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Fili e loro equilibrio - Università degli Studi di Trento

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Fili e loro equilibrio - Università degli Studi di Trento
Università degli studi di Trento
Corso di Meccanica razionale 2
Fili e loro equilibrio
Dispense per il corso di Meccanica Razionale 2
di Stefano Siboni
1. Fili
In termini generali, per filo, fune, o cavo si intende un solido a struttura tubolare la
cui sezione trasversale sia di estensione trascurabile e che opponga scarsa resistenza alla
flessione e alla torsione. Il filo è quindi un sistema meccanico le cui configurazioni possono
essere descritte per mezzo di una curva. La configurazione del filo verrà cosı̀ individuata
mediante una parametrizzazione del tipo
P = P (λ)
λ ∈ [λ1 , λ2 ]
che di massima si dovrà ritenere C 2 e regolare o biregolare. Gli estremi P (λ1 ) e P (λ2 )
della curva sono noti come estremi del filo.
1.1 Fili ideali
In queste note verranno presi in considerazione i cosiddetti fili ideali. Come tutti i sistemi
vincolati, un filo ideale viene definito specificando:
(i) le configurazioni ammissibili per il sistema (ossia compatibili con i vincoli);
(ii) le reazioni vincolari consentite dai vincoli.
Queste condizioni vengono analizzate dettagliatamente nel seguito.
(i) Configurazioni ammissibili
Il filo ideale può assumere qualsiasi configurazione descritta da una curva C 2 (bi)regolare
di lunghezza L assegnata. Ciò significa che:
• laddove definite, la curvatura 1/ρ e la torsione 1/σ del filo possono assumere valori
arbitrari. Si ricorda che curvatura e torsione sono definite per mezzo delle formule di
Frenet-Serret
1
d b̂
1
dτ̂
= n̂
= = − n̂
(1.1)
ds
ρ
ds
σ
in termini dell’ascissa curvilinea s e dei versori tangente τ̂ , normale n̂ e binormale
b̂ = τ̂ ∧ n̂ alla curva nella posizione considerata. La prima delle equazioni (1.1) è valida
per curve biregolari e implica che si abbia 1/ρ > 0; la seconda richiede che la curva sia
biregolare e C 3 , ma non esclude l’annullarsi della torsione 1/σ, né impone per questa
un segno definito. Questo requisito esprime sotto il profilo cinematico la condizione
di perfetta flessibilità del filo. Valori di curvatura grandi a piacere, corrispondenti a
raggi di curvatura arbitrariamente piccoli, indicano infatti la possibilità di flettere il
filo del tutto liberamente. In modo analogo, i valori arbitrari della torsione assicurano
che il filo possa essere torto a piacere. Si osservi che in una fune reale la condizione
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non può essere verificata per 1/ρ o |1/σ| troppo grandi, a causa dell’estensione finita
della sezione trasversale della fune;
• la lunghezza L del filo è fissata e costante, per cui le configurazioni P (λ) accessibili al
sistema soddisfano la condizione:
dP (λ) dλ =
dλ
λ2 λ1
λ2
[Ṗ (λ)2 ]1/2 dλ = L ,
costante .
λ1
Il filo ideale è inestendibile: comunque sollecitato, esso mantiene sempre la stessa
lunghezza. Anche questa condizione risulta solo approssimativamente soddisfatta in
una fune reale, che infatti si allunga quando fortemente tesa, in virtù delle proprietà
elastiche del materiale che la costituisce.
(ii) Reazioni vincolari consentite
Il filo è inoltre caratterizzato dalle reazioni vincolari interne che esso è in grado di esercitare. Considerato un valore λ ∈ [λ1 , λ2 ] prefissato a piacere, si postula che le reazioni
vincolari interne esercitate dal tratto P (λ) − P (λ2 ) del filo sul tratto residuo P (λ1 ) − P (λ)
si riducano ad un’unica reazione vincolare applicata in P (λ), tangente al supporto della
curva nello stesso punto e diretta nel senso delle λ crescenti. Tale reazione vincolare
interna è denominata tensione del filo e viene indicata con T (λ). Il filo si assume in grado
di sopportare tensioni di qualsiasi intensità. Il momento della tensione T (λ) rispetto al
polo P (λ) è ovviamente uguale a zero.
Il significato di queste ipotesi merita di essere approfondito convenientemente:
• le reazioni vincolari interne esercitate dal tratto P (λ) − P (λ2 ) sul tratto P (λ1 ) − P (λ)
del filo vengono considerate frutto di interazioni locali o a corto raggio, che agiscono
soltanto nella regione di contatto fra i due tratti di filo. Queste reazioni, in linea di
principio, costituiscono un complesso sistema di forze applicate in tutti i punti della
sezione di contatto fra i due tratti di filo;
• il fatto che la sezione di contatto abbia sezione trascurabile e sia rappresentabile
matematicamente per mezzo del solo punto P (λ), autorizza a descrivere il complesso
sistema delle reazioni vincolari interne agenti lungo la sezione con il solo risultante
T (λ) applicato in P (λ);
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• l’assunto che il momento delle reazioni vincolari interne agenti su ogni singola sezione
del filo rispetto al centro della stessa sia nullo esprime, dal punto di vista dinamico, la
condizione di perfetta flessibilità del filo, già citata. È chiaro che in una fune reale la
sezione trasversale, per quanto di piccola estensione, non si riduce ad un unico punto e
rispetto al centro della sezione le reazioni vincolari interne potrebbero avere momento
risultante non nullo;
• prescrivere che la reazione vincolare interna T (λ) sia tangente al supporto della curva
in P (λ) equivale a richiedere che il filo non sia capace di sopportare sforzi di taglio.
Anche questo requisito concorre ad esprimere, sotto il profilo dinamico, l’idea della
perfetta flessibilità del sistema. Da notare che in una fune reale la condizione è solo approssimativamente verificata. Ad esempio, si pensi di applicare forze di taglio opposte
alle estremità di un tratto di fune la cui lunghezza sia confrontabile con il diametro
della sezione: la fune sarà certamente in grado di sviluppare reazioni vincolari interne
atte a contrastare, almeno in parte, le sollecitazioni esterne applicate;
• richiedere che la reazione vincolare interna in P (λ) sia sempre diretta nel senso delle
λ crescenti significa supporre che ogni tratto P (λ) − P (λ2 ) di filo possa sviluppare sul
tratto P (λ1 )−P (λ) sforzi di trazione, vòlti a tenderlo, ma non di compressione. Sotto
l’azione di sforzi di compressione il tratto P (λ1 ) − P (λ) del filo non può che collassare.
Questa circostanza giustifica la denominazione di tensione riservata a T (λ). Per le funi
reali si tratta ancora di una approssimazione: un tratto molto breve di una fune reale,
di lunghezza confrontabile con il diametro della sua sezione, è certamente capace di
sopportare sollecitazioni esterne di complessione, sviluppando le appropriate reazioni
vincolari interne;
• asserire infine che l’intensità |T (λ)| della tensione può essere arbitraria equivale ad
affermare che il carico di rottura del filo si assume infinito, una condizione ovviamente
non verificabile nelle funi reali.
Introdotta la definizione di filo ideale, è opportuno sottolineare alcuni aspetti di particolare
interesse nella trattazione del problema statico.
Osservazioni
• Conformemente al principio di azione e reazione, il vettore −T (λ) rappresenta la
reazione vincolare interna che il tratto P (λ1 ) − P (λ) del filo esercita su P (λ) − P (λ2 )
in P (λ), opposta a T (λ).
• La tensione T (λ2 ) nel secondo estremo P (λ2 ) della fune deve essere interpretata come
una forza esterna applicata alla fune in P (λ2 ) — non esiste un tratto di fune “successivo” a λ2 nel senso delle λ crescenti. Questa forza può essere attiva (ad esempio
un peso applicato all’estremità della fune) oppure avere natura di reazione vincolare
(come nel caso di P (λ2 ) vincolato a rimanere in una posizione fissa su un sostegno).
Analogamente, la tensione T (λ1 ) nel primo estremo P (λ1 ) rappresenta la forza di
reazione che l’intera fune esercita sul punto P (λ1 ). Se P (λ1 ) è vincolato la forza
si esercita su un vincolo e va quindi interpretata come un cimento; in caso contrario
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T (λ1 ) sarà una forza attiva applicata dal filo ad un corpo mobile — l’uso di fili ideali, di
massa trascurabile, per applicare azioni su corpi mobili è molto comune in meccanica.
• Le proprietà prescritte per la tensione T (λ) consentono di esprimere quest’ultima nella
forma generale
T (λ) = T (λ) τ̂ (λ)
dove
T (λ) = |T (λ)| ≥ 0
∀ λ ∈ [λ1 , λ2 ]
è il modulo con segno della tensione, grandezza che per un filo ideale risulta sempre non
negativa. Nella maggior parte delle applicazioni si verifica la condizione più restrittiva
T (λ) > 0
∀ λ ∈ [λ1 , λ2 ] .
• Ammesso che la parametrizzazione sia almeno regolare, è possibile utilizzare come
parametro l’ascissa curvilinea s:
λ
λ
dP
|Ṗ (λ)| dλ
(λ) dλ =
s(λ) =
λ1 dλ
λ1
in modo che l’intervallo di definizione della parametrizzazione diventa [s1 , s2 ], essendo
ad esempio s1 = 0 e s2 = L — la lunghezza complessiva del filo. Nella discussione
seguente, salvo diversa indicazione, la parametrizzazione, la tensione e il modulo con
segno di questa si assumeranno espresse in termini di ascissa curvilinea:
P = P (s)
T = T (s)
T = T (s) .
2. Sollecitazioni concentrate e distribuite
Al filo si intendono applicate sollecitazioni esterne di due tipi: concentrate e distribuite. Le
sollecitazioni concentrate agiscono su punti isolati del filo e vengono descritte direttamente
per mezzo di vettori applicati; le sollecitazioni distribuite sono invece applicate lungo il
corpo del filo e vengono rappresentate per mezzo di una appropriata densità di forza per
unità di lunghezza del filo, f(s), nota anche come forza unitaria.(1) Il differenziale
f(s) ds
rappresenta la forza distribuita — infinitesima — agente sul tratto infinitesimo di filo
compreso fra i punti di ascissa curvilinea s e s + ds. Nel seguito si considererà il solo caso
(1)
Sia pure impropriamente, visto che si tratta in realtà di una forza per unità di lunghezza.
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di sollecitazioni distribuite, salve le eventuali forze applicate agli estremi del filo:
TA = −T (s1 ) agente sul primo estremo A = P (s1 )
TB = T (s2 ) agente sul secondo estremo B = P (s2 ).
3. Curve funicolari
La eventuale configurazione di equilibrio di un filo soggetto a forze attive concentrate
e/o distribuite viene definita secondo il criterio generale, imponendo che la quiete del
sistema nella configurazione considerata costituisca un moto naturale, caratterizzato da
reazioni vincolari del tipo effettivamente esplicabile dai vincoli. La relativa configurazione
verrà individuata da una opportuna curva P (λ) o P (s), nota come curva funicolare o di
equilibrio. Essa dovrà conformarsi alle condizioni ai limiti:
T (s1 ) = −TA
T (s2 ) = TB
richieste dalla definizione di T (s) e dal principio di azione e reazione. Ogni equilibrio è
caratterizzato completamente specificando la relativa curva funicolare, il corrispondente
campo delle tensioni e i valori ai limiti TA e TB .
4. Condizione di equilibrio
Per un sistema costituito da un numero finito di punti materiali P1 , . . . , PN soggetti alle
i (t, P, Ṗ ), i = 1, . . . , N, una configurazione P0 è di equilibrio, per definizione,
sollecitazioni F
se e soltanto se la quiete in P0 costituisce un moto del sistema. Attraverso il postulato
delle reazioni vincolari questa condizione si riduce a richiedere che ∀ t ∈ R si abbia
i (t, P0 , 0) + Φ
i
0 = F
∀ i = 1, . . . , N
(4.1)
i esplicabili dai vincoli — per esempio conformi al principio delle
con reazioni vincolari Φ
reazioni vincolari, qualora il sistema sia a vincoli ideali.
Le equazioni (4.1) equivalgono a scrivere per ogni punto Pi del sistema, nella configurazione
P0 , la prima e la seconda equazione cardinale della statica:(1)
i (t, P0 , 0) + Φ
i
0 = F
∀t ∈ R
i (t, P0 , 0) + (Pi − O) ∧ Φ
i
0 = (Pi − O) ∧ F
∀t ∈ R
con reazioni vincolari consentite dai vincoli. Si può quindi affermare che
le equazioni cardinali della statica scritte per ciascun punto del sistema, soddisfatte con
reazioni vincolari permesse dai vincoli, sono condizioni necessarie e sufficienti per l’equilibrio del sistema.
(1)
si osservi che la seconda equazione è in effetti una conseguenza della prima
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Una forma più utile dello stesso asserto è che
le equazioni cardinali della statica scritte per ogni parte del sistema, soddisfatte con reazioni
vincolari permesse dai vincoli, sono condizioni necessarie e sufficienti per l’equilibrio.
Questa caratterizzazione dell’equilibrio viene postulata valida anche per un sistema continuo quale è un filo ideale. Si assume pertanto che
una configurazione del filo è di equilibrio se e solo se sono soddisfatte, per mezzo di reazioni
vincolari esplicabili dai vincoli, le equazioni cardinali della statica per ogni tratto di
fune.
Per ottenere una caratterizzazione più esplicita delle curve funicolari, il primo passo consiste nello scrivere le equazioni cardinali della statica per un generico elemento di filo.
Tutte le forze attive, escluse quelle agli estremi, si postulano distribuite lungo il filo e rappresentate per mezzo di una densità di forza f(s), funzione continua dell’ascissa curvilinea
s nell’intervallo [0, L].
L’assunto di continuità sulla densità f(s) consente di semplificare di molto lo studio delle
equazioni cardinali statiche, le quali possono essere ricondotte ad una forma differenziale,
o “locale” — equivalente, di fatto, a scrivere le equazioni cardinali della statica per ogni
tratto infinitesimo di filo. Ad ogni modo, l’ipotesi di continuità si dimostra soddisfatta
nella maggior parte dei casi pratici e non risulta dunque particolarmente restrittiva.
4.1 Prima equazione cardinale
La prima equazione cardinale della statica per il tratto di filo compreso fra gli estremi P (s)
e P (s + δs)
{P (ξ) : ξ ∈ [s, s + δs]}
si ottiene eguagliando a zero il risultante delle delle tensioni applicate agli estremi e delle
sollecitazioni distribuite
s+δs
f(ξ) dξ = 0
T (s + δs) − T (s) +
s
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in modo che è sufficiente proiettare la relazione lungo un generico versore di base êi e
sfruttare l’ipotesi di continuità della densità di forza attiva agente per poter applicare il
teorema della media e ricavare l’espressione
s+δs
s+δs
+ θi δs)
êi · f(ξ) dξ = δs êi · f(s
f(ξ) dξ =
êi ·
s
s
con θi ∈ (0, 1) opportuno. Si osservi che, a stretto rigore, il teorema del valor medio si
applica agli integrali definiti di funzioni continue reali di una variabile reale su un intervallo,
per cui non è lecito applicare il teorema direttamente alla forma vettoriale dell’integrale
s+δs
dξ = δs f(s
+ θ δs) ,
f(ξ)
θ ∈ (0, 1)
s
ma soltanto successivamente alla proiezione di detto integrale lungo un qualsiasi asse coordinato. Di conseguenza
s+δs
f(ξ) dξ =
s
3 i=1
s+δs
êi · f(ξ) dξ êi = δs
s
3
êi · f(s + θi δs) êi ,
θi ∈ (0, 1) ,
i=1
e la prima equazione cardinale della statica diventa
T (s + δs) − T (s) + δs
3
êi · f(s + θi δs) êi = 0
i=1
ovvero, dividendo membro a membro del δs,
3
T (s + δs) − T (s) +
êi · f(s + θi δs) êi = 0 .
δs
i=1
(4.2)
Per la continuità di f è evidente che esiste il limite
lim f(s + θi δs) = lim f(s + δs) = f(s)
δs→0
δs→0
per cui
lim
δs→0
3
êi · f(s + θi δs) êi =
i=1
3
êi · f(s) êi = f(s)
i=1
e quindi in forza della (4.2) esiste anche il
dT
T (s + δs) − T (s)
=
(s)
δs→0
δs
ds
lim
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uguale all’opposto del limite precedente
dT
(s) = −f(s) .
ds
Si conclude che la tensione T è una funzione derivabile dell’ascissa s e soddisfa l’equazione
differenziale
dT
(s) + f(s) = 0
∀ s ∈ (s1 , s2 ) .
(4.3)
ds
Agli estremi le derivate vanno intese rispettivamente come derivata destra in s1 e sinistra
in s2 .
4.2 Seconda equazione cardinale
Per semplicità, si può scegliere di scrivere l’equazione cardinale della statica per il momento
angolare rispetto al polo P (s). L’equazione si ricava eguagliando a zero il risultante dei
momenti in P (s) delle tensioni applicate agli estremi e delle forze distribuite(1)
s+δs
[P (ξ) − P (s)] ∧ f(ξ) dξ = 0 .
[P (s + δs) − P (s)] ∧ T (s + δs) +
s
La proiezione lungo un generico versore di base êi per l’integrale delle forze distribuite si
può riesprimere mediante il teorema del valor medio
s+δs
s+δs
[P (ξ) − P (s)] ∧ f (ξ) dξ =
êi · [P (ξ) − P (s)] ∧ f(ξ) dξ =
êi ·
s
s
= δs êi · [P (s + ζi δs) − P (s)] ∧ f(s + ζi δs) ,
in termini di un opportuno ζi ∈ (0, 1). L’equazione cardinale diventa pertanto
[P (s + δs) − P (s)] ∧ T (s + δs) + δs
3
+ ζi δs) êi = 0
êi · [P (s + ζi δs) − P (s)] ∧ f(s
i=1
ed è sufficiente dividerla per δs membro a membro per ottenere
P (s + δs) − P (s) êi · [P (s + ζi δs) − P (s)] ∧ f(s + ζi δs) êi = 0 .
∧ T (s + δs) +
δs
i=1
3
Nel limite δs → 0 vale
lim êi · [P (s + ζi δs) − P (s)] ∧ f(s + ζi δs) =
δs→0
= lim êi · [P (s + δs) − P (s)] ∧ f(s + δs) = êi · [P (s) − P (s)] ∧ f(s) = 0 ,
δs→0
(1)
ricordando che i momenti risultanti delle reazioni vincolari interne applicate alle singole sezioni del filo sono
nulli per definizione
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mentre
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P (s + δs) − P (s)
dP
=
(s)
δs→0
δs
ds
lim T (s + δs) = T (s) ,
lim
δs→0
ed è quindi immediato pervenire alla forma locale dell’equazione del momento angolare
dP
(s) ∧ T (s) = 0
ds
∀ s ∈ (s1 , s2 ) .
(4.4)
4.3 Caratterizzazione delle curve funicolari
Poiché la derivata a primo membro nella (4.4) rappresenta il versore tangente al supporto
della curva nella posizione P (s), l’equazione ottenuta esprime semplicemente la condizione
che la tensione T (s) sia tangente alla configurazione di equilibrio del filo nella stessa posizione e che dunque possa scriversi nella forma
dP
(s) = T (s) τ̂ (s) .
T (s) = T (s)
ds
Le condizioni individuate dalle equazioni cardinali (4.3) e (4.4) costituiscono soltanto condizioni necessarie ma non sufficienti per l’equilibrio del sistema, per il fatto che il campo
T (s) τ̂ (s) delle reazioni vincolari interne potrebbe non essere un campo di tensioni, le sole
effettivamente esplicabili dal filo; in almeno alcune porzioni del filo le reazioni interne
potrebbero corrispondere a sforzi di compressione, che il filo non è in grado di sostenere.
In ossequio alla definizione generale, la configurazione del filo è di equilibrio per il sistema
se e soltanto se lo stato di quiete in quella configurazione corrisponde ad un moto naturale, accompagnandosi perciò a reazioni vincolari effettivamente esplicabili dal sistema. In
questo caso la condizione è verificata se e solo se valgono le equazioni cardinali della statica
in forma locale e, in più, si richiede che il modulo con segno delle tensioni si mantenga non
negativo
T (s) ≥ 0
∀ s ∈ [s1 , s2 ] .
Si riconosce allora che le equazioni cardinali statiche, con le tensioni ovunque dirette secondo le s crescenti, costituiscono la condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio.
In definitiva, in presenza di sollecitazioni attive distribuite con densità di forza continua,
condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio di un filo è che ∀ s ∈ (s1 , s2 ) siano
soddisfatte le relazioni:


 dT (s) + f(s) = 0
ds

 T (s) = T (s) dP (s) ,
ds
(4.5)
T (s) ≥ 0 .
Si osservi che il segno definito di T (s) consente di scrivere
T (s) = |T (s)|
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e di riconoscere perciò la derivabilità della funzione T (s) in ogni s ∈ [s1 , s2 ] tale che
T (s) = 0. Per convincersi di quest’ultimo asserto basta osservare che la funzione T (s) è la
composizione della funzione derivabile T (s) con la funzione modulo
v ∈ R3 −−−−−−−−→ |v| =
v12 + v22 + v32 ≥ 0
a sua volta derivabile ∀ v \ {0}, in quanto la radice quadrata ammette derivata per ogni
valore positivo del radicando ma non in zero.
5. Equazioni intrinseche dell’equilibrio di un filo
Nell’ipotesi che la configurazione di equilibrio del filo sia una curva biregolare e che il modulo con segno della tensione T (s) si mantenga strettamente positivo, inserendo la seconda
equazione (4.5) nella prima si ottiene l’equazione indefinita di equilibrio
d
(T τ̂ ) + f(s) = 0 ,
ds
(5.1)
in cui la derivata a primo membro può essere sviluppata con la regola di Leibnitz
dτ̂
dT
τ̂ + T
+ f(s) = 0 .
ds
ds
Ricordando la definizione del versore normale n̂ e del raggio di curvatura ρ, si ha perciò
dT
1
τ̂ + T n̂ + f(s)
= 0
ds
ρ
ovvero
T
dT
τ̂ + n̂ + f(s)
= 0.
ds
ρ
Le equazioni intrinseche dell’equilibrio del filo si ricavano con una proiezione della precedente equazione lungo i versori tangente τ̂ , normale n̂ e binormale b̂ del triedro principale
— o di Frenet —


dT


+ τ̂ · f(s) = 0



ds


T
+ n̂ · f(s) = 0

ρ




 

 b̂ · f (s) = 0 .
Si noti come le equazioni intrinseche prevedano l’annullarsi della componente binormale
della forza unitaria f(s)
lungo la curva funicolare — ultima equazione.
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6. Densità delle sollecitazioni distribuite
Per la densità delle sollecitazioni distribuite, o forza unitaria, si considera una forma del
tipo seguente
f = f s, P (s), τ̂ (s)
(6.1)
In altre parole, si assume una dipendenza di f dal punto del filo considerato, dalla posizione
nello spazio dello stesso punto e dall’orientamento del filo sempre in quel punto, rispettivamente individuati dall’ascissa curvilinea s, dalla parametrizzazione P (s) e del versore
tangente τ̂ (s) = dP (s)/ds. La densità f è dunque una funzione nota di tali variabili.
Un esempio di sollecitazione attiva distribuita dipendente dal punto considerato lungo la
curva è offerto dalla forza peso, nel caso che il filo non sia omogeneo. In tale circostanza,
infatti, la distribuzione di massa lungo il filo è descritta da una opportuna funzione densità
di linea λ(s), per cui
λ(s) ds
rappresenta la massa del tratto infinitesimo di curva compreso fra P (s) e P (s + ds),
λ(s) g ds
è la forza peso agente sul medesimo elemento di filo e
f = λ(s) g
la densità di forza corrispondente, come affermato.
Un filo omogeneo che risenta di un campo non uniforme di forze inerziali, quali un campo
gravitazionale non uniforme o un campo di forze centrifughe, è un esempio di filo soggetto
a forze distribuite dipendenti dalla posizione
f = f P (s) .
Infine, un filo conduttore percorso da una corrente continua di intensità i e immerso in un
è soggetto ad una forza elettromacampo di induzione magnetica uniforme e costante B
gnetica data dalla prima legge di Laplace — l’analogo per un tratto di filo della legge di
Lorentz per una carica puntiforme. Sull’elemento di filo compreso fra P (s) e P (s + ds) la
forza — in unità SI — è espressa da
ds = i τ̂ (s) ∧ B
ds
= i dP (s) ∧ B
= i dP (s) ∧ B
dF
ds
in modo che la forza unitaria risulta funzione del versore tangente
.
f = i τ̂ (s) ∧ B
Si ammetterà nel seguito che la densità f sia una funzione continua dei propri argomenti
s, P e τ̂ . In tal modo, grazie all’ipotesi di curve di equilibrio biregolari, la funzione
f(s, P (s), τ̂ (s)) risulta continua in s e dunque conforme alle condizioni che hanno condotto
a scrivere le equazioni di equilibrio (4.5).
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7. Equazioni di equilibrio.
Riduzione a forma normale
Nell’ipotesi di T (s) > 0 ∀ s ∈ [s1 , s2 ], la funzione T (s) è derivabile in tutto l’intervallo di
definizione della parametrizzazione e, se si esegue la derivata in s, l’equazione indefinita di
equilibrio del filo (5.1) diventa
dT
dτ̂
τ̂ + T
+ f = 0 .
ds
ds
(7.1)
Moltiplicando scalarmente membro a membro per il versore tangente si ottiene
dT 2 τ̂ + f · τ̂ = 0
ds
e l’equazione consente di esplicitare la derivata prima del modulo con segno della tensione
dT
f · τ̂
= − 2 .
ds
τ̂
(7.2)
Una sostituzione della (7.2) nella (7.1) porge allora
−
dτ̂
f · τ̂
τ̂ + T
+ f = 0
2
τ̂
ds
e quindi la relazione equivalente
T
f · τ̂
dτ̂
= −f + 2 τ̂ .
ds
τ̂
(7.3)
Non rimane che ricordare la definizione di τ̂ e dividere per T ambo i membri della (7.3) per
arrivare al seguente sistema di 7 equazioni differenziali ordinarie del primo ordine, in forma
normale, nell’ascissa curvilinea s come variabile indipendente e nelle 7 funzioni incognite
P , T e τ̂ :

dP


= τ̂


ds



 dτ̂
1 f · τ̂ −f + 2 τ̂
=
(7.4)
ds
T
τ̂




dT
f · τ̂



,
=
−
 ds
τ̂ 2
in cui s ∈ [s1 , s2 ], P ∈ R3 , T > 0 e τ̂ = 0. L’aver ammesso che la forza unitaria f sia
una funzione nota delle sole variabili s, P e τ̂ consente di riconoscere la forma normale del
sistema. Da notare che anche una dipendenza esplicita di f da T potrebbe essere tollerata
senza pregiudicare la riducibilità a forma normale. È importante sottolineare che la condiStefano Siboni
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zione di normalizzazione del versore τ̂
|τ̂ (s)| = 1
se viene soddisfatta in un punto s0 ∈ [s1 , s2 ] risulta automaticamente verificata nell’intero
intervallo [s1 , s2 ]
|τ̂ (s0 )| = 1 ,
s0 ∈ [s1 , s2 ]
=⇒
|τ̂ (s)| = 1
∀ s ∈ [s1 , s2 ] ;
il modulo quadrato di τ̂ è infatti un integrale primo del sistema (7.4):
dτ̂
2
1 f · τ̂ d 2
f · τ̂ |τ̂ | = 2τ̂ ·
= 2τ̂ ·
−f + 2 τ̂ = τ̂ · −f + 2 τ̂ = 0
dt
ds
T
τ̂
T
τ̂
in modo che è sufficiente assegnare a detto modulo quadrato il valore +1 nella condizione
iniziale:
τ̂ (s0 ) = τ̂0 , |τ̂0 |2 = 1
per garantire la normalizzazione di τ̂ su tutto l’intervallo di parametrizzazione.
Si è cosı̀ condotti in modo naturale a considerare il problema di Cauchy:

dP


= τ̂


ds




1 f · τ̂ dτ̂



=
−f + 2 τ̂


ds
T
τ̂



 dT
f · τ̂
= − 2 ,
ds
τ̂





P (s0 ) = P0







τ̂ (s0 ) = τ̂0




 T (s ) = T
0
(7.5)
0
nel quale si deve intendere la f una funzione nota, di classe C 1, delle variabili s, P , τ̂ . Il
dominio di definizione dell’equazione (7.5) è dato dall’aperto di R8
Ω =
(s, P, τ̂ , T ) ∈ R × R3 × R3 \ {0} × R+
(7.6)
per cui il teorema di esistenza e unicità per il problema di Cauchy è senz’altro applicabile.
L’esistenza dell’integrale primo τ̂ 2 implica tuttavia che il dominio Ω si scomponga nella
unione degli insiemi di livello, ovviamente disgiunti, di τ̂ 2 :
Ωa =
Stefano Siboni
(s, P, τ̂ , T ) ∈ R × R3 × {τ̂ ∈ R3 : τ̂ 2 = a} × R+
∀a > 0
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ciascuno dei quali è invariante per le equazioni (7.4): qualsiasi soluzione di (7.4) che abbia
un punto in Ωa risulta completamente contenuta in Ωa . In linguaggio tecnico, la circostanza
che
Ωa
Ω =
a>0
con gli Ωa invarianti e fra loro disgiunti si esprime dicendo che Ω si folia in sottoinsiemi
invarianti. La situazione è illustrata nella figura seguente, che va intesa come puramente
esemplificativa in quanto l’asse delle ordinate rappresenta in realtà lo spazio R7 :
Di Ω, nella fattispecie, soltanto il sottoinsieme invariante
Ω1 =
(s, P, τ̂ , T ) ∈ R × R3 × {τ̂ ∈ R3 : τ̂ 2 = 1} × R+
(7.7)
è fisicamente significativo e le condizioni iniziali devono essere tratte dallo stesso sottoinsieme, assegnando s0 ∈ [0, L] ⊂ R, P0 ∈ R3 , τ̂0 di modulo unitario e T0 > 0. Tutti gli
altri sottoinsiemi invarianti corrispondono a valori di τ̂ 2 non coerenti dal punto di vista
geometrico, in quanto non possono essere interpretati come versori tangenti alla funicolare.
La condizione di normalizzazione sul versore τ̂ riduce da 7 a 6 soltanto il numero di
parametri scalari assegnabili — quasi — arbitrariamente come valori iniziali: le 3 coordinate di P0 , 2 componenti libere di τ̂0 e il valore di T0 . Corrispondentemente, anche il
numero delle variabili libere passa da 7 a 6. Per ogni scelta delle condizioni iniziali sono assicurate l’esistenza e l’unicità della soluzione massimale del relativo problema di Cauchy. Il
significato geometrico del problema a valori iniziali (7.5) appare evidente: si sta ricercando
la curva funicolare per la quale un punto del filo, individuato da s0 ∈ [s1 , s2 ], si colloca in
una posizione fissata P0 dello spazio ed è sottoposto ad una tensione T0 prefissata, mentre
il versore tangente alla funicolare in quella stessa posizione vale τ̂0 .
Stefano Siboni
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8. Problema a valori al contorno
Nel paragrafo precedente si è discusso il problema a valori iniziali ed il suo significato
fisico/geometrico. In molte applicazioni, tuttavia, il problema tipico da risolvere si presenta
in termini alquanto diversi:
(i) il filo, di estremi A e B, ha una lunghezza prefissata L, per cui la parametrizzazione
della curva funicolare si deve intendere definita su un intervallo del tipo [s1 , s2 ] = [0, L],
o comunque tale che s2 − s1 = L;
(ii) le posizioni degli estremi del filo sono date
P (s1 ) = A
P (s2 ) = B .
(8.1)
Anziché assegnare i valori delle variabili dipendenti in un unico punto s0 , ad esempio un
estremo, si richiedere di specificare i valori assunti dalla sola variabile P in due distinte
posizioni, ossia agli estremi s = s1 ed s = s2 . Si tratta di un problema a valori al contorno.
Si osservi come le 6 costanti arbitrarie che occorre specificare per individuare univocamente
le soluzioni massimali del problema di Cauchy debbano essere determinate assegnando le 6
condizioni al contorno scalari (8.1): l’eguale numero di condizioni e di incognite autorizza
a sperare che la soluzione del problema a valori al contorno esista e sia unica. Esistenza
ed unicità non sono tuttavia ovvie, poiché non è disponibile nulla di analogo al semplice
teorema di esistenza ed unicità valido per il problema di Cauchy. Anche nei casi più
semplici, persino per le equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti, il problema a
valori al contorno può non ammettere alcuna soluzione, o averne più di una. Il problema,
anche dal punto di vista puramente numerico, è molto complesso e non lo si esaminerà
in dettaglio. Ci si limita ad osservare che in linea di principio — e con qualche cautela
— assegnare le posizioni degli estremi della fune significa fissare univocamente le tensioni,
comprese quelle che si esercitano negli stessi estremi
T (s1 ) τ̂ (s1 )
T (s2 ) τ̂ (s2 ) .
Ciò determina anche le sollecitazioni che agli estremi devono essere applicate al filo
TA = −T (s1 ) τ̂ (s1 )
TB = T (s2 ) τ̂ (s2 )
in modo da assicurarne l’equilibrio.
9. Osservazione. Calcolo delle tensioni
Note che siano la parametrizzazione della curva funicolare P (s), s ∈ [s1 , s2 ], e la tensione
nel primo estremo del filo
T (s1 ) = −P (s1 ) · TA = −τ̂ (s1 ) · TA ,
la tensione T (s) lungo il filo può essere ricavata per mezzo dell’equazione indefinita di
equilibrio (5.1)
d
T (s)P (s) + f s, P (s), P (s) = 0
ds
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a patto di integrare membro a membro, ad esempio, fra l’estremo inferiore s1 ed un estremo
superiore s ∈ [s1 , s2 ] arbitrario
s
T (s)P (s) − T (s1 )P (s1 ) +
f ξ, P (ξ), P (ξ) dξ = 0
s1
in modo che si abbia
s
f ξ, P (ξ), P (ξ) dξ =
T (s) = T (s)P (s) = T (s1 ) P (s1 ) −
s1
s
f ξ, P (ξ), P (ξ) dξ .
= −TA −
s1
10. Forze distribuite continue e parallele
Un campo di forze distribuite continue e parallele può essere rappresentato nella forma
f(s) = f(s) û
per mezzo di un versore costante û e di una funzione reale f(s), continua nell’intervallo
[s1 , s2 ]. L’equazione indefinita dell’equilibrio (5.1) si scrive cosı̀
d
(T τ̂ ) + f(s)û = 0
ds
ovvero, ∀ s0 ∈ [s1 , s2 ] fissato e ∀ s ∈ [s1 , s2 ]
s
d
T τ̂ +
f(ξ) dξ û = 0
ds
s0
per cui l’espressione entro parentesi quadre deve essere un integrale primo
s
0 = T (s0 )τ̂ (s0 ) = costante
f(ξ) dξ û = R
T τ̂ +
(10.1)
s0
e quindi
s
0 −
T (s)τ̂ (s) = R
f(ξ) dξ û .
s0
Ne segue allora la relazione
s
1
dP
(s) = τ̂ (s) =
f(ξ) dξ û
R0 −
ds
T (s)
s0
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che integrata fra s0 ed s porge
s
s0
s
P (s) − P (s0 ) =
=
s0
s
1
0 −
f(ξ) dξ û ds =
R
T (s)
s0
s
s
1
1
f(ξ) dξ ds û .
ds R0 −
T (s)
s0 T (s)
s0
(10.2)
Il vettore posizione di un generico punto P (s) della curva rispetto ad un suo punto fissato
P (s0 ), assunto come riferimento, si esprime dunque come combinazione lineare di due
0 e û. Si conclude che in presenza di forze distribuite parallele tutte
vettori costanti, R
le curve funicolari sono piane, e giacciono in un piano contenente la comune direzione di
tutte le forze unitarie. Vale la pena di notare, per inciso, che grazie alla (10.1) il piano di
giacitura della curva funicolare è univocamente determinato da P (s0 ), û e τ̂ (s0 ), il versore
tangente alla curva nella posizione di riferimento P (s0 ). A meno che, naturalmente, û e
τ̂ (s0 ) non risultino paralleli. In tal caso la stessa relazione (10.2) assicura che la funicolare
giace per intero sulla retta condotta per P (s0 ) e di direzione û.
10.1 Terna di riferimento standard
Assegnati che siano P (s0 ), τ̂ (s0 ) e û, conviene adattare la scelta della terna di riferimento
ai dati. Si introduce pertanto una terna di riferimento cartesiana ortogonale Oxyz in modo
che il versore costante û coincida ad esempio con il versore di base ê2 , mentre il punto P (s0 )
ed il versore tangente τ̂ (s0 ) si collocano nel piano coordinato Oxy. Con questa scelta le
equazioni indefinite di equilibrio (5.1) si mutano nel sistema di tre equazioni scalari:
d dx T
= 0
ds
ds
d dy T
+f = 0
ds
ds
d dz T
= 0
ds
ds
delle quali la terza può essere ignorata in quanto z = 0 è il piano di giacitura della funicolare
e quindi z(s) = 0 ∀ s ∈ [s1 , s2 ]. Le equazioni di equilibrio si riducono perciò a due soltanto:
 dx d


T
= 0

ds
ds
d dy 

T
+f = 0

ds
ds
(10.3)
la prima delle quali si integra una volta e porge
T
dx
= c,
ds
costante .
(10.4)
La costante c ha un significato fisico diretto, in quanto
dP
dx
· ê1 = T
= c;
T · ê1 = T τ̂ · ê1 = T
ds
ds
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essa rappresenta perciò la componente ortogonale al versore û della tensione T , lungo il
piano di giacitura della funicolare. Se, come è sempre possibile, si sceglie l’asse Ox in modo
che la componente di τ̂ (s0 ) lungo ê1 sia non negativa
τ̂ (s0 ) · ê1 ≥ 0 ,
si ha certamente
dx
(s0 ) = c
ds
per cui è sempre dato di assumere la costante c non negativa.
dall’equazione (10.4) si deduce:
0 ≤ T (s0 ) τ̂ (s0 ) · ê1 = T (s0 )
dx
= 0
ds
Qualora c sia nulla
∀ s ∈ [s1 , s2 ]
e la curva funicolare si colloca interamente su una retta
x(s) = x0 ,
costante ,
∀ s ∈ [s1 , s2 ] .
Il caso più interessante ricorre per c > 0, quando sia T (s) che dx(s)/ds devono essere
strettamente positivi. Poiché è lecito risolvere in dx/ds la (10.4)
c
dx
(s) =
> 0
ds
T (s)
si deduce che la componente x(s) della soluzione costituisce una funzione monotona crescente dell’ascissa curvilinea s ∈ [s1 , s2 ], ovviamente invertibile e con inversa s(x) di pari
regolarità. La sua derivata, in particolare, si scrive
dx −1 ds
T
(s)
(x) =
(s)
=
.
dx
ds
c s=s(x)
s=s(x)
Si può cosı̀ esprimere la y come funzione di x
y = y(s) = y[s(x)] ,
derivabile quale composizione di funzioni derivabili e con derivata
dx −1
dy dy ds
dy
(x) =
(s)
(x) =
(s)
(x)
.
dx
ds
ds
s=s(x) dx
s=s(x) ds
Se ora si risolve in T la (10.4)
T = c
(10.5)
dx −1
ds
e la si sostituisce nella seconda delle (10.3), si ricava
d dx −1 dy c
+f = 0
ds
ds
ds
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che grazie alla (10.5) viene ricondotta a
d dy c
+f = 0
ds dx
ovvero alla forma equivalente
dx d dy c
+ f = 0.
ds dx dx
Di cui segue quindi
ds −1 d dy c
+f = 0
dx
dx dx
ed infine l’equazione cartesiana della funicolare
dy 2 −1/2 d2 y
1+
c+f = 0
dx
dx2
(10.6)
nella quale la componente lungo û = ê2 della forza unitaria, f, deve intendersi espressa in
termini di x anziché di s. Precisamente, nell’espressione generale
f = f(s, P, τˆ)
si dovrà intendere s = s(x) e porre:
P = P (x) = x ê1 + y(x) ê2
−1
dy 2 −1/2
P (x)
dy
dy
dy
= ê1 +
(x) ê2 ê1 +
(x) ê2 (x) ê2 1 +
τ̂ =
= ê1 +
.
|P (x)|
dx
dx
dx
dx
Basterà allora introdurre la variabile ausiliaria p = dy/dx, e ricordare la definizione
dell’ascissa curvilinea in termini di s, per ottenere il sistema di 3 equazioni normali del
primo ordine


dy


= p



dx


ê1 + p ê2 1
dp
(10.7)
1 + p2
= − f s, x ê1 + y ê2 , 
2

dx
c
1+p




ds


= 1 + p2
dx
nelle variabili dipendenti (y, p, s) ∈ R3 . Il generico problema di Cauchy diventa cosı̀

dy



= p


dx





1
ê1 + p ê2 dp


= − f s, x ê1 + y ê2 , 1 + p2


2
dx
c

1
+
p

ds
= 1 + p2


dx




y(x

0 ) = y0





p(x0 ) = p0



 s(x ) = s
0
0
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con x0 ∈ R e (y0 , p0 , s0 ) ∈ R3 . Il sistema dipende a sua volta dalla costante c > 0, che è
univocamente determinata da p0 e dal valore iniziale T (x0 ) = T0 > 0 della tensione
dy 2 −1/2
ds −1
T
T0
dx
= T 1+
= = .
c = T
= T
2
ds
dx
dx
1+p
1 + p20
Una volta ricavata la soluzione (y(x), p(x), s(x)), si calcolerà la tensione lungo la funicolare
per mezzo dell’equazione
dy 2 1/2
(10.8)
T (x) = c 1 +
dx
in funzione dell’ascissa x. In definitiva, la soluzione del problema è specificata completamente dai quattro dati iniziali s0 , y0 , p0 , T0 in x0 .
Vale la pena di osservare che qualora la densità delle forze distribuite parallele f non
dipenda esplicitamente da s, le prime due equazioni del sistema (10.7) si disaccoppiano
dalla terza, venendo cosı̀ a costituire un sistema di due equazioni in forma normale nelle
incognite y, p. La soluzione di tale sistema fornisce la curva lungo la quale la funicolare
deve collocarsi. La terza equazione, con la relativa condizione iniziale s(x0 ) = s0 , servirà a
specificare la posizione della funicolare lungo quella curva — tipicamente, l’ascissa x0 del
primo estremo della fune, dove s = 0.
10.2 Terna standard nel problema a valori al contorno
Nel problema a valori al contorno sono noti gli estremi P (s1 ) e P (s2 ) della funicolare,
ovviamente distinti. Se il vettore non nullo P (s2 )− P (s1 ) ed il versore û non sono paralleli,
allora il piano di giacitura della funicolare è completamente individuato da P (s1 ), P (s2 ),
û e la terna di riferimento Oxyz può essere introdotta come nel caso precedente: l’asse Oy
è parallelo e concorde a û, mentre il piano coordinato Oxy coincide con quello di giacitura
della curva di equilibrio. Diversamente dal problema di Cauchy, tuttavia, la tensione
T (s0 ) = T (s0 )τ̂ (s0 ) non è nota per alcun valore di s0 ∈ [s1 , s2 ], per cui la costante c che
figura nel sistema di equazioni (10.7) risulta a sua volta incognita:
c = T (s0 )τ̂ (s0 ) · ê1 = ???
Non è quindi possibile scrivere il sistema (10.7), ma ci si deve limitare a considerare le
equazioni indefinite di equilibrio nella forma generale (7.4), in cui l’ascissa curvilinea s —
e non l’ascissa x — figura come variabile indipendente. Fortunatamente però, la scelta del
sistema di riferimento comporta comunque una semplificazione delle equazioni di equilibrio,
in quanto lungo tutta la funicolare deve aversi
z(s) = 0
τ̂ (s) · ê3 =
dz
(s) = 0
ds
∀ s ∈ [s1 , s2 ] .
La terza e la sesta equazione scalare delle (7.4) sono cosı̀ soddisfatte identicamente e
possono essere ignorate. Le equazioni di equilibrio si riducono pertanto al sistema di 5
Stefano Siboni
20
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equazioni scalari del primo ordine in forma normale

dx


= τx


ds




dy


= τy


ds




 dτx = 1 f τy τ
x
ds
T τx2 + τy2




1
dτy
f τy


=
τy
−f + 2


ds
T
τx + τy2






dT
f τy


,
= − 2

ds
τx + τy2
f = f(s, P, τˆ) = f(s, x, y, 0, τx , τy , 0)
nelle variabili x, y, τx , τy e T ; il sistema ammette l’ovvio integrale primo
τ̂ 2 = τx2 + τy2 .
La soluzione dipende in generale da 5 costanti arbitrarie, identificabili con i valori delle
variabili dipendenti per un s0 ∈ [s1 , s2 ] assegnato
x(s0 ) = x0 ∈ R
τx (s0 ) = τx0 ∈ R
y(s0 ) = y0 ∈ R
τy (s0 ) = τy0 ∈ R
T (s0 ) = T0 ∈ R+
2
2
che però si riducono a 4 soltanto per via della condizione τx0
+ τy0
= 1. Il problema va
risolto imponendo le 4 condizioni al contorno:
x(s1 ) = x1 ∈ R
y(s1 ) = y1 ∈ R
x(s2 ) = x2 ∈ R
y(s2 ) = y2 ∈ R .
Si sottolinea che le curve funicolari sono comunque determinate da 6 costanti arbitrarie,
come nel caso generale di forze distribuite non parallele: la scelta appropriata del sistema
di riferimento permette semplicemente di fissare a 0 il valore di due di tali costanti.
Qualora infine i vettori P (s2 )−P (s1 ) e û siano paralleli, si può ragionare nel modo seguente.
La funicolare deve comunque avere un piano di giacitura, benchè non determinabile sulla
base dei dati al contorno. Immaginando di introdurre una terna di riferimento con la
funicolare completamente collocata nel piano Oxy e l’asse Oy parallelo a û, rispetto a
tale terna la curva di equilibrio dovrebbe allora avere gli estremi con la stessa ascissa,
in quanto P (s2 ) − P (s1 ) è per ipotesi parallelo a û e dunque a Oy. Se fosse c > 0
l’ascissa dovrebbe risultare funzione strettamente crescente dell’ascissa curvilinea s, per
cui x(s1 ) < x(s2 ), contro l’ipotesi. Pertanto, non può che aversi c = 0 e la curva funicolare
si riduce al segmento P (s1 ) − P (s2 ). In questo caso il problema si riduce cosı̀ ad una forma
particolarmente semplice e può essere risolto direttamente per via geometrica.
Stefano Siboni
21
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11. Caso notevole: equazione dei ponti sospesi
Un caso particolarmente interessante di applicazione delle equazioni di equilibrio dei fili
in presenza di forze distribuite parallele è quello dei ponti sospesi. Nel piano coordinato
Oxy di una terna di riferimento Oxyz si considera un’asta rigida rettilinea ed omogenea, di
densità λ > 0 e lunghezza L > 0, collocata lungo l’asse orizzontale Ox. Al di sopra dell’asta,
e a questa agganciata mediante un grande numero di tiranti verticali, è posta una fune
inestendibile e perfettamente flessibile, di massa trascurabile, fissata in corrispondenza dei
suoi estremi A e B ad appositi sostegni. Di tale fune si vuole determinare la configurazione
di equilibrio, ovvero la corrispondente curva funicolare, ricavando inoltre l’intensità delle
sollecitazioni da applicare agli estremi per realizzare tale equilibrio.
L’azione dei tiranti che collegano fune ed asta, e che si assumono verticali all’equilibrio,
è quella di trasmettere all’intero corpo della fune le forze peso agenti sull’asta. Se si
ammettere che il numero dei tiranti sia molto grande e che di conseguenza grande sia la
concentrazione di tiranti per unità di lunghezza, il peso si può ritenere distribuito in modo
continuo lungo la fune e quindi descrivibile per mezzo di una densità di forza continua.
Indicata con
P (s) − O = x(s) ê1 + y(s) ê2 , s ∈ [s1 , s2 ] ,
la parametrizzazione della funicolare nel piano Oxy, il tratto infinitesimo di fune compreso
fra i punti P (s) e P (s + ds) sarà sottoposto al peso della porzione di asta corrispondente
alla proiezione ortogonale su Ox dello stesso elemento
−λg [x(s + ds) − x(s)] ê2 = −λg
Stefano Siboni
dx
(s) ê2 ds
ds
22
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e a questa forza si associerà pertanto la densità continua
dx
(s) ê2
f = −λg
ds
ottenuta dividendo per la lunghezza ds dello stesso elemento di fune. È evidente che si
tratta di un sistema di forze unitarie continue e parallele con
f = −λg
dx
ds
(11.1)
per cui valgono le equazioni (10.3). Qualora la costante c nell’equazione (10.4) risultasse
nulla, la curva funicolare dovrebbe disporsi secondo una retta verticale x(s) = costante,
circostanza non consentita dai vincoli cui il sistema è sottoposto in quanto le ascisse degli
estremi A e B sono necessariamente diverse. L’unico caso interessante è dunque quello
per c > 0, per il quale l’ascissa x è funzione monotona crescente dell’ascissa curvilinea s.
Riesprimendo la (11.1) in termini della parametrizzazione cartesiana y(x) della funicolare,
si ottiene
dy 2 −1/2
dx
= −λg 1 +
f = −λg
ds
dx
e l’equazione (10.6) diventa
dy 2 −1/2 d2 y
dy 2 −1/2
1+
c − λg 1 +
= 0.
dx
dx2
dx
Il fattore comune entro parentesi quadre è sempre strettamente positivo e può quindi
semplificarsi, porgendo l’equazione di equilibrio
d2 y
c − λg = 0
dx2
ovvero
(11.2)
λg
d2 y
=
dx2
c
nota come equazione dei ponti sospesi. L’equazione (11.2) si risolve esplicitamente e conduce alla soluzione generale
λg 2
x + ax + b
y(x) =
2c
definita a meno delle tre costanti arbitrarie a, b e c > 0. Tale soluzione rappresenta una
curva parabolica con l’asse verticale e la concavità rivolta verso l’alto. La funicolare è un
arco di lunghezza L lungo tale parabola e per individuarla occorre determinare le costanti
a, b, c e l’ascissa di un punto della funicolare che abbia ascissa curvilinea nota: la scelta
più ovvia consiste nel considerare il primo estremo P (s1 ) ed assegnare s(x1 ) = s1 .
Stefano Siboni
23
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Le costanti a, b e c possono essere determinate univocamente mediante le posizioni degli
estremi:
y(x1 ) = y1
y(x2 ) = y2
ed assegnando la lunghezza complessiva della fune
x2 1 + y (x)2 dx = L .
x1
Si osservi che identificare x1 con l’ascissa del primo estremo significa assumere s(x1 ) = s1 :
il dato iniziale per la variabile s, una delle 4 costanti arbitrarie non banali che specificano
la soluzione, è dunque assegnato al valore noto s1 . Si vede quindi che le costanti arbitrarie
da determinare sono comunque 4: a, b, c e s(x1 ) = s1 , quest’ultima fissata in modo banale.
Resta inteso che, come per i problemi a valori al contorno, la soluzione potrebbe non essere
definita o non esistere unica per una scelta arbitraria dei parametri x1 , x2 , y1 , y2 ed L.
Ad esempio, è evidente che nessuna soluzione può ricorrere qualora si abbia
(x2 − x1 )2 + (y2 − y1 )2 > L2
poiché in tal caso non è possibile tendere un filo di lunghezza L fra due punti fissati che
distino più di L l’uno dall’altro.
Nota che sia la parametrizzazione y(x), la tensione della funicolare viene infine dedotta
dalla (10.8)
gλ
dy 2 1/2
2 1/2
= c 1+
T (x) = c 1 +
x+a
dx
c
che fornisce, in particolare, anche le tensioni di equilibrio agli estremi, T (x1 ) e T (x2 ).
L’equazione dei ponti sospesi deve il suo nome al fatto che un ponte sospeso, ad una
campata, può essere schematizzato come una coppia di strutture fune-asta identiche ed
affiancate parallelamente l’una all’altra, che collaborano a sosterenere il peso di una lamina
rigida omogenea solidale alle due aste e disposta simmetricamente rispetto a queste.
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24
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12. Caso notevole: catenaria omogenea
Altro problema interessante è quello cosiddetto della catenaria omogenea. Si tratta di
determinare le configurazioni di equilibrio di un filo omogeneo soggetto al proprio peso e
con gli estremi fissati. Si suppone sempre che la terna di riferimento Oxyz abbia Oy come
asse verticale e sia scelta in modo che la funicolare giaccia nel piano coordinato Oxy.
La parametrizzazione della curva di equilibrio si indicherà quindi con
P (s) − O = x(s) ê1 + y(s) ê2 ,
s ∈ [s1 , s2 ] .
Indicata con λ la densità di linea, la forza peso agente sul tratto di fune di estremi P (s) e
P (s + ds) è dato da
−λg ê2 ds
e corrisponde ad una densità di forza costante
f = −λg ê2 .
Si tratta perciò di un sistema di forze parallele e le configurazioni di equilibrio della fune
sono caratterizzate per mezzo delle equazioni (10.3) con
f = −λg .
Come già nel caso dei ponti sospesi, il caso c = 0 corrisponde ad una funicolare disposta
secondo una retta verticale e non è rilevante dal punto di vista fisico. Il caso interessante
ricorre per c > 0, allorquando l’equazione di equilibrio (10.6) diventa
dy 2 −1/2 d2 y
λg
= 0
−
1+
2
dx
dx
c
e può essere risolta con il metodo di separazione delle variabili. Posto y = dy/dx(x), una
integrazione indefinita membro a membro in x porge infatti la relazione
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λg
dy 2 1/2 = c x + a
(1 + y )
25
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nella quale a è una costante reale arbitraria e l’integrale a primo membro viene calcolato
con la sostituzione y = sinh η:
dy 1
1
cosh η dη =
dη = η
=
cosh η dη =
cosh η
(1 + y 2 )1/2
(1 + sinh2 η)1/2
per cui
η =
λg
x+a
c
e quindi
λg
dy
(x) = y (x) = sinh η = sinh
x+a .
dx
c
Una ulteriore integrazione conduce infine alla parametrizzazione cartesiana della funicolare
λg
c
y(x) = b +
cosh
x+a
λg
c
(12.1)
nella quale figurano le tre costanti arbitrarie a, b e c — con c > 0. Queste possono essere
calcolate assegnando le coordinate cartesiane degli estremi:
y(x1 ) = y1
y(x2 ) = y2
e la lunghezza complessiva della fune
L =
x2 x1
x2
=
x1
2 1/2
1 + y (x)
x2 dx =
2
1 + sinh
λg
1/2
dx =
x+a
c
x2
λg
λg
c
x + a dx =
x+a
cosh
.
sinh
c
λg
c
x1
x1
Come già osservato per l’equazione dei ponti sospesi, la funicolare è un arco di lunghezza
L sulla curva (12.1). La funzione (12.1) ha per grafico una curva regolare detta catenaria
omogenea o semplicemente catenaria. Le derivate prima e seconda della parametrizzazione
si scrivono:
λg
λg
λg
λg
y (x) = sinh
x+a
y (x) =
cosh
x+a ≥
> 0.
c
c
c
c
Dal segno positivo della derivata seconda si deduce che la curva è convessa, mentre annullando la derivata prima si ricava l’ascissa dell’unico punto critico
λg
y (x) = sinh
x+a = 0
c
=⇒
x = −
ca
λg
che è ovviamente un minimo relativo ed assoluto. Con la traslazione delle ascisse
x = −
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ca
+ξ
λg
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l’equazione cartesiana della catenaria assume una forma particolarmente espressiva
λg c
cosh
ξ
y(ξ) = b +
λg
c
che per valori abbastanza piccoli dell’argomento λgξ/c si può rappresentare sostituendo al
coseno iperbolico il suo sviluppo di Taylor al secondo o al quarto ordine nell’intorno del
punto di minimo ξ = 0
λg 6
1 λg 2
c
1 λg 4
1+
y(ξ) = b +
+O
ξ +
ξ
ξ .
λg
2 c
24 c
c
In particolare, la catenaria si approssima molto bene con un arco di parabola nell’intorno
del suo — eventuale — punto di minimo.
13. Caso notevole: sollecitazioni distribuite nulle
Nel caso che il filo non sia soggetto ad alcuna sollecitazione salvo che agli estremi, la densità
f delle sollecitazioni distribuite si annulla e l’equazione indefinita (5.1) dell’equilibrio si
riduce a:
d
(T τ̂ ) = 0
ds
ossia alla forma equivalente:
T τ̂ = costante
dalla quale si deduce che il versore τ̂ e la tensione T devono essere separatamente costanti
lungo il filo. La costanza di τ̂ corrisponde al fatto che la funicolare è costituita un segmento
di retta, in quanto
dP
(s) = τ̂
ds
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implica per un dato s0 ∈ [s1 , s2 ] l’equazione
P (s) − P (s0 ) = (s − s0 ) τ̂
∀ s ∈ [s1 , s2 ]
e quindi la parametrizzazione della funicolare
P (s) = P (s0 ) + (s − s0 ) τ̂
∀ s ∈ [s1 , s2 ]
che rappresenta precisamente un tratto di linea retta. All’equilibrio il filo si dispone pertanto secondo un segmento di retta ed è caratterizzato da una tensione T costante, diretta
parallelamente alla direzione di equilibrio del filo.
14. Filo su una superficie regolare senza attrito
14.1 Filo su una superficie liscia
Si consideri una superficie regolare S di R3 di parametrizzazione
ϕ(u, v) ,
(u, v) ∈ D
definita su un aperto D ⊆ R2 ed ivi di classe C 2 . Si ricorda che la condizione di regolarità della superficie richiede che le derivate parziali prime della parametrizzazione siano
linearmente indipendenti in ogni punto del dominio
∂ϕ
∂ϕ
(u, v) ∧
(u, v) = 0
∂u
∂v
∀ (u, v) ∈ D .
(14.1)
Per filo sulla superficie S si intende un filo inestendibile e perfettamente flessibile in grado
di disporsi lungo una qualsiasi curva regolare il cui supporto appartenga ad S. Le configurazioni possibili del filo saranno pertanto tutte e soltanto le curve regolari la cui parametrizzazione sia esprimibile nella forma
P (s) = ϕ(u(s), v(s))
(14.2)
con
s ∈ [s1 , s2 ] −−−−−−−−→ (u(s), v(s)) ∈ D
funzione C 2 a derivata prima non nulla dell’intervallo [s1 , s2 ] in D. Poiché s è comunque
una ascissa curvilinea, il versore tangente al supporto della curva in un suo punto generico
sarà dato da
∂ϕ
∂ϕ
(14.3)
τ̂ =
u̇ +
v̇ = ϕu u̇ + ϕv v̇ ,
∂u
∂v
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dove si è posto, per brevità, u̇ = du/ds(s) e v̇ = dv/ds(s) e si sono indicate con ϕu e ϕv le
derivate parziali prime di ϕ in u e v rispettivamente.
L’effetto dell’ulteriore vincolo S può essere descritto, dal punto di vista statico e dinamico, introducendo delle sollecitazioni di reazione vincolare che si eserciteranno sul filo in
aggiunta a quelle attive — postulato delle reazioni vincolari. Queste reazioni si assumono
variabile
descritte da una opportuna densità di reazioni vincolari per unità di lunghezza, Φ
con continuità lungo la curva. Nell’ipotesi che la superficie sia liscia si dovrà richiedere
sia diretta ortogonalmente alla superficie S in ogni
che la densità di reazioni vincolari Φ
singolo punto della curva, ovvero che
· ϕu = 0
Φ
· ϕv = 0 .
Φ
(14.4)
14.2 Equazioni di equilibrio
In presenza delle reazioni vincolari distribuite, l’equazione di equilibrio (5.1) diventa
d
= 0
(T τ̂ ) + f + Φ
ds
ossia
dT
dτ̂
= 0.
τ̂ + T
+ f + Φ
ds
ds
(14.5)
Se si moltiplica scalarmente questa equazione per il versore tangente τ̂ e si ricorda la
· τ̂ = 0, si ottiene
condizione di ortogonalità Φ
τ̂ ·
dT
ds
τ̂ + T
dτ̂
= 0
+ f + Φ
ds
e quindi
τ̂ · f
dT
+ 2 = 0
ds
τ̂
per cui la derivata della tensione T è esprimibile come
τ̂ · f
dT
= − 2
ds
τ̂
(14.6)
mentre la (14.5) si riduce a
−
dτ̂
τ̂ · f
= 0.
τ̂
+
T
+ f + Φ
τ̂ 2
ds
(14.7)
Un sistema di equazioni pure di equilibrio si determina grazie alle condizioni di ortogonalità
(14.4) delle reazioni vincolari proiettando ortogonalmente sul piano tangente alla superficie,
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ovvero moltiplicando scalarmente per i vettori tangenti ϕu e ϕv la (14.7):

τ̂ · f

dτ̂


ϕ
·
−
τ̂
+
T
+
f
= 0

 u
τ̂ 2
ds
τ̂ · f

dτ̂



 ϕv · − τ̂ 2 τ̂ + T ds + f = 0 .
In esso la forza unitaria f dipende dall’ascissa s, dalla posizione lungo la funicolare e dal
relativo versore tangente, per cui f deve intendersi come una funzione nota dell’ascissa
curvilinea, delle funzioni u(s), v(s) e delle loro derivate prime u̇(s), v̇(s):
f(s, P, τ̂ ) = F(s, u, v, u̇, v̇) .
Il sistema si riscrive come

τ̂ · f

dτ̂
1


ϕ
·
·
τ̂
−
f
=
ϕ

u
 u ds
T
τ̂ 2
τ̂ · f

dτ̂
1



 ϕv · ds = T ϕv · τ̂ 2 τ̂ − f
(14.8)
e può sempre ridursi alla forma normale, come di seguito illustrato.
14.3 Riduzione a forma normale delle equazioni
di equilibrio
Per la riducibilità a forma normale delle equazioni (14.8) è sufficiente osservare che dalla
(14.3) segue
d ∂ϕ du
dτ̂
∂ϕ d2 u ∂ϕ d2 v
d ∂ϕ dv
+
+
=
+
=
ds
∂u ds2
∂v ds2
ds ∂u ds ds ∂v ds
dϕu du dϕv dv
d2 u
d2 v
+
= ϕu 2 + ϕv 2 +
ds
ds
ds ds
ds ds
per cui
d2 u
d2 v
dτ̂
dϕu du
dϕv dv
= ϕu · ϕu 2 + ϕu · ϕv 2 + ϕu ·
+ ϕu ·
ϕu ·
ds
ds
ds
ds ds
ds ds
dτ̂
dϕu du
dϕv dv
d2 u
d2 v
= ϕv · ϕu 2 + ϕv · ϕv 2 + ϕv ·
+ ϕv ·
ϕv ·
ds
ds
ds
ds ds
ds ds
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e, posto ü = d2 u/ds2 , v̈ = d2 v/ds2 , le (14.8) diventano


dϕu
dϕv


u̇ + ϕu ·
v̇ =
 ϕu · ϕu ü + ϕu · ϕv v̈ + ϕu ·
ds
ds

dϕu
dϕv


u̇ + ϕv ·
v̇ =
 ϕv · ϕuü + ϕv · ϕv v̈ + ϕv ·
ds
ds
τ̂ · f
1
ϕu ·
τ̂ − f
T
τ̂ 2
τ̂ · f
1
ϕv ·
τ̂
−
f
T
τ̂ 2
potendosi peraltro riscrivere nella forma matriciale equivalente
ϕu · ϕu
ϕv · ϕu
ϕu · ϕv
ϕv · ϕv
ü
g1 (s, u, v, u̇, v̇, T )
=
g2 (s, u, v, u̇, v̇, T )
v̈
(14.9)
dove
g1 (s, u, v, u̇, v̇, T ) = −ϕu ·
τ̂ · f
dϕu
dϕv
1
τ̂
−
f
u̇ − ϕu ·
v̇ + ϕu ·
ds
ds
T
τ̂ 2
g2 (s, u, v, u̇, v̇, T ) = −ϕv ·
τ̂ · f
dϕu
dϕv
1
τ̂
−
f
u̇ − ϕv ·
v̇ + ϕv ·
ds
ds
T
τ̂ 2
e
sono funzioni note dei soli argomenti s, u, v, u̇, v̇. Al risultato finale si perviene notando
che la matrice reale e simmetrica nel primo membro della (14.9) è invertibile
det
ϕu · ϕu
ϕv · ϕu
ϕu · ϕv
ϕv · ϕv
= ϕu · ϕu ϕv · ϕv − (ϕu · ϕv )2 = |ϕu |2 |ϕv |2 − |ϕu · ϕv |2 > 0
a causa della diseguaglianza di Cauchy-Schwarz
|ϕu · ϕv | ≤ |ϕu | |ϕv |
∀ ϕ u , ϕ v ∈ R3 ,
nella quale l’uguaglianza ricorre se e soltanto se i vettori in gioco risultano linearmente
dipendenti, circostanza che nella fattispecie non può verificarsi in quanto la condizione di
regolarità (14.1) esclude il parallelismo dei vettori ϕu e ϕv . Di conseguenza, considerato
che le derivate ϕu e ϕv sono funzioni dei soli argomenti u e v, l’equazione matriciale (14.9)
si riduce alla forma normale del secondo ordine
ü
ϕu · ϕu
=
v̈
ϕv · ϕu
ϕu · ϕv
ϕv · ϕv
−1 g1 (s, u, v, u̇, v̇, T )
g2 (s, u, v, u̇, v̇, T )
:=
h1 (s, u, v, u̇, v̇, T )
h2 (s, u, v, u̇, v̇, T )
(14.10)
nelle variabili dipendenti u e v.
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14.4 Problema di Cauchy per la funicolare
L’equazione (14.10) e le precedenti equazioni (14.6) costituiscono un sistema in forma
normale del tipo
 2
d u


= h1 (s, u, v, u̇, v̇, T )


ds2



 d2 v
=
h
(s,
u,
v,
u̇,
v̇,
T
2
ds2





dT
[ϕu (u, v)u̇ + ϕv (u, v)v̇] τ̂ · f



· F(s, u, v, u̇, v̇)
= − 2 = −
ds
τ̂
|ϕu (u, v)u̇ + ϕv (u, v)v̇|2
con con l’introduzione delle variabili ausiliarie ρu = u̇ e ρv = v̇ si riduce ad un sistema
normale del primo ordine di 5 equazioni

du


= ρu


ds




dv


= ρv


ds



 dρ
u
= h1 (s, u, v, ρu , ρv , T )
ds




dρv



= h2 (s, u, v, ρu , ρv , T )

 ds





dT
[ϕu (u, v)ρu + ϕv (u, v)ρv ] 

· F(s, u, v, ρu , ρv )
= −
ds
|ϕu(u, v)ρu + ϕv (u, v)ρv |2
(14.11)
nella variabile indipendente s e nelle 5 variabili dipendenti u, v, ρu , ρv e T . Il problema
di Cauchy corrispondente viene ottenuto assegnando i valori delle variabili u, v, ρu = u̇,
ρv = v̇ e T per un dato valore dell’ascissa curvilinea s. Si osservi che fissare i valori iniziali
di u e v equivale ad assegnare la posizione di un punto della funicolare, mentre l’ulteriore
specificazione di u̇ e v̇ definisce il versore tangente alla curva nello stesso punto. Qualora
le funzioni a secondo membro delle ultime tre equazioni in (14.11) siano sufficientemente
regolari — di classe C 1 ad esempio — si applica il teorema di esistenza ed unicità e la
soluzione massimale del problema di Cauchy esiste ed è unica. Come già per il filo libero,
l’eventuale dipendenza esplicita di F da T non pregiudicherebbe il risultato.
14.5 Osservazione sul problema di Cauchy
A stretto rigore, tuttavia, sussiste un problema: il teorema di esistenza e unicità richiede
che il secondo membro dell’equazione differenziale in forma normale sia definito su un
insieme aperto. Nella fattispecie, mentre la variabile indipendente s varia a piacere in R,
le 5 variabili dipendenti u, v, ρu , ρv e T possono assumere tutti e soli i valori compatibili
con le seguenti condizioni:
(u, v) ∈ D
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T >0
ϕu (u, v)ρu + ϕv (u, v)ρv
2
= 1
(14.12)
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l’ultima delle quali corrisponde alla condizione di normalizzazione di τ̂ , secondo la (14.3).
Questa prescrizione supplementare renderebbe inutile l’indicazione esplicita del fattore τ̂ 2
nelle equazioni (14.6), (14.7) e successive. Purtroppo però, le condizioni (14.12) e s ∈ R
definiscono un sottoinsieme di R6 chiuso e — il che è anche peggio — con interno vuoto: si
immagini una sorta di superficie di dimensione 5 immersa nello spazio R6 , di dimensione
6(1). Conviene allora ignorare la condizione di normalizzazione su τ̂ e intendere il sistema
di equazioni (14.11) scritto con τ̂ non necessariamente di modulo unitario. Un requisito è
però irrinunciabile: il modulo quadrato di τ̂ compare a denominatore in tutte le equazioni
e si deve imporre non sia mai nullo. Ciò equivale a richiedere che
ϕu (u, v)ρu + ϕv (u, v)ρv = 0
ossia, data la lineare indipendenza di ϕu (u, v) e ϕv (u, v) ∀ (u, v) ∈ D, che si abbia
(ρu , ρv ) = (0, 0) .
In questo modo, l’insieme di definizione del sistema (14.11) diventa l’aperto di R6
{s ∈ R} × {(u, v) ∈ D} × {T > 0} × (ρu , ρv ) ∈ R2 \ {(0, 0)} .
Per ottenere una soluzione fisicamente significativa, si dovrà assegnare il valore iniziale di
u, v, ρu , ρv in modo che risulti τ̂ 2 = 1: ma che cosa assicura che la condizione di normalizzazione sia soddisfatta lungo tutta la soluzione, al variare di s? Questo fatto è cruciale
perché la soluzione sia fisicamente accettabile. Fortunatamente la cosa funziona, in quanto
2
τ̂ 2 = ϕu (u, v)ρu + ϕv (u, v)ρv costituisce un integrale primo per il sistema (14.11).
14.6 Integrale primo
Si verifica facilmente che, come deve essere, il modulo quadrato di τ̂ :
τ̂ 2 = (ϕu u̇ + ϕv v̇)2
è un integrale primo delle equazioni di equilibrio. Si ha infatti:
dτ̂
d
dτ̂ 2
= 2τ̂ ·
= 2(ϕu u̇ + ϕv v̇) · (ϕu u̇ + ϕv v̇) =
ds
ds
ds
dϕv dϕu
u̇ +
v̇ =
= 2(ϕu u̇ + ϕv v̇) · ϕu ü + ϕv v̈ +
ds
ds
dϕu
dϕv = 2u̇ ϕu · ϕu ü + ϕu · ϕv v̈ + ϕu ·
u̇ + ϕu ·
v̇ +
ds
ds
dϕu
dϕv + 2v̇ ϕv · ϕu ü + ϕv · ϕv v̈ + ϕv ·
u̇ + ϕv ·
v̇ =
ds
ds
τ̂ · f
1
+ 2v̇ 1 ϕv · τ̂ · f τ̂ − f =
τ̂
−
f
= 2u̇ ϕu ·
T
τ̂ 2
T
τ̂ 2
τ̂ · f
2
=
(ϕu u̇ + ϕv v̇) ·
τ̂
−
f
=
T
τ̂ 2
τ̂ · f
2
= 0.
τ̂ ·
τ̂
−
f
=
T
τ̂ 2
(1)
Per (u,v)∈D fissati, la condizione τ̂ 2 =1 definisce un’ellisse nel piano (ρu ,ρv )∈ R2 .
Stefano Siboni
33
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Il sussistere di questo integrale primo ha l’effetto di ridurre da 5 a 4 il numero di costanti
arbitrarie a meno delle quali sono specificate le configurazioni di equilibrio del sistema. La
funicolare sarà individuata univocamente assegnando ad esempio, per un dato s, i valori di
u, v, T e di una delle derivate u̇ o v̇ atta a specificare il versore tangente τ̂ — la condizione
di normalizzazione del versore lega fra di loro i valori permessi delle derivate u̇ e v̇.
14.7 Problema a valori al contorno
Nelle applicazioni consuete la funicolare non deve essere determinata assegnando condizioni sulla posizione, sul versore tangente e sul modulo con segno della tensione per un
valore fissato dell’ascissa curvilinea, corrispondente per esempio ad un estremo della fune.
La condizione tipica consiste nel preassegnare le posizioni degli estremi della funicolare,
unitamente alla lunghezza complessiva della fune, vale a dire:
P (s1 ) = ϕ(u(s1 ), v(s1 )) = P1
P (s2 ) = ϕ(u(s2 ), v(s2 )) = P2
con s2 − s1 = L
richiesta che equivale ad assegnare i valori delle funzioni incognite u(s) e v(s) in negli
estremi s = s1 e s = s2 , per s2 − s1 = L. Come già osservato, esistenza ed unicità della
soluzione non sono assicurate da teoremi generali. Ci si limita a sottolineare che il numero
di condizioni — 4 — coincide con quello delle costanti arbitrarie da determinare, per cui
è lecito sperare che la soluzione esista e che ve ne sia una soltanto. La tensione lungo la
fune, all’equilibrio, è determinata di conseguenza, in particolare agli estremi.
15. Filo su una superficie regolare con attrito
Se il filo è vincolato a restare su una superficie regolare con attrito S, di parametrizzazione
regolare
ϕ(u, v) , (u, v) ∈ D ⊆ R2 ,
la parametrizzazione della funicolare deve essere determinata nella forma
P = ϕ(u(s), v(s))
,
s ∈ [s1 , s2 ]
e soddisfare l’equazione di equilibrio
dT
dτ̂
= 0
τ̂ + T
+ f + Φ
ds
ds
(15.1)
è la densità delle reazioni vincolari. Se si indica con µs il coefficiente di attrito
dove Φ
radente statico del filo sulla superficie — eventualmente funzione della posizione sulla superficie e quindi delle variabili u e v — la condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio
è che in ogni punto della curva funicolare la densità di reazione vincolare desunta dalla
(15.1) soddisfi la legge di Coulomb-Morin dell’attrito radente statico. La componente
tangenziale alla superficie della Φ
−Φ
· ϕu ∧ ϕv ϕu ∧ ϕv
Φ
|ϕu ∧ ϕv | |ϕu ∧ ϕv |
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34
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deve risultare in modulo non superiore al prodotto fra il modulo della componente normale
di Φ
· ϕu ∧ ϕv ϕu ∧ ϕv
Φ
|ϕu ∧ ϕv | |ϕu ∧ ϕv |
e il coefficiente di attrito radente statico µs , vale a dire
· ϕu ∧ ϕv .
−Φ
· ϕu ∧ ϕv ϕu ∧ ϕv ≤ µs Φ
Φ
|ϕu ∧ ϕv | |ϕu ∧ ϕv | |ϕu ∧ ϕv | (15.2)
Gli equilibri sono individuati perciò dalla disequazione differenziale caratteristica
Φ
−Φ
· ϕu ∧ ϕv ϕu ∧ ϕv ≤ µs Φ
· ϕu ∧ ϕv |ϕu ∧ ϕv | |ϕu ∧ ϕv | |ϕu ∧ ϕv | (15.3)
= − dT τ̂ − T dτ̂ − f deve essere soddisfatta ∀ s ∈ [s1 , s2 ].
che con Φ
ds
ds
Una classe particolare di configurazioni di equilibrio è costituita dalle funicolari calcolate
in condizioni di assenza di attrito. Il principio di sicurezza — ovvero la forma particolare della legge di Coulomb-Morin dell’attrito radente statico — assicura infatti che ogni
configurazione di equilibrio determinata assumendo liscia la superficie di giacitura del filo
sia configurazione di equilibrio del sistema anche qualora si tenga conto degli attriti. Non
vale in generale la proposizione inversa: la presenza di attriti radenti da un lato non altera
gli equilibri che comunque si determinerebbero su una superficie liscia, dall’altro induce
l’insorgere di configurazioni di equilibrio che in assenza di attrito non sussisterebbero — il
principio di sicurezza fornisce una condizione sufficiente ma non necessaria per l’equilibrio.
15.1 Osservazione sull’insieme delle curve funicolari
Da quanto detto appare evidente che se si considera una configurazione di equilibrio ricavata ignorando gli attriti e la si modifica leggermente, si perviene di norma ad una
configurazione di equilibrio del sistema con attrito. Ciò segue dal fatto che lungo la funicolare ottenuta trascurando gli attriti statici la disequazione differenziale (15.3) assume la
forma
ϕu ∧ ϕv = µs |Φ|
0 < µs Φ ·
|ϕu ∧ ϕv | in modo che, tipicamente, la (15.3) si conserverà valida per deformazioni abbastanza piccole
della curva di equilibrio iniziale — per effetto di una piccola deformazione il primo membro
di (15.3) non sarà più nullo ma si manterrà comunque vicino a zero, mentre il secondo
membro non varierà in misura apprezzabile.
Stefano Siboni
35
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16. Filo fortemente teso
su una superficie regolare
Per filo fortemente teso su una superficie regolare S si intende il caso di un filo vincolato a rimanere sulla superficie S con la condizione supplementare che la densità f delle
delle reazioni
sollecitazioni attive sia in ogni punto trascurabile rispetto alla densità Φ
vincolari
.
|f| |Φ|
Le sole forze di rilievo nel determinare l’equilibrio del sistema sono quindi le reazioni
vincolari distribuite lungo il corpo del filo e le sollecitazioni attive applicate agli estremi di
questo. L’equazione indefinita dell’equilibrio si ottiene quindi ponendo f = 0 nella (14.5)
dT
dτ̂ τ̂ + T
+ Φ = 0.
ds
ds
(16.1)
Si distinguono il caso in cui la superficie vincolare sia liscia e quello della superficie con
attrito.
17. Filo fortemente teso
su una superficie regolare senza attrito
Il versore tangente alla funicolare, τ̂ , è sempre tangente anche alla superficie vincolare, in
quanto combinazione lineare dei vettori tangenti ad S nella posizione considerata
τ̂ = ϕu u̇ + ϕv v̇ .
La condizione di superficie liscia impone perciò che nulla sia la componente lungo τ̂ della
di reazione vincolare
densità Φ
· τ̂ = 0 .
Φ
L’equazione di equilibrio (16.1) proiettata lungo τ̂ diventa perciò
dT
= 0
ds
in modo che il modulo della tensione si trasmette inalterato lungo la funicolare
T = costante
∀ s ∈ [s1 , s2 ] .
L’equazione (16.1) si riduce allora a
T
dτ̂ +Φ = 0
ds
e da questa segue che
1
dτ̂
= − Φ
,
ds
T
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sia diretta secondo la normale alla superficie vincodove l’assenza di attrito implica che Φ
lare nel punto considerato. D’altra parte nei punti biregolari della curva funicolare, essendo
non nulla la curvatura 1/ρ, risulta definito il versore n̂ normale alla curva
1
dτ̂
= n̂
ds
ρ
per cui la normale alla curva funicolare si identifica con la normale alla superficie. Pertanto, nei punti biregolari della curva di equilibrio il versore normale alla curva e quello
normale alla superficie sono paralleli. È questa la proprietà caratteristica delle cosiddette
linee geodetiche (1) della superficie S, che sono dunque individuate completamente dalle
equazioni:
dτ̂
dτ̂
· ϕu = 0
· ϕv = 0 .
(17.1)
ds
ds
Si tratta di un sistema di due equazioni differenziali del secondo ordine nelle variabili u, v.
Non tutte le curve su S sono linee geodetiche, ma soltanto quelle per le quali le funzioni
u(s) e v(s) soddisfano le (17.1).
17.1 Geodetiche come linee di lunghezza stazionaria ad
estremi fissi
Delle linee geodetiche di una superficie S si può dare una caratterizzazione più intuitiva
e del tutto equivalente come linee di lunghezza minima o stazionaria sulla superficie ad
estremi fissati.(1) Per illustrare e dimostrare questa caratterizzazione equivalente conviene
considerare la parametrizzazione di una curva regolare C 2 della superficie S nella sua
forma più generale, facendo uso di un parametro generico λ che non necessariamente abbia
il significato geometrico di una ascissa curvilinea:
P (λ) = ϕ[u(λ), v(λ)]
λ ∈ [λ1 , λ2 ] ,
,
con ϕ(u, v), u(λ) e v(λ) funzioni C 2 nei rispettivi domini di definizione. La condizione di
regolarità della curva viene soddisfatta, vista la regolarità di S, richiedendo semplicemente
che:
(u̇(λ), v̇(λ)) = (0, 0)
∀ λ ∈ [λ1 , λ2 ] ,
in modo che la derivata prima della parametrizzazione sia diversa da zero in tutto l’intervallo di definizione:
Ṗ (λ) =
du
dv
dϕ
(λ) = ϕu
+ ϕv
= ϕuu̇ + ϕv v̇
dλ
dλ
dλ
e la lunghezza della curva si scrive
λ2
L =
|Ṗ (λ)| dλ =
λ1
(1)
λ2
λ1
2 1/2
(Ṗ )
λ2
dλ =
Ldλ ,
(17.2)
λ1
queste curve sono a volte indicate come estremali della superficie, il termine geodetiche essendo riservato
alle sole curve di lunghezza minima, ad estremi fissati, sulla superficie (definizione di Kneser)
Stefano Siboni
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essendosi posto
1/2
L = (Ṗ 2 )1/2 = (ϕu u̇ + ϕv v̇)2
= L(u, v, u̇, v̇) .
(17.3)
Si consideri ora una nuova curva regolare C 2 sulla superficie S che abbia gli stessi estremi
P (λ1 ) e P (λ2 ). Tale curva viene detta curva variata a estremi fissi e la sua parametrizzazione si potrà esprimere nella forma
P̃ (λ) = ϕ[u(λ) + δu(λ), v(λ) + δv(λ)]
con le funzioni δu e δv definite e C 2 sullo stesso intervallo [λ1 , λ2 ] e nulle agli estremi:
δu(λ1 ) = δu(λ2 ) = 0
δv(λ1 ) = δv(λ2 ) = 0 .
La lunghezza della curva variata vale
λ2
L[u(λ) + δu(λ), v(λ) + δv(λ), u̇(λ) + δ u̇(λ), v̇(λ) + δ v̇(λ)] dλ
L̃ =
λ1
e al primo ordine negli incrementi δu, δv, δ u̇, δ v̇ la variazione della lunghezza della curva
variata rispetto a quella iniziale diventa
λ2
δL =
λ1
∂L
∂L
∂L
∂L
δu +
δv +
δ u̇ +
δ v̇ dλ .
∂u
∂v
∂ u̇
∂ v̇
(17.4)
Un modo formale per definire e ricavare questa espressione, nota come prima variazione
dell’integrale della lunghezza, consiste nel rappresentare gli incrementi δu e del δv in termini
di un parametro scalare arbitrario α e di funzioni C 2 arbitrarie ξ e η dell’intervallo [λ1 , λ2 ]:
δu(λ) = α ξ(λ)
δv(λ) = α η(λ)
con
ξ(λ1 ) = ξ(λ2 ) = 0
η(λ1 ) = η(λ2 ) = 0 .
La lunghezza della curva variata diventa allora funzione di α ∈ R, oltre che delle funzioni
preassegnate ξ, η,
λ2
L̃(α) =
L[u(λ) + αξ(λ), v(λ) + αη(λ), u̇(λ) + αξ̇(λ), v̇(λ) + αη̇(λ)] dλ
λ1
e la prima variazione dell’integrale della lunghezza si può definire come
λ2 d
∂L
∂L
∂L
∂L
δL := α
L(α)
δu +
δv +
δ u̇ +
δ v̇ dλ
=
dα
∂u
∂v
∂ u̇
∂ v̇
λ1
α=0
Stefano Siboni
(17.5)
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che coincide con la (17.4). L’espressione assume una forma più adatta alla successiva
discussione per mezzo di una integrazione per parti
λ2 λ2 λ2 λ2 ∂L
∂L
∂L d ∂L ∂L d ∂L δL =
+
δu +
δv
−
δu dλ+
−
δv dλ =
∂ u̇
∂ v̇
∂u dλ ∂ u̇
∂v dλ ∂ v̇
λ1
λ1
λ1
λ1
λ2 λ2 d ∂L d ∂L ∂L
∂L
−
−
=
δu dλ +
δv dλ .
∂u
dλ ∂ u̇
∂v
dλ ∂ v̇
λ1
λ1
Parametrizzazione e lunghezza della curva iniziale si ottengono per α = 0; se la curva
iniziale ha lunghezza minima, la funzione L̃(α) deve avere un minimo in α = 0 e quindi
in α = 0 deve annullarsi la derivata prima dL̃(α)/dα. Ne segue l’annullarsi della prima
variazione (17.5) e quindi l’equazione
λ2 λ2 d ∂L d ∂L ∂L
∂L
−
δu dλ +
−
δv dλ = 0
(17.6)
∂u
dλ ∂ u̇
∂v
dλ ∂ v̇
λ1
λ1
che deve essere verificata per ogni scelta delle funzioni δu ed δv, C 2 nell’intervallo di
integrazione e nulle agli estremi. La continuità delle funzioni entro parentesi quadre e
l’indipendenza di δu e δv consente di dimostrare facilmente che questa condizione equivale
al sistema di equazioni — di Eulero-Lagrange —


d ∂L ∂L



 dλ ∂ u̇ − ∂u = 0
L = (Ṗ 2 )1/2 .
(17.7)
∂L ∂L

d



 dλ ∂ v̇ − ∂v = 0
La sufficienza delle equazioni (17.7) per la validità delle (17.6) è evidente. La necessità si
prova per assurdo, ammettendo che esista un λ ∈ [λ1 , λ2 ] tale che uno dei primi membri
delle (17.7) sia diverso da zero. Per fissare le idee, si assuma ad esempio che
∂L
d ∂L
−
(17.8)
(λ ) > 0
dλ ∂ u̇
∂u
per λ ∈ (λ1 , λ2 ). Per continuità esisterà un intorno (λ − ε, λ + ε) ⊂ [λ1 , λ2 ] in cui la
funzione si mantiene strettamente positiva. Se si sceglie allora la funzione δu nella forma

 (λ − λ + ε)3 (λ + ε − λ)3 se λ ∈ (λ − ε, λ + ε)
δu(λ) =
0
per λ ∈ [λ1 , λ2 ] \ (λ − ε, λ + ε)
e si pone nel contempo δv = 0 — in modo da cancellare identicamente il secondo integrale
nella (17.6) — si perviene alla conclusione
λ2 λ2 d ∂L d ∂L ∂L
∂L
−
δu dλ +
−
δv dλ =
∂u
dλ ∂ u̇
∂v
dλ ∂ v̇
λ1
λ1
λ +ε d ∂L ∂L
δu dλ < 0
−
=
∂u
dλ ∂ u̇
λ −ε
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che è palesemente contraddittoria in quanto le funzioni δu e δv assegnate hanno tutte
le proprietà di regolarità prescritte per la validità della (17.6) — le due funzioni sono
C 2 nell’intervallo [λ1 , λ2 ] e si annullano agli estremi. Ad un analogo risultato si perviene nell’ipotesi che in (17.8) valga la diseguaglianza opposta, oppure λ sia un estremo
dell’intervallo [λ1 , λ2 ], o ancora che la relazione sia verificata per la funzione
d ∂L ∂L
−
.
dλ ∂ v̇
∂v
L’annullarsi della variazione prima dell’integrale della lunghezza è una condizione necessaria ma non sufficiente perché la lunghezza della curva a estremi fissati sia minima.
Quando la variazione prima è zero si parla più genericamente di stazionarietà dell’integrale della lunghezza. Le equazioni di Eulero-Lagrange (17.7) sono quindi equivalenti alla
stazionarietà dell’integrale della lunghezza della curva.
Non rimane che scrivere in modo più esplicito le equazioni di Eulero-Lagrange. Osservato
che
∂ Ṗ
∂ ∂P
=
ϕu (u, v)u̇ + ϕv (u, v)v̇ = ϕu(u, v) =
∂ u̇
∂ u̇
∂u
e
∂ Ṗ
∂ϕu
∂ ∂ϕv
=
ϕu (u, v)u̇ + ϕv (u, v)v̇ =
(u, v)u̇ +
(u, v)v̇ =
∂u
∂u
∂u
∂u
∂2ϕ
∂2ϕ
∂2ϕ
∂2ϕ
(u,
v)
u̇
+
(u,
v)
u̇
+
(u,
v)
v̇
=
(u, v)v̇ =
=
∂u2
∂u∂v
∂u2
∂v∂u
∂ ∂ϕ d ∂ϕ ∂ ∂ϕ u̇ +
v̇ =
,
=
∂u ∂u
∂v ∂u
dλ ∂u
con le analoghe espressioni per le derivate in v
∂ Ṗ
∂P
=
∂ v̇
∂v
d ∂P ∂ Ṗ
=
,
∂v
dλ ∂v
si ottiene
∂ Ṗ
∂P
∂L
1
Ṗ ∂P
·
= (Ṗ 2 )−1/2 2Ṗ ·
= (Ṗ 2 )−1/2 Ṗ ·
=
∂ u̇
2
∂ u̇
∂u
|Ṗ | ∂u
d ∂P ∂ Ṗ
∂L
1
Ṗ ∂ Ṗ
Ṗ
·
·
= (Ṗ 2 )−1/2 2Ṗ ·
=
=
∂u
2
∂u
|Ṗ | ∂u
|Ṗ | dλ ∂u
ossia
∂P
∂L
= τ̂ ·
∂ u̇
∂u
d ∂P ∂L
= τ̂ ·
,
∂u
dλ ∂u
per cui
d ∂P d ∂P dτ̂ ∂P
d ∂L ∂L
−
=
τ̂ ·
− τ̂ ·
=
·
= 0
dλ ∂ u̇
∂u
dλ
∂u
dλ ∂u
dλ ∂u
e analogamente
dτ̂ ∂P
d ∂L ∂L
−
=
·
= 0.
dλ ∂ v̇
∂v
dλ ∂v
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Perciò lungo la linea geodetica la derivata dτ̂ /dλ risulta normale alla superficie vincolare,
avendosi
dτ̂ ∂P
dτ̂ ∂P
·
= 0
·
= 0.
(17.9)
dλ ∂u
dλ ∂v
Poiché la stessa derivata è per definizione parallela al versore normale alla curva
dτ̂
n̂ ,
dλ
si conclude che lungo la geodetica la normale alla curva coincide punto per punto con la
normale alla superficie. Ciò conclude la dimostrazione.
17.2 Esempio. Geodetiche sul cilindro circolare
Per illustrare la nozione di linea geodetica su una superficie assegnata, si vogliono caratterizzare le linee geodetiche di una superficie cilindrica — cilindro circolare. La superficie
cilindrica in questione abbia asse coincidente con l’asse coordinato Oz e sezione circolare
di raggio R > 0, con parametrizzazione


 x = R cos u
y = R sin u u ∈ [0, 2π)


z = v
v ∈ R.
Una generica curva appartenente alla superficie si rappresenterà mediante la stessa parametrizzazione, a patto di sostituire agli argomenti u e v funzioni regolari del parametro λ
nell’intervallo [λ1 , λ2 ] ⊂ R
P (λ) − O = R cos u(λ) ê1 + R sin u(λ) ê2 + v(λ) ê3 .
(17.10)
La derivata prima in λ della parametrizzazione diventa perciò
Ṗ = −R sin u u̇ ê1 + R cos u u̇ ê2 + v̇ ê3
con modulo quadrato
Ṗ 2 = R2 u̇2 + v̇ 2
in modo che la funzione da integrare fra λ1 e λ2 per ottenere la lunghezza della curva è
data da
L = (R2 u̇2 + v̇ 2 )1/2 .
È ora sufficiente sostituire la parametrizzazione (17.10) nelle equazioni di Eulero-Lagrange

dτ̂



dλ
dτ̂



dλ
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∂ϕ
= 0
∂u
∂ϕ
·
= 0
∂v
·
41
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per ottenere il sistema di equazioni

dτ̂


· (− sin u ê1 + cos u ê2 ) = 0

dλ
dτ̂



· ê3 = 0
dλ
(17.11)
che caratterizzano tutte e sole le linee geodetiche sulla superficie cilindrica.
La seconda delle equazioni (17.11) equivale a
d
(τ̂ · ê3 ) = 0
dλ
per cui lungo la linea geodetica il prodotto τ̂ · ê3 deve mantenersi costante, ossia
(R2 u̇2
v̇
= a,
+ v̇ 2 )1/2
costante ,
(17.12)
con la costante a necessariamente compresa fra −1 e +1 — u̇ e v̇ sono numeri reali. È
opportuno distinguere i casi in cui la costante a sia diversa da zero o nulla.
(i) Se a = 0, allora dalla (17.12) si ha
v̇ = 0
e
|Ṗ | = (R2 u̇2 + v̇ 2 )1/2 =
v̇
a
sicché
u̇
−R sin u u̇ ê1 + R cos u u̇ ê2 + v̇ ê3
u̇
Ṗ
= a −R sin u ê1 + R cos u ê2 + ê3
=
τ̂ =
v̇/a
v̇
v̇
|Ṗ |
espressione nella quale, peraltro, la stessa equazione (17.12) implica che il quoziente
u̇/v̇ sia costante. Derivando rispetto a λ si ottiene allora
u̇ d
dτ̂
u̇
= aR
(− sin u ê1 + cos u ê2 ) = aR (− cos u ê1 − sin u ê2 ) u̇
dλ
v̇ dλ
v̇
e la prima delle equazioni (17.11) diventa
u̇
0 = −aR (cos u ê1 + sin u ê2 ) u̇ · (− sin u ê1 + cos u ê2 )
v̇
risultando cosı̀ identicamente soddisfatta. La seconda delle equazioni (17.11), ovvero
l’equivalente (17.12), è quindi la sola che caratterizza le linee geodetiche del sistema
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per a = 0. Essa porge la relazione
v̇ 2
= a2 ,
2
2
2
R u̇ + v̇
a2 ≤ 1
nella quale deve essere necessariamente v̇ = 0 e quindi
R2
ovvero
1
u̇2
+
1
=
v̇ 2
a2
u̇2
1 1
=
−
1
> 0
v̇ 2
R2 a2
per
− 1 < |a| < +1 ,
condizione che individua un’elica cilindrica. Per a = ±1 vale u̇ = 0 e quindi u =
costante, mentre v è libero. Si tratta di un segmento di retta parallelo alla generatrice
— ossia all’asse del cilindro.
(ii) Se a = 0 si ha invece v̇ = 0 — e u̇ = 0 — per cui
τ̂ =
u̇
(−R sin u ê1 + R cos u ê2 ) u̇
= (− sin u ê1 + cos u ê2 )
R|u̇|
|u̇|
e quindi
dτ̂
u̇
=
(− cos u ê1 − sin u ê2 ) u̇
dλ
|u̇|
in modo che la prima delle (17.11)
0 =
dτ̂
· (− sin u ê1 + cos u ê2 )
dλ
è identicamente soddisfatta. Anche in questo caso le geodetiche sono individuate
quindi dalla (17.12), ma con a = 0
v̇
= 0.
(R2 u̇2 + v̇ 2 )1/2
Si ha perciò v̇ = 0, cioè v = costante, mentre u è libero: la curva descritta è un arco
di circonferenza a quota z costante.
In conclusione, le geodetiche di una superficie cilindrica circolare retta sono di tre tipi
diversi: archi di elica cilindrica, archi di circonferenza di quota costante, segmenti di
retta paralleli alla generatrice, ovvero all’asse del cilindro. Si noti che circonferenze e
segmenti possono essere visti come casi limite di eliche cilindriche, di passo nullo o infinito.
rispettivamente.
Stefano Siboni
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17.3 Esempio. Geodetiche sulla sfera
Nel caso che la superficie vincolare sia una sfera è possibile ottenere una completa caratterizzazione delle linee geodetiche senza dovere ricorrere all’integrazione esplicita delle
equazioni di Eulero-Lagrange. Lungo una linea geodetica, di parametrizzazione P (s),
s ∈ [s1 , s2 ], il versore normale alla curva in un qualsiasi punto P (s) o non è definito, oppure risulta sempre normale anche alla superficie vincolare nello stesso punto. La prima
circostanza corrisponde all’essere dτ̂ /ds = 0, mentre la seconda ricorre nei punti di biregolarità, dove dτ̂ /ds = 0. In ogni caso, indicato con N̂ (s) il versore normale alla superficie
in un punto P (s) della geodetica, deve aversi
dτ
(s) N̂ (s)
ds
∀ s ∈ [s1 , s2 ] .
(17.13)
Per una superficie sferica, tuttavia, i vettori N̂ (s) e P (s) − O sono sempre paralleli e dalla
(17.13) si deduce quindi che
[P (s) − O] ∧
dτ̂
(s) = 0 .
ds
(17.14)
Si ha d’altra parte l’ovvia identità
dP
(s) ∧ τ̂ (s) = τ̂ (s) ∧ τ̂ (s) = 0
ds
che inserita nel primo membro della (17.14) porge
[P (s) − O] ∧
dτ̂
dP
(s) +
(s) ∧ τ̂ (s) = 0
ds
ds
ovvero
d
[P (s) − O] ∧ τ̂ (s) = 0
ds
Quest’ultima equazione implica che risulti
[P (s) − O] ∧ τ̂ (s) = K
∀ s ∈ [s1 , s2 ] .
∀ s ∈ [s1 , s2 ]
non nullo, in quanto prodotto vettoriale di due vettori certacon un vettore costante K
mente non nulli e fra loro ortogonali — normale alla sfera il primo e tangente alla sfera il
secondo. Moltiplicando scalarmente membro a membro per P (s) − O si ottiene cosı̀
· [P (s) − O] = 0
K
∀ s ∈ [s1 , s2 ]
che è l’equazione cartesiana di un piano passante per il centro O della superficie sferica. Si
conclude pertanto che le linee geodetiche sulla sfera sono archi di circonferenza massima
sulla sfera, le riconferenze massime essendo definite dall’intersezione della sfera con un
piano passante per il centro di questa.
Viceversa, è immediato verificare che tutti gli archi di circonferenza massima sono linee
geodetiche sulla sfera: basta osservare che in un generico punto di una circonferenza massima il versore normale ad essa è diretto verso il centro della circonferenza, che è anche
centro della sfera. Ne deriva che la normale alla circonferenza massima è anche normale
alla superficie, identificando cosı̀ la curva come linea geodetica.
Stefano Siboni
44
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18. Filo fortemente teso
su una superficie regolare con attrito
L’equazione indefinita di equilibrio per il filo fortemente teso è la (16.1)
dτ̂ dT
τ̂ + T
+Φ = 0
ds
ds
e conduce alle equazioni intrinseche:
dT
· τ̂ = 0
+Φ
ds
T
· n̂ = 0
+Φ
ρ
· b̂ = 0 ,
Φ
in cui il simbolo ρ designa il raggio di curvatura. Nel caso che la superficie di appoggio della
fune sia dotata di attrito, le configurazioni di equilibrio del filo fortemente teso non sono
necessariamente delle geodetiche della superficie. Tuttavia, per il principio di sicurezza,
le geodetiche con tensione T costante sono certamente delle particolari configurazioni di
equilibrio, sebbene non esauriscano la totalità degli equilibri possibili per il sistema. Per
semplicità si assume allora che la funicolare sia una geodetica sulla superficie. Il problema
è però comunque interessante: risulta infatti che non solo tutte le geodetiche sono curve
funicolari, ma lungo di esse la tensione T non è necessariamente costante. L’analisi che
segue va quindi oltre la semplice applicazione del principio di sicurezza.
L’ipotesi che la curva di equilibrio sia una linea geodetica consente di identificare il versore
normale alla curva in un punto, n̂, con il versore normale alla superficie nello stesso punto,
sicché i versori tangente τ̂ e binormale b̂ alla curva sono entrambi tangenti alla superficie
— per una curva qualsiasi soltanto τ̂ è tangente alla superficie, mentre nulla può dirsi a
proposito di b̂.
si scrive perciò
La componente normale alla superficie della reazione vincolare unitaria Φ
n̂
n̂ · Φ
e la corrispondente componente tangente vale
τ̂ + b̂ · Φ
b̂
τ̂ · Φ
per cui la condizione di equilibrio espressa dalla legge di Coulomb-Morin diventa
τ̂ + b̂ · Φ
b̂| ≤ µs |Φ
· n̂ n̂|
|τ̂ · Φ
ossia
o ancora
Stefano Siboni
T
dT
−
ds τ̂ + 0 b̂ ≤ µs − ρ
dT ≤ µs T .
ds ρ
n̂
(18.1)
45
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Ricordando che soltanto i valori positivi di T sono accettabili, la (18.1) equivale alla doppia
diseguaglianza
T
T
dT
−µs ≤
≤ µs
ρ
ds
ρ
ovvero a
µs
d
µs
−
≤
ln T ≤
.
ρ
ds
ρ
La condizione di equilibrio si traduce pertanto nel richiedere e assicurare l’esistenza di una
funzione α(s), definita nell’intervallo [0, L] e a valori in [−1, 1], tale che
d
µs
ln T = α(s)
ds
ρ
ossia
T (s)
= exp
T (s1 )
s
s1
µs
α ds
ρ
∀ s ∈ [s1 , s2 ]
∀ s ∈ [s1 , s2 ] .
(18.2)
Ne deriva che se la configurazione è di equilibrio il rapporto fra le tensioni applicate agli
estremi del filo deve soddisfare la prescrizione
s2
s2
T (s2 )
µs
µs
ds ≤
≤ exp +
ds
(18.3)
exp −
ρ
T (s1 )
ρ
s1
s1
ovviamente simmetrica negli estremi s1 ed s2 . Viceversa, se il quoziente delle tensioni agli
estremi verifica la (18.3) è certamente possibile determinare una funzione α(s) ∈ [−1, 1]
compatibile con la relazione (18.2). Una scelta possibile è data da α(s) = α0 , costante,
ponendo
s2
µs
T (s2 )
ds ∈ [−1, 1] .
α0 = ln
T (s1 )
ρ
s1
Perciò la condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio nella configurazione geodetica
assegnata è che il rapporto delle tensioni agli estremi sia compreso entro i limiti anzidetti
s2
T (s2 )
1
µs
s2
≤
≤ exp
ds .
(18.4)
µs
T (s1 )
ρ
s1
exp
ds
ρ
s1
La relazione (18.4) estende l’insieme delle configurazioni di equilibrio al di là della semplice
applicazione del principio di sicurezza: fra le possibili funicolari non si hanno soltanto le
geodetiche con tensione T costante, che esauriscono la totalità degli equilibri ottenibili
ignorando gli attriti, ma anche le linee geodetiche ai capi delle quali siano soddisfatte le
diseguaglianze (18.4).
18.1 Fune avvolta su un cilindro
Si applica il risultato precedente e le nozioni acquisite sulle linee geodetiche per studiare
la condizione di equilibrio di un filo avvolto su un mozzo cilindrico munito di attrito. Si
Stefano Siboni
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assume che la configurazione di equilibrio della fune sia una linea geodetica, per cui sono
possibili due scelte:
(i) arco di circonferenza ortogonale all’asse del cilindro. Poiché la fune è di sezione trascurabile per definizione, è dato considerare l’eventualità che essa sia avvolta per più
giri attorno al mozzo cilindrico;
(ii) arco di elica cilindrica, il cui asse coincida con l’asse del cilindro.
Per semplicità ci si limita a esaminare il primo caso. Per un arco di circonferenza il raggio
di curvatura ρ è costante e coincide con il raggio R della circonferenza stessa, ovvero del
mozzo cilindrico. Se il coefficiente di attrito radente statico è costante, allora la condizione
di equilibrio diventa
µs
TB
µs
exp − (s2 − s1 ) ≤
≤ exp + (s2 − s1 )
R
TA
R
essendo s2 − s1 la lunghezza del tratto di filo a contatto con la superficie del cilindro. Le
tensioni che realizzano l’equilibrio del filo possono essere molto diverse: il loro quoziente
deve risultare inferiore ad un coefficiente che cresce esponenzialmente con la lunghezza
del tratto di fune avvolto sul mozzo. Bastano pochi giri di fune per equilibrare una grande
tensione TB applicata ad un capo del filo, con una piccola tensione all’altro capo. Ciò
spiega, in particolare, perché sia possibile ormeggiare un’imbarcazione anche di grande
massa usando una gomena sufficientemente robusta e avvolta un numero adeguato di volte
attorno ad un mozzo di ormeggio.
19. Complemento. Moti geodetici
Le linee geodetiche di una superficie regolare S, oltre a rappresentare tutte e sole le curve
funicolari per un filo fortemente teso sulla superficie liscia S, sono suscettibili di una
notevole interpretazione meccanica.
Si supponga infatti che un punto materiale P , di massa m, sia vincolato a muoversi senza
attrito sulla superficie fissa S di parametrizzazione regolare
P − O = ϕ(u, v) D ⊆ R2
e senza essere sottoposto ad alcuna sollecitazione attiva. Si suole dire che il moto è libero
o inerziale, in quanto il punto materiale non è soggetto ad altre forze se non quelle di
reazione vincolare associate alla superficie. Il sistema è chiaramente scleronomo e a due
gradi di libertà, con coordinate lagrangiane u, v e lagrangiana
L(u, v, u̇, v̇) = T =
1
1
mṖ 2 = m(ϕu u̇ + ϕv v̇)2 .
2
2
Data l’assenza di sollecitazioni dissipative, le equazioni del moto sono:
d ∂L ∂L
d ∂L ∂L
−
= 0
−
= 0
dλ ∂ u̇
∂u
dλ ∂ v̇
∂v
Stefano Siboni
47
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e il teorema dell’energia cinetica assicura la conservazione dell’energia meccanica, ovvero
dell’energia cinetica
1
H(u, v, u̇, v̇) = T = m(ϕuu̇ + ϕv v̇)2
2
che dunque si mantiene costante lungo qualsiasi moto naturale del sistema
1
m(ϕu u̇ + ϕv v̇)2 = E ,
2
costante .
D’altra parte, l’energia cinetica può riesprimersi in modo ovvio mediante l’ascissa curvilinea
s della traiettoria del moto
1
1
T = mṖ 2 = mṡ2
2
2
sicché risulta, lungo un qualsiasi moto naturale,
1 2
mṡ = E = costante
2
⇐⇒
ṡ2 =
2E
= costante
m
per cui la velocità scalare istantanea ṡ è costante: tutti i moti liberi, come appare peraltro
ragionevole, sono uniformi.
Per E = 0 la velocità scalare istantanea si mantiene costantemente nulla e il moto del sistema si riduce semplicemente alla quiete. Si noti che nel caso libero tutte le configurazioni
del sistema sono di equilibrio, in modo che il sistema può essere collocato in quiete in una
qualsiasi configurazione compatibile con il vincolo — nella quale cioè il punto P appartiene
alla superficie S.
Il caso interessante si ha per E > 0, quando il punto materiale non è in quiete. Il postulato
delle reazioni vincolari porge l’equazione del moto
ms̈ τ̂ +
mṡ2
n̂ = Φ
ρ
in cui, al solito, τ̂ , n̂ e ρ sono rispettivamente il versore tangente, il versore normale
e il raggio di curvatura della traiettoria nella posizione occupata dal punto all’istante
indica la reazione vincolare che la superficie S esercita sul punto
considerato, mentre Φ
materiale nella stessa posizione. Ma in forza della uniformità dei moti l’accelerazione
scalare istantanea s̈ risulta costantemente nulla e l’equazione precedente deve quindi ridursi
a
mṡ2
,
n̂ = Φ
ρ
con il termine di accelerazione a primo membro normale alla traiettoria del moto. D’altra
deve risultare diretta secondo la normale alla superficie, in
parte, la reazione vincolare Φ
quanto questa è per ipotesi incapace di esercitare forze di attrito radente. L’equazione
del moto impone pertanto che, per qualunque moto naturale del sistema, la traiettoria del
moto abbia in ogni suo punto la normale coincidente con quella della superficie nello stesso
punto, cioè che tale traiettoria sia una linea geodetica della superficie stessa. Si conclude
pertanto che
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i moti liberi, che non siano stati di quiete, avvengono lungo traiettorie geodetiche della
superficie vincolare.
È vero anche il viceversa. Se infatti si considera una qualsiasi geodetica P (s) di S e la
si percorre di moto uniforme, con velocità scalare istantanea ṡ costante, l’accelerazione
istantanea del moto vale
ṡ2
ṡ2
P̈ = s̈ τ̂ +
n̂ =
n̂
ρ
ρ
e per definizione di linea geodetica deve risultare diretta secondo la normale alla superficie.
Il moto considerato è quindi naturale per il sistema, in quanto la reazione vincolare che lo
realizza
2
= mP̈ = m ṡ n̂
Φ
ρ
è un generico vettore normale alla superficie vincolare, certamente esplicabile dal vincolo
liscio. Perciò
qualsiasi moto uniforme, con velocità scalare istantanea non nulla, che avvenga lungo una
linea geodetica della superficie costituisce un moto naturale del sistema.
Alle stesse conclusioni si può pervenire, in modo più formale, scrivendo esplicitamente e
semplificando le equazioni di Lagrange. Si ha infatti
d
∂ Ṗ d
∂P ∂P
d ∂L d ∂P =
mṖ ·
=
mṖ ·
= mP̈ ·
+ mṖ ·
dt ∂ u̇
dt
∂ u̇
dt
∂u
∂u
dt ∂u
e
∂L
∂ Ṗ
d ∂P = mṖ ·
= mṖ ·
∂u
∂u
dt ∂u
per cui l’equazione di Eulero-Lagrange in u diventa
mP̈ ·
∂P
= 0
∂u
(19.1)
∂P
= 0.
∂v
(19.2)
e, analogamente, quella in v si riduce a
mP̈ ·
La conservazione dell’energia cinetica e la conseguente costanza di ṡ consentono di riscrivere
le equazioni (19.1)-(19.2) nelle forme equivalenti
mṡ2
d2 P ∂P
= 0
·
ds2 ∂u
mṡ2
d2 P ∂P
= 0
·
ds2 ∂v
che per ṡ = 0 diventano
dτ̂ ∂P
·
= 0
ds ∂u
dτ̂ ∂P
·
= 0
ds ∂v
e caratterizzano tutte e sole le linee geodetiche della superficie vincolare — al pari delle
equazioni (17.9), sebbene usando l’ascissa curvilinea s in luogo del generico parametro λ.
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20. Complemento. Catenaria non omogenea
Con il termine di catenaria non omogenea si designa la curva funicolare di un filo non
omogeneo soggetto alla sola forza peso. La curva è ovviamente piana e si può sempre
scegliere la terna di riferimento in modo che il piano di giacitura venga a coincidere con
il piano coordinato Oxy, essendo Oy l’asse verticale. La parametrizzazione della curva di
equilibrio si esprime nella forma cartesiana
x ∈ [x1 , x2 ]
y = y(x) ,
mentre la densità λ sarà in generale funzione dell’ascissa curvilinea s lungo la stessa curva
funicolare e si potrà quindi rappresentare come una funzione nota di s
x
2 1/2
[1 + y (x) ] dx
λ = λ(s) = λ
x1
essendo naturalmente
x
s = s(x) =
[1 + y (x)2 ]1/2 dx ∈ [0, L]
x1
con
x2
L =
[1 + y (x)2 ]1/2 dx
x1
lunghezza complessiva della fune. L’equazione della funicolare (10.6) si scrive allora
x
1
dy g
2 1/2
= λ
[1 + y (x) ] dx
(20.1)
dx (1 + y 2 )1/2
c
x1
e costituisce un’equazione integro-differenziale nella funzione incognita y(x). In essa compare la costante c > 0, che si interpreta come la componente orizzontale della tensione.
L’equazione dipende in realtà dalla derivata prima y , fatto questo che riflette l’invarianza
per traslazioni della condizione di equilibrio della fune. Posto allora y = ξ, l’equazione di
equilibrio diventa
x
g
1
dξ
2 1/2
= λ
(1 + ξ ) dx
dx (1 + ξ 2 )1/2
c
x1
e quindi
x
g
dξ
2 1/2
(1 + ξ ) dx (1 + ξ 2 )1/2 .
= λ
dx
c
x1
(20.2)
Indicata con Λ(s) una qualsiasi primitiva di λ(s) nell’intervallo s ∈ [0, L]
Λ (s) = λ(s)
∀s ∈ [0, L] ,
per il teorema di derivazione delle funzioni composte l’equazione (20.2) assume la forma
x
g d
dξ
=
Λ
(1 + ξ 2 )1/2 dx
dx
c dx
x1
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50
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ossia, equivalentemente,
x
d
g
(1 + ξ 2 )1/2 dx
ξ− Λ
= 0
dx
c
x1
e pertanto
g
ξ− Λ
c
da cui si conclude
x
2 1/2
(1 + ξ )
dx = a ,
costante ,
x1
c
(ξ − a) = Λ
g
x
2 1/2
(1 + ξ )
dx .
(20.3)
x1
Ma Λ è una funzione strettamente crescente, in quanto
Λ (s) = λ(s) > 0
∀ s ∈ [0, L]
e dunque ammette inversa Λ−1 continua e derivabile, con derivata espressa da
1
1
dΛ−1
(u) =
=
−1
dΛ du
λ[Λ (u)]
(s)
−1
ds
s=Λ (u)
∀ u ∈ [Λ(0), Λ(L)] .
(20.4)
Perciò la (20.3) equivale a
x
2 1/2
(1 + ξ )
dx = Λ
x1
−1
c
(ξ − a)
g
e derivando rispetto alla variabile x si ottiene
2 1/2
(1 + ξ )
dΛ−1
c dξ
(u)
=
du
u= c (ξ−a) g dx
g
per cui, in virtù della (20.4),
(1 + ξ 2 )1/2 =
1
c dξ
c
g dx .
λ Λ−1 (ξ − a)
g
(20.5)
L’equazione (20.5) si riduce alla forma normale del primo ordine
g
dξ
2 1/2
−1 c
= (1 + ξ ) λ Λ
(ξ − a)
dx
c
g
e può essere risolta per separazione di variabili, ad esempio nella forma
ξ(x)
g
1
(1 + ξ 2 )−1/2 dξ = c (x − x1 )
c
λ Λ−1 (ξ − a)
ξ(x1 )
g
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(20.6)
51
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dove a causa della (20.3) la costante di integrazione ξ(x1 ) è determinata univocamente
dalle costanti c e a
g
ξ(x1 ) = a + Λ(0) .
c
Dalla (20.6) si ricava la soluzione in funzione delle due costanti arbitrarie c ed a
ξ = ξ(x; c, a)
e poiché ξ = y , una ulteriore integrazione porge la soluzione generale
y(x) =
ξ(x; c, a) dx + b , x ∈ [x1 , x2 ]
che viene pertanto a dipendere da tre costanti arbitrarie — a, b e c. Queste possono essere
determinate, al solito, assegnando le posizioni degli estremi e la lunghezza complessiva L
della fune.
21. Complemento.
Sistemi olonomi vincolati con fili tesi
I fili trovano ampia applicazione anche nello studio dei sistemi olonomi. Alcuni importanti esempi di sistemi olonomi sono caratterizzati da vincoli ottenuti per mezzo di fili
tesi, perfettamente flessibili e di massa trascurabile. In queste condizioni il filo trasmette
inalterate le forze di tensione lungo il proprio supporto anche in condizioni dinamiche,
grazie all’ipotesi di massa trascurabile. Poiché infatti la massa del filo si assume trascurabile, e dunque virtualmente nulla, mentre le velocità ed accelerazioni di ogni suo punto
devono mantenersi finite, ad ogni istante le equazioni cardinali della statica devono essere
soddisfatte per ogni elemento di filo — che in caso contrario sperimenterebbe accelerazioni
estremamente violente, virtualmente di modulo infinito. Si esaminano con un certo dettaglio gli esempi notevoli della macchina di Atwood, della puleggia mobile e del pendolo
semplice a filo.
21.1 Macchina di Atwood
Nella macchina di Atwood due corpi puntiformi pesanti, di masse rispettive m e M,
sono vincolati a muoversi verticalmente e collegati fra loro mediante un filo inestendibile,
perfettamente flessibile e di massa trascurabile che scorre senza attrito su una puleggia
fissa — vedi figura. Il filo ideale scorre senza
attrito sulla carrucola fissa e dunque la sua
tensione si mantiene costante in modulo da
un capo all’altro, sia in condizioni statiche
che in condizioni dinamiche, per via della
condizione di massa trascurabile.
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52
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Equazioni del moto
Introdotta una terna di riferimento Oxyz con l’asse Ox diretto verticalmente verso l’alto,
il corpo di massa m è soggetto alla forza peso −mg ê1 ed alla forza di tensione T ê1 del filo.
Se si indica con x la quota del corpo di massa m, l’equazione del moto di questo si scrive
mẍ = T − mg .
La condizione di inestendibilità del filo implica che la quota del secondo corpo si possa
esprimere nella forma
costante − x ;
poiché le forze agenti sono il peso −Mg ê1 e la tensione T ê1 , la corrispondente equazione
del moto diventa perciò
−M ẍ = T − Mg .
Dalle equazioni del moto si deduce
ẍ =
T
−g
m
ẍ = −
T
+g
M
per cui, confrontando i secondi membri,
T
T
−g = −
+g
m
M
e la tensione del filo vale pertanto
T = 2g
Mm
.
M +m
L’equazione del moto per il corpo di massa M viene cosı̀ determinata esplicitamente:
ẍ = 2g
M −m
M
−g =
g.
M +m
M +m
Il moto dei due corpi è quindi uniformemente accelerato, il primo con accelerazione
M −m
g
M +m
ed il secondo con accelerazione opposta
−
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M −m
g.
M +m
53
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Approccio lagrangiano
Le tensioni applicate ai due corpi puntiformi devono essere interpretate come forze di
reazione vincolare, le sole applicate ai corpi costituenti il sistema — filo e puleggia fissa
sono soltanto dispositivi meccanici che esprimono i vincoli. È facile convincersi che il
sistema soddisfa al principio delle reazioni vincolari e può quindi essere considerato a
vincoli ideali. Gli spostamenti virtuali delle masse puntiformi m ed M si scrivono infatti,
rispettivamente,
− δx ê1
δx ê1
∀ δx ∈ R
per cui la potenza virtuale delle reazioni vincolari vale
δx ê1 · T + (−δx ê1 ) · T
e risulta quindi identicamente nulla per qualsiasi spostamento virtuale e per qualsiasi
tensione esplicabile dal filo — diretta verticalmente verso l’alto. Le equazioni pure del
moto del sistema possono perciò essere determinate facendo uso dell’equazione simbolica
della dinamica e dunque del formalismo lagrangiano. Le sollecitazioni attive agenti sul
sistema si riducono alle sole forze peso, per cui la dinamica del sistema viene descritta per
mezzo della funzione lagrangiana. L’energia cinetica del sistema è la somma delle energie
cinetiche dei due corpi
T =
1
m+M 2
1
mẋ2 + M(−ẋ)2 =
ẋ
2
2
2
e il potenziale del sistema è quello associato alle forze peso:
U = −mgx − Mg(L − x) = (M − m)gx + costante .
La lagrangiana del sistema risulta perciò
L = T +U =
m+M 2
ẋ + (M − m)gx
2
e porge l’equazione del moto
d ∂L ∂L
−
= (M + m)ẍ − (M − m)g = 0
dt ∂ ẋ
∂x
che coincide con quella già precedentemente determinata.
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54
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21.2 Puleggia mobile
Si consideri il sistema costituito da una puleggia mobile sulla quale è innestata senza
possibilità di scorrimento una fune ideale perfettamente flessibile, imponderabile ed inestendibile, che collega fra loro due corpi puntiformi A e B di masse rispettive m ed M,
mantenendosi costantemente tesa. Si indica
con R il raggio della puleggia e con I il momento d’inerzia della stessa rispetto al suo
asse fisso. I corpi A e B sono pesanti e vincolati a muoversi lungo la direzione verticale,
rappresentata dall’asse Oy di una terna di
riferimento Oxyz.
Equazioni del moto
I tratti verticali di fune, tesi e di massa trascurabile, trasmettono inalterata la tensione
fra i punti materiali e la puleggia; la presenza di forze di attrito, essenziali per mettere
in rotazione la puleggia mantenendo l’adesione di questa con la fune, implica tuttavia che
la tensione della fune debba variare lungo il tratto di fune a contatto con la puleggia. Si
indichino con T1 = T1 ê2 e T2 = T2 ê2 le tensioni applicate ai corpi A e B rispettivamente.
Le relative reazioni che i due tratti verticali di fune esercita sulla puleggia valgono quindi
−T1 = −T1 ê2 e −T2 = −T2 ê2 , rispettivamente applicate nei punti A e B in figura. Il
punto A è soggetto al proprio peso −mgê2 alla tensione T1 ê2 per cui, indicata con y la
quota del punto, la sua equazione del moto si scrive
mÿ = T1 − mg .
A meno di una costante fissata, connessa alla lunghezza complessiva della fune e al raggio
R della puleggia, la quota di B vale −y e l’accelerazione di questo si riduce a −ÿê2 ;
essendo soggetto alla tensione T2 ê2 e alla forza peso −Mgê2 , il punto deve perciò soddisfare
l’equazione del moto
−M ÿ = T2 − Mg .
Quanto alla puleggia, che si assume con asse fisso privo di attrito, il suo moto è governato
dall’equazione
I θ̈ = [(−Rê1 ) ∧ (−T1 ê2 ) + Rê1 ∧ (−T ê2 )] · ê3 = R(T1 − T2 ) .
essendosi assunto nullo il momento risultante delle reazioni vincolari agenti sull’asse Cz.
Si noti che nelle tre equazioni differenziali precedenti le tensioni incognite T1 e T2 vanno
interpretate come forze di reazione vincolare e devono quindi essere rimosse per ottenere
le equazioni pure del moto. A questo scopo occorre considerare che le variabili y e θ del
sistema non sono indipendenti, dovendo risultare
y + Rθ = costante
Stefano Siboni
55
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per via della postulata, perfetta aderenza della fune alla puleggia. Il sistema di equazioni
da risolvere è quindi dato da:

mÿ = T1 − mg




 M ÿ = −T2 + Mg

I θ̈ = R(T1 − T2 )




Rθ̇ + ẏ = 0 .
Le prime due equazioni porgono per le tensioni le espressioni
T1 = mg + mÿ
T2 = Mg − M ÿ
che sostituite nell’equazione del moto della puleggia conducono alla relazione
I θ̈ = R(mg + mÿ − Mg + M ÿ) = R(m − M)g + R(m + M)ÿ ,
nella quale θ̈ = −ÿ/R. Si ha perciò
−
e quindi
I
ÿ = R(m − M)g + R(m + M)ÿ
R
m+M +
I ÿ = (M − m)g .
R2
Il moto del corpo A è quindi uniformemente accelerato lungo la direzione verticale, con
accelerazione scalare
M −m
ÿ =
g.
I
m+M + 2
R
Uniformemente accelerati sono anche il moto rettilineo del punto B, con accelerazione
opposta
M −m
−
g,
I
m+M + 2
R
e quello rotatorio della puleggia, la cui accelerazione angolare istantanea scalare si scrive:
−
ÿ
= −
R
M −m
g
.
I R
m+M + 2
R
Approccio lagrangiano
Anche questo sistema può riguardarsi a vincoli ideali. La potenza virtuale delle reazioni
vincolari si scrive infatti:
φ + Rδθ ê2 · T2
π φ = −Rδθ ê2 · T1 + δθ ê3 · M
C
Stefano Siboni
∀ δθ ∈ R
56
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e la condizione di idealità dei vincoli impone perciò che il momento assiale delle reazioni
vincolari applicate alla puleggia, rispetto all’asse Cz, si esprima in termini delle tensioni
T1 e T2 per mezzo della relazione
φ = R ê2 · T1 − R ê2 · T2 = R(T1 − T2 ) .
ê3 · M
C
Nella fattispecie, la condizione risulta certamente verificata, in quanto l’asse Cz della
puleggia è per ipotesi privo di attrito e le sole reazioni vincolari esterne che producono
momento sulla puleggia rispetto allo stesso asse sono le sole tensioni −T1 in A e −T2 in
B . Scelta l’ordinata y come coordinata generalizzata, la lagrangiana del sistema assume
la forma
1 ẏ 2
m 2 M
− mgy − Mg(−y) =
L =
ẏ +
(−ẏ)2 + I −
2
2
2
R
1
I 2
=
m + M + 2 ẏ + (M − m)gy
2
R
in modo che l’equazione di Lagrange
d ∂L ∂L
−
= 0
dt ∂ ẏ
∂y
diventa
I ÿ − (M − m)g = 0 ,
R2
in accordo con il risultato già ricavato in precedenza.
m+M +
21.3 Pendolo semplice a filo
Secondo la usuale definizione, un pendolo semplice è costituito da un punto materiale
pesante vincolato a scorrere senza attrito lungo una circonferenza fissa disposta in un piano
verticale. Tale definizione, sebbene più semplice dal punto di vista della trattazione teorica,
non corrisponde tuttavia alla nozione più familiare di pendolo semplice, che vede realizzato
il dispositivo collegando un punto materiale pesante P ad un punto fisso O mediante un
filo flessibile, inestendibile e di massa trascurabile. Indicata con R la lunghezza costante
del filo, che si suppone sempre teso, e assunti per semplicità tutti i moti localizzati in un
piano verticale, il moto del punto materiale avviene interamente in una circonferenza fissa
di centro O, raggio R, collocata nel piano verticale preassegnato. Se si identifica detto
piano con il piano coordinato Oxy di una terna cartesiana ortogonale Oxyz, con l’asse
verticale Oy orientato verso l’alto, la parametrizzazione della circonferenza vincolare si
scrive
P (θ) − O = R(sin θ ê1 − cos θ ê2 ) , θ ∈ R
in termini dell’angolo al centro θ misurato fra la verticale condotta da O verso il basso ed
il raggio OP . La derivata prima della parametrizzazione — regolare — vale allora
P (θ) =
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dP
(θ) = R(cos θ ê1 + sin θ ê2 )
dθ
57
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e definisce il versore tangente alla traiettoria per mezzo dell’ovvia relazione
τ̂ (θ) =
P (θ)
= cos θ ê1 + sin θ ê2
|P (θ)|
∀θ ∈ R
che derivata ulteriormente in θ porge il versore normale
dτ̂
(θ) = − sin θ ê1 + cos θ ê2 = n̂(θ) .
dθ
In termini dell’ascissa curvilinea s = Rθ e
del raggio di curvatura ρ = R l’equazione del
moto del punto P , di massa m, è data dal
postulato delle reazioni vincolari:
ms̈τ̂ +
mṡ2
n̂ = −mg ê2 + Φ
ρ
ossia, sostituendo le espressioni di s e ρ e semplificando,
mRθ̈τ̂ + mRθ̇2 n̂ = −mg ê2 + Φ
indica la reazione vincolare agente sul punto materiale. Poiché il filo si asdove Φ
sume sempre teso, la reazione vincolare risulta comunque diretta lungo n̂. La proiezione
dell’equazione precedente lungo il versore tangente porge pertanto l’equazione pura del
moto
mRθ̈ = −mg sin θ .
La reazione vincolare lungo un generico moto naturale del sistema diventa cosı̀
= mg ê2 + mRθ̈τ̂ + mRθ̇2 n̂ = mg ê2 − mg sin θ τ̂ + mRθ̇2 n̂
Φ
dove peraltro
ê2 = ê2 · τ̂ τ̂ + ê2 · n̂ n̂ = sin θ τ̂ + cos θ n̂
e quindi:
= mg cos θ n̂ + mRθ̇2 n̂ = m(g cos θ + Rθ̇2 ) n̂
Φ
La relazione vale se e soltanto se θ(t) descrive un moto naturale del sistema — corrisponde
cioè ad una soluzione dell’equazione pura del moto. Si osservi tuttavia che, a differenza di
quanto avverrebbe per una circonferenza vincolare rigida e liscia, in un pendolo realizzato
con un filo deve aversi
· n̂ ≥ 0
Φ
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in quanto il filo può esercitare una forza di trazione su P , ma non è in grado di sospingerlo. Di conseguenza, un moto naturale oltre a soddisfare le equazioni di Lagrange deve
verificare la condizione supplementare
g cos θ + Rθ̇2 ≥ 0
g
cos θ. Detta condizione si traduce, di fatto, in una restrizione sulla
R
regione del piano delle fasi (θ, θ̇) ∈ R2 effettivamente accessibile al sistema. La regione
del piano delle fasi nella quale sono definiti i moti del pendolo è evidenziata col tratteggio
nella figura seguente:
ovvero θ̇2 ≥ −
in cui i contorni corrispondono alla curva di equazione g cos θ + Rθ̇2 = 0. La condizione
di ammissibilità impone che per θ ∈ [π/2, 3π/2] la velocità angolare istantanea θ̇ — e
con quella la velocità θ̇τ̂ (θ) del punto P — abbia modulo |θ̇| sufficientemente elevato.
Soltanto in tale circostanza, infatti, la tensione del filo è chiamata ad esercitare su P una
forza diretta verso il centro O e non in senso avverso, azione che il filo ideale risulta
effettivamente in grado di esplicare.
In caso contrario il filo non è in condizione di
esercitare la reazione che serve a mantenere
il punto materiale sulla traiettoria circolare:
mentre il filo O − P non è più teso, il punto si
distacca perciò dalla circonferenza di centro
O e raggio R e prende a muoversi di moto
libero — parabolico — fino a che non torna
ad incontrare la circonferenza in un’altra posizione, laddove il filo tornerà a tendersi.
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59
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22. Complemento. Problema a valori al
contorno per l’equazione dei ponti sospesi
Nel piano verticale Oxy, con asse orizzontale Ox e asse verticale Oy orientato verso l’alto,
si consideri una fune ideale di lunghezza L e massa trascurabile cui sia agganciata, tramite
un fitto sistema di tiranti verticali, un’asta orizzontale omogena di densità λ. L’equazione
dei ponti sospesi prevede che all’equilibrio la fune debba disporsi secondo una parabola di
equazione cartesiana
λg x2
y(x) =
+ ax + b
x ∈ R,
c 2
dove g è l’accelerazione di gravità, c > 0 la componente orizzontale costante della tensione
della fune ed a, b ∈ R due costanti opportune. Assegnate le coordinate (x1 , y1 ) e (x2 , y2 )
degli estremi della fune, con x1 < x2 e y1 ≤ y2 , ci si propone di determinare la condizione
necessaria e sufficiente per l’esistenza e l’unicità della configurazione di equilibrio della fune,
e di ricavare le espressioni per le costanti a, b e c > 0 che individuano la configurazione
di equilibrio. Si potrà cosı̀ constatare come la soluzione del problema a valori al contorno
risulti tutt’altro che banale anche in questo caso relativamente semplice.
22.1 Condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio
La configurazione di equilibrio della fune è completamente specificata dalle costanti a, b
e c > 0, che devono essere determinate assegnando le condizioni al contorno y(x1 ) = y1 ,
y(x2 ) = y2 e imponendo che la lunghezza della curva funicolare sia uguale alla lunghezza
L della fune. Le condizioni al contorno assumono la forma
λg x21
+ ax1 + b = y1
c 2
λg x22
+ ax2 + b = y2
c 2
e sottraendo membro a membro conducono all’espressione
y2 − y1
λg x22 − x21
λg x2 + x1
1
=
y2 − y1 −
−
a =
x2 − x1
c
2
x2 − x1
c
2
(22.1)
e alla conseguente relazione per il coefficiente b:
b = y2 − ax2 −
λg x22
y2 − y1
λg x2 + x1
λg x22
= y2 −
x2 −
=
x2 +
c 2
x2 − x1
c
2
c 2
λg x1 x2
y1 x2 − y2 x1
+
=
x2 − x1
c 2
(22.2)
in termini del parametro λg/c. Per la lunghezza della curva si ha invece l’equazione
L =
x2 x1
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x2 1 + y (x)2 dx =
1+
λg
c
2
x + a dx
x1
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che con la sostituzione ξ =
λg
x + a diventa
c
a+λg
c x2
L =
1 + ξ2
c
dξ
λg
a+ λg
c x1
a+λg
c x2
⇐⇒
1 + ξ 2 dξ =
λg
L
c
a+ λg
c x1
e ricordando la primitiva
1 1
1 + ξ 2 dξ = ξ 1 + ξ 2 + arcsinhξ
2
2
si riduce a
λg 1+ a+
a+
x2
c
λg x1
1+ a+
− a+
c
λg 2
x2 + arcsinh a +
c
λg 2
x1 − arcsinh a +
c
λg x2 −
c
λg
λg x1 = 2L
.
c
c
(22.3)
Le costanti a ∈ R e λg/c > 0 possono essere ricavate risolvendo il sistema non lineare delle
equazioni (22.1) e (22.3):

y2 − y1
λg x2 + x1


−a+
−
= 0


x2 − x1
c
2



 1 c λg λg 2 λg λg 2
(22.4)
a+
x2
x2 − a +
x1
x1 +
1+ a+
1+ a+

2 λg
c
c
c
c





λg
λg


x2 − arcsinh a +
x1
= L
+arcsinh a +
c
c
per poi calcolare b tramite la (22.2). Dalla prima equazione si deduce che
y2 − y1
λg x2 + x1
−
x2 − x1
c
2
y2 − y1
λg x2 − x1
λg
x2 =
+
a+
c
x2 − x1
c
2
y2 − y1
λg x2 − x1
λg
x1 =
−
a+
c
x2 − x1
c
2
a =
(22.5)
e introdotte per brevità le notazioni
ρ =
y2 − y1
> 0
x2 − x1
ξ =
λg x2 − x1
> 0
c
2
(22.6)
la seconda delle (22.4) diventa
x2 − x1 1 2
2
(ρ+ξ) 1 + (ρ + ξ) −(ρ−ξ) 1 + (ρ − ξ) +arcsinh(ρ+ξ)−arcsinh(ρ−ξ) = L .
4
ξ
(22.7)
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Quest’ultima equazione deve essere risolta in ξ > 0 a ρ > 0 fissato, in modo da poter
ricavare il coefficiente incognito λg/c.
Per discutere la condizione di esistenza ed unicità della soluzione si rende necessario studiare l’andamento della funzione
x2 − x1 1 (ρ + ξ) 1 + (ρ + ξ)2 − (ρ − ξ) 1 + (ρ − ξ)2 +
ψ(ρ, ξ) =
4
ξ
+ arcsinh(ρ + ξ) − arcsinh(ρ − ξ)
(ρ, ξ) ∈ R+ × R+
che compare nel primo membro della (22.7). A questo scopo si riconosce preliminarmente
che la derivata parziale prima di ψ(ρ, ξ) rispetto a ρ è strettamente positiva:
x2 − x1 1 ρ+ξ
∂ψ
(ρ, ξ) =
1 + (ρ + ξ)2 + (ρ + ξ) − 1 + (ρ − ξ)2 −
∂ρ
4
ξ
1 + (ρ + ξ)2
1
1
ρ−ξ
=
+
−
− (ρ − ξ) 1 + (ρ − ξ)2
1 + (ρ + ξ)2
1 + (ρ − ξ)2
x2 − x1 1 2
2
1 + (ρ + ξ) − 1 + (ρ − ξ) > 0
(22.8)
=
2
ξ
√
in quanto ρ + ξ > |ρ − ξ| ∀ (ρ, ξ) ∈ R+ × R+ e z → 1 + z 2 è funzione crescente di z ∈ R+ .
Un’analoga proprietà vale per la derivata prima rispetto a ξ:
ρ − ξ
x2 − x1 1
ρ + ξ
∂ψ
1 + (ρ + ξ)2 +
1 + (ρ − ξ)2 −
(ρ, ξ) =
−
∂ξ
4
ξ
ξ
ξ
1
1
− arcsinh(ρ + ξ) + arcsinh(ρ − ξ)+
ξ
ξ
ρ+ξ
+
+ 1 + (ρ + ξ)2 + (ρ + ξ) 1 + (ρ + ξ)2
ρ−ξ
+
+ 1 + (ρ − ξ)2 + (ρ − ξ) 1 + (ρ − ξ)2
1
1
+
+
=
1 + (ρ + ξ)2
1 + (ρ − ξ)2
x2 − x1 1 2 1 + (ρ + ξ)2 + 2 1 + (ρ − ξ)2 −
=
4
ξ
ρ + ξ
ρ − ξ
−
1 + (ρ + ξ)2 +
1 + (ρ − ξ)2 −
ξ
ξ
1
1
− arcsinh(ρ + ξ) + arcsinh(ρ − ξ) =
ξ
ξ
x2 − x1 1
2 + (ξ + ρ) 1 + (ρ − ξ)2 −
(ξ
−
ρ)
1
+
(ρ
+
ξ)
=
4
ξ2
− arcsinh(ρ + ξ) + arcsinh(ρ − ξ)
(22.9)
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ma in questo caso il risultato appare assai meno ovvio. Ricordando la definizione dell’arco
seno iperbolico
arcsinhx = ln(x + 1 + x2 )
∀x ∈ R,
la derivata (22.9) assume la forma equivalente
x2 − x1 1
∂ψ
2 + (ξ + ρ) 1 + (ρ − ξ)2 −
1
+
(ρ
+
ξ)
(ρ, ξ) =
(ξ
−
ρ)
∂ξ
4
ξ2
2
2
− ln ρ + ξ + 1 + (ρ + ξ) + ln ρ − ξ + 1 + (ρ − ξ) .
Il bordo del dominio {(ρ, ξ) ∈ R+ × R+ } consta del semiasse {(ρ, ξ) = (ρ, 0) , ρ > 0},
dell’origine (ρ, ξ) = (0, 0) e del semiasse {(ρ, ξ) = (0, ξ) , ξ > 0}. Lungo il semiasse ξ = 0,
per ogni ρ > 0 fissato la regola di de l’Hôpital porge
x2 − x1
∂ψ
1
(ρ, ξ) =
lim 2 (ξ − ρ) 1 + (ρ + ξ)2 + (ξ + ρ) 1 + (ρ − ξ)2 −
lim
ξ→0+ ∂ξ
ξ→0+ ξ
4
2
2
− ln ρ + ξ + 1 + (ρ + ξ) + ln ρ − ξ + 1 + (ρ − ξ)
=
ξ+ρ
x2 − x1
1 1 + (ρ + ξ)2 + (ξ − ρ) +
=
lim
ξ→0+ 2ξ
4
1 + (ρ + ξ)2
ξ−ρ
−
+ 1 + (ρ − ξ)2 + (ξ + ρ) 1 + (ξ − ρ)2
1
1
−
− =
1 + (ρ + ξ)2
1 + (ρ − ξ)2
(ξ − ρ)2 + ξ 2 − ρ2
1 (ξ + ρ)2 + ξ 2 − ρ2
x2 − x1
+ lim
=
=
ξ→0+ ξ
8
1 + (ξ + ρ)2
1 + (ξ − ρ)2
ξ −ρ
ξ+ρ
x2 − x1
+
lim = 0,
=
ξ→0+
4
1 + (ξ + ρ)2
1 + (ξ − ρ)2
mentre nell’origine si ha
x2 − x1
∂ψ
ξ 1 + ξ 2 − ln(ξ + 1 + ξ 2 )
=
lim
(0, ξ) =
lim
ξ→0+ ∂ξ
ξ→0+
2
ξ2
x2 − x1
ξ2
1
1 2
=
1+ξ + −
lim
= 0.
ξ→0+ 2ξ
2
1 + ξ2
1 + ξ2
Quanto al semiasse ρ = 0 si ottiene infine
x2 − x1 1 ∂ψ
2 − ln(ξ +
2 ) + ln(−ξ +
2) =
(0, ξ) =
1
+
ξ
1
+
ξ
1
+
ξ
2ξ
∂ξ
4
ξ2
x2 − x1 1 2 − 2 ln(ξ +
2) =
1
+
ξ
1
+
ξ
2ξ
=
4
ξ2
x2 − x1 1 =
∀ξ > 0.
ξ 1 + ξ 2 − ln(ξ + 1 + ξ 2 ) > 0
2
2
ξ
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Per provare la positività di ψ(ρ, ξ) in (ρ, ξ) ∈ R+ × R+ è sufficiente omettere il fattore
positivo (x2 − x1 )/4ξ 2 e considerare la funzione ausiliaria
X (ρ, ξ) = (ξ − ρ) 1 + (ξ + ρ)2 + (ξ + ρ) 1 + (ξ − ρ)2 −
− ln ξ + ρ + 1 + (ξ + ρ)2 + ln ρ − ξ + 1 + (ξ − ρ)2
che per continuità soddisfa l’ovvia condizione al contorno
lim X (ρ, ξ) = −ρ 1 + ρ2 + ρ 1 + ρ2 − ln(ρ + 1 + ρ2 )+ ln(ρ + 1 + ρ2 ) = 0
ξ→0+
∀ρ > 0
mentre ∀ (ρ, ξ) ∈ R+ × R+ ammette la derivata parziale positiva
ξ+ρ
∂X
+ 1 + (ξ − ρ)2 +
(ρ, ξ) = 1 + (ξ + ρ)2 + (ξ − ρ) ∂ξ
1 + (ξ + ρ)2
+ (ξ + ρ) =
ξ−ρ
1 + (ξ − ρ)2
−
1
1 + (ξ + ρ)2
−
1
1 + (ξ − ρ)2
=
(ξ − ρ)2 + ξ 2 − ρ2
(ξ + ρ)2 + ξ 2 − ρ2
+ =
1 + (ξ + ρ)2
1 + (ξ − ρ)2
= 2ξ 2 + 2ξρ
+
2ξ 2 − 2ξρ
=
1 + (ξ + ρ)2
1 + (ξ − ρ)2
ξ−ρ
ξ +ρ
+
= 2ξ ≥
1 + (ξ + ρ)2
1 + (ξ − ρ)2
|ξ − ρ|
ξ +ρ
> 0
−
≥ 2ξ 1 + (ξ + ρ)2
1 + (ξ − ρ)2
in quanto ξ + ρ > |ξ − ρ| ∀ ξ, ρ > 0 e la funzione
z
z ∈ R+ −−−−−−−−→ √
∈ R+
2
1+z
è monotona crescente. Ne deriva che per ogni ρ > 0 fissato la funzione
ξ ∈ R+ −−−−−−−−→ X (ρ, ξ)
risulta strettamente crescente. Ma siccome limξ→0+ X (ρ, ξ) = 0, si deve concludere che
∀ ρ > 0 deve aversi X (ρ, ξ) > 0 ∀ ξ > 0, ossia:
X (ρ, ξ) > 0
∀ (ρ, ξ) ∈ R+ × R+ .
Di conseguenza è anche
x2 − x1 1
∂ψ
X (ρ, ξ) > 0
(ρ, ξ) =
∂ξ
4
ξ2
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∀ (ρ, ξ) ∈ R+ × R+ ,
64
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in modo che ∀ ρ > 0 assegnato la funzione
ξ ∈ R+ −−−−−−−−→ ψ(ρ, ξ)
risulta monotona crescente. In modo analogo, il segno positivo della derivata ∂ψ/∂ρ —
stabilito in (22.8) — assicura altresı̀ che ∀ ξ > 0 la funzione
ρ ∈ R+ −−−−−−−−→ ψ(ρ, ξ)
sia a sua volta monotona crescente. A ciò si aggiungono l’ovvia condizione al contorno
1
x2 − x1
(ρ + ξ) 1 + (ρ + ξ)2 − (ρ − ξ) 1 + (ρ − ξ)2 +
lim
ρ→0+ ξ
4
+ arcsinh(ρ + ξ) − arcsinh(ρ − ξ) =
x2 − x1 1 ξ 1 + ξ 2 + ξ 1 + ξ 2 + arcsinhξ + arcsinhξ =
=
4
ξ
x2 − x1 ξ 1 + ξ 2 + arcsinhξ
=
> 0
∀ξ > 0
2
ξ
lim ψ(ρ, ξ) =
ρ→0+
e l’ulteriore condizione ai limiti:
x2 − x1
1
lim
(ρ + ξ) 1 + (ρ + ξ)2 − (ρ − ξ) 1 + (ρ − ξ)2 +
lim ψ(ρ, ξ) =
ξ→0+
ξ→0+ ξ
4
+ arcsinh(ρ + ξ) − arcsinh(ρ − ξ) =
ρ+ξ
x2 − x1
lim
1 + (ρ + ξ)2 + (ρ + ξ) +
=
ξ→0+
4
1 + (ρ + ξ)2
ρ−ξ
+
+ 1 + (ρ − ξ)2 + (ρ − ξ) 1 + (ρ − ξ)2
1
1
=
+
+ 1 + (ρ + ξ)2
1 + (ρ − ξ)2
x2 − x1 ρ2
=
1 + ρ2 + + 1 + ρ2 +
4
1 + ρ2
ρ2
1
1
+ +
+
=
1 + ρ2
1 + ρ2
1 + ρ2
y − y 2
x2 − x1 2
1
2
4 1 + ρ = (x2 − x1 ) 1 +
=
=
4
x2 − x1
= (x2 − x1 )2 + (y2 − y1 )2 > 0
∀ρ > 0,
dedotta dalla regola di de l’Hôpital. Vale infine:
lim
(ρ,ξ)→(0,0)
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ψ(ρ, ξ) = x2 − x1 ,
65
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quantità positiva che costituisce anche l’estremo inferiore della funzione ψ:
inf
(ρ,ξ)∈R+ ×R+
ψ(ρ, ξ) = x2 − x1 .
La funzione ψ(ρ, ξ) è inoltre monotona crescente lungo entrambe le direzioni coordinate,
divergendo a +∞ all’infinito. Il grafico della funzione ψ(ρ, ξ) è illustrato nella figura
seguente per il caso di x2 − x1 = 3:
Sulla base dei risultati precedenti è possibile prolungare con continuità la funzione ψ(ρ, ξ)
al quadrante chiuso (ρ, ξ) ∈ [0, +∞) × [0, +∞), ponendo

(x
−
x
)
1 + ρ2
se ρ > 0 e ξ = 0

2
1




ψ(ρ, ξ)
per (ρ, ξ) ∈ R+ × R+
ψ̃(ρ, ξ) =



ξ
x
−
x
1 + ξ 2 + arcsinhξ
2
1


se ρ = 0 e ξ > 0 ,
2
ξ
espressione nella quale entrambe le applicazioni
ρ ∈ R+ −−−−→ (x2 − x1 ) 1 + ρ2
x2 − x1 ξ
ξ ∈ R+ −−−−→
2
1 + ξ 2 + arcsinhξ
ξ
sono funzioni positive, crescenti e superiormente illimitate del loro argomento:
ξ
x
−
x
1 + ξ 2 + arcsinhξ
2
1
= +∞ .
lim (x2 − x1 ) 1 + ρ2 = +∞
lim
ρ→+∞
ξ→+∞
2
ξ
Grazie alla continuità e alle proprietà di monotonia di ψ(ρ, ξ) lungo le direzioni coordinate,
per ogni L > x2 − x1 l’equazione (22.7) individua una curva di livello della funzione ψ̃:
ψ̃(ρ, ξ) = L
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che si estende dal semiasse positivo ξ = 0 a quello ρ = 0 e si può interpretare come il
grafico di una funzione monotona decrescente definita sull’intervallo limitato:
L2
−1.
0 ≤ ρ ≤
(x2 − x1 )2
Dovendo poi essere λg/c > 0, e dunque ξ > 0, l’estremo superiore dell’intervallo precedente
va escluso e la condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza di una ed una sola soluzione
del problema a valori al contorno diventa
y2 − y1
L2
<
−1
x2 − x1
(x2 − x1 )2
cioè a dire
(x2 − x1 )2 + (y2 − y1 )2 < L2 .
(22.10)
Pertanto, la soluzione del problema a valori al contorno per l’equazione dei ponti sospesi
esiste (ed in tal caso è unica) se e soltanto se la lunghezza della fune è maggiore della
distanza fra gli estremi assegnati.
22.2 Calcolo dei coefficienti a, b, c
Fissato che sia L > 0 si calcola il valore di ρ = (y2 − y1 )/(x2 − x1 ), che deve risultare
compatibile con la condizione (22.10), ovvero
L2
−1.
0 ≤ ρ <
(x2 − x1 )2
L’ordinata di ρ sulla curva di livello ψ(ρ, ξ) = L specifica univocamente il valore di ξ e
dunque del coefficiente λg/c > 0
2
λg
ξ,
=
c
x2 − x1
come illustrato nella figura seguente:
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Una volta ricavato λg/c, il coefficiente a è dato dalla relazione lineare (22.5)
a =
y2 − y1
λg x2 + x1
−
x2 − x1
c
2
ed infine per b si ha la (22.2):
b =
y1 x2 − y2 x1
λg x1 x2
+
.
x2 − x1
c 2
Note che siano la densità lineare λ e l’accelerazione di gravità g, è facile ricavare la componente orizzontale costante c della tensione. Si osservi che la condizione y2 ≥ y1 , ossia
ρ ≥ 0, può essere facilmente rimossa ed estesa anche a valori negativi di ρ, semprechè sia
soddisfatta la disequazione
2
L
L2
−
1
≤
ρ
<
− 1.
−
(x2 − x1 )2
(x2 − x1 )2
La prova è praticamente identica a quella vista per il caso di ρ ≥ 0.
22.3 Tensione lungo la fune
La statica dei fili ideali soggetti a forze distribuite parallele prevede che il modulo della
tensione in un generico punto di ascissa x ∈ [x1 , x2 ] della fune sia dato dall’espressione
2
c
λg
1
λg 2
T (x) = c 1 + y (x)2 = λg
1+ a+
1+ a+
x = λg
x .
λg
λg
c
c
c
Il campo delle tensioni lungo la fune risulta perciò
ê1 + y (x) ê2
= c ê1 + cy (x) ê2 = c ê1 + (λgx + a) ê2 .
T (x) = T (x) 2
1 + y (x)
22.4 Esempio illustrativo
Si consideri il caso particolare di L = 10, (x1 , y1 ) = (0, 0) e (x2 , y2 ) = (3, 4). Si ha
ovviamente x2 − x1 = 3 > 0. La condizione di esistenza e unicità (22.10) della soluzione è
certamente soddisfatta, dal momento che
(x2 − x1 )2 + (y2 − y1 )2 = 32 + 42 = 25 < 100 = L2
e si può quindi procedere al calcolo dei coefficienti a, b e c > 0 della parabola. La funzione
ausiliaria ψ(ρ, ξ) in questo caso assume la forma
3 1
(ρ + ξ) 1 + (ρ + ξ)2 − (ρ − ξ) 1 + (ρ − ξ)2 +
ψ(ρ, ξ) =
4ξ
+ arcsinh(ρ + ξ) − arcsinh(ρ − ξ)
(ρ, ξ) ∈ R+ × R+
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ed in essa si deve porre
ρ =
4−0
y2 − y1
4
=
=
x2 − x1
3−0
3
in modo che l’equazione di equilibrio ψ(ρ, ξ) = L diventa
4
4
2 4
2
4 3 1 4
1+
1+
+ξ
+ξ −
−ξ
−ξ +
ψ ,ξ =
3
4ξ 3
3
3
3
4
4
+ arcsinh
+ ξ − arcsinh
−ξ
= 10
ξ ∈ R+
3
3
Il grafico della curva di livello ψ(ρ, ξ) = 10, sovrapposto alla retta ρ = 4/3, mostra chiaramente che l’unica soluzione ξ = 3λg/2c va cercata nell’intervallo 5 < ξ < 6:
La soluzione può essere calcolata numericamente con grande precisione usando ad esempio
Maple 11T M . Una prima istruzione definisce la funzione ψ:
ψ := (ρ, ξ) →
3 1 · · (ρ + ξ) · sqrt(1 + (ρ + ξ)2 ) − (ρ − ξ) · sqrt(1 + (ρ − ξ)2 )
4 ξ
+ arcsinh(ρ + ξ) − arcsinh(ρ − ξ)
mentre una seconda istruzione fornisce la soluzione numerica richiesta:
4 fsolve ψ , ξ = 10, ξ = 5..6 ;
3
che risulta
3 λg
= ξ = 5.861978695
2 c
per cui
2
λg
= · 5.861978695 = 3.907985797 .
c
3
Stefano Siboni
69
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Corso di Meccanica razionale 2
Il coefficiente a è allora dato dall’espressione
a =
y2 − y1
λg x2 + x1
4−0
3+0
−
=
− 3.907985797 ·
= −4.528645362
x2 − x1
c
2
3−0
2
mentre per b risulta
b =
λg x1 x2
0·3−4·0
0·3
y1 x2 − y2 x1
+
=
+ 3.907985797 ·
= 0.
x2 − x1
c 2
3−0
2
La funicolare è pertanto la parabola di equazione
x2
− 4.528645362x
y(x) = 3.907985797
2
ossia
y(x) = 1.953992898x2 − 4.528645362x
x ∈ [0, 3] ,
che, come è immediato verificare, soddisfa le condizioni al contorno. Il modulo della
tensione vale infine
λg
2
1
λg
T (x) = λg
1+
1 + (3.907985797x − 4.528645362)2
x+a =
λg
c
3.907985797
c
ovvero
T (x) = λg 0.2558862934 1 + (3.907985797x − 4.528645362)2
,
x ∈ [0, 3] .
La figura seguente mostra, sovrapposti, il grafico della funicolare e il profilo del modulo
della tensione lungo la fune, nell’ipotesi di λg = 1:
Stefano Siboni
70
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23. Complemento. Problema a valori al
contorno per la catenaria omogenea
Nel piano verticale Oxy, con asse orizzontale Ox e asse verticale Oy orientato verso l’alto,
si consideri una fune ideale omogenea di lunghezza L e densità λ soggetta unicamente al
proprio peso. L’equazione della catenaria omogenea prevede che la curva di equilibrio della
fune sia il grafico di una funzione della forma
y(x) =
λg
c
cosh
x+a +b
λg
c
x ∈ R,
dove g è l’accelerazione di gravità, c > 0 la componente orizzontale costante della tensione
della fune ed a, b ∈ R due costanti opportune. Assegnate le coordinate (x1 , y1 ) e (x2 , y2 )
degli estremi P1 e P2 della fune, con x1 < x2 , si vogliono determinare la condizione
necessaria e sufficiente per l’esistenza e l’unicità della configurazione di equilibrio della
fune, e le espressioni per le costanti a, b e c > che specificano la configurazione di equilibrio.
Anche in questo caso si trova che la soluzione del problema a valori al contorno non è
affatto ovvia, per quanto sia possibile ricondurre il problema alla soluzione numerica di
una equazione trascendente relativamente semplice.
23.1 Condizione necessaria e sufficiente per esistenza ed unicità della soluzione
I coefficienti a, b e c > 0 che specificano la soluzione del problema a valori al contorno
devono essere determinati imponendo che la lunghezza dell’arco sia pari al valore prefissato
L:
x2 x2
2
λg
λg
x + a dx =
x + a dx =
1 + sinh
cosh
L =
c
c
x1
x1
λg
x2
λg
λg
c
c
sinh
x+a
sinh
x2 + a − sinh
x1 + a
=
=
λg
c
λg
c
c
x1
(23.1)
oltre alle due ovvie condizioni di passaggio per gli estremi P1 (x1 , y1 ) e P (x2 , y2 ):

λg
c

cosh
x1 + a + b
 y1 =
λg
c
λg
c

 y2 =
cosh
x2 + a + b
λg
c
che possono riesprimersi nella forma equivalente

λg
λg
λg

 cosh
x2 + a − cosh
x1 + a =
(y2 − y1 )
c
c c
c
λg

 b = y2 −
cosh
x2 + a .
λg
c
Stefano Siboni
(23.2)
71
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I coefficienti λg/c > 0 e a ∈ R si ricavano risolvendo il sistema non lineare costituito dalla
(23.2) e dalla prima delle equazioni (23.1):
 λg
λg

c


= L

 λg sinh c x2 + a − sinh c x1 + a
(23.3)
λg
λg

c



= y2 − y1
 λg cosh c x2 + a − cosh c x1 + a
salvo poi usare la seconda delle (23.2) per determinare il coefficiente residuo b. A questo
sistema di equazioni si può attribuire una forma più conveniente mediante le formule
iperboliche di prostaferesi
α − β α + β sinh
sinh α − sinh β = 2 cosh
2
2
α − β ∀ α, β ∈ R .
α + β
sinh
cosh α − cosh β = 2 sinh
2
2
La prima delle equazioni (23.3) diventa infatti
λg x + x
λg x − x c
2
1
2
1
2
cosh
+ a sinh
= L
λg
c
2
c
2
e porge
λg
λg x + x
L
2
1
c
(23.4)
cosh
+a =
λg x − x c
2
2
2
1
sinh
c
2
mentre la seconda si riduce a
λg x + x
λg x − x c
2
1
2
1
2 sinh
+ a sinh
= y2 − y1
λg
c
2
c
2
ovvero a
λg
λg x + x
y2 − y1
2
1
c
sinh
+a =
λg x − x c
2
2
2
1
sinh
c
2
e consente di ricavare il coefficiente a come funzione di λg/c:


λg
λg x2 + x1

 y2 − y1
c
+ sinh−1 
(23.5)
a = −
λg x − x  .
c
2
2
2
1
sinh
c
2
√
Sostituita la (23.5) nella (23.4), e ricordando che cosh(sinh−1 α) = 1 + α2 ∀ α ∈ R, si
ottiene

2 1/2

λg
λg






L
−
y
y

 2
1
c
c
1+
=
λg x − x 
λg x − x 

2
2
2
1
2
1




sinh
sinh
c
2
c
2
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72
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e poichè il secondo membro deve essere una funzione positiva una equazione equivalente è
quella ricavata quadrando membro a membro
(y2 − y1 )
4
λg 2
2
1+
ossia
λg 2
2
L
c
c
λg x − x =
λg x − x 4
2
1
2
1
sinh2
sinh2
c
2
c
2
λg 2
1
4
ed infine
2
2
c
λg x − x L − (y2 − y1 ) = 1
2
1
sinh2
c
2
λg x − x 2
1
sinh2
c
2
L2 − (y2 − y1 )2 = (x2 − x1 )2
λg x − x 2
2
c
1
2
o ancora


λg x − x 2
1
sinh


c
2
L2 − (x2 − x1 )2 − (y2 − y1 )2 =  − 1 (x2 − x1 )2 .
2
λg x2 − x1
c
2
2
(23.6)
È facile verificare che la funzione ausiliaria
Ξ(z) =
sinh2 z
−1
z2
è C ∞, positiva e crescente in z > 0, mentre limz→0+ Ξ(z) = 0 e limz→+∞ Ξ(z) = +∞.
L’equazione (23.6) individua perciò uno ed un solo valore della costante λg/c > 0 se e
soltanto se
L2 − (x2 − x1 )2 − (y2 − y1 )2 > 0
vale a dire nell’ipotesi esclusiva che la lunghezza L della fune ideale sia maggiore della
distanza fra gli estremi P1 e P2 :
L >
(x2 − x1 )2 + (y2 − y1 )2 ,
(23.7)
condizione peraltro del tutto ragionevole dal punto di vista fisico.
Stefano Siboni
73
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La figura seguente mostra il grafico di Ξ(z) per z > 0, evidenziandone positività e monotonia:
23.2 Calcolo dei coefficienti a, b, c
La costante λg/c > 0 è individuata dalla relazione
2
2
2
2
λg
−1 L − (x2 − x1 ) − (y2 − y1 )
Ξ
=
c
x2 − x1
(x2 − x1 )2
nella quale Ξ−1 indica l’inversa di Ξ in R+ su R+ . La costante a segue quindi dall’equazione
(23.5):


λg
λg x2 + x1

 y2 − y1
c
a = −
+ sinh−1 
λg x − x 
c
2
2
2
1
sinh
c
2
ed infine il coefficiente b viene dedotto dalla seconda delle (23.2):
λg
c
cosh
x2 + a .
b = y2 −
λg
c
Ovviamente, note che siano la densità lineare λ della fune e l’accelerazione di gravità g è
immediato calcolare da λg/c la componente orizzontale della tensione c.
23.3 Distribuzione della tensione
La statica delle funi ideali soggette a forze distribuite parallele stabilisce che il modulo
della tensione in un generico punto della fune, di ascissa x ∈ [x1 , x2 ], è dato dalla formula
c
T (x) = c 1 + y (x)2 = λg
λg
Stefano Siboni
1 + sinh2
λg
1
x + a = λg
x+a .
cosh
λg
c
c
c
λg
74
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Il campo delle tensioni lungo la fune vale pertanto
λg
ê1 + y (x)ê2
x + a ê2 .
= c ê1 + cy (x) ê2 = c ê1 + c sinh
T (x) = T (x) c
1 + y (x)2
23.4 Esempio illustrativo
Si vuole determinare la catenaria per il caso L = 7, (x1 , y1 ) = (0, 0) e (x2 , y2 ) = (3, 4).
Esistenza ed unicità della curva funicolare sono assicurate dalla diseguaglianza (23.7):
(x2 − x1 )2 + (y2 − y1 )2 = 32 + 42 = 25 < 49 = L2 .
Risulta inoltre x2 − x1 = 3 > 0. Si può dunque procedere al calcolo dei coefficienti a, b e
c > 0 della catenaria. Per determinare λg/c occorre risolvere l’equazione trascendente
Ξ(z) =
dove
L2 − (x2 − x1 )2 − (y2 − y1 )2
(x2 − x1 )2
x2 − x1 λg
z =
2
c
e
sinh2 z
Ξ(z) =
− 1.
z2
Nella fattispecie risulta
8
L2 − (x2 − x1 )2 − (y2 − y1 )2
72 − (3 − 0)2 − (4 − 0)2
24
=
=
=
2
2
(x2 − x1 )
(3 − 0)
9
3
e
z =
3 λg
2 c
in modo che l’equazione di equilibrio diventa
8
sinh2 z
−1 = .
2
z
3
(23.8)
L’unica soluzione di (23.8), la cui esistenza ed unicità sono garantite dalla monotonia e
positività di Ξ(z), si può ricavare ad esempio con l’istruzione Maple 11T M :
8
sinh(z) 2
fsolve
− 1 = , z = 0.0 . . 10.0 ;
z
3
che fornisce
z = 2.099702588
e quindi
2
λg
2
=
z = · 2.099702588 = 1.399801725 .
c
x2 − x1
3
Stefano Siboni
75
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Per il coefficiente a si ha poi


λg
λg x2 + x1

 y2 − y1
c
+ sinh−1 
a=−
λg x − x  =
c
2
2
2
1
sinh
c
2


3+0
4 − 0
+ sinh−1 
2
2
1.399801725

= −1.450061096
3 − 0
sinh 1.399801725 ·
2
mentre la costante b viene ottenuta dalla seconda delle (23.2):
λg
c
b = y2 −
cosh
x2 + a =
λg
c
1
· cosh 1.399801725 · 3 − 1.450061096 = −1.606631440 .
= 4−
1.399801725
La curva funicolare è perciò individuata dalla parametrizzazione
λg
1
cosh
y(x) =
x+a +b =
λg
c
c
1
cosh 1.399801725 x − 1.450061096 − 1.606631440 =
=
1.399801725
= 0.7143868893 · cosh 1.399801725 x − 1.450061096 − 1.606631440
x ∈ [0, 3]
= −1.399801725 ·
cui corrisponde il modulo della tensione
λg
1
x+a =
T (x) = λg
cosh
λg
c
c
= λg 0.7143868893 · cosh 1.399801725 x − 1.450061096
x ∈ [0, 3] .
Nella figura seguente sono illustrate la curva funicolare e la distribuzione del modulo T (x)
della tensione lungo la fune, sotto l’ipotesi che si abbia λg = 1:
Stefano Siboni
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24. Complemento. Schema riassuntivo dei
problemi ai limiti nella statica dei fili
I risultati ottenuti nelle note precedenti autorizzano a concludere che:
(i) la configurazione di equilibrio di una fune libera è determinata completamente da 7
parametri, identificabili con
− la posizione del primo estremo, P (0) — 3 parametri;
− il versore tangente alla fune nel primo estremo, τ̂ (0) — 2 parametri liberi;
− il modulo con segno della tensione al primo estremo, T (0) — 1 parametro;
− la lunghezza L della fune — 1 parametro;
(ii) la configurazione di equilibrio di una fune vincolata ad una superficie regolare liscia è
specificata completamente da 5 parametri, vale a dire:
− valori di u e v al primo estremo, u(0), v(0) — 2 parametri — che individuano la
posizione del primo estremo sulla superficie vincolare;
− valori di u̇ e v̇ al primo estremo, u̇(0), v̇(0), che assegnano il versore tangente alla
funicolare nello stesso estremo — 1 parametro libero, per via della condizione di
normalizzazione su detto versore;
− il modulo con segno della tensione al primo estremo, T (0) — 1 parametro;
− la lunghezza L della fune — 1 parametro;
(iii) per una fune fortemente tesa su una superficie regolare liscia, il modulo T della tensione si mantiene costante lungo l’intero supporto della fune e la funicolare è determinata unicamente dalle 4 variabili residue:
− u(0), v(0);
− l’unico parametro libero fra u̇(0) e v̇(0);
− la lunghezza L della fune,
mentre la costante T può essere assegnata a piacere lungo la stessa curva di equilibrio.
Di qui segue che per risolvere il problema di Cauchy si deve:
(i) per una curva libera, assegnare le 6 variabili indipendenti rappresentate da P , due
componenti libere di τ̂ e T nel primo estremo, ed integrare quindi le equazioni indefinite di equilibrio per un intervallo di lunghezza L dell’ascissa curvilinea. Si ottengono
cosı̀ la funicolare e il campo T delle tensioni lungo la fune;
(ii) per una curva vincolata a superficie regolare liscia, assegnare i valori al primo estremo
delle 4 variabili indipendenti costituite da u, v, da una variabile libera fra u̇, v̇ e da
T , per poi integrare le equazioni indefinite di equilibrio su un intervallo di lunghezza
L dell’ascissa curvilinea. Anche in questo caso si perviene alla determinazione della
curva funicolare e del relativo campo di tensioni T ;
Stefano Siboni
77
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(iii) per una curva fortemente tesa su una superficie regolare liscia assegnare i valori delle 3
variabili indipendenti scelte fra u, v, u̇, v̇, e integrare le equazioni indefinite di equilibrio
per un intervallo di lunghezza L dell’ascissa curvilinea. Ciò specifica completamente
la curva funicolare, mentre il modulo T della tensione si mantiene costante al valore
iniziale positivo arbitrario assegnato.
Per il problema ai limiti non si dispone di alcun analogo semplice del teorema di esistenza
e unicità che sussiste per il problema di Cauchy: esistenza e unicità delle soluzioni non
sono affatto ovvie, anche nei casi più semplici. Ci si deve quindi limitare ad un semplice
confronto algebrico fra il numero di “costanti arbitrarie” che specificano le soluzioni e il
numero di condizioni ai limiti da applicare.
Si possono cosı̀ individuare i seguenti problemi ai limiti notevoli, in linea di principio ben
posti in quanto il numero di condizioni imposte coincide con quello delle costanti libere da
determinare:
• Curva libera di lunghezza assegnata con estremi fissati
1 variabile fissata: L
6 variabili libere: P (0), 2 fra le componenti di τ̂ (0), T (0)
6 equazioni: coordinate del primo estremo e coordinate del secondo estremo
• Curva libera con estremi assegnati e tensione fissata a un estremo
1 variabile fissata: T (0)
6 variabili libere: P (0), 2 fra le componenti di τ̂ (0), L
6 equazioni: coordinate del primo estremo e coordinate del secondo estremo
Stefano Siboni
78
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• Curva su superficie, di lunghezza ed estremi assegnati
1 variabile fissata: L
4 variabili libere: u(0), v(0), una componente libera fra u̇(0) e v̇(0), T (0)
4 equazioni: coordinate dei due estremi, entrambi sulle superficie
• Curva su superficie, con estremi assegnati e tensione fissata a un estremo
1 variabile fissata: T (0)
4 variabili libere: u(0), v(0), una componente libera fra u̇(0) e v̇(0), L
4 equazioni: coordinate dei due estremi, entrambi sulle superficie
Stefano Siboni
79
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• Curva fortemente tesa su superficie, con estremi assegnati
nessuna variabile fissata
4 variabili libere: u(0), v(0), una componente libera fra u̇(0) e v̇(0), L
4 equazioni: coordinate dei due estremi, entrambi sulle superficie
N.B.: la tensione T (0) costituisce una ulteriore variabile, che può però essere fissata arbitrariamente e in modo indipendente dalla forma della funicolare.
Il problema tipico consiste nell’assegnare a piacere il valore della tensione e gli estremi
della fune, ma non la lunghezza L, come illustrato nella figura seguente
È importante sottolineare come in generale non si possa pretendere di poter fissare a
piacere gli estremi della funicolare fortemente tesa su una superficie liscia, qualora la
funicolare abbia lunghezza assegnata. In tal caso si avrebbero infatti:
1 variabile fissata: L
3 variabili libere: u(0), v(0), una componente libera fra u̇(0) e v̇(0)
4 equazioni: coordinate dei due estremi, entrambi sulle superficie
e il numero di condizioni imposte verrebbe ad eccedere quello delle variabili libere.
Stefano Siboni
80
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Matematicamente, questo significa che qualora si fissino i due estremi P1 , P2 della funicolare è ragionevole — benchè non ovvio — aspettarsi che esista un arco di geodetica sulla
superficie che li congiunge, ma la lunghezza di tale arco deve ritenersi determinata e non
assegnabile a piacere al valore L.
Stefano Siboni
81
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Indice degli argomenti
1.
1.1
2.
3.
4.
4.1
4.2
4.3
5.
6.
7.
8.
9.
10.
10.1
10.2
11.
12.
13.
14.
14.1
14.2
14.3
14.4
14.5
14.6
14.7
15.
15.1
16.
17.
17.1
17.2
17.3
18.
18.1
19.
20.
21.
21.1
Fili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fili ideali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sollecitazioni concentrate e distribuite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Curve funicolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Condizione di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Prima equazione cardinale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Seconda equazione cardinale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caratterizzazione delle curve funicolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Equazioni intrinseche dell’equilibrio di un filo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Densità delle sollecitazioni distribuite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Equazioni di equilibrio. Riduzione a forma normale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Problema a valori al contorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Osservazione. Calcolo delle tensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Forze distribuite continue parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Terna di riferimento standard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Terna standard nel problema a valori al contorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso notevole: equazione dei punti sospesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso notevole: catenaria omogenea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Caso notevole: sollecitazioni distribuite nulle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Filo su una superficie regolare senza attrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Filo su una superficie liscia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Equazioni di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Riduzione a forma normale delle equazioni di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Problema di Cauchy per la funicolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Osservazione sul problema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Integrale primo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Problema a valori al contorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Filo su una superficie regolare con attrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Osservazione sull’insieme delle curve funicolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Filo fortemente teso su una superficie regolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Filo fortemente teso su una superficie regolare senza attrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Geodetiche come curve di lunghezza stazionaria a estremi fissi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esempio. Geodetiche sul cilindro circolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esempio. Geodetiche sulla sfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Filo fortemente teso su una superficie regolare con attrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fune avvolta su un cilindro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Complemento. Moti geodetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Complemento. Catenaria non omogenea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Complemento. Sistemi olonomi vincolati con fili tesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Macchina di Atwood . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Stefano Siboni
1
1
4
5
5
6
8
9
10
11
12
15
15
16
17
20
22
25
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28
28
29
30
32
32
33
34
34
35
36
36
37
41
44
45
46
47
50
52
52
i
Università degli studi di Trento
21.2
21.3
22.
22.1
22.2
22.3
22.4
23.
23.1
23.2
23.3
23.4
24.
Corso di Meccanica razionale 2
Puleggia mobile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pendolo semplice a filo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Complemento. Problema a valori al contorno per l’equazione dei ponti sospesi . . .
Condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Calcolo dei coefficienti a, b, c . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tensione lungo la fune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esempio illustrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Complemento. Problema a valori al contorno per la catenaria omogenea . . . . . . . . .
Condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Calcolo dei coefficienti a, b, c . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Distribuzione della tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esempio illustrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Complemento. Schema riassuntivo dei problemi ai limiti nella statica dei fili . . . . .
Stefano Siboni
55
57
60
60
67
68
68
71
71
74
74
75
77
ii
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