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Giovanni Boine: Il Peccato

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Giovanni Boine: Il Peccato
Le madri non cercano il paradiso
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Giovanni Boine:
Il Peccato
Marina Malizia, Roma
Nel 1913 Giovanni Boine, uno degli intellettuali più
“atipici” del panorama della letteratura italiana di inizio
Novecento, scriveva la sua opera più conosciuta: Il Peccato.
Si tratta di un romanzo breve nel quale le problematiche autobiografiche sembrano cercare una rappresentazione oggettiva per poter essere guardate dall’autore con il distacco necessario a chiarificarle e rielaborarle.
La prosa è lirica, ritmata, frutto di una ricerca formale
che, seppure si inserisce in una pratica letteraria tipica
dell’epoca, diventa – in questo caso – espressione di un
desiderio evidente di ordine e armonia interiori che sembrano essere le motivazioni più importanti della scrittura
di Boine.
L’equilibrio e la consonanza nella prosa sono necessari perché pensieri, ansie, dubbi e conflitti possano essere messi in scena, fatti interagire nelle tre parti del
romanzo – Il Limbo, La qualunque avventura e Il tormento – con lo scopo di portare ordine nel caos intimo
dell’autore.
Del resto, nel periodo che va da fine Ottocento alla
Prima guerra mondiale, quasi tutti i giovani intellettuali
italiani sono “anime nel caos”. Cadute le certezze del
Positivismo e dell’idealismo assoluto di Hegel, venuti
meno i parametri tradizionali della conoscenza, anche
la capacità di “fare letteratura”, eredità della grande stagione romantica, si riduce al possesso di un involucro
“svuotato”. Alcuni autori, i più moderni, i più lungimiranti, cominciano a riempirlo dell’unica cosa che è
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Marina Malizia
rimasta in loro possesso: le proprie ossessioni esistenziali.
Giovanni Boine è uno di loro. Ne Il Peccato utilizza –
tra i primi in Italia – la forma narrativa del romanzo in
maniera nuova, animandola con i contenuti conflittuali,
angoscianti, della propria realtà interiore nel tentativo di
esplicitarli, comprenderli e controllarli. Come Nietzsche
aveva teorizzato proclamando la morte di Dio, nonché la
dissoluzione della filosofia intesa come metafisica, la realtà del mondo esterno è ormai fuori controllo, impenetrabile, ingovernabile: privata di ogni logica non ha più
modo di essere narrata.
Leggendo Il Peccato, infatti, si incontrano tutte le
problematiche personali del suo autore, amalgamate con
quel senso di malessere e smarrimento che alberga nella
maggior parte delle espressioni culturali di inizio Novecento.
Giovanni Boine, ligure, cattolico per tradizione e convinzione, è capace di una riflessione religiosa sensibile e
profonda che, tuttavia, deve fare i conti con le nuove istanze culturali nichiliste.
Giancarlo Vigorelli, il curatore di un’edizione del 1971
dell’opera di Boine pubblicata da Guanda, lo definì ammalato di un pessimismo giansenista tipico della sua terra d’origine: “I giansenisti liguri, come hanno documentato il Ruffini e il Codignola, sono i più nichilisti, non sono
disperati: in realtà non hanno mai conosciuto la speranza…”.
Non mi sento di condividere questa interpretazione:
esprimere la problematicità di una relazione tra poli apparentemente inconciliabili come il cattolicesimo e le
nuove istanze culturali novecentesche non significa per
forza “disperare” riguardo a una possibile coesistenza, un
confronto produttivo che faccia interagire le “diversità”
in maniera virtuosa. L’intento di Boine non denota rassegnazione o pessimismo, semmai intraprendenza e coraggio intellettuale. Egli, infatti, sembra davvero rappresentare la propria tensione interiore, esemplificativa del con-
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flitto più generale della cultura del suo tempo, in modo
da poterla guardare, analizzare, studiare, individuando,
così, nuove vie di pensiero pacifiche e concilianti da poter percorrere.
La trama del romanzo è incentrata sulla storia d’amore tra il protagonista, un ventiseienne intellettuale di provincia, e una giovane suora. Il ragazzo è evidentemente
l’alter ego dell’autore il quale, attraverso la narrazione in
terza persona, trova il modo di raccontarsi e osservarsi
insieme, ottenendo il distacco necessario per l’analisi oggettiva del conflitto (che è intrinseco all’autore e, nel
contempo, riguarda l’intero panorama culturale).
Esaminare la contrapposizione è, infatti, uno dei compiti principali di questo romanzo.
La storia d’amore – peraltro platonica, casta, quasi
spirituale – nella quale entrambi i protagonisti sembrano
imbattersi “per caso”, vittime ciascuno della propria mancanza di autodeterminazione, è solo un pretesto per raccontare il dilemma dell’uomo moderno stretto tra la realtà con i suoi compromessi e le sue mancanze ma concreta e presente, e le varie ideologie culturali perfette ma
astratte e lontane dalla tangibilità e dalla vita.
La religione, intesa come Fede, non viene mai messa
in discussione. Boine crede in Dio, il Padre buono e misericordioso che comprende e perdona i suoi figli; semmai si schiera contro quello in cui gli uomini hanno trasformato la religione, contro i regolamenti, le imposizioni, le strumentalizzazioni.
Maria, l’eroina del romanzo, è entrata nel convento
carmelitano su suggerimento della zia badessa, perché era
rimasta orfana. Senza vocazione, la musica rappresenta la
sua unica consolazione, ciò che le rende la vita sopportabile, almeno fino a quando non conosce il giovane protagonista, il quale prende l’abitudine di recarsi ogni giorno
al monastero per sentire la ragazza cantare e suonare
l’armonium.
Il giovanotto è un intellettuale imbevuto di “pensieri
nuovi” che disprezza l’esistenza borghese e provinciale a
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Marina Malizia
tal punto da “astenersi dalla vita” per non mescolarsi con
il resto dei suoi paesani, limitandosi ad osservarli dall’alto della propria turris eburnea, prigioniero delle
idealizzazioni prese in prestito dai libri.
Due storie, due prigionie, due determinazioni di ritirarsi per non sperimentarsi nel mondo, che incontrandosi finiranno, loro malgrado, per liberarsi a vicenda.
L’amore non è il motore della storia, ne è l’epilogo, la
conseguenza un po’ scontata ma legittima.
Ciò che promuove gli avvenimenti, che sospinge fatalmente fino al punto di non ritorno le azioni dei protagonisti in gran parte inconsapevoli, è la loro insoddisfazione.
Maria ha lasciato, accettando un compromesso, che
altri decidessero il suo destino: questo la fa sentire una
prigioniera nel Carmelo. Allo stesso modo, il giovane intellettuale ha “sposato per procura” la visione del mondo
propinata dalla nuova cultura, senza averla mai esperita
concretamente nel proprio contesto di vita e questo lo
rende un carcerato nella sua torre d’avorio.
Entrambi si svincoleranno a vicenda, restituendo l’una
all’altro un’esistenza sicuramente più problematica, ma
più autentica.
Le conclusioni che si traggono da questa storia sono
ciò che di più moderno possa esserci: può definirsi un
inno all’autodeterminazione, all’assunzione di responsabilità nei confronti di se stessi. Non c’è filosofia, ideologia o visione del mondo che non possa essere abbracciata, purché si tratti di una scelta autonoma, consapevole e
in accordo con il proprio personale percorso verso la realizzazione del Sé.
Nel romanzo di Boine rimangono, infatti, vivi ed intatti i valori della religione, della tradizione, della cultura,
pronti a misurarsi con l’uomo del Novecento, l’uomo
moderno al quale si richiede, per essere davvero “nuovo”, capacità di autodeterminarsi, di prendere di peso la
propria esistenza e tentare di viverla.
La vera colpa dei personaggi de Il Peccato è antece-
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dente al loro incontro, nulla ha a che vedere con la relazione amorosa: consiste interamente nell’essersi tirati
fuori dalla mischia, nell’aver fuggito la battaglia esistenziale, nell’aver accettato senza riserve lo status di “prigionieri”.
Mettersi alla prova con coraggio, scegliendo e sbagliando, sperimentarsi con il nuovo, confrontarsi con la
diversità per crescere e cambiare: questo è ciò che caratterizza veramente l’uomo armonizzato, ordinato al suo
mondo.
Boine trova in questo modo la risposta alla sua esigenza di un’autentica vita interiore, al conflitto personale e generazionale messo in scena nel romanzo: nel Novecento, come in ogni epoca, l’uomo che prova a vivere la
sua storia da protagonista, al meglio delle proprie possibilità, è il vero eroe del suo tempo.
L’unica vera, grande colpa – quel Peccato con la “P”
maiuscola enunciato nel titolo del romanzo – sta nel non
cimentarsi con la vita.
Abstract
Marina Malizia
Giovanni Boine: Il Peccato
La rilettura proposta di un classico dimenticato della letteratura italiana del primo Novecento – Il Peccato di Giovanni
Boine – rivela come, per l’autore del breve romanzo, l’unico
vero “peccato” sia la rinuncia all’autodeterminazione.
Parole chiave: letteratura – Novecento – peccato – romanzo
Marina Malizia
Giovanni Boine: Sin
The re-reading proposed here of a forgotten classic of
italian literature of the early 20th century – Il Peccato by Gio-
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Marina Malizia
vanni Boine – reveals how, for the author of this short novel,
the only real “sin” is the relinquishing of self-determination.
Keywords: literature – 20th century – sin – novel
Marina Malizia. Laureata in Lettere e in Psicologia. Lavora nella P. A. È stata tirocinante ed ora è collaboratrice del Centro Studi di Psicologia e Letteratura fondato da
Aldo Carotenuto.
E-mail: [email protected]
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