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RYAN GOSLING DENZEL WASHINGTON MERYL STREEP

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RYAN GOSLING DENZEL WASHINGTON MERYL STREEP
MENSILE N.1-2 GENNAIO-FEBBRAIO 2013 € 3,50
fondazione ente™
dello spettacolo
ZOMBIMANIA
FEBBRE
DA MOSTRI
Un Golden Globe
per l'interpretazione
di Fantine, nel bel
musical in sala dal
31 gennaio
AL CINEMA PIU’
CHE ESANGUI,
APPASSIONATI
RYAN
GOSLING
DENZEL
WASHINGTON
MERYL
STREEP
Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003
(conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano
STEVEN SPIELBERG
MA ANCHE KATHRYN
BIGELOW
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
Nuova serie - Anno 82 n. 1-2 gennaio-febbraio 2013
In copertina Anne Hathaway nei Miserabili di Tom Hooper
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CAPOREDATTORE
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Lasciamoci sorprendere
REDAZIONE
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CONTATTI
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ART DIRECTOR
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HANNO COLLABORATO
Luca Barra, Angela Bosetto, Orio Caldiron, Gabriele Carunchio,
Anita Ceccarelli, Gianluigi Ceccarelli, Silvio Danese, Alessandro De
Simone, Adriano Ercolani, Simona Falcone, Bruno Fornara, Antonio
Fucito, Massimo Giraldi, Enrico Magrelli, Miriam Mauti, Massimo
Monteleone, Franco Montini, Morando Morandini, Marta
Morgante, Peppino Ortoleva, Luca Pellegrini, Marco Spagnoli
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Finita di stampare nel mese di gennaio 2013
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PROPRIETA’ ED EDITORE
PRESIDENTE
Dario Edoardo Viganò
DIRETTORE
Antonio Urrata
UFFICIO STAMPA
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COMUNICAZIONE E SVILUPPO
Franco Conta - [email protected]
“Non sapete più sorprendervi!”, è il rimprovero
che muove il radicale Tommy Lee Jones ai suoi
compagni di partito, così assuefatti alle astuzie
della politica da guardare con sospetto persino
quel 13° emendamento che avrebbe abolito la
schiavitù dalla costituzione degli Stati Uniti:
praticamente il culmine delle loro battaglie.
Lincoln di Steven Spielberg – sconfitto da Ben
Affleck (Argo) ai Golden Globes: stavolta la
meraviglia è nostra – è una solenne apologia
della sorpresa. Pur raccontando fatti ben noti –
la guerra civile americana, i tormenti della Casa
Bianca e il braccio di ferro politico con i
democratici per dare una svolta anti-razziale
alla storia del proprio paese - e non essendo
quindi strictu sensu sorprendente (come lo
intendiamo banalmente oggi), il film sa e invita
ancora a stupirsi.
l’incontro casuale con
qualcuno di speciale
non cambierà tutto.
D’altra parte, nella
domanda che chiude
Zero Dark Thirty – “E
ora dove andiamo?”non vi è contenuto forse un appello, la richiesta
di un cambio di rotta rispetto ai diktat e
all’immaginario degli ultimi anni? Questa
convergenza di temi a Hollywood non è casuale.
Meglio di ogni altra forma espressiva, il cinema
sa intercettare paure, desideri e pulsioni che
attraversano l’ambiente socio-culturale. In un
anno particolarmente felice come quello appena
trascorso (di cui diamo ampio risalto nel nostro
speciale sull’Oscar), la richiesta di un nuovo
orizzonte storico, politico, umano si
è fatta pressante ed è andata di
Stupore di chi non si adagia
pari passo con un’effervescenza
sulla poltrona dell’ovvio ma sa
Il cinema americano
formale e narrativa che lascia ben
rialzarsi sollevato dalla fiducia
sta esprimendo forte la sperare. Non c’era modo migliore
sul futuro. Il progresso della
di salutare il nuovo anno. Che pure
Storia dipende dopotutto da un
richiesta di un nuovo
non è iniziato benissimo per noi
atto di fede infondato. Il tema
orizzonte politico e
italiani: se la flessione degli incassi
di una seconda possibilità
sociale
non fa più notizia, la scomparsa di
attraversa anche un altro dei
Mariangela Melato ha suscitato
film candidati all’Oscar: Silver
ulteriore tristezza in un ambiente
Linings Playbook, dove un
uomo affetto da bipolarismo (Bradley Cooper), e già depresso. Se c’è un paese che avrebbe
bisogno di un deciso scatto in avanti quello è il
ossessionato dal desiderio di riconquistare la
nostro. Un appello all’immaginazione contro il
moglie, sembra condannato a perdere su tutti i
realismo della rassegnazione.
fronti – riavere la vecchia compagna, il lavoro
all’università, una vita normale – finché
COORDINAMENTO SEGRETERIA
Marisa Meoni - [email protected]
DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE
Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma - Tel. 06.96.519.200
Fax 06.96.519.220 - [email protected]
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Iniziativa realizzata con il contributo della Direzione Generale
Cinema - Ministero per i Beni e le Attività Culturali
La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge
7 agosto 1990, n. 250
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
5
8
days of Persol
Dimitri Coste - Director
PO 649
persol.com
Day 1: Inspiration
n. 1-2 gennaio-febbraio 2013
SOMMARIO
COVER STORY
24 Musical maestro
Dal Discorso del re a Les
Misérables: Tom Hooper
rilegge il classico di Victor
Hugo. E fa cantare le “stelle”
SERVIZI
20 Berlino, “Terra promessa”
Gus Van Sant e Wong Kar-wai.
Seidl chiude la trilogia e
Panahi in anteprima
31 And the Oscar goes to...
Presidenti, schiavi e
l’ossessione Bin Laden: viaggio
americano tra le nomination.
Major vs. indipendenti: chi la
spunterà?
44 Spirito in volo
Arriva Flight di Zemeckis: Denzel
Washington straordinario pilota
e uomo fragile, drogato e
alcolizzato
44
48 Morti alla riscossa
Bye Bye vampiri! Il 2013 è
l’anno degli zombi: innamorati
(Warm Bodies) e catastrofici
(World War Z)
28 Anne Hathaway
Sei minuti da Fantine per un
Golden Globe: “Ho deciso di
fare l’attrice quando ho visto
mia madre recitare quel ruolo”
FOTO PIETRO COCCIA
PERSONAGGI
DENZEL
WASHINGTON
In corsa per la
statuetta con
Flight
42 Ryan Gosling
Ascesa inarrestabile: presto in
sala con Gangster Squad, a
Cannes con Only God Forgives
52 Meryl Streep
Stavolta non c’è, ma la più
amata dall’Academy è
senz’altro lei: le mille maschere
di un mito
31
Anche Sally
Field in
nomination
per Lincoln
42
Ryan Gosling
in Gangster
Squad
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
7
SOMMARIO
I FILM DEL MESE
54
56
58
58
60
61
62
62
63
64
65
65
66
66
68
54
THE MASTER
The Master
Frankenweenie
Looper
Upside Down
Anna Karenina
La migliore offerta
Quello che so sull’amore
Pazze di me
Qualcosa nell’aria
The Impossible
Re della terra selvaggia
Quartet
In Darkness
The Last Stand
Gangster Squad
LE RUBRICHE
10 Morandini in pillole
Hiroshima mon amour nel cuore
12 Circolazione extracorporea
Cult e fenomeni di massa:
YouTube e l’estensione eccessiva
14 Glamorous
65
RE DELLA TERRA SELVAGGIA
72
PROMETHEUS
News e tendenze: parole da
Globes. Chi dice cosa?
18 Colpo d’occhio
Negli States tutti guardano tutto.
Da noi no
72 Dvd & Satellite
Prometheus, Argo e ParaNorman
in Blu-ray. In tv Homeland 2 e
Revolution
78 Borsa del cinema
Gli incassi sorridono in chiusura
2012: grazie ai film-evento
80 Libri
Esplorare Lo Hobbit, guida alle
reazioni-emozioni dello spettatore
58
LOOPER
82 Colonne sonore
Ancora Jonny Greenwood per
Paul Thomas Anderson
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
9
Morandini in pillole
Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di un critico DOC
Fine pen(n)a mai
a cura di Morando Morandini
Fuori/uscite
Cocaina – “Il settore che può vantare i più grandi aborti è, notoriamente, l’industria del cinema. Le sue tradizioni e le sue
usanze sono, come sanno tutti coloro che ne fanno parte, barbariche. Ciò dipende presumibilmente dal fatto che i film sono
smisuratamente costosi. Chi ha la disgrazia di pensare in immagini in movimento, deve tener conto di una serie di ostacoli di
cui un saggista o un poeta non hanno la più pallida idea, dato
che i costi di produzione del loro esile volumetto sono diecimila
volte più bassi di quelli di un film di Hollywood. Come nel mercato globale dell’arte, le possibilità di successo nel cinema dipendono da un massiccio apporto di capitali. Il
denaro è la cocaina di
queste due branche”.
(da l’introduzione al libro I miei flop preferiti
di Hans Magnus Enzenberger, pubblicata su
“la Repubblica” del 18
gennaio 2011. Il libro,
uscito in Germania, è
pubblicato da Einaudi).
Hiroshima mon
amour
Sul film di
Resnais
scrissi: “Una
delle
opere più
straordinarie
che il cinema
ha offerto
in questi
ultimi anni”
Nella mia lunga vita di
spettatore cinematografico anche uno come
me che ha poca memoria, ma molti ricordi, le
proiezioni che sono
conficcate come pali nel laghetto della memoria sono una dozzina. La prima fu quando a 15-16 anni vidi a Genova - dov’ero
arrivato in bicicletta da Pegli – Notte di Nozze (1935) di King Vidor, con Gary Cooper e Anna Sten. La seconda avvenne a guerra finita a Como con Paisà (1946) di Roberto Rossellini, seguita
da Luci della ribalta di Charlie Chaplin a Milano. La quarta fu
Hiroshima mon amour di Alain Resnais, che vidi a Cannes fuori
concorso la mattina dell’8 maggio 1959.
Cominciai la mia corrispondenza su “La Notte” così: “Poche altre volte nel nostro affascinante, anche faticoso e ingrato mestiere, ci siamo trovati così imbarazzati come di fronte a Hiroshima mon amour… E’ un imbarazzo che deriva da un groviglio
di sentimenti contrastanti: perplessità e commozione, adesione
e dissenso, ammirazione e incomprensione. Siamo sicuri di un
fatto: può anche darsi che I 400 colpi di Truffaut vinca la Palma
d’Oro, ma il festival di Cannes ’59 sarà ricordato tra qualche anno come il festival di “Hiroshima” che, discutibile fin che si vuole, a noi pare una delle opere più straordinarie e più libere che il
cinema ha offerto in questi ultimi anni”. (Allora, per pudore, si
scriveva col noi al posto dell’io). Quando uscì in ottobre a Milano
gli diedi cinque stellette, dopo averlo visto almeno un’altra volta.
VISIONI FORZATE E INDULTI
CRITICI
Caro membro dell’Academy, io ti
capisco. STOP Capisco che mooolto
wasp e mooolto maturo come sei (quasi
tutti voi) non hai nulla da perdere, ma
molto da mantenere. STOP E altrettanto
(quasi tutti voi) da comprendere. STOP
Ma io ti capisco. STOP Capisco che
Lincoln, che guarda a Obama ma non
ferisce nessuno, sia meglio di Zero Dark
Thirty, che non guarda a nessuno e
uccide qualcuno. STOP Capisco che
Argo, che guarda a Tehran e al bel
tempo che fu, sia meglio di Lincoln, che
gioca il 16° ma scommette sul 44°
(presidente). STOP Capisco che Silver
Linings Playbook e Les Misérables siano
meglio di Argo, perché commedia e
musical – tu credi – non hanno mai
ammazzato nessuno. STOP Ma io, caro
membro dell’Academy, non ti capisco.
STOP Non capisco perché non capisci
The Master: l’hai masterizzato e buttato
nello scantinato. STOP Non capisco
perché tra il capire e il mare, quello
filosofico di P. T. Anderson, non c’è di
mezzo il tuo fare. STOP Dire, fare,
baciare: l’Academy bacia i brutti, perché
The Master lo bacian tutti? STOP Ma se
non segui il maestro, come puoi non
esser maldestro? STOP Fuori l’estro,
fatto non fosti per giudicar come bruto,
ma per votar amore e canoscenza…
ALMOST (IN)FAMOUS: DALLE
STALLE ALLE STARLETTE
Django Unchained? Il bianco, il nero e il
cattivo. #### Quando il musical canta
la crisi: Les Misérables. #### Denzel
Washington @ The Flight: agli Oscar per
alzata di gomito. #### Remake
hollywoodiano per Gabriele Muccino:
C’eravamo tanto amati… #### Ben
Affleck: “Fate l’Argo!” #### 1 fisso:
Homeland straccia tutti ai Golden
Globes. #### Pazze di me, protagonista
Francesco Mandelli: ma Fausto Brizzi
giura che non è fantascienza.
Federico Pontiggia
10
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
ANTHONY
HOPKINS
HELEN
MIRREN
SCARLETT
JOHANSSON
TONI
COLLETTE
JESSICA
BIEL
A VOLTE PER ESSERE UN GENIO CI VUOLE UNA MOGLIE
FOX SEARCHLIGHT PICTURES PRESENTA IN COLLABORAZIONE CON COLD SPRING PICTURES UNA PRODUZIONE MONTECITO PICTURE COMPANY/BBARNETTTE/ THAYER
AEFEFFEFETTNETTITI SPHPEECCOIAI LILNI Y HOPKINS HELLEN MIRRREN “HITCHCOCK” SCARLETT JOHANSSON TONI COLLETTE DANNY HUUSTON JESSICA BIEL MICHAEL STUHLBARG
RPRODUTTORI
EGOOIRY NICOTERO MUSICHE DANN N Y E L F MPRPRODODODOTAOTOTTONTO COOSTSTUMUMUMII JULIE WEISS MOMONTNTNTAGAGA GGIIO PAMELLA MARTIN, A.C.E. SCSCENENOGGRARFIA JUDY BECKER
DID TRUUCCCCOO H O WA R D B E RGEE R & GR
DIRERETTOR
DIDIR
TTTORRE
M THAYER ALAN BARNETTE
DDEELLLA FOOTOOGRGRAFAFAFIAIA JEFF CRONENWETH, ASC ESECUTIVII ALI BELL RICHARD MIDDLETON
DAA IVAN REITMAN TOM POLLOCK JOEE MEDJUCK TOM
TRTRATATATTO DALL LIBROEDITO DA IL CASTOOROR
BELLLO AL CINEMA SCCENENEGEGGGIGIATATATURU A JOHN J. MCLAUGHLIN REGIA SACHA GERVASI
“HIHITCTCTCHCOCCK. L'INCREDIBILEE STORIA DI PSYCHO”D
” DI STEPHEEN REB
COLONN
OLON
LON
ONNNAS
A SONO
ASO
S RAADISPONIBI
DISPONIBI
PONI LES
LE SU
RELEASED BY TWENTIETH CENTURY FOX
©2012 TWENTIETH CENTURY FOX FILM CORPORATION
circolazione extracorporea
Fruizioni multiple nell’era della riproducibilità
a cura di Peppino Ortoleva
Cosa rimane del cult
YouTube e l’estensione (eccessiva?) dei fenomeni di massa
I
l ri-montaggio creativo delle
scene tagliate di un film. Le gaffe di Antonella Clerici o le liti di
Vittorio Sgarbi, ripetute in loop
come nemmeno su Blob . I videoclip musicali di buffe band
dai nomi e dai costumi ridicoli.
Filmati creduti dispersi, riportati alla
luce grazie a vecchie videocassette dai
colori sbiaditi. Progetti curiosi e fuori
da ogni standard editoriale come “Friday” di Rebecca Black (su cui ci siamo
già soffermati tempo fa), “Call Me Maybe” di Carly Rae Jepsen o il tormentone “Gangnam Style” di Psy, che improvvisamente (quasi per serendipity)
finiscono al centro della scena e non la
lasciano più, così come le coreografie e
cover amatoriali che si innestano su
questi fenomeni. Sono solo alcuni degli
oggetti che (con estrema generosità)
12
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
difficoltosa, su barriere all’ingresso
che separano (proteggono, e spesso
rendono migliori) dalla massa, su un
rituale condiviso dalla comunità e costantemente ripetuto. YouTube porta
invece tutto “in piena luce”, toglie
oscurità e mistero, consente di cercare
facilmente (e spesso di trovare con
successo) qualsiasi lacerto audiovisivo,
aiuta a condividerlo, ripeterlo, diffonderlo, farlo diventare di massa – quando non, addirittura, “nazional-popolare”. Se il comico Gabriele Cirilli rifà
“Gangnam Style” per il pubblico di
Raiuno, imitando in un programma di
Carlo Conti le movenze del video e i tic
del cantante coreano, e se questa esibizione si spalma in ogni anfratto della
rete, dai blog alle home page dei quotidiani, abbiamo ancora a che fare con
un cult? O siamo già altrove? E questo
ci porta a un secondo punto: la sensazione che il concetto di cult, usato e
abusato in lungo e in largo, diventi in
rete poco più che un termine ombrello. Una coperta
troppo corta, tirata da ogni
lato, che finisce per squarciarsi (e per non avere più
alcuna validità euristica).
Un ampio contenitore, dove
si trovano mescolati il camp
“tra virgolette” della Sontag
e lo sguardo annoiato degli
hipster, la potenza virale dei
meme satirici e lo scontato
travaso dei divismi e delle comunità di
fandom di media precedenti, ancora insuperati nella loro abilità di costruire
un immaginario. Come se il web fosse
capace di enfatizzare alcuni caratteri
del cult – la ripetibilità e la comunità in
primis – ma finisse poi per deformarlo,
usurarlo, persino rovesciarlo. E al vecchio cult-ore forse non resta che ritornare agli scaffali polverosi e alle vecchie cineteche…
Se il comico Gabriele
Cirilli rifà "Gangnam
Style" per il pubblico
di Raiuno è evidente
che siamo ormai in un
altro ambito
sono reputati “di culto” sul web, e in
particolare in quel grande calderone,
deposito quasi-infinito della memoria
collettiva, che risponde al nome di YouTube. Ma basta questo elenco, breve
eppure variegato, a sollevare delle
questioni cruciali.
In primo luogo, si può davvero qui parlare di “culti”? Il cult tradizionale, cinematografico o musicale, si basa – in
modo più o meno esplicito – su una
mancanza da colmare, su una ricerca
LUCA BARRA
Glamorous
a cura di Gianluca Arnone
Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze
SPECIALE
GOLDEN
GLOBES
Ragazza d’oro
“Che cosa dovrei dire? Ho battuto Meryl”.
Più stringata ed efficace di così Jennifer
Lawrence non avrebbe potuto essere.
L’attrice, non solo ha vinto il suo primo
Golden Globe ai danni della Streep, ma si
è divertita a punzecchiarla citando la
battuta che Bette Midler pronuncia
davanti all’Oscar nel Club delle prime
mogli. Rito propiziatorio?
Jodie Foster
Ritirando il Cecil DeMille, Jodie Foster
ha fatto una rivelazione coraggiosa e
senza precedenti: “Ho l’urgenza di dire
qualcosa che non avevo mai detto in
pubblico: sono single”. L’Associazione
delle Vecchie Zitelle però non ha
gradito: “Poteva dirlo prima”.
Daniel Day-Lewis
“Sicuri ci sia abbastanza spazio per un
altro ex presidente sul palco?”, ha
chiesto Daniel Day-Lewis ritirando il
Globe per il ruolo di Lincoln. Si riferiva
ironicamente a Bill Clinton, seduto in
platea. Qualcuno però si era già alzato
per cacciarlo.
Ben Affleck,
modestamente
“Non importa quale premio
sia. Quando il tuo nome
viene messo vicino a quelli
di Spielberg, Tarantino,
Bigelow e Ang Lee, hai già
vinto”. Così il trionfatore dei
Globes alla regia e al miglior
film (Argo).
Glamorous
SPECIALE
GOLDEN
GLOBES
Maledetta
Jessica Chastain
“So per certo che c’era
una maledizione Chastain
da cui mi sono finalmente
liberata”, ha sostenuto
convinta la migliore
attrice drammatica ai
Globes. La bravura non si
discute. Ma non si sarà
montata la testa?
Hathaway
Jackman
I due miserabili attori,
vincitori dei Globes,
hanno idee diverse sul
loro significato. Lei:
“Questo premio sarà il
veleno contro future
depressioni”. Lui:
“Andiamo, sono
australiano! Ci berrò su”.
Christoph Waltz
Elegante e irriconoscibile,
non protagonista ma
vincitore, il flemmatico
Christoph Waltz si è così
espresso a proposito
delle controversie razziali
su Django: “Controverso
è esattamente come
volevamo che fosse”.
Adele in the Sky
“Posso dirla tutta? Non
mi sarei mai aspettata di
stare qui in mezzo a voi.
Ho passato tutta la serata
a scompisciarmi dalle
risate. Ridevo di tutti voi”
(Adele, Golden Globe per
la canzone Skyfall).
Hopeland
Miglior attore tv
(Homeland), Damian
Lewis ha fatto una dedica
alla defunta madre: “So
che mi sta guardando da
lassù e che in questo
momento sta dicendo a
tutti quanto bravo sia suo
figlio a recitare”.
16
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
colpo d’occhio
FE ST IVAL DE L M ES E
di Massimo Monteleone
Dal Sundance alla Berlinale, poi
Rotterdam, Goteborg, la Puglia e
Bologna
TRIESTE FILM FESTIVAL
1 XXIV
edizione del tradizionale
GOTEBORG INTERNATIONAL
5 FILM
FESTIVAL
appuntamento con film e video
dell’Europa centro-orientale. In
concorso le opere recenti divise
fra lungometraggi, “corti” e
documentari. Previste
retrospettive.
Località Trieste, Italia
Periodo 17-23 gennaio
Tel. (040) 3476076
Web www.triestefilmfestival.it
Mail [email protected]
Resp. Annamaria Percavassi,
Fabrizio Grosoli
XXXVI edizione del più importante
festival scandinavo, a carattere
competitivo. Presenta una
selezione di film internazionali e
un approfondimento sulle
produzioni dei paesi nordici.
Località Goteborg, Svezia
Periodo 25 gennaio - 4 febbraio
Tel. (0046-31) 3393000
Web www.giff.se
Mail [email protected]
Resp. Mikael Fellenius
SUNDANCE FILM FESTIVAL
2 XXIX
appuntamento con la
Non aprite
quella sala
D’autore o di genere, italiano
o straniero, non fa differenza: il grande
schermo non ci attira più
L’AMERICA? Mai stata più
lontana. Mentre lì si brinda ai
numeri sbalorditivi del box office
di fine anno - The Hobbit (242 mil
$), Lincoln (137 mil $), Les
Miserables (85 mil $), Django
Unchained (83 mil $) - qui si
mastica amaro a snocciolare i
dati del consumo
cinematografico. Da noi il cinema
piange. La novità è che lo fa
senza più differenze: d’autore o
di genere, tricolore o straniero, la
fuga dalla sala è come l’esodo
d’Egitto. Certo, Lo Hobbit da noi
non è andato male (al 30
dicembre incassati oltre 14
milioni di euro), ma è andato
comunque peggio che in altri
paesi europei (in Germania nello
stesso periodo ha fatto oltre 44
milioni di euro, nel Regno Unito
18
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
43, in Francia 30). D’altra parte la
classifica degli incassi in sala nel
2012 ci vede al 17° posto in
Europa. Meglio di noi ha fatto
pure la Turchia. E se un tempo si
guardava agli spettatori
americani per avere una
proiezione attendibile anche del
comportamento del nostro
pubblico, oggi no. Un esempio?
Le riviste d’oltreoceano danno
per certo che il campione di
febbraio sarà l’horror Non aprite
quella porta 3D della Lionsgate
(che ha speso 20 milioni di dollari
solo in pubblicità), destinato a
ripetere l’exploit dello scorso
anno di The Devil Inside Me. Da
noi l’unico film dell’orrore che
abbia fatto proseliti negli ultimi
anni è la visione della sala. Ecco
G.A.
perché scappano tutti.
vetrina più importante della
produzione indipendente
americana. In concorso opere
divise nelle categorie “fiction” e
“documentario”, tra le quali Un
giorno devi andare di Giorgio
Diritti (nella foto). Anteprime del
cinema internazionale.
Località Park City-Salt Lake CityOgden, Sundance (Utah), USA
Periodo 17-27 gennaio
KIDFILM FESTIVAL
XXIX edizione del festival non
competitivo dedicato ai bambini, il
più grande nel suo genere. In
programma lungometraggi e
“corti”, classici e novità, da tutto il
mondo.
Località Dallas (Texas), USA
Periodo 26-27 gennaio
Tel. (001-214) 8216300
Web www.usafilmfestival.com
Mail [email protected]
Resp. Ann Alexander
6
VISIONI ITALIANE
7 XIX
edizione del festival che
Tel. (001-435) 6583456
Web www.sundance.org/festival
Mail [email protected]
Resp. John Cooper
SUDESTIVAL – SGUARDI DI
CINEMA ITALIANO
XIV edizione della vetrina pugliese
per il cinema d’autore italiano,
con particolare attenzione alle
opere prime. Otto i film in
concorso e una serata inaugurale
con evento speciale.
Località Monopoli - Polignano a
Mare (Bari), Italia
Periodo 18 gennaio – 15 marzo
Tel. 3341310000
Web www.sudestival.org
Mail [email protected]
Resp. Michele Suma
3
INTERNATIONAL FILM
FESTIVAL - ROTTERDAM
XLII edizione dell’importante
festival informativo e competitivo.
Molti titoli in programma (film a
soggetto, corti, documentari,
video, film online, DVD, CD-Rom),
comprese anteprime mondiali o
europee.
Località Rotterdam, Paesi Bassi
Periodo 23 gennaio - 3 febbraio
Tel. (0031-10) 8909090
Web
www.filmfestivalrotterdam.com
Mail
[email protected]
Resp. Rutger Wolfson
prevede un concorso nazionale
per cortometraggi,
mediometraggi e documentari di
vario formato. Prevista una
sezione dal titolo: “Fare cinema a
Bologna e in Emilia Romagna”. Il
concorso a tema fisso s’intitola
“Visioni ambientali”.
Località Bologna, Italia
Periodo 27 febbraio - 3 marzo
Tel. (051) 2194835
Web www.visionitaliane.it
Mail
[email protected]
Resp. Anna Di Martino
INTERNATIONALE
FILMFESTSPIELE BERLIN
LXIII edizione della Berlinale,
fondamentale appuntamento
europeo come Cannes e Venezia.
In concorso per l’Orso d’Oro le
novità d’oltreoceano e il grande
cinema d’autore mondiale
(lungometraggi e cortometraggi).
Apertura, fuori concorso, con The
Grandmasters di Wong Kar-wai.
8
4
Località Berlino, Germania
Periodo 7-17 febbraio
Tel. (0049-30) 259200
Web www.berlinale.de
Mail [email protected]
Resp. Dieter Kosslick
eventi
Colpo grosso a
BERLINO
Da The Grandmasters di Wong Kar-wai
a Promised Land di Gus Van Sant e Parde di Panahi: sul red
carpet tornano star e anteprime mondiali
di Marina Sanna
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
Zhang Ziyi in The
Grandmasters, sotto
Matt Damon in
Promised Land e la
Binoche in Camille
Claudel 1915
T
HE GRANDMASTERS di Wong Kar-wai è una
bella apertura per il 63° festival di Berlino
(7-17 febbraio). Kar-wai (presente nella
duplice veste di regista e Presidente di
giuria) ha impiegato 5 anni per realizzarlo e
altri 16 per svilupparlo, e sembra che abbia
dato il meglio: un film altamente
spettacolare e al tempo stesso fortemente
autoriale, binomio difficilmente
raggiungibile. Protagonista un uomo leggendario: il
padrino di Bruce Lee nelle arti marziali (la storia è
ambientata negli anni ’30). Sin dalle prime scene, si
intravede la strada percorsa da Kar-wai: non solo
combattimenti ad effetto, ma anche malinconia e
reinterpretazione dei fatti, la teorizzazione che non
esiste un unico “maestro”, con echi di In the Mood
for Love. Era qualche anno che il festival di Dieter
Kosslick non sfoderava tanti fiori all’occhiello: in
anteprima mondiale c’è infatti Parde di Jafar Panahi, il
grande assente di tutte le manifestazioni, vittima da
tempo del regime iraniano. In concorso svettano poi:
Promised Land di Gus Van Sant, con Matt Damon e
Frances McDormand e Paradise: Hope, il terzo capitolo
sulle virtù teologali dell’austriaco Ulrich Seidl,
ambientato in una specie di campo di concentramento
per bambini obesi. Troviamo anche Nobody’s Daughter
Haewon del coreano Hong Sangsoo, assiduo
frequentatore del festival di Cannes; Camille Claudel
1915 di Bruno Dumont con l’eroica Juliette Binoche, il
nuovo lavoro di Danis Tanovic (An Episode in the Life of
an Iron Picker ), sulla miseria e desolazione della Bosnia
Erzegovina e, ancora Steven Soderbergh (ma non aveva
promesso di lasciare il cinema?) con Side Effects, nel
cast: Jude Law, Rooney Mara, Catherine Zeta-Jones,
Channing Tatum. E un debutto Americano: The
Necessary Death of Charlie Countryman di Fredrik Bond
con Shia LaBeouf, Evan Rachel Wood e Mads Mikkelsen.
Altre sorprese vengono dalla sezione Panorama: Don
Jon’s Addiction, esordio alla regia del bravo attore
Joseph Gordon-Levitt con Scarlett Johansson e Julianne
Moore, e l’atteso Lovelace di Rob Epstein. Basato sulla
biografia di Eric Danville The Complete Linda Lovelace,
ripercorre differenti periodi della vita della pornostar,
interpretata da Amanda Seyfried (nel film ci sono anche
Peter Skarsgaard, Sharon Stone e Juno Temple). Non
manca la questione palestinese con Rock the Casbah
dell’israeliano Yariv Horowitz ambientato
nel 1989; e il canadese Inch´Allah di
Anaïs Barbeau-Lavalette, in cui
una giovane dottoressa si divide
tra Ramallah e Gerusalemme.
Infine, tra i 10 giovani attori
europei selezionati per i
consueti Shooting Stars c’è il
nostro Luca Marinelli
(Premio Rivelazione Tertio
Millennio 2011).
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eventi
Paradiso amaro
“Cercando la felicità si può trovare l’inferno”, dice l’austriaco Ulrich Seidl. Alla
Berlinale l’ultimo capitolo della sua trilogia: Hope di Federico Pontiggia
Qui e sotto Paradise:
Hope. A lato, il regista
Ulrich Seidl
A
tto terzo: storia della 13enne
Melanie. Mentre la madre Teresa
è in Kenya, spende le vacanze in
un diet camp per teenager obesi: sotto la
supervisione di un trainer tatuato e un
dottore da incubo, di giorno si fa sport, la
notte ci si ubriaca. Tra educazione fisica
e consigli nutrizionali, battaglie di
cuscini e la prima sigaretta, Melanie si
innamora di un dottore 40 anni più
grande. E’ sempre Austria Infelix, e
come potrebbe essere altrimenti se
dietro la macchina da presa c’è Ulrich
Seidl, che ha portato a Cannes Paradise:
Love, a Venezia Paradise: Faith e ora alla
Berlinale chiude la trilogia con Paradise:
Hope. “Si chiama Paradiso perché
racconta di persone che cercano di
trovare il proprio: se poi arrivano
all’inferno, beh, è un altro discorso. Le
due sorelle (le protagoniste di Love e
Faith) hanno una cosa in comune:
l’amore. Entrambe non sono state capaci
di trovare felicità nel loro matrimonio e
cercano altre vie”. Ora tocca a Melanie,
la figlia che vediamo nel primo capitolo:
“E’ obesa, ma giovane, non ha perso la
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speranza, crede ancora”, dice Seidl, che
prende le virtù cristiane e volente o
nolente non dimentica le sue radici:
“Sono cresciuto in una famiglia cattolica
molto devota, poi in gioventù mi sono
ribellato, ma non riesco ad allontanarmi
dai valori cristiani: mi rimane il senso di
colpa, la cattiva coscienza”. Chiamatelo
se volete Paradiso: “E’ un termine biblico
che esprime uno stato di felicità,
qualcosa che tutti noi cerchiamo nella
vita. Certo, nella mia trilogia è diverso,
ma volevo rappresentare questa ricerca
con tre differenti storie e tre diverse
protagoniste”. In principio non era così:
“Avrebbe dovuto essere un unico film
con tre episodi in parallelo, alla Dog
Days, ma mi sono reso conto che era
necessario fare tre film, perché c’era
una tale intensità che per lo spettatore
sarebbe stato molto difficile rimanere
collegato emotivamente”. Uno, due e tre,
Seidl continua a inseguire il miracolo
dell’osceno nella storia e il miracolo
della scena nella regia: esemplarità
estrema nel turismo sessuale di Teresa
(Love) e nella via crucis – minuscolo - di
Anna Maria (Faith); stile
documentaristico. Se lo scandalo non è
più di questi tempi, risulta comunque
difficile digerire queste immagini, perché
è forte la sensazione che il peccato non
sia nell’occhio di chi guarda: sadismo,
furbizia, procedimento a tesi. Chissà,
forse la “paradisiaca” trilogia di Seidl è
nichilista, forse riecheggia René Girard:
“La tendenza a cancellare il sacro, a
eliminarlo interamente, prepara il
ritorno surrettizio del sacro, in forma
non più trascendente bensì immanente,
nella forma della violenza e del sapere
della violenza”.
5
NOMINATION AL PREMIO OSCAR
®
TRA CUI
MIGLIOR FILM
MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
MIGLIORE ATTRICE JESSICA CHASTAIN
“UN THRILLER AD ALTA TENSIONE”
RICHARD CORLISS - TIME MAGAZINE
+++++
KATEY RICH - GUARDIAN
+++++
EASY LIVING
+++++
HEAT
+++++
TIME OUT
“INTENSO, AVVINCENTE”
ESQUIRE
++++ ++++ ++++ ++++
EMPIRE
GLAMOUR
ROLLING STONE
TOTAL FILM
DALLA SCENEGGIATRICE E REGISTA PREMIO OSCAR PER
®
THE HURT LOCKER
DA GIOVEDÌ 7 FEBBRAIO AL CINEMA
ZERODARKTHIRTY-ILFILM.IT
COVER STORY
Un musical così possente mancava da tempo: con
Les Misérables di Tom Hooper rivive il cinema popolare.
Otto nomination all’Oscar e interpreti in stato di grazia
di Luca Pellegrini
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Hugh Jackman
in una scena del
film: per lui Golden
Globe e nomination
all’Oscar
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COVER STORY
U
Les Misérables:
sopra Hugh
Jackman e
Amanda Seyfried,
a destra Russell
Crowe e Anne
Hathaway
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Una manciata di minuti di dialogo e un
profluvio di musica: cori e canzoni, duetti e terzetti nei quali si confessano odio,
amore, disperazione e perdono, i peccati
del potere e l’innocenza delle vittime, i
soprusi dei violenti e il riscatto dei pentiti, l’afflato religioso che pervade i destini in collisione di un intero popolo,
quello francese, e dei tanti “miserabili”
che annaspano verso la libertà, la dignità, il pane, una condizione umana del
vivere e una cristiana del morire. Le millecinquecento pagine del capolavoro di
Victor Hugo sono una partitura possente
di raccordi sentimentali già predisposti a
diventare accordi strumentali e melodie
dal sapore pucciniano. Il cinema ha da
sempre amato Les Misérables: a Hollywood se ne contano molteplici versioni, a partire dal 1909, con ben quattro
mute, e in tutto, comprese le europee,
sono una ventina, ma la trasposizione
sullo schermo nella forma entusiasmante del famoso musical, scritto da
Alain Boublil e Claude-Michel Schönberg - adattamento inglese della loro
precedente versione francese - le supera tutte. Capolavoro teatrale nato al
Barbican Theatre di Londra l’8 ottobre
1985, ha ricevuto da allora e ovunque attestazioni di travolgente successo: visto
da oltre 60 milioni di persone in 42 paesi
e 21 lingue, dopo 27 anni ancora record
ai botteghini.
Forti del loro carisma e della loro voce,
entrano nel travolgente dramma popolare molti interpreti superlativi. Anne
Hathaway, dimagrita per il ruolo di Fantine di dodici chili e con vero taglio di capelli in scena, si aggrappa - apice della
commozione, Golden Globe e nomina-
Tra le numerose
candidature
ottenute
dall’Academy,
spiccano quelle
a Hugh Jackman
e Anne
Hathaway
tion Oscar per lei - ai sogni che non
l’hanno salvata, il suo canto è tragicissimo (I dreamed a dream); Hugh Jackman
con salda impostazione e acuti squillanti, le si fa protettore e declina con forti
accenti la redenzione del galeotto Jean
Valjean, dandone un ritratto forte e delicato. Li dirige Tom Hooper, che passa
dalle parole del balbuziente Giorgio VI
del pluripremiato Il discorso del re alle
note del canto di questo kolossal musicale, che si apre con l’imponente scena
girata ai docks di Portsmouth. Ha scelto
i suoi interpreti con scrupoloso provino,
li ha costretti a cantare in presa diretta
per assicurare al pubblico un maggior
realismo (e sicure lacrime), e a loro il
coinvolgimento emozionale che un set di
cinema avrebbe potuto affievolire. Vedere Russell Crowe, nei panni dell’ispettore Javert, affidare alla sua voce tenorile
la follia di una sfida infinita ( Stars ) e
certificare poi la sua sconfitta con uno
spettacolare suicidio, è un’indubbia sorpresa, assai più che Amanda Seyfried,
ben allenata da Mamma mia!, a cui stavolta è affidato il ruolo dell’innocente
Cosette, lanciata in un romantico duetto
d’amore (Everyday) con Eddie Redmayne, il giovane e appassionato Marius.
Mancava da oltre quarant’anni una trasposizione così accurata e sfarzosa di un
musical (nel 2004 Il Fantasma dell’opera non aveva riscosso unanimi plausi),
ossia dai tempi di Oliver! diretto da Carol
Reed, tratto dal lavoro teatrale a sua
volta tratto dal romanzo dickensiano,
che fece incetta di Oscar nel 1968 (combattendo ad armi pari con un altro famosissimo musical, Funny Girl ). Quelle
erano storie di malaffare, sfruttamento
e pietà nei bassifondi londinesi - rifugio
del sottoproletariato assediato dalla rivoluzione industriale - ora è Parigi - tutta ricostruita in studio - a fare da sfondo
agli ideali politici e sociali di Hugo, nel
ventennio di storia compreso tra il 1815
e il 1833. Musica e canto avvolgono ogni
sequenza e ogni sentimento, con Hooper
che ha voluto personalmente intervenire
sul lavoro teatrale chiedendo anche una
nuova canzone, Spoken , e una nuova
struttura rispetto all’originale, creando
un grandioso affresco epico e popolare
(2.200 gli splendidi costumi): la Parigi
degli eroi e delle fogne, la taverna di
Monsieur e Madame Thénardier (Sacha
Baron Cohen e Helena Bonham Carter,
fantastica coppia di delinquenti), il convento e il palazzo. Hooper segue la partitura senza togliere nulla alla forza
espressiva del testo delle canzoni, anzi
amplificando il dramma fisico e morale,
che nel finale trova una vera apoteosi
con il travolgente Do you hear the people sing, voce di popolo e di speranza,
quando vivi e morti, sulle barricate parigine, inneggiano alla luce, al sole e all’attesa di un radioso futuro.
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COVER STORY
I
Il suo ruolo in Les Misérables si esaurisce nella
prima parte del film, quasi del tutto, ma Anne
Hathaway, che Tom Hooper ha voluto come Fantine, illumina tutto il film che vedremo dal 31 gennaio nelle sale italiane. Un musical con un cast
perfetto, ma anche sorprendente. Se infatti eravamo certi delle doti canore di Hugh Jackman (Jean
Valjean), chi avrebbe puntato su uno Javert interpretato da Russell Crowe? O sull’ex Catwoman
Hathaway, che invece regala una performance da
Oscar (dopo aver già conquistato il Golden Globe)
nel ruolo di Fantine? La incontriamo a Londra, per
l’anteprima mondiale del film, con i capelli cortissimi, tagliati in una delle scene più drammatiche di
Les Misérables. “Mi avevano proposto di usare una
parrucca, ma io sapevo che dovevano essere i miei
capelli ad essere sacrificati. Dovevo provare quel
che Fantine provava”.
Lei per il film è dimagrita anche 12 chili, e ha voluto essere presente per molto tempo sul set...
Si, sono stata talmente coinvolta, che sono rimasta
anche dopo che le mie settimane di lavoro erano finite. E poi sono tornata nel finale. E anche quando
ho dovuto lasciare il set per preparare il mio matrimonio e tornare in qualche modo alla mia vita, ho
continuato a mandare email a Tom Hooper che mi
teneva aggiornata su tutto.
Perché è così legata a Les Misérables?
Perché proprio vedendo mia madre cantare nel
ruolo di Fantine, da ragazzina, ho deciso che volevo
I DREAMED
A DREAM
Dimagrita, spelacchiata, sbalorditiva: nel kolossal da Hugo,
in pochi minuti Anne Hathaway dà tutta se stessa . E colpisce al cuore
di Miriam Mauti
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fare questo mestiere. Anche se allora avrei voluto
recitare Cosette (nel film Amanda Seyfreed, ndr).
Questo musical per me e la mia famiglia significa
molto e ora anche di più. Vedere mia madre, che
amo moltissimo, in quel ruolo è stato il seme che
mi ha permesso di recitare Fantine nel modo in cui
l’ho recitata.
E per la prima volta in un musical, Hooper vi ha fatto cantare dal vivo. Che esperienza è stata? Hugh
Jackman ha detto che era come recitare nudi.
In realtà per me è stato naturale. Prima di girare il
film per due anni ho recitato La dodicesima notte a
New York, una lezione su come ci si esprime in versi, parlare in musica con Les Misérables è stata la
continuazione di quel lavoro con Shakespeare. Poi
con canzoni come I Dreamed a Dream è tutta poesia. In un film puoi sussurrare, non come a teatro
che devi urlare le battute. Il pubblico può sentire
anche un bisbiglio.
Per il personaggio di Fantine, più che rileggere Hugo lei ha cercato il suo personaggio su YouTube.
Sì, ho cercato ogni documento possibile sulla prostituzione. Fantine è una donna che ha vissuto un
trauma orrendo e deve cercare di sopravvivere, anche attraverso l’odio, per sua figlia, che diventa
tutta la sua vita. E per raccontare le sofferenze di
questa donna, accetti anche di tagliarti i capelli, di
piangere per ore davanti a sconosciuti, è parte di
questo strano lavoro che faccio.
Ha preso lezioni di canto?
Lo faccio da dieci anni... Volevo poter cantare ogni
emozione che la scena richiedeva, saper fare un
crescendo, nel modo giusto per il film. E non volevo
che il canto distogliesse il pubblico dal viaggio
emotivo di Fantine.
Ed ora è pronta a nuovi musical?
Veramente il mio prossimo film sarà con Spielberg
- dice sorridendo - ma sono contenta di aver mostrato quel che so fare. E sono contenta anche che
finalmente Hugh Jackman abbia avuto la possibilità di dimostrare chi è. E’ l’uomo più affascinante
del mondo, a suo agio sia nel ruolo di Wolverine
che in cilindro e cappello per Top Hat. Ha un talento incredibile e spero avrà ancora molte possibilità
di dimostrarlo, possibilmente con me al suo fianco.
Magari senza dover perdere tutti i chili che l’hanno portata al limite della denutrizione.
Si, ci ho messo un po’ a rimettermi in forma. Ma ho
imparato la disciplina con Christopher Nolan sul
set di Batman. Fino ad allora non ero mai stata attenta alla forma fisica, poi mi sono dovuta esercitare sei mesi per fare una scena. E ho amato la sfida.
Alla fine di quel film ero una persona diversa. Senza Batman non avrei potuto fare Les Misérables.
Ma sono pronta alla prossima sfida. Se il regista è
bravo e la parte è buona, sono una mercenaria disposta a tutto.
“Ho deciso di voler fare
questo mestiere quando,
bambina, ho visto mia
madre cantare nel ruolo
di Fantine”
Amanda Seyfried con
Eddie Redmayne.
Sopra Anne Hathaway
e Hugh Jackman
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PRESENTA
INAS OCIAZIONECON
UNAPRODUZIONE
E
COSTUMI
DI
SCENOGRAFIE
DI
DIRETTORE DEL A
FOTOGRAFIA
BASATO
SUL LIBRO
MUSICA
DI
DI
PRODOTTO
DA
COPRODUTTORE
PRODUTTORI
ESECUTIVI
NELRUOLODI
MONTAGGIO
DI
E
DIRETTO
DA
SCRITTO
DA
CHE OSCAR!
Bigelow e Tarantino 5 a 5 mentre Spielberg
tocca quota 12. Ma occhio ad Argo
Binomio vincente
Per 15 volte nelle ultime 22
edizioni, il titolo con il maggior
numero di candidature ha vinto
l'Oscar per il miglior film.
L'ultimo in ordine di tempo è
stato Il discorso del re nel 2011
(12 nomination).
speciale oscar
Diluvio di nomination (12) per il film
perfetto di Steven Spielberg. Che
restituisce a Lincoln il giusto posto
nella Storia
di Marina Sanna
A
bramo Lincoln: ovvero un grande presidente può
essere Repubblicano. Oggi non ci crede nessuno,
il ricordo del governo Bush è fresco, la verità
sull’11 settembre un fantasma senza volto, i danni successivi ancora da stimare. Ma l’America, fin
dalla sua nascita, ha dovuto fare leva su principi e uomini che
sapessero incarnarli per tenere insieme milioni di persone di
origini diverse. Chi avrebbe detto
allora che proprio questa terra sarebbe diventata la superpotenza,
l’ago della bilancia dell’ordine politico ed economico mondiale?
Li vincesse tutti, Lincoln potrebbe battere il record
Hanno lavorato alacremente per
di Oscar ottenuti da un solo film, attualmente fermo
arrivarci, dando nomi a speranze
a 11 e condiviso da: Ben-Hur (1959), Titanic (1997)
evanescenti, destinati a rimanere
e Il Signore degli Anelli: Il ritorno del Re (2003).
scolpiti nel tempo. Utilizzato simboli: il sogno è (e resta) “americano”; inventato “nuovi corsi”. Abilmente usato l’immaginario
collettivo (vedere il doc Valentino’s Ghost di Michael Singh per
comprendere quanto). Sono diventati i leader del mondo “libero” per autorizzare operazioni (mascherate) di contenimento (“endurance freedom”).
Per fortuna il passato è anche glorioso, ma raccontarlo senza
manipolarlo è una bella impresa. Non è certo una novità per
Un altro record
IL PRESIDENTE
DI TUTTI
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Daniel Day-Lewis
è Lincoln: per
lui Golden Globe e
nomination
E se fosse Argo?
Un po’ a sorpresa Argo
di Ben Affleck ha vinto i
Golden Globes per
miglior film e regia. Il
film è interessante e ha
qualche spunto di
originalità ma aver
dimenticato The Master
di P.T. Anderson
(capolavoro) è già un
affronto, per non parlare
di Lincoln e Zero Dark
Thirty della Bigelow. Il
nostro plauso va anche a
una commedia, Silver
Linings Playbook:
Bradley Cooper e la
Lawrence
(Golden
Globe)
I registi
che hanno
vinto
eccezionali.
Si
ride,
più Oscar sono: Francissi
si (6
balla.
David O.
Fordpiange,
Coppola
Oscar)
Russell
ha riscritto
Federico
Fellini
(5) e un
dai (5).
tempi comici
Clintcopione
Eastwood
perfetti.
Eastwood è il regista più M.S.
anziano mai premiato:
a
rivista del cinematografo
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75 anni2013
per Million
Dollar Baby nel 2005.
Director’s Top
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speciale oscar
Steven Spielberg, appassionato narratore insieme di fiabe e atrocità, che con Lincoln va
ben oltre Salvate il soldato Ryan e Schindler’s
List. L’America razzista, già evocata nel Colore
viola e Amistad, è lo sfondo della vicenda: siamo nel 1865, in piena guerra di Secessione.
Lincoln è al secondo mandato, sono i mesi più
importanti, quelli in cui avviene il cambiamento: “Dobbiamo fermare questa emorragia –
dirà -, che ci è costata 750.000 vite americane”.
Come? Convincendo le frange oltranziste conservatrici ad approvare il 13° emendamento alla Costituzione, abolendo quindi la schiavitù. Una rivoluzione epocale per i Repubblicani, che intravedono la
minaccia di un’uguaglianza di fatto e lo spettro del suffragio universale. Ci sono voluti dieci anni per trovare la storia giusta (Team
of Rivals: the Political Genius of Abraham Lincoln di Doris Kearns
Goodwin, dal 2005 un bestseller), e il modo di raccontarla.
Spielberg si è concentrato sugli ultimi 4 mesi di vita del Presidente,
i più emozionanti: “Lincoln ha guidato il nostro paese – racconta –
attraverso i momenti più difficili e
ha fatto sopravvivere la democrazia
americana, ponendo fine allo
schiavismo. Ma volevo mostrare
qualcosa in più, evitando di incappare nel cinismo e nell’esaltazione
eroica: Lincoln era uno statista e
un leader militare, e un padre, un
marito e un uomo fortemente incline all’introspezione”. Ci è riuscito
in pieno. Aiutato dalla straordinaria
performance di Daniel Day-Lewis,
da Sally Field magnifica moglie e
Tommy Lee Jones (con parrucchino) formidabile capo dei repubblicani radicali, Spielberg fa di Lincoln
un gigante tra gli uomini. Capace di
volare alto e invitare gli oppositori,
dopo aver vinto le elezioni, a far
parte del suo Gabinetto.
Un politico intelligente e sensibile,
costantemente attento all’equità e
ai diritti civili: un uomo con una visione. La stessa, impossibile non
cogliere l’analogia, che ha permesso a Obama di diventare presidente degli Stati Uniti. Per la prima volta Spielberg, con l’aiuto dello sceneggiatore Tony Kushner, tira dritto per oltre due ore, senza
nessuna concessione all’enfasi o alla commozione (che alla fine
strangola comunque lo spettatore), facendo prevalere il personaggio sulle immagini, svelando l’uomo dietro al mito. Seppure indovinato da Henry Fonda nel bel film di John Ford, Alba di gloria, è
qui che Lincoln ritrova il suo posto nella Storia. Dodici nomination
all’Oscar ne sono la conferma.
SCHIAVI
di Adriano Ercolani
A parte il
riferimento al
titolo e un
breve
cammeo di
Franco Nero,
l’accostamento
al film di
Corbucci
finisce qui
S
embrava inevitabile che prima o poi il
cinema di Quentin Tarantino
approdasse al western, ma
ovviamente ciò non poteva avvenire in
maniera convenzionale. Il più geniale e
sfrontato degli autori americani
contemporanei col suo nuovo Django
Unchained non sceglie come referenti i
classici di John Ford o Howard Hawks, non
strizza l’occhio ai grandi revisionisti Sam
Peckinpah e Clint Eastwood, non si accosta
neppure allo spaghetti western esplosivo di
Sergio Leone. Da sfacciato sostenitore del
cinema di serie B, Tarantino sceglie invece
di rendere omaggio a Sergio Corbucci e al
suo cult Django, datato 1966. A parte il
riferimento al titolo e un breve cammeo di
Franco Nero, l’accostamento però finisce
Academy Identity
Composta per il 94% da bianchi e per il 77% da maschi,
l’Academy consta di 5.765 membri. Il 33% di loro ha vinto
o è stato nominato almeno una volta agli Oscar. Solo il
14% dei membri ha meno di 50 anni. La media età è di 62
anni (dati aggiornati a febbraio 2012).
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Samuel L. Jackson e Kerry Washington in
Django Unchained. Sopra e a sinistra
Lincoln, a destra Jamie Foxx e Di Caprio
DI TARANTINO
Cinque candidature a
Django Unchained: Quentin
ribalta un’epoca attraverso i
codici del western
I magnifici... due
qui. La storia scritta da
Bastardi senza gloria, sta
Tarantino è del tutto
infatti
contribuendo film
Curioso il destino del
originale: due anni
dopo
film
a rendere più
western, il ‘genere’ per
prima dello scoppio
elegante
la
fattura delle
eccellenza del cinema
della guerra civile
immagini, come questo
americano. Prima di
americana il cacciatore
nuovo western conferma.
Balla coi lupi, premiato
di taglie tedesco King
Poi, ovviamente, ci sono gli
come miglior film nel
Schultz libera dalla
attori, da sempre punto di
1992, solo un altro
schiavitù Django
forza del cinema di
western ha ottenuto lo
perché lo aiuti a
Tarantino. Partiamo dalle
stesso risultato in tutta
catturare tre criminali
“new entry” Jamie Foxx e
la storia degli Oscar: il
e riscuotere la
Leonardo Di Caprio: il primo
cupo I pionieri del West,
consistente taglia.
finalmente sembra aver
nel lontano 1931.
L’amicizia e il rispetto
ritrovato lo smalto dei tempi
reciproco che si
di Collateral e Ray, biopic
instaurano tra i due li porterà a tentare di
che gli aveva addirittura regalato l’Oscar.
liberare anche la moglie di Django,
Leo invece conferma col personaggio di
Broomhilda, che si trova in Mississippi
Candie la sua incredibile versatilità. Lui
schiava nella piantagione del proprietario
che l’Academy Award l’ha soltanto sfiorato
terriero Calvin Candie. Gli amanti del
per tre volte, anche quest'anno è destinato
cinema viscerale e citazionista di Quentin
a rimanere a bocca asciutta. Accanto a
Tarantino troveranno in Django Unchained loro Kerry Washington, fascinosa
presenza femminile nei panni di
tutti gli ingredienti del pulp che ha reso
Broomhilda, anche lei al primo film col
celebre il cineasta, miscelati però con una
raffinatezza estetica sempre maggiore. La regista de Le iene. A completare il cast
collaborazione col direttore della
due vecchie conoscenze per gli
fotografia Robert Richardson, cominciata
appassionati del cinema di Tarantino:
nel 2003 con Kill Bill e continuata con
Christoph Waltz (Oscar in arrivo?), lanciato
a livello internazionale dal personaggio
del nazista Hans Landa in Bastardi senza
gloria, e soprattutto Samuel L. Jackson,
che interpreta il vecchio Stephen, il quale
a forza di servire fedelmente il suo
padrone Candie è diventato ancora più
razzista e schiavista dell’uomo bianco. Le
cinque nomination agli Oscar confermano
che Django Unchained sarà uno dei
protagonisti della stagione. Tarantino ha
finora mancato l’Oscar per la regia
nonostante le due candidature per Pulp
Fiction e Bastardi senza gloria. E la sua
versione scatenata dello Spaghetti
Western non potrà regalarglielo, vista la
mancata nomination tra i registi.
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speciale oscar
CINEMA
PUNTO
ZERO
Dark Thirty della
Bigelow e i nuovi
modi di raccontare
il nostro presente.
Definitivo
di Valerio Sammarco
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gennaio-febbraio 2013
Jessica Chastain in
Zero Dark Thirty: anche lei in
cinquina come migliore
attrice protagonista
‘‘Q
uesto aereo è tutto per lei: dove la porto?”. Il volto di
Maya (Jessica Chastain) cede per la prima volta,
dopo otto anni: la ricerca del nemico n. 1 è terminata, il corpo di Osama bin Laden giace in un sacco,
Maya – e con lei l’America – si ritrova quasi svuotata
di senso, incapace di percepire dove, nell’immediato, indirizzare i propri sforzi per garantire la sicurezza al paese.
La metafora lampante con cui si chiude Zero Dark Thirty, 5 nomination agli Oscar (ma incredibilmente non alla regista), è forse l’unica concessione che Kathryn Bigelow regala dopo un’estenuante
caccia all’uomo che, dall’attacco del settembre 2001 (rievocato in
apertura su fondo nero e le reali chiamate al 911 degli intrappolati
nel World Trade Center), ha condizionato per dieci anni il lavoro e
l’esistenza degli agenti dell’intelligence della CIA.
Il film, forse il più importante dell’intera carriera della filmaker
premio Oscar, sintetizza questo decennio cruciale in 157’: il risultato è sbalorditivo, frutto dell’ormai collaudata collaborazione con
Mark Boal e di un lavoro di ricerca che, non a caso, ha ingenerato
discussioni e polemiche tanto durante la realizzazione dell’opera
quanto a film concluso. La CIA, pur collaborando attraverso l’ufficio
relazioni esterne “nei limiti del possibile”, a giochi fatti ha preferito
(attraverso le parole del direttore operativo Michael Morell) prendere le distanze su alcune “licenze narrative” riscontrate durante
la visione di Zero Dark Thirty: da una parte provando a spiegare
quanto il successo finale sia arrivato grazie al lavoro di una squadra ben più nutrita di uomini e non solo per l’indefessa tenacia di
un’unica agente, dall’altra riducendo l’importanza che avrebbero
avuto alcuni metodi poco ortodossi (leggi: torture) nell’estorcere
informazioni cruciali agli affiliati di Al Qaeda per giungere al
nascondiglio definitivo di Bin Laden, ad Abbottabad, in Pakistan.
Onestamente, la questione perde importanza di fronte ad un’opera
che – attraverso i connotati del film-reportage – riesce a tracciare
un solco profondissimo da cui il cinema dovrà ripartire per poter
raccontare, intrattenendo, la storia dei nostri giorni.
Profumo di donna
Lina Wertmüller nel 1977 per Pasqualino Settebellezze
è stata la prima regista donna ad ottenere la
candidatura. Kathryn Bigelow nel 2010 per The Hurt
Locker è stata invece la prima regista donna a vincere
il premio. Quest’anno niente da fare.
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speciale oscar
Jessica Chastain e Jason
Clarke. A destra Kathryn
Bigelow sul set
siano sentiti in obbligo di intervenire in
maniera così esplicita su un film”. Che
cos’è, dunque, Zero Dark Thirty?
Facciamo finta sia solo un film, che per
ragioni drammaturgiche e di mera
immedesimazione restringe la caccia a
Bin Laden a un piccolo gruppo di segugi,
pragmaticamente e moralmente guidati
da Maya: Bush nel fuoricampo, di Obama
solo una comparsata elettorale, la
politica latita, ma per scongiurare la
maledizione dei film sul 9/11 si è puntato
sulla cornice thriller e una sensazione
data per assunto: “E’la caccia di una
Nazione”. La morte del leader di Al
Qaeda per mano dei Navy SEALs ad
Abbottabad il 2 maggio 2011 è quasi un
E ORA DOVE ANDIAMO?
Se la morte di Bin Laden non esaurisce la missione: il
pianto di Maya per l’America senza meta (e senza identità)
di Federico Pontiggia
N
o, non è solo un film. Lo dice
Michael Hayden, ex direttore
della CIA dal 2006 al 2009:
“Ogni riga di sceneggiatura ha una parte
di verità. Gli interrogatori erano molto
duri, ma grazie a questi l’agenzia ha
ricavato informazioni rilevanti. E Maya (la
tosta protagonista interpretata da
Jessica Chastain, candidata all’Oscar,
NdR) è stata una vera eroina”. Che cos’è
Zero Dark Thirty: docu-fiction, film di
finzione basato su eventi reali o
resoconto più vero del vero?
“Grossolanamente inaccurato e
fuorviante” nel trattare la liaison
pericolosa tra i metodi d’interrogatorio
della CIA e la scoperta del rifugio di
Osama Bin Laden: accusa diffusa, e
amplificata dai senatori Dianne
Feinstein, John McCain (sì, lui) e Carl
Levin, che hanno deciso di avviare
un’indagine ufficiale per far luce sulla
cooperazione tra gli spioni di Langley e
gli sceneggiatori Kathryn Bigelow e
Mark Boal. Alla berlina i rapporti tra
B&B e Michael Morell, l’Acting Director
della CIA, che ha risposto in due tempi:
prima, “il film non è realistico”; poi, “se
furono in effetti decisive le tracce
raccolte durante gli interrogatori, come
suggerisce il film, è questione dibattuta
che non può essere e non sarà mai
appurata”. Non è pari e patta, anzi: “La
cosa realmente preoccupante –
stigmatizza Hayden - è che alcuni
legislatori e gli attuali vertici della CIA si
Le statuette degli attori
Gli attori che hanno vinto più Oscar sono: Katharine
Hepburn (4 Oscar), Meryl Streep (3), Jack Nicholson (3),
Walter Andrew Brennan (3), Ingrid Bergman (3).
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incidente di percorso per B&B: la Storia
ha messo lì il climax, viceversa, Zero
Dark Thirty mette a fuoco il prima – le
tappe esplosive della guerra al terrore
lunga un decennio – e ancor più il dopo.
Singolarmente, la domanda è la stessa
uscita a Nadine Labaki inquadrando lo
“scontro di civiltà” di un Medio Oriente
non meglio precisato: E ora dove
andiamo? Mission accomplished, ora
Maya è l’unica passeggera di un cargo
militare, ma non sa che dire al pilota: per
lei parlano le lacrime, un pianto a dirotto
senza altra destinazione che l’America.
Terminato il Most Wanted, ora gli States
dove vanno? Piuttosto che rimestare sul
waterboarding e le altre amenità degli
interrogatori, bisognerebbe interrogarsi
sulla meta di Maya e di un Paese tutto:
l’Uomo Nero non c’è più, ma il futuro che
colore ha? L’anticlimax è devastante e
l’identità Usa, costruita per differenza su
Bin Laden, tremebonda: “Lo sceicco del
terrore è morto, lunga vita allo sceicco”.
Non lo sentiamo, ma sa Dio quanto Maya
vorrebbe.
Compacta
@BimFilm
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speciale oscar
UBI MAJOR...
Cinque anni di dominio
indie posson bastare: salvo
sorprese, stavolta tocca agli
studios?
di Gianluca Arnone
C
hi ha assistito ai Governors Awards
di dicembre si sarà fatto più di
un’idea sull’andazzo dei futuri Oscar.
Nel corso del regale banchetto a base di
polpette di granchio e altre “prelibatezze”,
mentre attempate signore e ingialliti
gentleman razzolavano tutto quello che
potevano, altri lavoravano ai fianchi i membri
dell’Academy. Da una parte Steven Spielberg
(Lincoln) passava in rassegna centinaia di
tavoli per intrattenere i commensali con
indicibili motti di spirito. Poco lontano, vicino
all’ingresso dell’enorme salone
dell’Hollywood and Highland Center,
Alexander Desplat – che ha firmato tra gli
altri la colonna sonora di Argo – salutava
qualunque cosa passasse da lì, purché
avesse due gambe.
Jason Clarke, ira
funesta dei quaedisti in
Zero Dark Thirty,
Gli attori che hanno
remava tra la folla
ricevuto più nomination
sciorinando sorrisi di
sono: per le attrici, Meryl
pietra. Lì in mezzo si
Streep (17 nomination);
sono perse le tracce di
per gli attori, Jack
Robert Zemeckis
Nicholson (12
(Flight) e Tom Hooper
nomination).
(Les Misérables). Dopo
aver visto trionfare negli
ultimi anni il cinema
indie – da The Millionaire a The Hurt Locker,
da The King’s Speech a The Artist -, le major
hanno deciso che era ora di riportare l’ambita
statuetta a casa. Ecco perché da qualche
mese si sono tuffate in una campagna
elettorale senza precedenti. Obiettivo?
Reclutare quanti più votanti possibili. A fine
novembre la Universal Pictures, la cui ultima
nomination risale al 2010 con Inglorious
Basterds, ha spedito una dozzina di copie di
Les Miserables in alcune sale di New York e
Jack & Meryl
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L’unico vero
dubbio sulle
statuette
riguarda
l’abbondanza:
troppi favoriti,
nessun
favorito
Los Angeles insieme al regista Tom Hooper,
incaricato di fare da cerimoniere ad ogni
proiezione. Quasi in contemporanea la Sony
organizzava tra Londra e gli States 100
awards-oriented-screenings di Zero Dark
Thirthy (tipologia promozionale di cui
ignoravamo l’esistenza) per capire le
possibilità di vittoria del loro assistito.
Qualcosa di simile hanno fatto la 20th Century
Fox (Life of Pi), Dreamworks-Walt Disney
(Lincoln) e Paramount Pictures (Flight). La
Warner Bros. aveva giocato d’anticipo
portando Argo nelle sale americane fin dallo
scorso ottobre. Proprio la Warner è stata
l’ultima major a vincere un Oscar per il
miglior film: nel 2007, The Departed. Due anni
prima aveva vinto con Million Dollar Baby e
Quentin Tarantino.
Sopra Michael Mann,
Christopher Nolan, George
Lucas, Steven Spielberg e
Robert Zemeckis
nel 2002 con Beautiful Mind,a suggellare un
decennio di grandi soddisfazioni per gli
studios, in cui ad accaparrarsi la statuetta più
ambita erano stati i vari Titanic, Forrest
Gump, Braveheart, Gli spietati. Il 2013, salvo
sorprese (Amour?), dovrebbe essere
nuovamente il loro anno. Gli studios si
presentano agli Academy Awards piuttosto
agguerriti, ciascuno con un titolo forte. Il
problema semmai è l’abbondanza. Troppi
favoriti perché ce ne sia davvero uno. Nulla di
paragonabile al 2009 quando The Millionaire
non aveva rivali, per la felicità della Fox
Searchlight (la piccola divisione interna alla
Fox specializzata in prodotti indie), che anche
stavolta si gioca più di una chance: nel suo
listino, tra i papabili, figura il sorprendente
Beasts of the Southern Wild di Benh Zeitlin.
Anche la Focus Features (piccola società che
opera dentro i perimetri della Universal) ha
qualche cartuccia da sparare: Anna Karenina.
E i Weinstein? I dominatori delle ultime due
edizioni speravano in The Master e Silver
Linings Playbook, ma dovessero vincere
qualcosa pure quest’anno sarà, crediamo,
solo grazie agli attori. All’Oscar per il miglior
film poteva invece ambire Django di Tarantino,
se le accuse di razzismo mossegli da Spike
Lee non avessero tacciato il film ad imperitura
memoria.
I signori dell’Oscar
I film che hanno ricevuto più Oscar nella
storia sono: Ben-Hur (1959), 11 Oscar su
12 nomination; Titanic (1997), 11 Oscar
su 14 nomination; Il Signore degli Anelli:
Il ritorno del Re (2003), 11 Oscar su 11
nomination.
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personaggi
“L’irresistibile ascesa di Faccia d’Angelo: da Gangster Squad
all’atteso Only God Forgives di Nicolas Winding Refn, continua
il suo sogno a mano armata
di Angela Bosetto
RyanRomanzo
GOSLING
criminale
U
no dei migliori interpreti in circolazione o un attore appena discreto che ha solo avuto la fortuna di azzeccare
nello stesso anno un cult ( Drive), un film importante
(Le idi di marzo) e una commedia di buon successo (Crazy,
Stupid, Love)? Le due opinioni correnti su Ryan Gosling sono,
come spesso capita, diametralmente opposte, ma c’è una qualità che tutti riconoscono a questo trentaduenne canadese: nonostante il cognome (“gosling” in inglese significa “papero”),
riesce a essere cool senza fare il minimo sforzo, il che lo eleva
comunque al di sopra della media. E se gli uomini ne apprezzano l’impassibilità da duro col cuore (forse, ma non è detto)
tenero, il suo ormai famoso sguardo obliquo e penetrante (che
il cineblogger e grafico Sebastiano Barcaroli, alias C&B, ha ribattezzato “sguardling”) ha mietuto così tante vittime da tramutarlo, a sua insaputa, nel testimonial femminista perfetto
(si veda il tormentone “Hey Girl”, nato su Tumblr e culminato
nel libro Feminist Ryan Gosling).
Dopo il boom del 2011, come ogni attore tramutatosi di colpo
in divo planetario, Ryan ha passato l’anno successivo a lavora-
trambi polizieschi, ma ambientati in epoche diverse e con Gosling che passa da una parte all’altra della barricata. Nel primo, diretto da Ruben Fleischer ( Benvenuti a Zombieland),
Ryan è il sergente Jerry Wooters (modi spicci, battute taglienti
e “sguardling” a manetta), membro della task force che nel
1949 fece la guerra allo spietato gangster Meyer Harris Cohen
(Sean Penn), detto “Mickey”, re del crimine di Los Angeles.
Nel secondo, Gosling torna a collaborare con Derek Cianfrance
( Blue Valentine) per raccontare la storia contemporanea di uno
stuntman motociclista che vive nella cittadina di Schenectady
(in lingua mohawk “il luogo al di là delle pianure di pini”) e arrotonda i guadagni con le rapine per provvedere a moglie e figlioletto.
In realtà, nessuno dei due personaggi sembra distaccarsi troppo da quelli che Ryan ha già interpretato nel 2011, quindi, il
compito di metterne ancora alla prova le doti attoriali ritorna
nelle mani del suo pigmalione, nonché regista del cuore (come
dimenticare quel bacio “bromantico” a Cannes?): Nicolas Winding Refn. Il nuovo frutto del loro sodalizio, Only God Forgives,
cronaca della sanguinosa lotta a
colpi di Muay Thai tra un criminale
(Gosling) e il poliziotto che gli ha
ucciso il fratello, arriverà in Danimarca (patria natale del regista) a
maggio – passando sicuramente
da Cannes – e successivamente da
noi. Solo allora potrebbe giungere
la risposta alla grande domanda
cinematografica degli ultimi due anni: fra gli attori trentenni
della nuova generazione, meglio Ryan Gosling o Michael Fassbender? Nel dubbio, Terrence Malick, trovandosi a dover decidere il cast del prossimo film, li ha presi entrambi.
Fra gli attori della sua generazione,
meglio lui o Fassbender? Nel dubbio,
Malick li ha presi entrambi
re per rafforzare la propria posizione artistica e, in attesa di
vederlo debuttare alla regia con il fanta-horror How to Catch a
Monster, adesso è tempo di bilanci. A febbraio uscirà dunque
Gangster Squad e a marzo The Place Beyond the Pines, en-
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a testa alta
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QUOTA
quota
Denzel Washington eroico
e canaglia, misurato e
debordante in Flight di
Zemeckis. Non l’ennesimo
film di “genere” ma il ritratto
incredibile di un uomo (non
qualunque)
di Luca Pellegrini
DIFFICILE CANTARE “NEL BLU DIPINTO DI BLU, FELICI DI STARE LASSÙ”.
Perché volare può diventare un vero incubo. Arrivarono, infatti, i film sulle
catastrofi aeree: la serie degli Airport anni ‘70, con jet sotto attacco, senza
piloti, sprofondati nel mare o inseguiti da missili, e poi l’Air Force One che
se la passa malissimo e un Jumbo con una bambina scomparsa e centinaia di vite in pericolo (Flightplan), sorte simile in Turbolence grazie a un
galeotto psicopatico o per un disgustoso assalto di serpenti (Snakes on a
Plane). Se si scorre la lista, sono decine e decine le variazioni sul tema.
Per non parlare degli incidenti nelle lande perdute della terra con conseguenze orribili per i sopravissuti. Oppure le ricostruzioni di tragedie vere
che non avremmo voluto subire.
Flight di Robert Zemeckis prolunga la serie, ma il suo non è soltanto un
film sulla paura dell’aria, la vulnerabilità della tecnica, la variabilità del
caso, la debolezza dell’uomo - il pilota, in questo caso - che si trasforma
in un coraggioso eroe. Flight è la perdita dell’innocenza di una categoria
professionale importantissima, quella di chi sta alla cloche in una cabina
di pilotaggio. Ed è, soprattutto, il ritratto della caduta e rigenerazione di
un uomo - il comandante Whip Whitaker interpretato da un fragile Denzel
Washington (candidato all’Oscar) - che alla guida del volo SouthJet 227 in
partenza da Orlando in una tempestosa mattina riesce a portare a terra
l’aereo grazie a una acrobatica operazione che si protrae per pochi, terri-
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a testa alta
Due candidature importanti agli
Oscar: sceneggiatura originale e
protagonista
Denzel Washington.
Sopra e a lato altre
scene di Flight
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ficanti minuti. Girata da Zemeckis con attenzione
ai dettagli grazie al suo brevetto di pilotaggio.
“Per questo - racconta - non ho ricevuto lettere di
protesta da parte dei piloti. Abbiamo voluto essere più accurati e realistici possibile, per rendere il
disastro ancor più spaventoso. Tecnicamente, è
stato difficilissimo girare quella scena: abbiamo
letteralmente messo tutti a testa in giù”.
Anche se capovolti, molti sopravvivono per le
pronte decisioni di Whip, ben addestrato. Che
però non riesce a vincere le sue dipendenze: la
droga e l’alcol. Flight (con Don Cheadle, Kelly
Reilly, John Goodman e Melissa Leo nel cast) diventa un thriller dai risvolti sociali, umani e morali che prevede un susseguirsi, anche impietoso,
di falsità, di offuscamento della legge e dei regolamenti, di depistaggio delle indagini. Zemeckis,
però, precisa: “Il film nasce per cercare quali sono i problemi che l’abuso di sostanze nasconde e
sul modo di risolverli. Whip e Nicole, una fotografa da poco uscita dalla dipendenza della droga e
che tenta di aiutarlo, nascondono difficoltà più
profonde. Usano sostanze chimiche per affrontarle, ma avrebbero potuto usare anche col cibo o il
gioco d’azzardo o il lavoro. Sentono il vuoto intorno a sé”.
Whitaker, infatti, diventa l’eroe del quotidiano che
non può scendere dal palcoscenico mediatico allestito per celebrare il suo eroismo e deve simulare una vita integerrima che non gli appartiene,
anche se questo comporta far convergere le colpe
su altri, naturalmente innocenti, per salvare un
sistema, una azienda e se stesso. Pochi sanno
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che lui, prima di ogni decollo, sniffa e beve a scapito del suo grado di concentrazione. Così, tutti
vedono in lui l’eroe che sa di non essere. E questo
è piaciuto a Washington: “Non mi interessano più
i personaggi senza sfaccettature. Non ci sono assoluti. E’ stato bello intraprendere questo viaggio
ed espormi andando a toccare le zone grigie della
vita”. Ha studiato le tante immagini di alcolisti che
si trovano su YouTube. “Ce ne sono centinaia. Mi
sono esercitato a fare l’alcolizzato senza però esserlo, perché così pensa Whip. In rete quasi tutti
dicono di essere soltanto tipi che bevono, persone
che si fanno un drink una volta alla settimana,
senza capire quanto sono andati lontano nel vizio
del bere. Ho capito da quei filmati come funzionano le cose: c’è una scena nel film in cui sono
completamente fuori di testa mentre sto guardando dei video di mio figlio. Cerco di farlo mettendo a terra la bottiglia che ho in mano, ma mi ci
vogliono lunghissimi minuti, diventa una vera sofferenza”.
Mantenere Whip un eroe oppure renderlo finalmente uomo, mettendolo a nudo davanti alla società, ai datori di lavoro, agli amici e alla famiglia?
Sarà lui a decidere, alla fine di questo percorso
che lo abbrutisce prima e lo libera poi, ricono-
scendo che la verità è meglio di qualsiasi fama,
applauso e denaro. Riconquistando così anche la
stima perduta di un figlio.
WARNER BROS. PICTURES PRESENTA BEPPE CASCHETTO
Fabio
VOLO
Zoé
FELIX
PRESENTA
Ennio
FANTASTICHINI
CON LA PARTECIPAZIONE DI
Pino
MICOL
FOTO: LORIS ZAMBELLI
studio
illegale
In amore vince chi inganna
UN FILM DI
Umberto
CARTENI
yahoo.it/studioillegale
#studioillegale
DAL 7 FEBBRAIO AL CINEMA
WARNER BROS. PICTURES PRESENTA BEPPE CASCHETTO PRESENTA UNA PRODUZIONE WARNER BROS. ENTERTAINMENT ITALIA IBC MOVIE PUBLISPEI MADELEINE UN FILM DI UMBERTO CARTENI STUDIO ILLEGALE TRATTO DAL ROMANZO DI FEDERICO BACCOMO ‘DUCHESNE’ “STUDIO ILLEGALE” FABIO VOLO ZOE FELIX ENNIO FANTASTICHINI
NICOLA NOCELLA JEAN MICHEL DUPUIS CON LA PARTECIPAZIONE DI PINO MICOL NEL RUOLO DI SEVERINO CARUGATO SOGGETTO E SCENEGGIATURA FRANCESCO BRUNI ALFREDO COVELLI FEDERICO BACCOMO UMBERTO CARTENI FOTOGRAFIA VLADAN RADOVIC SCENOGRAFIA ANDREA ROSSO COSTUMI ROBERTO CHIOCCHI CANZONI E MUSICHE MAXI TRUSSO
WARNER BROS.
ENTERTAINMENT
ITALIA
©2013 Warner Bros. Ent. All Rights Reserved
so in love
Seppelliti i vampiri, è scattata
l’ora degli zombi: innamorati,
leali, appassionati
di Angela Bosetto
Frankenweenie di
Tim Burton e Warm
Bodies di Jonathan
Levine
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MORTO
M
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so in love
Warm Bodies,
Frankenweenie e,
in basso, World
War Z
L’IDEA DELL’AMORE, di un amore capace
di andare oltre la morte è da sempre
croce per lui e delizia per lei. Inutile
provarci: nella mente di un maschio
medio (il tipo che, durante la visione di
Ghost, borbotta “Non è romanticismo, è
necrofilia!”) nessuno si risveglia dal
sonno eterno per correre dalla sua dolce
metà o cercarne una. I morti devono
tornare indietro solo per dedicarsi a cose
davvero importanti, tipo vendicarsi di chi
li ha ammazzati (se fantasmi), fare
sfrenate orge a base di sesso e sangue
(se vampiri) o conquistare il mondo (se
dotati di nuovi, infernali poteri). Ecco
perché agli uomini piacciono tanto gli
zombi: garantiscono un dignitoso tasso di
gore e violenza, funzionano sia come
metafora sociale, sia come motore
drammatico e, soprattutto, sono immuni
a quegli odiosissimi palpiti sentimentali
che stanno rovinando tutte le figure
classiche dell’horror.
Correggiamo, “erano immuni”, perché,
cari seguaci di Fulci e Romero, oggi
grazie a Warm Bodies scopriamo che
anche uno zombi può arrivare a
considerare una bella ragazza qualcosa
di più di uno spuntino e addirittura
innamorarsene. Fermi e mettete giù il
fucile che avete già caricato per
ammazzare chiunque stia perpetrando
tale sacrilegio: il regista del film è
Jonathan Levine, quello di 50 e 50. Più
Warm Bodies
aggiorna il mito di
Giulietta e Romeo
strizzando l’occhio a
Twilight: ma con più
ironia
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tranquilli? In fondo, se è riuscito a
dirigere una commedia su un argomento
spinoso come il cancro senza
banalizzarlo, può farcela anche con
questi nuovi Romeo e Giulietta. Solo che,
anziché essere Montecchi e Capuleti, R
(Nicholas Hoult) è morto, Julie (Teresa
Palmer) no. Tuttavia, quando si vedono
per la prima volta, il cuore di lui
ricomincia incredibilmente a battere.
Aspettate a riafferrare quel fucile, ci sono
tre piccoli dettagli che ancora non
conoscete. Primo, il padre di Julie (John
Malkovich) è il generale che punta a
sterminare i morti viventi. Secondo, in
giro ci sono gli “ossuti”, creature ancora
più feroci e pericolose dei cadaveri
ambulanti. Terzo, R si è mangiato il
fidanzato di Julie (d’altra parte, uno
zombi mica può essere vegetariano).
Aggiungete una buona dose di comicità
dark e, almeno sulla carta, il rischio
Twilight pare scongiurato, sebbene il
bestseller da cui il film è tratto (Warm
Bodies di Isaac Marion) appartenga a sua
volta al filone “Young Adult”.
Per la serie “corpi freddi, cuore caldo”,
poco prima di Warm Bodies arriverà
nelle nostre sale Frankenweenie di Tim
Burton e anche lì l’amore, unito a un po’
di elettricità e chirurgia sperimentale,
farà miracoli.
2013: l’anno dei walking dead
“Zombi innamorati, vade retro!” Se anche voi fate parte dei puristi ai
quali l’idea di vedere i non morti impegnati nel contendere ai vampiri la
palma del neoromanticismo fa più paura di un’apocalisse, non temete:
stanno per contagiare i nostri schermi sia il nuovo capitolo dell’infezione
spagnola REC, REC 3 – La genesi (REC 4 lo stanno girando), sia la
pandemia mondiale di World War Z, tratto dall’omonimo romanzo di Max
Brooks. Per chi, invece, preferisce gli zombie in chiave comica, a maggio
arriverà la satira cubana Juan de los Muertos (che ammicca
apertamente all’inarrivabile Shaun of the Dead, da noi L’alba dei morti
dementi), mentre l’estate americana sarà “ravvivata” da R.I.P.D., il cui
titolo sta per Rest in Peace Department, la polizia speciale dei defunti,
A.B.
composta da agenti deceduti.
1°GRUPPO
LINE-UP
LE AVVENTURE DI FIOCCO DI NEVE Family
Arrivato da cucciolo allo Zoo di Barcellona è diventato da subito l’animale più ammirato dai visitatori del
parco, ma a causa del colore della sua pelliccia, gli altri gorilla non lo considerano parte del gruppo ed il
suo unico vero amico è un panda rosso di nome Miguel. Fiocco di Neve decide di partire con Miguel per una
fantastica avventura alla ricerca della Strega del Nord: vuole il suo aiuto per diventare un gorilla nero come
tutti gli altri. Strada facendo scoprirà che essere speciali non è poi così male!
2013
GENNAIO
REC 3 LA GENESI Horror
Diego e Clara sono fatti l’uno per l’altra, ma nel giorno più felice della loro vita avranno contro… tutta la
loro famiglia. Torna la saga horror zombie ideata da Paco Plaza e Jaume Balaguerò. L’infezione ha lasciato
l’edificio ed invade la città, una realtà del tutto nuova, che ritorna alle origini e collega le trame dei primi due
film svelando retroscena inquietanti.
GENNAIO
UPSIDE DOWN Romantico Sci-Fi
Guardate verso il cielo e preparatevi a sgranare gli occhi: città, foreste e oceani, capovolti sopra le vostre teste.
Due mondi - uno sopra, uno sotto - così vicini, eppure da sempre irraggiungibili… Fino a quando qualcuno,
un giorno, ha osato sfidare la legge di gravità. Adam (Jim Sturgess) ed Eden (Kirsten Dunst) si amano e questa
è l’unica cosa che conta. Fate un salto ed entrate nella realtà straordinaria di Upside Down, il nuovo film di
Juan Solanas.
FEBBRAIO
GHOST ACADEMY Commedia
Juan è un insegnante che qualche volta “vede la gente morta”. Ciò, oltre a costargli una fortuna con gli strizzacervelli, lo ha anche allontanato da tutte le scuole in cui ha insegnato. La situazione cambia quando viene
chiamato a lavorare a Monforte, dove cinque studenti devono portare a termine con successo l’ultimo anno. Il
compito però non sarà semplice: gli studenti sono fantasmi morti da oltre vent’anni.
MARZO
LE STREGHE DI SALEM Horror
Dopo il dittico di Halloween, Rob Zombie è tornato a lavorare su una storia originale con “Le streghe di Salem”,
sua prima escursione nell’horror sovrannaturale. La storia è quella di Heidi Hawthorne (Sheri Moon Zombie),
una DJ radiofonica che vive a Salem, meglio conosciuta come la città delle streghe. Un giorno, Heidi riceve alla
stazione radio un misterioso disco in vinile che, trasmettendo onde ipnotiche le farà progressivamente perdere
il contatto con la realtà. Il rituale è ormai compiuto e le streghe non tarderanno ad arrivare…
APRILE
ATTACCO AL POTERE - Olympus Has Fallen Action Thriller
APRILE
Nell’attesissimo film diretto da Antoine Fuqua (“Training Day”), un ex-agente dei Servizi Segreti diventa suo
malgrado l’ultima speranza dell’America quando la Casa Bianca viene attaccata da terroristi che prendono
in ostaggio il Presidente appena insediato. Gerard Butler torna al thriller ad alta tensione affiancato da un
gruppo di attori del calibro di Morgan Freeman, Aaron Eckhart e Ashley Judd.
PLAN DE TABLE Commedia
Il banchetto di nozze sta per iniziare. Un ragazzo ed una ragazza hanno fatto cadere inavvertitamente i
segnaposto e in gran fretta li ripongono a casaccio sul tavolo. Per gli ignari invitati, seduti a quel tavolo,
questa nuova disposizione farà la differenza. Come “Sliding Doors”, un’affascinante commedia sugli scherzi
del destino e le sue trame sottili… Cosa accadrebbe se per errore l’ordine prestabilito delle cose cambiasse
per una fortuita coincidenza?
MAGGIO
credits are not contractual
BLOOD Thriller
GIUGNO
Una ragazza viene brutalmente assassinata e le accuse ricadono su Jason Buliegh, già condannato per molestie.
Quando Jason viene rilasciato per mancanza di prove, i due fratelli poliziotti che avevano seguito le indagini
decidono di farsi giustizia da soli e lo uccidono facendone perdere le tracce. Saranno costretti a mentire ai loro stessi
colleghi, quando il vero responsabile dell’omicidio della ragazza verrà catturato e si apre la caccia ai giustizieri di
un uomo innocente. Mentre il cerchio si stringe attorno ai due fratelli, rimane una sola e unica scelta…
www.notoriouspictures.it
Meryl per sempre
D K
Da
Kramer
contro Kramer
a La mia
Africa e The
Iron Lady.
Ecco le mille
maschere
della Streep
di Orio Caldiron
Meryl Streep. Pagina
accanto, l’attrice nel
Diavolo veste Prada e in
una posa “plastica”
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Q
QUANDO TRA LA FINE DEGLI ANNI SETTANTA e l’inizio
degli Ottanta si affaccia sullo schermo nessuno scommetterebbe su di lei. Nonostante le lezioni di canto, gli
studi di recitazione, le esperienze teatrali, Meryl Streep – nasce il 22 giugno 1949 a Summit nel New Jersey
- non è ancora la beniamina del pubblico che sarà di
lì a poco. La prima prova importante è Kramer contro
Kramer (1979) di Robert Benton dove la dolorosa intensità della moglie separata che si batte in tribunale per
l’affidamento del figlio coincide con la puntigliosa efficacia della performance (premiata con l’Oscar da non
protagonista). L’improvvisa popolarità le apre la strada
al ruolo più prestigioso dell’inizio decennio che ne fa subito una star. Quello di Sara Woodruff in La donna del tenente francese (1981) di Karel Reisz in cui la tormentata
storia dell’amour fou ottocentesco si alterna alla relazione tra i due attori che la impersonano sul set inaugurando la galleria di donne inquiete e passionali che
coniugano le ragioni del cuore con la libertà individuale.
S’immedesima totalmente nel personaggio difficile e
problematico della profuga polacca di La scelta di Sophie
(1982) di Alan J. Pakula che, scampata al lager nazista,
nella Brooklyn del dopoguerra si dibatte tra gli assilli del
presente e i fantasmi del passato. Quando la Academy
Award le attribuisce il primo Oscar come protagonista –
il secondo l’otterrà per The Iron Lady (2011) di Phyllida
Lloyd, dopo sedici nomination e una pioggia di altri premi - i magazine fanno a gara nel raccontare il dietro le
quinte della migliore attrice americana, impegnata durante la lavorazione a ingrassare e dimagrire secondo
copione. Accanto ai riti maniacali della professionista,
ritratti
affiorano le immagini della sua vita privata, dall’adolescenza in una famiglia benestante al matrimonio con
lo scultore Donald Gummer con cui avrà quattro figli,
scegliendo di vivere l’assoluta normalità di una vita da
diva antidiva nella sua grande casa nel Connecticut.
La mia Africa (1985) di Sidney Pollack rappresenta una
delle sfide più alte della carriera, quella di annullarsi in
Karen Blixen, la grande scrittrice danese che trascorre quasi vent’anni nel Kenya. Il suo virtuosismo fa del
ruolo uno dei più amati dal pubblico. Solenne come un
blues, I ponti di Madison County (1995) le offre l’occasione di disegnare con vibrante emotività il personaggio di
Francesca Johnson, la casalinga di origine italiana che,
sola nella sperduta fattoria dell’Iowa mentre marito e
figli sono lontani, incontra il fotografo Clint Eastwood,
jeans con bretellone, Nikon a tracolla, Camel senza filtro in tasca, il sorriso che spunta tra le rughe.
Ormai può fare di tutto. Sfoderare la grinta della ex
hippie che canta e balla sui ritmi degli Abba (Mamma
mia!), impersonare l’editor virginiawoolfiana che organizza la festa di addio per l’amico ammalato di Aids (The
Hours), indossare i panni e i vezzi di Julie Child per scoprire i segreti della cucina francese (Julie & Julia). Nella
commedia il successo arriva con Il diavolo veste Prada
(2006) di David Frankel. La dispotica Miranda Priestly
direttrice di “Runaway”, modellata sull’Anna Wintour di
“Vogue”, spadroneggia con grande classe nell’universo
della moda in cui dominano il glamour e la tentazione
mefistofelica di giocarsi l’anima in una fantasmagoria di
vestiti, giacche, borse, scarpe, stivali, cappelli che fanno
status.
-
Ormai può fare di tutto, nella commedia il successo
arriva con Il diavolo veste Prada
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
53
i film del mese
OTTIMO
BUONO
SUFFICIENTE
MEDIOCRE
SCARSO
Anderson scava nel
cuore delle sette e trova
l’America: nomination agli
Oscar meritatissime per
gli interpreti
The Master
in sala
C’È UN MODO PER VEDERE la storia
americana diverso dalle date e dagli
avvenimenti della conquista, della guerra
civile, del petrolio, dei grandi trust, del
New Deal. Ovvero, che sia veramente
incominciata alla fine della Seconda
guerra mondiale, una volta messa a
regime la formazione di un’egemonia
culturale condivisa nel mondo, tra “un
posto per tutti” e “tutti al loro posto”, che
significa che, se non ci stai, “non c’è
posto”.. Se non sei patria, famiglia,
denaro, che cosa sei? Dunque, se non hai
una guida, chi sarà la tua guida? Forse la
vocazione, la proliferazione, nella cultura
americana, di sette ha qualche ragione
anche in questo vuoto, in questa
inadempienza illegittima dell’identità. Se
tu sei il problema, il tuo paese ha sempre
una soluzione.
Preso dall’alto, visione globale che ci
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
allinea allo sguardo allegorico di
Anderson, Freddie apre il film
abbandonato sulla torretta
dell’incrociatore che torna a casa, tra due
cannoni, sbracato e già finito, non
allineato ad alcun futuro come
agricoltore, benzinaio, impiegato,
dirigente, commesso viaggiatore. Con un
passato di squilibri e genitori malati di
mente, l’ex marine Freddie dedito
Regia
Paul Thomas Anderson
Con
Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman
Genere Drammatico, Colore
Distr.
Lucky Red
Durata 137’
all’alcol e a furenti gesti di ribellione
incontra Dodd, un intellettuale
carismatico e mistificatore, (“un medico,
uno scrittore, un filosofo teoretico, un
fisico nucleare”), accolto nelle abitazioni
borghesi a praticare para ipsnosi con
balletti e canti liberatori non privi di
promiscuità sessuale, in ascesa
all’estero. A Dodd, il fragile Freddie
permette di entrare nel suo passato per
tentare un addomesticamento, e ne
diventa il suo braccio destro, a volte
violento, in un’America che riorganizza
classi sociali e poteri. Più che una storia
d’amore, è una storia di specchi, tra
faccia a faccia snervanti e squarci di
paesaggi metaforici. Dodd vede in
Freddie il disordine che poteva essere la
sua vita.
Invece di corrispondere alle aspettative
polemiche, la storia di Scientology,
religione riconosciuta negli Stati Uniti, la
più ambigua, costosa e criticata,
emblema del settarismo di un’epoca (tra
Guerra Fredda e razzismo), Anderson
esplora il dispositivo che congiunge due
persone di cui una è l’esempio, la
soluzione, e l’altra il problema, ulteriore
indagine, con Il petroliere e Magnolia
sugli archetipi (Anderson sente Altman,
usa da lontano Oliver Stone). Non si parla
mai di Scientology, non compare il
crocifisso modificato dalle spade
incrociate, non si nomina il fondatore L.
Ron Hubbard. Coincidono certe date, la
fede nella trasmigrazione e quel mix di
pseudo psicanalisi junghiana e artigianato
psicosomatico in un training uno-a-uno
che prevede sempre la maieutica come
scienza religiosa. E’ un’opera rischiosa e
potente, implicitamente filosofica, sul
Maestro come principio, nel paradosso
del problema: non c’è Dio senza fedele.
Due interpreti di vertice, che tengono il
film come le radici l’albero, vanno a un
finale magistrale, il canto di Nausica di
Dodd per trattenere la pecorella smarrita,
mentre il marinaio Freddie torna al suo
disordine. Non se ne trae una posizione
esplicita nei confronti delle sette. La palla
va allo spettatore. Ma avrebbe senso un
film sul bisogno di dipendenza da ogni
maieutica che prende una posizione?
SILVIO DANESE
Paul Thomas Anderson e Amy Adams. Sopra Joaquin Phoenix e, in apertura, Philip Seymour Hoffman
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
55
i film del mese
Frankenweenie
Regia
in sala
Tim Burton
Genere Animazione, Colore
Distr.
Walt Disney
Durata 87’
LA VOLONTÀ DI TORNARE ALL’ANTICO
era esplicita già all’origine
dell’operazione: riprendere il corto in
stop-motion che Tim Burton ha realizzato
nel 1984 e renderlo un lungometraggio.
Stesso spunto di partenza – il bimbo
incompreso ma geniale che riporta in vita
il cagnolino trapassato alla maniera del
dottor Frankenstein – stesso gusto
cinefilo, stessa destrezza con la storica
tecnica d’animazione che fortunatamente
sta tornando di moda (vedi anche il lavoro
di Henry Selick, che proprio con Burton
ha collaborato ai tempi di Nightmare
Before Christmas). Se un salutare tuffo
nel passato poteva essere più che ben
accetto, dopo aver visto il lavoro finito si
ha però la malcelata impressione che
Burton l’abbia fatto perché al momento
sprovvisto di idee originali, come più o
meno testimoniava il suo ultimo Dark
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
La magia della stop-motion: Burton fa rivivere il
suo horror a misura di bambino
Shadows. La riproposizione di
Frankenweenie è infatti
sorprendentemente piatta, soprattutto
nella prima parte mancante di trovate
realmente interessanti. Il lavoro sul ritmo
narrativo è specifico e lodevole, ma forse
anacronistico: la magnifica sequenza
della rianimazione del cagnolino
protagonista è infatti costruita sui tempi
Il regista Tim Burton
dei vecchi horror classici, il che la rende
deliziosa per il pubblico più cinefilo ma
probabilmente noiosa per tutto il resto
degli spettatori. Anche la musica del
fidato collaboratore Danny Elfman
stavolta è ripetitiva, a metà strada tra due
gloriose colonne sonore del passato come
Batman e Edward mani di forbice,
entrambi diretti da Burton.
Il divertimento in Frankenweenie sta
nell’ammirare gli innumerevoli omaggi al
grande cinema dell’orrore dei tempi
andati, ma non riesce ad andare oltre. Il
finale tenta una virata verso il genere
catastrofico e conseguentemente
accelera il tono della narrazione,
espediente che comunque non salva del
tutto il risultato dell’operazione. Il già
citato Nightmare Before Christmas e La
sposa cadavere erano tutt’altro cinema.
Tim Burton deve ritrovare la vena creativa
dei tempi migliori.
ADRIANO ERCOLANI
Upside Down
Looper
Viaggi nel tempo, azione e tante
citazioni. Intrigante e con un cast in gran
spolvero
Regia
Rian Johnson
Con
Jason Gordon-Levitt, Bruce Willis
Genere Sci-fi, Colore
anteprima
Dall’amore alla rivoluzione: l’ambizioso
sci-fi di Juan Solanas fa un buco
nell’acqua
DUE MONDI CHE SI SFIORANO uno sopra all’altro, in cui le
regole della gravità sono assolutamente opposte così come
quelle della società civile. Questo l’ambizioso assunto di
Upside Down, opera seconda di Juan Solanas, figlio di
Fernando, favola fantascientifica con protagonisti Kirsten
Dunst e Jim Sturgess, novelli Romeo e Giulietta divisi da
Newton, ma soprattutto dalla lotta di classe.
Solanas costruisce un impianto complesso e fragilissimo,
in cui tutto è il contrario di tutto, non solo fisicamente, ma
soprattutto intellettualmente, facendo di una storia
d’amore contrastato una parabola della rivoluzione
proletaria. Gli elementi sono quelli tipici del genere, dalla
sperequazione sociale alla malvagia multinazionale che
domina il pianeta. Peccato che Solanas non abbia il tocco di
Andrew Niccoll e la capacità di gestione delle idee folli di
Nolan. Ne viene fuori un film che vorrebbe essere
romantico, rivoluzionario, intellettuale e cinefilo, ma che
non riesce a sviluppare nessuna di queste ambizioni,
partendo faticosamente e trascinandosi poi stancamente
fino a un finale frettoloso e confuso, come i due
protagonisti, entrambi molto poco convinti di guardare il
mondo a testa in giù.
ALESSANDRO DE SIMONE
Regia
Juan Solanas
Con
Kirsten Dunst, Jim Sturgess
Genere Sci-Fi, Colore
Distr.
Notorious
Durata 120’
58
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
Distr.
Walt Disney
Durata
119’
IN UN FUTURO NON LONTANO, le organizzazioni criminali
assolderanno killer per eliminare nel presente chi farà loro
uno sgarbo nel futuro. Questi specialisti si chiameranno
“looper” e ogni tanto potrebbero avere lo sgradito compito di
uccidere loro stessi. Sembra intricato, ma l’assunto di base di
Looper è molto semplice, classico schema di fantascienza
basato sui paradossi temporali. Un film di genere che ne
racchiude tanti, gioco cinematografico che piace molto al
bravo Rian Johnson, scoperto a Venezia alcuni anni fa con
l’intrigante teen noir Brick, anche lì protagonista l’ottimo
Joseph Gordon-Levitt.
Johnson costruisce un impianto dalle atmosfere rarefatte,
senza perdere di vista la spettacolarità, il ritmo e le citazioni
dai suoi padri putativi e dalla cultura pop. Terry Gilliam,
James Cameron, ma anche Cronenberg, Akira e Stephen
King, tutto ben mescolato con mélo, noir e horror. Servito allo
spettatore come intrattenimento di ottimo livello, Looper è
uno di quei film su cui ci si arrovella, piacevolmente, durante
e oltre la visione. Cast tutto in forma, da Gordon-Levitt a Emily
Blunt e specialmente un misurato Bruce Willis, che ricorda
d’essere stato un attore di talento.
ALESSANDRO DE SIMONE
in uscita
i film del mese
COLPO DI
FULMINE
Anna Karenina
Joe Wright coglie lo spirito del romanzo
di Tolstoj, regalando alla Knightley un
ruolo indimenticabile. Quattro nomination
anteprima
Regia Joe Wright Con K. Knightley, J. Law Genere Drammatico, Colore Distr. Universal Pictures Durata 129’
IL CINEMA DI JOE WRIGHT
predilige storie avvolte, velate,
messe in maschera,
imprigionate dai costumi di
epoche rese polvere dal
tempo. Storie che resistono,
immortali, tra le pagine dei
libri, nei dipinti, nelle stampe,
nelle foto che hanno fissato la
volatilità, composta e
raffredata, degli attimi nei
quali persone e personaggi
cartesianamente pensano di
esistere: spesso sono gli
sguardi e il pensiero degli altri
a farli esistere, a interpretare
quello che non sono.
Ignorando che cosa potrebbero
essere. In fondo quella
60
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
meravigliosa creatura che è
Anna Karenina, ostaggio delle
regole di una società, delle
convenzioni ipocrite, delle
leggi degli uomini, del volgare
senso comune è una bella
addormentata dondolata dal
vagone che fa spola tra San
Pietroburgo e Mosca.
Interpreta bene il suo ruolo
così come interpretano bene,
senza consapevolezza, la loro
parte tutte le figure scolpite
nel ghiaccio da Lev Tolstoj.
Felici tutti nello stesso modo e
infelici, in una disperata
solitudine e desolata assenza
di libertà. La potenza del
romanzo avrebbe potuto
gennaio-febbraio 2013
spingere Wright ad una
sontuosa e smorta
illustrazione. Un bignami
animato da attori e attrici
eccellenti. Un campionario di
Nel film anche Jude Law
velette, trine, tappeti, stoviglie,
carrozze, palchi, ventagli. Il
regista deve aver pensato che
se Scorsese con il
meraviglioso e straziante L’età
dell’innocenza era riuscito a
rileggere il melodramma
pensando a Visconti e a trovare
una forma e uno stile
abbaglianti, valeva la pena
rischiare e non incagliarsi
nelle secche dello
sceneggiato. Anna Karenina
non poteva che essere una
irresistibile Keira Knightley,
attrice acronica, passata
attraverso l’orgoglio e il
pregiudizio e l’espiazione,
riletti dallo stesso Wright, e il
La migliore
offerta
in sala
Da Tornatore un thriller senza
assassini né assassinati. Suspense
al netto di vere emozioni
dangerous method di
Cronenberg, basculante tra un
arcigno e cupo Jude Law
(Karenin) e un solare Aaron
Taylor-Johnson (Vronsky).
Dilaniata dall’amore per i figli
e dal desiderio per un altro
uomo. Fragile, spezzata cifra di
una femminilità non ancora
irredimibile. Se il mondo del
romanzo è una rutilante
messa in scena, una scrittura
drammaturgica di potere e
relazioni affettive, un
palcoscenico teatrale,
polimorfo, componibile,
diventa la scenografia pulsante
e dinamica della tragedia di
Anna. Passione, condanna,
punizione, sacrificio e sogni
etici, sentimentali, politici di
una vita diversa innervano il
romanzo adattato con
intelligenza da Tom Stoppard,
che ha un’antica consuetudine
con la letteratura e il teatro
russi (da Il gabbiano fino alla
recente trilogia The Coast of
Utopia). Joe Wright si concede
momenti smaglianti di cinema
teatrale, offre nuove bellissime
immagini alla storia delle
sequenze di ballo nel cinema e
ricorda come Max Ophuls
accarezzi i suoi personaggi,
come li rinchiuda dentro un
labirinto circolare.
ENRICO MAGRELLI
ANTIQUARIO e battitore d’asta di lunga esperienza, schivo
nella vita privata, Virgil Oldman riceve la telefonata di una
donna che lo prega di accettare l’incarico di procedere alla
valutazione di mobili e opere d’arte contenuti nella grande
villa di famiglia. Superata molta irritazione, l’uomo scopre
che la ragazza si trova in una stanza della villa, dove si è
chiusa per combattere una personale agorafobia. Virgil
l’aiuta a cominciare una nuova vita. Ma, così facendo, forse
condanna se stesso. Non è opportuno dire di più, e del resto
Tornatore spiega che si tratta di “una storia d’amore
raccontata attraverso la tessitura narrativa del thriller, ma
senza assassini né assassinati, né tantomeno investigatori”.
Le atmosfere anglosassoni segnano comunque a fondo una
vicenda che fa appello più alla geometria della suspense che
non ai sussulti dell’emozione. Sulle sfumature del rischioso
incontro tra vero e falso corre questa nuova incursione del
regista siciliano, che riprende temi già incontrati in Una pura
formalità (1994) e La leggenda del pianista sull’oceano
(1998). Girato in digitale, il film si colloca con bella
padronanza nel cinema di “genere”, giusto e soddisfacente
per ogni tipo di pubblico.
MASSIMO GIRALDI
Regia
Giuseppe Tornatore
Con
Geoffrey Rush, Jim Sturgess
Genere Thriller, Colore
Distr.
Warner Bros.
Durata 124’
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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Pazze di me
Quello che so
sull’amore
Muccino arriva da Hollywood con
una commedia sentimentale all-star.
Prevedibile ma senza sbavature
Regia
Gabriele Muccino
Con
Gerard Butler, Jessica Biel
Genere Commedia, Colore
in uscita
Risate zero e tanta noia: tra banalità e
gag stanche, l'emancipazione
dal matriarcato secondo Brizzi
CI AVEVA VISTO LUNGO il padre di Andrea, anni prima, a
mollare tutto nel cuore della notte: “Ed ora… sono ca..i tuoi”,
il lascito a quel bambino che, tempo dopo, sarebbe diventato
il “Cenerentolo” di casa Morelli. Vessato da mamma Vittoria,
rinominata Sergente Hartman (Goggi), dalle sorelle Veronica
(Zanella), affetta da profonda misandria, Beatrice (Francini),
perfetta ed insopportabile, Federica (Rocco), svampita e
stralunata, dalla nonna (Lucia Poli) e dalla di lei badante
Bogdana (Minaccioni), Andrea (Mandelli) vede di volta in volta
sfumare tutte le sue storie d’amore proprio a causa loro. Ma
con la dolce veterinaria Giulia (Bilello) proverà a mischiare le
carte in tavola: funzionerà, ma fino a quando?
Puntuale come una bolletta, ecco il nuovo film di Fausto Brizzi
(uno all’anno, dal 2009 ad oggi): commedia che ancora una
volta ragiona sulla contrapposizione tra l’universo maschile e
femminile, concentrandosi stavolta sul “matriarcato
moderno”, Pazze di me fa di tutto per rendersi insopportabile,
quasi quanto le varie caratterizzazioni che compongono casa
Morelli. Funziona poco o nulla, dalla prevedibilità del soggetto
allo sviluppo (?) dei personaggi, fatto salvo un miracolo
cinematografico: a Maccarese (Fregene), l’acqua del mare è
cristallina e, sì, spunta anche una suggestiva roccia dai
fondali. Chapeau.
VALERIO SAMMARCO
Regia
Fausto Brizzi
Con
Francesco Mandelli, Loretta Goggi
Genere Commedia, Colore
Distr.
01 Distribution
Durata 94’
62
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
Distr.
Medusa
Durata
106’
GEORGE DRYER (Gerard Butler) ha fallito più occasioni nella
vita che in aria di rigore. Vecchia gloria del calcio caduta in
disuso, marca stretto il figlio di 9 anni (Noah Lomax) e l’ex
moglie (Jessica Biel), nel tentativo di riconquistarli entrambi.
Ma se il bambino diffida, la seconda medita già di convolare a
nozze con un altro. Missione impervia dunque, con George
costretto a “passare” pure dalle forche caudine di un esercito
di milf in fregola (Catherine Zeta-Jones, Uma Thurman e Judy
Greer). E’ Quello che so sull’amore, terza prova americana di
Gabriele Muccino, stavolta orfano di Will Smith. Voglia di
leggerezza e desiderio di tornare a Hollywood suggeriscono al
nosro una commediola sentimentale all-star, che gioca un
primo tempo d’attesa e un secondo in difesa. Muccino non
rischia e lascia in panchina cuore e personalità – pure se il
tema dell’adulto bambino è suo - per affidarsi all’estro dei
solisti (il migliore risulterà Dennis Quaid, marito geloso della
Thurman) e agli schemi collaudati del cinema mainstream.
Confezione impeccabile, poche sbavature e nessun autentico
segnale di vita. Sarebbe l’ideale per una domenica pomeriggio
in famiglia, ma alligna un pizzico di misoginia.
GIANLUCA ARNONE
in sala
i film del mese
Qualcosa nell’aria
Regia
Olivier Assayas
Con
Clément Metayer, Lola Créton
Genere Drammatico, Colore
Distr.
Officine Ubu
in sala
Assayas getta la memoria oltre l’ostacolo: dopo il
’68, c’è (solo) il suo film. Formidabile
Durata 122’
PER LEVARCI (un paio d’ore, una vita)
dall’imbarazzante disgelo di certi anni,
degradati, danneggiati, costantemente
rispediti al mittente dal revisionismo di
destra e di sinistra, anche nella
rimozione scanzonata di canzonette pop
e post (“sessantotto sì / sessantotto no /
sessantotto proletario / sessantotto
politico / sessantotto violento”, ma dove
le prende Caparezza?) c’è un film. Un
film, non un libro. E’ un “passaggio”,
non un “pensiero”, lascia fisicamente
traccia di facce, luoghi, situazioni, luce,
conflitti, amori, e passando può
diventare anche un pensiero su
un’epoca attraversata. Come si
attraversa un’epoca? Debord era del
parere che si attraversa un’epoca come
si passa la punta della Dogana, vale a
dire piuttosto rapidamente. Quel titolo
originale Après Mai (“Dopo maggio”) era
perfetto, lanciava svelto tutto oltre la
data mitica. 3 anni dopo. In 3 anni gli
adulti del ’68 avevano stabilito per i
giovani delle regole, anche come non
averle o farle saltare in aria. Così,
ambientato tra Parigi, Firenze e Londra,
la visione sta un passo più in là, quando
l’adolescenza borghese di una
generazione incontrava le conseguenze
dell’amore: per la rivoluzione,
Il regista Olivier Assayas
l’emancipazione sessuale, il maoismo,
la classe operaia, l’Oriente, la
controcultura, le droghe, una certa
stagione del rock. E’ memoria non
memorialistica, perché non è
fondamentale, e nello stesso tempo è
toccante, che si tratti delle cose della
vita di Assayas, inevitabilmente
destinate a confrontarsi con milioni di
memorie. Gilles vive il tempo che
precede le scelte, quando sembra che la
nostra vita sia altrove (ma dove?). Diviso
tra due coetanee, la tosta Christine, in
jeans e T-shirt, e l’instabile, benestante
Laure dai lunghi abiti bianchi, Gilles
approda agli studi di Pinewood dove, in
un cortometraggio, rivede per l’ultima
volta, visione d’intensa “rêverie”, la
suicida, liberata, Laurie. Con un cast
formidabile di giovani e un sound track
centrato (da Amazing Blondel ai Soft
Machine) Assayas richiama, ritrova, la
centralità della memoria. Alt, dogana.
SILVIO DANESE
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
63
i film del mese
The Impossible
Regia
J.A. Bayona
Con
Naomi Watts, Ewan McGregor
Genere Drammatico, Colore
Distr.
Eagle Pictures
in uscita
Tsunami 2004: l’incredibile storia di una famiglia
sopravvissuta. Bene l’inizio, poi troppa enfasi
Durata 114’
UNA SCONVOLGENTE CATASTROFE
naturale, lo tsunami più violento della
storia che nel 2004 colpì la costa
sudorientale dell’Asia, uccidendo 300.000
persone: The Impossible – come da titolo
– racconta l’incredibile storia di una
famiglia, Maria, Quique, Lucas, Tomas e
Simon, miracolosamente scampata
all’evento e, altrettanto
miracolosamente, riuscita a ritrovarsi nel
caos e nella devastazione, nel dolore e
nelle ferite delle ore successive alla
tragedia. Diretto da J.A. Bayona (che nel
2008 raccolse consensi con la ghoststory The Orphanage), The Impossible è il
film che ha incassato di più nella storia
del cinema spagnolo (quasi 40 milioni di
euro): la vicenda, reale, è quella capitata
a Maria Belon, al marito e ai tre figli. Il
relax di un Natale trascorso in un
lussuoso resort thailandese che senza
preavviso si trasforma in un incubo dalla
64
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
portata inaudita: un ronzio in lontananza,
la fuga degli uccelli, il boato di un’onda
che travolge e spazza via, in un attimo,
tutto quello che incontra. La donna
(Naomi Watts, candidata all’Oscar) e
Lucas, il maggiore dei tre bambini, si
ritrovano in un fiume in piena, acqua e
fango, detriti e tronchi: si mettono in
salvo, ma Maria è ferita ad una gamba e
Ewan McGregor in una scena del film
al torace. Fin qui il film di Bayona è una
macchina quasi perfetta che riesce a
coniugare la spettacolarità del disaster
movie al dramma di un immediato
“dopo”, in cui la sorpresa di essere
ancora vivo si mescola con la paura di
aver perso i propri cari e con la
consapevolezza di una distruzione che
appare senza rimedio. Poco a poco, però,
The Impossible cede il passo alle
dinamiche che, quasi sempre, sul grande
schermo da “reali” si fanno
“inverosimili”: il limite di un cinema che,
paradossalmente, è chiamato a togliere
per farsi credibile e che l’eccezionalità di
una storia vera non premia,
mortificandone gli esiti. Non era facile, è
vero, ma forse sarebbe bastato calcare
un po’ meno la mano, senza
sottomettersi all’enfasi che, giocoforza,
finisce per caratterizzare ogni singola
sequenza. Rendendo davvero impossibile
la riuscita del film.
VALERIO SAMMARCO
Re della terra
selvaggia
Quartet
Suona bene la prima volta alla regia
di Dustin Hoffman: una casa di riposo
andante con brio
Regia
Dustin Hoffman
Con
Maggie Smith, Tom Courtenay
Genere Commedia, Colore
In uscita
Il migliore esordio della stagione:
4 nomination pesanti per il fantasy
di Benh Zeitlin
BENH ZEITLIN, 30 anni, newyorkese, regista. Appuntatevelo,
ha un grande futuro e un più grande presente: Beasts of the
Southern Wild (Re della terra selvaggia, da noi) è l’opera
prima che rialza le sorti dell’indie americano e ci sbatte in
faccia L”A” domanda: perché noi non ce la facciamo? Un
milione e 800mila dollari di budget, il suo collettivo Court 13
nella crew, attori non professionisti nel cast, e una pièce,
Juicy and Delicious di Lucy Alibar, per immaginifico punto di
partenza. Delta del Mississippi, fusione panica con la Natura
e raffinerie incombenti, una comunità bayou di emarginati,
un padre e una figlia di sei anni, la sua “padrona”
Hushpuppy (Quvenzhané Wallis, mesmerizzante), a
scambiarsi la legge della giungla acquatica. All’orizzonte, un
disgelo apocalittico e i preistorici uri al galoppo con le zanne
a baionetta: il padre sta male, Hushpuppy cerca la madre
perduta, noi troviamo un gioiellino sospeso tra il fantasy
utopico e la realtà dei derelitti, con più contendenti, umani e
animali, per la parte delle Bestie. Leopardi avrebbe gradito,
Huck Finn se ne sarebbe andato a braccetto con Hushpuppy,
noi contiamo i premi di Beasts e ci lecchiamo gli occhi: nel
selvaggio Sud gli ultimi saranno i primi. Applausi.
FEDERICO PONTIGGIA
Regia
Benh Zeitlin
Con
Quvenzhané Wallis, Dwight Henry
Distr.
BIM
Durata
95’
MAGGIE SMITH, Tom Courtenay, Billy Connolly e Pauline
Collins: il quartetto Hoffman. Scrive Ronald Harwood dalla
sua opera teatrale, e in questa britannica casa di riposo per
musicisti attempati e cantanti lirici ritirati si fondono
amicizie, amori e rivalità. Grazie a un illustre conosciuto:
“Dopo aver fatto tanti film fantastici – ha detto la soprano e
interprete Dame Gwyneth Jones - Dustin ha sentito la
necessità, l’urgenza di forgiare nuovi attori, e ci ha dato
tantissimo”. Non è solo il ritorno sulla scena di quattro
vecchie glorie, Quartet è la prima volta dietro la macchina da
presa di Dustin Hoffman: sceneggiatura solidamente altrui,
regia senza fronzoli, il suo touch sta principalmente in una
magnifica direzione d’attori, e come altrimenti. Il 75enne
attore losangelino gioca sul sicuro, non strafà, ovvero non fa
quel che non sa (ancora), ma confeziona un piccolo film che
senza grandi interpreti – e lui stesso – rimarrebbe tale.
Invece no, in quella canterina Beecham House ci sentiamo
tutti meglio, arzilli, leggeri e piacevolmente intrattenuti: già,
le dimensioni e le intenzioni non contano, valgono le
prospettive e gli esiti. Dustin Hoffman suona bene, Quartet è
sold out. A quando il bis?
FEDERICO PONTIGGIA
in uscita
Genere Fantasy, Colore
Distr.
Satine Film
Durata 93’
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
65
The Last Stand L’ultima sfida
In Darkness
Dalle fogne alla salvezza: la polacca
Agnieszka Holland torna sull’Olocausto.
Con merito
Regia
Agnieszka Holland
Con
Robert Wieckiewicz, Benno Fürmann
Genere Drammatico, Colore
in uscita
Arnold Schwarzenegger is back:
sceriffo di frontiera nell’ironico western
di Kim Jee-woon
GIOCA CON I GENERI The Last Stand - L’ultima sfida, film
d’esordio in lingua inglese di Kim Jee-woon, regista di
culto sud-coreano che firma una sorta di western ironico
ambientato ai giorni nostri. Nel cast spicca Arnold
Schwarzenegger, che torna protagonista dopo i dieci anni
in politica. E’ lui lo sceriffo Ray Owens, che dopo un
passato di azione a Los Angeles ha cercato tranquillità
rifugiandosi a Sommerton, villaggio di frontiera, con voglia
di pensione, alla guida di un manipolo di improvvisati
difensori dell’ordine, nei quali ritroviamo i volti noti di
Johnny Knoxville, Rodrigo Santoro e Luis Guzman. Sarà
proprio questa formazione a doversi scontrare con un
narcotrafficante messicano in fuga (Eduardo Noriega) che
sceglie proprio quel lembo di deserto per sfuggire all’FBI,
rappresentata dall’impeccabile agente Bannister (Forest
Whitaker). Lo scontro sulla Main Street, le imboscate e
persino il duello finale: gli elementi del vecchio west ci
sono tutti, conditi da una buona dose di ironia sullo sceriffo
alle prese con i segni dell’età. Dal regista che aveva già
portato il West nell’estremo Oriente con Il Buono, il Matto
e il Cattivo, un film di genere tra risate, inseguimenti e
sparatorie.
MIRIAM MAUTI
Regia
Kim Jee-woon
Con
A. Schwarzenegger, E. Noriega
Genere Western, Colore
Distr.
Filmauro
Durata 107’
66
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
Distr.
Good Films
Durata
145’
LA VERA STORIA DI LEOPOLD SOCHA (Robert Wieckiewicz),
operaio del sistema fognario e ladruncolo di Lvov, nella
Polonia occupata dai nazisti. Dopo essersi imbattuto in un
gruppo di ebrei nelle fogne, Socha accetta di nasconderli e
sfamarli: tiene all’oscuro l’amico ufficiale ucraino Bortnik,
corre più di un rischio, li sposta da un condotto all’altro, ma
lo fa per il vil denaro. Eppure, iniziato come mera
compravendita, il rapporto si evolve: Socha salva la vita
all’ebreo Mundek (Benno Fürmann), aiutandolo a uccidere
un miliziano ucraino, soccorre due bambini nelle fogne. E
quando il denaro degli ebrei finisce, non smette di aiutarli,
ma Bortnik lo scopre… E’ In Darkness di Agnieszka Holland,
e arriva nelle nostre sale per la Giornata della Memoria: di
film sull’Olocausto ne abbiamo visti a iosa negli ultimi anni,
ma la regista polacca si chiede “com’è stato possibile questo
crimine? Dove si trovava l’Uomo in quel periodo critico?
Dov’era Dio?”. Interrogativi senza scadenza, affidati a una
storia di umanissima sopravvivenza: sceneggiatura non
claustrofobica nonostante la location, regia solida,
ricostruzione accurata e bravi attori, nell’oscurità delle
fogne filtra un raggio di solidarietà.
FEDERICO PONTIGGIA
in uscita
«Un intenso Schoenaerts
e una Cotillard straordinaria»
La Stampa
«Il film di Audiard ha l’intento
di scuotere. E ci riesce»
Rolling Stone
IN VENDITA IN DVD DAL
20 FEBBRAIO
Gangster Squad
Regia
Ruben Fleischer
Con
Ryan Gosling, Sean Penn, Emma Stone
Genere Drammatico, Colore
Distr.
Warner Bros.
anteprima
Più che noir, un cine-popcorn tutto sparatorie.
L’occasione sprecata di Ruben Fleischer
Durata 105’
DIMENTICATE DE PALMA (Gli
Intoccabili), Scorsese (Quei bravi
ragazzi ) e Curtis Hanson
(L.A.Confidential). Gangster Squad gira
a largo dai numi tutelari del genere. Non
sappiamo se per un eccesso di prudenza
o per un peccato di vanità, in ogni caso il
film di Ruben Fleischer non somiglia a
nessuno dei grandi gangster-movie del
passato, azzerando ogni componente
psicologica, qualunque dimensione
sociale, qualsiasi sottofondo romantico,
che avevano informato negli anni uno
dei filoni hollywoodiani più floridi. Ma
Hollywood c’è, incombe, è l’insegna a
fari accesi sulla vetta della città, il faro
dell’imbroglio che luccica e ammonisce,
segnaletica per il pubblico che dice:
attenzione a quanto sta avvenendo alle
pendici della “collina”, perché è finto.
Pure se lo script di Will Beall è ispirato
agli storici reportage di Paul Liberman
68
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
sul Los Angeles Times, e sul vero
tentativo (riuscito) di una squadra
speciale del LAPD di mettere fine
all’ascesa criminale di Michey Cohen
alla fine degli anni ’40. Ma tutto è
imbevuto di fiction, dall’abbagliante
decor all’esagerata violenza, dal
primitivismo narrativo alla pedissequa
applicazione degli stereotipi, tanto per
Emma Stone e Ryan Gosling
sprecare il più grande assortimento di
star di recente memoria: a Sean Penn
(che modificherà espressione solo
quando gli cambieranno i connotati a
furia di cazzotti) e Ryan Gosling, a Josh
Brolin ed Emma Stone mancano solo i
balloon per diventare fumetto a tutti gli
effetti. Suonerebbe come una classica
cialtronata postmoderna, ma manca la
dovuta consapevolezza. Più irrisolto che
irridente, Gangster Squad è invece una
parodia senza humour, un mix tra i
Magnifici sette e Shoot’em Up, che
libera le pulsioni rozzamente
hobbesiane del genere senza troppo
preoccuparsi delle conseguenze. Sotto
le mentite spoglie di un elegante noir
d’epoca, si cela un cine-popcorn mordi e
fuggi, dalla giustizia medievale e la
morale di un bifolco. Misteriosamente
divertente, come può esserlo il miglior
Ellroy rimaneggiato dal peggior
Borghezio.
GIANLUCA ARNONE
Homevideo, musica, industria e letteratura: novità e bilanci
A cura di Valerio Sammarco
Dvd e Blu-ray
Argo e Prometheus da collezione
Borsa del cinema
Se il box office si affida ai film-evento
Homeland
Finalmente in Tv la
seconda stagione del serial
premiato ai Globes
Libri
Guida a Lo Hobbit e teoria delle emozioni
Colonne sonore
The Master: Jonny Greenwood
telecomando
Dvd e Blu-ray
Prometheus
Il nuovo inizio sci-fi di Ridley Scott
in Collector’s Edition 3D
L
a Collector’s Edition Blu-ray 3D a 3 dischi di
Prometheus include la versione cinematografica del film e, nel primo formato, anche
il documentario dietro le quinte “Gli Dei Furiosi”,
un inizio e un finale alternativi, scene estese ed eliminate, commenti del regista e degli sceneggiatori
e altro ancora, per oltre 6 ore di extra.
Il film, interpretato da Noomi Rapace, Michael
Fassbender e Charlize Theron, è disponibile anche
in DVD e Blu-ray. La Collector’s Edition Blu-ray 3D,
acquistata online, sarà accompagnata da un libro
fotografico in regalo, “Prometheus – The Art of the
Film”: 32 pagine di foto, dietro le quinte e disegni
del film di Ridley Scott.
DISTR. 20TH CENTURY FOX HOME ENTERTAINMENT
72
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2012
Laclasse
deiclassici
a cura di Bruno Fornara
Il sole splende
alto
Così Ford, senza
indecisioni: “Il sole splende
alto è, tra tutti i miei film,
quello che preferisco. Amo
vederlo e rivederlo”. Non fu
amato dal pubblico e
neppure da molti critici.
Noi stiamo decisamente
con Ford. Una cittadina del
Kentucky, nel 1905. Ancora
vivi i postumi della guerra
civile. Una donna perduta
torna lì a morire. Un
generale tutto d’un pezzo.
Due giovani si amano. Un
giudice vota per se stesso e
così vince le elezioni. I
linciatori si convertono alla
democrazia. Una sfilata di
reduci, donne e neri. E
soprattutto quel funerale
della prostituta con il solo
giudice,vestito di bianco,
che si mette dietro il carro
funebre, scandalizza
benpensanti e bigotte,
viene seguito da altri
uomini, donne e neri, tutti
ad affollare la chiesa con le
pareti scure. Alla fine della
parata i neri cantano che il
sole splende sulle case di
tutti e il giudice si ritira
nell’ombra della sua casa a
darsi una ‘scossettina’ al
cuore con un buon sorso di
whisky. Ford sa come farci
commuovere.
Regia John Ford Con Charles
Winninger, Arleen Wheelan
Genere Commedia (Usa, 1953)
Distr. A & R Productions
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
73
telecomando
Dvd e Blu-ray
Là-bas • Educazione
criminale
Una delle opere
prime italiane più
significative degli
ultimi anni: Guido
Lombardi ci porta
in quella che Saviano definì la “più africana tra le
città europee” – Castel Volturno
– e attraverso un percorso in
cui fiction e verità si confondono, giunge all’infame strage del
settembre 2008, quando un
commando di camorristi uccise
sei immigrati in una sartoria. “E’
un film sul bivio tra legalità e
criminalità in cui si trova chi vive in condizioni disperate”, disse il regista, che nel 2011 vinse
la SIC e il Leone del Futuro a
Venezia. Extra: interviste a Lombardi e ai protagonisti, con
backstage e scene tagliate.
Argo
DISTR. RAROVIDEO
E’ stato il figlio
L’esordio in solitaria di Daniele Ciprì, premiato all’ultima Mostra di
Venezia per la miglior fotografia e
per l’attore emergente Fabrizio
Falco. E’ stato il figlio e il “ricordo”, nel racconto di una Sicilia
seppiata e tragicamente grottesca: la famiglia Ciraulo e il sospirato risarcimento atteso per
anni dallo Stato per i familiari
di vittime della mafia. Un susseguirsi di promesse e attese, con
i debiti in aumento e l’isteria
fuori controllo. Poi la svolta, e
la Mercedes, simbolo di ricchezza e rispetto. E con lei il
dramma… Con Toni Servillo,
Giselda Volodi e Alfredo Castro.
Disponibile anche in Blu-ray,
con il backstage del film negli
extra.
DISTR. FANDANGO
74
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
E’
stato uno dei film più interessanti
dello scorso anno, Argo di Ben Affleck (Golden Globe miglior film e
regia, 7 nomination agli Oscar): basato su
fatti realmente accaduti, il thriller racconta
l’azione segreta intrapresa per liberare sei
cittadini Usa e svoltasi durante la crisi degli ostaggi in Iran (1979), mettendo a fuoco il ruolo centrale (e poco noto) della
CIA, con il coinvolgimento addirittura di
Hollywood nell’intera vicenda. Artefice
dell’intera operazione il miglior specialista
in azioni di esfiltrazione, Tony Mendez,
ideatore di un piano così inverosimile che
solo in un film sarebbe stato credibile…
Disponibile anche in Blu-ray, con moltissimi extra: “Salvati da Teheran: Noi c’eravamo”, “Argo: Autenticità assoluta”, “Argo:
Il legame tra la CIA e Hollywood”, “Fuga
dall’Iran: L’opzione Hollywood”.
DISTR. WARNER HOME VIDEO
Fatherland
ParaNorman
Gli equilibristi
E’ disponibile dal
6 febbraio, anche
in Blu-ray 3D, il
notevole lavoro in
animazione stopmotion firmato dai
realizzatori di Coraline e la porta
magica (la Laika Production) e
diretto da Chris Butler insieme
a Sam Fell: ParaNorman – incentrato sul piccolo Norman che
vede “le persone morte” – non
fa mistero di trarre ispirazione
dai grandi classici del filone
horror/ghost-movie, tratteggiando atmosfere e personaggi – gli
zombie, su tutti – capaci di suggestionare e al tempo stesso divertire. Attenzione ai contenuti
speciali: “La sequenza preliminare animata”; “Sbirciando attraverso il velo: Il dietro le
quinte di Paranorman”; Curiosità
dal Set”.
Arriva in homevideo il bel film di
Ivano De Matteo
(in Orizzonti a Venezia), interessante
e attuale dramma
su quello che lo stesso regista
ha definito “equilibrismo economico”. Non un film sui separati, interpretati da Barbora Bobulova e Valerio Mastandrea,
ma sull’escalation di difficoltà
che possono abbattersi su un
individuo convinto, fino a quel
momento, di (soprav)vivere nel
benessere. Costretto al doppio
lavoro, finirà per dormire in
macchina e mangiare alle mense per poveri. Duro e ottimamente recitato, con backstage e
videoclip “Seguendo gli equilibristi” nei contenuti speciali,
più un booklet di approfondimento: “Italia anno 0”.
DISTR. UNIVERSAL PICTURES H.E.
Quando Ken Loach seguì le gesta del cantautore
dissidente della Rft: da recuperare
Un film “inquieto”, lo definì
Ken Loach. Che nel 1986
decise di allontanarsi dalla
Gran Bretagna per realizzare
Fatherland. La storia –
scritta da Trevor Griffiths – è
quella di Klaus Drittemann,
cantautore d’opposizione
nella Germania dell’Est che
nel 1985 decide di rifugiarsi
ad Ovest, come aveva fatto
molti anni prima suo padre,
anche lui
musicista
dissidente.
Ma il
capitalismo
occidentale,
capirà presto
Klaus, non è
meno
oppressivo
dei regimi
comunisti.
Continua il
lavoro di
“riscoperta”
che Rarovideo ha già iniziato
nei confronti di Ken Loach,
rieditando Raining Stones e
Ladybird Ladybird.
Con booklet
allegato, negli
extra
un’intervista
con il giornalista
Boris Sollazzo.
DISTR. RAROVIDEO
DISTR. MUSTANG ENTERTAINMENT
Magic Mike
VIDEOGAME UNO CONTRO TUTTI
DEVIL MAY CRY
Azione senza compromessi: per Ps3, Xbox 360 e PC
Quale cosa migliore dopo le feste di un buon
gioco per scaricare lo stress senza perdere
troppo tempo con la trama o cose
accessorie? Devil May Cry è un titolo
d’azione che vede il protagonista principale,
Dante, alle prese con demoni tra i più
disparati, in un tripudio di
combattimenti, sparatorie e
ambientazioni improbabili. Il
tutto con un tocco di
umorismo che non guasta
mai, e attraverso livelli dove il
giocatore sfrutta le
caratteristiche atletiche del
protagonista principale per
scampare ai numerosi pericoli
che incontra sul proprio
cammino, fino a fronteggiare
dei nemici enormi in grado di distruggere
interi edifici pur di avere la meglio. In uscita
su PlayStation 3, Xbox 360 e PC.
Per saperne di più visitate www.multiplayer.it
Dopo il discreto
successo ottenuto
nelle sale, è disponibile in dvd e
Blu-ray l’ultimo lavoro di Steven Soderbergh, commedia sul mondo
degli spogliarellisti interpretata
(e prodotta) da Channing Tatum. Adorato dalle fan, Magic
Mike getterà nella mischia un
giovane, promettente stripteaser, Adam (Alex Pettyfer), che
poco a poco diventerà la nuova
attrazione del club, con ammiratrici tutte per lui. Oltre al trailer, negli extra interviste al protagonista e agli altri attori
(Matthew McConaughey, Alex
Pettyfer, Joe Manganiello), poi
il backstage del film e le scene
estese: “l’ufficiale gentiluomo”,
“la statua dorata”, “Ken”.
ANTONIO FUCITO
DISTR. LUCKY RED
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
75
telecomando
serie tv
REVOLUTION
[CANALE 323, MEDIASET PREMIUM]
Post-apocalisse senza energia elettrica. Episodio pilota diretto da Jon Favreau
F
uturo post-apocalittico. Quindici anni prima, un fenomeno
sconosciuto interrompe la distribuzione di elettricità in tutto il
pianeta e tutti gli apparati elettronici
smettono di funzionare. La popolazione è costretta ad adattarsi ad un
mondo senza elettricità. A causa del
crollo del governo e dell’ordine pub-
blico alcune aree sono messe sotto il
controllo di signori della guerra e
milizie.
È Revolution, la serie sci-fi creata da
Eric Kripke (Supernatural) e prodotta dalla Bad Robot Production di J.J.
Abrams per la NBC: al centro del
racconto la famiglia Matheson, che è
in possesso di uno speciale dispositi-
vo per scoprire non solo ciò che è
successo quindici anni prima ma anche il modo per invertire il processo
e riavviare l’elettricità. Sviluppata in
22 episodi (la puntata pilota è diretta
da Jon Favreau, regista di Iron Man),
Revolution arriva in esclusiva per l’Italia su Steel, a partire dal 15 gennaio, ogni martedì alle 21.15.
filminorbita a cura di Federico Pontiggia
76
Homeland 2
Giorno della Memoria
Fashion Addicted
Fox
Studio Universal
Diva Universal
Dal 30 gennaio ogni
mercoledì alle 21.00, la
seconda stagione della
fuoriserie Usa. Forza Carrie!
Il 27 gennaio I ragazzi venuti
dal Brasile e il caso Priebke
con la testimonianza del pm
Antonino Intelisano.
Ogni giovedì di febbraio fa
moda: Diana Vreeland, Yves
Saint Laurent, About Face e
The September Issue.
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
Designed by Arch. Andrea Viviani
Accomodatevi
e g o d e te v i
lo spettacolo
Made in Italy
THE COMFORT SHOW
w w w. c i n e a r r e d o i t a l i a . c o m
telecomando
borsa del cinema
QUAL BUON [E]VENTO
Chiusura d’anno positiva grazie a qualche blockbuster.
Ma il resto dell’offerta ottiene risultati sempre più modesti
di Franco Montini
ultimo capitolo di Twilight ha rastrellato in Italia quasi 19 milioni di euro: meglio di tutti i precedenti film
della saga. Il nuovo 007 Skyfall, altra uscita
autunnale, ha superato 12,7 milioni di euro, ottenendo un risultato molto superiore
ai precedenti due film con Daniel Craig
che, nel 2008 e 2007, avevano incassato 7
L’
78
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2013
e 8 milioni di euro. Il cavaliere oscuro – Il ritorno, nelle sale italiane a fine estate, con 14,6
milioni di euro, ha funzionato molto meglio dei due precedenti film di Batman,
che si erano fermati a 9,4 e 6,8 milioni di
euro. Insomma, a giudicare dai risultati dei
blockbuster, si potrebbe pensare che il
mercato italiano sia in crescita ed invece il
2012 si è chiuso con una perdita di presenze del 10% rispetto al 2011, che aveva
già fatto registrare un risultato negativo nei
confronti dell’anno precedente.
Questa apparente contraddizione dimostra
che si è persa l’abitudine di andare al cinema e si acquista un biglietto solo per pochi film evento. Questa categoria di pro-
dotto, numericamente limitata, fa registrare
incassi in ascesa, mentre tutto il resto
dell’offerta ottiene risultati sempre più modesti.
I fattori che trasformano un film in evento
stanno mutando: la presenza dell’attore
vale ormai poco. Le star hanno un effetto
richiamo sempre più debole e sono diventati intercambiabili, perché oggi conta più
il personaggio che l’interprete. La conferma arriva da Robert Pattinson e Kristen
Stewart: star ed elemento di richiamo
quando interpretano Edward e Bella in
Twilight, non rappresentano più alcun valore aggiunto quando si calano in altre storie
o impersonano altri personaggi.
La cosa non riguarda solo il cinema USA,
ma anche le cose di casa nostra, dove i fenomeni divistici, anche i più clamorosi,
pensiamo a Stefano Accorsi o Riccardo
Scamarcio, si esauriscono ormai nello spazio di poche stagioni. Da un punto di vista
commerciale i due attori citati hanno funzionato fin tanto che la loro immagine
personale si è identificata con quella artistica. Nel momento in cui, anche per ragioni anagrafiche, sono stati costretti a
“crescere”, e lo hanno fatto, soprattutto
Scamarcio, anche artisticamente, abbandonando certi ruoli giovanilistici, il pubblico
non li ha più seguiti.
La determinazione di un film evento oggi
nasce da altri elementi: il gigantismo, produttivo ed economico di certe imprese,
come ad esempio Il signore degli anelli e Lo
Hobbit; la ricchezza e la spettacolarità di effetti speciali e innovazioni tecnologiche,
come in Avatar, film che tutti hanno visto
ma di cui pochissimi sarebbero in grado di
citare il nome del protagonista; la popolarità della matrice letteraria alle spalle del
film, come nel caso di Harry Potter e del già
citato Twilight. Il problema è che un mercato che vive solo di pochi film evento rischia di provocare la sparizione di tanto
ottimo cinema medio e d’autore.
Un mercato che vive
solo di pochi film
rischia di far sparire
opere sperimentali e
d’autore
Cast & Crew
a cura di Marco Spagnoli
Il tempo di Miele
Il produttore esecutivo Viola Prestieri:
dalla Indigo all’esordio della Golino
“HO FATTO TUTTA LA GAVETTA:
da runner a segretaria di edizione,
poi ispettore e direttore di
produzione, organizzatrice e
produttrice esecutiva. Mentre
facevo il Centro Sperimentale nel
1994 già lavoravo e ho avuto la
fortuna di incontrare prima Nicola
Giuliano, con il quale sono
cresciuta professionalmente, poi
un regista come Paolo Sorrentino,
con il quale ho collaborato per tutti
i suoi film”. Colonna portante della
Indigo Film, che produce
Sorrentino e Molaioli, solo per
citarne alcuni, Viola Prestieri
adesso ha prodotto insieme a
Valeria Golino e Riccardo
Scamarcio il film di esordio come
regista dell’attrice napoletana
(Miele), fondando così la società di
produzione Buena Onda.
Qual è la qualità irrinunciabile di
un produttore esecutivo?
Chi, come me, ha un cattivo
carattere, deve sforzarsi di
stemperarlo un po’. Non bisogna
essere accondiscendenti, ma
saper essere dei bravi mediatori.
E l’obiettivo principale di chi fa il
suo mestiere?
Fare un buon film con il budget a
disposizione. Il lavoro di cui sono
più soddisfatta è stato Il Divo: non
avevamo la cifra giusta a
disposizione per realizzare un film
del genere, eppure ce l’abbiamo
fatta. Un’enorme soddisfazione e
per me una stelletta al merito.
Perché, adesso, ha esordito
anche alla produzione?
Per l’amicizia con Valeria Golino e
Riccardo Scamarcio e per la voglia
di provare a fare delle belle cose
che siano nostre. Un interesse
nella libertà produttiva e nel poter
scegliere lavori in cui crediamo,
permettendoci di innamorarci di
storie, progetti e del piacere di
collaborare con alcuni registi.
Viola Prestieri e Riccardo Scamarcio, anche lui tra i produttori di Miele
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
79
telecomando
libri
Hobbit-mania
Brian Sibley
Lo Hobbit. Un
viaggio
inaspettato. La
guida ufficiale al
film
Bompiani
Pagg. 168 € 17,90
Dal momento che mancano ancora due film, è troppo presto
per fare paragoni definitivi fra
Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit, ma l’avvento della seconda
trilogia impone un nuovo volume che guidi i fan (e non solo)
nel mondo nato dalla penna di
J.R.R. Tolkien e filmato da Peter
Jackson. Formula vincente non
si cambia: stesso autore della
prima guida cinematografica a
Il Signore degli Anelli (nonché
di Harry Potter. La magia del
film), ampie interviste a tutti,
spazio alle curiosità e un arcobaleno di immagini splendide. I
bozzetti non sono molti, ma
per gli appassionati di scenografia, costumi ed effetti speciali c’è l’apposito L’arte di un
viaggio inaspettato (sempre
Bompiani).
Nella Terra di Mezzo
Per non perdersi nei meandri della trilogia di
Peter Jackson. 007 da collezione e altre letture
ANGELA BOSETTO
Bond capitale
Paul Duncan
The James Bond
Archives
Taschen
Pagg. 600
€ 150,00
Bondiani di tutto il mondo,
quanto siete disposti a sborsare
per amore di 007? Se per voi
l’inglese non è un problema,
mano al portafoglio perché il
momento che sognavate è arrivato. Dopo due anni passati
all’interno della EON Produc-
80
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
tions, vagliando milioni di foto,
sfogliando centinaia di migliaia
di pagine di materiale e intervistando oltre 150 persone, Paul
Duncan ha assemblato il volume definitivo sulla carriera cinematografica del celebre agente segreto, un tomo da collezione che ne ripercorre l’intera filmografia, da Agente 007, licenza di uccidere a Skyfall.
Brutte notizie, invece, per coloro che puntavano a una delle
due Golden Edition del libro:
nonostante il costo (750 euro)
sono andate entrambe esaurite
subito.
ANGELA BOSETTO
gennaio-febbraio 2013
Sguardi moderni
Gian Paolo
Caprettini
Modernità
all’italiana. Origini
e forme dello
spettatore globale
Cartman Edizioni
Pagg.131 € 16,00
Un testo che approfondisce i mutamenti che intercorrono tra media e cinema, ripercorrendo attraverso gli snodi e le questioni teoriche, caratterizzanti la storia del
paese, alcuni tratti significativi
della modernità. Nella prima parte del libro, l’autore si sofferma
sull’analisi di “storie” – dallo
sguardo della “piccola vedetta
lombarda” narrato da De Amicis,
dal corpo della donna-crisi dei
primi anni Trenta alla “Contessa
di Parma” di Alessandro Blasetti –
incarnazione di quei simboli precursori di realtà contemporanee e
indicatori di modelli e costanti. La
seconda parte, invece, è un excursus teorico di considerazioni
sull’uditore globale, nel quale si
indagano le motivazioni che hanno reso l’utente-spettatore, artefice e divulgatore di immagini.
SIMONA FALCONE
te più sani di mente di chi si è
costretto a dare una spiegazione.
Partendo dai dirompenti e incompresi esordi artistici (Six Men
Getting Sick – 1967) arrivando
agli ultimi film cult (Inland Empire – 2006), si svolge il racconto
di una vita di un uomo a cui piace descrivere lo sporco che sta
sotto al tappeto, gli arabeschi
della mente e la provincia del
suo paese; scopriamo le difficoltà di essere un maestro dell’incubo che opera in un mondo
che vuole dormire tranquillo.
GABRIELE CARUNCHIO
Parliamone
L. Barnabé, A.
Dall’Asta, A.
Lavagnini, F. Monti
(a cura di)
Parlare di Cinema
Edizioni San Paolo
Pagg. 216
€ 14,90
Capire Lynch
Stefano Brenna
A letto con David.
Sogno e incubo nel
cinema di Lynch
Book Time
Pagg. 199
€ 16,00
L’autore è chiaro fin dalla prima
riga: “Non capire David Lynch è
una cosa normale”. Se quindi vi
sentite parte dei tanti che rimangono stupiti – e instupiditi – davanti ai film del regista di Missoula non dovete allarmarvi: sie-
Parole come “ascolto”, “confronto”, “dibattito” diventano, in
questo volume, la chiave di lettura di un cinema visto come
luogo di condivisione e comprensione reciproca, nella consapevolezza che etica ed estetica, nell’esperienza cinematografica, tendano a coincidere. Una
raccolta di contributi – schede
di approfondimento sulle pellicole più apprezzate delle ultime stagioni cinematografiche –
basati sugli spunti elaborati dal
pubblico dei sei cineclub del
centro culturale San Fedele di
Milano, in cui le diverse sezioni
(dalle Note di regia ai Percorsi,
da Pr eparar e lo sguardo a
Spunti di lettura) diventano un
valido strumento per gli operatori del settore e, più in generale, per chiunque desideri aprire
un cineforum.
ANITA CECCARELLI
Tu chiamale, se vuoi,
emozioni
Dall’oggetto filmico alle
reazioni dello spettatore:
diverse prospettive di studio
di Marta Morgante
“Fin dalla sua nascita il cinema è
riuscito a provocare reazioni
affettive intense, coinvolgendo i
suoi spettatori come nessun altro
medium visivo e narrativo aveva
fatto”. Questo il tema di Il cinema e
le emozioni. Estetica, espressione,
esperienza, curato da Giorgio De
Vincenti ed Enrico Carocci. I saggi
che compongono il volume,
organizzati per sezioni – estetica,
espressione ed esperienza appunto –
, diversi per impostazioni, obiettivi e
risultati, offrono al lettore una
incredibile varietà di approcci per lo
studio delle emozioni al cinema.
Da interventi che indagano la
natura del cinema e le funzioni
delle emozioni all’interno di
prospettive teoriche, si passa a
una sezione concentrata su
elementi specifici della
composizione filmica, per arrivare
ad Esperienza, che raccoglie i saggi
focalizzati sul tema delle reazioni
spettatoriali e le loro dinamiche.
Da Münsterberg a Epstein, Benjamin
ed Ejzenštejn, fino agli psicologi e
agli intellettuali dell’Institut de
Filmologie, per arrivare a studiosi
più contemporanei, la riflessione
verte sul tema della simulazione
nell’esperienza dello spettatore,
sull’empatia, e sul sentimentalismo.
Con i temi e le questioni affrontate, il
volume non pretende di esaurire le
domande che l’orizzonte
dell’emozione pone, ma il suo
obiettivo è piuttosto quello di
suggerire nuove prospettive di lavoro
per gli studi sul cinema, la
comunicazione e l’universo visuale.
Giorgio De Vincenti,
Enrico Carocci
(a cura di)
Il cinema e le
emozioni. Estetica,
espressione,
esperienza
Ed. FEdS – Collana
Frames
Pagg. 472
€ 14,90
gennaio-febbraio 2013
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
81
telecomando
colonne sonore
SPARTITO SCATENATO
Il solito Tarantino, signore delle
soundtrack. Se l’inedita Ancora qui di
Elisa ed Ennio Morricone floppa, il resto
(ri)suona alla grande: dal tema di Django
di Luis Bacalov & Rocky Roberts, al tris
di Morricone (The Braying Mule, Sister
Sara’s Theme e Un Monumento),
passando per Riz Ortolani (I giorni
dell’ira). E come si potrebbe parlare di
liberazione dalla schiavitù degli afroamericani senza rap? Ci pensano James
Brown & 2Pac per Unchained, mentre
John Legend canta Who Did That to
You?. Suonala ancora Quentin!
F.P.
E’ ANCORA UN GRANDE GREENWOOD
Al secondo lavoro per Paul Thomas Anderson dopo
Il petroliere, Jonny Greenwood ostenta la maturità e la
vena creativa del compositore per grande schermo più
navigato. Il commento “classico” e la vena più
sperimentale del chitarrista dei Radiohead
raggiungono in The Master un equilibrio perfetto,
trovando reciproca ragion d’essere nella loro
coesistenza. Lo score non commenta in chiave
estemporanea una vicenda contestualizzata nel
passato (come spesso, e a tratti forzatamente,
accadeva nel Petroliere), ma parte da una profonda,
rigorosa base classica di piano, fiati e violini, sferzata
via via da lampi di avanguardia in sezione ritmica
(Able- Bodied Seamen) o da vertiginosi glissati di archi
che sono veri e propri baratri di angoscia paranoica
(Baton Sparks). La sintesi perfetta è l’utilizzo di grandi
voci del passato (Ella Fitzgerald, Helen Forrest, Jo
Stafford) e quella della giovane attrice Madisen Beaty
in Don’t sit under the Apple Tree (With Anyone Else
But Me). Voci di un passato puro e incontaminato, che
emergono fantasmatiche da un sottofondo sempre più
foriero di inquietudine.
La sorprendente potenza evocativa della partitura a
tratti rievoca il commento musicale di un film muto.
Insindacabilmente, il complimento migliore che si
possa fare a uno score dei nostri tempi.
GIANLUIGI CECCARELLI
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fondazione ente dello spettacolo
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NON DIRE GATTO...
Dopo Cosmonauta, Susanna
Nicchiarelli riabbraccia i
Gatto Ciliegia contro il Grande
Freddo per la veltroniana
Scoperta dell’alba. E non si
regola: “Se non ti piacciono i
Gatto Ciliegia non capisci un
ca**o di musica”, dice sullo
schermo. Stonante con brio.
F.P.
MISERIA E NOBILTA’
Per i fan del musical di Boublil e
Schönberg, la paura era sensibile: che
fine faranno le 49 canzoni passando per
l’ugola di Hugh Jackman, Russell
Crowe e Anne Hathaway? Ebbene,
Crowe fa di Stars e Javert’s Suicide
delle chicche emozionali, e pazienza se
non becca tutte le note, mentre il
Valjean di Jackman rende onore alla
celebre Bring Him Home, anche qui
puntando sull’impatto emotivo. Ma il
meglio deve ancora venire: l’inno alla
sofferenza femminile di Anne Hathaway,
I Dreamed a Dream, è puro incanto. F.P.
www.deichmann.com
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