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mamme e minori in carcere - Dipartimento di Giurisprudenza

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mamme e minori in carcere - Dipartimento di Giurisprudenza
MAMME
E MINORI
IN CARCERE
L’argomento contenuto nelle seguenti pagine studia la necessità
di preservare il rapporto tra la madre, che ha commesso un reato, ed il
figlio minore; con l’esigenza che le politiche familiari e sociali tutelino la
loro relazione. Le carceri devono svolgere due compiti essenziali e
complementari: proteggere la popolazione da soggetti che hanno
comportamenti pericolosi o quanto meno punibili e reintegrare i
detenuti nella società, al momento del loro rilascio.
Dal percorso di lavoro che ho svolto, è subito emersa la
delicatezza della questione poiché bisogna conciliare l’esigenza punitiva
dello Stato, la tutela della maternità, il diritto dei bambini di crescere in
luoghi idonei al loro sviluppo e di non pagare colpe che non hanno
commesso ed infine fare in modo che sia attuata un’attività
trattamentale perché la detenzione non sia fine a se stessa.
L’esposizione è suddivisa in tre parti, partendo da una globale
della situazione delle donne detenute in Italia ed in Europa, per poi
restringere e mettere in luce la situazione delle madri detenute con i loro
figli, il quadro politico ed i limiti normativi, concludendo con il progetto
pilota dell’Icam ed il ruolo ricoperto dalle associazioni italiane ed
europee.
1. LA DETENZIONE FEMMINILE
Spesso, l’arrivo in carcere è la tappa finale di un percorso
cominciato molto tempo prima e il ritorno in carcere dopo
esserci già state (il tasso di recidiva è molto alto) è sintomatico
del non aver interrotto il precedente modus vivendi, di essere
ritornate nel medesimo ambiente e soprattutto è sintomatico del
fatto che la pena, per queste persone, non ha svolto alcuna
funzione se non una sofferenza fine a se stessa.
Le donne presenti all’interno delle carceri italiane al 31
dicembre 2011 sono 2.8081, rappresentando il 4,20% del totale.
La ridotta incidenza statistica della delinquenza femminile
anche se, è stato registrato un lieve aumento di tale fenomeno, ha
determinato uno scarso interesse alla detenzione femminile che ha
portato a trattare i vissuti delle donne allo stesso modo in cui
vengono trattati quelli degli uomini, con una carente analisi della
differenziazione dei loro problemi e bisogni, in particolar modo
rispetto alla specificità delle relazioni familiari e della cura dei figli.
Esse rappresentano i settori più deboli della cittadinanza sia
dal punto di vista economico che sociale. Sottolineare questa
realtà, significa voler comprendere il fenomeno per affrontarlo
nella maniera corretta.
Il carcere, anche il migliore, è comunque un luogo di grande
sofferenza: provoca crisi d’identità, rende impotenti, umilia e crea
un forte sentimento di rabbia contro la società.
Per la donna esso assume risvolti strazianti per lo speciale
legame che unisce una madre ai propri figli, una particolarità non
da poco, che si scontra con l’inadeguatezza del sistema carcerario
modellato sulle esigenze maschili.
1.1 La detenzione femminile in Europa
Secondo i dati recenti forniti dal World Prison Brief
Online la percentuale media delle donne nelle carceri europee si
attesta attorno al 5%.
La Spagna e il Portogallo registrano la maggiore presenza
di donne detenute (rispettivamente l’8% e il 10%), mentre
l’Albania con l’1,6% ha il numero più basso di presenze. Oltre la
metà delle detenute nelle carceri europee sono madri con
almeno un figlio e tale percentuale è particolarmente elevata in
Spagna ed in Grecia.
Le donne costituiscono in tutti i paesi un’esigua
minoranza e questo pone le varie amministrazioni penitenziarie
di fronte agli stessi problemi, soprattutto per quanto riguarda i
criteri di raggruppamento delle detenute.
La condizione delle donne in carcere è stata a lungo
ignorata da norme e principi internazionali, particolarmente sotto
il profilo della specificità dei bisogni, dalle relazioni familiari alla
cura dei figli.
Il Parlamento europeo è intervenuto in materia di
detenzione femminile, mediante l’approvazione della Risoluzione
13 marzo 2008 “Sulla particolare situazione delle donne detenute e
l’impatto dell’incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e
familiare” con la quale, si invitano gli Stati membri ad “integrare la
dimensione della parità tra donne e uomini nella rispettiva politica
penitenziaria”, a “tenere maggiormente presenti le specificità
femminili” nonché a “creare condizioni di vita adatte alle esigenze
dei figli che vivono con il genitore detenuto”.
Dall’analisi della realtà europea è emerso che, lo scopo
delle politiche europee e delle misure a sostegno della genitorialità
deve tendere allo sviluppo di politiche efficaci volte a determinare
un cambiamento nei comportamenti sociali e negli stili di vita, in
modo da soddisfare più efficacemente le esigenze di bambini,
genitori e famiglie.
Attualmente, quasi nessun paese europeo attribuisce un
obbligo statutario alle autorità delle carceri di organizzare un
servizio di specialisti per i figli dei detenuti.
Si dovrebbe fare uno sforzo,
attraverso il Parlamento Europeo,
perché all’interno dei bilanci
vi sia una voce destinata agli interventi
per i figli di genitori detenuti e perché
siano fissati i requisiti specifici
per le autorità delle carceri che
tengano conto delle necessità
dei figli che le visitano.
1.2 La detenzione femminile in Italia
Dall’ultima rilevazione del DAP2 effettuata il 31 dicembre
2011; come riportato nella tabella 1, gli istituti esclusivamente
femminili in Italia sono soltanto 5 – Trani (BA), Pozzuoli (NA),
Roma Rebibbia Femminile (RM), Empoli (FI), Venezia Giudecca
(VE) – dislocati in tutta la penisola ed eccezione delle isole, sono
presenti due istituti nel centro e nel sud d’Italia ed uno nord;
mentre sono 56 gli istituti penitenziari maschili che riservano una
sezione femminile. Rispetto a quest’ultimo dato è possibile
rilevarne una maggior presenza nel sud del territorio
italiano (comprese le isole) rappresentando il 37,5%, mentre
risultano essere distribuite quasi omogeneamente fra il nord
(30%) ed il centro (32%) inoltre; l'Ospedale psichiatrico
giudiziario di Castiglione delle Stiviere (MN) ospita una sezione
femminile.
Tabella 1
Istituti esclusivamente femminili in Italia
- situazione al 31 Dicembre 2011
Istituti penali
Numero
Venezia Giudecca (VE)
1
Empoli (FI)
1
Roma Rebibbia Femminile (RM)
1
Trani (BA)
1
Pozzuli (NA)
1
Totale
5
Le donne detenute sono presenti maggiormente all’interno
delle carceri delle regioni Lombardia, Lazio, Campania, Puglia,
Sicilia, Toscana e Veneto – sono le medesime regioni che
manifestano una situazione di sovraffollamento.
Le detenute sono prevalentemente giovani, sposate o
conviventi, di nazionalità sia italiana che straniera, imputate per
detenzione e spaccio di stupefacenti.
Il 36,18% delle detenute possiede il diploma di scuola
media inferiore, il 21,45% ha quello di scuola media superiore o
titoli di formazione professionale, l’1,79% è laureata; il 17,62% ha
la licenza elementare, l’11,44% delle detenute è privo di titoli di
studio, il 5,31% è analfabeta.
Al 31 dicembre 2010 le detenute iscritte ai corsi
professionali attivati dall’Amministrazione penitenziaria sono il
7,13%, promosse ai corsi terminati sono state il 71,75%.
Tabella 2
Detenute per titolo di studio situazione al 31 Dicembre 2011
Titolo di studio
Dato %
Analfabeta
5,31
Licenza elementare
17,62
Diploma di scuola media inferiore
36,18
Diploma di scuola media superiore o
titolo di formazione professionale
21,45
Laureata
1,79
Priva del titolo di studio
11,44
Iscritte ai corsi professionali
dell'Amministrazione penitenziaria
7,13
Promosse ai corsi terminati
71,75
I principali problemi che caratterizzano e distinguono la
detenzione femminile riguardano: la maternità ed il rapporto con i
figli, l’affettività, le peculiarità dal punto di vista fisico e psicologico
e le difficoltà delle detenute straniere. Occorre, inoltre,
considerare che la condizione detentiva è, per la donna, carica di
una sofferenza diversa da quella dell’uomo; ciò è dovuto al
differente percorso di socializzazione, al diverso ruolo sociale e al
maggior peso dell’investimento emotivo e della responsabilità
affettiva nei confronti dei familiari, in particolare dei figli3.
Dalla fotografia che rappresenta la detenzione in Italia,
emerge che la caratteristica del sistema penale italiano è la grande
incidenza della detenzione in attesa del processo. Un altro dato
che si può osservare è il sovraffollamento che è presente all’intero
di tutte le carceri italiane; in 11 regioni i detenuti presenti sono
quasi il doppio della capienza regolamentare.
Le politiche penitenziarie degli ultimi anni in Italia hanno
seguito due versanti, uno di riduzione del ricorso alla pena
detentiva (lo scarso accesso alle misure alternative alla detenzione,
alcune condizioni di salute del detenuto risultano incompatibili con
lo stato di detenzione ed una maggior attenzione al genitore
detenuto), l’altro di miglioramento delle sue condizioni di
esecuzione (attraverso il miglioramento della qualità del servizio
sanitario all’interno degli istituti penitenziari e la progettazione di
un percorso individualizzato caratterizzato da attività trattamentali
che mirino alla rieducazione e risocializzazione dei detenuti).
Le disposizioni contenute nel Regolamento – tipo interno
per gli istituti e le sezioni femminili italiane rappresentano un
contributo alla modificazione dei modi e dei tempi della vita
detentiva, in modo da avvicinarli ai bisogni della popolazione
femminile, con particolare attenzione alla dimensione affettiva,
alle specifiche necessità sanitarie, al diverso rapporto con le
esigenze della propria fisicità e alla necessità di offrire pari
opportunità di reinserimento sociale ma ciò, non risulta esaustivo.
L’attenzione deve essere rivolta a
progettare sistemi di regolamentazione
della vita negli istituti e sezioni femminili
che da un lato tengano conto dei bisogni
e delle esigenze che caratterizzano
le donne detenute –
consentendo a queste ultime di fruire,
nonostante l’esiguità del loro numero,
di pari opportunità trattamentali
e di reinserimento sociale –
e dall’altro favoriscano l’espressione
di quegli aspetti della personalità
fondati sulla differenza di genere.
1.3 Provenienza nazionale e sociale
Le donne detenute straniere presenti in carcere al 31
dicembre2011 sono il 41,70% del totale delle donne detenute;
rappresentando il 4,84% del totale dei detenuti stranieri; i
detenuti presenti sono 66.897 di cui 24.174 stranieri4.
Particolarmente problematica in ambito carcerario
femminile è la presenza delle straniere e delle donne di etnia
zingara, divenendo poi le protagoniste significative negli asili
nido in carcere.
Quello che maggiormente colpisce è la crescita continua del
numero delle straniere, che nel 1995 erano il 18% circa del totale
delle detenute mentre nel maggio del 2001 la loro percentuale è
salita al 39%, ventuno punti percentuali in più in un arco di soli sei
mesi. Dalla fine del 1999 al maggio 2001 il numero delle donne in
carcere è cresciuto di 235 unità, se si guardando i dati relativi al
numero di straniere si nota che, nello stesso periodo, queste sono
cresciute di 208 unità: la quasi totalità dell’aumento delle presenze
negli istituti di pena femminili è dato dall’ingresso di detenute
straniere.
Dai dati riportati dal DAP al 31 dicembre 2011, si rileva che
le straniere che commettono reati sono in prevalenza le donne che
provengono dalla Romania rappresentando il 22,80% e quelle
nigeriane che rappresentano il 14,85%; a seguire le donne
iugoslave (coprendo il 4,27%), provenienti dalla Bosnia e
Erzegovina (3,84%), dal Marocco (3,76%), dalla Cina (3%) e dal
Brasile (2,65%).
Gli uomini marocchini ricoprono il 7,25% delle presenze
nelle carceri italiane, fra gli stranieri 20,07%. Il 13,72% è
rappresentato dagli uomini che provengono dalla Romania. I
tunisini detenuti sono il 13,12% e gli albanesi l’11,35%. Vi è
correlazione tra la presenza di detenuti stranieri, uomini e donne,
provenienti dal Marocco e dalla Romania; rispetto al dato maschile
le donne nigeriane sono molto presenti.
Rispetto ad un’analisi continentale, come riportato in
tabella 3, il 38,37% dei detenuti proviene dal continente europeo
(con una maggior presenza dei cittadini dell’Unione europea con il
52,79%); il continente africano detta il dato maggiore, ricoprendo il
50,41% delle presenza; dove i marocchini coprono il 40,16%; i
detenuti americani sono il 5,86%, con una maggior presenza dei
cittadini provenienti dal sud America rappresentando il
72,34%; presenti in misura minore rispetto ai precedenti sono gli
asiatici con il 5,27%, di cui il 78,10% provenienti da altri paesi
dell’Asia infine; l’Oceania ricopre lo 0,09% di presenze.
Tabella 3
Detenuti presenti stranieri per area geograficasituazione al 31 Dicembre 2011
Continente
Aree
UE
Ex jugoslavia
Europa
Albania
Altri paesi Europa
Africa
Asia
America
Oceania
Totale detenuti stranieri
Detenuti
4.896
994
2.770
615
Totale Europa
9.275
Tunisia
Marocco
Algeria
Nigeria
3.189
4.895
729
1.172
Altri paesi Africa
2.201
Totale Africa
12.186
Medio oriente
279
Altri paesi Asia
995
Totale Asia
1.274
Nord
Centro
Sud
32
360
1.025
Totale America
1.417
22
24.174
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo
automatizzato - sezione statistica.
Dalle ricerche effettuate emerge che le donne rispetto agli
uomini presentano maggiori problemi psicologici e materiali durante
la detenzione: la loro personalità e la loro sensibilità sono più
complesse, soffrono per l’assenza di affettività, per la lontananza dai
figli, dalla famiglia e dalla vita normale.
Il dramma delle madri carcerate è uno dei problemi più gravi e
non si risolve né se tengono con loro i figli né se li affidano alle cure di
altri fuori dall’istituto carcerario.
Negli ultimi anni, una conoscenza più approfondita e
qualificata della donna ha permesso l’introduzione di innovazioni
significative, come la previsione, nei progetti pedagogici, di specifici
interventi operativi che tengano conto della differenza di genere e
sono state attivate alcune strutture adatte ai bambini di età inferiore
a tre anni.
Parlare di carcere femminile significa adattare le attività
penitenziarie alla particolare personalità ed alla struttura psico-fisica
della donna. Non per questo la normativa che presiede all’esecuzione
penitenziaria della donna è differente da quella dell’uomo.
1.4 I reati delle donne
La tipologia dei reati commessi dalle donne è una chiara
espressione del percorso di marginalità che spesso segna le loro
vite, riportandole in carcere per brevi e ripetute permanenze. La
violazione della legge sulla droga (26,01%) ed i reati contro il
patrimonio (24,20%) costituiscono il motivo della condanna per
la maggioranza delle detenute; le stesse tipologie di reati sono
commessi anche dalle straniere.
È presente la prostituzione, pur non essendo
incriminabile lo status di prostituta; si tratta di reati legati a
tale condizione, come oltraggio, resistenza a pubblico ufficiale;
solitamente ne sono incriminate le immigrate africane o
dell’Europa dell’Est e dei Paesi Balcanici. Invece, per i reati di
vagabondaggio sono spesso incarcerate le donne rom. Negli
ultimi anni inoltre, si è aggiunto il reato di associazione a
delinquere di stampo mafioso5.
Esaminando nel dettaglio la tabella 4, relativa alle tipologie di
reati più frequentemente commessi dalle donne, emerge come quelli
contro la persona, considerati la misura più indicativa della pericolosità
sociale, si attestino al 17,30% dei delitti commessi, sia rispetto ai reati
legati alla droga, dato che concorda con l’alto numero dei
tossicodipendenti presenti all’interno delle carceri italiane, sia rispetto ai
reati contro il patrimonio (furto, rapina, danneggiamento, truffa).
Conformi sono i dati che si riferiscono alle tipologie di reati
commessi dagli uomini; i reati contro il patrimonio rappresentano il
24,06%, ed i reati appartenenti alle leggi relative alle droghe
rappresentano il 19,42% del totale dei reati. In misura prevalente per il
genere maschile, oltre ai reati connessi alle trasgressioni delle leggi
riguardanti le droghe (18,78% – di cui stranieri 27,85%) e contro il
patrimonio (23,27% – di cui stranieri 21,46%) emergono i reati contro la
persona (rappresentando il 16,38% – di cui stranieri 17,28%).
I crimini contro la moralità pubblica ed all’economia pubblica
rappresentano una percentuale non rilevante rispetto ai reati femminili,
dove per le straniere il dato è quasi nullo.
Tabella 4
I reati –
situazione al 31 Dicembre 2011 (*)
Tipologia di reati
Italiani
Stranieri
Detenuti italiani + stranieri
Donne
Uomini
Totale
Donne
Uomini
Totale
Donne
Uomini
Totale
Associazione di stampo
mafioso (art. 416 c.p.)
114
6.275
6.389
7
71
78
121
6.346
6.467
Legge droga
Legge armi
Ordine pubblico
Contro il patrimonio
Prostituzione
700
103
41
696
18
14.738
9.081
2.226
23.654
212
15.438
9.184
2.267
24.350
220
495
19
72
416
147
11.526
866
844
8.881
712
12.021
885
916
9.297
859
1.195
122
113
1.112
165
26.264
9.947
3.070
32.535
924
27.459
10.069
3.183
33.647
1.089
Contro pubblica amm.ne
Incolumità pubblica
Fede pubblica
Moralità pubblica
Contro la famiglia
Contro la persona
Contro la personalità
dello Stato
Contro amm.ne Giustizia
Economia pubblica
Contravvenzioni
Legge stranieri
Contro il sen.to e la pietà
dei def.
Altri reati
114
28
96
5
39
491
4.800
1.447
2.564
164
1.271
15.747
4.914
1.475
2.660
169
1.310
16.238
42
2
61
1
16
304
3.116
206
1.675
61
423
7.151
3.158
208
1.736
62
439
7.455
156
30
157
6
55
795
7.916
1.653
4.239
225
1.694
22.898
8.072
1.683
4.396
231
1.749
23.693
11
191
8
57
7
89
5.300
518
3.410
106
100
5.491
526
3.467
113
1
70
1
25
99
45
822
15
602
2.230
46
892
16
627
2.329
12
261
9
82
106
134
6.122
533
4.012
2.336
146
6.383
542
4.094
2.442
27
51
981
3.061
1.008
3.112
12
8
96
247
108
255
39
59
1.077
3.308
1.116
3.367
(*) Nota: La numerosità indicata per ogni categoria di reato corrisponde esattamente al numero di soggetti coinvolti. Nel caso in cui ad
un soggetto siano ascritti reati appartenenti a categorie diverse egli viene conteggiato all'interno di ognuna di esse. Ne consegue che ogni
categoria deve essere considerata a sé stante e non risulta corretto sommare le frequenze.
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato sezione statistica.
Rilevante è quindi il problema delle tossicodipendenti le
quali hanno in genere pene detentive brevi ma nella maggior
parte dei casi sono recidive: ciò esprime che la popolazione
carceraria cambia costantemente e risulta difficile programmare
attività di recupero.
Una sistemazione detentiva migliore ipotizzabile, laddove
non fosse possibile applicare la pena alternativa, sono gli Istituti di
Custodia Attenuata: questi sono istituti o sezioni penitenziarie con
norme peculiari e regime di bassa custodia che favoriscono una
forma migliore di trattamento della tossicodipendenza6.
È importante richiamare le misure alternative alla
detenzione esponendo i dati riguardanti le donne.
Vi sono tre tipologie di misure alternative alla detenzione:
l’affidamento in prova, la semilibertà e la detenzione domiciliare.
Dai dati forniti dal DAP7 al 31 dicembre 2011 i detenuti
ammessi alle misure alternative alla detenzione sono 41.375, nella
tabella seguente sono indicate, in valori percentuali per
sottolinearne la presenza, le misure alternative ripartite per sesso.
Si rileva che tra le misure alternativa alla detenzione sia le donne
che gli uomini usufruiscono maggiormente della detenzione
domiciliare mentre l’anno precedente gli uomini usufruivano
prevalentemente dell’affidamento in prova.
Tendenzialmente le pene comminate alle donne non sono
molte lunghe: le sanzioni si concentrano maggiormente nella
fascia inferiore ai tre anni di detenzione.
Tabella 5
Misure alternative alla
detenzione –
situazione al 31 Dicembre 2011
Tipologie
Uomini %
Donne %
Totale %
Detenzione domiciliare
48,60
54,55
49,10
Affidamento in prova
46,73
43,65
46,47
Semilibertà
4,67
1,80
4,43
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Direzione generale dell'esecuzione penale esterna - Osservatorio delle
misure alternative.
2. TUTELA DEL RAPPORTO FRA
DETENUTE MADRI E FIGLI MINORI
Attualmente, il fenomeno dei figli in carcere coinvolge oltre
cinquanta bambini l’anno nel totale delle carceri italiane, esso è
particolarmente rilevante in quanto coinvolge l’unità sociale
fondamentale, madre-figlio-padre, disgregandola o
trasformandola negativamente.
I bambini sono particolarmente colpiti, dal momento dell’arresto
fino al periodo che segue la scarcerazione del genitore.
I figli di genitori detenuti non godono di nessun diritto come
gruppo particolare, i loro bisogni vengono raramente presi in
considerazione quando un genitore entra in carcere.
2.1 Aspetti legislativi
Dalla ricerca effettuata emerge come, da un punto di vista
legislativo, non ci sia indifferenza riguardo alla tematica del
rapporto madre-figlia/o all’interno del carcere ma, al contempo
risulta evidente come non sia disponibile una normativa
realmente applicabile su un argomento di tale rilevanza.
Sono diverse le norme di legge, del codice penale, del codice
penale di rito, di legge ordinaria, che riguardano la materia, la cui
“ratio” tende a ricercare un arduo compromesso tra le esigenze
cautelari e/o di istanze punitive e la tutela del bambino.
Il sistema normativo in Italia si è evoluto nel tempo; da una parte
ha affermato la centralità della figura materna nello sviluppo dei
bambini, nel momento in cui ha permesso alla detenuta che lo
desideri o non abbia altri a cui affidare i figli piccoli di tenerli con sé
in carcere dall’altra, la struttura carceraria non è stata modificata in
vista della presenza di un bambino. Inoltre, la particolarità
dell’ambiente carcerario favorisce un legame simbiotico tra madre
e figlio, privo di contatti con l’esterno e vissuto dentro una realtà
tutta femminile; queste condizioni di difficoltà legate alla
carcerazione si vanno a sovrapporre a quelle sociali, ambientali ed
affettive già presenti e dalle quali risulta difficile potersi slegare.
L’Ordinamento penitenziario attualmente in vigore è la Legge 26
luglio 1975, n° 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e
sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà); che detta
norme specifiche concernenti il rapporto madre detenuta-figlia/o relative
al Servizio sanitario (art. 11), ai rapporti con la famiglia (art. 28),
all’assistenza alle famiglie (art. 45) ed alla detenzione domiciliare (art. 47ter, comma¹); consentendo alle madri di tenere presso di sé i figli fino
all’età di tre anni, prevedendo l’inserimento negli istituti penitenziari di
specialisti (ostetriche, ginecologi e pediatri) allo scopo di tutelare la
salute psico-fisica dei bambini e delle loro madri istituendo appositi asilinido presso le strutture penitenziarie, ed una particolare attenzione al
miglioramento ed al mantenimento dei rapporti con i famigliari. Dieci
anni dopo il legislatore è nuovamente intervenuto, emanando due
importanti leggi, la Legge 10 ottobre 1986, n° 663 (Modifiche alla legge
sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e
limitative della libertà) e la Legge 27 maggio 1998, n° 165 (Modifiche
all'articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio
1975, n° 354, e successive modificazioni).
La c.d. Legge Gozzini n° 663/1986 ha introdotto
nell’ordinamento penitenziario la detenzione domiciliare: una
modalità esecutiva della pena meno afflittiva della detenzione
intramuraria, che consente di espiare – secondo quanto disposto
nel testo dell’epoca dell’art. 47-ter, comma ¹ O.p. – nella propria
abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo
pubblico di cura o di assistenza, la pena della reclusione non
superiore a due anni, anche se costituente residuo di pena
maggiore o la pena dell’arresto qualunque ne sia l’entità.
Fra le particolari categorie di soggetti che ne sono destinatari
risultano inserite la donna incinta o che allatta la propria prole e la
madre di figli di età inferiore ai tre anni, con lei convivente;
introducendo una misura alternativa alla detenzione.
La c.d. Legge Simeone-Saraceni n° 165/1998 ha ampliato la
concessione dei benefici penitenziari, modificando ulteriormente
la normativa, elevando da due a quattro anni il limite della pena da
scontare, anche se parte residua di maggior pena, e da tre a dieci
anni l’età del figlio/a, purché convivente con la condannata,
estendendo altresì i benefici della detenzione domiciliare al padre
qualora la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente
impossibilitata a prestare assistenza ai figli.
Attraverso il nuovo Regolamento il d.P.R. 30 giugno 2000,
n° 230 (Regolamento recante norme sull’ordinamento
penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) è
stata determinata la necessità di assicurare il mantenimento di
rapporti costanti tra madre e figlio dopo la separazione che si
verificherà all’arresto o al compimento del terzo anno di età del
bambino, introducendo in questo modo norme di ampliamento
all’assistenza sanitaria ai bambini ed alle madri gestanti e detenute
(art. 19), dedicando maggiore attenzione ai rapporti con le famiglie
(art. 61).
Dall’analisi della legislazione italiana che tutela il rapporto
madre detenuta-figlia/o minore sono due le leggi di maggior
rilievo: la legge n° 40/2001 e la legge n° 62/2011.
La legge n° 40 del 2001 (c.d. legge Finocchiaro) “Misure
alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute
madri e figli minori” da un lato ha esteso i presupposti applicativi
d'istituti già esistenti, come il rinvio dell’esecuzione della pena (art.
1 – di cui all’art. 146 e 147 del codice penale) e dall’altro ha
introdotto una nuova misura alternativa la detenzione domiciliare
speciale (art. 3 - di cui all’art. 47-quinques O.p.) per i figli minori di
anni dieci, ed una nuova modalità di trattamento l’assistenza
all’esterno dei figli minori (art. 5 - di cui all’art. 21-bis O.p.).
In riferimento al rinvio dell’esecuzione della pena furono
sostituiti gli artt. 146 relativo al differimento obbligatorio –
ampliando l’obbligo del differimento della pena nei confronti di
donna incinta e della madre fino a quando il bambino non avrà
compiuto un anno di età rispetto alle norme precedenti relative ai
sei mesi di età del bambino – e 147 codice penale sul differimento
facoltativo – con la previsione per la madre di rimanere con il figlio
sino al compimento del terzo anno di età, mentre prima era
possibile solo se la madre avesse partorito da più di sei mesi ma da
meno di un anno e non vi fosse modo di affidare il figlio ad altri.
Con la detenzione domiciliare speciale si è voluto consentire
alle condannate, madri di bambini di età inferiore agli anni dieci
(quando non ricorrono le condizioni indicate all’articolo 47-ter
dell’ordinamento penitenziario – pene non superiori a quattro
anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché
la pena dell’arresto, e nel caso di recidiva pene non superiori ai 3
anni) qualora vi sia la possibilità di un domicilio privato, di espiare
la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora,
ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di
provvedere alla cura e all’assistenza dei figli; solo se non sussiste
un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la
possibilità di ripristinare la convivenza con i figli e dopo l’espiazione
di un terzo della pena ovvero, dopo l'espiazione di almeno quindici
anni nel caso di condanna all'ergastolo.
Tale misura verrà revocata (art. 4) qualora il
comportamento della condannata risulti contrario alla legge o alle
prescrizioni dettate ed appaia incompatibile con la prosecuzione
della misura alternativa.
Al fine di assicurare la continuità della funzione genitoriale, in
tutte le ipotesi in cui la madre detenuta non abbia i requisiti per
accedere alla detenzione domiciliare speciale, vi è l’assistenza
all’esterno dei figli minori (art. 5) che si propone di ampliare l’ambito
applicativo del lavoro all’esterno introducendo uno specifico istituto
per la detenuta madre. La misura attribuisce ai compiti di cura e di
assistenza dei figli di età non superiore agli anni dieci lo stesso valore
sociale e la stessa potenzialità risocializzante dell’attività lavorativa,
con l’esigenza di garantire la continuità del rapporto madre-figli,
secondo modalità più limitate rispetto alla detenzione domiciliare
speciale, comportando la permanenza in carcere per una parte della
giornata. Essa viene concessa (art. 21 O.p.) imponendo al giudice di
valutare il tipo di reato commesso, la durata, effettiva o presunta,
della misura privativa della libertà (considerando che può essere
applicata anche nei confronti di persone imputate e non ancora
condannate in via definitiva) e della residua parte di essa, nonché
dell’esigenza di prevenire il pericolo che l’ammesso al lavoro
all’esterno commetta reati.
Il beneficio dell’assistenza all’esterno dei figli minori e della
detenzione domiciliare speciale può essere concesso, alle stesse
condizioni, in alternativa, al padre detenuto, quando la madre sia
deceduta o impossibilitata a dare assistenza alla prole e non vi sia
modo di affidare i figli ad altri che al padre.
I limiti di applicabilità contenuti nell’art. 6 (come per la detenzione
domiciliare speciale) dispongono che la misura non possa essere
concessa a coloro che siano stati dichiarati decaduti dalla potestà
sui figli, a norma dell’articolo 330 del codice civile; nel caso che la
decadenza intervenga nel corso dell’esecuzione della misura
alternativa o di comunità, questa verrà immediatamente revocata.
Il Tribunale di sorveglianza fissa le modalità di attuazione
delle misure.
La legge Finocchiaro, pur avendo introdotto principi importanti
e nuovi istituti, risulta essere di difficile attuazione: soprattutto nel caso
di detenute straniere; si continua a registrare una presenza in carcere di
bambini fino a 3 anni inoltre, alcuni istituti risultano in parte
sovrapponibili. Ad esempio:
● il rinvio dell’esecuzione, sia esso obbligatorio o facoltativo, non
sembra applicabile al padre detenuto, a differenza degli atri istituti
introdotti dalla presente legge;
● tale legge riguarda soltanto le donne che scontano una condanna
definitiva (quindi la metà sul totale delle recluse);
● ulteriori limiti sono inoltre previsti dall’eventuale pericolo di
commissione di nuovi reati, lasciando così al di fuori dalla possibilità di
godere dei benefici della nuova legge proprio le tossicodipendenti, che
presentano un alto tasso di recidiva;
● poi c’è il problema della casa: le madri detenute che sono nelle
condizioni di poter usufruire della detenzione domiciliare speciale, nella
maggior parte dei casi, non hanno una casa in cui poter vivere con i loro
figli.
Con l’obiettivo di affrontare e superare il problema dei
bambini in carcere, dopo una serie di proposte, è stata emanata la
nuova legge nell’aprile del 2011, n° 62 “Modifiche al codice di
procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n° 354, e altre
disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”;
essa interviene sia in materia di custodia cautelare delle detenute
madri sia di espiazione della pena detentiva da parte delle
medesime.
In riferimento al primo profilo (art. 1) - custodia cautelare
delle detenute madri - si prevede l'aumento da tre a sei
anni dell’età del bambino al di sotto della quale non può essere
disposta o mantenuta la custodia cautelare della madre in carcere
(ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente
impossibilitata a dare assistenza alla prole), salvo che sussistano
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. In presenza di tali
esigenze, la legge prevede la possibilità di disporre la custodia
cautelare in un Icam, da gennaio 2014 dovrebbero essere attivati
tali istituti che potranno essere anche privati.
Con riferimento al secondo profilo - espiazione della pena
detentiva da parte delle mamme - il testo interviene (art. 3)
sull'ordinamento penitenziario in materia di detenzione
domiciliare speciale delle condannate madri di prole di età non
superiore a dieci anni (art. 47-quinquies della legge n°354 del
1975); aggiunge la possibilità di espiare anche il terzo della pena o i
primi quindici anni presso un Icam; nella propria abitazione, o in
altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o
accoglienza (se non sussiste in concreto pericolo di commissione di
ulteriori delitti o concreto pericolo di fuga); presso le case famiglia
protette, ove realizzate.
Le caratteristiche delle case famiglia protette (art. 4)
dovranno essere individuate con decreto del Ministro della
giustizia, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
Durante gli incontri con la Referente dell’Uepe di Milano e Lodi,
dr.ssa Assistente sociale Renata Vicari, è stata tematizzata la legge in
esame, analizzando le modifiche che apporta al sistema carcerario,
all’Icam, ed i problemi aperti. Nel testo è stato rinviato il problema delle
misure cautelari relative agli Icam al 2014, senza prevedere una
copertura finanziaria per la realizzazione degli stessi ed anche rispetto
alle case famiglia protette, quest’ultime sono strutture idonee per
ospitare la diade, ma nella realtà italiana, ad oggi, non esistono ed i loro
requisiti non sono ancora stati enunciati; evidenziando altresì la difficile
applicazione del testo che non risolve il problema di quelle detenute
madri che sono in carcere in attesa di processo o perché condannate in
via definitiva.
Tale legge comporta un cambio di struttura dell’Icam milanese,
esso è nato ed è stato strutturato per ospitare madri con figli minori 0-3
anni, ospitare minori fino a 6 anni creerebbe una situazione di
sbilanciamento, le esigenze, le attenzioni, i giochi di un bambino nell’età
infantile sono molto diversi rispetto ad un bambino che ha 6 anni.
È emerso che le scelte, anche in campo penitenziario, non sono
indipendenti dalle politiche sociali, culturali, economiche che uno Stato
sceglie di perseguire.
2.2 Asilo nido con le sbarre
e mamme in carcere
L'Amministrazione penitenziaria, da sempre
consapevole che la condizione delle madri detenute richieda
una particolare attenzione, sin dall'anno 1976, al fine di dare
attuazione alla normativa, autorizzò l'istituzione di asili
nido presso gli istituti penitenziari destinati esclusivamente
alle donne.
Autorizzò altresì, l'organizzazione di asili nido
anche presso le sezioni femminili presenti negli istituti
penitenziari destinati prevalentemente agli uomini, su
richiesta delle Direzioni interessate8.
La fotografia scattata il 30 giugno 2011 dal DAP, come
riportato nella successiva tabella, raffigura che nelle sezioni nido
delle carceri italiane erano detenute 53 donne con figli in istituto,
54 bambini da 0 a 3 anni di età e le donne in gravidanza erano 18
(rilevante è la presenza di quest’ultime nel Lazio).
Quando è possibile, l’area nido si trova al piano terra per
disporre di spazi verdi e comprende almeno due stanze ed un
posto letto con la culla, cucinino, sala giochi, servizi igienici e locali
pulizie, cortile esterno arredato con giochi ed locali di servizio
(locale agente, locale colloqui).
La permanenza nell’area nido del carcere talvolta è breve
perché legata soltanto ai tempi necessari per la concessione degli
arresti domiciliari alla madre. Tuttavia anche questa esperienza è
sufficiente per generare estremo disagio al minore che
improvvisamente si trova in un ambiente a lui sconosciuto e poco
familiare con molteplici persone destinate ad accudirlo9.
La distribuzione degli asili nido sul territorio italiano
appare disomogenea; come viene mostrato nella tabella
sottostante, ben otto regioni italiane ne risultano
attualmente sprovviste: Basilicata, Emilia Romagna, Friuli
Venezia Giulia, Liguria, Marche, Molise, Trentino-Alto
Adige, Valle d’Aosta e non vi son asili in allestimento.
Per quanto riguarda la presenza in carcere di bambini
sopra i 3 anni, non vi sono dati disponibili.
In Calabria, in Lombardia, in Piemonte ed in Sardegna (dove
ve ne sono 3) è presente più di un asilo nido funzionate,
mentre in Puglia è presente una struttura non funzionante.
Gli asili nido funzionanti sono 17, la maggior concentrazione è
nel sud d’Italia (isole comprese) con 8 strutture attive nel sud, 5 sono
presenti nel nord e 4 nel centro; con questo dato è possibile
effettuare una comparazione rispetto agli istituti presenti in tutta
Italia, sono le stesse strutture che presentano maggior
sovraffollamento ed hanno un’elevata capienza regolamentare (come
studiato nei capitoli precedenti).
Il Lazio e la Lombardia presentano il maggior numero di bimbi
minori di tre anni all’interno delle strutture; si può evidenziare che le
due regioni in oggetto sono le stesse che presentano la maggior
affluenza di detenute; contemporaneamente sono fra i territori che
hanno numerosi istituti presenti e la maggior capienza
regolamentare. Due sono le sezioni nido funzionanti in Lombardia –
con la presenza totale di 16 bambini – ed una nel Lazio – con la
presenza di 12 bambini (a Rebibbia, dove accanto alle celle c’è un
asilo nido per far giocare i bambini ed una stanza per le attività delle
puericultrici).
Da evidenziare la regione ligure, dove vi è un bambino in
istituto ma non vi sono asili nido funzionanti.
Tabella 6
Detenute madri e asili nido –
situazione al 30 Giugno 2011
Regione di
Detenzione
Abruzzo
Calabria
Campania
Emilia R.
Lazio
Liguria
Lombardia
Piemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Umbria
Veneto
Totale
Asili nido
funzionanti
Asili nido
non
Detenute madri
con figli
Bambini minori
di tre anni
Detenute
In
funzionanti
in istituto
1
1
6
in istituto
1
1
6
Gravidanza
1
2
1
1
2
2
1
3
1
1
1
1
17
1
1
1
1
13
12
1
15
4
3
12
1
16
4
3
1
8
1
8
1
1
53
1
54
1
18
1
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica.
I nidi funzionanti si trovano presso i seguenti Istituti:
Teramo (Abruzzo)
Reggio Calabria (Calabria)
Castrovillari (Calabria)
Bellizzi (Campania)
Roma Rebibbia (Lazio)
Genova Ponte decimo (Liguria)
Como (Lombardia)
Monza (Lombardia)
Torino casa circondariale (Piemonte)
Foggia (Puglia)
Cagliari (Sardegna)
Sassari (Sardegna)
Agrigento (Sicilia)
Messina (Sicilia)
Sollicciano (Toscana)
Perugia (Umbria)
Venezia Giudecca (Veneto)
Verona (Veneto)
Avellino (Campania)
A questi va aggiunto l'Istituto a custodia attenuata per madri di Milano.
Le detenute e i bambini usufruiscono di tutte le risorse di
personale medico-infermieristico e tecnico presenti in istituto. Inoltre
deve essere assicurato loro l'intervento di specialisti in pediatria,
ginecologia, puericultura e, se possibile, di uno psicologo specializzato in
psicologia dell'età evolutiva.
Per le donne madri il carcere rappresenta una parentesi
particolarmente drammatica poiché la detenzione impedisce che il
rapporto madre-figlio si svolga in condizioni compatibili con le esigenze di
crescita del bambino e con il proprio diritto a poter svolgere il ruolo di
madre. Il carcere per i propri figli è l’ultima delle soluzioni che una
madre ricerca ed è quella che vive con più ansia e paura poiché significa
esporre il bambino a qualcosa di cui non solo non conosce esattamente
le dinamiche ma della cui realtà percepisce l’assoluta precarietà e
mancanza di diritti sia come persona che come madre. A questa
soluzione sono costrette le donne nomadi, le quali per storia e cultura
raramente si staccano dai propri figli con i quali vivono quasi in simbiosi e
in un continuo rapporto di fisicità e dalle donne straniere che non
possono contare su nessun appoggio esterno e non hanno alcun
riferimento famigliare, sociale e culturale su cui poter fare affidamento.
I bisogni primari delle madri detenute sono
legati ai seguenti problemi:
- anagrafici;
- di salute;
- di scolarizzazione;
- di informazione;
- la maternità e il rapporto con i figli: un forte senso di
colpevolizzazione che rende la donna iperprotettiva ed esclusiva nel
rapporto col figlio oppure deresponsabilizzata e inoperante fino alla
completa delega ad altri delle cura del figlio;
- il mantenimento del rapporto con il partner, con i figli fuori e con la
famiglia d’origine, soprattutto se la detenuta è straniera;
- la difficoltà di accedere ai benefici previsti dalle leggi, soprattutto
per le straniere senza fissa dimora.
È importante inoltre evitare una degenerazione della
delega/abbandono della madre la quale può sentirsi rassicurata da un
contesto e dalla presenza di operatori non recepiti pericolosi per il
bambino.
2.3 Il minore in carcere e il suo benessere
I problemi legati alla crescita del bambino in carcere possono
essere sintetizzati nei seguenti tre punti:
1. ambiente;
2. alterazione del rapporto affettivo madre-bambino;
3. rapporto simbiotico con la madre.
Riguardo al primo punto, la vita dei piccoli all’interno del carcere
scorre in modo anomalo, cadenzata da rigide regole: ora del pasto, del
sonno, dell’uscita all’aria della madre, del colloquio con i famigliari, della
passeggiata con i volontari. Gli educatori ed il personale volontario che
assistono i piccoli intrattengano questi bambini in uno spazio giochi
realizzato appositamente in una cella e conducono questi bambini quasi
giornalmente a passeggiare nelle adiacenze dell’istituto per qualche ora.
Tuttavia queste attività divengono col tempo sempre meno interessanti
perché sempre uguali. Durante la permanenza in carcere il bambino,
costretto a vivere in una dimensione spazio-temporale deprivata e
coercitiva, manifesta una richiesta sempre più pressante di uscire per
incontrare altri familiari, altri bambini ed altre situazioni di socialità.
Nel secondo punto, riguardante l’alternazione del rapporto
affettivo madre-bambino, si può osservare che: il sovraffollamento,
il contatto forzato tra etnie e culture diverse, le regole del carcere,
creano situazioni di stress e tensioni che si ripercuotono,
inevitabilmente, nel rapporto madre-figlio.
La condizione della detenzione corre poi il rischio di delegittimare il
ruolo di madre e la sua identità sociale, cui è connesso un più che
probabile disorientamento del bambino proprio nei suoi primissimi
anni di vita; rischiando di comprometterne sia il suo rapporto con
la madre che il suo sviluppo complessivo10.
L’assenza di modelli familiari di riferimento, sovente il bambino non
conosce quasi per nulla la famiglia di origine, e l’assenza della
figura paterna, son ulteriori elementi che possono compromettere
lo sviluppo armonioso del minore.
Infine, riguardo al rapporto simbiotico con la madre,
indicato nel terzo punto, questa appare l’unica figura rassicurante
e di rifermento, ed è l’assenza della figura paterna (presenza
spesso sporadica, troppo limitata nel tempo per potersi inserire nel
rapporto madre-bambino) che appare la condizione più ricorrente
con tutte le problematiche affettivo-relazionali che ne
conseguono11.
Il bambino compiuto il terzo anno di età viene allontanato ed
affidato ad istituti o familiari. Madre e figlio vivono così un trauma
che diventa quasi lutto. La donna infatti si attacca morbosamente
al suo piccolo, vedendolo come unico scopo di vita e come
sostegno morale per vincere la solitudine e la desolazione del
carcere, il bambino perde improvvisamente quell’unico punto di
riferimento che è stata la madre per tre anni e si sente perso ed
abbandonato12.
Secondo il V Rapporto Sulle Condizioni di Detenzione redatto
dell’Osservatorio dall’Associazione Antigone nell’anno 2008; oltre ai problemi
emersi e descritti precedentemente; c’è un altro dato da considerare: la
“qualità” della vita dei bambini detenuti varia a seconda dell’istituto di
detenzione.
A Milano è nato, nel 2006, l’Istituto a custodia attenuata per le madri
detenute (Icam), senza sbarre, con personale specializzato per l’infanzia e agenti
della polizia penitenziaria in borghese; a Roma, Genova, Milano, Venezia e
Torino i bambini potevano frequentare l'asilo pubblico. In senso contrario, si
riscontrava che ad Avellino l’istituto carcerario non aveva stipulato
nessuna convenzione con gli asili pubblici, nessuna convenzione che prevedeva
periodicamente l’uscita dal carcere dei bambini, salvo sporadiche eccezioni; a
Civitavecchia e a Bologna non era presente personale specializzato per l’infanzia;
in molti istituti, nonostante la costante presenza di bambini, non esisteva un
nido o mancavano le aree verdi; in nessun istituto si riscontravano iniziative in
preparazione del distacco tra detenuta e infante che, categoricamente,
interviene al terzo anno di età. E, mentre Roma Rebibbia viveva il dramma del
sovraffollamento anche nella sezione nido (15 i posti disponibili, 31 gli ospiti
presenti al 26 settembre 2008), in istituti come Bologna, Civitavecchia, Sassari o
Teramo paradossalmente il dramma era spesso rappresentato dal fatto che era
presente un solo bambino circondato da sole persone adulte13.
2.4 La figura paterna
L’ordinamento penitenziario non considerava, e non lo
considera tuttora, il problema della paternità come un problema a
sé stante, ma solo come secondario rispetto a quello della
maternità: le leggi di riferimento, vengono applicate anche ai padri
solo nel caso in cui la madre sia morta o sia nell’impossibilità di
assistere i figli.
Negli ultimi tempi sono stati condotti numerosi studi sul
rapporto padre-figlio che hanno evidenziato un cambiamento di
tendenza rispetto ad un’esclusiva presenza della figura materna nei
primi tre anni di vita del figlio: la figura paterna è risultata essere
importante non solo per il sostegno che può offrire alla madre,
impegnata in prima persona nel rapporto con il figlio, ma anche
come intervento diretto in un proprio rapporto con il minore.
Le ricerche effettuate sostengono che padre e madre
contribuiscono allo sviluppo intellettuale del bambino in modi
diversi.
Nella particolare realtà carceraria, il poter vedere la figura
paterna solo saltuariamente appare già di per se stessa una
soluzione che sembra poco rispondere ai bisogni manifestati dai
bambini.
È stato osservato che i bambini che sono capaci di instaurare
durante l’infanzia forti legami con entrambi i genitori hanno un
concetto di sé più positivo e maggior successo nelle relazioni
interpersonali dei bambini che invece hanno solamente un legame
con la propria madre.
L’assenza della figura paterna prima dei quattro o cinque
anni sembra avere sullo sviluppo della personalità del bambino un
effetto più disorganizzante dell’assenza iniziata in età successiva.
3. I PROGETTI PILOTA ED IL
RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI
Il rimedio volto al superamento del problema dei bambini in
carcere è rappresentato dalla possibilità di poter disporre di strutture
adeguate all’inserimento delle donne madri e dei loro figli sia allorché
vi siano le condizioni richieste dalla legge per dar luogo ad una
modalità esecutiva della pena ad afflittività attenuata, quale può
essere la detenzione domiciliare speciale, sia quando queste
condizioni non sussistano, e per ragioni di difesa sociale, l’unica
risposta per questi soggetti non possa essere quella totalmente
intramuraria. A tale ultimo proposito, va constatato che già sulla base
della legislazione vigente sono state adottate, di recente, soluzioni
che possono ritenersi soddisfacenti, il cui solo limite è quello di aver
trovato applicazione in un ambito territoriale troppo circoscritto e
quindi insufficiente a dare una risposta adeguata alle esigenze14.
3.1 L’Istituto di custodia attenuata
per detenute madri (ICAM)
Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha affrontato
il problema dei bambini in carcere avviando la sperimentazione, nel
dicembre del 2006, dell’Istituto a custodia attenuata per madri (ICAM) ed
alcune regioni italiane, attraverso la redazione di progetti e di protocolli
d’intesa, si stanno attivando per l’attivazione di questi luoghi.
L’Icam di Milano è importante perché rappresenta il primo
risultato della volontà di cooperazione e d'integrazione tra molteplici
attori sociali. È il risultato di un accordo tra gli enti territoriali, la Provincia
di Milano che ha reso disponibile un immobile, la Regione Lombardia per
l’assistenza dell’Asl, il Comune di Milano per l’inserimento negli asili nido
e scuole materne, l’Amministrazione penitenziaria, il Ministero della
Giustizia e dell’Istruzione. Rappresenta un nuovo modello di detenzione
femminile; all’interno di una struttura attenuata per detenute (sia
definitive che non) madri con bambini opposta a quelle tradizionali,
anche europee, perché l’allocazione è fuori dal carcere.
Questa caratteristica rende la struttura unica in Italia ed in Europa.
Ho voluto valorizzarlo perché propone un modello che risulta
essere ripetibile ed esportabile in altri luoghi. La prima novità
metodologica è costituita dal fatto che ai lavori della Commissione (che
ha redatto il Regolamento che contiene 35 articoli) hanno partecipato
anche i rappresentanti degli enti e delle istituzioni coinvolte nel
progetto; assicurandone la condivisione del contenuto, attraverso la
partecipazione attiva di tutti i soggetti erogatori e fruitori; ispirandosi
ad una logica di tipo orizzontale dove tutti, operatori e recluse, si
assumono la responsabilità di una vita in comune; realizzando
l’effettiva attenuazione dell’aspetto carcerario per i figli delle detenute,
offrendo nel contempo alle madri una significativa azione di
reinserimento – con adeguate attività trattamentali – in piena
integrazione con il territorio e le sue risorse, in particolare con i servizi
sociosanitari e i nidi comunali e con il contributo attivo delle
associazioni di volontariato.
Una caratteristica importante è la particolarità di accogliere detenute
anche in attesa di primo giudizio, a prescindere dalla tipologia del reato
(art. 5 Immatricolazione e scarcerazione delle detenute).
Ho preso in esame tre protocolli d’Intesa stipulati da tre regioni
italiane corrispondenti all’ubicazione di tre Istituti penitenziari presso i
quali ho cercato di accedervi volendo intervistare alcune mamme
detenute con i loro figli, effettuandone poi la comparazione.
Le regioni in oggetto sono la Toscana, il Lazio ed il Veneto;
nonostante le continue e ripetute richieste che ho presentato (tramite
fax e mail nell’arco di 6 mesi) per poter accedere ed incontrare le
mamme detenute nelle sovra indicate strutture, sono pervenute risposte
negative dalla Casa Circondariale “Sollicciano Firenze” e dalla Casa
Circondariale Roma Rebibbia Femminile. La Casa di Reclusione Femminile
– La Giudecca (Venezia) non ha mai risposto alle mie richieste.
3.2 La presenza ed il ruolo delle
associazioni in Italia
Il Ministero della Giustizia non può essere autosufficiente,
non è e non deve essere l’unico titolare di quei compiti di così
rilevante importanza riguardanti la prevenzione e l’esecuzione
penale esterna. È necessario coordinare la responsabilità
istituzionale nel trattamento dei detenuti ed il loro reinserimento
con quello delle Regioni e degli Enti locali, attraverso la creazione
di circuiti a bassa o bassissima vigilanza, per questo può essere
decisivo il contributo del territorio.
Oltre al sostegno economico e finanziario da parte dello
Stato è fondamentale l’impegno dei volontari; è emerso che il
Terzo Settore, come per molti altri aspetti delle politiche sociali, ed
in particolare delle politiche familiari, rappresenta una reale risorsa
per la madre detenuta e per i propri figli.
Nel nostro Paese, sono diverse le esperienze che, ogni giorno
vedono associazioni, Amministrazione penitenziaria, famiglie e detenuti
collaborare nell’intento di facilitare il recupero o il mantenimento delle
relazioni del recluso con i propri figli.
A livello nazionale sono tre le principali associazione che si occupano
della tematica in oggetto: BambiniSenzaSbarre, A Roma Insieme e
Telefono Azzurro.
Focalizzo l’attenzione sull’associazione
BambiniSenzaSbarre, si costituisce in
associazione senza scopo di lucro nel 2002,
è membro di Eurochips (European Network
for Children of Imprisoned Parents –
organismo di rete europea che collega realtà
impegnate sul tema della genitorialità in carcere).
Il loro intervento iniziò alla fine degli anni ’90 nel carcere di San
Vittore a Milano, attraverso la sperimentazione di buone prassi
diventando un carcere pilota rispetto al tema in esame, portando l’Italia
ad essere il Paese pilota in Europa per quanto riguarda la sensibilità del
legislatore al tema del legame genitoriale (anche se con difficoltà di
applicazione).
Eurochips si pone come obiettivo la “costruzione” di una
rete di professionisti in ambito penitenziario e specialisti
dell'infanzia per sviluppare azioni già in corso e incoraggiare nuove
iniziative per il bambino del detenuto.
A livello europeo, L’Icam è stato inserito nel progetto
Criminal Justice 2007 con la denominazione “ICAM, Free to grow
up” come modello nei Paesi Partners. Oltre a far conoscere
l’esperienza italiana, il progetto intende:
- avviare un confronto attivo con altri Stati membri dell’Unione
Europea sui temi dei diritti dei bambini e della bambine quando
incontrano l’esperienza della carcerazione della madre;
- favorire un confronto sulle pressi metodologiche del trattamento
e della custodia attenuata nell’esecuzione penale di donne madri
con figli;
- promuovere la replicabilità dell’esperienza anche in contesti
normativi diversi;
- rafforzare la sperimentazione del servizio educativo in atto.
Il progetto è in linea con le raccomandazioni presentate al
Parlamento Europeo il 13 marzo 2008 “Sulla particolare situazione
delle donne detenute e l'impatto dell'incarcerazione dei genitori sulla
vita sociale e familiare”.
Il limite di età a cui un bambino non può più vivere con la
madre reclusa differisce da paese a paese. A livello europeo,
possiamo identificare tre gruppi di paesi, secondo i limiti di età
consentiti dalla legge:
1. neonati (fino all’età di 18 mesi): Francia, Regno Unito, Irlanda,
Olanda;
2. bambini fino all’età di 3 anni: Belgio, Danimarca, Polonia, Spagna,
Finlandia, Italia;
3. bambini fino all’età scolare (tra 4 e 6 anni): Olanda, Grecia,
Germania.
Per concludere la panoramica europea, le pratiche efficaci da
promuovere sono due:
1. Creare in ogni paese dell’Unione Europea un numero
supplementare di Case madre – bambino:
● gli edifici dovrebbero essere separati dal carcere,
● vita comunitaria in cui le madri siano responsabili;
● progetti di formazione, collocamento e reinserimento per le madri;
● supervisioni professionali: assistenti sociali, psicologi ed educatori;
● personale selezionato e formato che si occupa del bambini.
2. Creare all’interno nelle Unità Madre – Bambino le condizioni
necessarie al benessere del bambino:
● determinare le capienze permesse per questo tipo di sistemazioni;
● ridurre al minimo l’atmosfera del carcere (celle aperte, spazi per i giochi,
giardini);
● favorire un senso di responsabilità tra le madri;
● stabilire le collaborazioni professionali attraverso accordi tra autorità
penitenziarie e servizi per l’infanzia per aiutare madri bambini;
● reclutare personale specializzato per una sorveglianza adeguata di questo
tipo di sistemazioni.
Scrive Giancarlo De Cataldo15:
“Ed anche qui, nei momenti d’intimità, nel gioco dei bambini, anche
quando l’orizzonte sembra finalmente liberarsi
dal perimetro blindato del reclusorio, anche qui gli sguardi sembrano
persi verso un altro più lontano punto che
nessuna immagine riuscirà mai
né a determinare né a fissare.
È forse l’altrove del ritorno?
Pensano, queste bambine e questi bambini,
al corridoio, alla mensa, alla cella
che li attendono a fine giornata?
Sanno già che,
scoccato il limite legislativo dei tre anni,
verranno allontanati dalle madri
con la consolazione dei due incontri
mensili a domeniche alterne?
Per questi bambini qualcosa di diverso
dobbiamo pur essere in grado di inventarcelo”.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
1 Fonte:
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del
sistema informativo automatizzato - sezione statistica.
2 Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema
informativo automatizzato - sezione statistica.
3 www.europarl.europa.eu
4 Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del
sistema informativo automatizzato - sezione statistica.
5ASTARITA L., “Femminile, Detenzione” in Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella - Prefazione di MAURO
PALMA (a cura di), Inchiesta sulle carceri italiane, Associazione Antigone, Castelvecchi, Roma, 2002, cit.,69.
6 www.pianetamamma.it/donneemadriincarcere
7 Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema
informativo automatizzato - sezione statistica.
8 www.giustizia.it
9 TISCHER M.C., LO GIUDICE M., TRUCCI P.L., Infanzia negata: bambini cresciuti in carcere, in “Medico
Pediatra”, 2006, n. 3, cit. 59.
10 www.volontariatoseac.it
11 DAGA L., BIONDI G., Il problema dei figli con genitori detenuti, in CAFFO E. (a cura di), Il rischio familiare e
la tutela del bambino, Guerrini e Associati, Milano, 1988, cit. 132.
12 www.supereva.it/mediaesocietà/carceri
13 www.unblogindue.it/innocentiincarcere
14 COMUCCI P., I benefici penitenziari a favore delle condannate madri, in “Cassazione penale”, 2009 fasc. 5,
cit., 2196.
15 magistrato e scrittore
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