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Interessi corrispettivi e moratori, tasso

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Interessi corrispettivi e moratori, tasso
Novella Corti - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Giurisprudenza
Usura
Interessi moratori
Interessi corrispettivi e
moratori, tasso-soglia usura e
clausola penale
Tribunale di Udine, sez. II, 26 settembre 2014 - G.U. Massarelli - Impresa di trasporti c. Civileasing s.p.a.
In un contratto di leasing ai fini dell’accertamento dell’usura si deve tenere conto sia degli interessi corrispettivi sia degli interessi moratori, con la conseguenza che se - per effetto del risultato economico totale prodotto da detti interessi (cui bisogna aggiungere eventuali commissioni, oneri e spese a qualsiasi titolo) - si supera il tasso-soglia usura vigente nel momento della conclusione del contratto, il contratto deve reputarsi usurario, con l’ulteriore conseguenza che, in applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., gli interessi non sono dovuti e laddove già corrisposti dal cliente vanno restituiti dall’intermediario.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Trib. Padova, 13 maggio 2014, in www.dirittobancario.it.
Difforme
Trib. Verona, 28 aprile 2014, in www.ilcaso.it.
…Omissis…
Ad avviso di questo giudice si deve condividere la tesi
per cui per stabilire se vi è usura si devono considerare
tutte le remunerazioni chieste al cliente a qualsiasi titolo; dunque anche le pattuizioni circa gli interessi moratori (Cass., 9 gennaio 2013, n. 350).
Si tratta infatti di linea di pensiero solidamente basata
su argomenti testuali.
La l. 7 marzo 1996, n. 108, infatti dispone: “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, delle remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse,
collegate alla erogazione del credito” (art. 1, comma 1).
L’art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in l.
28 febbraio 2001, n. 24 (interpretazione autentica della
l. n. 108/1996) ribadisce: ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 c.p. e dell’articolo 1815, comma 2, c.c., si
intendono usurari gli interessi che superano il limite
stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.
Detta tesi è poi da sempre sposata e mai posta in discussione dal giudice di legittimità. In termini si sono
espresse le seguenti sentenze:
1) Cass., 22 aprile 2000, n. 5286: non v’è ragione per
escludere l’applicazione (della nuova normativa) anche
nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori, risultati di gran lunga eccedenti
lo stesso tasso-soglia;
2) Cass., 17 novembre 2000, n. 14899;
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3) Cass., 4 aprile 2003, n. 5324: il tasso-soglia di cui alla l. n. 108/1996 riguarda anche gli interessi moratori;
4) Cass., 11 gennaio 2013, n. 602, e Cass., 11 gennaio
2013, n. 603: al di sopra dei tassi-soglia gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari.
Altre, non poche, sentenze danno poi per implicitamente presupposta la ricomprensione dei tassi moratori
nel calcolo dell’usura: Cass., 26 giugno 2001, n. 8742;
13 giugno 2002, n. 8442; 13 dicembre 2002, n. 17813;
22 luglio 2005, n. 15497; 22 aprile 2010, n. 9532; 13
maggio 2010, n. 11632.
Infine, è da ricordare che la riconducibilità degli interessi moratori a quelli usurari - e alla disciplina dell’art.
1815 c.c. - è idea sostenuta dalla Suprema Corte anche
da prima dell’entrata in vigore della l. n. 108/1996 (sentenza 7 aprile 1992, n. 4251), e che la stessa soluzione è
stata seguita - sia pure in obiter dictum - dalla sentenza
della Corte cost. 25 febbraio 2002, n. 29.
Ciò detto, occorre replicare a un consueto argomento,
speso da Civileasing per sostenere che non sarebbe possibile prendere in esame anche il tasso degli interessi di
mora pattuito per stabilire se vi è clausola usuraria all’interno di un contratto: poiché il TEGM periodicamente rilevato dalla Banca d’Italia non è determinato
esaminando anche gli interessi di mora praticati dal
mercato (ma solo quelli corrispettivi), nessuna comparazione è mai possibile, in quanto si confronterebbero
fra loro tassi disomogenei.
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La tesi è infondata, perché la soglia d’usura oggettiva,
secondo la legge, deve essere separatamente stabilita in
funzione di natura e tipologia del credito, non della natura del tasso praticato, ed è costruita sulla fisiologia,
non sulla patologia del rapporto. Siccome la mora interviene successivamente alla pattuizione ed erogazione
del finanziamento, ed emerge in una fase di criticità
che esula dall’ordinaria fisiologia, giustamente la Banca
d’Italia non deve fare oggetto delle sue periodiche rilevazioni anche il tasso medio di mora praticato dal mercato.
Ciò non toglie tuttavia che le previsioni contrattuali in
tema di mora debbano comunque essere incluse nella
verifica empirica del rispetto dei limiti d’usura.
Assumere che la Banca d’Italia dovrebbe prima realizzare un’indagine apposita per determinare il TEG medio
in tema di mora, perché solo così si potrà poi realizzare
un simile raffronto nei casi concreti non appare corretto, sia perché in tal modo si farebbe assurgere la mora a
una specifica categoria di credito con sue proprie soglie
d’usura (allorché invece la mora è una semplice modifica del piano di ammortamento pattuito, dovuta al contegno inadempiente del debitore), sia perché in tal modo si verrebbe a creare una soglia specifica e più alta rispetto all’ordinario costo del credito. In pratica, si determinerebbe un tasso medio della patologia che genererebbe inevitabilmente un limite d’usura più elevato;
ciò vanificherebbe l’intero sistema, perché il limite dell’usura crescerebbe proprio al crescere del rischio, allorché la legge intende invece proprio tutelare il cliente in
tale ipotesi.
Né si vede come possa prevedersi una specifica soglia
media per gli interessi di mora senza porsi in contrasto
con il dettato normativo, che dispone fissarsi un’unica
soglia media delle remunerazioni a qualunque titolo
convenute, e dunque valutando assieme tutti gli interessi richiesti, sia corrispettivi sia compensativi sia moratori.
Del resto il rilievo del tasso medio di mercato per ogni
categoria di riferimento è operazione che basta e avanza
ai nostri fini: il finanziatore istituzionale, con il tasso
medio fisiologico praticato e rilevato dalla Banca d’Italia, evidentemente copre i costi di raccolta, struttura,
organizzazione, nonché il rischio ordinario del credito e
integra il margine del profitto. La legge prevede appunto che la soglia di usura si collochi ben al di sopra di tale tasso medio (50% o 25% + 4 punti, ratione temporis).
Ebbene, nell’ambito del differenziale fra tasso medio e
tasso soglia, il medesimo finanziatore può compiutamente coprire i rischi specifici del credito eccedenti
l’ordinario, determinando l’entità delle prestazioni aggiuntive richieste a una simile controparte in caso di
mora o in generale di inadempimento.
Se il tasso ordinario praticato dalla banca si colloca attorno al valore medio di mercato, vi sono i margini per
una maggiorazione in caso di mora. Se, invece, il tasso
base praticato si colloca già a ridosso della soglia d’usura, ciò significa che è già stato valutato come presente
il rischio di un insoluto alla scadenza; la banca allora
non dovrebbe incontrare ulteriori costi oltre quelli il
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cui rischio è già coperto da un tasso corrispettivo più
elevato, e non appare giustificato un ulteriore aggravio
per lo stesso titolo a carico di controparte.
In sostanza il sistema della l. n. 108/1996 non disconosce la diversa funzione degli interessi di mora e degli interessi corrispettivi, né ha inteso precludere la pattuizione di una penale nel caso di mancato pagamento. Vuole
invece porre un limite, massimo e perentorio, entro il
quale ricomprendere tutti i costi del credito, relativi a
ogni criticità e/o patologia presente o futura. Ogni pattuizione eccedente è considerata usura, e in ciò si qualifica il presidio imperativo.
Tanto premesso, occorre però recisamente escludere
che, in una verifica dell’usura che ricomprenda anche
le remunerazioni richieste al cliente in caso di inadempimento, si debba procedere a sommare l’interesse corrispettivo all’interesse di mora; l’operazione risulta del
tutto priva di fondamento logico, matematico e giuridico. Vero che spesso il tasso di mora è espresso come
maggiorazione del tasso corrispettivo pattuito, ma ciò
non significa che il primo debba essere sommato al secondo; in tal caso è semmai la maggiorazione che va
sommata al tasso corrispettivo per ottenere il tasso di
mora, visto che i due tassi si succedono, non si sommano.
Tale tesi, sostenuta dall’attrice, è stata giustamente respinta da numerosi giudici di merito (Trib. Brescia, 16
gennaio 2014; Trib. Milano, 28 gennaio 2014; Trib.
Trani, 10 marzo 2014; Trib. Napoli, 8 aprile 2014, Trib.
Treviso, 11 aprile 2014; Trib. Verona, 28 aprile 2014;
sentenze tutte facilmente rinvenibili sul web).
Nella fattispecie però tale conclusione non è sufficiente
a definire il giudizio, perché nel concreto rapporto contrattuale in esame si è verificato che il tasso degli interessi di mora è stato pacificamente stabilito in misura
tale (10% in più rispetto alla quotazione media mensile
Euribor 3 mesi, con divisore 360 arrotondato ai 5 centesimi superiori, ovvero 10 + 2,15%) da superare abbondantemente il tasso soglia anti-usura fissato nel luglio
2004 per i contratti di leasing di valore superiore ad €
50.000, pari a 8,64% (5,60 + 5,60/2).
Né, richiamando quanto sopra già esposto, si può tenere
conto del fatto da più di 10 anni i decreti ministeriali
emanati per ufficializzare i TEGM ripetono che una remota indagine statistica della Banca d’Italia mostra che
la maggiorazione stabilita per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1%. Non può infatti ritenersi legittimo predicare uno specifico TEG medio per
la mora.
Nella presente causa, peraltro, la questione è oziosa perché (anche tenendo conto per assurdo della maggiorazione media proposta), il tasso pattuito a titolo di mora
rimarrebbe pur superiore alla soglia d’usura invocata
dalla convenuta.
Orbene, nemmeno ciò basta di per sé a far concludere
per l’immediata applicazione dell’art. 1815, comma 2,
c.c., perché, pur essendo importante il momento della
pattuizione di clausole che debordano la soglia d’usura,
si deve pur sempre verificare se esse creano condizioni
contrattuali globali che, riferite all’entità del credito
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erogato, determinano un TEG, richiesto al cliente, superiore alla soglia di legge.
La verifica dell’usura, secondo la l. n. 108/1996, va infatti
condotta determinando il TEG annuo concretamente
pattuito, non i tassi semplici indicati in contratto. Il tasso di mora, in questo senso, costituisce solo uno di tali
tassi semplici, riferito alla rata e/o al capitale scaduto e
non pagato, mentre quello che, al momento pattizio, occorre riferire alla soglia è il tasso effettivo annuo del credito erogato, sia nello scenario di un pieno rispetto del
piano di ammortamento convenuto, sia in ogni possibile
scenario nel quale, a seguito dell’inadempimento a una o
più scadenze, con l’applicazione del maggiore interesse di
mora e a fronte del mutamento che interviene nel piano
di rimborso, si modifica conseguentemente il tasso effettivo annuo del credito erogato.
Il tasso di mora, dunque, non è un tasso effettivo in sé e
per sé rilevante per la soglia d’usura, ma è un tasso semplice che integra il tasso corrispettivo, come riflesso del
mutamento determinatosi nel piano di ammortamento,
e concorre a individuare il costo effettivo del credito a
fini anti-usura.
Le più persuasive analisi di matematica finanziaria condotte in casi simili (v. ad esempio la dottrina edita su
www.ilcaso.it, qui non citabile nominativamente come
dispone l’art. 118, comma 3, disp. att. c.p.c.; ma anche
altre liberamente reperibili sul web), mostrano che la
pattuizione o la concreta applicazione di un tasso di
mora di per sé superiore alla soglia non comporta necessariamente un TEG annuo sull’intero rapporto di credito a carico del cliente superiore a detta soglia. Come
detto, infatti, con la rata che rimane insoluta alla scadenza si genera una mera modifica del piano di rimborso, con queste conseguenze:
- per la parte già scaduta decorre un interesse più alto,
applicato anche agli interessi corrispettivi inclusi nella
rata (gli interessi di mora si computano - per i contratti
stipulati fino al 2013 - con anatocismo sull’intera rata
scaduta, comprensiva di capitale e interessi corrispettivi,
come consentito dall’art. 3 della delibera CICR 9 febbraio 2000);
- tuttavia nel seguito la capitalizzazione semplice degli
interessi corrispettivi insoluti, nonché il fatto che la formula del rendimento effettivo “spalma” gli interessi maturati alla scadenza anche sugli interessi precedenti rimasti insoluti, sono fattori che moderano l’incidenza
della penale per la mora nel calcolo del TAEG (secondo le consuete e corrette formule) sino a svilirla significativamente se l’insolvenza perdura nel tempo.
Le stesse analisi mostrano poi che il superamento del tasso-soglia per l’effetto di una pattuizione sulla mora si può
avere (ma non necessariamente) quando le rate rimangono insolute ma intervengono flussi di pagamento che saldano tempestivamente gli interessi di mora addebitati.
In questa prospettiva si deve giocoforza ribadire l’assenza di autonoma rilevanza della clausola che stabilisce le
conseguenze della mora ai fini di cui alla l. n. 108/1996:
l’usurarietà dipende dall’intero costo effettivo del credito concesso, ivi compresi gli interessi corrispettivi e moratori.
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Ciò consente peraltro di rendere priva di rilievo la questione delle conseguenze che derivano dal riscontro pratico che solo il tasso moratorio (e non quello corrispettivo) supera la soglia d’usura. Questione che coinvolge
l’interpretazione da darsi all’art. 1815, comma 2, c.c. e
che vede fronteggiarsi due tesi radicalmente contrapposte che affermano rispettivamente la gratuità dell’intero
negozio o la nullità della sola clausola che fissa gli interessi di mora (nel primo senso: App. Venezia, 18 febbraio 2013, n. 342, e, implicitamente, Trib. Padova, 13
maggio 2014; Trib. Parma, 14 luglio 2014; nel secondo
senso: Trib. Napoli, 28 gennaio 2014; Trib. Milano, 28
gennaio 2014; Trib. Trani, 10 marzo 2014).
Se il tasso di mora non ha un rilievo in sé, ma va valutato nell’ambito del TEG annuo pattuito assieme ad
ogni altro costo, spesa, remunerazione, ecc., è evidente
che, constatato il superamento della soglia d’usura da
parte del TEG, l’art. 1815, comma 2, c.c. va applicato
in tutta la sua forza anche se il semplice tasso d’interessi
corrispettivi di per sé non supera la soglia in esame.
Tirando le conclusioni del complesso ragionamento fin
qui esposto, occorre prendere atto che nella fattispecie
concreta in esame il tasso di mora (che in sé e da solo
non rileva ai fini d’usura) è stato però pattuito in misura così sensibilmente superiore al tasso-soglia (12,15% a
fronte di una soglia dell’8,64%) da potersi dire fin d’ora,
pur senza apposita consulenza tecnica, che nello scenario peggiore per il finanziato sopra segnalato (inadempimento di tutte le rate ma pagamento di tutte le more
maturate), il costo effettivo annuo del contratto comprensivo dell’incidenza della mora mai si sarebbe potuto
contenere entro la soglia d’usura.
Ne consegue la necessità d’applicare l’art. 1815, comma
2, c.c. e dichiarare che per tale motivo l’attrice deve a
controparte la restituzione del solo puro capitale mutuato,
senza interessi, costi, commissioni e simili remunerazioni,
perché il prestito si deve intendere a titolo gratuito.
Inoltre occorre dare atto che, nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale qui in esame, l’attrice ha
versato complessivamente a controparte a titolo di interessi la somma di € 356.779,80. La circostanza, affermata in citazione, è provata perché mai contestata dalla
convenuta.
Accogliendo quindi l’ulteriore domanda attorea di ripetizione di quanto pagato senza titolo, la convenuta va
condannata a restituire tale somma; con gli interessi in
misura legale dalla notificazione della odierna domanda,
non emergendo la mala fede dell’accipiens.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, previa compensazione per un quarto per l’inutile insistenza della parte vittoriosa su di una tesi insostenibile (sommatoria di tassi) e sulla necessità di trasmettere la sentenza al P.M. a fini penali allorché appare chiaro nella fattispecie che la pattuizione censurata è
stata stipulata nel 2004-2005 con persone giuridiche distinte dalla convenuta, e fermo restando che ognuno è
libero di presentare denuncia alla competente autorità
se ritiene che sia stato commesso un reato, senza pretendere che sia il giudice della sua causa civile a farlo.
…Omissis…
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Usura
IL COMMENTO
di Valerio Sangiovanni (*)
La questione se, ai fini del calcolo del superamento del tasso-soglia usura debbano essere computati gli interessi moratori unitamente a quelli corrispettivi, è estremamente controversa. A
fronte di un testo legislativo che pare chiaro sul punto e di una giurisprudenza di legittimità che
afferma la necessità di tenere conto anche dei moratori, si colloca la posizione della Banca d’Italia e di buona parte della giurisprudenza di merito che - con tesi variegate - sostiene il contrario.
In questo contesto si colloca la sentenza del Tribunale di Udine in commento che, aderendo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, statuisce la necessità di computare anche gli
interessi moratori. L’esito è grave per la società di leasing, tramutandosi il contratto bancario da
oneroso a gratuito.
Non vi è tema più attuale di quello trattato nella sentenza in commento. Pendono difatti davanti
all’autorità giudiziaria italiana (oppure sono minacciate) numerosissime cause concernenti asserite
anomalie di ogni genere e sorta nei contratti bancari. L’usura rappresenta una delle principali patologie bancarie, e in realtà la più seria, essendo sanzionata addirittura a livello penale nonché in modo severo civilmente con l’azzeramento degli interessi (1).
La causa scatenante di questo contenzioso con
pochi precedenti fra banche e clienti è la crisi economica che attanaglia il nostro Paese. Detta crisi si
riflette anche sugli aspetti finanziari, nel senso che
sono aumentate molto negli ultimi anni le imprese
che fanno fatica a onorare i debiti con il sistema
bancario. Si può insomma affermare che il contenzioso bancario è anti-ciclico: peggio va l’economia,
più crescono le liti con gli istituti di credito.
Per le imprese in oggettiva difficoltà di pagamento le alternative non sono molte: rinegoziare i
finanziamenti bancari, laddove possibile, oppure in ultima istanza - chiedere il fallimento (anche se
bisogna dire che negli ultimi anni il fallimento è
stato evitato in diversi casi mediante lo strumento
del concordato). In aggiunta a queste due opzioni,
un’ulteriore possibilità è data dalla contestazione
del credito bancario: l’impresa in difficoltà, non
potendo onorare i propri debiti, sostiene che i contratti bancari presentano delle anomalie tali per
cui il credito che vanta la banca non sussiste (oppure sussiste in misura inferiore rispetto a quanto
l’istituto di credito asserisce).
Dal punto di vista del cliente, ogni possibile
anomalia bancaria può tornare utile per cercare di
ridurre l’ammontare del debito, ma esse si lasciano
in sostanza ricondurre a tre categorie: la contestazione che non sono dovuti interessi ultralegali (2),
l’obiezione che la banca ha illecitamente addebitato interessi anatocistici (3) e l’eccezione che il contratto è usurario.
Nel caso oggetto della sentenza in commento
l’impresa si rivolge all’autorità giudiziaria per ottenere la declaratoria che il contratto stipulato con
la società di leasing è usurario. La conseguenza che
ne deriva è l’applicazione dell’art. 1815, comma 2,
(*) L’autore è componente confermato da Banca d’Italia
dell’organo decidente dell’Arbitro Bancario Finanziario. Tuttavia le considerazioni espresse in questa nota, che non necessariamente coincidono con quelle dell’ABF, sono espresse a titolo personale e non vincolano in alcun modo l’organo di appartenenza.
Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
(1) Sui più recenti sviluppi in tema di usura bancaria cfr. i
contributi di G. Colangelo, Legalizzazione dell’usura?, in questa
Rivista, 2014, 201 ss.; G. Mucciarone, Usura sopravvenuta e interessi moratori usurari tra Cassazione, ABF e Banca d’Italia, in
Banca borsa tit. cred., 2014, I, 438 ss.; A. Palmieri, Usura e sanzioni civili: assetti ancora instabili, in Foro it., 2014, I, 149 ss.; V.
Tavormina, Banche e tassi usurari: il diritto rovesciato, in Contratti, 2014, 85 ss.; F. Volpe, Usura e interessi moratori nel linguaggio dell’Arbitro Bancario Finanziario, in Nuova giur. civ.
comm., 2014, I, 495 ss.
(2) Una certa parte del contenzioso bancario riguarda la
non corretta pattuizione di tassi diversi e superiori rispetto a
quelli legali. Sulle controversie bancarie in tema di interessi ultralegali cfr. S. Bastianon, Tassi bancari ultralegali e anatocismo:
il punto di vista della giurisprudenza di merito e della Cassazione, in Corr. giur., 2003, 889 ss.; M. Ferrari, Le obbligazioni naturali ed il pagamento degli interessi ultralegali, in Contr. impr.,
2012, 1087 ss.; M. V. Verdi, Funzione della riforma prescritta
dall’art. 1284, 3° comma, c.c. e principio di trasparenza, in Giur.
it., 2007, 2836 ss.; S. Viotti, Brevi riflessioni sulla clausola di previsione del tasso di interessi ultralegali nei contratti bancari, in
Giur. mer., 2007, 2836 ss.
(3) Sul contenzioso in tema di anatocismo v. i volumi di
AA.VV., L’anatocismo nelle operazioni bancarie, a cura di G. Capaldo, Padova, 2010; C. Colombo, L’anatocismo, Milano, 2007;
S. De Marco, L’anatocismo bancario, Napoli, 2010.
Crisi economica e usura
Danno e responsabilità 5/2015
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c.c., secondo cui se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.
La tematica dell’usura è complessa per diversi
motivi. Da un lato essa coinvolge sia il diritto penale (non si può dimenticare che la definizione di
usura è fornita dall’art. 644 c.p.), sia il diritto civile
(per le conseguenze in termini di rimedi/sanzioni
che derivano dall’essere il contratto usurario) sia il
diritto amministrativo (per il rilievo che hanno le
istruzioni di Banca d’Italia e i decreti ministeriali).
Da un altro lato, la normativa sull’usura ha conosciuto numerose modifiche nel corso del tempo.
Da un altro lato ancora, presupposto oggettivo del
reato di usura è il superamento di un determinato
tasso-soglia, la cui ricostruzione è - per ragioni tecniche - alquanto complessa. Per cercare di comprendere meglio gli articolati problemi che sono
posti dall’usura, è necessario affrontare con ordine
le seguenti questioni:
- qual è la nozione di usura oggettiva dal punto
di vista giuridico (in particolare se vi rientrino anche gli interessi moratori)?
- assumendo che si detta tenere conto di tutti gli
oneri (compresi gli interessi moratori) al fine dell’accertamento del superamento del tasso-soglia
usura, come si calcola il tasso-soglia dal punto di
vista matematico?
- se sussiste usura oggettiva in un determinato
contratto, quali sono le conseguenze civilistiche in
termini di rimedi/sanzioni che ne derivano (problemi di applicabilità dell’art. 1815 comma 2 c.c. e di
sua interpretazione)?
La nozione di usura oggettiva
Per comprendere cosa intenda il legislatore con
usura “oggettiva” (4), è necessario prendere le mosse dal codice penale, dal momento che la definizione di usura è contenuta nel codice penale. Ai sensi
dell’art. 644, comma 1, c.p. chiunque si fa dare o
promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri,
in corrispettivo di una prestazione di denaro, interessi o altri vantaggi usurari, è punti con la reclusione e con la multa. Per realizzare la fattispecie di
(4) Non ci occupiamo in questa nota della usura c.d. “soggettiva”, che è la fattispecie delineata dall’art. 644, comma 3,
c.p.: sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori al limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla
prestazione di denaro o di altra utilità, quando chi li ha dati o
promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.
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usura, occorre - alternativamente - una dazione o
una promessa.
La promessa è ciò che si realizza mediante il
contratto. Essendo il contratto fonte di obbligazioni, le parti assumono delle obbligazioni, che altro
non sono che la promessa di compiere future prestazioni. Per quanto riguarda il debitore, la promessa consiste nell’assunzione dell’obbligazione di restituire il capitale e di pagare gli interessi (oltre a
tutti gli eventuali oneri accessori). Affinché sussista usura basta la promessa, e il rilievo è di centrale
importanza, atteso che - per quanto concerne gli
interessi moratori - questi originariamente non
vengono corrisposti, ma solo promessi in contratto;
essi verranno pagati se e solo se il debitore sarà in
ritardo nel pagamento (e se sarà in grado di corrisponderli).
I contratti principali che possono rilevare ai fini
dell’usura sono il mutuo, il leasing e l’apertura di
credito. In tutte queste tipologie di contratti, il debitore si impegna a restituire il capitale e a corrispondere gli interessi. Il pagamento degli interessi
è futuro, e non avviene al momento della conclusione del contratto. Anzi, nel mutuo il mutuatario
- alla conclusione del contratto - riceve la somma
mutuata e non consegna alcunché alla banca: si
obbliga solo a restituire il capitale e a pagare gli interessi a determinate scadenze future. Non diversamente avviene nel leasing in cui l’intermediario acquista un bene per il cliente e contestualmente lo
loca finanziariamente al medesimo: nel momento
della conclusione del contratto non vi è la corresponsione di interessi, che verranno invece progressivamente pagati nel corso del rapporto in conformità al piano di ammortamento previsto in contratto (5). Nell’apertura di credito il pagamento degli interessi è addirittura dilazionato fino al momento della chiusura del rapporto: difatti gli interessi vengono solo “annotati” in conto corrente e
risultano dovuti solo quando il rapporto si chiude
definitivamente fra le parti.
Gli interessi moratori sono pertanto solo promessi al momento della conclusione del contratto.
Essi inoltre, diversamente dagli interessi corrispettivi, sono solo eventuali. Una volta concluso il
(5) In tema di piani di ammortamento cfr. D. Colangelo,
Mutuo, ammortamento “alla francese” e nullità, in Foro it.,
2014, I, 1246 ss.; V. Sangiovanni, Mutui bancari, ammortamento alla francese e nullità delle clausole sugli interessi per indeterminatezza, in Corr. giur., 2014, 1105 ss.; M. Silvestri, G. Tedesco, Sulla pretesa non coincidenza fra il tasso espresso in frazione d’anno e il tasso annuo nel rimborso rateale dei prestiti secondo il metodo “francese”, in Giur. mer., 2009, 82 ss.
Danno e responsabilità 5/2015
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Usura
contratto bancario il debitore si impegna a corrispondere gli interessi corrispettivi secondo il piano
di ammortamento previsto in contratto (che prevede, di solito, rate mensili, trimestrali o semestrali).
Se il debitore rispetta i termini di pagamento previsti nel contratto, non vi sarà applicazione di alcun interesse di mora; viceversa, laddove il debitore ritarda nel pagamento, l’intermediario può applicare gli interessi di mora così come previsti in
contratto. Tuttavia il fatto che gli interessi moratori siano solo eventuali, in quanto conseguenza
del ritardo nell’adempimento da parte del cliente,
non significa che essi non rilevino ai fini dell’usura: dal momento che la legge fa bastare una “promessa”, i moratori risultano promessi, in quanto
emergono dal contratto.
Il principio di onnicomprensività degli oneri
rilevanti ai fini dell’usura
Si prevede, a livello di codice penale (art. 644,
comma 4, c.p.), che per la determinazione del tasso
di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese,
escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla
erogazione del credito. Si tratta del principio di
onnicomprensività degli oneri di cui tenere conto
al fine di stabilire se il contratto bancario si mantiene dentro i limiti del tasso-soglia.
Si noti che l’espressione “tasso di interesse usurario” non è particolarmente precisa dal punto di
vista tecnico in quanto non si tratta di un tasso di
interesse, ma di una percentuale che esprime il costo totale del credito. La terminologia “tasso di interesse” potrebbe portare a pensare che contino solo gli interessi, mentre la disposizione è chiara nell’indicare che rilevano anche tutte le altre voci di
costo, fra cui vengono indicate nominativamente
le commissioni, ma anche le remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese.
(6) Sulle commissioni di affidamento e di sconfinamento
cfr. A. Centini, Remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti: l’art. 117-bis T.U.B. e la legge sulle liberalizzazione, in
Contratti, 2012, 290 ss.; A.A. Dolmetta, Art. 117-bis t.u.b.: regole e diritto transitorio, in Contratti, 2012, 191 ss.; P. Luzzi, G.
Olivieri, Le (nuove?) commissioni bancarie (prime riflessioni in
margine alla delibera CICR n. 644/2012), in Banca borsa tit.
cred., 2012, I, 609 ss.; A. Stilo, Ancora interventi normativi in
tema di commissioni bancarie, in Contratti, 2012, 723 ss.
(7) Fra le commissioni bancarie, un ruolo importante è stato
svolto in passato dalla commissione di massimo scoperto. Dal
momento che le Istruzioni di Banca d’Italia, prima della riforma
del 2009, non includevano la c.m.s. nel computo dei tassi medi, alcune volte è stata affermata la sussistenza di usura a causa del loro computo ex post. Sui problemi che la c.m.s. crea in
Danno e responsabilità 5/2015
La voce “commissioni” evoca attualmente in
particolare l’art. 117-bis t.u.b. sulle remunerazioni
degli affidamenti e degli sconfinamenti nelle aperture di credito (6). Anche i contratti di leasing e di
mutuo possono tuttavia prevedere commissioni di
vario genere. La denominazione dell’onere non pare comunque poter assumere alcun rilievo, in
quanto l’art. 644, comma 4, c.p. è formulato in
modo tale da comprendere qualsiasi onere: le
espressioni “commissioni”, “remunerazioni” e “spese” intendono comprendere qualsiasi trasferimento
patrimoniale che il cliente bancario effettua (o si
obbliga a effettuare) in virtù del contratto (7).
Se ogni commissione, remunerazione e spesa rileva ai fini dell’usura, in linea di principio devono
contare anche gli interessi moratori. Questi difatti
altro non sono che una spesa aggiuntiva, per il
cliente bancario, che consegue al fatto di essere in
ritardo nell’adempimento.
Il principio che si devono computare anche gli
interessi moratori ai fini dell’usura è affermato, oltre che dalla legge (seppure in modo non espresso,
ma implicito), anche da numerose sentenze della
Corte di cassazione che si sono succedute nel corso
degli anni. Celebre è la sentenza 9 gennaio 2013,
n. 350, che tuttavia conferma un indirizzo giurisprudenziale già stabile (8). La sentenza del Tribunale di Udine in commento elenca i precedenti
della Cassazione che hanno in passato statuito il
principio che si deve tenere conto anche degli interessi moratori ai fini dell’usura.
Se la regola risultante dalla legge, ossia che si
tiene conto anche degli interessi moratori, fosse
così chiara (a maggior ragione in quanto confermata da diversi precedenti di legittimità), dovrebbe
stupire non poco che le banche abbiano frequentemente usato per la vendita dei propri prodotti contratti che si rivelano successivamente essere usurari. Difatti, dal punto di vista della gestione interna
degli istituti di credito, la presenza di contratti usutermini di usura cfr. V. Lenoci, Commissione di massimo scoperto ed usurarietà del tasso di interesse, in Giur. mer., 2011,
983 ss.; M. Piloni, Usura bancaria e commissione di massimo
scoperto: l’elemento oggettivo e soggettivo del reato, in Dir pen.
proc., 2012, 736 ss.; R. Rampioni, La fattispecie di usura “presunta” nel crogiuolo della pratica applicativa. Il “nodo” della
commissione di massimo scoperto mette a nudo il non sense
della delega politica ad organi tecnici, in Cass. pen., 2012, 361
ss.
(8) La celebrità della sentenza n. 350/2013 è dovuta al fatto
che ha avuto ampio risalto sui media e ha portato alla creazione di società che pubblicizzano presso il pubblico dei clienti
bancari (privati e imprese) la possibilità di ottenere la restituzione di tutti gli interessi in presenza di un contratto usurario.
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Giurisprudenza
Usura
rari rappresenta un vero e proprio fallimento organizzativo, in quanto espone addirittura al rischio di
una condanna penale. L’obiettivo delle imprese
bancarie è quello di conseguire degli utili, ma il
compimento di reati non può certo reputarsi auspicabile dai vertici aziendali. La ragione per la quale,
oggi, in alcuni casi i giudici reputano usurari i contratti bancari è la difformità fra il principio enunciato dalla legge (onnicomprensività degli oneri) e
la normativa di rango secondario (Istruzioni di
Banca d’Italia e decreti ministeriali) che - escludendo alcune voci di costo dal calcolo dei tassi medi - produce l’effetto di tenere più bassi sia i tassi
medi sia i tassi-soglia.
L’art. 644, comma 3, c.p. prevede che la legge
stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono
sempre usurari. Il codice penale rinvia dunque a
una legge per la fissazione del limite usurario. Trattandosi di una riserva di legge, i dettagli - in linea
di principio - non possono essere fissati da normativa di rango secondario. La legge cui rinvia il codice penale è la l. n. 108/1996, la quale prevede un
sistema di accertamento dei tassi medi di mercato
per categorie di operazioni, la pubblicazione dei
tassi medi sulla Gazzetta Ufficiale e la fissazione di
una soglia oltre la quale la divaricazione rispetto ai
tassi medi configura l’elemento oggettivo del reato
di usura. Più precisamente l’art. 2, comma 1, della
l. n. 108/1996 prevede che il Ministro del tesoro rileva trimestralmente il TEGM, comprensivo di
commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e
spese, escluse quelle per imposte e tasse, degli interessi praticati dalle banche nel corso del trimestre
precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale. L’art. 2,
comma 4, della l. n. 108/1996 statuisce inoltre che
il limite previsto dall’art. 644 comma 3 c.p., oltre
il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito
nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, aumentato della metà (9). Come si può notare, fra l’indicazione
del codice penale e i contenuti della l. n. 108/1996
vi è una contraddizione (almeno apparente), nel
senso che il codice penale riserva alla legge la definizione dei dettagli, mentre la l. n. 108/1996 esige
l’operato del Ministro del tesoro (livello regolamentare).
Il problema vero però è un altro e consiste nel
fatto che le Istruzioni di Banca d’Italia escludono
alcuni costi dall’elenco delle voci che vanno a formare il tasso medio. Dal momento che il tasso-soglia viene calcolato attraverso una funzione matematica rispetto al tasso medio (50% in più rispetto
al tasso medio; recentemente la formula è cambiata, ma rimane pur sempre calcolata mediante una
funzione matematica rispetto al tasso medio),
escludendo alcune voci dal tasso medio, questo
viene mantenuto più basso e - per l’effetto - risulta
più basso anche il tasso-soglia.
La versione vigente delle Istruzioni di Banca d’Italia è dell’agosto 2009. Al punto C.4 le Istruzioni
indicano gli oneri che devono essere computati nel
tasso medio e quelli che vanno esclusi. Non pongono problemi gli oneri che sono inclusi nel calcolo del tasso medio; questi oneri difatti, riflettendosi
nel tasso medio rilevato dalla Banca d’Italia, si riflettono anche nel tasso-soglia usura (10). Rappresentano invece un problema i costi del credito
bancario che non vengono calcolati nel tasso medio. Si tratta, secondo l’elencazione fornita dalle
Istruzioni di Banca d’Italia, delle seguenti voci: le
imposte e tasse, le spese notarili, i costi di gestione
del conto sul quale vengono registrate le operazioni
e gli interessi di mora. Limitando l’analisi a quest’ultima voce, è chiaro che se gli interessi di mora
non vengono computati nei tassi medi, essi non si
riflettono nei tassi-soglia usura. Ne consegue che
sia i tassi medi che i tassi-soglia usura sono più bassi rispetto a quanto dovrebbero essere.
(9) Nel corso di questa nota, per semplicità di esposizione,
si fa per lo più riferimento al vecchio sistema per cui il tassosoglia usura era oltrepassato laddove il costo complessivo del
credito superasse del 50% il tasso medio rilevato dalle autorità
amministrative. Si noti tuttavia che il d.l. n. 70/2011 ha modificato l’art. 2, comma 4, l. n. 108/1996, nel senso di stabilire
che il limite previsto dall’art. 644, comma 3, c.p., oltre il quale
gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito
è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza fra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti
percentuali. Anche se è cambiata la formula, si tratta pur sempre di un meccanismo di calcolo matematico che non crea alcun problema di determinatezza. La questione di sostanza è
se, nella base di calcolo del tasso medio, si fanno rientrare o
meno tutte le voci di costo.
(10) Il punto C.4 delle Istruzioni di Banca d’Italia prevede
che vanno inclusi nel calcolo del tasso medio: le spese di
istruttoria, le spese di chiusura della pratica, le spese di incasso delle rate, il costo dell’attività di mediazione, le spese per
assicurazioni, le spese per servizi accessori, gli oneri per la
messa a disposizione di fondi, ogni altra spesa e onere contrattualmente previsti connessi con l’operazione di finanziamento.
I tassi medi secondo le Istruzioni di Banca
d’Italia e i decreti ministeriali
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Giurisprudenza
Usura
I tassi medi rilevati dalla Banca d’Italia vengono
poi recepiti dal Ministero dell’economia e delle finanze, il quale - trimestralmente - pubblica detti
tassi medi e i tassi-soglia (11). I decreti del Ministero dell’economia confermano quanto già risulta
dalle Istruzioni di Banca d’Italia, ribadendo che i
TEGM non sono comprensivi degli interessi di
mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. I decreti ministeriali inoltre ricordano che una indagine statistica condotta nel 2002 a
fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio
italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento
al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione
stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1%.
Si immagini, ad esempio, che per un certo tipo
di operazione bancaria il TEGM (senza interessi
moratori) sia del 10%; il tasso-soglia si assesta conseguentemente al 15% (consistendo in un aumento
del 50%; per semplicità, come detto, si usa la vecchia formula). Se però, per quel tipo di operazione
bancaria, si fossero computati gli interessi di mora
medi, il tasso medio sarebbe stato del 12,1% (10%
+ 2,1%), con l’effetto che il tasso-soglia usura sarebbe stato del 18,15% (12,1% + 6,05%).
Questo semplice esempio serve a spiegare le ragioni che stanno alla base dell’ampio contenzioso
relativo al possibile superamento del tasso-soglia
usura per effetto del computo ex post degli interessi
moratori. Il cliente bancario che ha stipulato un
contratto con un costo complessivo vicino al tasso
soglia, rimanendo all’esempio fatto si supponga del
14,90% sulla base della formula di Banca d’Italia
che non tiene conto degli interessi moratori, aggiungendo (il maggior onere dovuto a-)gli interessi
moratori previsti in contratto, può in alcuni casi
oltrepassare il tasso-soglia e rivolgersi al giudice
per chiedere la declaratoria di nullità della relativa
clausola e la restituzione di tutti gli interessi.
In questo contesto la sentenza del Tribunale di
Udine assume una significativa posizione. Una delle frequenti difese delle banche, citate in giudizio
per la declaratoria di nullità della clausola che determina l’effetto usurario, è nel senso che - a voler
considerare gli interessi moratori nel calcolo del
TEG del singolo contratto - si usano due parametri
disomogenei. Mentre difatti i costi del contratto
sono stati determinati dalla banca facendo affidamento sulla formula di Banca d’Italia, il controllo
effettuato ex post dal giudice sul singolo contratto
ignora detta formula, realizzando così una situazione di sostanziale ingiustizia. Per porre rimedio a
detta iniquità, la difesa delle banche sostiene che
anche il TEGM debba essere innalzato tenendo
conto degli interessi moratori. Solo a questo punto
si potrà effettuare un confronto fra il TEGM (maggiorato degli interessi moratori) e il TEG del singolo contratto (maggiorato degli interessi moratori).
Per una migliore comprensione si riprenda l’esempio numerico tratteggiato sopra di un TEGM
del 10% con un tasso-soglia usura del 15% e di un
contratto giunto all’attenzione del giudice in cui il
TEG senza interessi moratori è del 14,90%. Si supponga altresì che, per effetto degli interessi moratori, il TEG si alzi del 2%, giungendo al 16,90%,
sforando così la soglia dell’usura. La difesa delle
banche è nel senso che, per ragioni di equità, vanno confrontati parametri omogenei e dunque anche il TEGM nel caso specifico andrebbe elevato
del 2%, raggiungendo nell’esempio fatto il 12%,
con l’effetto che il tasso-soglia usura andrebbe aumentato in modo corrispondente (ossia del 2% + il
50% del 2%), raggiungendo nell’esempio fatto il
18%. Così facendo, il contratto in esame - seppur
superando il tasso-soglia usura “ufficiale” (quello
pubblicato nei decreti ministeriali per quel tipo di
operazione), non sforerebbe il tasso-soglia usura
“rettificato” tenendo conto degli interessi moratori.
La significativa peculiarità della sentenza del
Tribunale di Udine in commento sta nello screditare questa possibile difesa delle banche. Secondo
detto Tribunale, la legge consente di distinguere
solo in base alle diverse tipologie di operazioni di
credito e fissa un’unica soglia usuraria, basata sul
costo medio della erogazione del credito, e che tiene conto di tutti gli oneri comunque denominati.
La creazione di soglie ad hoc che tengano conto degli interessi moratori non è consentita.
Inoltre la sentenza del Tribunale di Udine prende posizione sulla tematica delle modalità di somma di tassi corrispettivi e moratori. Si è visto sopra
che, secondo la legge e la giurisprudenza di legittimità, si deve tenere conto di ambedue detti tassi.
Tuttavia la loro considerazione congiunta non significa che essi si possano sommare dal punto di
vista algebrico. La ragione di questa impossibilità è
che la base di calcolo di interessi corrispettivi e
moratori è completamente diversa: i corrispettivi si
(11) I decreti ministeriali sono pubblicati sul sito www.dt.tesoro.it.
Danno e responsabilità 5/2015
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Giurisprudenza
Usura
calcolano sul capitale, mentre i moratori si calcolano sulla rata scaduta non pagata. Gli interessi corrispettivi sono il prezzo del servizio bancario, il
guadagno che l’istituto di credito ricava e hanno
pertanto come base di riferimento il capitale (ossia
la prestazione che è stata resa a chi ha assunto il finanziamento). Gli interessi corrispettivi invece
rappresentano un onere maggiore che il debitore
paga se è in ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale e detto onere si calcola sulla somma per cui sussiste ritardo. Si immagini che siano
pattuite rate mensili e che il debitore sia in ritardo
nel pagamento di una rata di 1.000 euro. Su questi
1.000 euro (e non su tutto il capitale residuo), si
applicherà il tasso d’interesse moratorio.
Secondo il Tribunale va valutato qual è l’effetto
economico complessivo che la totalità delle clausole contenute nel contratto può produrre. Solo laddove il complesso degli oneri pagabili dal debitore
superi in misura percentuale il tasso-soglia previsto
originariamente per quel tipo di contratto si potrà
affermare che il tasso è usurario.
L’art. 1815, comma 2, c.c. e le conseguenze
del superamento del tasso-soglia usura
Una volta ritenuto che interessi corrispettivi e
moratori debbano essere considerati congiuntamente e una volta superate le difficoltà di calcolo
di detti interessi in forma congiunta, rimane da
stabilire quali conseguenze derivino dal superamento del tasso-soglia usura. L'art. 1815, comma 2, c.c.
prevede testualmente che, “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti
interessi”.
La sentenza del Tribunale di Udine in commento applica letteralmente questa disposizione, almeno nella sua parte finale (“non sono dovuti interessi”) e afferma che tutti gli interessi addebitati sulla
base del contratto di leasing vanno restituiti. Il Tribunale ricomprende insomma nell’obbligo restitutorio sia i corrispettivi sia i moratori. Tuttavia le
soluzioni giurisprudenziali sono molto variegate, e
si riscontrano nella giurisprudenza di merito soluzioni completamente diverse.
La prima osservazione da farsi è che l’art. 1815
c.c. è scritto nel capo del codice civile relativo al
contratto di mutuo. Ci si deve allora chiedere se la
(12) Trib. Trani, 10 marzo 2014, in www.expartecreditoris.it.
Il tenore letterale dell’art. 1815, comma 2, c.c. consente astrattamente di sostenere anche la tesi contraria, ossia che in caso
di superamento del tasso-soglia per effetto del computo congiunto di interessi corrispettivi e moratori, la clausola nulla
530
disposizione si possa applicare anche ad altri tipi
contrattuali (come l’apertura di credito) o addirittura a contratti che non sono tipici (come il leasing). Questo passaggio viene del tutto trascurato
nella sentenza del Tribunale di Udine. Se si riconosce carattere di eccezionalità alla disposizione
che ordina l’azzeramento degli interessi, diventa
difficile farne una interpretazione estensiva a tipi
contrattuali diversi, in particolare al contratto di
leasing (che, a dire il vero, nemmeno rappresenta
un contratto tipico).
La sanzione prevista dall’art. 1815, comma 2,
c.c. è poi più articolata della non-debenza degli interessi: la disposizione si compone difatti di due
parti, statuendo prima di tutto la nullità della clausola (e solo nel secondo passaggio che non sono
dovuti interessi). Essendoci la nullità di una sola
clausola, se ne può ricavare - anzitutto - che il contratto non viene affatto intaccato. Non verificandosi la nullità del contratto, questo rimane in essere con il suo originario piano di ammortamento,
che viene però modificato, nel senso che rimane
ferma solo la voce “capitale”, mentre viene espunta
la “voce” interessi. Se è corretta questa impostazione, ne deriva altresì che la banca - una volta dichiarata la gratuità del mutuo - non può sciogliersi
dal contratto, che deve mantenere in forza fino alla sua naturale scadenza.
L’art. 1815, comma 2, c.c. è sibillino, in quanto
statuisce la nullità della clausola (esprimendosi al
singolare e non al plurale), ma non specifica di
quale clausola debba trattarsi. Verrebbe da dire
che, se il contratto è usurario per effetto dell’effetto economico congiunto di interessi corrispettivi e
di interessi moratori, la nullità investe la sola clausola sugli interessi moratori, in quanto è essa che
produce l’effetto di superare la soglia di usura. Questa soluzione è stata fatta propria da alcuni interventi giurisprudenziali. In particolare il Tribunale
di Trani ha affermato che la lettura dell’art. 1815
comma 2 c.c. determina al più che non sono dovuti gli interessi moratori e non tout court che non
siano dovuti anche gli interessi corrispettivi che
sono pattuiti entro la soglia (12).
L’art. 1815, comma 2, c.c. va tuttavia letto nella
sua completezza e, dopo aver affermato che la clausola è nulla, statuisce che non sono dovuti interessi. Si tratta esattamente della soluzione fatta prodebba essere quella sui corrispettivi. In altre parole, la laconicità della disposizione consente teoricamente alla parte che fa
valere la nullità di selezionare la nullità dell’una o dell’altra
clausola a seconda della convenienza nel caso concreto.
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Giurisprudenza
Usura
pria dal Tribunale di Udine nella sentenza in commento, che ha ritenuto la non-debenza di interessi
a qualsiasi titolo (corrispettivi e moratori).
Infine l’art. 1815, comma 2, c.c. potrebbe essere
interpretato in senso ancora più vantaggioso per il
cliente bancario, sostenendo la tesi che l’usurarietà
del contratto obbliga la banca a restituire non solo
tutti gli interessi addebitati, ma anche tutti gli altri
oneri risultanti dal contratto. Si potrebbe argomentare in questo senso dando rilievo al fatto che
il codice penale comprende nel computo del tasso
usurario tutti gli oneri comunque denominati. Se
così è, la corretta sanzione per il caso di superamento del tasso-soglia dovrebbe essere la restituzione non solo degli interessi, ma anche di tutti gli altri oneri.
Dal punto di vista della tecnica di redazione delle sentenze, il contenuto del dispositivo pronunciato dal giudice varia a seconda che il contratto sia
stato eseguito solo parzialmente oppure si sia ormai
estinto per suo completo adempimento. Nel primo
caso il dispositivo dovrà contenere la condanna a
restituire gli interessi già addebitati e la dichiarazione di non-debenza per il periodo futuro. Nel caso invece in cui il contratto abbia già avuto completa esecuzione, il dispositivo si limiterà a condannare la banca a restituire tutti gli interessi (già
addebitati).
La soluzione dell’Arbitro Bancario
Finanziario: gli interessi moratori come
clausola penale
Rispetto alle diverse soluzioni prospettate in
questa nota, per completezza si deve accennare alla
posizione assunta dall’Arbitro Bancario Finanziario (13). In una importante decisione del 2014, la
possibilità di cumulo di interessi corrispettivi e moratori è stata negata non solo in una prospettiva
(13) Sul sistema dell’ABF cfr. i volumi di G. Finocchiaro,
L’Arbitro Bancario Finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza,
Milano, 2012; E. Minervini, L’arbitro bancario finanziario: una
nuova forma di A.D.R., Napoli, 2014. V. inoltre A. Berlinguer,
L’ABF tra giudizio e media-conciliazione, in Riv. arb., 2013, 19
ss.; G. Carriero, Arbitro Bancario Finanziario: morfologia e funzioni, in Foro it., 2012, V, 213 ss.; O. Clarizia, Nullità di protezione e limite temporale di cognizione dell’A.B.F., in Nuova giur.
civ. comm., 2014, I, 610 ss.; C. Consolo, M. Stella, L’“Arbitro
Bancario Finanziario” e la sua “giurisprudenza precognitrice”, in
Società, 2013, 185 ss.; F. Corti, D. Trevisan, La responsabilità
della banca nelle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario, in
Resp. civ. prev., 2014, 60 ss.; S. Delle Monache, Arbitro bancario finanziario, in Banca borsa tit. cred., 2013, I, 144 ss.; G.
Guizzi, L’Arbitro Bancario Finanziario nell’ambito dei sistemi di
Danno e responsabilità 5/2015
matematica, ma già dal punto di vista giuridico (14).
Il caso giunto all’attenzione dell’ABF aveva a
oggetto un rapporto di conto corrente con apertura
di credito con un tasso nominale del 5% e un tasso
di mora del 16,38%, a fronte di un tasso-soglia nel
momento di conclusione del contratto corrispondente a 16,38%. Il ricorrente afferma che, sommando il tasso corrispettivo e quello moratorio, si
supera il tasso-soglia, considerando che già il tasso
moratorio corrisponde al tasso-soglia.
L’Arbitro Bancario Finanziario specifica che la
funzione degli interessi corrispettivi e moratori è
totalmente diversa: i corrispettivi servono a remunerare il fatto di prestare del danaro, mentre gli interessi moratori puniscono il debitore che è in ritardo nell’adempimento. L’ABF afferma inoltre
che non è possibile effettuare una somma algebrica
fra gli interessi corrispettivi e quelli moratori, in
quanto la base di calcolo degli interessi corrispettivi e moratori è diversa: gli interessi corrispettivi si
applicano sul capitale; gli interessi moratori, invece, sulla rata scaduta e non pagata.
Il passaggio veramente innovativo della decisione dell’Arbitro Bancario Finanziario è quello in
cui si qualificano gli interessi moratori come penale (15). I moratori altro non sono che un meccanismo per quantificare il danno che il creditore subisce per effetto dell’inadempimento del debitore.
Trattandosi di una clausola penale, trova applicazione l’art. 1384 c.c., che consente al giudice in caso di manifesta eccessività della penale di ridurla,
anche d’ufficio. Nel caso affrontato dall’ABF, detta
eccessività viene affermata in quanto il tasso corrispettivo ammontava al 5% e quello moratorio a oltre il 16%. Dal momento che, mediamente gli interessi moratori sono di un paio di punti percentuali più alti dei corrispettivi, un tasso moratorio
tre volte più elevato del corrispettivo viene considerato come una penale eccessiva per il debitore.
ADR: brevi note intorno al valore delle decisioni dell’ABF, in Società, 2011, 1216 ss.; M. Maione, Sulla natura dell’arbitrato
bancario finanziario, in Giur. comm., 2012, II, 1193 ss.; A. Pierucci, L’Arbitro Bancario e Finanziario: l’esperienza applicativa,
in Giur. comm., 2014, I, 811 ss.; V. Sangiovanni, Regole procedurali e poteri decisori dell’Arbitro Bancario Finanziario, in Società, 2012, 953 ss.
(14) Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di coordinamento, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, in www.arbitrobancariofinanziario.it.
(15) Sulla clausola penale cfr. i volumi di F. Agnino, Clausola penale e tutela del consumatore, Milano, 2009; S. Mazzarese, Clausola penale, Milano, 1999; M. Tatarano, L’adeguamento
della penale tra clausola e rapporto, Napoli, 2002.
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Giurisprudenza
Usura
Nei contratti commerciali talvolta la quantificazione del risarcimento del danno da inadempimento avviene in termini assoluti (si immagini la clausola che stabilisce una penale di 10.000 euro per
ogni mese di ritardo nella consegna di un opera).
Ma nulla vieta di esprimere la penale anche in misura percentuale (si pensi alla clausola che stabilisce, a fronte di un’opera del valore di 1.000.000 di
euro che l’appaltatore, per ogni mese di ritardo
nella consegna, dovrà pagare una penale dell’1%
del valore dell’opera). Nei due esempi fatti si esprime esattamente lo stesso valore (10.000 al mese di
penale), una volta in termini assoluti una volta in
termini percentuali. Nei contratti bancari, la tecnica usata è quella di esprimere la clausola penale da
ritardo come interesse moratorio (ossia come percentuale sull’ammontare dell’inadempimento). Si
usa questo meccanismo in quanto un valore assoluto mal si concilia con un contratto bancario in cui
il capitale da restituirsi è continuamente variabile,
riducendosi con il passare del tempo. Nella sostanza però nulla cambia: si esprime la misura del danno che il creditore patisce per effetto dell’inadempimento.
La soluzione adottata dall’Arbitro Bancario Finanziario, in sé considerata, appare corretta dal
punto di vista formale, nel senso che è piuttosto
convincente affermare che gli interessi moratori
sono una penale. Tuttavia la giurisprudenza dell’ABF non è in linea con quella della Corte di cassazione, che - in diversi precedenti (fra l’altro elencati nella sentenza del Tribunale di Udine in com-
532
mento) - ha sempre statuito la necessità di tenere
conto anche degli interessi moratori.
Vi è dunque un conflitto fra due orientamenti
giurisprudenziali, ambedue in sé autorevoli.
Il testo dell’art. 644 comma 4 c.p. è chiaro nello
stabilire che si deve tenere conto di commissioni,
remunerazioni “a qualsiasi titolo” e delle spese; tuttavia specifica che devono essere “collegate alla
erogazione del credito”. Si potrebbe sostenere la tesi che gli interessi moratori non sono collegati alla
erogazione del credito, in quanto sono collegati a
una vicenda completamente diversa, ossia all’inadempimento degli obblighi di pagamento. Contro
questa affermazione va peraltro constatato che il
loro ammontare teorico viene definito nel momento della conclusione del contratto e dunque essi sono oggetto del contratto.
Un altro elemento testuale può ricavarsi dall’art.
644, comma 1, c.p., nel passaggio in cui stabilisce
che viene punito chi si fa dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari “in corrispettivo” di
una prestazione di danaro. Si può sostenere la tesi
che gli interessi moratori non sono corrispettivo
della prestazione di danaro, essendo invece un risarcimento per il ritardo nell’inadempimento.
A seconda dell’interpretazione che si vorrà dare
a queste fonti, sarà possibile computare o meno gli
interessi moratori fra i costi del credito rilevanti ai
fini dell’usura. Prima di avere certezza del diritto
sul punto, bisognerà attendere nuovi interventi
chiarificatori della Corte di cassazione.
Danno e responsabilità 5/2015
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