mamme e minori in carcere - Dipartimento di Giurisprudenza
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mamme e minori in carcere - Dipartimento di Giurisprudenza
MAMME E MINORI IN CARCERE L’argomento contenuto nelle seguenti pagine studia la necessità di preservare il rapporto tra la madre, che ha commesso un reato, ed il figlio minore; con l’esigenza che le politiche familiari e sociali tutelino la loro relazione. Le carceri devono svolgere due compiti essenziali e complementari: proteggere la popolazione da soggetti che hanno comportamenti pericolosi o quanto meno punibili e reintegrare i detenuti nella società, al momento del loro rilascio. Dal percorso di lavoro che ho svolto, è subito emersa la delicatezza della questione poiché bisogna conciliare l’esigenza punitiva dello Stato, la tutela della maternità, il diritto dei bambini di crescere in luoghi idonei al loro sviluppo e di non pagare colpe che non hanno commesso ed infine fare in modo che sia attuata un’attività trattamentale perché la detenzione non sia fine a se stessa. L’esposizione è suddivisa in tre parti, partendo da una globale della situazione delle donne detenute in Italia ed in Europa, per poi restringere e mettere in luce la situazione delle madri detenute con i loro figli, il quadro politico ed i limiti normativi, concludendo con il progetto pilota dell’Icam ed il ruolo ricoperto dalle associazioni italiane ed europee. 1. LA DETENZIONE FEMMINILE Spesso, l’arrivo in carcere è la tappa finale di un percorso cominciato molto tempo prima e il ritorno in carcere dopo esserci già state (il tasso di recidiva è molto alto) è sintomatico del non aver interrotto il precedente modus vivendi, di essere ritornate nel medesimo ambiente e soprattutto è sintomatico del fatto che la pena, per queste persone, non ha svolto alcuna funzione se non una sofferenza fine a se stessa. Le donne presenti all’interno delle carceri italiane al 31 dicembre 2011 sono 2.8081, rappresentando il 4,20% del totale. La ridotta incidenza statistica della delinquenza femminile anche se, è stato registrato un lieve aumento di tale fenomeno, ha determinato uno scarso interesse alla detenzione femminile che ha portato a trattare i vissuti delle donne allo stesso modo in cui vengono trattati quelli degli uomini, con una carente analisi della differenziazione dei loro problemi e bisogni, in particolar modo rispetto alla specificità delle relazioni familiari e della cura dei figli. Esse rappresentano i settori più deboli della cittadinanza sia dal punto di vista economico che sociale. Sottolineare questa realtà, significa voler comprendere il fenomeno per affrontarlo nella maniera corretta. Il carcere, anche il migliore, è comunque un luogo di grande sofferenza: provoca crisi d’identità, rende impotenti, umilia e crea un forte sentimento di rabbia contro la società. Per la donna esso assume risvolti strazianti per lo speciale legame che unisce una madre ai propri figli, una particolarità non da poco, che si scontra con l’inadeguatezza del sistema carcerario modellato sulle esigenze maschili. 1.1 La detenzione femminile in Europa Secondo i dati recenti forniti dal World Prison Brief Online la percentuale media delle donne nelle carceri europee si attesta attorno al 5%. La Spagna e il Portogallo registrano la maggiore presenza di donne detenute (rispettivamente l’8% e il 10%), mentre l’Albania con l’1,6% ha il numero più basso di presenze. Oltre la metà delle detenute nelle carceri europee sono madri con almeno un figlio e tale percentuale è particolarmente elevata in Spagna ed in Grecia. Le donne costituiscono in tutti i paesi un’esigua minoranza e questo pone le varie amministrazioni penitenziarie di fronte agli stessi problemi, soprattutto per quanto riguarda i criteri di raggruppamento delle detenute. La condizione delle donne in carcere è stata a lungo ignorata da norme e principi internazionali, particolarmente sotto il profilo della specificità dei bisogni, dalle relazioni familiari alla cura dei figli. Il Parlamento europeo è intervenuto in materia di detenzione femminile, mediante l’approvazione della Risoluzione 13 marzo 2008 “Sulla particolare situazione delle donne detenute e l’impatto dell’incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare” con la quale, si invitano gli Stati membri ad “integrare la dimensione della parità tra donne e uomini nella rispettiva politica penitenziaria”, a “tenere maggiormente presenti le specificità femminili” nonché a “creare condizioni di vita adatte alle esigenze dei figli che vivono con il genitore detenuto”. Dall’analisi della realtà europea è emerso che, lo scopo delle politiche europee e delle misure a sostegno della genitorialità deve tendere allo sviluppo di politiche efficaci volte a determinare un cambiamento nei comportamenti sociali e negli stili di vita, in modo da soddisfare più efficacemente le esigenze di bambini, genitori e famiglie. Attualmente, quasi nessun paese europeo attribuisce un obbligo statutario alle autorità delle carceri di organizzare un servizio di specialisti per i figli dei detenuti. Si dovrebbe fare uno sforzo, attraverso il Parlamento Europeo, perché all’interno dei bilanci vi sia una voce destinata agli interventi per i figli di genitori detenuti e perché siano fissati i requisiti specifici per le autorità delle carceri che tengano conto delle necessità dei figli che le visitano. 1.2 La detenzione femminile in Italia Dall’ultima rilevazione del DAP2 effettuata il 31 dicembre 2011; come riportato nella tabella 1, gli istituti esclusivamente femminili in Italia sono soltanto 5 – Trani (BA), Pozzuoli (NA), Roma Rebibbia Femminile (RM), Empoli (FI), Venezia Giudecca (VE) – dislocati in tutta la penisola ed eccezione delle isole, sono presenti due istituti nel centro e nel sud d’Italia ed uno nord; mentre sono 56 gli istituti penitenziari maschili che riservano una sezione femminile. Rispetto a quest’ultimo dato è possibile rilevarne una maggior presenza nel sud del territorio italiano (comprese le isole) rappresentando il 37,5%, mentre risultano essere distribuite quasi omogeneamente fra il nord (30%) ed il centro (32%) inoltre; l'Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (MN) ospita una sezione femminile. Tabella 1 Istituti esclusivamente femminili in Italia - situazione al 31 Dicembre 2011 Istituti penali Numero Venezia Giudecca (VE) 1 Empoli (FI) 1 Roma Rebibbia Femminile (RM) 1 Trani (BA) 1 Pozzuli (NA) 1 Totale 5 Le donne detenute sono presenti maggiormente all’interno delle carceri delle regioni Lombardia, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto – sono le medesime regioni che manifestano una situazione di sovraffollamento. Le detenute sono prevalentemente giovani, sposate o conviventi, di nazionalità sia italiana che straniera, imputate per detenzione e spaccio di stupefacenti. Il 36,18% delle detenute possiede il diploma di scuola media inferiore, il 21,45% ha quello di scuola media superiore o titoli di formazione professionale, l’1,79% è laureata; il 17,62% ha la licenza elementare, l’11,44% delle detenute è privo di titoli di studio, il 5,31% è analfabeta. Al 31 dicembre 2010 le detenute iscritte ai corsi professionali attivati dall’Amministrazione penitenziaria sono il 7,13%, promosse ai corsi terminati sono state il 71,75%. Tabella 2 Detenute per titolo di studio situazione al 31 Dicembre 2011 Titolo di studio Dato % Analfabeta 5,31 Licenza elementare 17,62 Diploma di scuola media inferiore 36,18 Diploma di scuola media superiore o titolo di formazione professionale 21,45 Laureata 1,79 Priva del titolo di studio 11,44 Iscritte ai corsi professionali dell'Amministrazione penitenziaria 7,13 Promosse ai corsi terminati 71,75 I principali problemi che caratterizzano e distinguono la detenzione femminile riguardano: la maternità ed il rapporto con i figli, l’affettività, le peculiarità dal punto di vista fisico e psicologico e le difficoltà delle detenute straniere. Occorre, inoltre, considerare che la condizione detentiva è, per la donna, carica di una sofferenza diversa da quella dell’uomo; ciò è dovuto al differente percorso di socializzazione, al diverso ruolo sociale e al maggior peso dell’investimento emotivo e della responsabilità affettiva nei confronti dei familiari, in particolare dei figli3. Dalla fotografia che rappresenta la detenzione in Italia, emerge che la caratteristica del sistema penale italiano è la grande incidenza della detenzione in attesa del processo. Un altro dato che si può osservare è il sovraffollamento che è presente all’intero di tutte le carceri italiane; in 11 regioni i detenuti presenti sono quasi il doppio della capienza regolamentare. Le politiche penitenziarie degli ultimi anni in Italia hanno seguito due versanti, uno di riduzione del ricorso alla pena detentiva (lo scarso accesso alle misure alternative alla detenzione, alcune condizioni di salute del detenuto risultano incompatibili con lo stato di detenzione ed una maggior attenzione al genitore detenuto), l’altro di miglioramento delle sue condizioni di esecuzione (attraverso il miglioramento della qualità del servizio sanitario all’interno degli istituti penitenziari e la progettazione di un percorso individualizzato caratterizzato da attività trattamentali che mirino alla rieducazione e risocializzazione dei detenuti). Le disposizioni contenute nel Regolamento – tipo interno per gli istituti e le sezioni femminili italiane rappresentano un contributo alla modificazione dei modi e dei tempi della vita detentiva, in modo da avvicinarli ai bisogni della popolazione femminile, con particolare attenzione alla dimensione affettiva, alle specifiche necessità sanitarie, al diverso rapporto con le esigenze della propria fisicità e alla necessità di offrire pari opportunità di reinserimento sociale ma ciò, non risulta esaustivo. L’attenzione deve essere rivolta a progettare sistemi di regolamentazione della vita negli istituti e sezioni femminili che da un lato tengano conto dei bisogni e delle esigenze che caratterizzano le donne detenute – consentendo a queste ultime di fruire, nonostante l’esiguità del loro numero, di pari opportunità trattamentali e di reinserimento sociale – e dall’altro favoriscano l’espressione di quegli aspetti della personalità fondati sulla differenza di genere. 1.3 Provenienza nazionale e sociale Le donne detenute straniere presenti in carcere al 31 dicembre2011 sono il 41,70% del totale delle donne detenute; rappresentando il 4,84% del totale dei detenuti stranieri; i detenuti presenti sono 66.897 di cui 24.174 stranieri4. Particolarmente problematica in ambito carcerario femminile è la presenza delle straniere e delle donne di etnia zingara, divenendo poi le protagoniste significative negli asili nido in carcere. Quello che maggiormente colpisce è la crescita continua del numero delle straniere, che nel 1995 erano il 18% circa del totale delle detenute mentre nel maggio del 2001 la loro percentuale è salita al 39%, ventuno punti percentuali in più in un arco di soli sei mesi. Dalla fine del 1999 al maggio 2001 il numero delle donne in carcere è cresciuto di 235 unità, se si guardando i dati relativi al numero di straniere si nota che, nello stesso periodo, queste sono cresciute di 208 unità: la quasi totalità dell’aumento delle presenze negli istituti di pena femminili è dato dall’ingresso di detenute straniere. Dai dati riportati dal DAP al 31 dicembre 2011, si rileva che le straniere che commettono reati sono in prevalenza le donne che provengono dalla Romania rappresentando il 22,80% e quelle nigeriane che rappresentano il 14,85%; a seguire le donne iugoslave (coprendo il 4,27%), provenienti dalla Bosnia e Erzegovina (3,84%), dal Marocco (3,76%), dalla Cina (3%) e dal Brasile (2,65%). Gli uomini marocchini ricoprono il 7,25% delle presenze nelle carceri italiane, fra gli stranieri 20,07%. Il 13,72% è rappresentato dagli uomini che provengono dalla Romania. I tunisini detenuti sono il 13,12% e gli albanesi l’11,35%. Vi è correlazione tra la presenza di detenuti stranieri, uomini e donne, provenienti dal Marocco e dalla Romania; rispetto al dato maschile le donne nigeriane sono molto presenti. Rispetto ad un’analisi continentale, come riportato in tabella 3, il 38,37% dei detenuti proviene dal continente europeo (con una maggior presenza dei cittadini dell’Unione europea con il 52,79%); il continente africano detta il dato maggiore, ricoprendo il 50,41% delle presenza; dove i marocchini coprono il 40,16%; i detenuti americani sono il 5,86%, con una maggior presenza dei cittadini provenienti dal sud America rappresentando il 72,34%; presenti in misura minore rispetto ai precedenti sono gli asiatici con il 5,27%, di cui il 78,10% provenienti da altri paesi dell’Asia infine; l’Oceania ricopre lo 0,09% di presenze. Tabella 3 Detenuti presenti stranieri per area geograficasituazione al 31 Dicembre 2011 Continente Aree UE Ex jugoslavia Europa Albania Altri paesi Europa Africa Asia America Oceania Totale detenuti stranieri Detenuti 4.896 994 2.770 615 Totale Europa 9.275 Tunisia Marocco Algeria Nigeria 3.189 4.895 729 1.172 Altri paesi Africa 2.201 Totale Africa 12.186 Medio oriente 279 Altri paesi Asia 995 Totale Asia 1.274 Nord Centro Sud 32 360 1.025 Totale America 1.417 22 24.174 Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica. Dalle ricerche effettuate emerge che le donne rispetto agli uomini presentano maggiori problemi psicologici e materiali durante la detenzione: la loro personalità e la loro sensibilità sono più complesse, soffrono per l’assenza di affettività, per la lontananza dai figli, dalla famiglia e dalla vita normale. Il dramma delle madri carcerate è uno dei problemi più gravi e non si risolve né se tengono con loro i figli né se li affidano alle cure di altri fuori dall’istituto carcerario. Negli ultimi anni, una conoscenza più approfondita e qualificata della donna ha permesso l’introduzione di innovazioni significative, come la previsione, nei progetti pedagogici, di specifici interventi operativi che tengano conto della differenza di genere e sono state attivate alcune strutture adatte ai bambini di età inferiore a tre anni. Parlare di carcere femminile significa adattare le attività penitenziarie alla particolare personalità ed alla struttura psico-fisica della donna. Non per questo la normativa che presiede all’esecuzione penitenziaria della donna è differente da quella dell’uomo. 1.4 I reati delle donne La tipologia dei reati commessi dalle donne è una chiara espressione del percorso di marginalità che spesso segna le loro vite, riportandole in carcere per brevi e ripetute permanenze. La violazione della legge sulla droga (26,01%) ed i reati contro il patrimonio (24,20%) costituiscono il motivo della condanna per la maggioranza delle detenute; le stesse tipologie di reati sono commessi anche dalle straniere. È presente la prostituzione, pur non essendo incriminabile lo status di prostituta; si tratta di reati legati a tale condizione, come oltraggio, resistenza a pubblico ufficiale; solitamente ne sono incriminate le immigrate africane o dell’Europa dell’Est e dei Paesi Balcanici. Invece, per i reati di vagabondaggio sono spesso incarcerate le donne rom. Negli ultimi anni inoltre, si è aggiunto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso5. Esaminando nel dettaglio la tabella 4, relativa alle tipologie di reati più frequentemente commessi dalle donne, emerge come quelli contro la persona, considerati la misura più indicativa della pericolosità sociale, si attestino al 17,30% dei delitti commessi, sia rispetto ai reati legati alla droga, dato che concorda con l’alto numero dei tossicodipendenti presenti all’interno delle carceri italiane, sia rispetto ai reati contro il patrimonio (furto, rapina, danneggiamento, truffa). Conformi sono i dati che si riferiscono alle tipologie di reati commessi dagli uomini; i reati contro il patrimonio rappresentano il 24,06%, ed i reati appartenenti alle leggi relative alle droghe rappresentano il 19,42% del totale dei reati. In misura prevalente per il genere maschile, oltre ai reati connessi alle trasgressioni delle leggi riguardanti le droghe (18,78% – di cui stranieri 27,85%) e contro il patrimonio (23,27% – di cui stranieri 21,46%) emergono i reati contro la persona (rappresentando il 16,38% – di cui stranieri 17,28%). I crimini contro la moralità pubblica ed all’economia pubblica rappresentano una percentuale non rilevante rispetto ai reati femminili, dove per le straniere il dato è quasi nullo. Tabella 4 I reati – situazione al 31 Dicembre 2011 (*) Tipologia di reati Italiani Stranieri Detenuti italiani + stranieri Donne Uomini Totale Donne Uomini Totale Donne Uomini Totale Associazione di stampo mafioso (art. 416 c.p.) 114 6.275 6.389 7 71 78 121 6.346 6.467 Legge droga Legge armi Ordine pubblico Contro il patrimonio Prostituzione 700 103 41 696 18 14.738 9.081 2.226 23.654 212 15.438 9.184 2.267 24.350 220 495 19 72 416 147 11.526 866 844 8.881 712 12.021 885 916 9.297 859 1.195 122 113 1.112 165 26.264 9.947 3.070 32.535 924 27.459 10.069 3.183 33.647 1.089 Contro pubblica amm.ne Incolumità pubblica Fede pubblica Moralità pubblica Contro la famiglia Contro la persona Contro la personalità dello Stato Contro amm.ne Giustizia Economia pubblica Contravvenzioni Legge stranieri Contro il sen.to e la pietà dei def. Altri reati 114 28 96 5 39 491 4.800 1.447 2.564 164 1.271 15.747 4.914 1.475 2.660 169 1.310 16.238 42 2 61 1 16 304 3.116 206 1.675 61 423 7.151 3.158 208 1.736 62 439 7.455 156 30 157 6 55 795 7.916 1.653 4.239 225 1.694 22.898 8.072 1.683 4.396 231 1.749 23.693 11 191 8 57 7 89 5.300 518 3.410 106 100 5.491 526 3.467 113 1 70 1 25 99 45 822 15 602 2.230 46 892 16 627 2.329 12 261 9 82 106 134 6.122 533 4.012 2.336 146 6.383 542 4.094 2.442 27 51 981 3.061 1.008 3.112 12 8 96 247 108 255 39 59 1.077 3.308 1.116 3.367 (*) Nota: La numerosità indicata per ogni categoria di reato corrisponde esattamente al numero di soggetti coinvolti. Nel caso in cui ad un soggetto siano ascritti reati appartenenti a categorie diverse egli viene conteggiato all'interno di ognuna di esse. Ne consegue che ogni categoria deve essere considerata a sé stante e non risulta corretto sommare le frequenze. Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato sezione statistica. Rilevante è quindi il problema delle tossicodipendenti le quali hanno in genere pene detentive brevi ma nella maggior parte dei casi sono recidive: ciò esprime che la popolazione carceraria cambia costantemente e risulta difficile programmare attività di recupero. Una sistemazione detentiva migliore ipotizzabile, laddove non fosse possibile applicare la pena alternativa, sono gli Istituti di Custodia Attenuata: questi sono istituti o sezioni penitenziarie con norme peculiari e regime di bassa custodia che favoriscono una forma migliore di trattamento della tossicodipendenza6. È importante richiamare le misure alternative alla detenzione esponendo i dati riguardanti le donne. Vi sono tre tipologie di misure alternative alla detenzione: l’affidamento in prova, la semilibertà e la detenzione domiciliare. Dai dati forniti dal DAP7 al 31 dicembre 2011 i detenuti ammessi alle misure alternative alla detenzione sono 41.375, nella tabella seguente sono indicate, in valori percentuali per sottolinearne la presenza, le misure alternative ripartite per sesso. Si rileva che tra le misure alternativa alla detenzione sia le donne che gli uomini usufruiscono maggiormente della detenzione domiciliare mentre l’anno precedente gli uomini usufruivano prevalentemente dell’affidamento in prova. Tendenzialmente le pene comminate alle donne non sono molte lunghe: le sanzioni si concentrano maggiormente nella fascia inferiore ai tre anni di detenzione. Tabella 5 Misure alternative alla detenzione – situazione al 31 Dicembre 2011 Tipologie Uomini % Donne % Totale % Detenzione domiciliare 48,60 54,55 49,10 Affidamento in prova 46,73 43,65 46,47 Semilibertà 4,67 1,80 4,43 Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Direzione generale dell'esecuzione penale esterna - Osservatorio delle misure alternative. 2. TUTELA DEL RAPPORTO FRA DETENUTE MADRI E FIGLI MINORI Attualmente, il fenomeno dei figli in carcere coinvolge oltre cinquanta bambini l’anno nel totale delle carceri italiane, esso è particolarmente rilevante in quanto coinvolge l’unità sociale fondamentale, madre-figlio-padre, disgregandola o trasformandola negativamente. I bambini sono particolarmente colpiti, dal momento dell’arresto fino al periodo che segue la scarcerazione del genitore. I figli di genitori detenuti non godono di nessun diritto come gruppo particolare, i loro bisogni vengono raramente presi in considerazione quando un genitore entra in carcere. 2.1 Aspetti legislativi Dalla ricerca effettuata emerge come, da un punto di vista legislativo, non ci sia indifferenza riguardo alla tematica del rapporto madre-figlia/o all’interno del carcere ma, al contempo risulta evidente come non sia disponibile una normativa realmente applicabile su un argomento di tale rilevanza. Sono diverse le norme di legge, del codice penale, del codice penale di rito, di legge ordinaria, che riguardano la materia, la cui “ratio” tende a ricercare un arduo compromesso tra le esigenze cautelari e/o di istanze punitive e la tutela del bambino. Il sistema normativo in Italia si è evoluto nel tempo; da una parte ha affermato la centralità della figura materna nello sviluppo dei bambini, nel momento in cui ha permesso alla detenuta che lo desideri o non abbia altri a cui affidare i figli piccoli di tenerli con sé in carcere dall’altra, la struttura carceraria non è stata modificata in vista della presenza di un bambino. Inoltre, la particolarità dell’ambiente carcerario favorisce un legame simbiotico tra madre e figlio, privo di contatti con l’esterno e vissuto dentro una realtà tutta femminile; queste condizioni di difficoltà legate alla carcerazione si vanno a sovrapporre a quelle sociali, ambientali ed affettive già presenti e dalle quali risulta difficile potersi slegare. L’Ordinamento penitenziario attualmente in vigore è la Legge 26 luglio 1975, n° 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà); che detta norme specifiche concernenti il rapporto madre detenuta-figlia/o relative al Servizio sanitario (art. 11), ai rapporti con la famiglia (art. 28), all’assistenza alle famiglie (art. 45) ed alla detenzione domiciliare (art. 47ter, comma¹); consentendo alle madri di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni, prevedendo l’inserimento negli istituti penitenziari di specialisti (ostetriche, ginecologi e pediatri) allo scopo di tutelare la salute psico-fisica dei bambini e delle loro madri istituendo appositi asilinido presso le strutture penitenziarie, ed una particolare attenzione al miglioramento ed al mantenimento dei rapporti con i famigliari. Dieci anni dopo il legislatore è nuovamente intervenuto, emanando due importanti leggi, la Legge 10 ottobre 1986, n° 663 (Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e la Legge 27 maggio 1998, n° 165 (Modifiche all'articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n° 354, e successive modificazioni). La c.d. Legge Gozzini n° 663/1986 ha introdotto nell’ordinamento penitenziario la detenzione domiciliare: una modalità esecutiva della pena meno afflittiva della detenzione intramuraria, che consente di espiare – secondo quanto disposto nel testo dell’epoca dell’art. 47-ter, comma ¹ O.p. – nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo pubblico di cura o di assistenza, la pena della reclusione non superiore a due anni, anche se costituente residuo di pena maggiore o la pena dell’arresto qualunque ne sia l’entità. Fra le particolari categorie di soggetti che ne sono destinatari risultano inserite la donna incinta o che allatta la propria prole e la madre di figli di età inferiore ai tre anni, con lei convivente; introducendo una misura alternativa alla detenzione. La c.d. Legge Simeone-Saraceni n° 165/1998 ha ampliato la concessione dei benefici penitenziari, modificando ulteriormente la normativa, elevando da due a quattro anni il limite della pena da scontare, anche se parte residua di maggior pena, e da tre a dieci anni l’età del figlio/a, purché convivente con la condannata, estendendo altresì i benefici della detenzione domiciliare al padre qualora la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a prestare assistenza ai figli. Attraverso il nuovo Regolamento il d.P.R. 30 giugno 2000, n° 230 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) è stata determinata la necessità di assicurare il mantenimento di rapporti costanti tra madre e figlio dopo la separazione che si verificherà all’arresto o al compimento del terzo anno di età del bambino, introducendo in questo modo norme di ampliamento all’assistenza sanitaria ai bambini ed alle madri gestanti e detenute (art. 19), dedicando maggiore attenzione ai rapporti con le famiglie (art. 61). Dall’analisi della legislazione italiana che tutela il rapporto madre detenuta-figlia/o minore sono due le leggi di maggior rilievo: la legge n° 40/2001 e la legge n° 62/2011. La legge n° 40 del 2001 (c.d. legge Finocchiaro) “Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori” da un lato ha esteso i presupposti applicativi d'istituti già esistenti, come il rinvio dell’esecuzione della pena (art. 1 – di cui all’art. 146 e 147 del codice penale) e dall’altro ha introdotto una nuova misura alternativa la detenzione domiciliare speciale (art. 3 - di cui all’art. 47-quinques O.p.) per i figli minori di anni dieci, ed una nuova modalità di trattamento l’assistenza all’esterno dei figli minori (art. 5 - di cui all’art. 21-bis O.p.). In riferimento al rinvio dell’esecuzione della pena furono sostituiti gli artt. 146 relativo al differimento obbligatorio – ampliando l’obbligo del differimento della pena nei confronti di donna incinta e della madre fino a quando il bambino non avrà compiuto un anno di età rispetto alle norme precedenti relative ai sei mesi di età del bambino – e 147 codice penale sul differimento facoltativo – con la previsione per la madre di rimanere con il figlio sino al compimento del terzo anno di età, mentre prima era possibile solo se la madre avesse partorito da più di sei mesi ma da meno di un anno e non vi fosse modo di affidare il figlio ad altri. Con la detenzione domiciliare speciale si è voluto consentire alle condannate, madri di bambini di età inferiore agli anni dieci (quando non ricorrono le condizioni indicate all’articolo 47-ter dell’ordinamento penitenziario – pene non superiori a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, e nel caso di recidiva pene non superiori ai 3 anni) qualora vi sia la possibilità di un domicilio privato, di espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli; solo se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli e dopo l’espiazione di un terzo della pena ovvero, dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo. Tale misura verrà revocata (art. 4) qualora il comportamento della condannata risulti contrario alla legge o alle prescrizioni dettate ed appaia incompatibile con la prosecuzione della misura alternativa. Al fine di assicurare la continuità della funzione genitoriale, in tutte le ipotesi in cui la madre detenuta non abbia i requisiti per accedere alla detenzione domiciliare speciale, vi è l’assistenza all’esterno dei figli minori (art. 5) che si propone di ampliare l’ambito applicativo del lavoro all’esterno introducendo uno specifico istituto per la detenuta madre. La misura attribuisce ai compiti di cura e di assistenza dei figli di età non superiore agli anni dieci lo stesso valore sociale e la stessa potenzialità risocializzante dell’attività lavorativa, con l’esigenza di garantire la continuità del rapporto madre-figli, secondo modalità più limitate rispetto alla detenzione domiciliare speciale, comportando la permanenza in carcere per una parte della giornata. Essa viene concessa (art. 21 O.p.) imponendo al giudice di valutare il tipo di reato commesso, la durata, effettiva o presunta, della misura privativa della libertà (considerando che può essere applicata anche nei confronti di persone imputate e non ancora condannate in via definitiva) e della residua parte di essa, nonché dell’esigenza di prevenire il pericolo che l’ammesso al lavoro all’esterno commetta reati. Il beneficio dell’assistenza all’esterno dei figli minori e della detenzione domiciliare speciale può essere concesso, alle stesse condizioni, in alternativa, al padre detenuto, quando la madre sia deceduta o impossibilitata a dare assistenza alla prole e non vi sia modo di affidare i figli ad altri che al padre. I limiti di applicabilità contenuti nell’art. 6 (come per la detenzione domiciliare speciale) dispongono che la misura non possa essere concessa a coloro che siano stati dichiarati decaduti dalla potestà sui figli, a norma dell’articolo 330 del codice civile; nel caso che la decadenza intervenga nel corso dell’esecuzione della misura alternativa o di comunità, questa verrà immediatamente revocata. Il Tribunale di sorveglianza fissa le modalità di attuazione delle misure. La legge Finocchiaro, pur avendo introdotto principi importanti e nuovi istituti, risulta essere di difficile attuazione: soprattutto nel caso di detenute straniere; si continua a registrare una presenza in carcere di bambini fino a 3 anni inoltre, alcuni istituti risultano in parte sovrapponibili. Ad esempio: ● il rinvio dell’esecuzione, sia esso obbligatorio o facoltativo, non sembra applicabile al padre detenuto, a differenza degli atri istituti introdotti dalla presente legge; ● tale legge riguarda soltanto le donne che scontano una condanna definitiva (quindi la metà sul totale delle recluse); ● ulteriori limiti sono inoltre previsti dall’eventuale pericolo di commissione di nuovi reati, lasciando così al di fuori dalla possibilità di godere dei benefici della nuova legge proprio le tossicodipendenti, che presentano un alto tasso di recidiva; ● poi c’è il problema della casa: le madri detenute che sono nelle condizioni di poter usufruire della detenzione domiciliare speciale, nella maggior parte dei casi, non hanno una casa in cui poter vivere con i loro figli. Con l’obiettivo di affrontare e superare il problema dei bambini in carcere, dopo una serie di proposte, è stata emanata la nuova legge nell’aprile del 2011, n° 62 “Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n° 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”; essa interviene sia in materia di custodia cautelare delle detenute madri sia di espiazione della pena detentiva da parte delle medesime. In riferimento al primo profilo (art. 1) - custodia cautelare delle detenute madri - si prevede l'aumento da tre a sei anni dell’età del bambino al di sotto della quale non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare della madre in carcere (ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole), salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. In presenza di tali esigenze, la legge prevede la possibilità di disporre la custodia cautelare in un Icam, da gennaio 2014 dovrebbero essere attivati tali istituti che potranno essere anche privati. Con riferimento al secondo profilo - espiazione della pena detentiva da parte delle mamme - il testo interviene (art. 3) sull'ordinamento penitenziario in materia di detenzione domiciliare speciale delle condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni (art. 47-quinquies della legge n°354 del 1975); aggiunge la possibilità di espiare anche il terzo della pena o i primi quindici anni presso un Icam; nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza (se non sussiste in concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o concreto pericolo di fuga); presso le case famiglia protette, ove realizzate. Le caratteristiche delle case famiglia protette (art. 4) dovranno essere individuate con decreto del Ministro della giustizia, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Durante gli incontri con la Referente dell’Uepe di Milano e Lodi, dr.ssa Assistente sociale Renata Vicari, è stata tematizzata la legge in esame, analizzando le modifiche che apporta al sistema carcerario, all’Icam, ed i problemi aperti. Nel testo è stato rinviato il problema delle misure cautelari relative agli Icam al 2014, senza prevedere una copertura finanziaria per la realizzazione degli stessi ed anche rispetto alle case famiglia protette, quest’ultime sono strutture idonee per ospitare la diade, ma nella realtà italiana, ad oggi, non esistono ed i loro requisiti non sono ancora stati enunciati; evidenziando altresì la difficile applicazione del testo che non risolve il problema di quelle detenute madri che sono in carcere in attesa di processo o perché condannate in via definitiva. Tale legge comporta un cambio di struttura dell’Icam milanese, esso è nato ed è stato strutturato per ospitare madri con figli minori 0-3 anni, ospitare minori fino a 6 anni creerebbe una situazione di sbilanciamento, le esigenze, le attenzioni, i giochi di un bambino nell’età infantile sono molto diversi rispetto ad un bambino che ha 6 anni. È emerso che le scelte, anche in campo penitenziario, non sono indipendenti dalle politiche sociali, culturali, economiche che uno Stato sceglie di perseguire. 2.2 Asilo nido con le sbarre e mamme in carcere L'Amministrazione penitenziaria, da sempre consapevole che la condizione delle madri detenute richieda una particolare attenzione, sin dall'anno 1976, al fine di dare attuazione alla normativa, autorizzò l'istituzione di asili nido presso gli istituti penitenziari destinati esclusivamente alle donne. Autorizzò altresì, l'organizzazione di asili nido anche presso le sezioni femminili presenti negli istituti penitenziari destinati prevalentemente agli uomini, su richiesta delle Direzioni interessate8. La fotografia scattata il 30 giugno 2011 dal DAP, come riportato nella successiva tabella, raffigura che nelle sezioni nido delle carceri italiane erano detenute 53 donne con figli in istituto, 54 bambini da 0 a 3 anni di età e le donne in gravidanza erano 18 (rilevante è la presenza di quest’ultime nel Lazio). Quando è possibile, l’area nido si trova al piano terra per disporre di spazi verdi e comprende almeno due stanze ed un posto letto con la culla, cucinino, sala giochi, servizi igienici e locali pulizie, cortile esterno arredato con giochi ed locali di servizio (locale agente, locale colloqui). La permanenza nell’area nido del carcere talvolta è breve perché legata soltanto ai tempi necessari per la concessione degli arresti domiciliari alla madre. Tuttavia anche questa esperienza è sufficiente per generare estremo disagio al minore che improvvisamente si trova in un ambiente a lui sconosciuto e poco familiare con molteplici persone destinate ad accudirlo9. La distribuzione degli asili nido sul territorio italiano appare disomogenea; come viene mostrato nella tabella sottostante, ben otto regioni italiane ne risultano attualmente sprovviste: Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Molise, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta e non vi son asili in allestimento. Per quanto riguarda la presenza in carcere di bambini sopra i 3 anni, non vi sono dati disponibili. In Calabria, in Lombardia, in Piemonte ed in Sardegna (dove ve ne sono 3) è presente più di un asilo nido funzionate, mentre in Puglia è presente una struttura non funzionante. Gli asili nido funzionanti sono 17, la maggior concentrazione è nel sud d’Italia (isole comprese) con 8 strutture attive nel sud, 5 sono presenti nel nord e 4 nel centro; con questo dato è possibile effettuare una comparazione rispetto agli istituti presenti in tutta Italia, sono le stesse strutture che presentano maggior sovraffollamento ed hanno un’elevata capienza regolamentare (come studiato nei capitoli precedenti). Il Lazio e la Lombardia presentano il maggior numero di bimbi minori di tre anni all’interno delle strutture; si può evidenziare che le due regioni in oggetto sono le stesse che presentano la maggior affluenza di detenute; contemporaneamente sono fra i territori che hanno numerosi istituti presenti e la maggior capienza regolamentare. Due sono le sezioni nido funzionanti in Lombardia – con la presenza totale di 16 bambini – ed una nel Lazio – con la presenza di 12 bambini (a Rebibbia, dove accanto alle celle c’è un asilo nido per far giocare i bambini ed una stanza per le attività delle puericultrici). Da evidenziare la regione ligure, dove vi è un bambino in istituto ma non vi sono asili nido funzionanti. Tabella 6 Detenute madri e asili nido – situazione al 30 Giugno 2011 Regione di Detenzione Abruzzo Calabria Campania Emilia R. Lazio Liguria Lombardia Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Umbria Veneto Totale Asili nido funzionanti Asili nido non Detenute madri con figli Bambini minori di tre anni Detenute In funzionanti in istituto 1 1 6 in istituto 1 1 6 Gravidanza 1 2 1 1 2 2 1 3 1 1 1 1 17 1 1 1 1 13 12 1 15 4 3 12 1 16 4 3 1 8 1 8 1 1 53 1 54 1 18 1 Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica. I nidi funzionanti si trovano presso i seguenti Istituti: Teramo (Abruzzo) Reggio Calabria (Calabria) Castrovillari (Calabria) Bellizzi (Campania) Roma Rebibbia (Lazio) Genova Ponte decimo (Liguria) Como (Lombardia) Monza (Lombardia) Torino casa circondariale (Piemonte) Foggia (Puglia) Cagliari (Sardegna) Sassari (Sardegna) Agrigento (Sicilia) Messina (Sicilia) Sollicciano (Toscana) Perugia (Umbria) Venezia Giudecca (Veneto) Verona (Veneto) Avellino (Campania) A questi va aggiunto l'Istituto a custodia attenuata per madri di Milano. Le detenute e i bambini usufruiscono di tutte le risorse di personale medico-infermieristico e tecnico presenti in istituto. Inoltre deve essere assicurato loro l'intervento di specialisti in pediatria, ginecologia, puericultura e, se possibile, di uno psicologo specializzato in psicologia dell'età evolutiva. Per le donne madri il carcere rappresenta una parentesi particolarmente drammatica poiché la detenzione impedisce che il rapporto madre-figlio si svolga in condizioni compatibili con le esigenze di crescita del bambino e con il proprio diritto a poter svolgere il ruolo di madre. Il carcere per i propri figli è l’ultima delle soluzioni che una madre ricerca ed è quella che vive con più ansia e paura poiché significa esporre il bambino a qualcosa di cui non solo non conosce esattamente le dinamiche ma della cui realtà percepisce l’assoluta precarietà e mancanza di diritti sia come persona che come madre. A questa soluzione sono costrette le donne nomadi, le quali per storia e cultura raramente si staccano dai propri figli con i quali vivono quasi in simbiosi e in un continuo rapporto di fisicità e dalle donne straniere che non possono contare su nessun appoggio esterno e non hanno alcun riferimento famigliare, sociale e culturale su cui poter fare affidamento. I bisogni primari delle madri detenute sono legati ai seguenti problemi: - anagrafici; - di salute; - di scolarizzazione; - di informazione; - la maternità e il rapporto con i figli: un forte senso di colpevolizzazione che rende la donna iperprotettiva ed esclusiva nel rapporto col figlio oppure deresponsabilizzata e inoperante fino alla completa delega ad altri delle cura del figlio; - il mantenimento del rapporto con il partner, con i figli fuori e con la famiglia d’origine, soprattutto se la detenuta è straniera; - la difficoltà di accedere ai benefici previsti dalle leggi, soprattutto per le straniere senza fissa dimora. È importante inoltre evitare una degenerazione della delega/abbandono della madre la quale può sentirsi rassicurata da un contesto e dalla presenza di operatori non recepiti pericolosi per il bambino. 2.3 Il minore in carcere e il suo benessere I problemi legati alla crescita del bambino in carcere possono essere sintetizzati nei seguenti tre punti: 1. ambiente; 2. alterazione del rapporto affettivo madre-bambino; 3. rapporto simbiotico con la madre. Riguardo al primo punto, la vita dei piccoli all’interno del carcere scorre in modo anomalo, cadenzata da rigide regole: ora del pasto, del sonno, dell’uscita all’aria della madre, del colloquio con i famigliari, della passeggiata con i volontari. Gli educatori ed il personale volontario che assistono i piccoli intrattengano questi bambini in uno spazio giochi realizzato appositamente in una cella e conducono questi bambini quasi giornalmente a passeggiare nelle adiacenze dell’istituto per qualche ora. Tuttavia queste attività divengono col tempo sempre meno interessanti perché sempre uguali. Durante la permanenza in carcere il bambino, costretto a vivere in una dimensione spazio-temporale deprivata e coercitiva, manifesta una richiesta sempre più pressante di uscire per incontrare altri familiari, altri bambini ed altre situazioni di socialità. Nel secondo punto, riguardante l’alternazione del rapporto affettivo madre-bambino, si può osservare che: il sovraffollamento, il contatto forzato tra etnie e culture diverse, le regole del carcere, creano situazioni di stress e tensioni che si ripercuotono, inevitabilmente, nel rapporto madre-figlio. La condizione della detenzione corre poi il rischio di delegittimare il ruolo di madre e la sua identità sociale, cui è connesso un più che probabile disorientamento del bambino proprio nei suoi primissimi anni di vita; rischiando di comprometterne sia il suo rapporto con la madre che il suo sviluppo complessivo10. L’assenza di modelli familiari di riferimento, sovente il bambino non conosce quasi per nulla la famiglia di origine, e l’assenza della figura paterna, son ulteriori elementi che possono compromettere lo sviluppo armonioso del minore. Infine, riguardo al rapporto simbiotico con la madre, indicato nel terzo punto, questa appare l’unica figura rassicurante e di rifermento, ed è l’assenza della figura paterna (presenza spesso sporadica, troppo limitata nel tempo per potersi inserire nel rapporto madre-bambino) che appare la condizione più ricorrente con tutte le problematiche affettivo-relazionali che ne conseguono11. Il bambino compiuto il terzo anno di età viene allontanato ed affidato ad istituti o familiari. Madre e figlio vivono così un trauma che diventa quasi lutto. La donna infatti si attacca morbosamente al suo piccolo, vedendolo come unico scopo di vita e come sostegno morale per vincere la solitudine e la desolazione del carcere, il bambino perde improvvisamente quell’unico punto di riferimento che è stata la madre per tre anni e si sente perso ed abbandonato12. Secondo il V Rapporto Sulle Condizioni di Detenzione redatto dell’Osservatorio dall’Associazione Antigone nell’anno 2008; oltre ai problemi emersi e descritti precedentemente; c’è un altro dato da considerare: la “qualità” della vita dei bambini detenuti varia a seconda dell’istituto di detenzione. A Milano è nato, nel 2006, l’Istituto a custodia attenuata per le madri detenute (Icam), senza sbarre, con personale specializzato per l’infanzia e agenti della polizia penitenziaria in borghese; a Roma, Genova, Milano, Venezia e Torino i bambini potevano frequentare l'asilo pubblico. In senso contrario, si riscontrava che ad Avellino l’istituto carcerario non aveva stipulato nessuna convenzione con gli asili pubblici, nessuna convenzione che prevedeva periodicamente l’uscita dal carcere dei bambini, salvo sporadiche eccezioni; a Civitavecchia e a Bologna non era presente personale specializzato per l’infanzia; in molti istituti, nonostante la costante presenza di bambini, non esisteva un nido o mancavano le aree verdi; in nessun istituto si riscontravano iniziative in preparazione del distacco tra detenuta e infante che, categoricamente, interviene al terzo anno di età. E, mentre Roma Rebibbia viveva il dramma del sovraffollamento anche nella sezione nido (15 i posti disponibili, 31 gli ospiti presenti al 26 settembre 2008), in istituti come Bologna, Civitavecchia, Sassari o Teramo paradossalmente il dramma era spesso rappresentato dal fatto che era presente un solo bambino circondato da sole persone adulte13. 2.4 La figura paterna L’ordinamento penitenziario non considerava, e non lo considera tuttora, il problema della paternità come un problema a sé stante, ma solo come secondario rispetto a quello della maternità: le leggi di riferimento, vengono applicate anche ai padri solo nel caso in cui la madre sia morta o sia nell’impossibilità di assistere i figli. Negli ultimi tempi sono stati condotti numerosi studi sul rapporto padre-figlio che hanno evidenziato un cambiamento di tendenza rispetto ad un’esclusiva presenza della figura materna nei primi tre anni di vita del figlio: la figura paterna è risultata essere importante non solo per il sostegno che può offrire alla madre, impegnata in prima persona nel rapporto con il figlio, ma anche come intervento diretto in un proprio rapporto con il minore. Le ricerche effettuate sostengono che padre e madre contribuiscono allo sviluppo intellettuale del bambino in modi diversi. Nella particolare realtà carceraria, il poter vedere la figura paterna solo saltuariamente appare già di per se stessa una soluzione che sembra poco rispondere ai bisogni manifestati dai bambini. È stato osservato che i bambini che sono capaci di instaurare durante l’infanzia forti legami con entrambi i genitori hanno un concetto di sé più positivo e maggior successo nelle relazioni interpersonali dei bambini che invece hanno solamente un legame con la propria madre. L’assenza della figura paterna prima dei quattro o cinque anni sembra avere sullo sviluppo della personalità del bambino un effetto più disorganizzante dell’assenza iniziata in età successiva. 3. I PROGETTI PILOTA ED IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI Il rimedio volto al superamento del problema dei bambini in carcere è rappresentato dalla possibilità di poter disporre di strutture adeguate all’inserimento delle donne madri e dei loro figli sia allorché vi siano le condizioni richieste dalla legge per dar luogo ad una modalità esecutiva della pena ad afflittività attenuata, quale può essere la detenzione domiciliare speciale, sia quando queste condizioni non sussistano, e per ragioni di difesa sociale, l’unica risposta per questi soggetti non possa essere quella totalmente intramuraria. A tale ultimo proposito, va constatato che già sulla base della legislazione vigente sono state adottate, di recente, soluzioni che possono ritenersi soddisfacenti, il cui solo limite è quello di aver trovato applicazione in un ambito territoriale troppo circoscritto e quindi insufficiente a dare una risposta adeguata alle esigenze14. 3.1 L’Istituto di custodia attenuata per detenute madri (ICAM) Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha affrontato il problema dei bambini in carcere avviando la sperimentazione, nel dicembre del 2006, dell’Istituto a custodia attenuata per madri (ICAM) ed alcune regioni italiane, attraverso la redazione di progetti e di protocolli d’intesa, si stanno attivando per l’attivazione di questi luoghi. L’Icam di Milano è importante perché rappresenta il primo risultato della volontà di cooperazione e d'integrazione tra molteplici attori sociali. È il risultato di un accordo tra gli enti territoriali, la Provincia di Milano che ha reso disponibile un immobile, la Regione Lombardia per l’assistenza dell’Asl, il Comune di Milano per l’inserimento negli asili nido e scuole materne, l’Amministrazione penitenziaria, il Ministero della Giustizia e dell’Istruzione. Rappresenta un nuovo modello di detenzione femminile; all’interno di una struttura attenuata per detenute (sia definitive che non) madri con bambini opposta a quelle tradizionali, anche europee, perché l’allocazione è fuori dal carcere. Questa caratteristica rende la struttura unica in Italia ed in Europa. Ho voluto valorizzarlo perché propone un modello che risulta essere ripetibile ed esportabile in altri luoghi. La prima novità metodologica è costituita dal fatto che ai lavori della Commissione (che ha redatto il Regolamento che contiene 35 articoli) hanno partecipato anche i rappresentanti degli enti e delle istituzioni coinvolte nel progetto; assicurandone la condivisione del contenuto, attraverso la partecipazione attiva di tutti i soggetti erogatori e fruitori; ispirandosi ad una logica di tipo orizzontale dove tutti, operatori e recluse, si assumono la responsabilità di una vita in comune; realizzando l’effettiva attenuazione dell’aspetto carcerario per i figli delle detenute, offrendo nel contempo alle madri una significativa azione di reinserimento – con adeguate attività trattamentali – in piena integrazione con il territorio e le sue risorse, in particolare con i servizi sociosanitari e i nidi comunali e con il contributo attivo delle associazioni di volontariato. Una caratteristica importante è la particolarità di accogliere detenute anche in attesa di primo giudizio, a prescindere dalla tipologia del reato (art. 5 Immatricolazione e scarcerazione delle detenute). Ho preso in esame tre protocolli d’Intesa stipulati da tre regioni italiane corrispondenti all’ubicazione di tre Istituti penitenziari presso i quali ho cercato di accedervi volendo intervistare alcune mamme detenute con i loro figli, effettuandone poi la comparazione. Le regioni in oggetto sono la Toscana, il Lazio ed il Veneto; nonostante le continue e ripetute richieste che ho presentato (tramite fax e mail nell’arco di 6 mesi) per poter accedere ed incontrare le mamme detenute nelle sovra indicate strutture, sono pervenute risposte negative dalla Casa Circondariale “Sollicciano Firenze” e dalla Casa Circondariale Roma Rebibbia Femminile. La Casa di Reclusione Femminile – La Giudecca (Venezia) non ha mai risposto alle mie richieste. 3.2 La presenza ed il ruolo delle associazioni in Italia Il Ministero della Giustizia non può essere autosufficiente, non è e non deve essere l’unico titolare di quei compiti di così rilevante importanza riguardanti la prevenzione e l’esecuzione penale esterna. È necessario coordinare la responsabilità istituzionale nel trattamento dei detenuti ed il loro reinserimento con quello delle Regioni e degli Enti locali, attraverso la creazione di circuiti a bassa o bassissima vigilanza, per questo può essere decisivo il contributo del territorio. Oltre al sostegno economico e finanziario da parte dello Stato è fondamentale l’impegno dei volontari; è emerso che il Terzo Settore, come per molti altri aspetti delle politiche sociali, ed in particolare delle politiche familiari, rappresenta una reale risorsa per la madre detenuta e per i propri figli. Nel nostro Paese, sono diverse le esperienze che, ogni giorno vedono associazioni, Amministrazione penitenziaria, famiglie e detenuti collaborare nell’intento di facilitare il recupero o il mantenimento delle relazioni del recluso con i propri figli. A livello nazionale sono tre le principali associazione che si occupano della tematica in oggetto: BambiniSenzaSbarre, A Roma Insieme e Telefono Azzurro. Focalizzo l’attenzione sull’associazione BambiniSenzaSbarre, si costituisce in associazione senza scopo di lucro nel 2002, è membro di Eurochips (European Network for Children of Imprisoned Parents – organismo di rete europea che collega realtà impegnate sul tema della genitorialità in carcere). Il loro intervento iniziò alla fine degli anni ’90 nel carcere di San Vittore a Milano, attraverso la sperimentazione di buone prassi diventando un carcere pilota rispetto al tema in esame, portando l’Italia ad essere il Paese pilota in Europa per quanto riguarda la sensibilità del legislatore al tema del legame genitoriale (anche se con difficoltà di applicazione). Eurochips si pone come obiettivo la “costruzione” di una rete di professionisti in ambito penitenziario e specialisti dell'infanzia per sviluppare azioni già in corso e incoraggiare nuove iniziative per il bambino del detenuto. A livello europeo, L’Icam è stato inserito nel progetto Criminal Justice 2007 con la denominazione “ICAM, Free to grow up” come modello nei Paesi Partners. Oltre a far conoscere l’esperienza italiana, il progetto intende: - avviare un confronto attivo con altri Stati membri dell’Unione Europea sui temi dei diritti dei bambini e della bambine quando incontrano l’esperienza della carcerazione della madre; - favorire un confronto sulle pressi metodologiche del trattamento e della custodia attenuata nell’esecuzione penale di donne madri con figli; - promuovere la replicabilità dell’esperienza anche in contesti normativi diversi; - rafforzare la sperimentazione del servizio educativo in atto. Il progetto è in linea con le raccomandazioni presentate al Parlamento Europeo il 13 marzo 2008 “Sulla particolare situazione delle donne detenute e l'impatto dell'incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare”. Il limite di età a cui un bambino non può più vivere con la madre reclusa differisce da paese a paese. A livello europeo, possiamo identificare tre gruppi di paesi, secondo i limiti di età consentiti dalla legge: 1. neonati (fino all’età di 18 mesi): Francia, Regno Unito, Irlanda, Olanda; 2. bambini fino all’età di 3 anni: Belgio, Danimarca, Polonia, Spagna, Finlandia, Italia; 3. bambini fino all’età scolare (tra 4 e 6 anni): Olanda, Grecia, Germania. Per concludere la panoramica europea, le pratiche efficaci da promuovere sono due: 1. Creare in ogni paese dell’Unione Europea un numero supplementare di Case madre – bambino: ● gli edifici dovrebbero essere separati dal carcere, ● vita comunitaria in cui le madri siano responsabili; ● progetti di formazione, collocamento e reinserimento per le madri; ● supervisioni professionali: assistenti sociali, psicologi ed educatori; ● personale selezionato e formato che si occupa del bambini. 2. Creare all’interno nelle Unità Madre – Bambino le condizioni necessarie al benessere del bambino: ● determinare le capienze permesse per questo tipo di sistemazioni; ● ridurre al minimo l’atmosfera del carcere (celle aperte, spazi per i giochi, giardini); ● favorire un senso di responsabilità tra le madri; ● stabilire le collaborazioni professionali attraverso accordi tra autorità penitenziarie e servizi per l’infanzia per aiutare madri bambini; ● reclutare personale specializzato per una sorveglianza adeguata di questo tipo di sistemazioni. Scrive Giancarlo De Cataldo15: “Ed anche qui, nei momenti d’intimità, nel gioco dei bambini, anche quando l’orizzonte sembra finalmente liberarsi dal perimetro blindato del reclusorio, anche qui gli sguardi sembrano persi verso un altro più lontano punto che nessuna immagine riuscirà mai né a determinare né a fissare. È forse l’altrove del ritorno? Pensano, queste bambine e questi bambini, al corridoio, alla mensa, alla cella che li attendono a fine giornata? Sanno già che, scoccato il limite legislativo dei tre anni, verranno allontanati dalle madri con la consolazione dei due incontri mensili a domeniche alterne? Per questi bambini qualcosa di diverso dobbiamo pur essere in grado di inventarcelo”. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 1 Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica. 2 Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica. 3 www.europarl.europa.eu 4 Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica. 5ASTARITA L., “Femminile, Detenzione” in Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella - Prefazione di MAURO PALMA (a cura di), Inchiesta sulle carceri italiane, Associazione Antigone, Castelvecchi, Roma, 2002, cit.,69. 6 www.pianetamamma.it/donneemadriincarcere 7 Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica. 8 www.giustizia.it 9 TISCHER M.C., LO GIUDICE M., TRUCCI P.L., Infanzia negata: bambini cresciuti in carcere, in “Medico Pediatra”, 2006, n. 3, cit. 59. 10 www.volontariatoseac.it 11 DAGA L., BIONDI G., Il problema dei figli con genitori detenuti, in CAFFO E. (a cura di), Il rischio familiare e la tutela del bambino, Guerrini e Associati, Milano, 1988, cit. 132. 12 www.supereva.it/mediaesocietà/carceri 13 www.unblogindue.it/innocentiincarcere 14 COMUCCI P., I benefici penitenziari a favore delle condannate madri, in “Cassazione penale”, 2009 fasc. 5, cit., 2196. 15 magistrato e scrittore