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Calvino, Il cavaliere inesistente

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Calvino, Il cavaliere inesistente
Italo Calvino, Il cavaliere inesistente
Il cavaliere inesistente esce presso l'editore Einaudi di Torino nel novembre del 1959.
Nella quarta di copertina, anonima, con cui Calvino descrive il proprio libro, afferma che
questo romanzo "viene ad affiancarsi a Il visconte dimezzato (1952) e a Il barone
rampante (1957), compiendo una trilogia di figure emblematiche, quasi un albero
genealogico di antenati dell'uomo contemporaneo. Il titolo de Il cavaliere inesistente si
riferisce al protagonista del romanzo, Agilulfo, l'uomo che «sa di esserci e invece non c'è»,
e che presta servizio nell'esercito cristiano di Carlomagno, combattendo con la propria
forza di volontà e la fede nella santa causa imperiale. Fisicamente inconsistente, Agilulfo è
infatti una vuota armatura bianca, puro intelletto e volontà astratta.
Il titolo rimanda a quelli dei due precedenti romanzi della trilogia araldica, tutti composti da
un titolo nobiliare (visconte, barone e ora cavaliere) e da un aggettivo (dimezzato,
rampante e ora inesistente) ed esprime l'essenza o lo stile di vita degli eroi calviniani, dei
quali simboleggia anche il carattere di uomini incompiuti. Anche il titolo I nostri antenati è
di estrema importanza, perché rappresenta la volontà dell'autore di «guidare i lettori nella
visita a una galleria di ritratti dove possano riconoscere qualcuno dei loro lineamenti, dei
loro tic, delle loro ossessioni». La trilogia è infatti, nell'intento dell'autore,
«un'esemplificazione dei tipi di mutilazione dell'uomo contemporaneo». Il romanzo si svolge «in quel Medioevo fuori d'ogni verosimiglianza storica e geografica
che è proprio dei poemi cavallereschi», all'epoca di Carlomagno, durante una delle
numerose guerre che l'imperatore guidò contro l'esercito saraceno. Si apre «sotto le rosse
mura di Parigi» dove è schierato l'esercito cristiano di Carlomagno. Per la prima parte
della vicenda, l'accampamento, i boschi e i campi di guerra che lo circondano sono i luoghi
nei quali i personaggi vengono presentati e le storie cominciano ad intrecciarsi tra loro.
Rispettando la tradizione dei poemi cavallereschi, la narrazione si sposta da un capo
all'altro dell'accampamento cristiano di Carlomagno, seguendo l'inesistente Agilulfo, il
giovane Rambaldo, l'amazzone Bradamante, il cupo Torrismondo, l'insolito scudiero
Gurdulù. La narrazione procede per vie separate fino al momento dello scioglimento finale,
quando le storie si ricongiungono; sono dunque molti gli eventi che ne consentono lo
sviluppo. In primo luogo la nascita di Agilulfo e la sua nomina a cavaliere, in seguito al
salvataggio della verginità della nobile Sofronia; poi la morte del marchese Gherardo di
Rossiglione, per vendicare la quale suo figlio Rambaldo giunge all'accampamento
cristiano di Carlomagno, dove si innamora, non ricambiato, della giovane Bradamante;
successivamente la marcia dell'esercito imperiale, che permette l'entrata in scena del
villano Gurdulù. Se una divisione del romanzo in sole due parti è legittima, la linea di
confine tra le due sarebbe da rintracciare nel banchetto alla tavola imperiale, durante il
quale le accuse di Torrismondo ad Agilulfo scatenano una reazione a catena, per la quale
tutti i personaggi principali della storia lasciano l'accampamento per inseguire ognuno il
proprio fine. Così Agilulfo e Gurdulù possono giungere, in seguito al naufragio della loro
nave, in Africa, dove soccorrono Sofronia che mettono in salvo all'interno di una grotta,
nelle foreste britanniche. Sarà proprio Torrismondo, deluso dall'incontro con i Cavalieri del
Gral, a giungere in quella grotta, dove instaura un rapporto erotico con Sofronia, ignaro
della sua identità.
Agilulfo, tornato alla caverna con Carlomagno al proprio seguito, trova la giovane donna
nel mezzo di un amplesso e fugge nei boschi, dove scompare per sempre. Anche
Torrismondo fugge, alla scoperta dell'identità di Sofronia che crede sua madre, per poi
apprendere che nessun legame di parentela unisce i due. Così, dopo averla sposata, si
trasferisce nella democratica città di Curvaldia, con il proprio seguito e lo scudiero
Gurdulù, e qui rinuncia ai propri titoli per divenire un normale cittadino.
Rambaldo, nel frattempo, ereditata l'armatura di Agilulfo, inganna Bradamante, che,
scoperta la vera identità del guerriero, al termine dell'amplesso fugge e si ritira nel
convento, col nome di Suor Teodora, per comprendere meglio le vicende che le sono
capitate. Da qui fugge insieme a Rambaldo, ormai famosissimo guerriero, che comprende
di amare, e la vicenda si conclude.
«Il cavaliere inesistente si legge prescindendo da tutti i possibili significati», scrive Calvino
nella prefazione all'edizione del 1959. Eppure «in mezzo al succedersi di trovate
buffonesche, battaglie e duelli e naufragi, non si tarda a scoprire l'accento solito di Calvino,
la sua morale attiva»; quindi un messaggio dell'autore esiste, ma è celato, lasciato alla
capacità di intendere e domandarsi del lettore. L'autore infatti voleva che i tre romanzi
della trilogia de I nostri antenati fossero storie «aperte, che innanzitutto stessero in piedi
come storie, per la logica del succedersi delle loro immagini, ma che cominciassero la loro
vera vita nell'imprevedibile gioco d'interrogazioni e risposte suscitate nel lettore».
Calvino scrive con due chiavi di lettura. La prima, quella superficiale, permette al lettore
stanco, stressato, di distendersi e passare un quarto d'ora piacevole con le storie
all'apparenza un po’ favolesche, un po’ umoristiche, talvolta erotiche.
Il secondo livello è creato, invece, per chi vuole capire. Calvino non "insegna", propone
riflessioni. Agilulfo nasce da una nuvola, frutto della condensazione della volontà persa
degli uomini, cioè la volontà superflua che non viene interamente utilizzata dall' umanità,
per ignoranza o per miseria. Il cavaliere esiste, invece, perché ha volontà d'esserci, e non
perché legato ad un corpo. Al contrario, Gurdulù esiste ma non ha la coscienza di essere.
Calvino vuole evidenziare l'incompiutezza dell'uomo: gran parte di noi esiste più perché
legata alla consistenza della propria carne che alla volontà di esserci, di affermarsi, di dire
"io esisto e voglio esistere". Infatti, se non utilizziamo la volontà per trovare un motivo che
ci spinga ad esistere, cosa siamo? Viviamo davvero? Proprio l'uomo incompiuto è il motivo
ricorrente che accomuna i tre volumi della trilogia araldica de I nostri antenati, e, in
particolare, la conquista dell'essere e l'aspirazione ad una completezza sono i temi
principali de Il cavaliere inesistente.
L'affermarsi della società di massa tende ad assumere e a far assumere caratteri di
irrazionalità e disumanità, e l'individuo appare in balia di forze che non può controllare,
grandi sistemi sociali, economici e burocratici la cui logica è spesso incomprensibile e
assurda, e ciò disorienta e intimorisce. Così il genere fantastico, nel Novecento, prende
spunto dalla cultura e dalla società del tempo e ne denuncia spesso gli eccessi.
Nella prefazione a I nostri antenati Calvino scrive: «Dall'uomo primitivo che essendo
tutt'uno con l'universo, poteva esser detto ancora inesistente perché indifferenziato dalla
materia organica, siamo lentamente arrivati all'uomo artificiale che, essendo tutt'uno coi
prodotti e con le situazioni, è inesistente perché non fa più attrito con nulla, non ha più
rapporto con ciò che gli sta intorno, ma solo astrattamente funzione. Questo nodo di
riflessioni s'era andato per me a poco a poco identificando con un'immagine che da tempo
mi occupava la mente: un'armatura che cammina e dentro è vuota». Agilulfo assume infatti
i lineamenti psicologici di un tipo umano molto diffuso nei vari ambienti della società degli
anni Cinquanta. La storia prende avvio, dunque, da una critica della società di massa,
caratterizzata da un uomo dilaniato, incompiuto, teso. «Chi più simile a un guerriero chiuso
e invisibile nella sua armatura, delle migliaia di uomini chiusi e invisibili nelle proprie
automobili che ci sfilano ininterrottamente sotto gli occhi?» L'uomo contemporaneo appare
infatti cancellato dietro lo schermo delle funzioni e delle attribuzioni, e l'intento dell'autore è
quello di combattere i dimidiamenti dell'uomo, di auspicare l'uomo totale, di risolverne i
contrasti. Se Gurdulù e Agilulfo sono al centro della riflessione sull'essenza umana, un
altro personaggio emblematico diventa centrale nella comprensione del significato del
romanzo: è Suor Teodora, narratrice e alter ego della guerriera Bradamante. Confinata
all'interno di una cella del convent, non compie azioni di alcun tipo, ma è fondamentale per
il legame che ha con l'autore Calvino, del quale è una proiezione.
Suor Teodora viaggia con la propria «bussola umorale» dal mondo reale del convento e
della realtà circostante a quello immaginario della battaglia. Ciò che succede all'esterno fa
irruzione nella scrittura, ma la scrittura, allo stesso tempo, si fa interprete della realtà. Per
Teodora la scrittura è infatti un mezzo di conoscenza del mondo e di sé stessa; come era
per i letterati umanisti, e così è anche per Calvino: la scrittura è il solo modo per
razionalizzare il caos del mondo. L'autore sostiene che, nel comporre le tre storie della
trilogia araldica, sentiva la necessità di inserire un "io" narrante «forse per correggere la
freddezza oggettiva propria del raccontare favoloso con questo elemento ravvicinante e
lirico». Allo stesso tempo, la presenza di un "io" narratore e commentatore, continua
Calvino «fece sì che parte della mia attenzione si spostasse dalla vicenda all'atto stesso
dello scrivere, al rapporto tra la complessità della vita e il foglio su cui questa complessità
si dispone sotto forma di segni alfabetici. A un certo punto era solo questo rapporto ad
interessarmi, la mia storia diventava soltanto la storia della penna d'oca della monaca che
correva sul foglio bianco». Per questo motivo risulta fondamentale descrivere
separatamente le due personalità di Bradamante-Suor Teodora: una è personaggio,
compie azioni e determina il progredire della vicenda, l'altra è l'io lirico, che riflette sulla
scrittura e il valore che essa ha nel decifrare gli accadimenti della vita. Solamente nelle
ultime pagine le due parti si ricongiungono e insieme fuggono con Rambaldo, di cui ora
sono follemente innamorate, galoppando verso il futuro «malpadroneggiato, [...] foriero di
tesori pagati a caro prezzo, [...] regno da conquistare».
Dalla lettura di questo e degli altri due romanzi della trilogia, emerge innanzitutto un
interesse di Calvino per l'uomo e per tutto ciò che lo riguarda: i suoi sentimenti, le sue
esperienze e i suoi problemi. Lo stesso interesse che, quattro secoli prima, aveva spinto
Ludovico Ariosto alla composizione del suo poema, con il quale si proponeva di analizzare
le infinite declinazioni dei sentimenti umani e tutti i possibili atteggiamenti degli uomini:
l'uomo, infatti, era anche il fulcro dell’Orlando Furioso. Questo è uno dei motivi per cui
Calvino decide di utilizzare un genere da tempo in disuso per rappresentare la follia che si
scatena nell'uomo quando il mondo in cui vive non crea le condizioni antropologiche
adatte affinché possa concedere abbastanza spazio al proprio mondo interiore. E la
ripresa del genere cavalleresco è l'espediente che più affascina il lettore ad un primo
impatto con l'opera. In seguito lo stile ironico di Calvino ed il suo gusto per il meraviglioso
ed il fantastico lo conquistano definitivamente.
Mattia Zinnarello, 5°E (L.C. F. Stelluti, Fabriano)
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