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Scuola In-Oltre un`opportunità di riscatto Il carcere, la conoscenza e
in-oltre 2010:Layout 1 16.10.12 11:31 Pagina 1
“ …è una memoria di scarso valore
quella che lavora solo per il passato.”
(Da: Alice nel Paese delle Meraviglie)
Scuola In-Oltre un’opportunità di riscatto
Bellinzona, 31 maggio 2010
La forza di uno Stato si misura soprattutto nel modo in cui tratta i più deboli, cioè le persone che – per una ragione o
per un’altra – vivono ai margini della società, visto che non sono in grado o non sono in condizione di partecipare alla sua
crescita e ne subiscono gli effetti più negativi. Si tratta di una realtà umana e sociale che non può essere dimenticata. Compito dello Stato è di occuparsi di questi casi, mettendo in atto tutte quelle misure che possono servire a un loro completo inserimento o reinserimento nella società.
Tra queste persone vi sono anche i detenuti, finiti in carcere perché hanno commesso dei reati, talvolta anche molto gravi, per cui
quella stessa società, dopo averne comprovato la colpevolezza, infligge una pena proporzionata, privando il condannato della sua libertà,
per un periodo più o meno lungo. Ma il compito dello Stato non si esaurisce con l’accertamento delle responsabilità e l’applicazione di quanto la giustizia impone. E non mi riferisco tanto alla necessità di fornire infrastrutture carcerarie adatte all’esecuzione della pena o ad assicurare condizioni di detenzione rispettose di uno Stato di diritto.
Come direttore del Dipartimento dell’educazione della cultura e dello sport penso soprattutto alla necessità di assicurare ad ogni detenuto idoneo la possibilità di intraprendere un percorso formativo di qualità, anche se esso viene proposto all’interno di un regime in cui vige la privazione della libertà.
In questo senso il Ticino può essere considerato un Cantone all’avanguardia a livello nazionale, fungendo da vero e proprio pioniere con la decisone di istituire
“Scuola In-Oltre”. Dando ai detenuti idonei la possibilità di seguire dei corsi di formazione e di perfezionamento professionale, il nostro Cantone ha corrisposto
pienamente alla finalità ultima di una pena detentiva. In effetti, come recita l’articolo 75 (capoverso 1) del Codice penale svizzero, la pena deve attivare un processo di cambiamento del condannato perché possa reinserirsi nella società civile, rispettandone le leggi e quelle regole che ne governano la pacifica convivenza.
La formazione, sia essa di base o continua, rappresenta indubbiamente lo strumento migliore non solo per conseguire delle competenze professionali di qualità, spendibili a breve o medio termine nel mercato del lavoro, ma costituisce anche la via maestra per una vera e duratura emancipazione della persona in
quanto tale. Solo chi ha acquisito saperi e conoscenze può programmare la propria vita e il proprio futuro in modo indipendente. E soltanto in questo modo si
potrà essere veramente liberi: sia dalla necessità di dover dipendere da continui aiuti statali, ma direi anche – e soprattutto in un contesto carcerario – dalla
tentazione di commettere nuovamente reati per ottenere quello che si vuole.
In questo senso la “Scuola In-Oltre” offre davvero un’opportunità di riscatto per chi deve espiare una pena detentiva. Questo tempo, comunque lungo poiché
imposto, passato all’interno di un’infrastruttura carceraria, può e deve rappresentare un’occasione per poter risalire la china e riparare fino in fondo agli errori commessi.
Seguire un corso di formazione significa pertanto dare alla propria vita carceraria una dimensione più accettabile, significa darle un senso anche in quei momenti – e possono essere tanti – in cui un detenuto può facilmente perdere il senso della propria vita.
Un corso di formazione infonde l’idea in chi lo segue che ci si sta muovendo in una certa direzione, che si vuole e si può migliorare, che ci si sta impegnando
per un obiettivo meritevole, che ci si sta preparando ad affrontare la vita in modo diverso.
Esprimo quindi un profondo ringraziamento a tutti coloro che alla “Scuola In-Oltre”, all’organizzazione e alla tenuta dei suoi corsi, dedicano la propria energia e la propria passione; così come rivolgo un augurio sincero a tutti i detenuti che stanno seguendo un percorso formativo affinché possano trovarsi in una
situazione migliore rispetto a quella da cui sono partiti e poter lasciare la struttura carceraria, quando sarà il momento, con delle reali chances in più per essere cittadini a tutti gli effetti.
Gabriele Gendotti, Consigliere di Stato
Direttore del Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport
Il carcere, la conoscenza e la “libertà”
Quando don Lorenzo Milani diede vita, sessant’anni fa, alla formidabile esperienza pedagogica della cosiddetta “scuola di Barbiana” (un paesino sui monti
della Toscana, i cui ragazzi non avevano accesso agli studi), lo fece nel segno di una convinzione semplice ma forte: far capire che chi sa cinquecento parole
esercita sempre il comando su chi ne sa solo trecento. “Io sono sicuro – scriveva in una lettera indirizzata ad un direttore di giornale nel 1956 – che la differenza fra il mio figliolo e il vostro non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la parola… Ciò che manca ai miei ragazzi è dunque solo questo: il dominio sulla parola. Sulla parola altrui per afferrarne
l’intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradimenti le infinite ricchezze che la mente racchiude”. La conoscenza
e l’acquisizione culturale che ne deriva sono quindi la via maestra che conduce al riscatto, alla parità e, in termini non diversi, alla “libertà”.
È con questo spirito in fondo – così mi è sempre piaciuto pensare – che è nata l’avventura dei corsi “In-Oltre”: un percorso che ha dato, grazie all’impegno encomiabile d’ogni persona coinvolta, ottimi frutti, offrendo un’opportunità reale di formazione a coloro – soprattutto ai giovani – che nel loro cammino esistenziale hanno dovuto purtroppo conoscere l’esperienza del carcere, e che da questo luogo particolare intendono uscire riappropriandosi in modo più autentico e
forte della propria “libertà”. La libertà di sapersi confrontare in maniera nuova con la società, di saper dialogare alla pari con chi li attende fuori dal carcere,
di saper ricostruire il proprio futuro con la dignità di essere capaci – appunto – di “parlare” e d’essere ascoltati. D’altra parte non è forse questo uno degli scopi,
degli obiettivi prioritari, che la nostra comunità civile affida alle strutture penitenziarie?
Per affermare sé stessi vi sono molte strade. C’è chi crede che quella più efficace sia il ricorso sbrigativo al pugno, al calcio, alla prevaricazione costruita sulla
forza fisica, con l’illusione che sia questa la “voce” giusta e naturale da usare. Troppi ragazzi oggi (anche per l’incapacità delle loro famiglie di svolgere un ruolo
attivo d’agente educativo) lo pensano, e sappiamo tutti cosa ciò produce e a cosa conduce. Il fatto che dentro un carcere come il nostro esista stabilmente una
vera e propria scuola è in quest’ottica una realtà fondamentale. Un mezzo che certo non risolve tutti i problemi, né potrebbe farlo: è tuttavia uno strumento importante capace di trasmettere valori. I valori che ci insegnano che il dialogo – qualsiasi forma di dialogo – lo si costruisce altrimenti, non sulla violenza, e che
il rispetto dell’altro è il frutto sì di un confronto, ma costruito sul ragionamento.
Nella mia qualità di direttore del Dipartimento delle Istituzioni ho sempre cercato di prestare attenzione a ciò che avviene nel nostro carcere cantonale. Non
credo di sbagliare affermando che “In-Oltre” rappresenta una proposta senza dubbio importante fra quelle che si è riusciti a costruire negli ultimi dieci anni
all’interno di questa struttura delicata, e che soprattutto si integra bene con il lavoro d’aiuto ai carcerati che viene svolto con sensibilità ed attenzione, quotidianamente, dai servizi riabilitativi e, più in generale, dalla direzione delle strutture penitenziarie e da tutti gli agenti di custodia. Un’opportunità in più – insomma – che se fa onore al Paese, fa onore a chi sinora se ne è occupato direttamente. Il grazie che esprimo qui a loro non è solo l’emanazione della mia stima
personale: sono sicuro che è anche il segno dell’apprezzamento di tutti i cittadini ticinesi.
Luigi Pedrazzini, Presidente del Consiglio di Stato e Direttore del Dipartimento delle Istituzioni
Parole
Le parole sono importanti. Senza la parola non potremmo comunicare e quindi la conoscenza e la competenza nel collegare le parole per comunicare fatti, concetti, principi, regole, emozioni e molto ancora sono alla base di ogni progetto di vita in ogni contesto sociale. Una parola può suscitare, in chi ascolta o chi legge,
reazioni non solo legate alla comunicazione di quel momento ma può, in modo più o meno cosciente, evocare echi di altri momenti quando quella parola era inserita in una situazione particolarmente positiva o dolorosa.
La parola scuola evoca nella mente di tutti molte immagini. La scuola spesso crea un contesto di apprendimento e di crescita personale che porta un giovane all’età adulta, pronto ad interagire nella società, forte delle conoscenze acquisite. La parola scuola può anche richiamare un periodo difficile quando quanto si esigeva era al di sopra della forza del giovane in quel periodo.
La scuola In-Oltre ha il compito di dare una possibilità di crescita a delle persone, a dei detenuti, ai quali la parola scuola portava, prima di iscriversi ai corsi proposti, un significato spesso travagliato. La volontà di imparare, di migliorarsi e di interagire con altri è segno di un contesto formativo ed educativo di tutto rispetto. Ringrazio i docenti, i capi d’arte e tutti i conferenzieri nonché i responsabili della formazione che si sono impegnati con cuore e con convinzione in questa
avventura. Complimenti ai partecipanti che si sono impegnati con coraggio, affrontando i propri limiti e le proprie paure, e che hanno aiutato a dare un significato positivo e un’immagine costruttiva alla parole scuola.
Che la parola scuola, possa sempre essere associata all’apertura e alla costruzione e al consolidamento di competenze e conoscenze sia nel carcere (in), sia
nel percorso dopo (oltre).
Silvia Gada, Capo ufficio della formazione industriale, agraria, artigianale e industriale
Giugno 2010
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La formazione dei detenuti tra diritto e dovere
Messieurs, offrir à tous les individus de l’espèce humaine les moyens de pourvoir à leurs besoins, d’assurer leur bien-être, de
connoître & d’exercer leurs droits, d’entendre & de remplir leurs devoirs, assurer à chacun d’eux la facilité de perfectionner
son industrie, de se rendre capable des fonctions sociales auxquelles il a droit d’être appelé, de développer toute l’étendue
des talents qu’il a reçus de la nature; & par-là établir, entre les citoyens, une égalité de fait, & rendre réelle l’égalité politique reconnue par la loi: Tel doit être le premier but d’une instruction nationale; &, sous ce point-de-vue, elle est pour la puissance publique, un devoir de
Justice1. Così scriveva il Marchese di Condorcet a sostegno dell’introduzione della scuola pubblica obbligatoria, universale e gratuita perorando in pari tempo la parità delle opportunità per i livelli superiori di formazione. Tra il XVIII e il XIX secolo, l’obbligatorietà della scuola primaria si è affermata nella società occidentale. Per le pari opportunità nei livelli superiori, a tre secoli di distanza, ne riconosciamo certamente il principio, ma pecchiamo nell’applicazione, tutt’ora ostaggio del discorso economico. Quanto all’universalità
dell’istruzione, estesa alla comunità globale dei cittadini, siamo ancora ben lontani dalla realizzazione del sogno: troppe le nazioni dove il concetto istruzione è avulso.
Nel mondo parallelo, quello della prigione, come tutti ben sappiamo, da tempo l’Europa ha decretato l’uguaglianza del diritto davanti all’istruzione ma, seppur vero che da anni si promuovono
corsi e formazioni in carcere, è solo con la revisione del codice penale entrata in vigore il primo gennaio 2007, che la Svizzera ne parla esplicitamente, ancorando il principio nella legge2. Quanto
all’applicazione, solo a fine 2009 la formazione di base, proposta dal progetto pilota Fep/Bist3 in otto carceri della Svizzera tedesca, sarà accettata ed estesa alla totalità dei carceri dei cantoni
tedeschi (2011) e romandi (2014). E il Ticino? Ebbene, grazie ad InOltre, ma anche grazie alla sensibilità da sempre presente al carcere della Stampa verso i problemi legati all’inserimento socioprofessionale, ci troviamo ad essere esonerati dalla firma dell’accordo Fep/Bist e dalle conseguenze finanziarie che implica. Esonerati ed invidiati perché, precorrendo i tempi, il programma di
formazione adottato e perfezionato da ormai tre anni, supera la restrittiva formazione di base per iscriversi nella concezione di Condorcet: scuola pubblica, universalità e pari opportunità. In effetti, InOltre si rivolge a tutta la comunità dei detenuti: adulti – minori – uomini – donne, con un progetto di formazione che si costruisce a partire dalle capacità e conoscenze individuali e sulle
reali possibilità di integrazione sociale. La modularità dei corsi, calcati sugli stessi standards della scuola pubblica, la bassa soglia di accesso, ma soprattutto l’esperienza e il sostegno dei docenti, permettono ad ogni detenuto interessato e volonteroso di avviare la propria formazione o perfezionamento, così come il codice penale chiede. Formazione che può concludersi entro la durata della pena, ma che, per alcune persone, comincia sì in carcere per essere portata a termine fuori dalle mura. Questo a conferma di quanto il nome sotto il quale agiamo:“InOltre” contenga
e riassuma la due realtà del progetto e la sua valenza integrata ed integrativa. Sempre riferendomi a Condorcet, mi accordo licenza di affermare che, nel piccolo mondo parallelo e multietnico
delle Strutture carcerarie cantonali, realizziamo quell’universalità che la società esterna non ha ancora saputo raggiungere. Piccolo seme che potrà germogliare grazie ad ogni cittadino straniero di rientro nel proprio Paese di origine alla liberazione. Dunque possiamo dire che il sostegno e la conferma di InOltre risulta dall’applicazione delle leggi e dal “devoir de Justice ” dello Stato
e delle sue Autorità verso le persone private di libertà. InOltre si iscrive in pari tempo nel dovere della Giustizia verso i cittadini, ai quali dobbiamo ogni sforzo per promuovere il comportamento
sociale del condannato e il suo inserimento, entrambe finalizzati al controllo e prevenzione del rischio di recidiva, per una società coesa e vivibile.
Alle persone detenute rimane la libertà di iscriversi nelle opportunità offerte dalla scuola InOltre, hanno invece il dovere di realizzare il loro cambiamento; così nella formazione è loro chiesto di
dare continuità ed impegno alla loro scelta, stringendo anche i denti quando lo studio si fa gravoso.
La costatazione che possiamo fare, dopo tre anni di esperienza, è confortante. Laddove l’opportunità è reale e realmente finalizzata all’inserimento esterno, dunque al superamento del carcere,
questa trova alta rispondenza e motivazione tra i detenuti, ed è effettrice di concrete opportunità integrative.
in, Gallica, France, Assemblée nationale (1791-1792) Rapport du comité d’instruction Publique; 2Art. 82 cps – Formazione e perfezionamento; 3Centre de compétence pour la Formation dans l’exécution des peines. Decisione del 13.11.2009 della Conferenza svizzera dei Direttori dei dipartimenti cantonali di Giustizia. Vedi anche www.fep.ch
1
Luisella DeMartini-Foglia, capo dell’Ufficio di Patronato
Scuola In con uno sguardo Oltre
Eccezionale!È il meno che si possa dire quando si pensa a Scuola In-Oltre. Ha solo quattro anni di vita, ma quanta strada ha fatto! Non ha eguali, almeno alle nostre latitudini.
Vi propongo un esercizio di memoria: immaginate di tornare indietro nel tempo, solo nel 2006, al momento in cui è nata questa scuola. Alzi la mano chi avrebbe potuto immaginare che, da lì a
quattro anni dopo (oggi), si sarebbe potuto mettere in piedi un impianto formativo tanto ricco e completo. Credo che pochissimi l’avrebbero alzata (azzardo: forse nessuno!). Voglio essere franco:
io faccio parte di quella schiera che la mano, ahimè, l’avrebbe tenuta giù! Al di là delle aspettative che ho sempre riposto nel progetto, mai avrei immaginato di arrivare a tanto. E poi in così poco
tempo. Quattro anni. Un battito di ciglia nella pur breve storia del nostro Istituto. Anche in questo sta l'eccezionalità di In-Oltre. Da semplice progetto - fase questa in cui l'incertezza e i dubbi
sulla sua fattibilità la facevano da padroni - si è passati a un piccolo grande sistema formativo, integrato e autonomo alla stesso tempo. Piccolo perché tale è nel cotesto generale dell'educazione;
grande in relazione al contesto in cui è implementato (penitenziario); integrato perché parte coerente e complementare di un tutto (sistema formativo ticinese); e infine autonomo poiché capace
di svilupparsi e camminare con le proprie gambe. Oltre alla rapidità della sua messa in cantiere, l'eccezionalità del progetto appare anche in molti altri aspetti. Nel corale e convinto sostegno
delle Istituzioni ( politiche, amministrative e scolastiche) , che hanno riconosciuto da subito il valore di questa iniziativa. Senza questa premessa, che cosa ne sarebbe stato del progetto? Ma...! Il
pensiero mi conduce all'immagine del dimenticatoio. L'eccezionalità dei contenuti , che spaziano a trecentosessanta gradi su molti temi della conoscenza umana. Eccezionalità nella diversità delle
attività proposte, in grado di sviluppare competenze quali il sapere, il saper fare e il saper essere. Aggiungerei anche quella del saper divenire, ossia la capacità riflettere e ripensare al proprio
futuro...l'Oltre. Dal grande interesse dimostrato dai corsisti, manifestato in più circostanze e verificabile dall'ottima frequenza ai corsi. Dall'impegno di coloro che si sono mossi in prima linea,
mettendo in campo professionalità, competenze, conoscenze, convinzione e soprattutto cuore. Quel cuore che deve esserci in tutto quello che si fa e che a Scuola In-Oltre si è ritagliato uno spazio importante. Essenziale per fare le cose bene. L'eccezionalità è data anche dalla complessità di In-Oltre: per i contenuti, gli enti e il numero di persone coinvolti, gli obiettivi (ambiziosi), l'elemento di novità che veicola e il contesto in cui si è concretato. Credo che sia interessante questo ultimo aspetto: il contesto. Con In-Oltre si è confermata l'universalità della formazione: politica,
socio-economica, culturale e religiosa. È un diritto/dovere di tutti. Senza alcuna distinzione. Parafrasando un gioco televisivo d'altri tempi, In-Oltre è diventa una Scuola senza frontiere. Ha spezzato il filo spinato dell'indifferenza, dei dubbi e delle diffidenze di una parte (sempre più sola) della società. Concludo. Lo faccio così, come viene viene. Con piglio sereno. Di In-Oltre si è scritto
tanto. Si è detto tutto e di più (e giustamente dico io)! Credo - è probabile -che questo mio contributo non abbia aggiunto poco o niente di ciò che già si sapeva. Nulla di nuovo sotto il sole, direbbe
qualcuno. E ne convengo. Per trovare spunti veramente nuovi dovrei cercare qualcosa di intimamente mio. Solo mio. Un inciso, che è anche un suggerimento per chi mi legge: frugare nei propri
pensieri è bello. Aiuta. Si possono anche fare delle belle scoperte...Ah, sì! Credo di aver trovato uno spunto tutto mio, ma ahimè non propriamente del tutto nuovo.
La scuola che dirigo ha visto nascere Scuola In-Oltre e da subito ne ha assunto il coordinamento. Sul piano operativo, il mio ruolo è stato davvero marginale. Sono rimasto alla finestra a guardare
e, all'occorrenza, a decidere. O meglio, a (con)decidere. A tirare il carro - a fare il lavoro più duro - erano altri.
Vi devo un'ammissione: sono un direttore soddisfatto, molto soddisfatto. Appagato per quanto l'Istituto ha saputo fare in passato (giusto per chiarezza, non mi riferisco solo ad In-Oltre). Non si
è accontentato di muoversi a rimorchio. Si è dimostrato spesso molto attivo, brillando di luce propria. Conseguentemente tutta la sede è cresciuta, è maturata e ha saputo togliersi meritate soddisfazioni. Proprio tante! Ricordarle tutte è impresa ardua. Richiederebbe tempo e spazio che non ho.
Con Scuola In-Oltre si è aggiunto un ulteriori tassello all'offerta formativa. La storia della SPAI Locarno si è arricchita di un nuovo capitolo. La classica ciliegina (spero non l'ultima) sulla proverbiale torta. E allora quando, se non in queste occasioni, è giusto gioire? Con il trasporto di un bambino, non posso nascondere autentici sentimenti di gratitudine e di fierezza. Fierezza che in
piccolissima parte - permettetemelo! - voglio tenere per me e in massima parte desidero condividere con tutti quanti. Tutti coloro che in qualche modo hanno portato una pietra all'edificazione
di questo piccolo capolavoro che è Scuola In-Oltre. Un appunto finale, che è allo stesso tempo un auspicio per il futuro. Uno sguardo oltre il presente. Penso tra me e me: finora ci si è concentrati
soprattutto sull'In. Perché non fare altrettanto sull'Oltre? Sarebbe la continuazione naturale. Un'altra avventura... eccezionale!
Claudio Zaninetti, Direttore SPAI Locarno
Due passi nel Carcere…
Al termine Carcere il nostro pensiero associa subito l’idea di chiusura dove, segregate nelle quattro mura, vivono persone che hanno commesso una infrazione e devono “pagare” per il danno
fatto, secondo il principio che regge il nostro sistema giuridico, della proporzionalità. Nel nostro immaginario collettivo corre anche il pensiero del luogo di raccolta dei “banditi”, nel senso etimologico del termine degli “allontanati” dalla nostra società. Esprimendo l’idea del cittadino che preferisce categorizzare il pensiero per sua semplicità, … anche del “peggio”.
Entrandovi si scoprono persone, tra le prime gli Agenti di custodia e il personale del Servizio di Patronato, disponibili, garanti di un principio fondamentale che regge la comunicazione tra persone, quello del rispetto senza nessuna lettura trasversale sulla persona, pur conoscendone i motivi della detenzione.
Vista la composizione eterogenea di questa comunità, per etnia, origine, religione, biografia personale … l’equilibrio molto delicato regge. Tra i detenuti, le discussioni sulle partenze, gli arrivi, i
termini di detenzione, l’iscrizione ai corsi di formazione della Scuola In-Oltre, le attività negli Atelier e sicuramente il pensiero che corre sulla propria famiglia … caratterizzano i momenti di contatto. Gli incontri sono sovente fatti sul piano dove è collocata la cella o nel cortile esterno, durante i momenti liberi di passeggio. Quando si trovano, sovente in gruppi, si percepisce il sentimento
dell’alleanza al compagno e del rispetto.
La giornata è regolata da un programma preciso con gli appuntamenti: presenza nella cella chiusa, ora di passeggio, attività in palestra, Scuola, Lavoro, colloquio e il momento apprezzato dello
spaccio, perché vissuto come un rifornimento personale di viveri che portano in cella, permettendosi così un qualche vizio.
L’ora di lezione: all’entrata quasi sempre c’è una stretta di mano con il docente, i musulmani per rispetto l’accompagnano dopo al petto, al cuore; solitamente la lezione è preceduta da una chiacchierata e si inizia. Pur considerando il livello abbastanza eterogeneo di capacità dei corsisti, l’attenzione è generalmente molto buona, piace ascoltare, fare quanto chiesto, meno eseguire i compiti per la lezione successiva. Durante la lezione il docente percepisce un buon rapporto d’intesa con il detenuto e viceversa, da quanto risulta da una Valutazione fatta dal nostro sistema Qualità
della Scuola. n questo contesto particolare la Scuola - al di là di quanto possa essere importante avere una disciplina di vita negli appuntamenti che regolano la giornata, con l’opzione per il
nostro carcere della Scuola o il Lavoro - dà la possibilità di vivere un momento importante dove è privilegiata la costruzione delle conoscenze, il loro uso, l’uso della ragione,… senza, la mente
potrebbe incrinarsi se presa dall’angoscia di vivere questa chiusura dal mondo esterno, dove per effetto la semplice bagattella diventa montagna insormontabile.
Nei prossimi obiettivi della Scuola c’è la volontà di ottimizzare la formazione dei corsi secondo i parametri delle Certificazioni esterne (per le lingue, il Portfolio europeo delle lingue; per l’informatica, i Moduli I-CH o in ECDL, …) per essere meglio spendibili sul mercato del lavoro, in quanto di valenza internazionale, vista la provenienza di molti detenuti.
Per concludere posso dire che il carcere è un ambiente particolare, dove dal conflitto di chi vive una lunga privazione della libertà, emergono molti sentimenti controversi, ma autentici. Ricordo
una rivelazione alquanto sibillina fatta da una detenuta, ad una nostra conferenziere: Quando uscirai da queste mura, non guardarti in dietro perché questo posto ti cercherà ancora!
Candolfi Michel, Coordinatore corsi di Cultura generale In-Oltre
Moduli di formazione
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Il corso sulla Svizzera che proponevo per la terza volta consecutiva mi ha suscitato le medesime
domande dei due anni precedenti. Prima di tutto mi sono chiesto che taglio dare e che scelte
operare all’interno di una materia dai confini così poco delimitati… E poi: sono svizzero e
forse sono anche fiero di esserlo (o almeno mi sembra di non vergognarmi troppo quando
all’aeroporto estraggo dalla tasca il mio passaporto), ma cosa significa essere svizzeri?
come siamo visti? se ne può parlare partendo dai luoghi comuni (e difatti alla prima lezione abbiamo trattato il tema della “svizzeritudine”), ma quanto c’è di vero
e di falso attorno alle solite etichette che ci dipingono come persone precise, ordinate, affidabili ma anche un po’ noiose. Il microcosmo creatosi
nell’aula del penitenziario rispecchia abbastanza fedelmente giudizi e pregiudizi che si percepiscono all’esterno. La Svizzera viene spesso attaccata
e criticata, ma chi ci vive (anche se la critica) ammette di viverci bene. Nel
corso delle lezioni abbiamo trattato alcuni argomenti seguendo l’interesse della
maggiore parte dei partecipanti, soprattutto si è trattato di discutere (spesso
animatamente) cercando confronti con le altre culture e le origini rappresentate dai corsisti. Abbiamo percorso un breve tratto in questa foresta intricata per vedere cosa
succedeva, senza porci troppi obiettivi che avrebbero imbrigliato l’evoluzione dei nostri dibattiti.
Qua e là si intravedeva la possibilità di gettare ponti con le altre nazioni, ponti perché alle domande sulla Svizzera sorgevano spontanee e di riflesso le medesime domande sulla
propria nazione. Parlare della Svizzera ha significato parlare di identità e di alterità, tematiche mai facili neppure quando se ne discute tra persone con le stesse radici e liberi
di muoversi come vogliono. L’approccio scelto da me e in seguito insieme ai partecipanti è stato soprattutto riflessivo (o filosofico, ma non vorrei esagerare
con i termini), mentre lo spunto iniziale era dato sovente da nozioni di politica, storia e da argomenti di attualità.
Lorenzo Scascighini
Condividi un pranzo
Lasagne alle verdure
1 pacco di lasagne ca. 250 gr., cuocere “al dente”
… quale miglior modo per conoscersi e socializzare?
Durante i due incontri ognuno di noi ha potuto dare il proprio contributo per la
riuscita del pranzo, chi ha preparato la pasta fatta in casa, chi il gelato, chi era
addetto al taglio delle verdure, chi all’insalata, chi al pesce, chi alla carne e non
dimentichiamo il dolce. È stato molto bello vivere le dinamiche all’interno del
gruppo, così diverso ma così unito.
Vivere una tavolata così grande… non è da tutti i giorni… dovrò aspettare l’anno
prossimo… per riviverla?
Grazie, a presto Tamara
“Farce” alle zucchine
400 gr. di zucchine, tagliare a rondelle; un mazzetto di basilico, tagliare finemente;
sale e pepe, mischiare il tutto
“Farce” ai champignons
200 gr. di champignons, tagliare a lamelle; un cucchiaio di succo di limone, bagnare i champignons; un mazzetto di prezzemolo, tagliare finemente; sale e pepe, mischiare il tutto
Salsa
5 dl di latte, portare ad ebollizione; 200 gr. di fontina, grattugiarli con la grattugia “rösti”;
sale, pepe, noce moscata, aggiungere e lasciare cuocere finché il formaggio si sciolga
Preparazione
Mischiare 1/3 della salsa con le zucchine e 1/3 con i champignons. Preparare una teglia
imburrata e iniziare a preparare le lasagne alternando gli strati di zucchine e champignons. Da ultimo versare il resto della salsa ed aggiungere del formaggio grattugiato.
Cottura
30 minuti nel forno a 220 gradi
Come docente presso la SPAI di Locarno mi è stato chiesto, tramite il vicedirettore Michel Candolfi, di presenziare a 4 incontri pomeridiani con i carcerati
della Stampa per il progetto “IN-OLTRE”.
Non essendo mai stato in un carcere, di primo acchito ero un po’ titubante
nell’accettare questa proposta, poiché sarei stato a contatto con persone
che, trovandosi in carcere, hanno infranto la legge anche se, non giustificando nessuno, ognuno di noi nel proprio percorso può commettere degli
sbagli.
Alla Stampa i detenuti svolgono diverse funzioni, ma la più ambita è diventare il cosiddetto “scopino”, la persona che si occupa della pulizia
interna, che guadagna meglio degli altri detenuti e quindi ha una posizione
privilegiata, come ad esempio avere la cella aperta e quindi potersi muovere liberamente all’interno del carcere.
Questi incontri, denominati “cura degli spazi comuni”, avevano come scopo quello di
conoscere e riconoscere i prodotti adeguati ed il loro uso (dosaggi, valore pH e pittogrammi).
Gli “scopini” hanno reagito bene alle lezioni, hanno apprezzato il materiale didattico
da me proposto ed ho notato una certa unione tra di loro, aspetto che mi ha colpito in
modo positivo.
Sempre dal lato professionale ho avuto una buona impressione e sono rimasto soddisfatto dalla loro partecipazione.
Dal lato umano posso dire che durante quest’esperienza ho legato molto con i detenuti, scoprendo in loro un lato che non mi sarei aspettato di trovare e, per questo motivo,
l’ultima lezione si é svolta a malincuore da parte mia.
Ad ogni modo é stata un’esperienza che rifarei sicuramente, nonostante la mia iniziale titubanza, e che consiglierei ad ogni docente.
Vito De Vito
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Moduli di formazione
Nel corso del 2009 Mauro Broggini ha contattato la nostra azienda per chiederci se fossimo
disposti a presentare il tema delle assicurazioni sociali, la previdenza e le assicurazioni in
genere nell’ambito del corso “Creo un’azienda” tenuto da Luca Dattrino per il progetto InOltre. Con il collega Enrico Pelloni abbiamo accettato volentieri, pur sapendo che si tratta
di materia ostica. Nulla a che vedere con altri momenti sicuramente molto più entusiasmanti che ci sono stati segnalati da Mauro, come la visita di Massimo Busacca.
Abbiamo preparato una presentazione di alcune ore in cui parlare dei concetti di base,
non sapendo che interesse potesse suscitare tutto questo nei partecipanti. L’idea
era di fornire qualche indicazione affinché chi in futuro dovesse decidere di creare
una piccola azienda per proprio conto sappia quali siano le esigenze assicurative
e previdenziali principali.
Il giorno del corso, tenuto a fine marzo, è stata la nostra prima esperienza a contatto con una struttura carceraria, non sapevamo esattamente cosa aspettarci. Alla fine
abbiamo avuto l’impressione che la presenza di agenti di custodia ed i controlli nei nostri confronti fossero meno ossessivi di quanto ci aspettassimo.
Lo svolgimento del corso è stato interessante, soprattutto perché ci sono stati molti interventi e domande da
parte dei partecipanti, che hanno rotto la possibile monotonia di un monologo. Abbiamo constatato che le domande
poste erano simili e quelle che in generale tutti pongono nel nostro ambito di competenza: la sensazione che non sempre gli
istituti previdenziali facciano fino in fondo l’interesse delle persone assicurate, la sensazione che vi possa essere una disparità di trattamento nell’erogare determinate prestazioni in caso di sinistro, eccetera.
Le competenze dei vari partecipanti erano chiaramente diverse, per cui alcune domande molto puntuali e dettagliate si alternavano a domande generiche. Uno dei partecipanti ci ha anche fatto giustamente notare che un corso incentrato sul sistema assicurativo svizzero attuale non poteva avere un’utilità pratica immediata per le persone confrontate ancora a lunghe pene detentive, o le persone non svizzere che dopo avere scontato la pena avrebbero fatto ritorno al loro
paese d’origine. In questo senso va ancora più apprezzata la partecipazione ed attenzione di tutti i partecipanti.
La pausa è stata un momento cordiale, in cui abbiamo discusso liberamente del più e del meno con i partecipanti, dalle cose più serie fino al pasto pasquale o ad una nota di
biasimo per il pessimo stato del campetto di calcio che in quel giorno piovoso mostrava effettivamente tutti i suoi limiti.
Nell’ultima ora si percepiva un netto calo d’attenzione, cosa più che comprensibile dopo due ore passate a parlare di coperture assicurative. Accade anche a noi quando partecipiamo a corsi d’aggiornamento professionali!
Ringraziamo Mauro Broggini e Luca Dattrino per averci offerto la possibilità di vivere questa particolare esperienza, ed i partecipanti per la positiva accoglienza.
Fabrizio Garbani Nerini
A lato di questa esperienza professionale mi è stato chiesto di esternare le mie emozioni per il Corriere In-Oltre, il giornalino stampato al Penitenziario cantonale. Ho
detto subito di sì. Insomma, che sarà mai? Butto giù quattro balle e via: vuoi che non
abbia niente da dire dopo un’esperienza così insolita? No problem. A distanza di qualche mese posso affermare di essermi sbagliato.
Già! Non è infatti facile descrivere questa esperienza. Insomma: cose da raccontare
ve ne sono, eccome. Si è trattato di un’esperienza insolita, intrigante, per certi versi
unica. Non vi è stato nulla di scontato, durante quei venerdì pomeriggio. Ma forse proprio per questo, per questa sorta di griffe di unicità, mi ritrovo così carico emotivamente da non aver voglia di raccontare nulla, di volere tenermi tutto dentro, anche a
distanza di giorni. Come se le parole avessero autonomamente deciso di rimanere
dove sono. Perché sembra giusto così. Perché forse lo è.
dia, apertura di una seconda porta-cancello, chiusura della seconda porta-cancello,
annuncio al capo agenti di custodia (“esco, arrivederci, buon lavoro“)… poi venti metri
di corridoio spoglio sopra il cortiletto esterno per le visite dei detenuti, uno sguardo
al locale con i giochi per i bambini, una nuova porta-cancello, campanello e “zzz“ lungo
di un citofono, apertura, chiusura e due rampe di scale a precedere l’interminabile
budello piastrellato che collega il carcere penale al “giudiziario“ e agli uffici. Poi altro
“zzz“ da citofono, porta che si apre, porta che si chiude, armadietto per ritirare il telefonino (vietato all’interno), ancora una porta che si apre e poi si chiude, consegna del
tesserino, saluti, di nuovo una porta, cortiletto interno, lo scorrere del cancello principale. Arrivederci a venerdì.
*******
Tuttavia qualcosa devo scrivere. Ho preso un impegno, ci sono delle scadenze. Quelle
quattro considerazioni che mi sembravano tanto facili le devo in qualche modo buttar
giù. Racconterò allora alcuni aspetti diversi di un’esperienza diversa, senza pretesa alcuna, se non quella di condividere con chi legge le cose osservate, le emozioni più scontate, più facili. Quelle difficili, intime, concedetemi di tenerle per me ancora un po’.
Le mie lezioni in carcere avevano come tema l’auto-imprenditorialità. Insomma: come
creare un’impresa, come mettersi in proprio. In questo ambito abbiamo progettato
un percorso che ci avvicinasse alla redazione di un vero e proprio business plan, comprensivo di analisi del mercato e di riflessioni sul management, oltre che equilibrato
e sostenibile da un punto di vista finanziario. Alcuni dei progetti poi elaborati o soltanto
immaginati (non tutti ne avevano uno) mi hanno colpito per la positività della visione
imprenditoriale e per la sincerità e genuinità con le quali sono stati ideati. Ne segnalo
alcuni: gelateria con mini bar in Albania, agriturismo in montagna, cito, “rivolta al benessere collettivo e per far star meglio le persone“, self-service per panini “fai da te“,
raccolta di rifiuti speciali, coltivazione e commercializzazione dello zafferano, officina
per riparazioni di moto…
*******
*******
In merito alla mia esperienza di docente in un carcere mi sono sempre state chieste
due cose: che senso ha insegnare in prigione (“gli diamo pure questo, allora…”) e se
non ho mai avuto paura a rimanere da solo, chiuso in un’aula con dodici detenuti (“e
se uno ti branca e ti infila una matita nel collo?”). Alla prima domanda ho sempre risposto di sì, che insegnare e proporre formazione in un carcere ha senso. E non solo:
è qualcosa di intelligente, che va oltre l’occupare semplicemente del tempo. La formazione e la scuola servono a creare aspettative per il dopo, a motivare. A guardare
“oltre“ e altrove con qualche prospettiva in più. Non perché alcuni hanno vissuto momenti d’ombra è necessario negargli una luce.
Le tre ore abituali di lezione che contraddistinguevano i nostri venerdì pomeriggio venivano scanditi da due momenti di pausa, decisi collegialmente durante la prima lezione. La prima pausa, brevissima, era la cosiddetta pausa-sigaretta. La seconda,
quella vera, era la pausa caffé ed era abitualmente annunciata da un corsista che si
alzava dal banco, si dirigeva verso il fondo dell’aula, afferrava una brocca per l’acqua,
la brandiva da lontano e aspettava il mio “ok“ prima di accendere la caffettiera. Un
altro si occupava di preparare i bicchieri e di versare lo zucchero. Ci si passava di mano
un solo cucchiaino. Era il nostro momento conviviale, quello durante il quale ci si
scambiavano racconti e opinioni che esulavano dal business plan, dal cash flow, tariffe
orarie, meteo e quant’altro. Ho ascoltato storie di carcere, condiviso a parole le loro
giornate, i momenti di noia, quei mancati momenti intimi, non fosse che una cena con
la moglie…, i libri che stavano leggendo, i programmi tivù che avevano appena visto,
le loro verità sugli aspetti giudiziari, raccontate con lucidità, senza cercar scuse.
Alla seconda domanda ho sempre risposto con un sorriso. Si possono capire le perplessità. Ma, davvero: mi sono sempre trovato bene, chiuso in quell’aula stretta, poco
illuminata e bruttina, con dodici detenuti “pronti a tutto”. Anzi: sono sempre entrato
volentieri in aula, poiché fin dalla prima lezione ho avuto e provato buone sensazioni.
Ho trovato persone intelligenti, sveglie, soprattutto interessate e motivate. E con il
trascorrere delle lezioni ho avvertito che mi aspettavano, che c’era del piacere in
quello che loro davano e per quello che facevo.
*******
Uscire dal carcere è altrettanto difficile che entrare. Controllo dell’aula da parte di
una guardia, uscita sull’atrio della biblioteca, scala, attraversamento del cortile per
l’ora d’aria, attesa ad una porta-cancello, apertura della porta-cancello, chiusura
della porta-cancello, breve passaggio con metal detector accompagnato da una guar-
Quei momenti, quei caffé, sono qualcosa che non dimenticherò mai. Sono il bene e il
male che segnano le nostre vite. Sono gli errori commessi e che a volte si commettono. Sono il tempo perso verso qualcosa che potrà e dovrà accadere, magari in modo
diverso. Non ho mai voluto giustificare, né giudicare. Non sono nessuno per doverlo
fare. Mi sono solo trovato bene, tra gente che ora non sta bene: per sfiga, maledizione
e colpe proprie. Ho forse imparato più cose di loro. Ne sono quasi certo. Di sicuro, ho
dato un nuovo valore e un significato più vero alla frase che precede il programma di
scuola e formazione in carcere, tratta da Alice nel Paese delle Meraviglie. “…è una
memoria di scarso valore quella che lavora solo per il passato“.
Luca Dattrino
Disegno di Ivica
Quando mi è stato chiesto di insegnare in carcere ad un gruppo di adulti ho quasi subito detto di sì, senza riflettere più di quel tanto. Un’esperienza intrigante, mi ero
detto. Il mio intuito mi suggeriva poi che tutto sarebbe andato per il meglio. A distanza
di qualche mese posso affermare che non si era sbagliato.
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Dimitri e il piacere di ridere, “dentro” e “fuori”
Quando l’amico Mauro Broggini mi ha chiesto di pensare alla possibilità di una conferenza per la scuola InOltre, non mi sono trovato di fronte alla prospettiva di una “prima assoluta”. Già alcune volte, nel corso
della mia carriera, avevo avuto l’opportunità di esibirmi in ambienti carcerari; non troppi anni or sono,
avevo anche visitato la Stampa.
Da subito, però, la mia nuova visita si è rivelata all’insegna delle sorprese. Appena entrato nel cortile della
prigione, sono stato avvicinato da un bell’uomo sudamericano, che – dopo essersi fatto riconoscere – mi ha
abbracciato. Da bambino, con la sua famiglia, aveva dovuto fuggire dal Cile del dittatore Pinochet: giunto
in Svizzera con la sua famiglia, era stato ospite per due anni a Cà Danza, la casa nelle Centovalli dove mia
moglie Gunda ed io abitiamo da quasi mezzo secolo. È stato un incontro inaspettato, emozionante e commovente: il preludio per una giornata davvero speciale, proseguita con un film nel quale vi ho mostrato alcuni aspetti del mio lavoro di clown., e conclusa con le fotografie per le quali abbiamo posato insieme.
Nella bella giornata trascorsa insieme, ho avuto il piacere di sentirvi ridere, e vedere il lato migliore di chi
è “dentro”: viceversa, chi sta “fuori” è spesso preda – proprio come è accaduto a voi – del lato oscuro che
fa parte della nostra natura. È stata una giornata che, se possibile, ha quindi accresciuto in me la sensazione che il male – le ragioni che portano alcuni di noi a compiere azioni terribili – sia spesso un enigma.
Un enigma, di fronte al quale l’unica risposta a nostra disposizione resta il credere che ci sia sempre una
chance per cambiare, leggere, crescere, pentirsi, fare il bene; il credere che “dentro” e “fuori” siano due
fasi della nostra vita, senza che l’una escluda la possibilità dell’altra. Proprio questa idea, ho voluto esprimere nel disegno che trovate riprodotto su questa pagina, e che rappresenta il mio ricordo della giornata
trascorsa insieme.
Vi auguro, amici della Scuola In-Oltre, che il progetto al quale state partecipando continui anche in futuro
con lo stesso entusiasmo. Di certo, avremo altre occasioni per rivederci. Forse per uno spettacolo, che mi
piacerebbe proporvi insieme ai miei artisti della compagnia di Verscio; o magari – se ce ne sarà la possibilità – per un esperimento in cui siate voi a salire su un palco, come protagonisti.
Un caro saluto a tutti, dal vostro amico Dimitri.
(Testo raccolto da Oliver Broggini)
Disegno di Keita
Condivido profondamente l’idea alla base della scuola che frequentate; penso sia animata da due concetti
tra i più importanti, tra quelle che chiamiamo le “radici cristiane” della nostra società: il perdono e la speranza. Troppo spesso, attorno a me, sento persone comuni e politici parlare come se l’unica dimensione che
conta nella giustizia – e in una realtà come il carcere – sia la punizione. Certo, è vero che voi – in maniera
diversa per ciascuno – avete una pena da scontare, un tributo da versare per le azioni del vostro passato:
tuttavia, con l’odio si crea solo altro odio, come ci insegna per esempio – ad un’altra scala – la cosiddetta
“Guerra al terrorismo”. La punizione non dovrebbe mai trasformarsi in qualcosa di disumano.
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Conferenze
A scuola in Africa
Durante il mio secondo pomeriggio informativo al penitenziario ho parlato di scuola e
la scelta del tema non fu casuale. Coloro che per un periodo più o meno lungo della loro
vita devono soggiornare in questa istituzione hanno la possibilità di seguire un curriculum scolastico che, anche se limitato nel tempo e nelle materie di studio, li porta a
nuove conoscenze preparandoli ad un futuro migliore.
Perché allora non parlare di scuola anche in questo particolare ambito? Le mie recenti
esperienze umanitarie in Africa mi hanno avvicinato alle problematiche che sono insite
nella scuola africana dove i mezzi finanziari mancano paurosamente e dove l’unica leva
sulla quale si può agire è quella della motivazione di genitori, allievi e docenti.
Certo il tasso di alfabetizzazione è molto basso in Africa, non supera un terzo dei bambini in età scolarizzabile, ma deve essere anteposto alle difficilissime condizioni di accesso alla scuola.
La scuola è finanziariamente insostenibile per la maggioranza delle famiglie africane
e la scarsa presenza di aiuti pubblici non agevola per nulla il sentimento dei genitori
verso un obbligo che toglie forza lavorativa alle famiglie. Per gli allievi stessi la situazione non è più facile: svegliarsi quando è ancora buio, percorrere a piedi nudi sentieri sconnessi, assistere per ore alle lezioni impartite in aule sovraffollate e con
temperature infuocate, tornare a casa a metà pomeriggio, deporre libri e quaderni e precipitarsi al pozzo per attingere l’acqua e raccogliere legna per la cena. Nessun doposcuola, nessuna rilettura della lezione perché il petrolio della lampada costa e a chi se lo può permettere brucia gli occhi.
Anche il livello dell’insegnamento è basso legato com’è alla scarsa preparazione di docenti che ricevono con mesi di ritardo – quando li ricevono – i duecento franchi di stipendio e che operano in condizioni estreme: insegnare e mantenere la disciplina in classi con oltre novanta allievi, correggere componimenti fino a tarda notte alla luce di
una torcia posata fra nuca e spalla…
Quest’anno mi sono occupato di una scuola nel sud del Niger ed è di questa struttura che ho voluto parlare durante il pomeriggio informativo. La scuola di Sadoré è una scuola
di paglia, non certo per sottolineare la fragilità dell’istituzione ma perché le aule sono costruite con stuoie di paglia e pali infissi nel terreno sabbioso. Ho spiegato ai convenuti lo stato di estrema precarietà della scuola e l’ho messo a confronto con la commovente volontà di imparare degli allievi e la notevole dose di entusiasmo dei docenti.
Tornato in Svizzera mi sono impegnato nella ricerca dei fondi necessari alla costruzione della scuola in materiale solido. Per l’inizio dell’anno scolastico 2010 gli allievi saranno ospitati in un nuovo complesso moderno, funzionale, luminoso ed accogliente. La mia piccola esperienza africana mi ha sempre portato a diffidare delle grandi realizzazioni governative privilegiando piccoli progetti di sviluppo voluti dalla popolazione e che la popolazione stessa contribuisce a realizzare.
L’interesse dimostrato dagli intervenuti a questo pomeriggio informativo, le loro domande e il racconto del loro vissuto hanno riconfermato la consapevolezza che l’istruzione, ad ogni latitudine, è imprescindibile dal progresso e dall’evoluzione.
Pietro Marci
Dentro e fuori lo
show-business
È strano ripensare alla mia visita
al carcere La Stampa. In mente mi
ritornano differenti emozioni, un
misto di ansia, curiosità, tristezza e
allegria. Ma cominciamo dall’inizio… Ia
mia visita era legata al fatto di incontrare i carcerati, sia donne che uomini, e
di parlare loro della mia esperienza dentro e fuori dai media, dell’apparire e dell’essere, cioè l’essenza e l’apparenza.
Prima di arrivare lì provavo un sentimento
strano, come detto, di ansia, non direi paura.
Mi sono chiesta cosa avrei visto, di fronte a cosa
mi sarei trovata, e a chi soprattutto. La curiosità
ha avuto il sopravvento sulla mia indecisione e
forse la paura di qualcosa che ci sarebbe stato all’interno ma che io conoscevo solo dall’esterno. Eppure mi affascinava l’idea di conoscere cosa si cela
dietro le mura di una prigione, come si svolge la quotidianità. Non chi vi è lì.
Se devo dire la verità sono rimasta impressionata, positivamente, più dalla visita nel carcere maschile che da
quello femminile. E ritorniamo agli stereotipi di sempre:
credevo e credo nella cooperazione femminile (spero di non
essere l’unica donna con questa convinzione), quindi mi
aspettavo che le donne mi accogliessero in modo migliore
degli uomini, o per meglio dire che mi mettessero a mio agio.
Invece durante il nostro incontro, tra un misto di timidezza e di
arroganza ingenua, mi sono bloccata e non sapendo come poter
esprimere quello che avevo in testa (forse mi sono posta male io),
la discussione è svanita pian pianino bevendo un caffè e parlando
di quello che a loro mancava nel carcere, la tinta per i capelli o il
deodorante. Discorsi non futili, ma il mio compito e il mio scopo erano
ben altri.
Invece molto positivo ho trovato l’incontro con la parte maschile. Ho
cominciato a parlare dei miei interessi in ambito sociale e di benevolenza, mostrando filmati di ogni genere, dalla mia visita in Africa del Sud
al Villaggio SOS Bambini, al mio viaggio in Tadjikistan
con la Fondazione Svizzera Antimine. Prontamente
tutti ponevano domande intelligenti e la discussione si è profilata a lungo termine in un’atmosfera di rispetto reciproco e di acutezza. Le
stesse persone con passati di violenza, sbagli o
problemi giuridici, hanno mostrato un che di
vero, di genuino, di amore verso il prossimo.
Non che io pensassi il contrario. Errare
Umanum est, dicevano i latini, e fin qua ci
crediamo tutti. Ma in un contesto del genere, mi trovo davanti a una ventina di
uomini, per dire una metafora, al
branco e di colpo questi mostrano
quella sensibilità che prima non avevano o che avevano, ma non sapevano di avere.
Per dirla in breve, sono rimasta
positivamente colpita dalla mia
visita al carcere e credo che ci
ritornerò un giorno o l’altro.
Con simpatia
Christa Rigozzi
Disegno di Uzo
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Conferenze
Dove va questa terra
Dall’esperienza che ho potuto fare al carcere il 12 febbraio
2010 mi sono restate impresse soprattutto due cose.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è stato il grande interesse che i carcerati, quali ascoltatori, hanno mostrato e l’ottimo livello delle loro domande poste durante la mia lezione,
o chiacchierata sui ghiacciai e sui cambiamenti climatici. Domande e commenti ben oltre a quello che sono abituato da
altre conferenze.
Ovviamente mi ha lasciato perplesso il gran numero di porte,
cancelli, passaggi di sicurezza
ecc. che ho attraversato prima e
dopo il nostro ritrovo. Sono tornato a casa con un livello di gratitudine
aumentato,
per
l’esperienza che ho potuto fare,
e per apprezzare ancor di più ciò
che mi circonda, poter vivere in
Ticino, una regione tra le più
belle del mondo, per la sua geografia, il suo clima e con un’abbondanza d’acqua in particolare.
Acqua d’ottima qualità e che
esce semplicemente dal rubinetto. Pochi sono così fortunati.
Eravamo partiti dal terremoto di
Haiti, verificatosi poco tempo
prima e dovuto al continuo movimento delle placche tettoniche; avevamo parlato di altri
eventi naturali, per parlare dei
ghiacciai quali indicatori del
clima che cambia. Quale docuGhiacciao del Basodino, il più grande del Ticino,
mentazione avevo portato delle
poco più di 2 km2, visto dal lago Nero.
immagini, in maggior parte riprese durante le mie esperienze
che ho potuto fare in giro per le
montagne qua e là attorno il globo.
I miei nonni si erano trasferiti a Lugano 100 anni or sono. Il
nonno paterno quale albergatore, quello materno quale commerciante, ma pure grande amico della montagna e della natura in generale.
Suo figlio maggiore, mio zio Augusto Gansser – noto geologo,
99 anni, residente a Massagno – aveva fatto uno schizzo dell’Adula, nel 1930: schizzo che ho rifatto una settantina di anni
dopo e sul quale il ghiacciaio del Paradies, che scende sulle
pendici grigionesi dell’Adula, era scomparso.
Il motivo del ritiro accelerato e generalizzato dei ghiacciai è
l’aumento globale della temperatura atmosferica, dovuta con
altissima probabilità all’aumento dei gas serra nell’atmosfera
provenienti dall’attività umana che ne è responsabile. La comunità scientifica concorda sempre di più su questo fatto e fa
delle proiezioni per il futuro. Fino alla fine del 21mo secolo le
temperature medie potrebbero – secondo le conoscenze attuali – aumentare da +1.4° C a +5.8° C. Ciò si ripercuoterà in
maniera molto sfavorevole per tutti i ghiacciai, portando ad
una loro massiccia riduzione. Secondo uno scenario che preun resto di ghiacciaio presso il cratere del Kiliman- vede un aumento della temperatura di solamente 1° C, nei
giaro, 5900 m, Tanzania, novembre 2008. La scom- prossimi 20 a 30 anni, oltre metà dei ghiacciai sarà sparita;
parsa dei ghiacciai tropicali sembra esser dovuta in nel 2050 saranno scomparsi ¾ dei ghiacciai attuali.
particolar modo alla mancanza di nevicate consi- E le conseguenze del riscaldamento e del progressivo ritiro
stenti. Il ghiacciaio si frantuma e fonde in particolare dei ghiacciai?
sulle pareti, a causa del riscaldamento del suolo con Sicuramente ve ne saranno per chi abita sulle zone pianeggianti
il sole.
al bordo dei mari, a causa del suo progressivo innalzamento.
Qui da noi in Ticino potremmo vivere ovviamente anche senza
ghiacciai. Vi sarà una perdita d’attrattività del paesaggio attorno
alla vetta dell’Adula o del Basodino e verrà
a mancare quella riserva d’acqua che veniva buona nei periodi di siccità estivi. Ma
la riserva d’acqua maggiore proviene dalla
falda e questa dipenderà dall’evoluzione
delle precipitazioni e di cui si sa poco. Se
l’evoluzione della temperatura sembra
piuttosto sicura, per quella delle precipitazioni l’incertezza è maggiore. Esse hanno
una gran variabilità che probabilmente
tenderà ad aumentare ancora di più. Più
colpita sembra poi essere la zona del Mediterraneo e dell’Africa settentrionale,
dove le precipitazioni sono già più scarse e
dove tendenzialmente sembrano diminuire
ulteriormente in tutte le stagioni dell’anno.
Un aumento della pressione demografica
da parte di quelle popolazioni verso nord
ne sarà una probabile conseguenza. Ma
sappiamo veramente troppo poco su come
Adula ripresa da est, dalla zona della capanna Zapporth.
si evolverà la situazione, come potrebbe reagire la circolazione atmosferica dopo un ulteriore massiccio riscaldamento. Ricordiamoci che dell’aria riscaldata di
un grado ha la capacità di contenere 7% più umidità:
contemporaneamente aumenta dunque anche il potenziale energetico dell’atmosfera e con esso la possibilità di eventi estremi. Vi saranno probabilmente nuovi
equilibri, che si discosteranno maggiormente da quelli
che siamo abituati ad avere. La natura ritroverà sicuramente un suo equilibrio, la specie umana avrà più
difficoltà. Sarà richiesto un grande adattamento.
Negli anni ‘70 ho potuto passare due volte 6 mesi su di
un isolotto canadese in prossimità del polo nord, per
fare degli studi climatologici e glaciologici. Nel bel
mezzo degli orsi polari. L’orso era il re ed io l’intruso:
mi ero detto che se riuscivo a vederlo sempre come
primo, avrei potuto convivere meglio, evitando il confronto ravvicinato. Avevo si il fucile, ma non volevo ovviamente uccidere il re dell’Artico! Per finire ci ero
riuscito, anche con qualche momento avventuroso,
vista la curiosità e l’incertezza sul modo di reagire di
quei magnifici esseri. Il soggiorno ha comportato parecchio tempo d’osservazione della zona, uno scrutare
giornaliero dei dintorni con il cannocchiale, in modo
meticoloso. Un’osservazione della natura, che ha aiutato anche a capirla e apprezzarla meglio. E di conseguenza rispettarla maggiormente.
Un rispetto che penso sia importante verso noi stessi,
verso gli altri e verso Madreterra.
Giovanni Kappenberger
Il ghiacciao del Basodino, 2700 m, agosto 2008. In
base al marchio applicato sulla roccia l’estate precedente, si può realizzare la perdita di spessore del
ghiaccio durante un anno. Lo spessore medio del
ghiacciao è circa 25 m, per cui con delle perdite
medie di un m all’anno, la sopravvivenza del ghiacciaio non oltrepasserà 2 o 3 decenni….
Orsi polari – i re dell’Artico- alla finestra e davanti
alla capanna. In mancanza di ghiaccio marino, della
banchisa, l’orso fatica a trovarsi il cibo, siccome si
nutre esclusivamente di foche. Coburg Island, 77
gradi N, Canada, estate 1975.
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Lezioni di storia
Riflessioni ed emozioni
DA PARTE DELL'INSEGNANTE.
BREVE CRONACA
DI UN'ESPERIENZA DENTRO
Aprile-maggio 2009. Incontro casualmente Mauro Broggini al CSIA. Due chiacchiere veloci – scambio rituale di informazioni salute-famiglia-scuola. Tutto bene. Nulla di
nuovo. [Sorriso] Un attimo di silenzio: preludio di un momento importante. Mauro mi parla della scuola In-Oltre.
Coglie il mio interesse e la mia curiosità e mi lancia rapido
la sfida: preparare un corso di Storia per i detenuti del Penitenziario. [Flash] Senza riflettere accetto. Tipico mio. Le
navi in partenza verso mondi inesplorati esercitano su di
me un'attrazione fatale. Lascio la riflessione e la ponderazione al primo mal di mare...
Luglio-agosto 2009. Le prime nausee mi rubano il sonno
[Mii, che ho fatto?]. Non conosco la vita in carcere e non
mi piace affidarmi ai soliti cliché. Ad un tratto la curiosità
e l'entusiasmo per l'ignoto si fanno paura e preoccupazione. Sono abituata a studenti aspiranti artisti e un po' sognatori, alla ribellione adolescenziale verso un mondo che
sembra non comprenderli, alla loro smania mista a paura
di una vita non ancora vissuta appieno - a una realtà che
è stata anche mia. Non a uomini che hanno sbagliato
grosso e che stanno espiando la loro pena. Esiste un manuale di comportamento per tali situazioni? Mi sento insicura.
Fine agosto 2009. Visita guidata al carcere con la Signora
DeMartini e “istruzioni per l'uso” . Un pugno nello stomaco. Il senso della privazione della libertà si fa sempre
più penetrante. Atmosfera rarefatta e opprimente. Spazi
grigi e vuoti. Inquietante microcosmo di chi vive una “vita
dentro”.
Settembre 2009. Inizio delle lezioni al Csia e alla scuola
In-Oltre. C'è fermento nell'aria... Il piacere misto a rammarico per la ripresa dell'anno scolastico, di una certa
routine, che però è anche stabilità. Il piacere di rivedere
colleghi e studenti e di rivivere – ogni volta in modo diverso
– il mondo della Scuola.
Il primo giovedì alla scuola In-Oltre. Non ricordo nulla. O
forse troppo, ma in modo confuso.
Dopo le prime lezioni, comincio a conoscere i miei nuovi
studenti. Sono di una gentilezza commovente. Mostrano
un profondo rispetto per me e per il mio lavoro. Al termine
di ogni lezione mi stringono la mano e mi ringraziano. Poi
mi scortano verso l'uscita. Mentre aspetto che mi sia
aperto il cancello li osservo camminare verso le rispettive
sezioni: la loro andatura è lenta, di chi non ha nessuna
fretta di nulla, tesi in un'attesa esasperante. Non tardo ad
affezionarmi a loro. Provo compassione, nel senso proprio del termine. Preferisco non sapere i reati da loro commessi ma, inevitabilmente, di tanto in tanto mi chiedo che
Juan Carlitos e
Mohammed
“È troppo importante lo studio
della Storia per poter capire il presente
basandosi sui fatti del passato, per capire
come l'uomo ha vissuto, pensato e risolto ogni
problema, dando origine a fenomeni come la rivoluzione industriale, il colonialismo, l'imperialismo, … Fenomeni che hanno portato gli stati europei
a diventare potenze economiche e a provocare guerre
per dimostrare la loro forza. Fenomeni come il Fascismo e il Nazismo per appropriarsi del potere e manipolare la società. L'uomo con la sua intelligenza e
creatività ha costruito armi per autodistruggersi e ci ha
lasciato terribili testimoni come la Prima e la Seconda
Guerra mondiale, la Guerra fredda... Abbiamo conosciuto personaggi carismatici come Lenin, Stalin,
Mussolini, Franco, Hitler che hanno usato la loro
capacità di parlare e comunicare per trascinare dallo loro parte milioni di persone.
Tutto ciò è successo nel passato, ma
ci permette di capire meglio il
presente”.
mai abbiano potuto combinare... Nell'immaginario collettivo il detenuto ha un viso truce, uno sguardo che incute
paura, un sorriso beffardo. Non i “miei” detenuti. I loro
volti sono spesso tristi.
Penso molto a loro. Ai loro sogni. Al loro desiderio di libertà. Al loro bisogno di carezze. Molti di loro sono lontani
dai loro affetti. Una telefonata di tanto in tanto che immagino lasci un vuoto ancora più profondo. Un'indicibile nostalgia.
Penso a loro dopo una mia giornata particolarmente intensa e piacevole – un sabato a Milano: una mostra, un po'
di shopping, un aperitivo sfizioso, il teatro e poi a cena. Oppure a casa, accasciata sulla mia chaise-longue a maledire le domeniche di pioggia e noia.
Ripenso a quando immaginavo i giovedì d'autunno o d'inverno, quando avrei dovuto entrare in quel mondo ancora
più grigio e desolante di quello piovoso e nebbioso che
stava fuori. Può sembrare strano, ma durante questo anno
scolastico di giovedì non ha quasi mai piovuto...
Quando esco di là non provo sollievo ma un senso di vuoto.
E allora salto in macchina e corro via - come una diciottenne neopatentata che anela alla libertà - con la musica
a tutto volume che mi rimbalza dentro e mi fa vibrare.
Quando sono a casa abbraccio forte la mia bambina e mio
marito e provo una tenerezza immensa. E questo si ripete
ogni sacrosanto giovedì.
Le mie lezioni di Storia sembrano aver interessato i miei
studenti (d'altronde il programma lo abbiamo concordato
insieme). Abbiamo ripercorso insieme la Storia del Novecento e, con l'aiuto di documenti e filmati, abbiamo cercato di cogliere cause, effetti e conseguenze di eventi che
hanno segnato indelebilmente il nostro mondo. La Storia
dovrebbe insegnare all'uomo a non ricadere negli stessi
errori, ma evidentemente qualcuno è più diabolico che
umano... Forse perché chi perpetua gli errori commessi in
passato non ne ha mai scontato la pena. O non a sufficienza.
Giugno 2010. Non so quanto sia rimasto delle mie lezioni
ai miei corsisti. Ciò che ritengo comunque importante è
aver dato loro il mio impegno. Aver portato loro un sorriso.
Mi piace considerare questa un'esperienza di emozioni
forti, contrastanti, profonde, indelebili. Un arricchimento
interiore. Che desidero rivivere.
Sabri
“Non mi è piaciuta la Prima Guerra mondiale perché troppo vecchia. Il Fascismo e il Nazismo mi hanno interessato di più, come pure la
Seconda Guerra mondiale, anche se ha portato brutte
cose e molti morti. Dopo questa guerra per l'Europa
sono cambiate molte cose. Durante la Guerra fredda
USA e URSS hanno fatto la gara a chi creava
bombe più potenti.
Eccetera eccetera”.
Armandi
“A me è sempre piaciuta la Storia, ma non
avrei mai pensato di cominciare a studiarla in carcere. Questa è una buona opportunità. Le possibilità di
imparare che ci offrono qui dentro non sono da perdere. La scuola In-Oltre ci dà la possibilità di tenere sempre occupata la mente”.
Ilaria Bianchi Nencioni
Ivica
“Secondo me il corso di Storia è stato
molto utile perché è stato spiegato molto bene
dalla professoressa. È stato un corso molto scorrevole, perché ha toccato tutti i punti fondamentali senza
soffermarsi in modo pesante su un solo aspetto. Il
corso mi ha così permesso di apprendere molte
cose in modo piacevole”.
Disegno di Lorenz
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Testimonianze di vita
La mia vita è stata molto dura. Da bambino facevo il pastore portando le mucche di mio papà in campagna, frequentavo anche alcuni giorni di scuola.
Avevo quattro fratelli e due sorelle. Il papà era contadino.
A 18 anni sono partito da casa per lavorare in Croazia in una miniera di carbone
a Labin-Rasa dove ho lavorato quattro anni, sottoterra da 800 a 1000 metri.
Era molto duro il lavoro. Capitavano spesso degli incidenti quando l’impalcatura delle gallerie cadeva. Lì avevo pure molti amici. Avevo deciso di cambiare!
La soluzione più interessante: trasferirmi a Città Nuova (Novi Grad) presso
Trieste, lì ho lavorato dieci anni come muratore. Mi piaceva molto!
Nel 1967 mi sono sposato con una ragazza croata, ho avuto due figlie.
Nel 1993 sono ritornato nel mio paese natale Podujevo dove ho costruito una
bella casa. Ho esercitato la professione di gommista, ero molto contento!
Nel 1995 è capitato il peggio: la guerra! Non ho abbandonato la mia casa.
Un giorno, il 23.03.1999 la NATO ha iniziato a bombardare tutte le città dove
erano insediati i soldati serbi.
Sono scappato sulle montagne di Dyz-Koliq. Eravamo più di 10'000 persone.
Per un mese abbiamo vissuto in condizioni difficili.
La guerra mi ha ucciso due nipoti. Ricordo che, in un solo giorno, il 16.04.1999,
i Koliq avevano ucciso 128 compaesani, adulti, bambini e persone anziane.
Il 17 aprile sono ritornato a Pristina perché l’armata serba ci stava alle spalle.
Sono stato in un campo di concentramento a Prokuple per due anni. La vita era
dura, non avevo abbastanza da mangiare, la polizia picchiava spesso. Da 98 kg
sono passato a 45 kg di peso. Dopo due anni ho avuto la libertà perché considerato “innocente” da parte del secondo grado del processo di Belgrado. Sono
quindi ritornato in Kosovo, la casa era completamente bruciata.
Sono stato molto ammalato, esaurito e molto fiacco. Poco alla volta mi sono ripreso le forze, ho lavorato ancora come gommista. Ho ancora il garage a Podujevo.
Aspetto il momento di tornare a casa e vivere dei bei momenti con i miei cari.
Sono stanco “dentro” ma ancora positivo!
Sono nato in Nigeria a Imo State, una grande città.
Avevo due fratelli e cinque sorelle. Il papà lavorava come agricoltore in una
piccola fattoria.
Aiutavo mio papà a raccogliere il mais. A 25 anni sono andato in Marocco, a
Nador, per poi andare subito in Spagna. Ho continuato a fare l’agricoltore a
Almeria in Andalusia. Raccoglievo di tutto, arance, mele, cipolle… Mi piaceva
molto!
Mi sono sposato con una giovane spagnola di nome Rosa Maria, ho avuto due
bambini, avevo una bella vita fatta di fatiche, ma anche di belle soddisfazioni.
Ho perso il lavoro e mi sono trasferito a Milano. In seguito sono stato ospite al
centro rifugiati di Chiasso.
Sento sempre la mancanza di Rosa Maria e dei miei cari in Nigeria. Ho 40 anni
e la grande voglia di ritornare dai miei cari. Che il Signore mi aiuti!
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Sono nato in Nigeria nella Provincia di Anambra, nella
città di Okija. Avevo sette fratelli, mio papà aveva un
negozio di apparecchi elettrici a Lagos, ex capitale
della Nigeria.
Ho frequentato la scuola fino a 12 anni e poi mi sono
trasferito in Indonesia per un anno. Lavoravo nel settore esportazione, organizzavo i container che partivano con le navi in Nigeria. Ricordo una volta quando
una sera stavo festeggiando con gli amici a Bali, è
esplosa una bomba in una discoteca. L’attentato era
organizzato dagli integralisti indonesiani Tommy.
Ho avuto molto paura.
Nel 2002 mi sono trasferito in Francia e in Italia a
Pavia poi subito dopo in Svizzera a Ginevra. Ero a Vallorbe dove ho chiesto asilo politico. Sono venuto a
Chiasso perché il centro asilanti era troppo pieno.
Subito dopo ho chiesto alle autorità di poter vivere a
Zurigo. Lì ho giocato a calcio con FC Rüschlikon. Ero
attaccante. In una partita mi ero infortunato ed ho dovuto lasciare il calcio. Da li ho iniziato a spacciare…
Il mio più grande piacere è ritornare in Nigeria, abbracciare la mia famiglia che non vedo più da 3 anni e
riprendere gli studi. Mi interessa molto studiare le
leggi.
Abazu
Disegno di Musa, dettaglio
Disegno di Errol
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Riflessioni
...
presente e futuro
Cosa penso del carcere La Farera?
La Farera per me è stata molto dura soprattutto
perché in passato ho avuto delle difficoltà che
sono rimaste irrisolte, ma questa esperienza mi
ha portato ad affrontarle.
Qui l’ho dovuto fare, tutto questo mi ha portata a
capire che posso essere una persona migliore.
In questo posto hai molto tempo per riflettere, sei
in isolamento e hai 24 ore a disposizione per capire i tuoi errori.
Le donne anche quando passano in regime ordinario (= persona in espiazione pena) rimangono
comunque alla Farera mentre l’uomo ha la possibilità di passare alla Stampa nella quale hanno delle agevolazioni come per esempio: lavorare, stare con altre persone e “vivere” meglio questa esperienza. Le donne non
hanno tutte queste possibilità però perlomeno è stata pensata e ideata questa forma di scuola nella quale possiamo uscire dalla quotidianità, stare a contatto con altre persone, conoscere altre realtà di vissuto.
La scuola In-Oltre mi ha permesso di conoscere dei professori soprattutto delle persone che mi hanno fatto vivere dei bei momenti e trasmesso un po’ di serenità anche in
questa situazione. Un mio grosso ringraziamento va soprattutto a loro.
Ines
All’improvviso, scioccata, mi sono ritrovata alla Farera.
Nemmeno sapevo della sua esistenza, sapevo che il carcere Luganese si
trova a Cadro, sul Piano della Stampa, da cui prende il nome.
L’ispettore di polizia mi aveva, giustamente o forse volutamente provocato dicendomi che una notte alla Farera mi avrebbe fatto bene…
Il carcere preventivo si è prolungato molto, scandito dai ritmi dei
pasti e del passeggio, più leggere, scrivere, guardare la televisione,
tenere pulita la propria cella.
Ritmi interrotti, ogni tanto, dagli interminabili e penosi interrogatori o da perquisizioni a sorpresa al proprio domicilio.
All’inizio ho vissuto la carcerazione con molta frustrazione per la
sorta di repressione che vivevo a causa del regime carcerario e
per l’isolamento da tutto e da tutti.
In primo mi ha aiutato la televisione a rompere la routine carceraria perché guardavo tutti o quanti più documentari potevo su
paesi, lontani e non, con i loro costumi, usanze e abitudini. A me,
che avevo fatto un lavoro dove viaggiavo molto, durante la carcerazione ho nuovamente fatto il giro del mondo tramite la televisione, ma naturalmente con l’aggiunta della mia fantasia.
Dopo un po’, a mano a mano che mi riprendevo, anche con il prezioso
e professionale aiuto del mio avvocato, sempre al mio fianco, sempre
in ascolto alle mie telefonate che ho il diritto di fare solo a lui, e cosa
più che ammirevole e stravolgente senza un mio onorario, ho potuto in
tutta tranquillità coltivare una cosa da tempo desiderata; lo scrivere che è
pure terapeutico.
Sono ancora nella fase delle indagini, per cui voglio credere solo in una vaga
idea delle mie accuse, anche se inizialmente confermate, perché non ci posso
ancora credere, è una storia assurda, che mi tiene incarcerata da 7 mesi, e che vuol
dire poco più di 200 giorni.
Occupandomi di mio figlio, mi sono trovata al momento sbagliato, in un posto sbagliato,
dove ho conosciuto una persona sbagliata, che mi ha fatto conoscere un’altra persona sbaDisegno di Ines
gliata… ma forse ero sbagliata anch’io in quel momento, o meglio molto “naif” o pollastra da
non capire che poteva essere una cosa illecita.
Nella vita, tutti, passiamo momenti tristi, pesanti, sofferenti che, se ripetuti nel tempo, senza sostegni e riferimenti famigliari fermi, possono destabilizzare molto gli equilibri umani che al giorno d’oggi, purtroppo succede sempre più spesso.
Da tante esperienze e vissuti, qualcuno ne esce forte, magari con una maschera e/o corazza più spessi da cui difendersi.
Altri, con in più una grave malattia passata nell’abbandono dai propri cari, poi superata, ne escono più indeboliti, accumulando stress, stanchezza, frustrazioni, che se prolungati nel tempo, in grande solitudine, con la grande preoccupazione per l’unico figlio, rimangono molto destabilizzati a tal punto che non si riesce più a distinguere subito
razionalmente, il giusto dallo sbagliato, il bene dal male, tanto da diventare molto vulnerabile perché tanto, ancora tanto più soli senza questi importanti punti di riferimento
della famiglia.
Mi sono ingenuamente trovata, senza volerlo, in una brutta situazione, proprio perché diventata troppo debole a reagire in tempo e soprattutto in grande solitudine.
Non so come si evolverà la mia situazione, né come sarà l’accusa finale, né quale sarà la mia giusta pena, ma sono pronta a riparare, molto consapevole che la giustizia non
è sempre in grado di essere equa, perché le bugie e le menzogne la fanno da padrone: “fuori” la vita è una giungla sempre più intricata!
Ora posso frequentare i corsi offerti qui in carcere dalla scuola In-Oltre, composta da persone competenti e molto disponibili, che si sono rivolti a me, mirando senza saperlo
o volerlo non so, dritti al mio cuore, senza forzature, con umana cortese pazienza da una parte e direttamente sinceri, schietti dall’altra, ma straordinariamente con grande
generosa umanità, senza strafare e che fuori non trovavo da molto anni!
La mia mamma che non ho più, deceduta mentre ero incinta di mio figlio, quando avevo un problema o qualcosa non andava bene, mi diceva sempre di avere pazienza che un
lumicino rimane sempre acceso, o è debolmente acceso, o si riaccenderà di nuovo e ti aiuta e ti indica la giusta via. Anche pregando con molta fede.
Per me questo lumicino si è finalmente riacceso qui in carcere in un momento privilegiato perché unica allieva, dopo aver conosciuto alcuni educatori, dove al primo incontro, anche se non mi ero per niente fatta delle aspettative, mi sono sentita accettata e capita nel mio più grande dispiacere, mi hanno fatto capire e dolcemente spronata a
comunicare serenamente con una persona a me la più cara e desiderata al mondo.
Ho molto apprezzato i corsi di disegno, economia domestica, fare collane, cultura generale, matematica e filosofia.
Desidero dire a mio figlio adolescente, che non vedo da molti mesi, qualsiasi cosa è successa, succede o succederà, il “per-dono” esiste, lui sarà sempre nei miei pensieri e
in fondo al mio cuore di mamma.
CBZ
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Riflessioni ...
presente e futuro
Non
possiamo prevedere il futuro però bisogna essere organizzati nella vita, fare dei progetti per
il futuro e per la vita.
Bisogna lavorare tanto e con cura e così potremo dire che sarà un futuro buono. A me stesso chiedo di poter lavorare e andare d’accordo con
tutti, essere calmo e non fare stupidaggini e rispettare la famiglia e la società.
Alla società chiedo, se io la rispetto, che mi deve rispettare.
Prima dobbiamo uscire, finire la pena. Come obiettivo sto cervando di fare
un apprendistato cuoco.
Diciamo che aspirazioni e obiettivi ce ne sono tanti. Obiettivi personali sono quelli di crearmi una famiglia quando ritornerò nel
mio paese.
Millan
Il futuro nessuno non lo sa come sarà perché
siamo noi che lo decidiamo. Però una cosa è sicura che gli errori che ho fatto non li farò più, perché per ogni scelta che farò ci penserò cento volte prima di agire.
Sto cercando di fare la scelta giusta sperando che questa situazione non si ripeta più. Starò lontano dalla malavita, sperando che il passato non ti segua
e con l’aiuto di Dio andare avanti.
Armando
Senza
ombra di dubbio il mio futuro
sarà migliore del il mio presente.
Vorrei poter programmare il mio futuro però fino a
che il Dipartimento dell’emigrazione non mi dà una risposta
inerente la mia situazione del permesso di soggiorno, non so se
rimango o dovrò andare?
Io mi chiedo di essere forte e di non cadere in depressione, perché dopo
aver pagato il mio debito con la società con tutti questi anni di galera, dovrò
ricominciare una nuova vita con tutta l’energia, la voglia. È la forza che troverò dal profondo della mia anima.
Chiedo alla società una sola opportunità, per poter dimostrare che ho imparato
la lezione.
Le mie aspirazioni sono di poter trovare un lavoro, per me adesso è importante sentirmi ancora utile alla società. Mi piacerebbe poter studiare, fare
il cuoco. So che è difficile per la mia età, ma io credo che mai è tardi per
imparare in questa vita, la vorrei vivere in pace accanto a mia moglie,
alle mie figlie, ai miei nipoti.
Non posso chiedere di più. So che sarà molto difficile ma voglio sognare! (non costa niente)
AT
Disegno di Sabrina, dettaglio
Hai la patente di guida per
il computer?
Noi ti rilasciamo la licenza!
L’informatica
Realizzazione e sviluppo di un sito web
Sapevamo tutti fin dall’inizio che non sarebbe stata una materia facile, in
quanto presupponeva diverse conoscenze nell’ambito informatico.
Il fatto di essere un argomento piuttosto complesso non ha però scoraggiato
nessuno; abbiamo iniziato creando delle pagine internet molto semplici (alcune scritte colorate e niente più), per poi arrivare a costruire dei siti molto
belli ed interattivi, che non hanno nulla da invidiare a moltissime pagine web
che vediamo ogni giorno su internet.
Da parte mia è stata un’esperienza estremamente
interessante, sono abituato a lavorare con gli informatici ed è stato molto appagante raggiungere dei risultati così buoni con allievi
che non operano quotidianamente nel settore.
Il corso in generale è stato parecchio apprezzato, tanto che vi sono state proposte
di introdurre anche il prossimo anno una
materia inerente l’informatica avanzata.
Massimo Sartori – Docente SPAI
Disegno di Simona, dettaglio
L’interesse verso l’apprendimento dell’informatica è in continuo aumento.
Durante il 2009 sono state organizzate circa 800 ore lezione: Windows, Word,
Excel, PowerPoint, Linux e conoscenze dell’Hardware, ecco i temi trattati.
Partecipanti sempre attenti, disciplinati e interessati agli argomenti proposti rendono giornalmente il nostro lavoro gratificante e stimolante.
Sulla base di questo, nello scorso mese di maggio, abbiamo ottenuto, per gli insegnanti di informatica, la certificazione “esaminatori ECDL Core” (European
Computer Driving Licence). Avremo quindi la possibilità di organizzare esami in
futuro per i nostri corsisti con l’ottenimento della licenza europea ECDL.
Il nostro centro di formazione fa parte oggi della ristretta cerchia di centri accreditati in Ticino, per poter rilasciare questo tipo di licenza. Dobbiamo ringraziare
Stefano Scacchi, del centro di formazione della posta svizzera, che con impegno
e professionalità ci ha permesso di certificare il centro e diventare il sesto centro in Ticino certificato in questo ambito.
Ma cosa vuol dire per la nostra utenza? Cos’è la licenza europea ECDL?
• ECDL permette di ricevere un attestato che è valevole su un piano globale, in
pratica ogni utente riceve un foglio di lavoro (skill card) che gli permette di eseguire gli esami in quasi tutti i paesi del mondo. Può certificarsi da noi per uno
o più moduli e continuare la sua formazione una volta rientrato nel suo paese
d’origine.
• ECDL ha uno standard di qualità internazionale, in ogni paese in cui è presente
esiste una standardizzazione del programma d’insegnamento con una base di
lavoro, chiamata Syllabus, uguale per tutti.
• La modularità permette a chi è più interessato ad un certo modulo (ad esempio la scrittura su PC piuttosto che il calcolo) di potersi certificare solo per
quello.
• ECDL permette inoltre di iscriversi all’esame senza aver frequentato dei corsi
specifici e quindi possiamo aiutare i corsisti ad autocertificarsi per quello che
già sanno.
• La nostra struttura permette di poter seguire gli esami in Italiano, francese,
tedesco e inglese. Quindi anche per chi non è di madrelingua italiana diamo la
possibilità di certificazione in queste altre lingue.
Si tratta di un ulteriore importante riconoscimento dell’insegnamento all’interno
del penitenziario che continua il suo obiettivo di favorire il reinserimento dei detenuti all’interno della società. L’informatica caratterizza ormai oggi ogni ambito
professionale; non è più legata al settore commerciale e d’ufficio, bensì il suo utilizzo è richiesto in qualsiasi realtà lavorativa. Consapevoli di ciò, continuerà da
parte nostra l’approfondimento per continuare a proporre una formazione all’altezza delle richieste del mercato del lavoro e della società.
Aspettiamo durante l’estate i primi corsisti che vorranno mettersi in gioco ed affrontare gli esami in questione.
Mauro Ortelli
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Chère liberté
Lezioni
Nous sommes en prison depuis
2004. Ici, la vie est dure. Nous
avons passé beaucoup de temps,
ici, loin de chez nous. Pendant
notre enferment nous avons beaucoup pensé au manque de liberté, à la famille et aux amis.
Cependant nous avons trouvé le
courage pour apprendre d’autres
langues comme le français, l’italien, l’allemand, l’anglais.
Nous avons un message pour les
personnes qui sont dehors et libres: Ne faîtes pas de bêtises
parce que la vie est belle et la liberté aussi.
Merci à tous
Eduard et Edison
Le français en milieu carcéral,
pour quoi faire?
Etre professeur de français au sein du pénitencier de Lugano, quelle
expérience professionnelle et humaine riche mais ô combien difficile. En effet, lorsque j’en parle autour de moi, des questions reviennent sans cesse et sont souvent les mêmes, «ça doit être une
expérience intéressante» ou alors «mais à quoi cela leur sert-il»?
Dans un premier temps, lorsqu’on me dit «cela doit être une expérience intéressante», je réponds oui sans hésiter. C’est avant tout
une expérience professionnelle très riche mais aussi une expérience humaine. En effet, ma rencontre avec des hommes privés de
liberté m’a permis de réfléchir sur cette notion et de me rendre
compte combien elle est précieuse et à quel point elle rend la vie
plus agréable. Bien que le français soit ma langue maternelle, son
enseignement est loin d’être facile pour le néophyte que je suis mais
m’a, en revanche, permis d’avoir d’énormes satisfactions.
Dans un deuxième temps, à la question «à quoi cela leur sert-il?»
Depuis la nuit des temps, l’Homme a toujours voulu s’améliorer,
parfaire ses connaissances, s’instruire, se développer. A travers
cette expérience, j’ai pu me rendre compte combien c’est important
pour ces hommes de mettre à contribution le temps qu’ils ont à disposition pour acquérir de nouvelles connaissances. En effet, pour
beaucoup d’entre eux, la privation de liberté n’est pas ou ne doit pas
être forcément une perte de temps dans la construction de leur personne ou de leur savoir, en discutant avec l’un d’entre eux, il me disait «je suis là pour encore pas mal de temps mais je ne veux pas
perdre mon temps, je veux m’en servir pour apprendre, m’instruire
et préparer un jour ma sortie». Cette envie d’apprendre m’a agréablement surpris mais m’a aussi renforcé dans l’idée que dans la vie
malgré les embuches et les coups de la vie il faut sans cesse aller
de l’avant, avoir des objectifs et mettre tous les atouts de son côté
pour les atteindre. L’erreur est humaine est généralement on la
paye mais si un homme quel qu’il soit et quoi qu’il est fait peut se
servir de cette privation de liberté pour devenir meilleur alors c’est
tout à son honneur.
Professeur de Français Tuffery Eric
di francese
Mes activités au sein de la prison
Tous les jours quand je me réveille j’ai l’espérance de
voir venir le jour ou je pourrais retrouver la liberté. En
prison nous pouvons réfléchir sur beaucoup d’arguments, nous avons beaucoup de temps.
Moi je lis beaucoup car la lecture me permet de rêver
et de voyager mais fait aussi que le temps passe plus
vite. J’utilise aussi l’ordinateur pour la musique, les
films, les jeux et pour écrire des lettres.
Pour moi, le sport est aussi très important, il me permet de me défouler un peu. Mais l’activité physique est
bonne aussi pour la tête et elle t’aide à maintenir la
forme. Quelque fois je me diverti en jouant au foot ou
au volleyball. Il y a aussi des vélos mais c’est fatiguant.
Nous passons beaucoup de temps dans la cellule mais
nous devons aller travailler tous les jours si nous n’allons pas à l’école. L’école dans la prison est une bonne
chose.
Je prends le temps avec philosophie et comme ça tout
ira bien. La vie, tu ne peux pas toujours la contrôler et
parfois tu dois la corriger un peu. Quand tu as la liberté
tu ne penses pas à ces choses là. J’espère que tout le
monde peut s’améliorer dans la vie.
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La joie de la liberté
Parfois on croit que la joie, l’amitié, la liberté, l’argent sont une
manière de mesurer nos qualités
et nos capacités mais aujourd’hui
je me rends compte que se sont
plutôt les épreuves, les difficultés, les moments difficiles de la
vie qui mettent en valeur nos capacités ou nos qualités. C’est
dans ces moments là que nous
voyons qui nous sommes.
Carlito
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“Questi ragazzi sono uomini e bambini, adulti e adolescenti. Sanno riconoscere e confondere, alterare e rimediare. Si trovano sempre in un tutto
immediato, senza scansioni. Nemmeno la notte si distingue dal giorno,
quando si cade in un gesto che può segnarti per tutta l’esistenza.”
da Filosofia in Carcere, Giuseppe Ferraro.
Ricordo il mio primo giorno: il varco d’accesso al penitenziario è in cima
alla strada, il grande cancello sembra voler separare due realtà, due
mondi. Le telecamere mi hanno già reperita, l’agente di custodia mi fa la
domanda di “rito”, annuncio la mia presenza. Il cancello si apre pesantemente per poi richiudersi con altrettanta fatica! Superato l’esame formale, posso depositare la borsa e il telefono nell’armadietto. Si apre
un'altra grande porta vetrata, davanti a me le scale, le salgo con una
certa emozione, prima di questo momento mi sono chiesta tante volte:
”chissà come mi sentirò e cosa proverò”! Man mano che salgo mi sento
sempre più tranquilla e contenta di quello che “andrò trovando”. Finalmente arrivo nella sezione dei minorenni, mi accolgono due ragazzini
con il sorriso, mi stanno aspettando!
È questa la sensazione più forte che vivo ad ogni incontro. Sicuramente
il primo, è un momento di reciproca indagine. Mi guardano con una certa
distanza poi, a poco a poco, questo muro istituzionale si sgretola per lasciar posto all’incontro, alla conoscenza, alla condivisione di tempo, di lavoro. Guardo a questi ragazzi con riconoscenza, perché ognuno di loro
apre le porte sulla sua storia, e ogni storia è esperienza, è vissuto, è futuro. Questa esperienza è un regalo che mi permette sicuramente anche
una conoscenza personale. Io sto bene con loro e sento che assieme percorriamo una strada senza confini. Ed è su una di queste strade, che ho
“raccolto” un pensiero che conferma in tutta la sua semplicità un condividere di emozioni e tempo. Aggiungo queste righe
così come mi sono state affidate, leggendole e rileggendole non posso fare
altro che provare un sentimento
di gratitudine verso chi, domani, mi aspetta al quarto
piano!
L’insegnante mi ha aiutato e mi ha insegnato
alcune cose importanti, e la ringrazio di
cuore x avermi aiutato a passare momenti difficili. Nei
momenti che abbiamo
passato mi sono sentito felice xkè in cella
mi annoiavo, e ho capito molte cose sulla
cucina e sulla alimentazione.
Grazie dell’aiuto (ÆÆ)
Disegno di Balon
Disegno di Denisa
Disegno di Christina
“La vita cambia ogni volta che incontri
una persona, perché la vita è fatta di incontri, di quello che ti danno e che
dai” da Filosofia in Carcere, Giuseppe Ferrara
Francesca Bernasconi, docente educazione alimentare
Disegno di Mamadou
Disegno di Claudio
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Incontri creativi
con le signore
A
seguito della richiesta del Signor Mauro Broggini di partecipare ad alcuni pomeriggi presso il carcere cantonale La
Farera, per svolgere con le detenute delle attività manuali,
mi sono messa a disposizione con piacere trovando in tale richiesta una possibilità di arricchimento personale, ma anche professionale in quanto insegnando da diversi anni attività creative ad allievi delle
scuole elementari ero curiosa di provare un’esperienza con persone adulte.
Prima di iniziare i pomeriggi creativi, c’è stato un incontro con il Patronato e la Direzione del carcere, che hanno spiegato alcune regole per svolgere in modo ottimale questi incontri, ho potuto visitare il carcere, mi è stata mostrata una cella e le
regole per entrare e accedere ai diversi comparti del carcere.
Per essere sincera dopo questo incontro ero abbastanza preoccupata perché la sensazione
che ho provato all’interno del carcere di chiusura verso l’esterno, la mancanza di libertà e
di movimento (per aprire ogni porta si deve dipendere da altre persone) ha creato in me una
sensazione di disagio, ma poi riflettendo ed elaborando il tutto a casa con tranquillità questo mi ha permesso di superare questo disagio e capire l’utilità di questo incontro.
Nel mio primo incontro, le detenute erano doppiamente felici perché non pesavano di poter
svolgere questo pomeriggio creativo in quanto non erano state avvisate del mio arrivo, si
deve pensare che all’infuori di questi momenti le detenute a parte un’ora all’aria aperta
trascorrono il resto della giornata in cella.
In questi pomeriggi si è creato un bell’ambiente, le detenute hanno lavorato con piacere e impegno, hanno raccontato le loro storie sapendo che li ascoltavo senza
giudicarle e che quanto loro mi raccontavano sarebbe comunque rimasto all’interno del carcere.
Colgo l’occasione per ringraziare il Signor Broggini e tutto il
personale coinvolto per la loro gentilezza e disponibilità.
Clara Madonna-Maggetti
Mi è stato chiesto
d’insegnare in carcere il metodo con cui annodo le mie collane… insegnare… il mio primo
pensiero è stato questo… ma io ho sempre
fatto, disfatto, provato, sperimentato, mai insegnato… poi con il passare dei giorni mi sono
detta perché no… in fondo posso provare, buttarmi
in questa nuova avventura, è quello che faccio tutti i
giorni, avventurarmi!
Il mio primo pomeriggio con le donne è iniziato con un
forte batticuore, mi dicevo “3 ore chiusa lì dentro… funzionerà... cosa riusciremo a fare in tre ore... sarà troppo o
troppo poco il tempo”.
Quando ho lasciato il mio telefonino in auto, sapendo che per
le prossime tre ore non ci sarei più stata per nessuno, o meglio non ci sarei stata per i miei cari ma ci sarei stata solo
per loro, per delle persone che ancora non conoscevo… ecco
questo mi ha emozionato tantissimo. L’avventura era iniziata!
Ho conosciuto le donne, abbiamo chiacchierato ho fatto
veder loro cosa facevo e loro hanno trovato il loro
modo di fare la loro collana... abbiamo annodato,
chiacchierato, mi hanno chiesto consigli e le tre
ore sono volate via... Non ho insegnato, ho condiviso con loro un pomeriggio ed è questo
che mi ha dato tanto… Condividere!
Isabella Marazzi Minore
Durante gli incontri con
le donne del carcere, mi ero prefissata di mettere in primo piano il lavoro come mezzo di riflessione. Cosa
facciamo, come lo facciamo,… Ho scelto volutamente un materiale «povero», la carta, per creare
dei «gioielli». Il loro stupore iniziale riguardo l’equazione carta=gioiello ci ha dato occasione di discutere ed
entrare in contatto. Forse non è stato tanto importante
ciò che abbiamo fatto ma come l’abbiamo fatto. Secondo
me è l’atteggiamento verso ciò che facciamo che è fondamentale per creare qualcosa che abbia un valore che vada
oltre quello di semplice oggetto.
Come nella vita anche in un viaggio vi sono grandi incognite. Grazie all’apertura reciproca delle persone possono nascere degli incontri che possono farci
crescere e migliorare. Forse ho vissuto quest’esperienza proprio come un viaggio, un
bel viaggio!
Impressioni
Quando sono stata contattata da M. Broggini per insegnare alle
donne in attesa di giudizio al carcere giudiziario La Farera la creazione di collane, bracciali, orecchini,
che è oggi il mio lavoro, non ho avuto un
attimo di esitazione, ho accettato.
Ho accettato, pensando
quanto fosse importante un lavoro
manuale-creativo
per persone costrette
a vivere in solitudine e
condizionate da misure
di sicurezza. Escludendo
i pochi contatti (legali,
giudiziari, educativi, familiari o durante l'ora d'aria in
cortile), le detenute passano
la maggior parte del tempo
nella propria cella.
A novembre, quando mi sono
presentata alla Farera per la
prima lezione, ero in preda a una
leggera agitazione. Mi domandavo
soprattutto due cose: se sarei stata
in grado di insegnare, visto che non
ho una formazione in tal senso, e se sarei riuscita a creare un ambiente dove
ognuno si sarebbe sentito a proprio agio.
Nell'aula che mi hanno assegnato, ho atteso che la guardia accompagnasse le
donne. Ci siamo presentate e sedute attorno a un grande tavolo. Avevo con me,
oltre al materiale, alcune dispense sulla storia del gioiello, pensando di fare una
lezione su questo tema.
Poi, mi è sembrato forse più importante familiarizzare, conoscersi, sicché ho
consegnato le dispense dicendo che ne avremmo parlato la lezione successiva.
Ho messo tutto il materiale in mezzo al tavolo (perle, pietre,perline), ho mostrato
due esempi di collane e ho lasciato che incominciassero.
È stato in quelle ore e nelle lezioni successive che si è creato una sorta di legame. Collana dopo collana, tutte raccontavano le proprie storie, i malesseri, le
depressioni, le disavventure, le sofferenze, i sogni, la rabbia, i desideri. Infilavano
le perle come se stessero sgranando un rosario, un'operazione che offriva loro
l'atmosfera adatta e un ritmo di racconto utili a liberarsi del peso di tener dentro inconfessate le loro pene, senza che nessuno le giudicasse.
Io ascoltavo, intervenivo solo per spiegare la provenienza e il nome delle pietre,
le aiutavo a montare le chiusure e ascoltavo.
È stata un'esperienza unica e appagante, soprattutto dal lato umano. Non si è
trattato unicamente di trasmettere una capacità tecnica. Si sono tesi fili sensibili di storie, viste come vicende umane provanti anziché dal lato prettamente
giudiziario.
Elisabetta Vannini Corda
Petra Varini Besomi
Disegno di Michela
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Raccolta di lavori eseguiti
da detenuti del Penitenziario
cantonale
Ospedale
Regionale di Locarno
La Carità
A settembre 2006 ha preso avvio presso il Carcere giudiziario
La Farera e successivamente presso il carcere penale della Stampa
l’avventura di Scuola In-Oltre.
Destinata all’inizio ai minorenni in detenzione preventiva, ha poi
coinvolto, visto il crescente interesse per le attività proposte,
pure i detenuti adulti che scontano pene più o meno lunghe.
La prima attività pensata sia per i minorenni che per gli adulti
è stata quella legata all’Educazione visiva ed artistica. Il ruolo di
docente è stato assegnato all’artista Malù Cortesi, insegnante presso lo CSIA di Lugano ed educatore di formazione, persona che vanta pure esperienze decennali nel
campo dell’assistenza sociale e del reinserimento, dapprima alla Fondazione Diamante
di Solduno, poi all’Antenna Icaro di Locarno ed in seguito presso la Clinica Varini ad
Orselina.
L’attività pittorica, come noto, riveste una grande importanza dal punto di vista dell’espressione di se stessi, applicata in un settore così delicato come quello carcerario,
assume proprio i contorni di una metaforica evasione. A tal proposito, l’artista Pierre
Casè, ospite conferenziere al Penitenziario, la scorsa primavera, ha intitolato la sua
prolusione “Creatività = Libertà”.
Lo stesso artista locarnese, durante la sua visita nelle aule dove si svolgono le attività
scolastiche, è rimasto impressionato da alcuni lavori prodotti da detenuti che, detto
per inciso, nella maggior parte dei casi, non hanno mai avuto rapporto alcuno con colori, tavolozze e pennelli.
In-Oltre sta ad indicare quale nome della nostra Scuola, quell’Istituzione che opera all’interno e si adopera anche per il dopo, nel quadro di quello che comunemente viene
definito reinserimento sociale.
L’opportunità che ci viene offerta dall’Ospedale La Carità e dalla sua Commissione culturale è apparsa subito come una splendida occasione per mostrare all’esterno quanto
uomini che si trovano a vivere l’amara realtà del Carcere riescono a realizzare.
Questa mostra offre quindi visibilità a dipinti che altrimenti servirebbero unicamente
da arredo-decorazione alle grigia mura del carcere.
Il percorso espositivo scelto da Malù Cortesi raggruppa tavole che aiutano a leggere
dentro se stessi (il mio Sole), altre più didattiche che servono ad affinare le varie tecniche pittoriche che i detenuti hanno affinato. Trova poi spazio in altri lavori l’applicazione libera di quanto appreso sui banchi del laboratorio scolastico.
A testimonianza del crescente interesse per l’educazione visiva vi è la continua richiesta, da parte di detenuti, di frequentare i corsi di Malù, purtroppo gli spazi a disposizione
ci obbligano ad istituire una sorta di numero chiuso.
Disegno di Stephan
Giovedì 17 Dicembre 2009
Domenica 31 Gennaio 2010
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Inaugurazione
Giovedì 17 Dicembre ore 18.00
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Orario d’apertura
tutti i giorni dalle 08.00 alle 20.00
l’entrata è libera
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Tipografia Bassi Locarno
La mostra è allestita nel corridoio
al piano terreno dell’Ospedale
Uomini dentro… Uomini fuori…
Disegno di Lorenz
Confesso che, quando il direttor Fabrizio Comandini – durante una giornata di studio a Lucerna, davanti a responsabili di strutture carcerarie svizzere – ebbe a definire “Rolls Royce”
la formazione offerta da In-Oltre all’interno delle nostre strutture penitenziarie cantonali, ho
provato una delle più grandi emozioni professionali della mia carriera di maestro. Sono così
tornato con il pensiero a due date fondamentali: il 19 e il 22 dicembre 2005. La prima, con il
gruppo del Dipartimento istituzioni che mi chiedeva di preparare un primo progetto scolastico,
per i minorenni in detenzione preventiva alla Farera; la seconda, quando l’allora direttore della
Divisione formazione professionale – prof. Vincenzo Nembrini – mi autorizzava, a partire dal
1. settembre 2006, ad avviare una formazione scolastica sotto l’egida del Dipartimento educazione, cultura e sport. La nostra scuola, in questi quattro anni, di strada ne ha compiuta parecchia. Ogni anno si aggiungono nuove proposte formative; l’aspetto centrale è però costituito
dal fatto che parecchie nuove idee vengono dagli studenti, che chiedono un’offerta sempre più
ampia.
Oltre che di insegnare – a minorenni e signore, alla Farera, e a uomini, alla Stampa – mi occupo
anche di organizzare conferenze. Periodici incontri, durante i quali abbiamo potuto incontrare
uomini “fuori”, che con entusiasmo hanno portato esperienze, conoscenze, cultura a uomini
momentaneamente “dentro”. Persone che, dall’esterno, hanno presentato e discusso i più svariati temi dello scibile umano, ma non solo: questi ospiti, nel tornare a casa, ripartono ogni
volta con un bagaglio colmo di carica umana, intriso di riconoscenza, rispetto e speranza. Un bagaglio che difficilmente scorderanno, e un ricordo sempre piacevole: piacere, che mi è poi confermato dall’entusiasmo con il quale i conferenzieri rispondono ai miei inviti a Scuola In-Oltre,
e dalla regolarità delle loro successive visite nelle nostre aule. A testimonianza di queste sensazioni positive, vi rimando alla lettura dei contributi ospitati all’interno del Corriere In-Oltre.
Quel che facciamo è quindi mettere la scuola, la cultura, al servizio di uomini che – chi prima,
chi dopo – vivranno il momento di tornare “fuori”: e allora, magari, quanto appreso nelle nostre aule potrà tornare loro utile, per una ripartenza. Sempre a proposito di futuro, se penso
poi a quello della nostra Scuola, vedere come il gruppo di insegnanti che lavora al penitenziario si ricandidi con sempre maggiore entusiasmo mi fa pensare che In-Oltre poggia su basi
solide: perché la scuola la fanno gli uomini, e il “fuori” e il “dentro” hanno puramente il significato distintivo di una situazione parziale nel tempo. Facendo tesoro di un principio fondamentale che chi mi dirige mi ha ricordato – “Gli uomini passano, le strutture rimangono” – gli
anni a venire, per me professionalmente gli ultimi, saranno quindi all’insegna dell’impegno costante, così da contribuire al meglio alla crescita qualitativa dell’offerta scolastica di In-Oltre.
Con la soddisfazione di sapere che, insieme, stiamo costruendo ciò che da anni costituiva il
mio sogno professionale più grande.
Mauro Broggini – Ideatore di Scuola In-Oltre
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Inglese
Reflections on my first year
Hopes for the future
of teaching for In-Oltre
In a few months I will leave the
prison. I hope to be well when I’m
free. I hope to find everything as I
left it. And my dream is to see the
sea.
Lorenz
Disegno di Manadou
“Gosh, you’re brave!” “Aren’t you frightened?” “I couldn’t do that!” are just a few of the comments I often hear when people find out that I teach English in a prison. Even if I had wanted to
keep this knowledge to a restricted circle, it wouldn’t have been possible, as on my third lesson, I
found myself unexpectedly asked if I would mind being filmed for a documentary for ‘Falò’, and suddenly
everyone seemed to recognise me!
But to go back to those opening comments; no, I have never felt frightened and I don’t consider myself brave.
I admit that the first few lessons weren’t particularly easy, but that had to do with other factors. Firstly, I had a
class of students with very different levels of English, secondly, I encountered an understandable wariness (though
not hostility) on their part towards someone new and female, particularly after some of them had had a very rewarding relationship with their previous teacher, Mark, and thirdly, I realised, after only three hours inside a prison how the innumerable gates and locked doors I had to go through to get to my class, gave me a feeling of slight
unease and a realisation of the immense value of freedom.
However, as the weeks went by, and I got to know my students better, the difficulties faded away. I changed book
and found one which I felt was more suitable for them and for the varying levels. I encouraged one student to
study for an external exam at the end of this year and he, very generously, has often helped me out when one
of his classmates was having difficulty understanding something. I got to know all the students better, we
laugh a lot, and I have realised that, despite the fact that they are in prison, people’s personalities are definitely multi-faceted and I have seen real kindness and concern on many occasions. I may not always
agree with their opinions, nor they with mine, but that does not create a wall of incomprehension.
On a professional level, at a time in my life when I am nearing the end of my career, this new
venture has represented a very welcome challenge. I feel I have grown both personally
and professionally and very much look forward to continuing with In-Oltre next year.
I just hope that those of my students who will be part of the class from next
September feel the same!
Linda Chiesa
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Sometimes I ask myself if people know the right meaning of the word
freedom. It is easy or simple to define it or to find its meaning in the
dictionary and I’m sure they will find something like “not being a prisoner or slave”. That is actually the same definition I’ve had for almost
all my life. It’s incredible how life can give you the opportunity to understand different points of view or change some thoughts that maybe
you had before.
The way I see things today is that the word freedom actually has two
meanings. The first is the one that we find in the dictionary, and the
second is our meaning in life because we find it inside us.
There are people that are physically free, but inside themselves, in
their hearts or minds, they are not free. On the other hand, there are
people that because of circumstances don’t have physical freedom but
inside they are free because freedom can be a song, a sport, a friendship, a feeling, a hope, a dream or anything that makes your heart
happy. So I thank God for letting me find this new meaning of the word
freedom.
To sum it all up, I would say that freedom is the capacity to feel free in
a place where physically that freedom does not exist.
Juan Carlos
Why do I like studying English?
Because I think it can be useful for me; it is a very precise language
and it’s fun.
Our English teacher asked us to think about what freedom is. Well, it
is a very difficult question. Some people think it is the possibility to do
things but for me it is more than this. Freedom is in my mind and it is
more important than the possibility to do things or stay in one geographical place. Maybe freedom means knowing yourself.
Pietro Luigi
The Long Road Out Of Cadro
Dear, Stefano, Lorenz, Juan, Edison, Redinel, Arsim, Shariar, Mohamed, Irvan, Armandi,
Erjon, and Sabri,
In February of 2008, my friend Mauro asked me if I would be interested in embarking on a new adventure as a teacher at the Stampa prison in Cadro. I immediately agreed to do it even though my father,
who is 80 years old, told me not to. It is a “dangerous” job, he said. When he said that I laughed… and I am still
laughing. Hahaha.
I have always been a person who has done things differently. For many people, I am crazy and maybe even a fool for
entering into a prison to teach you guys English. Why do they say these things? Maybe they are afraid for my safety. The
only thing to fear is fear itself. Or maybe they think it is a waste of time to teach you guys. I have found this untrue thanks
to the effort you have given me. I will always be thankful to you for trying to learn something you may never have the chance
to use. My wife, however, thinks it is cool that I am with you guys-she is the one who buys you cookies. My only regret is that
you have never met her. Maybe sometime in the future I will bring her with me to meet you. I just won’t tell my father.
Hahaha.
Unfortunately, I have to leave you “buddies” because of a school that I have to do, and I need to concentrate most of my
energy on this new challenge. However, once I finish this school I hope to come back and re-ignite the friendship we
have developed. Thanks for making my life even more interesting than it is.
I have taken the road less traveled and it has made all the difference… the road in and out of Cadro.
So long my friends.
Mark
Anche i laboratori delle Strutture carcerarie cantonali si rifanno il “look”.
Con il passare degli anni è necessario adattarsi ai tempi ed è quello che la Direzione
delle Strutture carcerarie ha sostenuto e portato avanti per i laboratori siti presso il
carcere penale La Stampa. Questa struttura, ormai datata ma ancora funzionale, ha
aperto i suoi battenti il 5 maggio 1968 e, nel corso del tempo, grazie a questi importanti spazi adibiti per le attività, ha potuto dare lavoro alle persone incarcerate che vi
si sono succedute col passare del tempo.
Negli ultimi anni i laboratori hanno assunto una funzione importante anche con l’implementazione nel 2006 della Scuola In-Oltre che, con le lezioni di lingua unitamente
ad altri corsi, hanno dato la possibilità a più detenuti di apprendere e di perfezionarsi.
Infatti, con la collaborazione della SPAI di Locarno, che assicura le lezioni di cultura
generale, si sono potuti creare dei posti per apprendistati interni alla struttura (per ora
nelle professioni quale cuoco, addetto di cucina, falegname, operatore post press e
tecnologo di stampa), la cui formazione è riconosciuta a tutti gli effetti dalla Divisione
della formazione professionale (DFP) di Breganzona ed ha le medesime specificità di
quelle fornite dalle aziende esterne.
La Direzione si sente di elogiare coloro che si sono adoperati alla realizzazione di questo apparato, nonché permesso il non facile funzionamento all’interno di una struttura
carceraria, unitamente alla preziosa collaborazione del personale di custodia, dell’Ufficio di Patronato come pure alla disponibilità della DFP. Segnaliamo con piacere che
i laboratori, pur avendo riscontrato negli anni un calo nelle commesse esterne dovuto
in modo particolare alla situazione congiunturale e al mercato del lavoro, con l’impegno dei Capi arte (personale responsabile che li gestisce) hanno registrato un aumento
dei lavori ricevuti (altri potrebbero arrivare a breve termine), fatto senza dubbio che fa
bene ai detenuti che vengono impiegati giornalmente.
La stamperia
La cucina centrale presso il carcere penale La Stampa
Altri laboratori che pur non avendo rifatto il “look” hanno comunque una funzione molto importante
Come si evince dalle fotografie, all’inizio di quest’anno ha subito un cambiamento importante. La Direzione, che ha sostenuto la ristrutturazione, fa presente che è stata
necessaria, in primo luogo per renderla operativa in base alle norme igieniche cantonali e, in seconda battuta, per essere più attuale sotto ogni profilo, dotandola nel contempo di una “cucina d’applicazione” riservata agli apprendisti che, unitamente alle
lezioni di cultura generale, permette che la formazione sia completa e parificata a
quella erogata all’esterno. Sì, perché all’interno delle nostre Strutture vengono formati
degli apprendisti, nel caso specifico nella professione di cuoco o addetto di cucina.
Si precisa che attualmente abbiamo in formazione due apprendisti addetti di cucina
e otto aiuti-cucina che si alternano secondo un piano di lavoro ben definito, sotto la
conduzione dei quattro Capi arte cuochi dei quali, uno funge da responsabile della
cucina, uno della formazione degli apprendisti e, in caso di bisogno, uno dispone della
specializzazione per la dieta.
Alla fine del 2009 il laboratorio è stato dotato di una sviluppatrice e di un densitometro.
L’intervento, seppur contenuto, si è reso necessario ai fini della formazione e per poter
svolgere dei lavori che al giorno d’oggi vengono sempre più richiesti.
Il laboratorio stamperia conta un apprendista impegnato con una formazione quadriennale quale tecnologo di stampa, unitamente ad altri tre detenuti quale aiuto, ed
è gestito da un Capo arte.
La Direzione anche in questo caso auspica che sia un primo tassello per poi, in futuro,
beneficiare dell’implementazione di altri macchinari atti alla formazione e per ampliare
le possibilità nell’offerta delle prestazioni.
La zona agricola
Come si può desumere l’attività è improntata prevalentemente nell’agricoltura, il cui
raccolto è messo a beneficio della cucina delle strutture. Il Capo arte può contare
giornalmente sulla collaborazione di cinque detenuti al massimo. La scopo di questo
laboratorio è fungere da piattaforma per coloro che sono in procinto di passare al regime progressivo nella struttura aperta Stampino.
La legatoria, il laboratorio opificio meccanica e lavori manuali, la lavanderia, il
laboratorio plastica e occupazionale
Va rimarcato che presso il carcere penale La Stampa ci sono altri laboratori. Precisamente la legatoria, che attualmente sta formando un apprendista quale operatore post
press e occupa una decina di detenuti sotto la responsabilità di un Capo arte; il laboratorio opificio meccanica e lavori manuali con una ventina di detenuti diretti da due
Capi arte; la lavanderia che, oltre a svolgere un notevole lavoro a favore delle Strutture
carcerarie, esegue dei lavori per le scuole del Luganese, per società esterne e per
privati, sotto la responsabilità di due Capi arte, nonché il laboratorio plastica e occupazionale con diciotto detenuti, gestito da due Capi arte.
La falegnameria
La Direzione si è adoperata affinché anche qui si intervenisse con la sostituzione e
l’aggiunta di nuovi macchinari. Questa è stata l’occasione per rimetterla, sotto ogni
profilo, in assetto e renderla più funzionale, sia secondo le indicazioni dell’Associazione dei falegnami (ASFMS) di Gordola, sia sotto il profilo sicurezza in base alle normative della SUVA. Attualmente registriamo una persona che svolge l’apprendistato
e, durante la settimana, ci sono anche cinque detenuti che fungono quale aiuto. Con
il tempo anche loro acquisiscono delle competenze di base per svolgere determinati
lavori nell’ambito di questa interessante professione artigianale e tutto è reso possibile
grazie al Capo arte responsabile che è del mestiere e funge da maestro di tirocinio.
Durante l’anno scolastico l’apprendista segue pure i corsi interaziendali richiesti dalla
DFP, sempre presso la falegnameria, impartiti da un perito falegname esterno.
Con tale investimento il laboratorio, oltre ad essere nei parametri richiesti per la formazione degli apprendisti, può essere considerato anche all’avanguardia. Bisogna
dire che il lavoro in questo laboratorio sia per la manutenzione interna delle Strutture
carcerarie, come pure quello fornito dall’esterno, non manca.
Il laboratorio
legatoria
Alcuni lavori in vetro
realizzati nei laboratori.
La squadra esterna e l’Azienda Orto di Muzzano
Abbiamo inoltre la squadra esterna, condotta da un Capo arte con cinque detenuti,
che svolge dei lavori per i Comuni o Enti cantonali e l’Azienda Orto di Muzzano, con
un Capo arte responsabile e una quindicina di detenuti. Sia la squadra esterna, sia
l’Orto di Muzzano, ingaggiano dei detenuti in regime progressivo, che sono collocati
presso la Sezione aperta del carcere Stampino.
In conclusione
La Direzione è più che favorevole a prendere in considerazione quelle innovazioni da
mettere in atto per mantenere attivi ed efficienti i laboratori. Inoltre, con i Capi arte
vengono tenute delle riunioni mensili, che hanno lo scopo di fare il punto della situazione e cercare quelle soluzioni che permettono di migliorare, nel limite delle possibilità, il funzionamento dei laboratori. La Direzione ha pure assegnato ai Capi d’arte dei
compiti da discutere in piccoli gruppi di lavoro per formulare delle proposte da presentare in occasione della riunione mensile.
La Direzione ringrazia la Divisione giustizia per il sostegno dato a queste innovazioni,
come pure i collaboratori per la loro preziosa collaborazione.
Vanni Da Dalt
Strutture carcerarie cantonali
Direttore aggiunto e vicedirettore
In-Oltre apprendistato
Quale ispettore della Divisione della formazione professionale mi sono occupato, in quest’ultimo anno scolastico, del
coordinamento dell’apprendistato nella scuola In-Oltre. Si
tratta di interagire con la direzione del carcere, con i responsabili dell’Ufficio di patronato, con i docenti e con i capi
d’arte, alfine di garantire la qualità della formazione.
Anche in una struttura detentiva il sistema della formazione
professionale coniuga le attività pratiche con quelle scolastiche. Per queste ci si avvale di docenti qualificati che insegnano le competenze teoriche, nei laboratori i capi d’arte
impartiscono le attività pratiche. Il tutto nel rispetto delle ordinanze e dei piani di formazione che fissano i contenuti didattici.
Nei miei compiti di “coordinatore del gruppo apprendistato”
della scuola In-Oltre vi sono le riunioni con la direzione del
carcere, con l’Ufficio di patronato e con il rappresentante
dei docenti. In queste occasioni si fa il punto alla situazione
dei diversi percorsi formativi, si analizzano i problemi e si
adottano le necessarie soluzioni. Un esempio concreto è
stato quello delle lacune logistiche: viste le esigenze in ma-
teria di formazione professionale e gli obiettivi che giocoforza vanno perseguiti, vi sono stati degli importanti investimenti di carattere logistico nella cucina e nella
falegnameria. Ciò ha migliorato sensibilmente le condizioni
di lavoro degli apprendisti e dei loro responsabili e permette
il raggiungimento di obiettivi importanti.
Ci stiamo avvicinando alla conclusione dei primi percorsi
formativi di addetto di cucina CFP e di falegname CFP. Si
tratta di due formazioni di durata biennale per l’ottenimento
del Certificato di formazione pratica. Prossimamente le persone in formazione si confronteranno con le procedure di
qualificazione che verranno organizzate all’interno del carcere. Periti appositamente incaricati dall’autorità d’esame
verificheranno le competenze di queste persone a cui auguro di raccogliere i frutti del loro impegno. Ai loro formatori
un doveroso ringraziamento per la professionalità e la disponibilità dimostrate in condizioni non sempre favorevoli.
Parallelamente continuano gli apprendistati di tecnologo di
stampa e di operatore postpress, entrambi curricoli del settore professionale delle arti grafiche, giunti a metà di un per-
corso che dura 4 anni per l’ottenimento dell’Attestato federale di capacità.
Con il nuovo anno scolastico inizieranno una formazione in
carcere altre persone, con le quali vi sono stati degli incontri
per i necessari orientamenti e le verifiche delle attitudini allo
studio e al lavoro. L’auspicio è che queste persone possano
trovare l’interesse, la motivazione e il piacere all’apprendimento, per raggiungere importanti risultati professionali e
soprattutto personali.
E a proposito di apprendimento tengo a sottolineare che
anche il sottoscritto sta traendo da quest’esperienza indicazioni molto preziose e gratificanti.
Concludo con un doveroso e indistinto ringraziamento agli
attori della formazione professionale della Scuola In-Oltre,
certo che anche in futuro si possa collaborare al meglio
nell’interesse della società.
Massimo Ghezzi
Ispettore dell’Ufficio della formazione industriale,
agraria, artigianale e artistica della DFP
Creato e stampato presso le strutture carcerarie cantonali
La cultura generale nella Formazione professionale
Quando mi è stato chiesto di svolgere qualche ora d’insegnamento in penitenziario, ho accettato di buon grado. L’ottica di nuovi orizzonti professionali (contesto particolare),
seppur non privi di incognite, mi attirava.
Nell’arco di qualche settimana mi sono ritrovato ad impartire
lezioni a minorenni, donne ed apprendisti. Fissare in poche
righe ciò che è stato un anno scolastico, in tutta la sua densità, non è impresa facile, posso portare qualche riflessione
in merito a quella che è stata l’attività di cultura generale con
gli apprendisti.
Per poter lavorare in un certo modo con una classe, bisogna
riuscire ad instaurare un buon clima di lavoro. Anche in questa classe come in tutte le altre in cui insegno, il dispendio
energetico profuso nei primi incontri è servito a creare un reciproco rispetto tra allievi ed insegnante.
È cosa nota, che quando c’è rispetto reciproco, il clima di lavoro ne risente in modo positivo.
Devo dire che, grazie allo sforzo di tutti, siamo riusciti nell’intento di costruire un buon ambiente di lavoro.
Prima di parlare di contenuti precisi della mia materia, cultura
generale, è forse meglio precisare la composizione di questa
classe. Mi sono trovato di fronte ad un gruppo di persone
molto eterogeneo, dal punto di vista della formazione professionale, ci sono infatti tre apprendisti che svolgono un tiroci-
nio biennale e due apprendisti che svolgono un tirocinio quadriennale.
Coloro che svolgono i due anni di tirocinio hanno dovuto affrontare un Lavoro di approfondimento (LA) come lavoro
d’esame per la cultura generale.
L’organizzazione e lo sviluppo di questo lavoro d’approfondimento ha richiesto non poche energie da parte di tutti noi.
Il contesto particolare in cui ci si trova, non ha permesso di
riferirsi a molte risorse (documenti scritti, internet, archivi
pubblici, ecc), ma la volontà di svolgere un buon lavoro ha
favorito il superamento di diversi ostacoli e permesso di concludere in modo dignitoso il compito.
Non nego, che più di una volta, ho dovuto fungere da risorsa
e costituire ponte verso le fonti di documenti esterne (biblioteche pubbliche, archivi di documenti vari, immagini a colori,…)
Gli argomenti scelti per questo particolare lavoro sono stati:
l’universo e il sistema solare nella loro composizione e funzionamento; la storia dell’alimentazione fino ai nostri giorni e
le pitture rupestri e i reperti archeologici della Val Camonica.
Durante l’esecuzione di questa particolare attività, anche gli
apprendisti del quadriennale si sono lasciati trascinare dall’entusiasmo, dalla dedizione e dell’impegno dimostrati dai
loro compagni del biennale e si sono interessati più di una
volta allo sviluppo dei LA e del loro contenuto.
Il lavoro di approfondimento, in modo diretto o indiretto, ha
coinvolto tutti noi, in modo costruttivo, per buona parte di
questo anno scolastico.
Il fatto di insegnare la Cultura generale, materia che già dal
nome porta ad immaginare una ricca quantità di contenuti
dai diversi e molteplici sviluppi, mi ha permesso di accogliere
una serie di stimoli non indifferenti da parte degli allievi. Alcuni
di questi stimoli hanno portato a svolgere delle lezioni interessanti e partecipate.
Nelle lezioni abbiamo potuto intercalare, quella che è la parte
di programma prevista dai regolamenti, a quella parte che
comprendeva gli spunti proposti dagli apprendisti, su quelli
che sono i molteplici aspetti della vita quotidiana, nelle sue
sfaccettature.
Privilegio, quello di insegnare Cultura generale, che mi ha
permesso di intavolare un certo discorso professionale-relazionale con gli apprendisti, portando ad un arricchimento reciproco culturale ed umano.
Patrizio Maggetti
Docente CG apprendisti
Lavori di approfondimento
Storia dell’alimentazione umana
Ho deciso di dedicarmi a questo argomento
in quanto ho ritenuto importante cercare di
far capire nel migliore dei modi quanto sia
stata importante l’alimentazione, la sua evoluzione a pari passo coi tempi, ripercorrendo
per quanto mi sia stato possibile le tappe più
importanti, la formazione dei primi insedia-
L’universo
menti umani, delle prime comunità e dei primi
villaggi.
Arrivando poi sino a questa epoca che ci ha
portato da un lato a un’evoluzione ormai
avanzata tecnologicamente, ma che ci ha
anche portato a perdere alcune delle nostre
tradizioni che un tempo erano quasi sacre
come la tradizione del mangiare bene.
Ho scelto di fare questo lavoro perché mi ha
incuriosito sempre l’universo ed ho voluto
sempre scoprire qualcosa di nuovo.
In sostanza quello che si può dire è che per il
nostro benessere sarebbe meglio recuperare
una certa cultura del mangiar bene, che per
motivi di vario genere (vedi lo stress quotidiano) stiamo via via perdendo.
Dopo aver svolto questo lavoro posso dire di
aver imparato tante cose nuove sui pianeti,
stelle, asteroidi, che prima non sapevo.
Mi sono accorto che c’è ancora tanto da scoprire e molto è ancora misterioso per tanta
gente e anche per tanti scienziati.
Per studiare meglio certe cose c’è bisogno
molto più tempo di quello che abbiamo avuto
qui a scuola, anche se già ho potuto capire alcune cose che prima non sapevo come funzionavano.
Penso di avere fatto un buon lavoro. Mi sono
impegnato molto a leggere libri, a seguire documentari alla televisione e a cercare immagini
per rendere bello e completo il mio lavoro.
Filippo
Mihai
Una giornata di accompagnamento nella formazione pratica degli addetti di cucina nella scuola In-Oltre
Quali motivazioni spingono i detenuti ad apprendere una
formazione? Quanto è importante poter acquisire una
formazione ed essere apprezzati professionisti? Il giorno
di rientro nel mondo sociale e del lavoro sarà meno difficile?
Queste sono le domande che mi sono posto quando ho
saputo dell’incombenza che mi aspettava. La prima risposta è stata così piena di significato, datami da un
giovane di 25 anni, che è imprescindibile l’opportunità
che viene data attraverso la formazione che possono
svolgere all’interno del penitenziario. “Quando uscirò di
qui, il mio sogno, è quello di tornare a casa ed aprire un
piccolo ristorante, quello che sto imparando qui da noi
non esiste”. Ho provato un’ esperienza, che non tutti
hanno la possibilità di vivere. Nella formazione carceraria iniziata due anni fa, due persone con un periodo piuttosto lungo di reclusione, hanno intrapreso la
formazione di addetto di cucina. Quest’anno, si presentano agli esami per l’ottenimento del Certificato federale
di formazione pratica. Con l’operatore della formazione,
signor Mangilli, al quale va un encomio per la determinazione a trasmettere le competenze di base e una forte
motivazione, ci siamo accordati per il programma del
corso che dovevano svolgere. Un venerdì d’inizio marzo
di quest’anno, dopo questa settimana di corsi pratici interni, ho trascorso un’intera giornata con le due persone
in formazione, dando la possibilità di “simulare” una
parte di prova d’esame pratico. Al mattino, verso le 8.00,
sono stato accompagnato in un’ala del penitenziario
adibita specificatamente per questa giornata. Con le
due persone in formazione abbiamo stilato il programma
di lavoro e preparato il buono d’economato.
Il compito da svolgere era un menu di quattro portate,
da suddividersi in due parti, composto da:
Spuma di pomodoro con un’ insalatina di spinaci
***
Tagliatelle fresche con “julienne” di legumi
***
Manzo brasato al “Merlot”
Polenta Taragna
Piselli alla francese
***
Semifreddo al Grand-Marnier
Subito affiorava l’ansia nei partecipanti, la paura di sbagliare era uguale come per tutti i giovani che arrivano alla
fine di una formazione. Dopo qualche richiesta di conferma del lavoro teorico svolto, che era più che normale,
ci siamo trasferiti in cucina per iniziare la produzione e
la preparazione delle pietanze. Con le difficoltà emerse,
per la mancanza di una vera cucina per esercitarsi, i due
partecipanti hanno dato fondo al loro impegno. Era evidente che per loro mettersi in gioco con qualcuno che li
doveva “valutare, e che veniva dall’esterno” era già una
forte emozione e un grande successo. La situazione che
si presentava era nuova, mai avevano cucinato per 5
persone, i tempi di servizio erano ben specifici, ed i
commensali (4 persone) avrebbero apprezzato “o meno”
la loro prestazione.
Durante la preparazione davo qualche consiglio particolare per fare in modo che non si perdessero nell’esecuzione della ricetta. Loro istintivamente cercavano
continuamente la conferma se la procedura era corretta.
Alle 12.00 ca, si iniziava con l’antipasto freddo, poi con
scadenza regolare di 15 minuti venivano servite le altre
portate, come da programma.
Il bello dell’insegnamento e i suoi frutti
Il bello dell’insegnamento è quello di vedere
come crescono i ragazzi oppure solamente
avere il piacere di provare una sfida come
quella di insegnare in un penitenziario.
E’ stato un anno non semplice nei suoi vari
aspetti; in primis le pretese e le attese dei ragazzi di poter lavorare e apprendere il mestiere, d’altra parte la disponibilità e la fattibilità
di poter eseguire lavori e cambiamenti in un
contesto non così semplice ed evidente.
Dopo il corso interaziendale (gestito molto
bene e con mezzi non semplici ) e l’arrivo della
nuova cucina si è visto in loro un aumento
nello spirito e a livello tecnico.
A lungo andare si conoscono meglio le per-
sone e l’insegnamento diventa un piacere,
come quello di raccontare “storie e stupidate”
inerenti spesso al calcio italiano o sul piccolo
spaccio del venerdì.
Sono ormai diverse settimane che a poco a
poco ci stiamo preparando per gli esami con
prove e controprove, con ritocchi a destra e a
sinistra sempre sperando che dopo tutti questi
lavori i ragazzi ne raccoglieranno i meritati
frutti…
Luca Bondietti
Docente CP
Addetto di cucina CFP
Alla fine del pranzo mi sono intrattenuto con i due candidati, ho evidenziato le carenze ed i lavori svolti positivamente.
Nella discussione finale mi riportavano le loro sensazioni:
• purtroppo non abbiamo svolto abbastanza pratica
perché nella vecchia cucina ci mancano diversi
apparecchi / utensili
• il fatto di svolgere dei corsi mirati ad insegnamenti
specifici, taglio, cotture e disposizione sui piatti
sono assolutamente indispensabili
• poter cucinare per poche persone ed essere
“valutati”, ci fa capire che non siamo ancora pronti
per il vero esame.
Il sostegno della Divisione della Formazione Professionale a seguire e monitorare lo svolgimento di queste formazioni è fondamentale. Alla fine del mese di maggio
dovrebbe entrare in funzione la nuova cucina del penitenziario, questa ha una zona specifica come Laboratorio per la formazione biennale di cuoco. Con la
collaborazione di tutti gli attori e la nuova cucina sicuramente si potranno ottenere buoni risultati. Auguri ai
due candidati che portano a termine la loro formazione
quest’anno, superando l’obiettivo ricevono il Certificato
federale di formazione pratica (CFP). Il Certificato federale di formazione pratica conferisce al titolare il diritto
di avvalersi della designazione legalmente protetta di
“Addetta/o di cucina CFP”.
Valerio Nicora
Ispettore del tirocinio
Ufficio della formazione
industriale, agraria, artigianale e artistica
La formazione in cucina
La scuola IN-OLTRE (scuola e apprendistato
nei laboratori) è senz’altro una buona opportunità offerta ai detenuti e può sicuramente
aiutare al loro reinserimento nella società una
volta ultimata la pena.
In cucina stiamo formando 2 apprendisti,che
prossimamente affronteranno gli esami di fine
tirocinio. Non sempre è stato facile seguirne i
passi, per motivi di infrastrutture e a carichi di
lavoro del personale. Bisogna elogiare gli
sforzi della direzione per modernizzare la cucina (non indifferente) per poterli mettere a
loro agio. In passato si poteva seguirli di più,
la forza lavoro era uguale ma i detenuti la
metà.
Creato e stampato presso le strutture carcerarie cantonali
I 2 apprendisti hanno dovuto mettere molto
impegno nel seguire la parte teorica. Un altro
ostacolo che si sono trovati a dover affrontare
è il non poter confrontarsi all’ esterno con altri
modi e sistemi di lavoro. Vedi lezioni di cultura
generale e conoscenze professionali.
Purtroppo devo constatare che l’impegno
degli insegnanti e dei maestri di tirocinio nei
confronti dei detenuti non è sempre ricambiato da quest’ultimi. Anche i detenuti devono
capire che non tutto è dovuto e fuori da queste
quattro mura ci sarebbe gente, che vorrebbe
ma che non può frequentare corsi di lingua o
corsi di computer.
Gabriele Luvini
Maestro di tirocinio
Addetto di cucina CFP
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