favorito l’emergere di soggetti intuitivi, cinici e opportunisti, a di- 36 Le statistiche rivelano che, tra i dirigenti delle grandi imprese, quattro su cento manifestano sintomi da psicopatico spetto di chi può vantare caratteristiche di fedeltà, prudenza e scrupolo; quindi, se non proprio uno psicopatico aziendale, il rischio è quello di trovarsi davanti un manager che ne condivide parecchie caratteristiche. E allora governare la rabbia, quella di un dipendente e soprattutto la sua, diventa una questione delicata. Comportamenti a rischio u Tecniche di sopravvivenza Per esemplificare quale sia il modo migliore di gestire la comunicazione con un boss psicopatico, può essere utile immaginarsi di essere un prigioniero nelle mani di un inquisitore, e attenersi alle poche e semplici regole che seguono: • mantieniti composto e concentrato. Ignora le sue bizze emotive, perché spesso si tratta di provocazioni attentamente pianificate per farti perdere il controllo; • ascolta attentamente ogni domanda e prenditi sempre una pausa di almeno 5 o 10 secondi prima di replicare; • quando poi rispondi, fallo con frasi brevi. Evita di aggiungere alla risposta informazioni non richieste; • non dedurre, non avanzare ipotesi, stai ai fatti. Evita termini assoluti come «sempre» o «mai», che costituiscono un invito a nozze per altre domande; • mai, e per nessuna ragione, mostrargli sentimenti ostili o aggressivi; n. 90, giugno 2012 Simon Winnall/Getty Images Tutto è cominciato a Edmond, in Oklahoma, il 20 agosto 1986. A dire il vero le premesse del disastro c’erano già tutte, perché il servizio postale era tra le prime aziende degli Stati Uniti per numero di dipendenti, ma già anni prima, con la riforma Nixon, i carichi di lavoro erano diventati insostenibili, e la tutela sindacale risibile. Patrick Sherrill fa il postino, e per lui il lavoro è tutto; 45 anni, un metro e ottanta di altezza per 90 chili, Sherrill non ha amici e vive da solo, dopo che la madre, malata di Alzheimer, è morta nel 1978. Peccatoperò che il suo supervisore, Bill Bland, non lo stimi per niente. È convinto che sia un pessimo dipendente, uno che lascia incustoditi lettere e pacchi, e che per fare il suo giro di consegne se la prende troppo comoda. Così gli manda lettere di richiamo, quando non lo aggredisce verbalmente davanti ai colleghi, dandogli dell’incapace. Sherrill si sente umiliato, ed è convinto che il capo aspetti soltanto un’occasione per licenziarlo. L’ultima, accesa discussione capita il 19 agosto. La mattina dopo Patrick parcheggia l’auto davanti all’ufficio È possibile riconoscere i segnali d’allarme di una possibile esplosione di collera sul posto di lavoro. Come in tutte le checklist, non è mai un singolo elemento a preoccupare, quanto la presenza contemporanea di più situazioni. Di solito il dipendente che potrebbe alimentare la rabbia dei colleghi presenta alcune di queste caratteristiche: • è cronicamente in ritardo, si allontana senza giustificazioni, è troppo spesso assente oppure si prende pause sul lavoro sempre più lunghe; • si appropria di oggetti; • fa troppe e prolungate telefonate personali, usa il computer per scopi privati: navigazione, chat, e-mail; • fornisce prestazioni volutamente inferiori alle proprie capacità; • è distante e inaccessibile; • mina il lavoro, i miglioramenti e la carriera degli altri; • umilia gli altri e tenta di farli sentire incapaci e incompetenti; • è meschino, sospettoso, geloso, ostile ed eccessivamente competitivo; • alimenta i pettegolezzi, distorce e male interpreta le intenzioni degli altri; • è un perfezionista costantemente critico, esprime valori e aspettative rigide e moralistiche; • tenta di controllare ciò che gli altri pensano, provano o fanno; • è incapace di accettare critiche, irritabile, lunatico e imprevedibile, apertamente sessista o razzista; • è passivamente o apertamente aggressivo, soprattutto nei confronti delle figure di autorità. Mente & Cervello • non cercare di fare dello spirito, non ricorrere all’ironia né tanto meno al sarcasmo; • e se ti accorgi che la rabbia ti sta montando dentro, e temi di perdere il controllo, trova una scusa per prenderti una pausa, un pretesto di un’impellente necessità o l’indifferibile bisogno di un caffè. u Quel collega insopportabile Quella dei colleghi è una categoria bizzarra; passi con loro gran parte del tuo tempo ma non puoi definirli amici. Alcuni ti sono simpatici, altri invece proprio non riesci a sopportarli, nel qual caso parlarci è difficile, e ignorarli è impossibile. E tutto si complica quando c’è di mezzo la rabbia. Prendiamo per esempio il caso di chi ama fare polemica su ogni cosa e a tutti i costi: se ti trovi davanti a un rappresentante di questa categoria, irritante e provocatorio, non hai alcuna possibilità di vincere. Ma puoi imparare a gestirlo, con una strategia fatta di tre passi successivi. Il primo prevede che tu prenda il controllo della discussione ancora prima che cominci. E per farlo non chiedere mai al tuo interlocutore qual è la sua opinione, perché sarebbe come invitarlo a un contraddittorio senza fine. Descrivi invece con molta precisione ciò di cui hai bisogno, in modo che la direzione sia chiara. Ma spesso non basta: il polemico ha una passione per il potere, e può rapida- 37 Suv sta per Sport Utility Vehicle, ossia veicolo utilitario sportivo; in pratica una vettura dall’assetto rialzato, con quattro ruote motrici, simile a un fuoristrada. Il fatto è che nel vissuto di molti il Suv non è un veicolo efficiente, ma un surrogato di forza e virilità. Naturalmente per chi non possiede né l’uno né l’altro. Cremona, 19 novembre 2011. Il suo nome è Angelo Pelucchi, ha 72 anni ed è un piccolo imprenditore di Bassano Bresciano. Ha impiegato più di un giorno per decidere che la cosa migliore era presentarsi al comando dei Carabinieri e confessare di essere lui l’autore di quel delitto insensato. La sua vittima, Guido Gremmi, aveva 76 anni, e una moglie disabile che camminava grazie a un paio di stampelle; per quello gli avevano riconosciuto il diritto a un parcheggio per portatori di handicap. Ma quel tardo pomeriggio Guido ha trovato il suo posto occupato da un ingombrante SUV, nero. Non poteva esistere gente così maleducata, ha pensato mentre decideva di chiedere l’intervento dei vigili urbani; proprio in quel momento è arrivato il proprietario dell’auto, che si è infilato in macchina, senza curarsi delle proteste di Guido. E quando ha iniziato a battere con le mani sul vetro, invitandolo a giustificare il suo comportamento incivile, l’altro ha innestato la marcia e ha accelerato di colpo, investendolo e trascinandolo per alcuni metri. Senza lasciargli scampo. 38 mente far deragliare qualunque discussione, perché lui è allenato, si esercita costantemente, e non solo al lavoro, ma anche in famiglia, con gli amici e con tutti quelli che hanno la sfortuna di incrociarlo. Fagli sapere con chiarezza che non vuoi conflitti, e per evitarli non usare frasi del tipo: «Non voglio discutere/litigare con te», o «Parliamone con calma»; se la discussione prende strade pericolose, usa parole «comprensive», che permettano di disinnescare la tensione, con «Capisco quello che intendi», «Il tuo è un punto di vista interessante». Poi procedi, ma stai sempre attento a evitare termini di collegamento negativi, come «ma», «in realtà», «non proprio», «sfortunatamente», «la verità è che…»; meglio espressioni neutre, come «poi», «dopo», «in seguito», «anche», «ora». Per esempio: «Sì, la tua è una prospettiva interessante. Dobbiamo anche occuparci di…», oppure «Grazie per avermi detto la tua opinione. Ora dobbiamo decidere». Il terzo e ultimo momento della strategia consiste nel ripetere, riaffermare e rinforzare le tue conclusioni: «Quindi il nostro prossimo passaggio sarà…», «Questi sono i cambiamenti da te proposti…». Infine, ricordati sempre di coinvolgere il tuo interlocutore nell’ultimo passaggio, digli che hai apprezzato i suoi suggerimenti, che hai deciso di adottarli; badando bene, naturalmente, a discutere solo i suggerimenti che hai accolto, ignorando quelli scartati. Riconoscergli una paternità delle conclusioni, non solo lo gratificherà, ma gli renderà difficile contestarle: vorrebbe dire per lui prendere le distanze dalle sue stesse scelte. Certo, la rabbia sul posto di lavoro non si esaurisce nel confronto con il capo e con i colleghi; gli stessi problemi li può avere un boss con i suoi dipendenti oppure un venditore con i propri clienti. E a tutti loro può capitare di iniziare la giornata di lavoro con una buona dose d’irritazione, legata a un’esperienza condivisa e spesso frustrante: guidare nel traffico. u La rabbia al volante Dalla prima comparsa di un’automobile, nel XIX secolo, il progresso ha prodotto vetture sempre meno fragili, strade più sicure e procedure mediche d’urgenza efficaci e decisive. E ciò nonostante il numero delle vittime della strada non accenna a diminuire, anzi. La prima responsabilità, manco a dirlo, va ricercata nel fattore umano, dall’imprudenza alla negligenza, dall’incapacità al mancato rispetto delle norme. E in mezzo alla variabile «uomo» ci sta, di diritto, la rabbia al volante. La road rage inizia con gli insulti e le minacce, verbali e gestuali, per passare poi all’uso aggressivo di fari e clacson. Ancor più violenta è la condotta dei road rager che si mettono a inseguire altri guidatori, che lanciano oggetti dal finestrino a mo’ di proiettili, che causano volontariamente una collisione tra veicoli o li colpiscono direttamente. Infine, la rabbia al volante tocca il suo apice quando un conducente esce dalla propria vettura per iniziare uno scontro, aggredendo altri guidatori, i loro passeggeri, ma anche ciclisti e pedoni. Secondo gli studi internazionali, almeno l’80 per cento degli automobilisti è stato coinvolto in almeno un episodio di rabbia al volante, dal più leggero al più grave. Dato ancora più interessante, se il 70 per cento ammette di avere causato problemi ad altri, solo il 14 per cento mostra qualche forma di rammarico o pentimento, identificando nel cattivo umore la causa della condotta aggressiva. Per giustificare l’incremento dei casi di aggressività al volante sono stati chiamati in causa tre insiemi di fattori: innanzitutto ci sono gli elementi socio-ambientali, come la crescita della popolazione e la conseguente congestione del traffico, unita a una carente progettazione del sistema stradale. n. 90, giugno 2012 Attenti al guidatore sospetto Al volante si rivelano soggetti estremamente pericolosi, perché le sostanze psicoattive, prima tra tutte l’alcool, oltre a compromettere tempi di risposta e correttezza di giudizio, cancellano i freni inibitori. L’emotività e la rabbia, in particolare, trovano dunque terreno libero per manifestarsi. Riconoscere un ubriaco è perciò fondamentale, e una serie di segnali possono aiutare. Chi ha bevuto troppo, infatti, tende ad avere comportamenti come quelli che seguono: • procedere a cavallo tra le linee di separazione delle corsie; • sfiorare le altre vetture; • prendere le curve in modo eccessivamente largo; • ondeggiare da un lato all’altro della strada o guidare contromano; • procedere a velocità troppo bassa; • tallonare da presso l’auto che precede o frenare bruscamente e senza motivo; • guidare con i fari spenti; • avvisare di una scelta in contrasto con quella poi adottata, Ace Stock Limited/Alamy Senza via di scampo Poi ci sono i fattori legati a disturbi mentali; dalla fine degli anni novanta psicologi e psichiatri hanno iniziato a sostenere che la road rage sia una vera e propria malattia mentale, e che la patologia più di frequente associata alla rabbia al volante sia il «disturbo esplosivo intermittente». Chi ne è colpito presenta occasionali episodi in cui è incapace di resistere agli impulsi aggressivi, distrug- Mente & Cervello come azionare le frecce a destra e svoltare invece in direzione opposta; • fermarsi in modo inopportuno in luoghi come le strisce pedonali, senza che vi sia nessun passante, oppure a un semaforo nonostante il verde. Una volta convinti che il guidatore abbia un problema, meglio aspettarsi di tutto. Per prima cosa occorre mettere la maggiore distanza possibile tra sé e lui, e se non è possibile bisogna verificare che la propria cintura di sicurezza, come quella di tutti i passeggeri, sia ben agganciata. Alla prima occasione utile è il caso di fermarsi e chiamare il 112 o il 113, informando le forze dell’ordine del comportamento del guidatore, la descrizione dell’auto, il luogo e la direzione di marcia. Mai, invece, cercare di superare l’auto sospetta, tanto meno provare a fermarla. Non starle nemmeno troppo vicino, perché potrebbe inchiodare di colpo e senza preavviso. E soprattutto mai improvvisarsi poliziotto, tentando di trattenere un guidatore ubriaco o di confrontarsi con lui. gendo proprietà o commettendo gravi fatti di violenza. Il grado di aggressività manifestato durante un episodio è di gran lunga spropositato rispetto a qualsiasi provocazione o fattore stressante, e non è nemmeno il risultato diretto dell’uso di sostanze come alcolici e droghe. Chi presenta questo disturbo può riferire problemi di rabbia cronica e di frequenti episodi «sottosoglia», nei quali prova impulsi aggressivi ma riesce a controllarsi, manifestando condotte aggressive meno distruttive, come urlare o colpire un muro senza danneggiarlo. Il comportamento esplosivo è preceduto da una sensazione di tensione o di eccitazione, ed è seguito immediatamente da un senso di sollievo. In seguito l’individuo colpito da questo comportamento può sentirsi turbato, in preda al rimorso, dispiaciuto o imbarazzato nei confronti di ciò che ha fatto. Quanto ai precedenti, la persona affetta da disturbo esplosivo intermittente può aver avuto gravi scatti caratteriali sin da giovane, scarsa attenzione, tendenza all’iperattività o altre alterazioni del comportamento, come rubare o appiccare incendi. Il terzo insieme di fattori chiamato in causa per spiegare la road rage è quello legato alle abitudini culturali; in questo senso, la rabbia trarrebbe origine da un decadimento nei valori morali, dall’assenza di rispetto verso gli altri, e costituirebbe una forma di «maleducazione mobile». n 39 dossier: la rabbia Furia d’amore In ogni rapporto esiste una zona d’ombra, dove abitano sentimenti ostili e frustrazioni. Ma occorre prestare attenzione ad alcuni precisi comportamenti, che possono essere il segnale d’allarme della violenza Josh Pulman/Getty Images di Massimo Picozzi 40 n. 90, giugno 2012 Mente & Cervello 41 I l Crime Classification Manual è stato scritto da Robert Ressler e John Douglas, ex agenti speciali dell’Unità di scienze del comportamento dell’FBI, insieme agli accademici Ann e Allen Burgess. Si tratta del primo tentativo di sistematizzare i crimini violenti in base al movente che li ha ispirati, e il sesto capitolo è dedicato all’omicidio. Sono molti i casi in cui la rabbia ha un ruolo decisivo nell’uccidere, a cominciare dal codice 123: Argument/Conflict Murder. La morte è qui il risultato di un conflitto, uno scontro precipitato da una discussione. La vittimologia dice che in questo caso gran parte delle vittime sono giovani adulti, disoccupati o impiegati con mansioni semplici, dal basso profilo scolastico. Vittima e offender si conoscono, e quest’ultimo ha spesso alle spalle una storia di comportamenti aggressivi e di ricorso alla violenza come strumento per risolvere ogni questione. Un’eccezione consiste nella sfortuna del malcapitato, che casualmente incrocia un soggetto predisposto alle esplosioni di collera. In questo caso il fatto precipitante può essere banale, come un sorpasso in autostrada, o uno sguardo interpretato come un segno di sfida. La scena del crimine è caotica, mostra segni di lotta. Mentre la vittima non è armata, lo è il suo carnefice, che abitualmente por- ta con sé l’arma e la abbandona dopo il delitto, insieme a impronte e tracce. Solitamente il corpo della vittima non viene occultato. L’abuso di alcool e stupefacenti è spesso decisivo per innescare la reazione letale dell’offender. Quello che il codice 123 aggiunge è che la categoria esclude l’omicidio dei familiari, perché rappresentati in un’altra casella, la 122, quella del Domestic Murder. L’omicidio entro le mura domestiche prevede a sua volta tre sottospecie: spontaneous, staged, vale a dire pianificato, e neonaticide. Ovviamente la rabbia è determinante nell’omicidio domestico spontaneo, e anzi si può affermare che gran parte dei cosiddetti delitti di prossimità avvengano al culmine di un’esplosione di collera. E in Italia di delitti commessi tra persone legate da vincoli affettivi se ne registrano almeno due casi ogni tre giorni. Certo, è noto che in ogni rapporto d’amore ci sia una zona d’ombra, un lato oscuro popolato da sentimenti ostili, ma quella tra fidanzati, coniugi, genitori e figli sembra ormai una guerra dal bollettino sconfortante. Va subito detto che non c’è famiglia normale esente da conflitti, perché ciascuno è diverso dagli altri per interessi, personalità, desideri, obiettivi. La principale distinzione tra una famiglia sana e una infelice sta nel modo con cui vengono affrontati i conflitti, non sulla presenza o assenza di contrasti. Purtroppo anticipare un comportamento criminale è veramente difficile; ma i segnali d’allarme di una futura relazione d’abuso sono già presenti durante la fase del corteggiamento. E bisogna imparare a riconoscerli. Vittime silenziose Genova, un vicolo del centro storico. È il 28 aprile 2006, intorno alle tre di notte. C’è un corpo a terra, immobile, e allora qualcuno pensa bene di avvertire la polizia. Quando gli agenti della pattuglia più vicina arrivano finalmente sul posto, per Luciana Biggi, una donna di 36 anni, non c’è ormai più nulla da fare. Qualcuno l’ha aggredita, armato di un coltello, e lei si è difesa, come dimostrano le ferite alle braccia. O almeno ci ha provato, fino a quando un fendente l’ha raggiunta alla gola, e Luciana è crollata a terra. Gli investigatori puntano subito sull’ex fidanzato della vittima, un trentenne di Genova che di nome fa Luca Delfino. Lo interrogano a lungo, sono convinti di essere sulla pista giusta, ma poi passano settimane, mesi, e nonostante i sospetti non emerge alcun elemento certo, nessuna prova decisiva sulla sua responsabilità nel delitto. Nel febbraio 2011 l’uomo viene assolto «per non aver commesso il fatto» in base all’articolo 530, secondo comma, del Codice di procedura penale, che corrisponde alla vecchia insufficienza di prove. Il 10 agosto 2007, poco più di un anno dopo la morte di Luciana Biggi, a cadere trafitta da 40 coltellate è Antonella Multari, 32 anni, anche lei ex fidanzata di Luca Delfino. Ma questa volta le prove ci sono, sono forti, e inchiodano Delfino, che verrà condannato a 16 anni e 8 mesi, più cinque anni di ospedale psichiatrico giudiziario. Nel corso dell’indagine si scopre che l’uomo aveva cominciato a molestare Antonella già poche settimane dopo la morte di Luciana, a pedinarla e a minacciarla. E Antonella era davvero molto spaventata dal comportamento dell’ex fidanzato, tanto che aveva chiesto aiuto. Ma nessuno le aveva dato ascolto. 42 n. 90, giugno 2012 BHolland /Alamy Oleksiy Maksymenko/Alamy u Campanelli d’allarme Se la prevaricazione inizia già nelle prime fasi del rapporto, è molto probabile che prosegua durante la convivenza o il matrimonio. E una volta verificata la prima aggressione fisica è probabile che la cosa si ripeta, e anzi registri una progressione in gravità con il passare del tempo. In casi come questi, meglio essere consapevoli che è praticamente impossibile cambiare il comportamento del proprio partner. E se si evidenziano tre o più aspetti tra quelli descritti qui di seguito è meglio chiudere al più presto la storia. Cominciamo con la gelosia: all’inizio del rapporto il tipico partner abusante vi racconterà che la gelosia è un segno d’amore, ma la gelosia per lui non ha nulla a che fare con l’amore, quanto con il suo bisogno di possesso e la mancanza di fiducia. Mente & Cervello 43 • La vostra relazione sta danneggiando altri Un irresistibile impulso? colpire proprio quella parte con cui la feriva, la umiliava. Nelle 700 pagine di deposizione Lorena Bobbitt spiega con chiarezza e lucidità i suoi sentimenti, la sua rabbia: «Ero ferita, sono andata in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Ero già arrabbiata. Sono tornata indietro e la prima cosa che ho visto è stato il coltello. Allora l’ho preso; ero davvero arrabbiata, e sono andata in camera da letto. E allora ho detto, gli ho chiesto se era soddisfatto di quello che aveva fatto e lui era mezzo addormentato. Ero veramente impazzita. “Ehi tu, parlami, ti è piaciuto quello che hai fatto. Perché io ti sto dicendo Accanto alla gelosia, cercherà di controllarvi in ogni modo. In un primo momento proverà a convincervi che il suo comportamento dimostra che è preoccupato per la vostra sicurezza. Ma presto si arrabbierà se solo arriverete in ritardo a un appuntamento. Una costante in molte situazioni di abuso, caratterizzate da rabbia e aggressività, è poi l’accelerazione impressa al rapporto; non è raro che tra il primo appuntamento e la convivenza o il matrimonio passino meno di sei mesi. Insieme alla fretta, ci sono le aspettative irrealistiche, la convinzione che soddisferete ogni suo bisogno, che sarete perfetti. Ancora meno rassicurante è l’isolamento, il suo tentativo di alienarvi da ogni rapporto affettivo e sociale. E un’altra caratteristica che va guardata con sospetto è la tendenza ad attribuire agli altri la colpa di ogni cosa; se non trova lavoro è perché non capiscono le sue doti, se viene licenziato è perché qualcuno lo ha preso di mira per favorire un suo protetto, se commette un errore dipende solo dal vostro intervento che lo ha distratto. L’ipersensibilità lo porta a inalberarsi, a vivere qualunque commento, anche il più comune, come un attacco personale. Legato all’ipersensibilità, ma ancora più disorientante, è l’atteggiamento da Dr Jekyll e Mr Hide, fatto di repentini cambi di umore, del passaggio da gentile a irascibile in pochi minuti. Oltre agli insulti, il partner abusante ricorre spesso alla minaccia nelle discussioni, e il passaggio successivo, durante un confronto, è quello di sbattere porte, rompere oggetti, prendere a pugni un tavolo, scagliarvi addos- 44 che a me non è piaciuto per niente”. E lui disse che non gliene fregava niente dei sentimenti. Lo disse e io gli chiesi se aveva avuto un orgasmo dentro di me, perché la cosa mi disturbava… Ogni volta che lo faceva aveva sempre un orgasmo, e non aspettava mai che io avessi un orgasmo. È un egoista. Non penso che sia giusto. Così ho tirato indietro le lenzuola e l’ho fatto». In tutta la ricostruzione traspare la rabbia, non certo la confusione, il delirio o la follia. Potremmo ritrovare le caratteristiche di quella che si chiama la «sindrome della donna maltrattata», con il suo corteo di ansia, sintomi somatici, depressione. Ma u Sette regole d’oro Indagando nella sua storia, sarà poi possibile scoprire un passato di aggressioni nei confronti dei precedenti partner, con giustificazioni del tipo «se le è meritate». Un uomo facile alla rabbia e alla prevaricazioni lo è in tutte le relazioni. Per questo ha pochissimi amici, e un lungo elenco di rapporti fallimentari alle spalle. Non è raro che usi alcool e sostanze stupefacenti, tipo amfetamine, ma anche oppiacei e cocaina, droghe capaci di causargli drammatici cambiamenti di umore e precipitarlo in crisi di rabbia. In assenza di una malattia psichiatrica, potrete scoprire che la sua mente è popolata da credenze bizzarre, superstizioni, dagli estremismi di un fanatismo politico o religioso, da fantasie dove la violenza è erotizzata. Nel timore di essere coinvolti in una storia pericolosa, ecco le semplici domande che ciascuno dovrebbe porsi, soprattutto le donne, perché la maggioranza delle vittime in casi come questi appartiene al genere femminile. • Ti sei ritrovata spesso a «coprirlo», facendolo apparire migliore di quanto sia in realtà? • Ti ha mai umiliato in pubblico? • Ti sei mai sentita soffocata da lui? • Nello stare insieme a lui, hai l’impressione che la tua autostima si stia sgretolando? n. 90, giugno 2012 di una giuria che ha visto nel marito, in quell’uomo che forse non a caso si chiama John Wayne, l’incarnazione del male, e nell’assolvere la donna ha voluto punire lui, ben oltre la «semplice» evirazione. John Wayne Bobbitt ha recuperato la sua integrità, grazie alla tempestività dei chirurghi che hanno ricucito quanto era stato tagliato: è diventato un attore di film pornografici. Lorena Bobbitt ha ottenuto il divorzio nel 1995 e ha ripreso il suo cognome da nubile, Lorena Gallo. Nel 1998 è stata accusata di avere aggredito a pugni la madre. Il comportamente criminale è una variante di quello umano, e siamo ancora lontani dal capire che cosa governa i nostri sentimenti so piatti e suppellettili. A questo punto, se già non lo avete fatto, sarebbe il caso di chiedervi dov’è finita la persona che all’inizio della vostra storia vi appariva così affascinante, capace di dire solo le cose giuste, rispecchiando le vostre speranze e i vostri sogni. Thomas Imo/Alamy Il 10 gennaio 1994, in un tribunale della Virginia, sale sul banco degli imputati una donna. Sembra stanca, ma nello tempo determinata: il suo nome è Lorena Bobbitt. È accusata di avere aggredito il marito, tagliandogli il pene dopo che l’uomo era rientrato a casa ubriaco e l’aveva violentata, quella sera del 23 giugno 1993. La difesa sostiene che Lorena deve essere prosciolta da ogni accusa, perché ha agito in preda a un «irresistibile impulso», profondamente depressa e incapace di reagire alle continue minacce e ai maltrattamenti. Ha atteso che lui si addormentasse e ha deciso di colpirlo, di aspetti della tua vita? la presenza di una malattia mentale come la depressione non esclude automaticamente la responsabilità, e di traccia di «irresistibile impulso» qui è difficile trovarne. Il 21 giugno 1994 Lorena Bobbitt viene dichiarata non colpevole per infermità mentale e affidata a un istituto psichiatrico per un periodo di osservazione di 45 giorni. Un verdetto sorprendente: Lorena Bobbitt merita tutta la solidarietà per quanto ha dovuto soffrire e certamente a lei andavano riconosciute le attenuanti del caso. Ma una totale incapacità non può che spiegarsi con l’emotività Mente & Cervello • Hai la sensazione quasi fisica che le cose stiano andando in modo sbagliato? • Hai spesso il desiderio che tutto sparisca? Se la risposta a queste domande è «sì», è il caso di abbandonarlo il più in fretta possibile. Non sarà semplice, ma di una cosa potete star certi: con il passare del tempo sarà sempre più complicato e difficile. u Rabbia e imputabilità Gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità. E questo è un principio fondamentale del nostro come di altri ordinamenti giuridici. Naturalmente l’articolo del Codice penale non parla di quelle alterazioni che dipendono da una vera infermità di mente, ma che sono esperienze comuni in tutti noi; possono variare d’intensità, ma si presuppone possano essere controllate e dominate. Certo, possono rappresentare un’attenuante nell’irrogazione della pena, quando per esempio viene riconosciuta una particolare provocazione, o quando l’emozione è stata precipitata dal fronteggiare una folla in tumulto. Ma niente vizi parziali, e tanto meno totali. Questa la situazione fino a oggi, perché le neuroscienze stanno cercando di riscrivere i capitoli dei codici che riguardano la libera determinazione di un soggetto durante un crimine. Alcune sentenze, anche in Italia, hanno raccolto l’indicazione di esperti su come un’anomalia nelle strutture cerebrali deputate alle emozioni possa tradursi in una parziale capacità di intendere e di volere circa il fatto-reato. Il problema è che le attuali conoscenze non permettono di raggiungere simili certezze. Il comportamento criminale è una variante del comportamento umano, e ancora siamo lontani dal capire a fondo che cosa governa noi e i nostri sentimenti. D’altro canto il progresso è inarrestabile. Basti pensare, sempre in tema di emozioni e crimini, che il delitto d’onore è scomparso dal nostro ordinamento soltanto con la Legge 442 del 5 agosto 1981. In precedenza era previsto uno sconto sostanziale di pena a chi uccideva spinto dalla motivazione soggettiva di salvaguardare una particolare forma di onore e reputazione, in genere legata a rapporti matrimoniali o di famiglia. Un concetto, quello di onore, riconosciuto fino a trent’anni fa come un valore socialmente rilevante di cui tenere conto n ai fini giuridici. 45