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dossier: la rabbia
dossier: la rabbia
Anatomia della
rabbia
C
hissà che avrà pensato Albert Mehrabian, professore emerito di psicologia all’Università della California a
Los Angeles, nel vedere il morso con cui Mike Tyson ha staccato un orecchio a Evander
Holyfield sul ring di Las Vegas nell’estate del
1997, o la testata di Zinedine Zidane a Marco
Materazzi durante la finale dei campionati del
mondo del 2006. Forse si sarà sorpreso, ma fino a un certo punto, perché i comportamenti
dei due non facevano che confermare le teorie sulla comunicazione descritte in Nonverbal communication, il suo pionieristico saggio
dato alle stampe nel giugno 1972.
Per Mehrabian ciò che viene percepito in
un messaggio vocale può essere diviso in una
parte verbale in senso stretto, vale a dire le
parole, che non copre più del 7 per cento della comunicazione; il 38 per cento della comunicazione passa invece attraverso il tono,
il timbro, il volume e l’inflessione della voce, quello che si dice il paraverbale. Il resto di
ciò che trasferiamo ai nostri interlocutori – la
maggior parte in verità, visto che rappresenta il 55 per cento – passa attraverso l’atteg-
È un’emozione primitiva, una reazione a volte incontrollabile di fronte
alle piccole e grandi disavventure quotidiane. Che troppo spesso supera
il limite dello sfogo, con conseguenze anche drammatiche. Ecco perché
è importante conoscere la rabbia, e imparare a disinnescarla
Dan Saelinger
di Massimo Picozzi
n. 90, giugno 2012
Mente & Cervello
giamento non verbale, il linguaggio del corpo. E quello di Zidane e Tyson lasciava pochi
dubbi sul tipo di messaggio che avevano inteso comunicare, e soprattutto sull’emozione
che li aveva travolti: la rabbia.
È ormai assodato che, a un certo punto dell’evoluzione, la corteccia cerebrale abbia raggiunto un tale sviluppo da assicurarsi
il controllo delle più primitive strutture limbiche, responsabili, tra l’altro, delle emozioni. Ovviamente la corteccia cerebrale non ha
mai garantito un filtro totale, ma le cronache degli ultimi anni sembrano raccontarci di
una vigilanza sempre meno efficace, di condotte a corto circuito sempre più drammatiche e diffuse.
In una deprecabile classifica sugli aspetti meno gradevoli dell’uomo, il sentimento «odio», ha ceduto il primato all’emozione «rabbia». È la rabbia ad armare la mano di
quegli uomini che non sopportano il rifiuto
di una donna, a trasformare un mediocre studente nell’autore di una strage, a prendere un
tizio qualunque, alla guida di un’auto, e mutarlo in una belva primordiale.
Storia di un’emozione
Un’occasione di crescita.
Dal titolo quanto mai esplicito,
il saggio sulla rabbia appena
pubblicato da Massimo Picozzi
e Catherine Vitinger – una dei
maggiori esperti di Krav Maga,
tecnica israeliana di difesa
personale diffusa in tutto il
mondo – non ha certo l’obiettivo
(illusorio) di eliminare la rabbia;
al contrario, propone
di accettarla e imparare a gestirla
in modo costruttivo.
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gli dei sono motivazioni tipicamente
umane, come l’invidia, ma soprattutto la
slealtà e la disobbedienza.
Quando, nel Medio Oriente e in Europa, si
impongono le grandi religioni monoteiste,
le divinità si fanno meno legate, più
astratte e lontane. Ma la rabbia continua
a essere al centro di incredibili episodi:
Yahweh, il dio del popolo ebraico,
mantiene una pronta disponibilità a
infuriarsi, basta ricordare la cacciata di
Adamo ed Eva dal Paradiso, la distruzione
di Sodoma e Gomorra, le piaghe mandate
a punire le terre d’Egitto, la furia contro gli
ebrei che adorano il vitello d’oro.
Nella Grecia dei filosofi, Pitagora sostiene
u Effetto frustrazione
Cominciamo con il dire che cosa la rabbia
non è: non è un sentimento, una condizione
affettiva che dura più a lungo, e non è una
passione, che permane ma è più profonda e
travolgente del sentimento. Non è nemmeno
uno stato d’animo, che corrisponde a una situazione affettiva di fondo, come per esempio
alzarsi al mattino sentendosi «giù di corda».
La rabbia è un’emozione, vale a dire qualcosa che accade in rapporto a una situazione
esterna, e perciò assume un ruolo sociale. Come ogni emozione, la sua principale funzione è valutare costantemente ciò che accade
nell’ambiente intorno a noi, in modo da poter reagire adeguatamente. In qualunque situazione preveda un confronto, che si tratti
di un meeting in azienda o un colloquio di
assunzione, il nostro sistema emotivo ricalibra costantemente il nostro atteggiamento in
rapporto al flusso di informazioni che ci arriva e insieme regola il nostro corpo, preparandoci alla necessità di un’eventuale azione. Contemporaneamente, con le emozioni
comunichiamo le nostre intenzioni, spesso
con maggiore intensità ed efficacia di quanto
possano fare le parole.
Caposaldo dei moderni studi scientifici
nel settore è certamente Charles Darwin, che
nel 1872 pubblica L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri animali. A circa cent’anni di distanza, nel 1980, Robert
Plutchik ne raccoglie l’eredità, presentando
il suo sistema di classificazione basato su otto emozioni primarie, suddivise in coppie: di-
che il controllo della rabbia possa portare
alla temperanza e all’autocontrollo, e
mentre Platone la considera una passione
bestiale, Aristotele va contro corrente,
tanto che, nella sua Etica Nicomachea,
sostiene: «Chiunque può arrabbiarsi:
questo è facile. Ma arrabbiarsi con la
persona giusta, nel grado giusto, al
momento giusto, per lo scopo giusto, e nel
modo giusto: questo non è nelle possibilità
di chiunque, e non è facile».
Il concetto di collera come emozione da
dominare con la ragione è sostenuto nei
secoli a seguire da Cicerone e Plutarco,
ma soprattutto da Seneca, che gli dedica il
De Ira, composto intorno al 40 a.C.
sgusto e accettazione, tristezza e gioia, sorpresa e attesa, e infine paura e rabbia. Dalle varie
combinazioni di queste derivano poi le emozioni secondarie, come la gelosia, la rassegnazione, la vendetta.
James Averill, forse il maggior ricercatore
in tema di rabbia, ne individua tre caratteristiche principali: in primo luogo ci arrabbiamo solo quando attribuiamo la responsabilità
delle nostre frustrazioni o disagi agli altri. Poi
c’è il fatto che la situazione che ha innescato la nostra reazione era del tutto evitabile.
Il terzo e ultimo requisito è che non c’è una
motivazione valida per il comportamento che
ci ha colpito, e danneggiarci porta poco o alcun vantaggio all’altro. Per Averill solo l’11
per cento delle persone si arrabbia per episodi provocati da qualcuno volontariamente,
ma ritenuti da chi li subisce giustificati dalle circostanze.
Nella maggior parte dei casi, è banale dirlo, ci arrabbiamo con un nostro simile: solo in un quinto dei casi chi ci manda in bestia è un perfetto estraneo; in un terzo invece
la collera la indirizziamo a persone amiche, a
gente che ci sta simpatica, e in circa la metà
dei casi alle persone che amiamo di più. Sono
perciò coniugi, fidanzati, genitori e figli quelli che hanno il potere di farci arrabbiare.
In parte ciò accade perché non esiste un legame d’amore che non si trascini dietro un
minimo di aggressività e rivendicazione. Ma
c’è anche il fatto che le persone cui vogliamo
bene sono anche quelle con cui trascorriamo
più tempo, e poi pensiamo che il rapporto af-
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fettivo che abbiamo con loro ci permetta di
perdere momentaneamente il controllo senza
guastare irrimediabilmente la relazione.
Ma la rabbia non è soltanto un’espressione negativa, da cancellare; rappresenta anche
una risposta a una minaccia, alla frustrazione, e ci aiuta a combattere per la nostra sicurezza, fornendoci l’energia emotiva e fisica
per risolvere un problema.
Arrabbiarsi non è perciò sbagliato in assoluto, perché la rabbia può essere una forza
positiva e costruttiva, un’emozione che permette di far valere le proprie ragioni e negoziare i propri bisogni.
u Come riconoscerla
Chris Perscky/Getty Images
La rabbia ha sempre avuto un’importanza
decisiva nelle vicende dell’uomo,
come testimoniano miti, leggende e
tradizioni religiose. Già agli albori della
civiltà le catastrofi naturali, improvvise
e imprevedibili come un’esplosione di
collera, venivano attribuite a spiriti maligni
o a divinità antropomorfe ancora più
iraconde: personaggi come Aeshma, il
dio della collera nello zoroastrismo del X
secolo a.C., come Manyu, una delle dodici
espressioni di Shiva nella religione hindu,
o come Nemesi, figlia di Oceano e Notte, le
tre Erinni, nate dal sangue di Urano evirato
da Crono, e ancora Lissa, la dea greca del
furore cieco. Naturalmente a far arrabbiare
Tornando alla religione, anche Gesù si mostra
capace di terribili accessi d’ira, come nella
cacciata dei mercanti dal tempio; sempre
nel Nuovo Testamento, la lettera di Paolo agli
Efesini, composta intorno al 62 d.C., presenta
un modernissimo esempio di gestione della
rabbia attraverso la comunicazione. Nella
lettera ai Galati, invece, propone la rabbia
come peccato mortale, aggiungendo che una
breve reazione rabbiosa è concessa, purché
un nuovo sorgere del Sole non trovi ancora la
collera a dominare i cuori e le menti.
In ogni modo la rabbia, per quanto considerata
un grave oltraggio ai comandamenti divini,
non scalerà mai le classifiche, staccata di
molte lunghezze dalla vetta, che continua a
essere dominata dalla superbia, il peggiore
degli affronti a Dio.
Per lo psicologo Paul Ekman – secondo «Time» uno dei cento personaggi più influenti al mondo – esiste una mimica universale
delle emozioni: pioniere nella ricerca sull’espressione delle emozioni, studiate soprattutto attraverso i movimenti del volto, Ekman ha
dimostrato come la rabbia si manifesti coinvolgendo tutti i distretti facciali.
In particolare le sopracciglia di chi è preda
della collera si presentano abbassate e ravvicinate, e tra esse compaiono rughe verticali;
quanto alle palpebre, le inferiori sono tese ma
non necessariamente sollevate, e le superiori
sono tese e possono essere abbassate dall’azione del sopracciglio. Lo sguardo è fisso e
gli occhi sembrano sporgenti, mentre le labbra possono atteggiarsi in due modi: strette
e con gli angoli diritti o abbassati, oppure a
parte, a disegnare un contorno quadrato co-
Mente & Cervello
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Quattro classici
sulla rabbia. Più uno
Le dieci regole anti collera
Ci sono pochi dubbi su quale sia il primo poema della
storia dell’umanità: narra le gesta del mitico re dei Sumeri,
Gilgamesh, ed è pervenuto a noi inciso su 11 tavolette
d’argilla rinvenute tra i resti della biblioteca reale nel
palazzo del re Assurbanipal a Ninive. Se il manufatto è
databile attorno al VII secolo a.C., il primo nucleo della
narrazione risale a 2700 anni prima di Cristo.
Nell’epopea è contenuto un moderno esempio di rabbia,
innescato dal rifiuto di Gilgamesh agli approcci seduttivi
della perfida Ishtar. La donna, in preda alla collera, chiede
l’intervento di suo padre, il dio Anu, perché liberi il toro del
paradiso e lo mandi a distruggere il re dei sumeri: rifiuto,
rabbia, e pure un killer su commissione.
Secoli dopo, l’Iliade, il testo che più di ogni altro ha
influenzato la cultura occidentale, si apre con la parola
menis, l’ira funesta di Achille. Composta da Omero, datata in
un periodo incerto che va dall’VIII al VII secolo a.C., per molti
critici l’Iliade è una riflessione sul concetto di rabbia.
Anche Dante si occupa di rabbia, e nella sua Commedia,
scritta agli inizi del Trecento, la sistema nel quinto cerchio,
dove gli iracondi stanno immersi nel fango della palude
stigia, impegnati a percuotersi e ingiuriarsi per l’eternità.
Loro custode è il re dei Lapiti Flegias, che incendiò
il tempio di Delfi accecato dalla rabbia verso Apollo,
colpevole di avergli sedotto la figlia.
Nel 1532 Ludovico Ariosto pubblica l’Orlando furioso; il
poema cavalleresco ha un intreccio complesso, e tra i tanti
temi che sviluppa c’è quello della bellissima Angelica e del
suo spasimante, il paladino Orlando. Peccato che la giovane
gli preferisca il pagano Medoro, precipitando Orlando
prima nell’ira, poi nella follia. Sarà Astolfo a recuperare
il senno del paladino, custodito in un’ampolla sulla Luna,
restituendogli così calma e ragione.
Quattro classici della letteratura. Il quinto è pertinente,
anche se è discutibile definirlo un «classico». La sua storia
esce dalla penna di Stan Lee e di Jack Kirby nel 1962; il
suo nome è Bruce Banner, un fisico nucleare che a causa di
un incidente viene esposto a una terribile contaminazione.
Tra l’incredulità di tutti, Banner riesce a sopravvivere
ai raggi gamma, ma da quel momento ogni volta che
si arrabbia, si trasforma in un gigante verde dalla forza
sovraumana. Quel che non tutti sanno è che i padri di Hulk
hanno regalato al loro personaggio un passato credibile,
per giustificare la sua propensione alla collera. Bruce
Banner, infatti, non ha avuto un’infanzia felice, soprattutto
per colpa del padre, un alcolista cronico e violento, capace
di aggredire e picchiare la moglie e il figlio senza una
ragione. Ed è proprio durante uno dei suoi accessi d’ira
che colpisce a morte la donna, lasciando Bruce orfano e
segnando per sempre la sua personalità.
1. Prenditi una pausa
Contare fino a dieci non è soltanto una cosa per bambini.
Prima di reagire a una situazione di tensione, prenditi alcuni
minuti per respirare profondamente e contare fino a dieci.
Se necessario, allontanati per qualche momento dalla persona
o dalla situazione che ti ha innescato la rabbia.
2. Quando ti sei calmato, manifesta le ragioni
della tua rabbia
Appena sei in grado di pensare lucidamente, esprimi i motivi
della tua frustrazione in modo assertivo e non polemico. Esprimi
preoccupazioni e bisogni in modo chiaro e diretto, senza
offendere né tentare di controllare.
3. Ricorri all’esercizio fisico
L’attività fisica può essere una valvola di sfogo per le emozioni,
soprattutto se sei sul punto di scoppiare. Se ti accorgi che
la tua rabbia sta crescendo, fai una veloce passeggiata,
una corsa o qualunque attività tu preferisca. L’esercizio fisico
stimola la produzione, a livello cerebrale, di sostanze che ti
faranno sentire più felice e rilassato di quanto eri in precedenza.
4. Pensa, prima di parlare
Nella concitazione del momento, è facile dire cose di cui più
tardi ti potresti pentire. Raccogli allora i tuoi pensieri prima di
pronunciare parola, e permetti agli altri di fare lo stesso.
5. Identifica le possibili soluzioni
Anziché fissarti su ciò che ti fa impazzire, lavora per risolvere il
problema. La tua fidanzata arriva tardi a cena ogni sera? Sposta
l’orario in cui ci si mette a tavola, oppure impara ad accettare
l’idea di mangiare da solo qualche volta alla settimana. Ricordati
Mike Stone/Alamy
Ecco dieci preziosi consigli per controllare la rabbia, elaborati dai ricercatori della Mayo Clinic dI Rochester, in Minnesota.
n. 90, giugno 2012
me nell’atto di gridare. Le narici possono essere dilatate, ma questa informazione è meno
caratteristica, perché condivisa anche con l’espressione della tristezza.
Ma non c’è solo il volto a manifestare la
collera; i cambiamenti psicofisiologici sono
quelli tipici dell’attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico, come l’accelerazione del battito cardiaco, l’aumento della
pressione arteriosa e dell’irrorazione dei vasi
sanguigni periferici, l’aumento della tensione
muscolare e della sudorazione. Il linguaggio
del corpo della persona arrabbiata è ancora
più esplicito del suo volto: tutta la muscolatura è irrigidita, ha i pugni serrati, oppure con una mano stringe fortemente l’altra, il
braccio o il gomito, può mettersi a tamburellare con le dita su un tavolo, a battere i piedi a terra.
Qualunque sia il canale di comunicazione privilegiato, chiunque si trovi davanti a
Mente & Cervello
che la rabbia non aggiusta nulla. Anzi, rende sempre
le cose più difficili.
6. Sostieni le tue ragioni aprendo le frasi con «io»
Per evitare le critiche eccessive, come pure il rischio di attribuire
ad altri la colpa – il che aumenterebbe la tensione – declina ogni
frase in prima persona. Per esempio: «Sono seccato che tu ti sia
alzato da tavola senza offrirti di dare una mano con i piatti» e non
«Tu non fai mai niente per mettere ordine in casa».
7. Non portare rancore
Dimenticare è uno strumento potente. Se permetti alla rabbia
o ad altre emozioni negative di mettere da parte la tua
positività, verrai inghiottito dalla tua stessa amarezza e dal
senso di ingiustizia. Ma se ti dimentichi di qualcuno che ti ha
fatto arrabbiare, allora entrambi potrete imparare qualcosa
dalla situazione. È irrealistico aspettarsi che ognuno si comporti
sempre come tu vuoi.
8. Usa l’umorismo per allentare la tensione
Ma non il sarcasmo, che può ferire i sentimenti di qualcuno
e peggiorare le cose.
9. Pratica esercizi di rilassamento
Quando stai per esplodere, ricorri alle pratiche di rilassamento,
siano esercizi di respirazione, visualizzazione di immagini
rasserenanti, una parola o una frase calmante ripetuta più volte.
10. Sappi quando chiedere aiuto
Imparare a controllare la rabbia è una sfida per chiunque. Se
c’è il rischio che andare in collera possa produrti problemi, e
non ce la fai da solo, considera la possibilità di consultare uno
specialista o aderire a un programma di anger management.
un individuo arrabbiato deve prevenire il rischio che l’emozione ceda il passo all’aggressione. Per riuscirci, uno degli strumenti più
validi si chiama active listening, una tecnica
usata in numerosissimi campi ma sviluppata
in particolare nella comunicazione in situazione di crisi, per esempio nella negoziazione degli ostaggi.
u A tu per tu con l’arrabbiato
L’ascolto attivo è un processo a due vie che
coinvolge sia l’ascolto che la risposta in termini empatici, unito alla capacità di porre le
giuste domande e di riassumere le affermazioni dell’interlocutore.
Per prima cosa occorre sapere che cosa evitare durante la comunicazione con un
soggetto arrabbiato: anzitutto non bisogna
ascoltare in silenzio assoluto, ma nemmeno
interrompere, impedendo all’altro di concludere il proprio discorso.
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Nel laboratorio delle emozioni
Poi vanno evitate le risposte che esprimono una critica, un giudizio negativo o
una disapprovazione. Tantomeno vanno dati suggerimenti, salvo che non siano stati
espressamente richiesti.
Da ultimo, mai cercare di sviare dal tema
del conflitto, oppure provare a spostare l’attenzione dell’altro dall’oggetto della sua irritazione; servirebbe soltanto a dargli l’impressione che quanto accaduto e la sua personale
reazione non meritano troppa attenzione.
Detto questo, il processo dell’ascolto attivo
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di tracciamento dello sguardo (Eye-Tracking)
e uno strumento per la misurazione delle
espressioni facciali (Face Reader) analizzate
automaticamente e in grado di rilevare le 6
emozioni di base: gioia, paura, tristezza, ira,
sorpresa e disgusto.
Inoltre grazie a un sofisticato programma di
sincronizzazione dei vari sistemi è possibile
avere una lettura chiara delle attivazioni
fisiologiche del soggetto, permettendo sia la
misurazione delle sua capacità di gestire le
situazioni di stress sia la capacità di gestire
la rabbia. Tutti elementi importanti per
apprendere le tecniche di base che aiutano a
controllare le emozioni in situazione di crisi
organizzativa e personale.
2) E lettromiografia, o più semplicemente
la contrazione muscolare sulla fronte
e in prossimità degli zigomi al fine
di rilevare movimenti strettamente
correlati con le emozioni e altri
movimenti muscolari incontrollati
collegati a esse.
3) Il segnale pressorio dell’attività
cardiaca (Blood Volume Pulse o BVP),
da cui derivare i battiti al minuto e la
distanza tra un battito e l’altro.
4) Il segnale respiratorio, per la
misurazione della respirazione toracica
e diaframmatica.
5) Infine il segnale elettroencefalografico,
al fine di misurare le attivazioni
elettoencefalografiche.
A questi indicatori si aggiungono i segnali
può essere sintetizzato in tre momenti, il primo dei quali riguarda le domande chiarificatrici da porre all’interlocutore, domande che
devono sempre essere aperte e rivolte a indagare le motivazioni.
Le domande aperte sono generiche, non
specifiche; lasciano all’altro la possibilità di
decidere a che cosa rispondere e lo incoraggiano a esprimersi liberamente. Inoltre, contribuiscono a creare un’atmosfera di maggiore serenità, allentando la tensione. Ecco
alcuni esempi di domande aperte: «Come
n. 90, giugno 2012
Vincenzo Russo
Behavior & Brain Lab, IULM, Milano
Ocean/Corbis
gestione dello stress e le situazioni
impreviste da parte di manager, sia lo
sviluppo di tecniche di controllo delle
emozioni soprattutto in situazioni di
imprevedibilità e di crisi.
Dotato di cinque postazioni interconnesse
in simultanea, il laboratorio permette di
registrare i segnali neuro- e psicofisiologici
correlati alle principali forme di attivazione
fisiologica legata alle emozioni di base.
Nello specifico, le tecniche di analisi e
formazione del Behavior & Brain Lab IULM
si basano sull’uso del biofeedback offerto
dai seguenti parametri:
1) Skin Conductance, o conduttanza
cutanea, per la misurazione del grado
di sudorazione della pelle, elemento
correlato con l’attivazione fisiologica.
Ocean/Corbis
Dall’applicazione di tecnologie
avanzate e dalla condivisione di saperi
interdisciplinari di matrice psico-sociale,
bioingegneristica e medica nasce presso
l’Università IULM di Milano il Behavior
& Brain Lab. Il laboratorio vede la
collaborazione tra l’Università e aziende, in
particolar modo con la Mind Room esperta
in empowerment personale con tecniche
di biofeedback, ed è finalizzato allo studio
neuroscientifico e psicofisiologico degli
effetti della comunicazione e dei processi
di gestione delle emozioni.
Tra le più promettenti aree di indagine del
laboratorio vi è quella legata allo studio
dei processi di gestione della rabbia in
contesti aziendali. Si tratta di un settore
deputato sia a valutare le capacità di
ti senti rispetto al fatto appena accaduto?»,
«Dimmi, che pensi sia successo esattamente?», o ancora «Come pensi di gestire questa situazione?». Accanto a queste domande,
le richieste specifiche sono rivolte a ottenere maggiori informazioni: «Perché?», «Perché
no?», «Che cosa intendi dire?».
Naturalmente ogni questione va accompagnata da un linguaggio del corpo in sintonia con la situazione, a mostrare interesse e voglia di comunicare. Perciò è essenziale
mantenere sempre un buon contatto oculare
Mente & Cervello
ed evitare di controllare l’orologio o di leggere gli sms sul cellulare.
Il secondo punto dell’active listening riguarda la capacità di riassumere le affermazioni dell’interlocutore. Il concetto implicito
che si vuole comunicare è il seguente: «Sto
per ripetere con le mie parole quello che mi
hai appena detto, in modo da essere sicuro
di avere inteso bene. Ti prego di correggermi
se ti sembrerà che abbia male interpretato il
tuo punto di vista». È una posizione che permette di costruire un rapporto con l’altro in
relazione all’episodio, una questione centrale
nella gestione delle emozioni.
L’ultimo aspetto dell’active listening riguarda l’empatia, nell’ascolto e nella comunicazione. E si può sintetizzare così: «Capisco
i tuoi problemi e comprendo come ti senti,
sono interessato a ciò che mi stai dicendo, e
non sono qui per giudicarti».
L’atteggiamento empatico richiede l’accettazione delle emozioni dell’altro, per quanto
lontane da chi ascolta; accettare non significa tuttavia giustificare o condividere. Possono essere utili commenti, come «Mi rendo
conto di quanto la cosa ti disturbi», oppure
«So quanto tutto questo fosse importante per
te». In ogni caso, vanno sempre evitate affermazioni superficiali, del tipo «Non ti preoccupare, fregatene!», o «Non è il caso di prendersela per così poco». A meno che lo scopo
non sia proprio quello di osservare il modo in
cui una crisi di rabbia può facilmente trasforn
marsi in una franca aggressione.
l’autore
Massimo Picozzi, psichiatra
e criminologo, collabora con il
Behavior & Brain Lab dell’Università
IULM di Milano, insegna
criminologia presso l’Università
LIUC di Castellanza, ed è docente
per i temi della negoziazione e della
comunicazione in situazione di crisi
presso l’Arma dei Carabinieri e i
master del «Sole 24 Ore».
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dossier: la rabbia
In ufficio,
al volante
Discussioni, gelosie, soprusi: spesso l’ufficio
è così carico di emozioni negative che un
lavoratore su due medita di cambiare posto.
Per non parlare del traffico da affrontare
prima di raggiungere la scrivania
D
ifficile stabilire quanto tempo dedichiamo al lavoro, perché non è possibile paragonare l’impegno di un dipendente che timbra il cartellino a quello di
un libero professionista, confrontare una
commessa e un artigiano. Poi succede che
progetti o preoccupazioni ci accompagnino
a casa, impedendoci di staccare, togliendoci
sonno e appetito. E la crisi economica ha ulteriormente complicato il quadro, innescando
vecchi conflitti o promuovendone di nuovi.
In un simile contesto, non sorprende il fatto che per il 90 per cento dei lavoratori la
maleducazione rappresenti un problema serio, al punto che un ambiente emotivamente
negativo sarebbe la prima causa di dimissioni: la mancanza di rispetto porta un lavoratore su due a pensare di cambiare posto, e
uno su otto effettivamente lo fa.
Le frustrazioni e le offese possono arrivare
dai colleghi, ma non c’è dubbio che dover comunicare con un capo difficile sia in cima alla lista degli eventi stressanti.
u Il boss impossibile
Non è sempre facile capire perché alcuni
dirigenti si comportino da arroganti e presuntuosi despoti, ma alla fine la ragione non
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Jason Stang/Corbis
di Massimo Picozzi
n. 90, giugno 2012
Mente & Cervello
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Strage all’ufficio postale
postale e afferra il sacco della corrispondenza, dove ha messo
due semiautomatiche calibro 45 e almeno 200 colpi di scorta.
Gli basta una ventina di minuti per entrare, estrarre le armi e
prendere la mira, sparando con metodo. Non risparmia nessuno,
nemmeno chi ha cercato rifugio sotto le scrivanie.
Prima di togliersi la vita, Patrick Sherrill si lascia dietro 14
cadaveri e sei feriti, nel più grave omicidio di massa sul
lavoro mai accaduto. Per amara ironia del destino, Bill Bland,
il primo obiettivo della furia del postino, non è tra le vittime
della carneficina: proprio quel giorno aveva deciso di prendersi
un’ora di permesso e restarsene a casa a dormire.
All’eccidio di Edmond fa seguito una serie di eventi drammatici,
un’epidemia di stragi consumate negli uffici postali da
dipendenti mossi da una furia distruttiva. Tanto che per definire
una persona che ha perso il controllo, arrivando a vendicarsi
sul posto di lavoro fino a uccidere in preda alla collera, si
usa il termine going postal. Ma c’è anche un altro modo di
classificare questo tipo di delitti, ed è quello di qualificarli
appunto come «omicidi per rabbia».
è importante, perché prima di ogni altra cosa bisogna imparare a gestire la situazione
e soprattutto a proteggersi. Ci sono però casi difficili, e purtroppo sempre più frequenti; manager affetti da un vero disturbo della personalità detto corporate psychopathy, o
psicopatia industriale.
Affascinanti e determinati, gli psicopatici
hanno una sorprendente capacità di manipolare gli altri a proprio vantaggio; non si tratta di pazzi deliranti, ma di opportunisti privi
di ogni senso morale, spietati nel cercare un
vantaggio e dare sfogo alle proprie ambizioni. E con un nuovo strumento di indagine, il
«Business Scan 360», un test elaborato a partire dalla PCL-R, la Psychopaty Checklist, si è
scoperta l’esistenza di veri e propri «serpenti in doppiopetto». Manager spietati, opportunisti, egocentrici, ambiziosi, scalano i vertici delle organizzazioni grazie al carisma, alla
determinazione e alla loro completa mancanza di rimorso: per un corporate psychopath
l’altro non è mai un individuo, ma una risorsa da sfruttare, un cliente da catturare, un avversario da sconfiggere.
Le statistiche dicono che oggi, tra i dirigenti delle grandi imprese, almeno il 4 per
cento è uno psicopatico. Il problema sta però nel fatto che l’accelerazione imposta dalle
nuove tecnologie, dalla competizione e dalle crisi dei mercati ha favorito l’emergere di
soggetti intuitivi, cinici e opportunisti, a di-
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Le statistiche rivelano che, tra i dirigenti
delle grandi imprese, quattro su cento
manifestano sintomi da psicopatico
spetto di chi può vantare caratteristiche di
fedeltà, prudenza e scrupolo; quindi, se non
proprio uno psicopatico aziendale, il rischio
è quello di trovarsi davanti un manager che
ne condivide parecchie caratteristiche. E allora governare la rabbia, quella di un dipendente e soprattutto la sua, diventa una questione delicata.
Comportamenti a rischio
u Tecniche di sopravvivenza
Per esemplificare quale sia il modo migliore di gestire la comunicazione con un boss
psicopatico, può essere utile immaginarsi di
essere un prigioniero nelle mani di un inquisitore, e attenersi alle poche e semplici regole che seguono:
• mantieniti composto e concentrato. Ignora
le sue bizze emotive, perché spesso si tratta di provocazioni attentamente pianificate
per farti perdere il controllo;
• ascolta attentamente ogni domanda e prenditi sempre una pausa di almeno 5 o 10 secondi prima di replicare;
• quando poi rispondi, fallo con frasi brevi.
Evita di aggiungere alla risposta informazioni non richieste;
• non dedurre, non avanzare ipotesi, stai ai
fatti. Evita termini assoluti come «sempre»
o «mai», che costituiscono un invito a nozze per altre domande;
• mai, e per nessuna ragione, mostrargli sentimenti ostili o aggressivi;
n. 90, giugno 2012
Simon Winnall/Getty Images
Tutto è cominciato a Edmond, in Oklahoma, il 20 agosto 1986.
A dire il vero le premesse del disastro c’erano già tutte, perché
il servizio postale era tra le prime aziende degli Stati Uniti
per numero di dipendenti, ma già anni prima, con la riforma
Nixon, i carichi di lavoro erano diventati insostenibili, e la tutela
sindacale risibile.
Patrick Sherrill fa il postino, e per lui il lavoro è tutto; 45 anni,
un metro e ottanta di altezza per 90 chili, Sherrill non ha amici
e vive da solo, dopo che la madre, malata di Alzheimer, è morta
nel 1978. Peccatoperò che il suo supervisore, Bill Bland, non lo
stimi per niente. È convinto che sia un pessimo dipendente, uno
che lascia incustoditi lettere e pacchi, e che per fare il suo giro
di consegne se la prende troppo comoda. Così gli manda lettere
di richiamo, quando non lo aggredisce verbalmente davanti ai
colleghi, dandogli dell’incapace.
Sherrill si sente umiliato, ed è convinto che il capo aspetti
soltanto un’occasione per licenziarlo. L’ultima, accesa
discussione capita il 19 agosto.
La mattina dopo Patrick parcheggia l’auto davanti all’ufficio
È possibile riconoscere i segnali d’allarme di una possibile esplosione di
collera sul posto di lavoro. Come in tutte le checklist, non è mai un singolo
elemento a preoccupare, quanto la presenza contemporanea di più situazioni.
Di solito il dipendente che potrebbe alimentare la rabbia dei colleghi presenta
alcune di queste caratteristiche:
• è cronicamente in ritardo, si allontana senza giustificazioni, è troppo
spesso assente oppure si prende pause sul lavoro sempre più lunghe;
• si appropria di oggetti;
• fa troppe e prolungate telefonate personali, usa il computer per scopi
privati: navigazione, chat, e-mail;
• fornisce prestazioni volutamente inferiori alle proprie capacità;
• è distante e inaccessibile;
• mina il lavoro, i miglioramenti e la carriera degli altri;
• umilia gli altri e tenta di farli sentire incapaci e incompetenti;
• è meschino, sospettoso, geloso, ostile ed eccessivamente competitivo;
• alimenta i pettegolezzi, distorce e male interpreta le intenzioni degli altri;
• è un perfezionista costantemente critico, esprime valori e aspettative rigide
e moralistiche;
• tenta di controllare ciò che gli altri pensano, provano o fanno;
• è incapace di accettare critiche, irritabile, lunatico e imprevedibile,
apertamente sessista o razzista;
• è passivamente o apertamente aggressivo, soprattutto nei confronti
delle figure di autorità.
Mente & Cervello
• non cercare di fare dello spirito, non ricorrere all’ironia né tanto meno al sarcasmo;
• e se ti accorgi che la rabbia ti sta montando
dentro, e temi di perdere il controllo, trova
una scusa per prenderti una pausa, un pretesto di un’impellente necessità o l’indifferibile bisogno di un caffè.
u Quel collega insopportabile
Quella dei colleghi è una categoria bizzarra; passi con loro gran parte del tuo tempo ma non puoi definirli amici. Alcuni ti sono simpatici, altri invece proprio non riesci a
sopportarli, nel qual caso parlarci è difficile,
e ignorarli è impossibile. E tutto si complica
quando c’è di mezzo la rabbia.
Prendiamo per esempio il caso di chi ama
fare polemica su ogni cosa e a tutti i costi: se
ti trovi davanti a un rappresentante di questa categoria, irritante e provocatorio, non
hai alcuna possibilità di vincere. Ma puoi imparare a gestirlo, con una strategia fatta di tre
passi successivi.
Il primo prevede che tu prenda il controllo della discussione ancora prima che cominci. E per farlo non chiedere mai al tuo interlocutore qual è la sua opinione, perché sarebbe
come invitarlo a un contraddittorio senza fine. Descrivi invece con molta precisione ciò
di cui hai bisogno, in modo che la direzione
sia chiara. Ma spesso non basta: il polemico
ha una passione per il potere, e può rapida-
37
Suv sta per Sport Utility
Vehicle, ossia veicolo utilitario
sportivo; in pratica una vettura
dall’assetto rialzato, con
quattro ruote motrici, simile
a un fuoristrada. Il fatto è che
nel vissuto di molti il Suv
non è un veicolo efficiente,
ma un surrogato di forza
e virilità. Naturalmente per
chi non possiede né l’uno
né l’altro.
Cremona, 19 novembre
2011. Il suo nome è Angelo
Pelucchi, ha 72 anni ed è
un piccolo imprenditore
di Bassano Bresciano. Ha
impiegato più di un giorno
per decidere che la cosa
migliore era presentarsi al
comando dei Carabinieri
e confessare di essere
lui l’autore di quel delitto
insensato. La sua vittima,
Guido Gremmi, aveva 76
anni, e una moglie disabile
che camminava grazie a un
paio di stampelle; per quello
gli avevano riconosciuto il
diritto a un parcheggio per
portatori di handicap.
Ma quel tardo pomeriggio
Guido ha trovato il suo
posto occupato da un
ingombrante SUV, nero. Non
poteva esistere gente così
maleducata, ha pensato
mentre decideva di chiedere
l’intervento dei vigili urbani;
proprio in quel momento
è arrivato il proprietario
dell’auto, che si è infilato
in macchina, senza curarsi
delle proteste di Guido. E
quando ha iniziato a battere
con le mani sul vetro,
invitandolo a giustificare il
suo comportamento incivile,
l’altro ha innestato la marcia
e ha accelerato di colpo,
investendolo e trascinandolo
per alcuni metri. Senza
lasciargli scampo.
38
mente far deragliare qualunque discussione,
perché lui è allenato, si esercita costantemente, e non solo al lavoro, ma anche in famiglia,
con gli amici e con tutti quelli che hanno la
sfortuna di incrociarlo.
Fagli sapere con chiarezza che non vuoi
conflitti, e per evitarli non usare frasi del tipo: «Non voglio discutere/litigare con te», o
«Parliamone con calma»; se la discussione
prende strade pericolose, usa parole «comprensive», che permettano di disinnescare la
tensione, con «Capisco quello che intendi», «Il
tuo è un punto di vista interessante».
Poi procedi, ma stai sempre attento a evitare termini di collegamento negativi, come
«ma», «in realtà», «non proprio», «sfortunatamente», «la verità è che…»; meglio espressioni
neutre, come «poi», «dopo», «in seguito», «anche», «ora». Per esempio: «Sì, la tua è una prospettiva interessante. Dobbiamo anche occuparci di…», oppure «Grazie per avermi detto la
tua opinione. Ora dobbiamo decidere». Il terzo e ultimo momento della strategia consiste nel ripetere, riaffermare e rinforzare le tue
conclusioni: «Quindi il nostro prossimo passaggio sarà…», «Questi sono i cambiamenti da
te proposti…».
Infine, ricordati sempre di coinvolgere il
tuo interlocutore nell’ultimo passaggio, digli che hai apprezzato i suoi suggerimenti, che hai deciso di adottarli; badando bene,
naturalmente, a discutere solo i suggerimenti che hai accolto, ignorando quelli scartati.
Riconoscergli una paternità delle conclusioni,
non solo lo gratificherà, ma gli renderà difficile contestarle: vorrebbe dire per lui prendere le distanze dalle sue stesse scelte.
Certo, la rabbia sul posto di lavoro non si
esaurisce nel confronto con il capo e con i
colleghi; gli stessi problemi li può avere un
boss con i suoi dipendenti oppure un venditore con i propri clienti. E a tutti loro può
capitare di iniziare la giornata di lavoro con
una buona dose d’irritazione, legata a un’esperienza condivisa e spesso frustrante: guidare nel traffico.
u La rabbia al volante
Dalla prima comparsa di un’automobile,
nel XIX secolo, il progresso ha prodotto vetture sempre meno fragili, strade più sicure e
procedure mediche d’urgenza efficaci e decisive. E ciò nonostante il numero delle vittime
della strada non accenna a diminuire, anzi.
La prima responsabilità, manco a dirlo, va
ricercata nel fattore umano, dall’imprudenza
alla negligenza, dall’incapacità al mancato rispetto delle norme. E in mezzo alla variabile
«uomo» ci sta, di diritto, la rabbia al volante.
La road rage inizia con gli insulti e le minacce,
verbali e gestuali, per passare poi all’uso aggressivo di fari e clacson. Ancor più violenta
è la condotta dei road rager che si mettono a
inseguire altri guidatori, che lanciano oggetti dal finestrino a mo’ di proiettili, che causano volontariamente una collisione tra veicoli
o li colpiscono direttamente. Infine, la rabbia
al volante tocca il suo apice quando un conducente esce dalla propria vettura per iniziare
uno scontro, aggredendo altri guidatori, i loro
passeggeri, ma anche ciclisti e pedoni.
Secondo gli studi internazionali, almeno
l’80 per cento degli automobilisti è stato coinvolto in almeno un episodio di rabbia al volante, dal più leggero al più grave. Dato ancora più interessante, se il 70 per cento ammette
di avere causato problemi ad altri, solo il 14
per cento mostra qualche forma di rammarico
o pentimento, identificando nel cattivo umore
la causa della condotta aggressiva.
Per giustificare l’incremento dei casi di aggressività al volante sono stati chiamati in
causa tre insiemi di fattori: innanzitutto ci
sono gli elementi socio-ambientali, come la
crescita della popolazione e la conseguente
congestione del traffico, unita a una carente
progettazione del sistema stradale.
n. 90, giugno 2012
Attenti al guidatore sospetto
Al volante si rivelano soggetti estremamente pericolosi,
perché le sostanze psicoattive, prima tra tutte l’alcool, oltre
a compromettere tempi di risposta e correttezza di giudizio,
cancellano i freni inibitori. L’emotività e la rabbia, in particolare,
trovano dunque terreno libero per manifestarsi.
Riconoscere un ubriaco è perciò fondamentale, e una serie di
segnali possono aiutare. Chi ha bevuto troppo, infatti, tende ad
avere comportamenti come quelli che seguono:
• procedere a cavallo tra le linee di separazione delle corsie;
• sfiorare le altre vetture;
• prendere le curve in modo eccessivamente largo;
• ondeggiare da un lato all’altro della strada o guidare
contromano;
• procedere a velocità troppo bassa;
• tallonare da presso l’auto che precede o frenare bruscamente
e senza motivo;
• guidare con i fari spenti;
• avvisare di una scelta in contrasto con quella poi adottata,
Ace Stock Limited/Alamy
Senza via
di scampo
Poi ci sono i fattori legati a disturbi mentali; dalla fine degli anni novanta psicologi e psichiatri hanno iniziato a sostenere che
la road rage sia una vera e propria malattia
mentale, e che la patologia più di frequente
associata alla rabbia al volante sia il «disturbo esplosivo intermittente». Chi ne è colpito
presenta occasionali episodi in cui è incapace
di resistere agli impulsi aggressivi, distrug-
Mente & Cervello
come azionare le frecce a destra e svoltare invece in
direzione opposta;
• fermarsi in modo inopportuno in luoghi come le strisce
pedonali, senza che vi sia nessun passante, oppure a un
semaforo nonostante il verde.
Una volta convinti che il guidatore abbia un problema, meglio
aspettarsi di tutto. Per prima cosa occorre mettere la maggiore
distanza possibile tra sé e lui, e se non è possibile bisogna
verificare che la propria cintura di sicurezza, come quella di
tutti i passeggeri, sia ben agganciata. Alla prima occasione utile
è il caso di fermarsi e chiamare il 112 o il 113, informando le
forze dell’ordine del comportamento del guidatore,
la descrizione dell’auto, il luogo e la direzione di marcia.
Mai, invece, cercare di superare l’auto sospetta, tanto meno
provare a fermarla. Non starle nemmeno troppo vicino, perché
potrebbe inchiodare di colpo e senza preavviso. E soprattutto
mai improvvisarsi poliziotto, tentando di trattenere un guidatore
ubriaco o di confrontarsi con lui.
gendo proprietà o commettendo gravi fatti di
violenza. Il grado di aggressività manifestato durante un episodio è di gran lunga spropositato rispetto a qualsiasi provocazione o
fattore stressante, e non è nemmeno il risultato diretto dell’uso di sostanze come alcolici e droghe.
Chi presenta questo disturbo può riferire problemi di rabbia cronica e di frequenti
episodi «sottosoglia», nei quali prova impulsi aggressivi ma riesce a controllarsi, manifestando condotte aggressive meno distruttive,
come urlare o colpire un muro senza danneggiarlo. Il comportamento esplosivo è preceduto da una sensazione di tensione o di eccitazione, ed è seguito immediatamente da un
senso di sollievo. In seguito l’individuo colpito da questo comportamento può sentirsi turbato, in preda al rimorso, dispiaciuto o imbarazzato nei confronti di ciò che ha fatto.
Quanto ai precedenti, la persona affetta
da disturbo esplosivo intermittente può aver
avuto gravi scatti caratteriali sin da giovane, scarsa attenzione, tendenza all’iperattività o altre alterazioni del comportamento, come rubare o appiccare incendi.
Il terzo insieme di fattori chiamato in causa per spiegare la road rage è quello legato
alle abitudini culturali; in questo senso, la
rabbia trarrebbe origine da un decadimento
nei valori morali, dall’assenza di rispetto verso gli altri, e costituirebbe una forma di «maleducazione mobile».
n
39
dossier: la rabbia
Furia
d’amore
In ogni rapporto esiste una zona d’ombra,
dove abitano sentimenti ostili e frustrazioni.
Ma occorre prestare attenzione ad alcuni
precisi comportamenti, che possono essere
il segnale d’allarme della violenza
Josh Pulman/Getty Images
di Massimo Picozzi
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n. 90, giugno 2012
Mente & Cervello
41
I
l Crime Classification Manual è stato
scritto da Robert Ressler e John Douglas,
ex agenti speciali dell’Unità di scienze del
comportamento dell’FBI, insieme agli accademici Ann e Allen Burgess. Si tratta del primo tentativo di sistematizzare i crimini violenti in base al movente che li ha ispirati, e
il sesto capitolo è dedicato all’omicidio. Sono molti i casi in cui la rabbia ha un ruolo
decisivo nell’uccidere, a cominciare dal codice 123: Argument/Conflict Murder. La morte
è qui il risultato di un conflitto, uno scontro
precipitato da una discussione.
La vittimologia dice che in questo caso
gran parte delle vittime sono giovani adulti,
disoccupati o impiegati con mansioni semplici, dal basso profilo scolastico. Vittima e offender si conoscono, e quest’ultimo ha spesso
alle spalle una storia di comportamenti aggressivi e di ricorso alla violenza come strumento per risolvere ogni questione. Un’eccezione consiste nella sfortuna del malcapitato,
che casualmente incrocia un soggetto predisposto alle esplosioni di collera. In questo caso il fatto precipitante può essere banale, come un sorpasso in autostrada, o uno sguardo
interpretato come un segno di sfida.
La scena del crimine è caotica, mostra segni di lotta. Mentre la vittima non è armata,
lo è il suo carnefice, che abitualmente por-
ta con sé l’arma e la abbandona dopo il delitto, insieme a impronte e tracce. Solitamente il
corpo della vittima non viene occultato.
L’abuso di alcool e stupefacenti è spesso decisivo per innescare la reazione letale dell’offender. Quello che il codice 123 aggiunge è che la categoria esclude l’omicidio
dei familiari, perché rappresentati in un’altra
casella, la 122, quella del Domestic Murder.
L’omicidio entro le mura domestiche prevede a sua volta tre sottospecie: spontaneous,
staged, vale a dire pianificato, e neonaticide.
Ovviamente la rabbia è determinante nell’omicidio domestico spontaneo, e anzi si può
affermare che gran parte dei cosiddetti delitti di prossimità avvengano al culmine di un’esplosione di collera. E in Italia di delitti commessi tra persone legate da vincoli affettivi se
ne registrano almeno due casi ogni tre giorni.
Certo, è noto che in ogni rapporto d’amore
ci sia una zona d’ombra, un lato oscuro popolato da sentimenti ostili, ma quella tra fidanzati, coniugi, genitori e figli sembra ormai una guerra dal bollettino sconfortante.
Va subito detto che non c’è famiglia normale esente da conflitti, perché ciascuno è diverso dagli altri per interessi, personalità, desideri, obiettivi. La principale distinzione tra
una famiglia sana e una infelice sta nel modo con cui vengono affrontati i conflitti, non
sulla presenza o assenza di contrasti.
Purtroppo anticipare un comportamento
criminale è veramente difficile; ma i segnali
d’allarme di una futura relazione d’abuso sono già presenti durante la fase del corteggiamento. E bisogna imparare a riconoscerli.
Vittime silenziose
Genova, un vicolo del centro storico. È il 28 aprile 2006, intorno alle tre
di notte. C’è un corpo a terra, immobile, e allora qualcuno pensa bene di
avvertire la polizia.
Quando gli agenti della pattuglia più vicina arrivano finalmente sul posto,
per Luciana Biggi, una donna di 36 anni, non c’è ormai più nulla da fare.
Qualcuno l’ha aggredita, armato di un coltello, e lei si è difesa, come
dimostrano le ferite alle braccia. O almeno ci ha provato, fino a quando un
fendente l’ha raggiunta alla gola, e Luciana è crollata a terra.
Gli investigatori puntano subito sull’ex fidanzato della vittima, un trentenne
di Genova che di nome fa Luca Delfino. Lo interrogano a lungo, sono convinti
di essere sulla pista giusta, ma poi passano settimane, mesi, e nonostante i
sospetti non emerge alcun elemento certo, nessuna prova decisiva sulla sua
responsabilità nel delitto.
Nel febbraio 2011 l’uomo viene assolto «per non aver commesso il fatto» in
base all’articolo 530, secondo comma, del Codice di procedura penale, che
corrisponde alla vecchia insufficienza di prove.
Il 10 agosto 2007, poco più di un anno dopo la morte di Luciana Biggi, a
cadere trafitta da 40 coltellate è Antonella Multari, 32 anni, anche lei ex
fidanzata di Luca Delfino. Ma questa volta le prove ci sono, sono forti,
e inchiodano Delfino, che verrà condannato a 16 anni e 8 mesi, più cinque
anni di ospedale psichiatrico giudiziario.
Nel corso dell’indagine si scopre che l’uomo aveva cominciato a molestare
Antonella già poche settimane dopo la morte di Luciana, a pedinarla
e a minacciarla. E Antonella era davvero molto spaventata dal
comportamento dell’ex fidanzato, tanto che aveva chiesto aiuto. Ma nessuno
le aveva dato ascolto.
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n. 90, giugno 2012
BHolland /Alamy
Oleksiy Maksymenko/Alamy
u Campanelli d’allarme
Se la prevaricazione inizia già nelle prime
fasi del rapporto, è molto probabile che prosegua durante la convivenza o il matrimonio. E una volta verificata la prima aggressione fisica è probabile che la cosa si ripeta, e
anzi registri una progressione in gravità con
il passare del tempo. In casi come questi, meglio essere consapevoli che è praticamente
impossibile cambiare il comportamento del
proprio partner. E se si evidenziano tre o più
aspetti tra quelli descritti qui di seguito è meglio chiudere al più presto la storia.
Cominciamo con la gelosia: all’inizio del
rapporto il tipico partner abusante vi racconterà che la gelosia è un segno d’amore, ma
la gelosia per lui non ha nulla a che fare con
l’amore, quanto con il suo bisogno di possesso e la mancanza di fiducia.
Mente & Cervello
43
• La vostra relazione sta danneggiando altri
Un irresistibile impulso?
colpire proprio quella parte con cui la feriva,
la umiliava.
Nelle 700 pagine di deposizione Lorena
Bobbitt spiega con chiarezza e lucidità i
suoi sentimenti, la sua rabbia: «Ero ferita,
sono andata in cucina a bere un bicchiere
d’acqua. Ero già arrabbiata. Sono tornata
indietro e la prima cosa che ho visto è stato
il coltello. Allora l’ho preso; ero davvero
arrabbiata, e sono andata in camera da
letto. E allora ho detto, gli ho chiesto se era
soddisfatto di quello che aveva fatto e lui
era mezzo addormentato. Ero veramente
impazzita. “Ehi tu, parlami, ti è piaciuto
quello che hai fatto. Perché io ti sto dicendo
Accanto alla gelosia, cercherà di controllarvi in ogni modo. In un primo momento
proverà a convincervi che il suo comportamento dimostra che è preoccupato per la vostra sicurezza. Ma presto si arrabbierà se solo
arriverete in ritardo a un appuntamento.
Una costante in molte situazioni di abuso,
caratterizzate da rabbia e aggressività, è poi
l’accelerazione impressa al rapporto; non è
raro che tra il primo appuntamento e la convivenza o il matrimonio passino meno di sei
mesi. Insieme alla fretta, ci sono le aspettative irrealistiche, la convinzione che soddisferete ogni suo bisogno, che sarete perfetti.
Ancora meno rassicurante è l’isolamento,
il suo tentativo di alienarvi da ogni rapporto affettivo e sociale. E un’altra caratteristica che va guardata con sospetto è la tendenza
ad attribuire agli altri la colpa di ogni cosa;
se non trova lavoro è perché non capiscono
le sue doti, se viene licenziato è perché qualcuno lo ha preso di mira per favorire un suo
protetto, se commette un errore dipende solo
dal vostro intervento che lo ha distratto.
L’ipersensibilità lo porta a inalberarsi, a vivere qualunque commento, anche il più comune, come un attacco personale. Legato
all’ipersensibilità, ma ancora più disorientante, è l’atteggiamento da Dr Jekyll e Mr Hide,
fatto di repentini cambi di umore, del passaggio da gentile a irascibile in pochi minuti.
Oltre agli insulti, il partner abusante ricorre spesso alla minaccia nelle discussioni, e il
passaggio successivo, durante un confronto, è quello di sbattere porte, rompere oggetti,
prendere a pugni un tavolo, scagliarvi addos-
44
che a me non è piaciuto per niente”. E lui
disse che non gliene fregava niente dei
sentimenti. Lo disse e io gli chiesi se aveva
avuto un orgasmo dentro di me, perché
la cosa mi disturbava… Ogni volta che lo
faceva aveva sempre un orgasmo, e non
aspettava mai che io avessi un orgasmo. È
un egoista. Non penso che sia giusto. Così
ho tirato indietro le lenzuola e l’ho fatto».
In tutta la ricostruzione traspare la rabbia,
non certo la confusione, il delirio o la follia.
Potremmo ritrovare le caratteristiche di
quella che si chiama la «sindrome della
donna maltrattata», con il suo corteo di
ansia, sintomi somatici, depressione. Ma
u Sette regole d’oro
Indagando nella sua storia, sarà poi possibile scoprire un passato di aggressioni nei
confronti dei precedenti partner, con giustificazioni del tipo «se le è meritate». Un uomo facile alla rabbia e alla prevaricazioni lo
è in tutte le relazioni. Per questo ha pochissimi amici, e un lungo elenco di rapporti fallimentari alle spalle. Non è raro che usi alcool
e sostanze stupefacenti, tipo amfetamine, ma
anche oppiacei e cocaina, droghe capaci di
causargli drammatici cambiamenti di umore
e precipitarlo in crisi di rabbia.
In assenza di una malattia psichiatrica, potrete scoprire che la sua mente è popolata da
credenze bizzarre, superstizioni, dagli estremismi di un fanatismo politico o religioso, da
fantasie dove la violenza è erotizzata. Nel timore di essere coinvolti in una storia pericolosa, ecco le semplici domande che ciascuno
dovrebbe porsi, soprattutto le donne, perché
la maggioranza delle vittime in casi come
questi appartiene al genere femminile.
• Ti sei ritrovata spesso a «coprirlo», facendolo apparire migliore di quanto sia in realtà?
• Ti ha mai umiliato in pubblico?
• Ti sei mai sentita soffocata da lui?
• Nello stare insieme a lui, hai l’impressione che la tua autostima si stia sgretolando?
n. 90, giugno 2012
di una giuria che ha visto nel marito,
in quell’uomo che forse non a caso si
chiama John Wayne, l’incarnazione
del male, e nell’assolvere la donna
ha voluto punire lui, ben oltre la
«semplice» evirazione.
John Wayne Bobbitt ha recuperato la
sua integrità, grazie alla tempestività
dei chirurghi che hanno ricucito
quanto era stato tagliato: è diventato
un attore di film pornografici. Lorena
Bobbitt ha ottenuto il divorzio nel 1995
e ha ripreso il suo cognome da nubile,
Lorena Gallo.
Nel 1998 è stata accusata di avere
aggredito a pugni la madre.
Il comportamente criminale è una variante
di quello umano, e siamo ancora lontani dal
capire che cosa governa i nostri sentimenti
so piatti e suppellettili. A questo punto, se già
non lo avete fatto, sarebbe il caso di chiedervi
dov’è finita la persona che all’inizio della vostra storia vi appariva così affascinante, capace di dire solo le cose giuste, rispecchiando
le vostre speranze e i vostri sogni.
Thomas Imo/Alamy
Il 10 gennaio 1994, in un tribunale della
Virginia, sale sul banco degli imputati una
donna. Sembra stanca, ma nello tempo
determinata: il suo nome è Lorena Bobbitt.
È accusata di avere aggredito il marito,
tagliandogli il pene dopo che l’uomo era
rientrato a casa ubriaco e l’aveva violentata,
quella sera del 23 giugno 1993.
La difesa sostiene che Lorena deve
essere prosciolta da ogni accusa, perché
ha agito in preda a un «irresistibile
impulso», profondamente depressa e
incapace di reagire alle continue minacce
e ai maltrattamenti. Ha atteso che lui si
addormentasse e ha deciso di colpirlo, di
aspetti della tua vita?
la presenza di una malattia mentale
come la depressione non esclude
automaticamente la responsabilità, e
di traccia di «irresistibile impulso» qui
è difficile trovarne.
Il 21 giugno 1994 Lorena Bobbitt
viene dichiarata non colpevole per
infermità mentale e affidata a un
istituto psichiatrico per un periodo di
osservazione di 45 giorni. Un verdetto
sorprendente: Lorena Bobbitt merita
tutta la solidarietà per quanto ha
dovuto soffrire e certamente a lei
andavano riconosciute le attenuanti
del caso. Ma una totale incapacità
non può che spiegarsi con l’emotività
Mente & Cervello
• Hai la sensazione quasi fisica che le cose
stiano andando in modo sbagliato?
• Hai spesso il desiderio che tutto sparisca?
Se la risposta a queste domande è «sì», è il
caso di abbandonarlo il più in fretta possibile. Non sarà semplice, ma di una cosa potete
star certi: con il passare del tempo sarà sempre più complicato e difficile.
u Rabbia e imputabilità
Gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità. E questo
è un principio fondamentale del nostro come
di altri ordinamenti giuridici.
Naturalmente l’articolo del Codice penale
non parla di quelle alterazioni che dipendono da una vera infermità di mente, ma che
sono esperienze comuni in tutti noi; possono
variare d’intensità, ma si presuppone possano essere controllate e dominate. Certo, possono rappresentare un’attenuante nell’irrogazione della pena, quando per esempio viene
riconosciuta una particolare provocazione,
o quando l’emozione è stata precipitata dal
fronteggiare una folla in tumulto. Ma niente
vizi parziali, e tanto meno totali.
Questa la situazione fino a oggi, perché le
neuroscienze stanno cercando di riscrivere i
capitoli dei codici che riguardano la libera determinazione di un soggetto durante un crimine. Alcune sentenze, anche in Italia, hanno
raccolto l’indicazione di esperti su come un’anomalia nelle strutture cerebrali deputate alle
emozioni possa tradursi in una parziale capacità di intendere e di volere circa il fatto-reato.
Il problema è che le attuali conoscenze non
permettono di raggiungere simili certezze.
Il comportamento criminale è una variante
del comportamento umano, e ancora siamo
lontani dal capire a fondo che cosa governa
noi e i nostri sentimenti. D’altro canto il progresso è inarrestabile. Basti pensare, sempre
in tema di emozioni e crimini, che il delitto
d’onore è scomparso dal nostro ordinamento
soltanto con la Legge 442 del 5 agosto 1981.
In precedenza era previsto uno sconto sostanziale di pena a chi uccideva spinto dalla motivazione soggettiva di salvaguardare
una particolare forma di onore e reputazione, in genere legata a rapporti matrimoniali o di famiglia. Un concetto, quello di onore,
riconosciuto fino a trent’anni fa come un valore socialmente rilevante di cui tenere conto
n
ai fini giuridici.
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