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Neurofisiologia delle emozioni e dei sentimenti

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Neurofisiologia delle emozioni e dei sentimenti
Neurofisiologia delle
emozioni e dei sentimenti
Lezione Magistrale
Prof. Flavio Keller
Ordinario di Fisiologia
Università Campus Bio-Medico di Roma
Estratto dagli Atti
Inaugurazione Anno Accademico
2009 - 2010
Roma, 15 Ottobre 2009
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Neurofisiologia delle emozioni e dei sentimenti
Lezione Magistrale
Prof. Flavio Keller
Ordinario di Fisiologia, Università Campus Bio-Medico di Roma
Autorità accademiche e amministrative,
cari Colleghi, Studenti e Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma,
disturbi affettivi sono socialmente molto
più compromessi che non pazienti affetti, per esempio, da ritardo mentale.
stiamo assistendo in questi ultimi
vent’anni a una vera e propria “rivoluzione affettiva” nell’ambito delle neuroscienze. Dall’idea che le emozioni
rappresentino un’esperienza soggettiva
e privata, difficilmente affrontabile con
metodo scientifico, in quanto non osservabile né quantificabile – il prototipo di
questa visione è rappresentato da Burrhus F. Skinner (1904-1990), scienziato
e psicologo americano, che considerava
le emozioni “eccellenti esempi di cause
fittizie, alle quali si attribuisce comunemente il comportamento” (Science and
Human Behavior, 1953) –, si è passati all’idea che le emozioni abbiano una
valenza conoscitiva fondamentale, al
punto che risulta molto difficile scindere
la componente razionale del comportamento umano da quella affettiva, proprio
perché le aree cerebrali impegnate nelle
due sfere sono in gran parte sovrapposte.
Le emozioni, inoltre, svolgono un ruolo
fondamentale nelle interazioni sociali. È
rivelatore il fatto che pazienti affetti da
Emozioni, stati d’animo e sentimenti
La parola “emozione” deriva dal latino
movēre, indica dunque un movimento, in
particolare un movimento corporeo. In
situazioni di attivazione emotiva, l’organismo è spinto ad agire, investendo
energia psicofisica. La sua azione può
essere diretta verso lo stimolo, se questo
è positivo, come nel caso di un bene, una
ricompensa, un guadagno, un piacere o,
viceversa, essere orientata lontano da uno
stimolo che si presenta nocivo, come una
perdita, una punizione, un male, un dispiacere. Bisogna aggiungere che l’uomo
può sperimentare anche emozioni “contemplative”, non direttamente correlate
con la sfera dell’agire, come per esempio
le emozioni estetiche, la contemplazione
di un bel paesaggio o l’ammirazione di
un bel quadro, le emozioni religiose, o
le emozioni per una scoperta scientifica,
come l’“Eureka” di Archimede.
Funzione fondamentale delle emozioni è
quella di mettere l’organismo in condi-
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zioni di agire e segnalare ad altri individui il proprio stato d’animo. Le emozioni
hanno anche una funzione valutativa-cognitiva. L’uomo non opera quasi mai in
situazioni complesse, quali quelle che si
presentano nella vita ordinaria, con una
valutazione esclusivamente razionale,
anche perché spesso risulta impossibile
effettuare una valutazione razionale di
tutti gli elementi di un problema. In alcuni casi si può arrivare a veri e propri
dilemmi che non ammettono una soluzione puramente razionale, come per
esempio il dilemma di una persona che
vorrebbe donare un organo per salvare
la vita di un’altra persona, ma allo stesso tempo ne teme le conseguenze per la
propria salute. Nel processo decisionale
intervengono in maniera determinante
anche gli aspetti affettivi.
Un altro aspetto non secondario da tenere presente, soprattutto nell’ambito di
alcune attività professionali, è l’utilizzo
delle emozioni per manipolare lo stato affettivo e il comportamento di altre
persone. Mi sto riferendo al cosiddetto
“contagio affettivo”, detto anche “risonanza affettiva”. Un’esilarante scena del
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film “I soliti ignoti” (1958), di Mario
Monicelli, dimostra il tentativo, in questo caso malriuscito, di contagiare affettivamente un’altra persona per influire
sulla sua decisione. Cosimo Lestofante,
ladruncolo della periferia romana, viene pizzicato mentre cerca di rubare una
macchina e messo in carcere proprio prima di compiere il colpo magistrale architettato ai danni di un’agenzia del Monte
dei Pegni. Per riuscire a realizzare il colpo, perciò, tenta di farsi scambiare per
un suo compare, in gergo “la pecora”,
pagandolo perché si addossi il crimine
non compiuto e scagionarlo. Cosimo e il
suo compare inscenano un patetico dialogo davanti al direttore del carcere, con
l’obiettivo di muoverlo a compassione.
Ma il direttore del carcere, intuendo la
malafede di entrambi, ordina: “Dentro,
tutti e due”. Questa simpatica scena dimostra che il contagio emotivo non è né
scontato né automatico, ma si realizza se
si è in grado di esprimere il proprio stato
affettivo e a condizione che ci sia recettività da parte dell’altra persona.
Emozioni e sentimenti possono essere
distinti in base a tre componenti fonda-
mentali: latenza, oggetto e possibilità di
controllo volontario. Le emozioni sono
risposte affettive di breve latenza. In un
soggetto posto di fronte a immagini o situazioni destinate a stimolare una risposta affettiva, la risposta autonomica ha
una latenza breve, ovvero si attiva dopo
due-tre secondi e raggiunge il livello
massimo dopo una decina di secondi. I
sentimenti invece sono stati affettivi più
stabili e hanno una latenza più lunga.
L’oggetto delle emozioni è tipicamente
determinato, come per esempio la paura
concreta di un esame o di un cane cattivo, mentre l’oggetto dei sentimenti è
molto meno determinato. Fu il filosofo
Martin Heidegger (1889-1976) a proporre questa distinzione, sottolineando
la differenza tra la Furcht, la paura di un
oggetto determinato, e la Angst, lo stato
di angoscia esistenziale, diffuso, in base
al quale il mondo viene percepito come
una totalità negativa. Secondo il filosofo
Max Scheler (1874-1928), i sentimenti
sono molto meno legati alla corporeità
rispetto alle emozioni. Infine, nelle emozioni il controllo volontario è scarso, in
quanto le emozioni sono risposte affettive immediate, volte a mettere l’organi-
smo nella condizione di sopravvivere (in
caso di pericolo, per esempio, il controllo volontario può essere praticamente assente). Nei sentimenti, invece, il controllo volontario è elevato. Secondo alcuni
filosofi, infatti, i sentimenti sono molto
più vicini alla sfera della volontà che
non alla sfera delle emozioni. Si pensi,
per esempio, alla risposta affettiva di un
medico o di un’infermiera di fronte a un
paziente irritante. A una prima reazione
negativa o di disgusto, scarsamente sotto
il controllo volontario, segue una risposta basata sul sentimento di pietà e sulla
deontologia professionale, dove entrano
in gioco considerazioni più elevate, di
ordine anche valoriale.
È interessante notare, per inciso, che
l’antropologia cristiana è caratterizzata
da un rapporto di equilibrio tra volontà
e passioni. A partire da S. Agostino e S.
Bonaventura la fede cristiana insiste sulla
via affectiva per accedere alla conoscenza
del mondo e di Dio. Martha Nussbaum
sottolinea, molto appropriatamente, che
nel Paradiso dantesco i giusti continuano a indignarsi per le ingiustizie. Anche
nel Paradiso dantesco si assiste a una
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presentazione positiva dei sentimenti (e
qui possiamo segnalare la sorprendente
coerenza con quanto ha affermato Scheler, molti secoli dopo, a proposito della
relativa indipendenza dei sentimenti
dalla corporeità). Nella visione cristiana
appare dunque una nuova unità tra volontà e sensibilità, unità che ritroviamo
espressa nella celebre ultima strofa della Divina Commedia: “Ma già volgeva il
mio disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e
l’altre stelle”.
Le alterazioni corporee nelle emozioni
Non esisterebbero stati affettivi senza le
corrispondenti alterazioni corporee. Le
alterazioni corporee coinvolgono in primis il sistema cardiovascolare (frequenza
cardiaca, pressione arteriosa, elettrocardiogramma), la conduttività elettrodermica (GSR, Galvanic Skin Response),
ovvero la diminuzione della resistenza
elettrica cutanea che si osserva in seguito
ad attivazione del sistema nervoso simpatico, la frequenza respiratoria, il diametro pupillare, la temperatura corporea,
la tensione muscolare e altri parametri
fisiologici. Mi concentrerò in particolare
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sulla variazione di conduttività elettrodermica durante lo Iowa Gambling Task,
un test messo a punto da Bechara, Damasio e collaboratori all’Università dello
Iowa (Usa). Questo test, simulando una
situazione di gioco, consente di misurare la capacità, in soggetti sani o pazienti,
di reagire in una situazione di rischio. I
partecipanti dispongono di una somma
di denaro all’inizio del gioco e di quattro diversi mazzi di carte da gioco (A,
B, C, D). Il compito consiste nel tirare,
una dopo l’altra, una carta pescata a caso
da uno dei quattro mazzi. L’obiettivo è
ovviamente quello di guadagnare il più
possibile. La cosa interessante è che questi quattro mazzi non sono identici – e
questo ovviamente i partecipanti non
lo sanno –, perché due mazzi (A e B)
contengono carte ad alto rischio, cioè a
fronte di guadagni immediati maggiori,
comportano alla lunga perdite gravi. Il
soggetto eccitato dall’iniziale guadagno,
si rende poi conto che andando avanti a
tirare carte dai mazzi A e B è destinato a
perdere. Gli altri due mazzi (C e D), al
contrario, contengono carte vantaggiose,
che assicurano vincite modeste, ma anche
perdite limitate e che alla lunga pagano.
Analizzando il valore della conduttività
elettrodermica, che è un indice non specifico di attivazione affettiva (arousal), è
interessante notare che, prima di pescare
la carta dai due mazzi ad alto rischio (A
e B), i soggetti normali mostrano di avere un po’ di “batticuore”, gradualmente
si rendono conto del rischio e finiscono
per scegliere solamente le carte dai mazzi C e D. La risposta autonomica è totalmente differente in pazienti con lesioni
della corteccia prefrontale ventromediale, una struttura cerebrale che svolge un
ruolo fondamentale nell’elaborazione affettiva. I pazienti mostrano delle risposte
autonomiche molto più piatte (“appiattimento affettivo”) e continuano a pescare
tranquillamente anche le carte ad alto
rischio, andando ovviamente a perdere
tutta la somma di denaro che era stata
loro affidata.
I fattori fisiologici sopra citati, quali la
frequenza cardiaca, il tracciato elettromiografico, unitamente alla relazione
verbale del soggetto sullo stato affettivo
che sperimenta in una determinata situazione (ad esempio ansia, interesse, noia,
frustrazione, rabbia), vengono oggi uti-
lizzati, attraverso tecniche di intelligenza artificiale, da una branca emergente
dell’informatica, chiamata affective computing, proprio per riconoscere i diversi
stati affettivi, esclusivamente sulla base
dei segnali fisiologici. L’affective computing sta già rivoluzionando anche i sistemi di sicurezza, soppiantando la prima
generazione della biometria, basata sul
riconoscimento delle impronte digitali, della fisionomia del volto e così via.
L’affective computing utilizza questi e altri segnali fisiologici per capire effettivamente cosa una persona stia facendo, se
sta agendo correttamente oppure no.
Relazioni tra alterazioni corporee e coscienza delle emozioni (la controversia
James-Cannon)
Negli anni 1884-1885 il più eminente
psicologo americano, William James, e
lo psicologo danese, Carl Lange, pubblicarono indipendentemente l’uno dall’altro una teoria analoga delle emozioni. Lo
scopo che entrambi si proponevano era
di sfidare la cosiddetta “teoria del senso
comune”, secondo la quale, per esempio, uno stimolo pericoloso genera come
risposta primaria uno stato cosciente
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di paura e, successivamente, attiva il
sistema nervoso autonomo. La teoria
James-Lange sostiene, al contrario, che
lo stimolo pericoloso causa prima di
tutto l’attivazione del sistema nervoso
autonomo e solo come conseguenza la
coscienza di paura. “Siamo tristi perché
piangiamo – recita una citazione classica di James –, adirati perché colpiamo,
impauriti perché tremiamo e non il contrario: piangiamo, picchiamo, tremiamo
perché siamo tristi, adirati o impauriti”
(W. James, What is Emotion?).
In altre parole, la teoria James-Lange
sostiene che le emozioni, come tutte le
altre sensazioni, possono essere ridotte
a risposte fisiologiche a una certa classe di stimoli. Allo stesso modo in cui la
sensazione di caldo è una risposta a uno
stimolo caldo che attiva i termocettori
cutanei, così il sistema nervoso centrale
interpreta come paura il battito cardiaco
accelerato o la sudorazione, che sono la
risposta del sistema nervoso autonomo a
stimoli potenzialmente pericolosi.
Diversi esperimenti condotti, in particolare su gatti, dal fisiologo statunitense
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Walter Cannon (1871-1945) sostengono
invece una teoria delle emozioni come
processi diencefalo-corticali. Mediante transezioni progressivamente caudali
del nevrasse, che causano una decorticazione, ovvero una disconnessione dal
telencefalo dei segmenti a valle della
transezione, Cannon vide sorprendentemente che, dopo una sezione passante
attraverso il talamo e che lascia intatto
l’ipotalamo, il mesencefalo e il tronco
dell’encefalo, il gatto può ancora manifestare un reazione di rabbia assolutamente indistinguibile da quella fisiologica, quando viene confrontato con un
aggressore, per esempio un cane. Questa
risposta di rabbia è stata chiamata “rabbia fittizia” (sham rage), in quanto si presenta spontaneamente in assenza di uno
stimolo esterno: si tratta evidentemente
di una risposta inappropriata, oltreché
molto frequente nell’animale decorticato. Man mano che la lesione viene praticata a un livello sempre più basso, la
risposta di rabbia scompare progressivamente. Anche gli esperimenti compiuti
dal fisiologo svizzero W.R. Hess (18811973), basati sulla stimolazione di aree
circoscritte del diencefalo, portano a
conclusioni assolutamente coerenti con
gli esperimenti di Cannon. È interessante riportare una citazione tratta dalla lezione tenuta da W.R. Hess in occasione
del conferimento del Premio Nobel nel
1949: «Stimolando un’area circoscritta
della zona ergotropica (dinamogenica),
avviene regolarmente un manifesto cambiamento dell’umore. Persino un gatto
di natura pacifica diventa aggressivo; inizia a sputare saliva e, se avvicinato, lancia
un attacco mirato. Le pupille si dilatano
e contemporaneamente il pelo si rizza,
e si instaura un quadro simile a quello
mostrato dal gatto, quando è attaccato
da un cane e non può scappare. La dilatazione delle pupille e la piloerezione
sono facilmente comprensibili come un
effetto del simpatico. Ma lo stesso non
può dirsi delle alterazioni psicologiche.
Per spiegare queste ultime è necessario
prendere in considerazione connessioni
tra ipotalamo, talamo e corteccia cerebrale […]».
Gli esperimenti di Cannon, Hess e altri ricercatori, oltre a sostenere la teoria
delle emozioni come processi diencefalo-corticali, che dipendono dunque in
maniera essenziale dal sistema nervoso
centrale e che possono insorgere anche
in assenza di stimoli, evidenziano il ruolo inibitorio del telencefalo sulle risposte
affettive autonomiche e il ruolo del diencefalo e del tronco dell’encefalo, quindi
di strutture cerebrali filogeneticamente
antiche, nell’organizzare gli stati affettivi. Gli esperimenti di Cannon sono stati
fondamentali tra l’altro per la comprensione dei disturbi affettivi dei pazienti
affetti da lesioni dell’ipotalamo.
Classificazione e quantificazione delle
emozioni
Se è vero che le emozioni possono essere
affrontate con il metodo scientifico, allora un primo passo necessario è quello
della loro classificazione e quantificazione. Il primo parametro introdotto per
quantificare gli stati affettivi è l’arousal,
termine traducibile in italiano con “grado di attivazione emotiva”, che rappresenta l’indice non specifico dell’intensità
emotiva, ovvero la quantità di energia
psico-fisica investita per rispondere a
uno stimolo. Considerando i due estremi opposti di arousal, ovvero apatia e
massima agitazione, si è riscontrato che
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il rendimento migliore, per esempio durante lo svolgimento di un esame, viene
generalmente ottenuto con un livello intermedio di attivazione emotiva, ovvero
quando lo studente si trova in uno stato
né apatico né agitato, semmai più prossimo allo stato ansioso che non allo stato
apatico.
Si è tuttavia osservato che l’arousal è un
parametro troppo poco specifico per caratterizzare tutta l’ampia gamma delle
emozioni. Si è così passati a una classificazione più precisa, basata su due componenti che vengono riportate lungo
due assi ortogonali tra di loro: l’arousal,
espresso lungo l’asse delle ascisse, con
valori crescenti da sinistra verso destra,
e la valenza affettiva o grado di piacevolezza di uno stimolo, riportati lungo
l’asse delle ordinate, con valori crescenti
dal basso verso l’alto, dove valori elevati
indicano stimoli piacevoli, mentre valori
bassi indicano stimoli spiacevoli. Questa
classificazione bidimensionale lungo due
assi ortogonali è sufficiente per permettere all’organismo di rispondere correttamente, soprattutto in situazioni di lotta per la sopravvivenza. Utilizzando un
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gran numero di differenti stimoli visivi
(ad esempio fotografie di vari oggetti e
situazioni), è possibile costruire due rette di regressione, una attraverso i punti
che corrispondono agli stimoli piacevoli, che inducono un comportamento di
avvicinamento e consumazione dello stimolo, l’altra attraverso i punti corrispondenti agli stimoli spiacevoli. È interessante notare che la pendenza della retta
“avversiva” è maggiore rispetto a quella
della retta “appetitiva”. Questo è coerente con l’idea che gli stati affettivi hanno primariamente la funzione di favorire
la sopravvivenza: prima di soddisfare un
appetito è necessario mettersi al riparo
da possibili predatori. Una gazzella, per
esempio, che assetata va al fiume a bere,
se si trova di fronte a un leone, scapperà
prima ancora di bere, perché se beve prima di scappare ovviamente il bere non
le servirà più a nulla. Se in questi esperimenti si considerano e si registrano
parametri fisiologici, come la frequenza
cardiaca, l’espressione facciale, l’elettromiogramma di alcuni particolari muscoli
e si esegue un’analisi fattoriale, tutte le
risposte affettive fisiologiche possono essere classificate correttamente in base ai
due assi ortogonali sopra definiti.
Espressioni facciali delle emozioni
Rivolgiamo ora la nostra attenzione
alla classificazione delle emozioni in
base alle espressioni facciali. Come tutti sappiamo, la mimica facciale è basata
sull’azione di determinati muscoli, i muscoli mimici appunto, la cui contrazione
porta alla formazione di protuberanze e
avvallamenti cutanei che rendono il volto umano mobile, “vivo”, a differenza
di una maschera. Il neurologo francese
Guillaume-Benjamin-Amand Duchenne
de Boulogne (1806-1875) usò la stimolazione elettrica dei muscoli mimici per
studiare il loro ruolo nelle espressioni
facciali delle emozioni, partendo da un
principio che mi sembra interessante citare: «Nel volto, il nostro Creatore non
era preoccupato dalle necessità meccaniche. Ha potuto, nella sua sapienza, o
– mi si perdoni questo modo di parlare
– in una divina fantasia, mettere in azione un solo muscolo oppure vari insieme,
quando ha voluto che i segni caratteristici delle passioni, persino i più fugaci,
fossero scritti sul volto dell’uomo» [Tradotto da: G.B. Duchenne de Boulogne,
Mécanisme de la Physionomie Humaine
ou Analyse Electro-Physiologique de l’Expression des Passions, Jules Renouard Libraire, Paris, 1862, pag. 31].
Qualsiasi muscolo corporeo, quando si
contrae, ha infatti bisogno della co-contrazione di qualche altro muscolo per ottenere il movimento desiderato, mentre
nel volto questo vincolo meccanico non
esiste. Lo studioso francese condusse
molti dei suoi esperimenti su un paziente affetto da anestesia cutanea facciale,
insensibile quindi al fastidio provocato
dalle scariche elettriche, anche di intensità elevata, che gli venivano applicate. È
inoltre importante notare che il paziente
non riportava alcuna sensazione affettiva
in seguito alla stimolazione dei muscoli
mimici. Tornando al ruolo dei muscoli
facciali nell’espressione delle emozioni,
Duchenne aveva già riconosciuto che
la stimolazione isolata del muscolo corrugator supercilii porta a una completa
espressione di dispiacere. Studi recenti
dimostrano che l’attività elettrica del corrugator supercilii correla negativamente
con il grado piacevolezza di uno stimolo,
il che giustifica il suo nome di “muscolo
della sofferenza”. Invece, l’attività elettri-
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ca del muscolo zigomatico maggiore, che
solleva gli angoli della bocca, è positivamente correlata al grado di piacevolezza
di uno stimolo. La stimolazione bilaterale porta al sollevamento degli angoli della bocca, simile a quella che si osserva in
soggetti che esprimono un sorriso genuino. Di fatto, il sorriso genuino, ovvero
quello che corrisponde a un’esperienza
interiore di felicità, gioia etc., può essere
distinto dal sorriso fittizio confrontando
l’espressione degli occhi. Infatti, nel sorriso genuino, chiamato in onore del neurologo francese “sorriso di Duchenne”,
vi è l’attivazione contemporanea della
porzione inferiore del muscolo orbicolare dell’occhio, la cui contrazione porta
a una protrusione delle borse infraorbitrarie. Quindi, per capire se una persona
sta sorridendo genuinamente oppure sta
fingendo il sorriso, bisogna guardare i
suoi occhi piuttosto che la sua bocca.
Gli esperimenti di Duchenne e altre
osservazioni più recenti coincidono
nell’evidenziare la profonda differenza
tra la metà superiore e la metà inferiore
del volto: i muscoli della metà superiore
tendono a generare espressioni complete
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di stati affettivi; essi sono inoltre meno
controllabili volontariamente rispetto a
quelli della metà inferiore. Gli attori imparano a controllare tutto il volto e sono
così in grado di assumere espressioni
facciali credibili per un’ampia gamma
di emozioni, mentre le persone comuni
sono meno abili e riescono ad assumere espressioni facciali credibili solo se
si mettono a pensare a qualcosa che li
muova emotivamente.
Oggigiorno possiamo riscontrare uno
sforzo notevole da parte di un settore
della robotica chiamato “robotica affettiva” per generare espressioni facciali
nei robot, in quanto si è visto che esse
facilitano notevolmente l’interazione
uomo-robot. Le grandi difficoltà che
si incontrano in questo tipo di ricerche
ci portano a sottolineare che l’essere
umano impara a sorridere e a imitare
le espressioni facciali fin dal momento
della nascita, dunque molto prima di imparare un linguaggio, e non ha bisogno
di nessuno dei complicati sistemi di apprendimento che richiedono i robot per
arrivare a espressioni facciali anche solo
minimamente credibili: l’essere umano
nasce dotato di una capacità intrinseca
di esprimere emozioni sul volto.
Le basi neurologiche delle emozioni:
esiste un “cervello emotivo”?
Il neuroanatomista James Papez (18831958) descrisse un circuito cerebrale che
prese il nome di Circuito di Papez, per
indicare l’asse ipotalamo-talamo anteriore-fornice-ippocampo, implicato nelle
funzioni della memoria e delle emozioni.
Papez sviluppò l’ipotesi di un circuito
legato all’affettività proprio per spiegare
gli esperimenti di Cannon, di W.R. Hess
e altri studiosi. Oggi, di fatto, si pensa
che le aree cerebrali impegnate in risposte affettive siano molto più ampie.
L’ippocampo non viene più considerato,
come fece Papez, parte dei circuiti affettivi. Alle strutture indicate da Papez
sono state aggiunte altre aree cerebrali,
come la corteccia prefrontale, in particolare la regione orbitale e ventromediale,
e l’amigdala. In pazienti con lesioni delle
porzioni orbitarie della corteccia prefrontale, la risposta affettiva e la risposta
della conduttività elettrocutanea risultano appiattite. Come detto sopra, nello
Iowa Gambling Task questi pazienti con-
tinuano a tirare le carte ad alto rischio.
Come i soggetti normali, questi pazienti
gioiscono per le vincite e si dispiacciono per le perdite, ma le risposte affettive
non influenzano il loro comportamento
in modo significativo: si può affermare
che questi pazienti sono affetti da una
sorta di “miopia” per le conseguenze negative a lungo termine delle loro scelte.
Questi e altri esperimenti hanno portato
Damasio e collaboratori a sviluppare la
cosiddetta “teoria del marcatore somatico” delle emozioni: le emozioni rappresenterebbero una sorta di memoria
somatica di esperienze pregresse, soprattutto negative, che ci aiuterebbero a
scegliere in situazioni complesse, soprattutto per evitare scelte sfavorevoli.
Tra le aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione delle emozioni, è fondamentale
l’amigdala, chiamata “il crocevia delle
emozioni”, in quanto capace di integrare segnali provenienti dall’ipotalamo e
segnali provenienti dalla corteccia cerebrale. Formata da una serie di nuclei e
situata nella porzione anteriore del lobo
temporale, essa svolge un ruolo centrale per la marcatura emotiva di stimoli di
diversa natura, sia visivi che acustici. In-
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fatti, soggetti sani mostrano di ricordare
più facilmente parti di storie che hanno
una connotazione affettiva rispetto ad altre parti affettivamente neutre. Pazienti
con lesioni dell’amigdala non mostrano
invece questa differenza. L’amigdala ha
un ruolo fondamentale anche nell’apprendimento e nel riconoscimento delle
espressioni sui volti e per la “marcatura
emotiva” di stimoli (tipicamente stimoli
spiacevoli). Studi compiuti da Damasio
e collaboratori su una paziente affetta
dalla sindrome di Urbach-Wiethe, una
malattia genetica associata a calcificazioni cerebrali a livello dei lobi temporali di
entrambe le amigdale, dimostrano che la
paziente, pur essendo capace di riconoscere i volti e di distinguerli l’uno dall’altro, è incapace di distinguere le emozioni
espresse dagli stessi volti, in particolare
le espressioni di paura. Come abbiamo
già ricordato, l’informazione visiva essenziale per riconoscere la paura sul volto è la quantità di sclera bianca che risulta visibile. Possiamo notare, per inciso,
che queste osservazioni rappresentano
un’ulteriore conferma di come la metà
superiore del volto sia più importante
della metà inferiore per l’espressione de-
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gli stati affettivi. Questo fatto può essere
utilizzato per capire cosa il paziente stia
provando interiormente, al di là delle sue
espressioni verbali. È necessario guardare la persona negli occhi!
Esperimenti importanti condotti da studiosi della New York University rivelano
che l’amigdala consente una scansione
rapida della scena visiva, per estrarre rapidamente l’informazione che consente
di distinguere se ci si trova di fronte a
qualcosa di potenzialmente pericoloso.
L’informazione visiva arriva all’amigdala direttamente dal talamo senza passare attraverso la corteccia visiva e viene
qui elaborata e trasmessa ai centri del
tronco encefalico che mediano risposte
rapide. Una scansione più lenta e più
precisa dello stimolo visivo viene operata in parallelo dalla corteccia visiva, e
l’informazione estratta viene usata nel
processo decisionale razionale. Un richiamo alla vita quotidiana serve per far
capire i due differenti modi di elaborare
lo stesso stimolo visivo: immaginiamo
di trovarci in ascensore e che, appena si
aprono le porte, ci troviamo inaspettatamente a una distanza di pochi centimetri
dal volto di un’altra persona. La prima
risposta è un sobbalzo, ovvero una risposta di tipo protettivo (allontanamento).
Ad essa segue una risposta ragionata, se
riconosciamo che non esiste motivo per
aver paura, una volta identificata la persona che abbiamo di fronte.
In termini concettuali, l’amigdala può
essere considerata come uno dei principali substrati del cosiddetto “sé istintivo”, ovvero di quella parte di noi, filogeneticamente antica, che è progettata
per rispondere rapidamente soprattutto in situazioni di pericolo. Questo sé
istintivo, in una persona affettivamente
equilibrata, viene controllato e regolato
da istanze superiori. Quindi le emozioni, in quanto risposte affettive di breve
latenza e aventi un oggetto determinato,
soggette a uno scarso controllo volontario, sembrano trovare nell’amigdala un
substrato essenziale.
tà psicosomatica. Il volto, in particolare,
è la regione corporea dove fisiologia e
psicologia sono più intimamente collegate. Inoltre, emozioni e sentimenti
sono un argomento di ricerca fortemente interdisciplinare, un punto d’incontro
privilegiato tra scienza e arte. Occorre aggiungere che oggi osserviamo una
crescente attenzione per i disturbi della
sfera dell’affettività, dei quali non abbiamo avuto tempo di parlare, ma che sono
notoriamente in aumento. Penso, infine,
che in ambito educativo sarebbe opportuno prendere in considerazione i recenti risultati delle ricerche sul ruolo non
solo motivazionale ma anche conoscitivo
delle emozioni.
Grazie per l’attenzione.
Conclusioni
Emozioni e sentimenti sono il vero motore della vita, quello che ci muove, che
ci fa agire. Credo che l’interesse teorico
della ricerca sulle emozioni risieda nel
fatto che esse sono il prototipo di uni-
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