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L`IMPRESSIONE DELLE LAMINE IN ETÀ ALTOMEDIEVALE: IL

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L`IMPRESSIONE DELLE LAMINE IN ETÀ ALTOMEDIEVALE: IL
L’IMPRESSIONE DELLE LAMINE
IN ETÀ ALTOMEDIEVALE:
IL PROCESSO TECNOLOGICO SULLA BASE
DEGLI STRUMENTI RINVENUTI *
di
CATERINA GIOSTRA
PREMESSA. LA TERMINOLOGIA
Circa la terminologia adottata per indicare lo strumento
sul quale è raffigurato il motivo da riprodurre sulla lamina
metallica mediante impressione si registra, nella letteratura
specialistica italiana, una certa disomogeneità e imprecisione:
si va dalla “forma” o matrice impiegata nel cosiddetto “lavoro
a foglia” (LIPINSKY 1964 e 1966), al modano per impressione
(DE MARCHI 1988), alla semplice matrice (BERTACCHI 1969 e
DE MARCHI 1989), al modano da sbalzo (RICCI 1994 e 1997),
alla matrice da stampo (DEVOTO 1997).
Un maggior rigore regola il lessico delle pubblicazioni tedesche: “l’archetipo” della decorazione da trasferire, in generale, è il Model (n, m. pl.); nella tecnica ad impressione si tratta
dello stampo e diventa il Preßmodel (o Preß-blechmodel), che
si distingue, a seconda che il disegno sia in rilievo oppure inciso, in positiver Model o Patrize (o anche solo Preßmodel, dal
momento che i modani da impressione noti sono quasi tutti a
rilievo) e in negativer Model o Matrize. Nel caso della fusione, invece, è il prototipo, in bronzo o piombo, destinato a creare la matrice da fusione imprimendo la sua immagine sull’argilla a chiamarsi Model (Gußmodel, Formmodel), o anche
Modell (e, n. pl.), e la valva o le due valve in argilla che prendono la sua impronta in negativo per poi restituire l’immagine
positiva nel metallo fuso sono le Gußformen (Schalenformen
o Klappformen a seconda del numero delle componenti). Anche nel caso di un prototipo in cera, da usare secondo la tecnica della fusione a cera persa, il termine può essere Modell
(CAPELLE, VIERCK 1971).
Nel presente lavoro, nel caso dello strumento da impressione si è adottato il termine “modano”, da impressione o stampo o sbalzo (senza confondere quest’ultimo con la tecnica dello sbalzo diretto, ovvero “a mano libera”), tenendo presente la
distinzione fra raffigurazioni “positive” o a rilievo (la totalità
dei rinvenimenti italiani noti), che producono un’impronta
negativa sulla superficie che viene a trovarsi a contatto con
essi, e modelli “negativi” o scavati, che restituiscono l’immagine in risalto, alle quali le fonti sembrano fare riferimento.
Destinerei invece il termine “matrice” alle forme in negativo
destinate alla fusione (matrice da fusione) e ricavate dal “modello” iniziale (modello da fusione).
Ciò viene a coincidere con la distinzione operata con maggiore coerenza nello studio della ceramica, dove si distingue la
decorazione a stampo, prodotta da punzoni o stampi, in genere
positivi, che vengono premuti sulla superficie argillosa determinando su di essa riproduzioni scavate, da quella a matrice
che si avvale di forme entro le quali l’argilla occupa spazi scavati modellando motivi a rilievo (si veda, a titolo esemplificativo, GANDOLFI 1994). Un ultimo particolare: gli stampi a rilievo, che producono una decorazione in negativo, sui materiali
“pieni” (come ad esempio l’argilla) restituiscono un’unica
immagine scavata, ma nel caso di sottili lamine, il motivo è
visibile su entrambe le facce, in negativo su quella a contatto
con il modano e in positivo sull’altra.
I MODANI DA SBALZO NOTI E LE VERIFICHE SPERIMENTALI SULLE MODALITÀ D’IMPIEGO
Nel III libro del trattato attribuito al “monaco Teofilo”
il LXXIV capitolo, intitolato De opere, quod sigillis
imprimitur, è dedicato alla tecnica della decorazione a sbalzo delle lamine metalliche mediante l’impiego di un modano.
Il testo lascia intendere che è lo stesso orafo intenzionato
ad imprimere le lastrine ad approntare lo stampo: egli deve
utilizzare una piastra di ferro dello spessore di un dito, largo tre o quattro dita e lungo un piede, priva di anomalie; la
scolpisce come si fa per i sigilli, con tratto non troppo profondo, ma moderato e accurato, raffigurando fiori, animali,
uccelli o «dracones concatenati collis et caudis», o anche
organizzando più complesse scene cristologiche o profane
a seconda della destinazione d’uso del manufatto. Quanto
al materiale destinato allo sbalzo, l’autore parla inizialmente di una sottile lamina d’argento puro e più avanti, secondo un procedimento del tutto analogo, anche d’oro, di rame
dorato e di aurichalco Hispanico (una lega di rame).
Secondo il trattato, il modano va posizionato sull’incudine con la faccia incisa rivolta verso l’alto; su di esso si
appoggiano la lamina da decorare – se è in rame dorato,
con la doratura rivolta verso il ferro – e poi uno spesso strato di piombo, sul quale si pratica la martellatura. Questa
operazione porta il piombo a spingere la sottile lamina nell’incisione dello stampo, permettendole di riprendere completamente i tratti ivi raffigurati. Se la lastra è più lunga
dello strumento da impressione, con l’aiuto delle tenaglie
sarà possibile farla scorrere e ripetere l’operazione fino a
quando tutta la superficie non sarà decorata.
La prescrizione di scolpire il supporto ferreo in similitudine sigillorum lascia intendere che il modano recasse il
motivo inciso, ovvero in negativo; a conferma di questo
particolare vi è anche l’avvertenza di posizionare le lamine
in rame dorato con la doratura (cioè il fronte) verso lo stampo, quindi l’impressione non avveniva dal retro. È questa
l’unica parziale incongruenza registrabile nel testo (non
anteriore al sec. XI) rispetto ai dati che è possibile ricavare
dai modani rinvenuti (per lo più di sec. VII), quasi esclusivamente positivi, e rispetto alle acquisizioni scaturite dalle
verifiche sperimentali effettuate sulle loro modalità d’impiego, pur esistendo sulle lamine note alcuni piccoli motivi
decorativi impressi dal negativo sul davanti.
I ritrovamenti di reperti interpretati come modani per l’impressione di lamine metalliche altomedievali (secoli VI-VIII)
in Europa sono ormai piuttosto numerosi e per lo più già noti
da tempo (una selezione è alla Tav. 1). Si tratta di oggetti prevalentemente in lega di rame – anche se non mancano esemplari in pietra arenaria e in legno di tiglio (COLARDELLE 1983;
POWELL 1956; SINGER et al. 1957) –, piatti e dello spessore di
qualche millimetro, che recano sul fronte un’ornamentazione
a rilievo piuttosto elevato realizzata mediante fusione o incisione, mentre il retro è spesso liscio; non mancano tuttavia
attestazioni decorate su entrambe le facce (Tav. 1, nn. 3 e 5)
(G ENRICH 1972; R OTH 1977; C HRISTLEIN 1974; K LEIN PFEUFFER 1993; CABROL-LECLERQ 1925). È frequente inoltre, soprattutto negli esemplari circolari, una fascia perimetrale di
ampiezza irregolare e priva di decorazione, una parte lasciata
non rifinita che sarebbe insolita in un manufatto finito (Tav. 1,
n. 3) (ROTH 1977; DRESCHER 1966; WERNER 1977); si registra
infine l’assoluta mancanza di perni di fissaggio o di sistemi di
articolazione che potessero permettere la connessione dei pezzi ad un qualunque supporto o elemento mobile.
Strumenti di tal fatta, in realtà, da un punto di vista tecnologico si sarebbero prestati anche ad assolvere alla funzione di modelli per la realizzazione di matrici da fusione
in argilla: è il confronto con prodotti finiti di forma e decorazione analoga, caratterizzati dalla realizzazione in lamina
impressa e non in metallo fuso a dirimerne l’orientamento
interpretativo (CAPELLE, VIERCK 1971).
Tra le forme più attestate si registrano quella circolare,
di grandezza che varia da un diametro di cm 2 a oltre cm 6,
e quella rettangolare allungata, in genere di altezza intorno
a cm 1,5 e di lunghezza di circa cm 5-6, ma non mancano
esemplari di forma quadrata o a “U” (Tav. 1, n. 9). Per i
modani circolari il confronto a volte assai stringente con le
lamine impresse delle fibule a disco, delle falere o dei medaglioni bratteati indica che essi venivano usati primaria-
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mente per la decorazione di tali manufatti; le forme a “U”,
invece, sono sicuramente da collegare alla lavorazione di
puntali e placche per cinture, calze, briglie equine e finimenti analoghi, mentre quelle quadrate, a seconda dell’ambito di provenienza possono trovare una connessione con
le lamine degli elmi, soprattutto nelle aree più nordiche
(BRUCE-MITFORD 1968), o piuttosto con le placche di fibbia, in particolare in ambiente burgundo e franco. Per gli
utensili rettangolari l’impiego poteva essere più esteso: sono
note, infatti, strisce in lamina metallica impressa che decoravano corni potori e bicchieri, ma anche contenitori, cassettine e secchi, foderi per armi (PÉRIN 1997).
Piuttosto vario è anche il panorama iconografico: esistono scene figurate di argomento cristiano e soggetti tratti
dalla mitologia pagana nordica, composizioni zoomorfe in
stile animalistico germanico e intrecci tratti dal repertorio
mediterraneo, motivi geometrici ed elementi vegetali, eseguiti in stili che sfumano dai modi più naturalistici alle rappresentazioni astratte. Tale complessità riflette anch’essa,
come molteplici altre espressioni della società dell’epoca,
l’incontro e la compenetrazione di tradizioni culturali e dinamiche sociali ed artigianali profondamente differenti come
quelle afferenti al mondo germanico piuttosto che all’ambiente mediterraneo.
Quanto alla possibilità di ricostruire puntualmente le
modalità d’uso dei modani nel loro impiego tecnico, i dati
prodotti dalla mirata ricerca sperimentale finora condotta
soprattutto in Germania – sia utilizzando un modano rotondo alamanno che analizzando lamine impresse (crocette
auree) – offrono una ancora preliminare, ma imprescindibile “trama” di acquisizioni che attiene all’intera sequenza
delle operazioni e ai materiali e agli attrezzi impiegati
(SALIN 1957; DRESCHER 1966; FOLTZ 1974 e 1975, KLEINPFEUFFER 1993). A integrare le riflessioni scaturite da questi
lavori su una pur circoscritta campionatura di strumenti e
di prodotti analizzati soccorre poi l’osservazione dei pur
minuti segni di lavorazione riconoscibili su molti dei modani rinvenuti o su alcuni manufatti finiti, che permette di
arricchire il processo ricostruito in laboratorio con una serie di piccole varianti tecniche, riconducibili forse ai diversi ambienti artigianali (una prima sintesi in C APELLE ,
VIERCK 1971 e 1975).
Negli anni ’60 un reperto autentico, lo stampo circolare
di ignota provenienza conservato al Römisches Museum di
Augsburg, è stato usato per l’impressione di una lamina
metallica, dopo essere stato analizzato nelle sue componenti
chimiche e nelle tecniche di realizzazione (DRESCHER 1966).
Il disco, ad alta percentuale di rame rivestito in lega di piombo e stagno, presenta sul retro una superficie liscia e lievemente bombata, mentre sul fronte la decorazione a rilievo è
insolitamente realizzata mediante la saldatura di un filo perlato.
Sul lato decorato è stata posta una lamina d’argento già
tagliata a forma circolare, a sua volta coperta da uno strato
di piombo; su quest’ultimo sono stati impressi colpi regolari di martello che hanno portato la lamina argentea ad aderire e a modellarsi sul modano, riprendendone in negativo i
motivi. Al termine dell’operazione, della durata di due-tre
minuti, la malleabilità del metallo lamellare ne ha permesso un agevole distacco dal modano. Questo processo doveva trovare un riscontro ottimale con lamine in oro e argento, ma era facilmente adottabile anche nel caso dell’impiego di bronzo, ottone e rame preventivamente scaldati onde
evitare fessurazioni mentre si modellavano sullo strumento; la sequenza inoltre, che evitava al modano di ricevere
direttamente i colpi, assicurava all’attrezzo stesso una lunga durata e ne permetteva un ripetuto utilizzo.
Un analogo procedimento è stato accertato anche per la
decorazione delle crocette auree di età longobarda
(FOLTZ 1974 e 1975). Su una base solida (un piano in legno
o l’incudine di ferro) era posto il modano, sul quale si appoggiava una lamina, a sua volta coperta dal cuoio o da
altro strato morbido come pece o piombo. Lo stampo invece doveva essere di materiale duro. Fatto salvo il legno di
bosso, altri arbusti sarebbero da escludere in quanto poco
resistenti: si romperebbero presto e il motivo decorativo,
seppure inciso facilmente, perderebbe presto di definizione; inoltre, essi lascerebbero traccia degli anelli, a tutt’oggi
ancora non riscontrati sui manufatti impressi. Anche la pietra, in genere, mal si presta all’uso in questione, mentre osso
e corno rischiano di sfilacciarsi durante l’intaglio: solo l’avorio, trattato in soluzioni saline, sembra poter dare buoni risultati. Il materiale più resistente e duraturo resta comunque il bronzo.
Quanto alla successione degli elementi sovrapposti,
infine, quella finora considerata ha trovato conferma nell’analisi della croce di Civezzano, tomba 2 (FOLTZ 1974). Il
braccio inferiore, infatti, presenta il tratto finale privo di
decorazione per uno spazio di mm 5, nonostante il modano
impiegato (che è stato possibile ricostruire interamente grazie alle altre impressioni) fosse più lungo del braccio stesso: la circostanza sembra spiegabile solo ipotizzando che il
cuoio, sovrapposto alla lamina, non arrivasse a coprirla tutta fino alla fine, impedendo così martellate utili all’impressione dell’ultimo tratto, che invece sarebbe stata inevitabile qualora il modano fosse stato premuto al di sopra della
lamina.
La sperimentazione in laboratorio ha permesso di constatare anche che la tecnica della lamina battuta sopra al
modano presentava dei vantaggi rispetto alla sequenza inversa: l’impiego di energie è minore, l’omogeneità della resa
più facilmente raggiungibile, come anche la chiarezza e la
leggibilità del motivo. In particolare, nel caso del modano
impresso dall’alto è la presenza di uno strato morbido di cuoio
o altro al di sotto della lamina a rendere ardua una impressione accurata e agevole; infine, naturalmente è maggiore la
durata dei modani non colpiti direttamente.
Nonostante tali fattori tecnici, sembra tuttavia attestata,
in qualche caso, anche la prassi della battitura sul retro del
modano; alcuni reperti infatti recano segni di martellatura e
tratti scagliati sulla parte posteriore – quando questi non
sono causati dall’incudine non ben lisciata -, oppure il retro
risulta a volte lievemente bombato così da avere scarsa stabilità sulla base di appoggio dura. È interessante, in particolare, il caso delle matrici da Björnhofda, Ksp. Torslunda
(Öland, Schweden): il complesso unitario, che si compone
di quattro piastre ritenute di due distinte serie per ragioni
stilistiche e per la loro composizione chimica, presenta segni di colpi sul retro in due sole matrici, lasciando quindi
intravedere la possibilità non solo di provenienze diverse,
ma di modalità d’uso distinte anche all’interno di uno stesso sito produttivo; questo, ammettendo che esse non siano
arrivate all’ultimo proprietario dopo essere state usate in
modi specifici da mani diverse.
Un’altra circostanza, che al momento sembra piuttosto
eccezionale, è l’impiego di modani con il motivo scavato e
non in rilievo, che venivano impressi sul lato anteriore:
quest’ultimo allora risulta presentare i tratti più netti e insieme il motivo in rilievo (FOLTZ 1975). Quanto alla martellatura, essa forse non avveniva direttamente, ma su un tassello della forma del modano che permetteva una distribuzione più omogenea della pressione, e comunque presupponeva uno strato “cuscinetto” per il quale Teofilo parla di
piombo. Dopo il primo avviamento, il materiale assumeva
l’impronta del rilievo e, nel caso di impressioni molteplici,
ne facilitava le successive riproduzioni. Il disegno stampato, poi, poteva essere rifinito a cesello, con l’arricchimento
di minuti dettagli resi da leggere incisioni.
Alla fine la lamina impressa veniva ritagliata; se infatti
nel caso di manufatti circolari è verosimile che la sagoma
venisse definita prima dell’appoggio sul modano (KLEINPFEUFFER 1993), nella realizzazione delle croci questa operazione sembra costituirne il momento finale, almeno nella
maggior parte dei casi, quando si praticavano anche i fori.
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Tav. 1 – Alcuni modani da impressione in bronzo di sec. VII. 1) Hyldagergård presso Gl. Havdrup, Seeland (Danimarca). 2)
Barton-on-Humber, Lincolnshire (Gran Bretagna). 3) Liebenau, Kr. Verden, Niedersachsen, t. VIII/100 (Germania). 4) Runden
Berg bei Urach, Kr. Reutlingen, Württemberg (Germania). 5) Gammertingen, Kr. Sigmaringen, Württemberg (Germania). 6)
Florennes, Bois des Sorcières, Prov. Namur (Belgio). 7) Suffolk (Gran Bretagna). 8) Salmonby, Lincolnshire (Gran Bretagna). 9)
Leibersheim, Riedisheim, Dép. Haut-Rhin (Francia). 10) Suffolk (Gran Bretagna). (da: CAPELLE, VIERCK 1971 e 1975; WERNER 1977;
KLEIN-PFEUFFER 1993) SC. 1:1.
Un altro gruppo di studi, da correlare al precedente, è
incentrato sulla realizzazione dei medaglioni “bratteati”
scandinavi, con particolare attenzione al materiale impiegato per il modano (MACKEPTANG 1952; ARRHENIUS 1975;
AXBOE, ARRHENIUS 1982; AXBOE 1988). Pur trattandosi di reperti pertinenti ad un differente ambito geografico e culturale – che tuttavia si rinvengono, sporadicamente, in Euro-
pa continentale e anche nella Pannonia longobarda – il materiale costitutivo, ovvero le lamine d’oro, e la tecnica decorativa a stampo ne fanno una interessante “produzione
parallela” rispetto alle “brattee” continentali, presenti soprattutto in ambito longobardo e alamanno. Alcuni fattori
distinguono tuttavia il panorama scandinavo. In primo luogo, a fronte di più di ottocento manufatti noti, non sono
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ancora stati rinvenuti modani da impressione anteriori alla
fase vichinga, per la quale invece esistono numerose testimonianze in bronzo; lo studio quindi si è basato primariamente sull’attenta osservazione delle tracce di lavorazione
conservate sulla superficie dei manufatti, oltre che sulle serie di reperti presumibilmente decorati con lo stesso utensile. Inoltre, i motivi, anche assai minuti, presentano impressioni giudicate più nitide e linee più nette rispetto a molti
prodotti continentali.
Secondo la Arrhenius, tali circostanze potrebbero essere spiegate con l’utilizzo di matrici di argilla cotta, con l’impronta in negativo ripresa da un modello in cera. Il materiale fittile avrebbe offerto alcuni vantaggi: esso poteva essere
scaldato e rallentare il raffreddamento della lamina; inoltre,
anche se di breve durata (a volte non più di un utilizzo), l’argilla era modellabile velocemente. Questo, anche in considerazione della possibilità di riprendere l’impronta da un manufatto finito, senza plasmare un nuovo modello: l’operazione portava ad una progressiva riduzione del diametro a causa
della contrazione dell’argilla durante l’essiccazione e la cottura, oltre alla graduale perdita di definizione dei tratti. La
studiosa ritiene invece improbabile l’impiego di utensili in
legno già proposto dal Salin, dal momento che la superficie
metallica riscaldata lo avrebbe danneggiato; l’essenza vegetale potrebbe invece aver costituito lo strato intermedio fra la
lamina e il martello, lasciando così gli anelli che a volte sono
stati individuati sulle brattee, oltre ai segni della stoffa
(MACKEPTANG 1952).
Di diverso avviso è invece Axboe che, pur confermando
l’uso di matrici negative, non condivide la teoria dell’argilla
modellata direttamente sui medaglioni finiti. Egli sottolinea,
infatti, come le serie di brattee con lo stesso motivo (in genere fra le 2 e le 6 unità, ma anche fra le 12 e le 14) siano
identiche anche nei difetti, nei graffi del modano e nelle dimensioni e non si spiega come non siano state eliminate le
imperfezioni, operazione che pure sarebbe stata facile intervenendo sull’argilla fresca. Inoltre, è diversa anche la valutazione che l’autore fa dei pezzi con segni meno decisi, che
non sarebbero la prova di un calco da un pezzo finito, bensì
del deterioramento di modani di materiale non molto resistente, come il legno o l’avorio. Sarebbe soprattutto l’attenta
osservazione dei segni rimasti sulla superficie a suggerire
l’uso di materiali lavorabili con compasso, scalpelli e punzoni, sostanze più velocemente lavorabili nel caso di serie limitate, mediante intaglio al posto della fusione; l’unico problema viene dalla difficoltà di lavorarli in negativo. Quanto alla
ripresa dei decori metallici, lo studioso propende per un’impronta su cera e non su argilla; in questo modo, era possibile
combinare più parti decorative e cambiarne alcuni dettagli,
pur rispettando la presenza dei simboli più significativi. Non
si può ancora escludere, tuttavia, l’esistenza di modani positivi in bronzo, magari ricavati per fusione da matrici modellate su prototipi in legno; il materiale dell’utensile, con diverso grado di deperibilità, poteva infine variare a seconda
del numero più o meno elevato di manufatti commissionati. I
motivi venivano rifiniti a freddo e spesso si aggiungevano
anche punzonature geometriche a riempimento di superfici
rimaste lisce; la fase finale era quella di una leggera lisciatura delle superfici.
L’ipotesi dell’esistenza di matrici negative in argilla richiama nell’eccezionale rinvenimento di Mote of Mark,
presso Rockliffe, Dalbeattie (England) (C URLE 1914;
LAING 1975; CLOSE-BROOKS 1978; SPEAKE 1989): l’elevato
numero di frammenti di matrici fittili recanti un decoro, diffuso nella seconda metà del VII secolo, inciso in negativo
lascia supporre un uso certo non duraturo degli strumenti
destinate a prestigiose fibule a disco. Resta tuttavia il dubbio che gli utensili fossero finalizzati alla fusione e non all’impressione.
La fase più trascurata dalla riflessione critica nell’intero processo di lavorazione dello sbalzo con modano, invece, è proprio la realizzazione dell’utensile. A seconda del
materiale impiegato (metallico o organico) il motivo poteva essere ottenuto per incisione mediante l’uso di trapani,
bulini e ceselli, oppure fuso in matrice ricavata da un modello. Quest’ultimo processo è documentato a Roma, nello
scarico della Crypta Balbi, dove sono stati rinvenuti cinque
modelli in piombo pieno fusi sulla base di prototipi in cera;
con questi modelli si otteneva la matrice da fusione che serviva alla gettata del modano in bronzo per lo sbalzo (ne
sono stati trovati otto esemplari); non manca inoltre, una
prova non finita in lamina di rame (GIANNICHEDDA, MANNONI, RICCI 2001). Il quadro dei rinvenimenti attesta i diversi
momenti del processo di lavorazione, fornendo così la prova che nell’importante manifattura romana i modani da
impressione venivano sia prodotti che usati (RICCI 1997).
Infine, a proposito delle matrici da impressione con incisione negativa, è stato evidenziato il rapporto fra la realizzazione di queste, la preparazione dei coni monetali e dei
sigilli e la glittica (FINETTI 1987).
L’analisi metallotecnica dei modani rinvenuti soprattutto in area tedesca, infine, non ha offerto elementi distintivi di
comuni e specifici ambienti di origine (CAPELLE, VIERCK 1971
e 1975); tuttavia, la circostanza che strumenti trovati nello
stesso contesto abbiano rivelato in genere composizioni sensibilmente differenti, pur essendo spiegabile in vario modo,
permette di propendere per una frequente distinzione fra i
centri di realizzazione del modano e i luoghi del suo impiego. Dal momento che proprio la produzione dell’utensile era
la fase più delicata e impegnativa dell’intero processo dello
sbalzo, soprattutto nel caso di disegni particolarmente complessi e raffinati – decisamente più agevoli erano le operazioni di martellatura della lamina e di impressione – è possibile che mentre i laboratori maggiori disponevano di una loro
produzione di stampi, gli orafi delle botteghe minori sparse
sul territorio si avvalessero spesso di utensili che venivano
commercializzati.
I CONTESTI DI RINVENIMENTO DEI MODANI E IL
RAPPORTO CON I MANUFATTI ANALOGHI
Nel piccolo nucleo sepolcrale avaro di Kunszentmárton
in Ungheria (9 sepolture), la tomba 1 risulta di grande interesse in relazione alle questioni in esame, avendo restituito
un numero elevato di modani da impressione per lamine
metalliche (una parte è alla Tav. 2), oltre a vari strumenti da
orefice nonché elementi caratteristici della condizione di
cavaliere di alto rango, per un totale di 130 oggetti (CSALLÁNY
DESZÖ 1933; WERNER 1970). La sepoltura accoglieva i resti
di un cavallo posto di traverso al di sopra dello scheletro
umano; quest’ultimo indossava una corazza lamellare in ferro ed era affiancato da alcune armi (spada, pugnale, punta
di lancia e punte di frecce). Svariati erano gli strumenti per
pesare e lavorare i metalli preziosi: una bilancia di precisione a due braccia accompagnata da nove pesi monetali
bizantini in bronzo e vetro racchiusi in un cofanetto, un
martello, una tenaglia e parte di forbici, un saldatoio e un
doppio cannello da saldatura, un’incudine, pietre per lisciare
e soprattutto almeno trenta modani da impressione in bronzo fuso con decorazione a rilievo (solo rare eccezioni erano
in ferro). Gli utensili erano destinati alla realizzazione di
manufatti di uso maschile, come guarnizioni di cintura e
parti di finimenti equini o di foderi per armi, ma non manca
un modano per orecchini del tipo “a piramide” (Tav. 2,
n. 15). Troviamo dunque pezzi a forma di “U” o doppia
“U” per le placche e i puntali delle cinture multiple, o più
allungati per lamine decorative dei bordi dei foderi di pugnale e sagome circolari e cruciformi adatte per snodi e
applicazioni di briglie. Due lamine impresse ma non ancora ritagliate sono indubbiamente dei semilavorati, uno dei
quali modellato mediante uno dei modani rinvenuti; non
mancano infine prodotti finiti. Tra il materiale si trovavano
anche una forma in negativo con l’incavo a rosetta, punzoni in bronzo e in ferro, una laminetta d’argento, scorie di
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bronzo e di ferro. In base ai confronti stilistici, gli oggetti
del corredo sono inquadrabili fra la fine del VI secolo e la
prima metà del VII.
Il ritrovamento permette alcune considerazioni. Innanzitutto l’orafo possedeva e usava un elevato numero di modani
da impressione relativo a più serie omogenee e quindi poteva produrre, soprattutto nel caso delle cinture, oggetti di diverso tipo, rispondendo così a richieste di gusto differente.
Le caratteristiche morfologiche e soprattutto stilistiche degli
stampi rimandano a distinte tradizioni artigianali: alcuni puntali recano una decorazione vegetale tipicamente bizantina,
altri presentano intrecci più propriamente avari; gli stampi
lisci destinati alle briglie hanno forme di origine scita e non
manca, infine, almeno un modano recante un intreccio in II
Stile animalistico germanico (Tav. 2, n. 18). Ciò porta ad
escludere che l’artigiano stesso abbia realizzato i suoi strumenti, che per raffinatezza e proprietà esecutiva tradiscono
mani esperte di diversa formazione; questi, piuttosto, dovrebbero provenire da centri produttivi più importanti che “commercializzavano” – o almeno diffondevano – ad ampio raggio anche i modani da impressione. Oltre alla diversa provenienza, gli utensili sembrano riconducibili a momenti lievemente distanziati fra di loro, suggerendo acquisti da parte
dell’orafo in tempi diversi o comunque un lento processo di
formazione del campionario di modani di cui disponeva l’avaro di Kunszentmárton al termine della sua vita.
Al momento della pubblicazione della t. 1 di Kunszentmárton (CSALLÁNY DESZÖ 1933) in Ungheria erano noti
tredici contesti di ritrovamento di modani da impressione,
per un totale di 140 utensili, sparsi fra la Drava e l’alto corso del Maros. Una tale distribuzione costituisce un dato
importante, in quanto indica la presenza di numerosi orafi
sparsi sul territorio e l’articolazione capillare della produzione di manufatti in lamina impressa.
Quanto alla mobilità dei modani (WERNER 1970 e
CAPELLE, VIERCK 1971 e 1975), al momento sono ancora le
ragioni stilistiche che suggeriscono a volte la mancata coincidenza fra il presumibile ambito culturale di provenienza e
l’area di rinvenimento (e di utilizzo) degli strumenti. Questo
è il caso, per esempio, del modano rettangolare in II stile
animalistico trovato a Florennes, Namur (Belgio) (Tav. 1, n. 6)
e ricondotto, in base allo schema compositivo e ai dettagli
iconografici della decorazione, ad origini anglosassoni
(WERNER 1970) o addirittura norditaliche (VIERCK 1971), oppure di uno dei modani provenienti da Suffolk (England) ritenuto di fattura merovingia (Tav. 1, n. 10) (VIERCK 1971). A
mio avviso, tuttavia, da una parte il panorama artigianale altomedievale ancora poco noto, dall’altra gli influssi e le interferenze iconografiche che riflettono, nella loro complessità, dinamiche politiche e sociali assai fluide rendono la “decodificazione” delle “presenze stilistiche anomale” un terreno ancora ostico e insidioso. Si pensi, a titolo esemplificativo, al contesto di VI secolo nell’area del palazzo vescovile di
Ginevra dal quale proviene un modello in piombo per la fusione di fibule a staffa di tipologia anglosassone, assenti nelle necropoli del territorio e per il quale non si hanno elementi
per stabilire se si trattasse della presenza di un artigiano venuto dall’Inghilterra o della committenza di una donna della
stessa origine (BONNET, MARTIN 1982).
A maggior ragione, forse, la cautela diventa d’obbligo
nell’attribuzione di manufatti che sembrano realizzati con
lo stesso modano ma che sono stati rinvenuti a una certa
distanza l’uno dall’altro. Si pensi al caso delle guarnizioni
multiple in lamina d’oro impressa trovate nella t. 1 di Trezzo d’Adda e nella t. 1 di Nocera Umbra: citate anche come
esempio della circolazione dei modani (PAROLI 1994), in realtà non permettono di escludere la commercializzazione a
distanza dei prodotti finiti, lo spostamento dell’artefice o
quello del proprietario.
Più fruttuoso si rivela invece il confronto fra i modani
noti e i manufatti che presentano le stesse caratteristiche
formali e stilistiche. Un’immagine pubblicata da Hussong
nel 1937 mostra in una visione sinottica lo stampo circolare
di Petersberg e alcune fibule a disco in lamina impressa con
lo stesso motivo ornamentale. I dischi presentano dimensioni minori e dettagli della raffigurazione che si discostano tutti, in diversa misura, da quelli dello strumento: ciò
vuol dire che esistevano più modani recanti lo stesso motivo, pur delineato con caratteri solo lievemente differenti.
Non è questa la sede per condurre una puntuale analisi di
tutti i manufatti che richiamano fortemente un modano noto,
operazione che restituirebbe dati significativi circa il rapporto fra i vari stampi, la loro provenienza e le modalità di
realizzazione, nonché sull’incidenza e la diffusione del lavoro di un orafo. Preme qui solo ricordare che l’esistenza
di più modani molto simili all’origine di grandi serie di prodotti finiti è testimoniata, per il X secolo, dal ritrovamento
di numerosi stampi circolari con analoga decorazione geometrica in diverse località della Scandinavia e della Germania settentrionale (CAPELLE, VIERCK 1975).
Indicazioni significative, ma che decisamente meriterebbero un più puntuale approfondimento, derivano poi
dall’estensione dell’area in cui i prodotti finiti sono documentati e la relazione topografica con il sito di rinvenimento del modano. In base alle valutazioni tratte da Vierck nel
1971, sarebbero quantitativamente consistenti i casi in cui
il punto di ritrovamento dello strumento è esterno all’area
di concentrazione dei pezzi finiti corrispondenti. Ammesso
che lo stato delle scoperte fosse sempre rappresentativo della
reale distribuzione dei prodotti, la spiegazione della circostanza è legata allo spostamento degli artigiani, alla continua trasmissione degli strumenti o alla particolare destinazione di oggetti forse con una precisa valenza simbolica
(magari in senso etnico) in determinate aree, mentre la produzione destinata alle comunità locali avveniva mediante
altri modani?
La possibilità di richieste diverse a seconda dei territori
fruitori sembra avvalorata dalla distribuzione delle fibule a
staffa e a “S” legate ai modelli da fusione trovati entrambi
nella tomba 6 di Poysdorf (Austria) (BENINGER, MITSCHA
MÄRHEIM 1966). Mentre la maggior concentrazione delle fibule a “S” si trova nella fascia più orientale, le fibule a staffa compaiono quasi esclusivamente nei territori più occidentali della carta dei rinvenimenti. Dal momento che i due
settori, l’uno coincidente con l’ambiente turingio-boemo e
l’altro con la regione occupata dagli Alamanni, si distinguono per numerosi fattori culturali ed economici, si è pensato a distinti bacini di circolazione dei due specifici reperti, rispondenti a diversi gusti e mode o a specifici codici di
distinzione sociale e forse anche etnica; questo, senza peraltro escludere l’eventualità che l’orafo fosse itinerante
(CAPELLE, VIERCK 1971). Mi chiedo, tuttavia, se l’opificio
di provenienza dei due modelli non sia da collocare all’interno delle rispettive aree di distribuzione dei prodotti e se
i due strumenti (forse non gli unici all’origine delle fibule
note) non abbiano seguito un iter differente prima di arrivare all’ultimo proprietario, che le ha utilizzate, fra l’altro,
anche per parures di donne longobarde.
Vi è infine la circostanza di modani che, nella loro decorazione, riproducono motivi diffusi imitandoli a volte con
tratti che tradiscono una minore padronanza e conoscenza
iconologica rispetto ai prototipi. Così, il puntale in argento
della tomba 8 di Arsago Seprio reca una figura umana frontale, con gambe incrociate e braccia alzate che sorreggono
un monogramma cruciforme a caratteri greci: si tratta dello
stesso motivo presente sul modano in bronzo da Adalia (costa meridionale dell’Asia Minore) (DE MARCHI 1989), raffigurato questa volta in modo più completo e accurato. Per
la tipologia in questione, di origine orientale ma evidentemente presente anche in territori occidentali, la produzione
doveva avvalersi di più modani anche di qualità molto differente fra di loro.
Un’ultima considerazione è dettata dalla presenza degli stampi nelle tombe. La loro deposizione insieme al pro-
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Tav. 2 – Alcuni dei modani da impressione da Kunszentmàrton, tomba 1 (Ungheria) (da CSALLÀNY DEZSO 1933) Sc. 1:1.
prietario porta a ritenere che, almeno in questi casi, essi
non venissero trasmessi in eredità o lasciati alla bottega ma
costituissero dei beni personali dell’orafo; egli, inoltre, doveva essere di condizione libera, data la frequente presenza
di armi nella tomba (GIOSTRA 2000).
Fin qui la sintesi delle considerazioni finora espresse
dalla critica in merito all’impressione delle lamine nell’alto
medioevo sulla base degli strumenti noti e dei rispettivi
contesti di rinvenimento, che offrono numerosi utili dati di
partenza, stimolanti riflessioni e molti possibili filoni di
approfondimento. Sarà ora interessante, a mio avviso, tenere presente le informazioni sopra esposte nello studio,
tuttora in corso, delle “crocette longobarde”, la produzione
in lamina impressa più significativa del panorama artigianale longobardo. Ben attestata soprattutto in Italia settentrionale, essa presenta, già ad una prima analisi macroscopica, una serie di circostanze meritevoli di una riflessione
mirata ai fini di una migliore comprensione del processo di
lavorazione e dell’organizzazione artigianale ad esso preposta.
NOTA
* Il presente contributo costituisce una nota preliminare allo
studio in corso da parte di chi scrive sulle croci in lamina d’oro di
età longobarda analizzate anche sotto il profilo tecnologico e artigianale; il lavoro è già confluito nella tesi di Dottorato Le croci in
lamina d’oro di età longobarda tra organizzazione artigianale, mutamenti ideologici e distinzione sociale, discussa nell’A.A. 20002001, tutor Prof.ssa Silvia Lusuardi Siena, Dottorato di ricerca in
Archeologia Medievale dell’Università dell’Aquila, e se ne darà
conto in altra sede.
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