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La Libia del colonnello Gheddafi

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La Libia del colonnello Gheddafi
Nel 1911, il Regno d’Italia si lanciò in un’ambiziosa impresa coloniale, finalizzata a sottomettere la Libia, cioè le due regioni della Tripolitania e della Cirenaica. Questi territori erano province dell’impero ottomano, che all’inizio del XX secolo non era più in grado di competere con gli Stati europei e di difendersi dalle loro mire espansionistiche. Di
conseguenza, sia i paesi vicini (Serbia, Grecia e Bulgaria) che le grandi potenze (AustriaUngheria, Inghilterra, Italia) approfittarono a più riprese della sua debolezza, per impadronirsi di numerosi territori.
In realtà, anche dopo aver sconfitto i turchi, il governo italiano non riuscì mai a controllare
davvero l’intera regione, a causa di una continua ed efficace guerriglia condotta dalla
popolazione indigena, di lingua e cultura araba. Anzi, nel novembre 1914, ebbe inizio
una grande rivolta generale, che obbligò tutti gli italiani a ritirarsi dall’interno del paese,
con gravi perdite (circa 5000 uomini, tra morti, dispersi e prigionieri). Cosa ancora più
grave, i ribelli si impadronirono di moltissime armi (tra cui 37 cannoni, 20 mitragliatrici e 9000 fucili) e munizioni. La partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale fece L’esercito
il resto, cioè distolse dalla colonia la maggioranza delle truppe e delle risorse, per cui si impegnato nella
può dire che, negli anni Venti, la sovranità italiana su Tripolitania e Cirenaica era poco prima guerra mondile
più che nominale. All’inizio degli anni Trenta, la Libia fu di fatto riconquistata, e il generale Rodolfo Graziani fu autorizzato da Mussolini ad utilizzare qualsiasi mezzo, al fine
di pacificare la colonia. Oltre alla fucilazione di ostaggi e alle rappresaglie, l’esercito italiano fece pertanto ricorso, in Cirenaica (Libia orientale), alla creazione di numerosi campi di concentramento, di dimensioni diverse, in cui vennero internate circa 100 000 persone. A causa delle pessime condizioni di vita in cui furono costretti a vivere, morirono
Idris al-Mahdi
circa 40 000 libici.
al-Senussi, il primo
Durante la seconda guerra mondiale, la Libia fu teatro di durissimi scontri tra inglesi e re di Libia, fotografia
del 1951.
italiani (sostenuti dai tedeschi); dopo la vittoria di El Alamein (autunno 1942), gli Alleati restarono padroni del Paese e ne assegnarono l’amministrazione a Idris al-Senussi, l’emiro della Cirenaica che, nel decennio precedente, aveva cercato rifugio presso gli inglesi, in Egitto, e da lì aveva guidato la guerriglia anti-italiana.
Nel 1951, quando la Libia divenne indipendente, Idris divenne re del nuovo Stato.
Inglesi e americani trovarono in Idris un alleato militare affidabile: infatti,
sul territorio libico furono costruiti diversi aeroporti e basi militari, che di
fatto permettevano agli aerei britannici e statunitensi di controllare l’intero Mediterraneo. Cosa ancora più importante, il sovrano permise alle grandi compagnie petrolifere di agire in totale autonomia, dopo che nell’immediato dopoguerra vennero scoperte nel sottosuolo del paese ingenti riserve di idrocarburi. Nel 1961, la produzione di petrolio era ancora abbastanza bassa (0,9 milioni di tonnellate), ma balzò a quota 40,9 milioni
nel 1964, a 58,5 nel 1965, a 72,3 nel 1966. In altri termini, nel periodo 19611966, registriamo un tasso di crescita del 142% all’anno; le grandi società
di estrazione ottennero profitti enormi, sia perché la Libia era relativamente vicina all’Europa (il che abbassava notevolmente i costi di trasporto), sia perché quello libico è un petrolio di qualità particolarmente buona, in virtù del suo
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO E
La dominazione coloniale italiana
e la monarchia di re Idris
UNITÀ 14
ECONOMIA,
DEMOGRAFIA
E SOCIETÀ
1
La Libia del colonnello Gheddafi
La Libia del
colonnello Gheddafi
Il colpo di Stato del 1969
La politica
di Nasser
UNITÀ 14
APPROFONDIMENTO E
basso tenore di zolfo. I profitti maggiori, tuttavia, derivavano dall’arrendevolezza di re Idris
che, per lo Stato libico, aveva accettato una percentuale bassissima di guadagno.
Sia nell’ambito politico che in campo economico, dunque, la sovranità della nuova Libia indipendente era decisamente ristretta e limitata. Di fatto, il paese era poco più di un
protettorato diretto dalle potenze occidentali che avevano sostituito l’Italia nel controllo dell’area.
IL TEMPO DEL DISORDINE
2
Il colonnello Gheddafi
in una fotografia
del 1963.
La realtà economica e politica della Libia può essere considerata una tipica situazione di
quel fenomeno che gli storici chiamano neocolonialismo e che può essere considerato una
caratteristica tipica di numerosi paesi dell’Africa, a partire dagli anni Sessanta. Siamo di
fronte a territori ufficialmente sovrani, ma in realtà privi di vera autonomia decisionale
in tutti gli ambiti più delicati e più importanti. Il primo leader africano che precocemente
(fin dagli anni Cinquanta) denunciò questa situazione per il proprio paese e cercò di capovolgerla fu l’egiziano Gamal Abd-al Nasser, che si presentò come il campione del recupero della completa sovranità politica ed economica dell’Egitto e, più in generale, dei
Paesi arabi.
Nasser fu ammirato e assunto come esempio e modello da un capitano dell’esercito libico, Muammar Gheddafi, che fin dal 1963 si convinse di essere una specie di figura predestinata a guidare il rilancio della Libia e dell’intero mondo islamico, contro l’Occidente
imperialista e sfruttatore. Gheddafi iniziò a tessere pazientemente una complessa rete
cospirativa, finalizzata a realizzare un colpo di stato, da effettuare solo al momento opportuno; il giovane ufficiale (nato, forse, nel 1942) fu molto attento a cogliere i diversi
segnali del malessere che la società libica nutriva nei confronti del proprio sovrano.
Il più clamoroso di tali messaggi si manifestò nel 1967, in occasione della guerra dei sei giorni, durante la quale re Idris cercò di restare defilato e silenzioso, proprio nel momento in
cui alcuni importanti paesi arabi fratelli (Egitto, Giordania e Siria) venivano pesantemente umiliati da Israele. Il cauto atteggiamento del sovrano venne sconfessato e scavalcato dagli studenti, dai predicatori delle moschee (gli ulama) e, più
in generale, dalla popolazione di Tripoli, che nei giorni 29 giugno 1967 assalì i quartieri della capitale in cui vivevano gli ebrei e gli italiani. In questo vero e proprio pogrom,
furono uccisi almeno 17 persone (tutte israelite), mentre i
negozi saccheggiati furono circa un centinaio.
La lotta contro lo stato di Israele, considerato come un’umiliazione imposta dall’imperialismo occidentale al mondo arabo, divenne un pilastro centrale nella concezione
ideologica e nella prassi politica di Gheddafi, che non a
caso scelse Operazione Gerusalemme come nome in codice per denominare il suo progetto di colpo di stato. L’azione venne infine portata a compimento, in modo sostanzialmente incruento e senza spargimento di sangue,
il 1° settembre 1969. Dopo l’abdicazione di re Idris, in
teoria il potere fu assunto da un gruppo di militari denominato Consiglio del Comando della Rivoluzione; in realtà,
nel giro di pochissimo tempo, tutte le cariche più importanti furono ricoperte da Gheddafi, che i compagni di
lotta promossero sul campo al grado di colonnello, per l’abilità con cui aveva guidato e diretto prima la cospirazione
e poi il colpo di stato.
I primi provvedimenti emanati dal Consiglio riguardarono le basi aeree inglesi e americane: Gran Bretagna e Stati Uniti furono fermamente invitati ad abbandonarle nel
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
UNITÀ 14
Aumento
dell’imposta
di estrazione
L’ideologia di Gheddafi
Secondo un commento ufficiale del 1982, tutti i principali provvedimenti presi dal governo rivoluzionario nei suoi primi anni di attività formavano un tutto coerente e unitario: «Questa rivoluzione ha distrutto i troni dei traditori, ha cacciato le basi imperialistiche, ha sconfitto i nemici del popolo e coloro che derubarono le sue risorse. Infine sono
stati cacciati i rimanenti fascisti protetti nella corrotta monarchia, perché rappresentavano una quinta colonna che complottava contro la libertà del popolo arabo-libico e si impadroniva delle sue risorse».
3
IL RUOLO STORICO DI GHEDDAFI NEL PROCESSO DI DECOLONIZZAZIONE
La decolonizzazione:
un missile a tre stadi
Nasser, in Egitto
Sayyd qutb, in Egitto
Primo stadio:
recupero della piena
sovranità e capacità
decisionale in campo
politico e militare
Opposizione ad oltranza
contro lo Stato di Israele,
considerato un’imposizione
delle potenze imperialiste
Secondo stadio:
recupero del pieno controllo
delle risorse econtomiche di
un paese
Nazionalizzazione del canale – Insistenza (teorica) su una
di Suez (1956)
maggiore giustizia sociale
– Impossibilità (pratica) di
prendere qualsiasi
decisionale
Terzo stadio:
elaborazione di un progetto
ideologico alternativo a
quelli occidentali
– Assenza di un progetto
ideologico autonomo e
originale
– Utilizzo di categorie
occidentali (nazionalismo
e socialismo)
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Scarso interesse iniziale
degli integralisti per
il conflitto arabo-israeliano
(tema monopolizzato
da Nasser)
Gheddafi in Libia
Opposizione ad oltranza
contro lo Stato di Israele,
considerato un’imposizione
delle potenze imperialiste
– Scontro con le grandi
compagnie petrolifere
anglo-americane
– Confisca dei beni degli
italiani espulsi
– Elaborazione di un
– Elaborazione di un
progetto originale,
progetto originale,
alternativo rispetto alle
alternativo rispetto alle
categorie culturali europee
categorie culturali europee
– Rigido recupero della
– Apertura in direzione delle
tradizione islamica
tradizionali categorie
europee (già utilizzate
da Nasser in funzione
antimperialista)
La Libia del colonnello Gheddafi
Subito dopo, Gheddafi concentrò la sua offensiva antimperialista sull’economia, e quindi contro le grandi compagnie petrolifere. Dopo un lungo braccio di ferro, le società che
gestivano i pozzi e le raffinerie furono costrette a pagare – pena l’espulsione dal paese o
la nazionalizzazione degli impianti – un’imposta di estrazione molto più alta rispetto a
quella che versavano a re Idris. Inoltre, nel 1973, la nuova Libia appena uscita dalla rivoluzione fu ovviamente in prima linea nel sostenere l’embargo petrolifero, nei confronti di tutti quei paesi europei che, durante la guerra del Kippur, avevano sostenuto Israele. E quando poi, nel giro di qualche mese, le forniture ripresero, Gheddafi ebbe un ruolo importante nel promuovere il progressivo rialzo del costo del greggio, che da 3-4 dollari al barile (quotazione del 1972) passò improvvisamente a 11,65 dollari (ma giunse perfino a picchi di 18 dollari) al barile.
APPROFONDIMENTO E
più breve tempo possibile. Nel luglio 1970, il governo libico decise l’espulsione della comunità italiana, la cui presenza, proprio come le basi militari, a giudizio di Gheddafi era
un retaggio del colonialismo. Gli italiani presenti in Libia a quel tempo erano circa 20
000; nell’arco di tre mesi, furono tutti obbligati ad andarsene, mentre i loro beni vennero nazionalizzati: «Secondo l’agenzia libica JANA, sono stati confiscati agli italiani 352 fattorie per complessivi 37 000 ettari, 1750 case, ville e appartamenti, 500 fra negozi, magazzini, ristoranti, supermercati, cinematografi, studi professionali, 1200 tra autoveicoli, aerei e macchine agricole» (A. Del Boca). Il quotidiano italiano Il Giornale di Tripoli
venne soppresso, la cattedrale della capitale fu trasformata in moschea (e intitolata a Nasser) e perfino il cimitero fu cancellato, al punto che il governo italiano dovette procedere al trasferimento in patria i 29 492 salme.
APPROFONDIMENTO E
UNITÀ 14
Discepolo
di Nasser
Una rivoluzione
totale
IL TEMPO DEL DISORDINE
4
Il Libro Verde
1
Riferimento
storiografico
pag. 8
Se riprendiamo la metafora proposta dallo studioso francese François Burgat, potremmo
dire che l’espulsione degli anglo-americani, la confisca dei beni degli italiani e la drastica riduzione dei guadagni delle società petrolifere rappresentano il primo e il secondo stadio della decolonizzazione: interventi finalizzati al recupero della piena sovranità politica e al controllo delle risorse economiche di un nuovo Paese, divenuto indipendente
da poco. In queste operazioni, tutto sommato Gheddafi si è mostrato poco originale, o
meglio, un fedele discepolo di Nasser.
Il leader egiziano, però, ha fatto uso sempre e solamente di argomenti, princìpi e categorie
culturali occidentali: per giustificare i suoi comportamenti politici (ad esempio, la sua determinazione a combattere Israele) si è espresso in termini affini a quelli del nazionalismo europeo, mentre l’espropriazione del canale di Suez è stata illustrata facendo riferimento al socialismo. Nasser, insomma, non è mai davvero approdato al terzo stadio, che
secondo Burgat consiste nello sforzo di elaborare categorie di analisi e progetti politici radicalmente diversi da quelli di matrice europea, perché ricercati e trovati all’interno
del proprio patrimonio culturale. In Egitto, questo sforzo venne compiuto dagli integralisti
islamici, cioè dai Fratelli musulmani e, in particolare, da Sayyd Qutb, che si posero in competizione con il nasserismo e furono il principale avversario del modello laico che esso si
proponeva di attuare.
L’importanza storica di Gheddafi consiste nel fatto che anch’egli – come Qutb in Egitto
e come, più tardi, Khomeini in Iran – si sforzò non solo di compiere una serie di azioni
ostili all’imperialismo europeo e statunitense, ma soprattutto di elaborare un progetto politico e sociale radicalmente alternativo a quelli occidentali. Quella di Gheddafi voleva essere una rivoluzione veramente totale, che investisse non solo l’ambito politico e quello
economico, ma perfino quello ideologico. A suo tempo, questo aspetto dell’opera condotta da Gheddafi non fu compresa né sufficientemente valorizzata: anzi, fu quasi ovunque disprezzata e derisa; del resto lui stesso, a più riprese, parlava della sua ideologia in
termini talmente enfatici ed esagerati da rasentare il grottesco: basti pensare che amava
definire la propria dottrina come la «Terza teoria universale» (dopo il liberalismo e il socialismo), sostenendo che essa sarebbe stata la «soluzione definitiva» di tutti i problemi
politici, economici e sociali dell’umanità intera.
Ciò nonostante, un approccio corretto deve sforzarsi comunque di capire il significato
storico di quanto Gheddafi propose negli anni Settanta, cercando di cogliere quello
che lo distingue sia dal modello nasseriano (cui pure si ispira), sia dall’integralismo islamico classico, che avrebbe trovato seguaci assai più numerosi rispetto all’ideologia del colonnello libico, pur essendo, per alcuni aspetti, affine ad essa.
Gheddafi iniziò a divulgare le proprie idee nel 1973, anno in cui uscì la prima parte del
cosiddetto Libro Verde; le altre due sezioni sarebbero poi uscite nel 1976. Mentre il primo tomo si occupa prevalentemente di tematiche politiche e religiose, il secondo affronta
i problemi dell’economia, dell’assetto sociale e dei rapporti fra le diverse classi. L’ultima
parte, infine, esamina tematiche particolari come le relazioni di genere (maschi e femmine),
i rapporti tra le razze (bianchi e neri), l’istruzione dei giovani o il ruolo dello sport.
L’islam e le masse
Il mito di Nasser
Il primo elemento che Gheddafi assume come base su cui costruire i propri ragionamenti
è l’islam. A suo giudizio, il Corano contiene tutte le indicazioni necessarie alla costruzione di una convivenza civile giusta e ordinata. Da questo punto di vista, l’approccio
del colonnello non è molto diverso da quello di Sayyd Qutb (che Gheddafi sicuramente ha letto con attenzione) o da quello di Khomeini. Le differenze rispetto agli integralisti islamici, tuttavia, sono non meno importanti delle affinità. In primo luogo, il leader
libico non ha mai demolito il mito di Nasser né rinnegato la giustizia delle sue scelte: Gheddafi, semmai, avrebbe voluto essere l’erede del grande presidente egiziano e riuscire là dove
Nasser aveva fallito. Tutto sommato, fino all’inizio del xxi secolo, il tema palestinese non
è mai stato al centro dell’interesse degli integralisti; la lotta contro il sionismo, invece,
per Gheddafi è diventata una specie di missione (o, se si preferisce, di ossessione).
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
ulama, i predicatori-giuristi che guidavano le riunioni di preghiera nelle moschee. Gheddafi, infatti, non solo voleva nazionalizzare anche i beni delle istituzioni religiose, bensì
si opponeva a numerosi aspetti della tradizione, a cominciare dal ruolo sociale che essa
attribuiva alle donne. Procedendo con estrema coerenza, e rifiutando senza alcun problema la normativa fissata dai giuristi, il governo non solo introdusse varie norme a garanzia e tutela delle donne sposate o ripudiate, ma arrivò ad aprire loro le porte dell’Accademia militare.
Nel medesimo tempo, per mantenere alta la sua immagine di leader veramente rivoluzionario,
Gheddafi cambiò nome alla Libia, che assunse la denominazione ufficiale di Jamahiiyya,
espressione che significa Stato delle masse. L’intera economia, di fatto, passò sotto il controllo dello Stato che cercò soprattutto di potenziare l’agricoltura; il colonnello, infatti,
più volte nel suo Libro Verde esprime un violento disprezzo nei confronti della vita nelle città e sogna un futuro basato su piccole comunità di villaggio, direttamente amministrate dagli abitanti.
Nel regime instaurato da Gheddafi, la libertà
in tutti i suoi aspetti (di associazione, di stampa, di azione in campo economico) venne
completamente soffocata e spenta. È vero che
il tenore di vita medio dei libici è notevolmente aumentato, grazie alla ridistribuzione dei proventi del petrolio sotto forma di
servizi sociali; in dieci anni sono stati costruiti
200 000 alloggi, mentre è stato scolarizzato
il 99% dei bambini. D’altra parte, i benefici per la popolazione avrebbero potuto essere molti di più, se il colonnello non avesse speso una quantità enorme di denaro sia
in armi e in guerre direttamente condotte
dall’esercito libico (la più lunga e disastrosa fu quella condotta, dal 1973 al 1994, in
Ciad) sia in contributi per alimentare la lotta contro l’imperialismo a livello mondiale.
5
Il colonnello Gheddafi.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO E
Scontro tra
governo e autorità
religiose
UNITÀ 14
interessato alla tradizione e la viola senza problemi ogni volta che gli pare obsoleta o superata. Nel 1978, si arrivò allo scontro aperto tra il governo rivoluzionario e gli
Tentativi di fusione
tra Stati
La Libia del colonnello Gheddafi
Ancora più cara, forse, gli era tuttavia l’idea dell’unità di tutti gli arabi, da aggregare in
una lotta comune contro gli Stati Uniti e le altre potenze imperialiste. Solo così si spiega il frenetico sforzo compiuto dal colonnello di costruire federazioni tra due o più Stati, di cui spesso egli si affrettava a proclamare solennemente la fusione, che poi regolarmente falliva, perché l’altro soggetto coinvolto, nel giro di breve o brevissimo tempo, tornava sui suoi passi e rompeva l’accordo. I tentativi di fusione più significativi furono quelli con l’Egitto e con la Siria (nel 1971), con la Tunisia (nel 1974), con il Ciad (nel 1981),
con il Marocco (1984); la delusione più cocente, tuttavia, arrivò forse nel 1973, in occasione della guerra del Kippur contro Israele, che Siria ed Egitto intrapresero senza nemmeno consultare Gheddafi e tenendolo fuori da qualsiasi processo decisionale, pur avendo ricevuto gran parte dell’armamento proprio dalla Libia.
Esiste un’altra differenza, ancora più importante, tra Gheddafi e gli integralisti islamici.
Questi ultimi, infatti, sono molto legati alla tradizione e quindi assegnano un ruolo importantissimo ai teologi o agli interpreti del Corano: che il posto di preminenza spetti a
questi professionisti del libro e del diritto (vero e proprio clero, nel caso dell’islam sciita)
per i fondamentalisti è fuori discussione, al punto che Khomeini definì il suo regime governo del giurista islamico. Gheddafi invece, pur ispirandosi al Corano, non è per nulla
APPROFONDIMENTO E
UNITÀ 14
Gheddafi e il terrorismo internazionale
Finanziamento
del terrorismo
Per Reagan il
responsabile è
Gheddafi
Il silenzio di
Gorbacëv
IL TEMPO DEL DISORDINE
6
Gesto dimostrativo
contro l’Italia
Secondo i servizi segreti occidentali, Gheddafi ha sostenuto in modo consistente l’IRA irlandese, l’OLP palestinese, l’ETA basca e numerose altre organizzazioni che hanno fatto regolarmente ricorso al terrorismo, per raggiungere i propri obiettivi. Per diversi anni, però,
i rapporti con gli Stati Uniti non furono particolarmente tesi o violenti; la relazione si fece
bruscamente conflittuale a partire dal 1978, dopo che la Casa Bianca svolse un ruolo determinante come mediatore degli accordi di pace stipulati dall’Egitto e da Israele.
Nell’aprile 1986, si verificarono a distanza ravvicinata due attentati contro obiettivi statunitensi: un aereo di linea che volava da Roma ad Atene e una discoteca di Berlino ovest, ove numerosi soldati americani si recavano nel tempo libero. L’esplosione sul volo provocò 4 morti e 9 feriti, quella berlinese due morti e 230 feriti. Le indagini avrebbero più
tardi dimostrato che il responsabile di entrambi gli atti era un gruppo palestinese radicale, protetto e sovvenzionato dal governo della Siria. Il presidente americano Ronald Reagan, invece, si convinse immediatamente della responsabilità di Gheddafi, che il capo di
Stato statunitense, da diversi mesi, stava indicando a tutto l’Occidente come «l’uomo più
pericoloso del mondo».
Il 9 aprile, Reagan comunicò ai principali governi europei la sua intenzione di colpire pesantemente la Libia; per evitare incidenti ancora più gravi, l’informazione fu passata anche al governo sovietico (e Gorbacëv, con grande disappunto di Gheddafi, non fece nulla per fermare l’attacco americano, e tanto meno informò il colonnello). L’Inghilterra mise
a disposizione le proprie basi militari, da cui la notte del 15 aprile 1986 decollarono 44
bombardieri statunitensi, che attaccarono Tripoli con l’esplicito obiettivo di uccidere Gheddafi. Il bombardamento fece 37 vittime (tutte civili), tra cui la figlia adottiva del dittatore, di appena 16 mesi.
Gheddafi uscì illeso e, in un primo tempo, amò presentarsi come un nuovo Nasser o un
nuovo Che Guevara, universalmente riconosciuti come eroi nella lotta dei popoli oppressi
contro l’imperialismo. Inoltre, per dimostrare la propria determinazione, il colonnello
ordinò che fossero lanciati due missili contro l’isola italiana di Lampedusa. I missili
caddero in mare e non fecero alcun danno; si trattò di un’azione puramente dimostrativa, incapace di alterare la gravità della situazione: il comportamento di Gorbacëv e la facilità con cui gli americani avevano potuto colpire la sua stessa abitazione dimostrarono
a Gheddafi quanto la Libia fosse militarmente debole e politicamente isolata.
I resti del Boeing 747
esploso a Lockerbie
(Scozia) il 21 dicembre
1988 a causa di un
attentato terroristico.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO E
Il colonnello cercò di compiere alcuni gesti di distensione verso i suoi avversari, ma la tensione tornò alta nel 1988, dopo che l’esplosione di un aereo di linea Jumbo, nel cielo di
Lockerbie, in Scozia, provocò la morte di 270 persone. Il governo degli Stati Uniti e quello della Gran Bretagna accusarono Gheddafi di essere il mandante della strage e ottennero una dura condanna della Libia da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che
chiese ai paesi membri di bloccare completamente il traffico aereo civile e commerciale da e per la Libia, al fine di isolarla dal resto del mondo e della comunità internazionale. Gli effetti di queste sanzioni sull’economia libica furono ben presto gravissimi;
infatti, anche se le frontiere marittime e quelle terrestri erano ancora aperte, i prezzi della maggioranza dei generi di consumo (non escluse le camicie, le scarpe o le automobili)
aumentarono vertiginosamente, rendendo tali beni assolutamente inaccessibili per la maggioranza dei libici.
Embargo aereo
La crisi del regime di Gheddafi
UNITÀ 14
Repressione
dell’estremismo
islamico
7
Riferimento
storiografico
2
pag. 10
Ribelli libici calpestano
la testa di una statua
con l’effigie di
Gheddafi.
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La Libia del colonnello Gheddafi
Il rapido peggioramento della situazione economica provocò malumore e malcontento.
Gheddafi si rese subito conto del fatto che gli integralisti islamici avrebbero potuto trarre grandi vantaggi dal nuovo scenario: del resto, nella vicina Algeria, proprio la miseria e
la disoccupazione avevano provocato nel 1989 una serie di proteste e di sommosse, sfociate poi, dal 1992, in una violentissima guerra civile. Per tutti gli anni Novanta, pertanto,
Gheddafi fu uno dei più intransigenti avversari dei Fratelli musulmani e, più in generale, dell’estremismo politico musulmano.
Per ottenere la revoca delle sanzioni ONU, il 5 aprile 1999 Gheddafi accettò di consegnare
ad un tribunale scozzese i due agenti libici accusati di aver organizzato la strage di Lockerbie; e quando uno di essi fu condannato all’ergastolo, il colonnello accettò di buon grado di versare alle vittime un risarcimento elevatissimo.
Nei primi dieci anni del nuovo secolo, la posizione di Gheddafi sembrò tornare più sicura che mai, e il principale segno di questa apparente stabilità fu la stipulazione di vari
accordi con l’Italia, che finalmente chiuse i conti morali e materiali con il proprio passato coloniale. I problemi economici e sociali interni, tuttavia, in Libia erano tutt’altro
che assenti. La popolazione, infatti, negli ultimi decenni del Novecento è cresciuta a tassi elevatissimi, mentre l’economia nazionale (al di là delle rendite petrolifere) ha ben poco
da offrire; pertanto, mentre si registrava da tempo una preoccupante e cronica carenza di
APPROFONDIMENTO E
La revoca delle
sanzioni ONU
UNITÀ 14
L’esercito non
obbedisce
al Colonnello
abitazioni popolari, almeno il 30% delle donne e dei giovani (oggi, in Libia, una persona su tre ha meno di 15 anni) nel 2010 era disoccupato. La revoca delle sanzioni è
stata senza dubbio un’importante boccata d’ossigeno, per la società libica, ma sul piano
politico ha generato una situazione estremamente pericolosa per il regime: i problemi della popolazione, infatti, non potevano più essere addossati alle potenze occidentali e all’embargo che esse avevano imposto alla Libia, ma solo a Gheddafi e al suo governo.
Il malessere esplose nel 2011, sull’onda delle rivolte che, in Tunisia e in Egitto, cacciarono dittatori che erano al potere da 20-30 anni. Il 16 febbraio, fu arrestato a Bengasi (la
seconda città della Libia) Fathi Tirbil, un avvocato che da tempo si era accollato il compito di rappresentare le famiglie delle vittime di un massacro verificatosi nel carcere di Abu
Salim, nel 1996. Da oltre due anni, l’avvocato guidava manifestazioni ed altre forme di
protesta perché fossero fatte piena luce e giustizia su quel tragico evento, durante il quale erano stati uccisi più di 1200 prigionieri. L’arresto di Tirbil spinse gli oppositori al regime di Gheddafi a proclamare per il giorno seguente la cosiddetta giornata della collera;
la violenza con cui furono represse le prime manifestazioni, e che la polizia continuò a
esercitare ai funerali delle prime vittime (per un totale di 60-100 morti), trasformò la protesta in vera sommossa, che ben presto trasformò Bengasi e l’intera Cirenaica (la regione
più orientale del Paese) in zone autonome, che non riconoscevano più l’autorità del potere centrale. Nel giro di pochi giorni, infatti, anche 20-30 000 soldati dell’esercito libico si rifiutarono di obbedire a Gheddafi, cioè disertarono o si schierarono con i ribelli.
La Libia, pertanto, è scivolata nella spirale di una violenta guerra civile, nel corso della
quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha duramente criticato Gheddafi per le violenze compiute, nel tentativo di riprendere il controllo della situazione, e autorizzato la
Francia, la Gran Bretagna e l’Italia ad appoggiare militarmente gli avversari del colonnello
con azioni di bombardamento aereo.
Il 20 ottobre 2011 il dittatore è stato trovato a Sirte, dove si nascondeva, e ucciso brutalmente dai guerriglieri della rivoluzione.
IL TEMPO DEL DISORDINE
8
Riferimenti storiografici
1
L’utopia di Gheddafi e il Libro Verde
Spesso Gheddafi viene liquidato come un pazzo, come un megalomane che la ricchezza petrolifera ha trasformato in un povero squilibrato. Un approccio più corretto dovrebbe invece tentare di cogliere
lo specifico della sua ideologia, che si trova espressa nel cosiddetto Libro Verde, scritto nel 1973. La
sua importanza consiste nel fatto che l’islam viene rilanciato come ideologia alternativa a qualsiasi dottrina politica occidentale; tuttavia, si tratta di un islam molto diverso da quello della tradizione, con cui
Gheddafi spesso entrò in conflitto. Nelle sue intenzioni, il Libro Verde doveva fondare una terza via tra
il modello politico di Nasser e quello degli integralisti islamici radicali.
Ancora prima di porre mano alle tre parti del Libro Verde, che renderà pubbliche fra il 1973
e il maggio del 1979, Gheddafi fa una scelta di importanza capitale, quella di attribuire all’islam la funzione di unità, identità e liberazione del paese. Il primo segno della svolta è contenuto nella Costituzione provvisoria dell’1 dicembre 1969. L’art. 2 del capitolo I recita infatti:
«L’Islam è la religione dello Stato». Superando le posizioni dei riformisti e anticipando di un
decennio quelle degli integralisti islamici, Gheddafi si propone di reinterpretare il Corano per
dimostrare che esso contiene tutti i precetti necessari per edificare una società e uno Stato
moderni. Prendendo la parola il 12 dicembre 1970 alla 1ª Conferenza missionaria islamica,
convocata a Tripoli, il leader libico così si esprime: «L’islam ha una vocazione universale; è
la fonte di ogni progresso e di tutte le scienze; è più progressista di qualsiasi ideologia rivoluzionaria; ha stabilito i principi di una società concepita al servizio tanto dell’individuo che
della collettività; ha scoperto prima di ogni altro i diritti dell’uomo e del lavoratore, la soppressione delle classi». Ricevendo in quegli anni i giornalisti, Gheddafi ama soffermarsi sulla
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
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APPROFONDIMENTO E
scelta islamica fatta dalla Libia e ne spiega le motivazioni. Ad Eric Rouleau, con il quale sembra essere entrato in sintonia, confida: «Legga e rilegga il Corano. Vi troverà le risposte a tutte
le sue domande. L’unità araba, il socialismo, i diritti di successione, il posto che dovrebbe
competere alla donna nella società, la caduta ineluttabile dell’impero romano, il destino del
nostro pianeta dopo la messa a punto della bomba atomica. Per chi sa leggere, c’è tutto in
questo libro santo». Poi, dopo una breve pausa, riprende con fervore: «Mi creda, i popoli,
compresi i comunisti russi, si convertiranno all’Islam se si prendono la briga di leggere il Corano con intelligenza e con spirito aperto». Anche la scelta socialista della Libia ha le sue radici nel libro sacro: «Il socialismo arabo che abbiamo adottato si pone a mezza strada fra il
capitalismo sfruttatore e il comunismo totalitario; le sue origini sono nei precetti dell’Islam. Non
è importato dall’estero e consente a tutti, ricchi e poveri, di edificare insieme una società florida e giusta».
La rilettura che Gheddafi fa del Corano, che ha il preciso obiettivo di individuare nelle sacre scritture gli strumenti e gli istituti per edificare il nuovo Stato e garantire nello stesso tempo
legittimità al nuovo regime, si caratterizza anche per la netta distinzione che il leader libico
opera fra il Corano e la shari’a (il sistema giuridico musulmano) e fra il Corano e gli hadith,
ossia l’insieme di tradizioni relative agli atti e alle parole di Maometto, che Gheddafi considera opera degli ulama [gli esperti di diritto musulmano e di teologia islamica, n.d.r.] e quindi
opera umana, non di fede. Privilegiando il Corano e prendendo le distanze tanto dalla shari’a che dagli hadith, Gheddafi finisce per entrare in rotta di collisione con gli ulama, alcuni
dei quali cominceranno a indicarlo, nei loro sermoni, come un apostata, un eretico. La posizione di Gheddafi nei confronti della shari’a appare comunque ambigua nei primi anni dopo
il colpo di Stato. L’11 ottobre 1972, ad esempio, Radio Tripoli annuncia che il CCR [Consiglio del Comando della Rivoluzione: il governo della Libia, dopo il colpo di stato del settembre 1969, n.d.r.] ha deciso di applicare il Libia la legislazione penale islamica, compresa nella
shari’a, che prevede per ladri e rapinatori punizioni che vanno dal taglio di una mano alla pena
di morte. La decisione è molto grave perché la maggioranza dei paesi musulmani non applica questa legislazione, bensì codici penali ispirati al diritto occidentale e che prevedono soltanto condanne a pene detentive. Ma poi si scopre che queste terribili pene non vengono
mai applicate in Libia e che servono soltanto da deterrente. […]
Ricostruendo la storia del fondamentalismo islamico, François Burgat riconosce giustamente che Gheddafi, «più arabista di Nasser, ma anche più musulmano di lui, ha contribuito
a reintrodurre i referenti religiosi nel discorso unitario [ha cercato di porre l’islam a fondamento
del progetto di unire insieme tutti i popoli arabi, n.d.r.]. Rinnegato oggi dalla maggioranza dei
movimenti islamici, Gheddafi appare tuttavia, paradossalmente, come quello tra i leader arabi
che, rafforzando la componente islamica del proprio discorso, ha per primo cominciato a spostare il centro di gravità ideologica dell’arabismo nasseriano. Sotto molti aspetti, la sua precoce reintroduzione (fin dall’esordio degli anni Settanta) nel linguaggio giuridico-politico libico
Un dibattito televisivo
sul senso della
democrazia a cui ha
partecipato il leader
libico nel marzo del
2007. Gheddafi,
nell’immagine, consulta
il Libro verde che espone
la sua visione della
democrazia e
dell’economia.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
La Libia del colonnello Gheddafi
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APPROFONDIMENTO E
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Spiega il significato
dell’espressione
secondo cui il
socialismo arabo
non è importato
dall’estero.
Che cosa significa
il fatto che le pene
previste dalla legge
islamica non
vengano mai
applicate in Libia
e che servano
soltanto da
deterrente?
di molte categorie dell’Islam, ha contribuito a farlo apparire come il primo capo di Stato islamico (anche se egli rifiuta questo titolo)». Se analizziamo il fenomeno integralista nella sua
odierna e matura configurazione, ci accorgiamo infatti che il giovane Gheddafi non trascura,
nella costruzione della propria ideologia, nessuno degli elementi che caratterizzano il fondamentalismo: dal ritorno dell’islam alle sue fonti all’adozione del Corano come «legge della società»; dal ripudio del diritto internazionale al recupero di una identità culturale; dall’uso politico del petrolio al rigetto di ogni ricordo, influenza e presenza occidentale. […]
Il 3 luglio 1978, nel corso di un appassionato dibattito tra Gheddafi e un gruppo di ulama
libici e irakeni, raccolti nel recinto della moschea Mulay Muhammad di Tripoli, il colonnello
opera ancora una volta una netta distinzione fra il Corano, parola rivelata e eterna, e la shari’a, che egli considera una legislazione elaborata dagli ulama attraverso i secoli: «Considero
la shari’a come un diritto positivo [storicamente dato, elaborato da un’autorità umana,
n.d.r.], esattamente come il diritto romano, il codice napoleonico e tutte le altre leggi elaborate da giuristi francesi, italiani, inglesi e musulmani… Ritengo che gli studiosi dell’islam abbiano elaborato un diritto positivo che regge bene il confronto con il diritto romano. Ma io non
dirò mai che si tratta di religione: è un diritto positivo ammirevole, elaborato da musulmani,
da uomini di cultura musulmana, di orientazione musulmana, che sono il prodotto della terra
dell’islam». Rivelando una conoscenza straordinaria del Corano e della storia dell’islam e dimostrando di possedere tutti i requisiti per tener testa a un consesso di ulama agguerriti e
ostili, Gheddafi contesta energicamente il monopolio dell’interpretazione del Corano detenuto
dagli ulama; si arroga il diritto di edificare in Libia «una democrazia popolare e di sopprimere
lo sfruttamento», anche se ciò dovesse porre dei limiti alla proprietà privata, inclusa quella delle
corporazioni religiose; sfida gli ulama a trovare nel Corano una sola parola che autorizza la
lapidazione e la poligamia, ammesse invece dalla shari’a.
A. Del Boca, Gheddafi. Una sfida dal deserto, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 65-68 e 85-86
2
IL TEMPO DEL DISORDINE
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La Libia, l’Occidente, l’Italia
La situazione creatasi all’inizio del nuovo secolo è decisamente confusa e imbarazzante. Infatti, per
ragioni economiche (il petrolio) o politiche (la repressione dell’integralismo e il controllo dell’immigrazione) Gheddafi è stato corteggiato da vari governi occidentali, a cominciare da quello italiano. Anche
numerose aziende italiane hanno accettato di stipulare accordi commerciali e finanziari quanto mai vantaggiosi con il regime libico, che nel 2011 è stato anch’esso investito dall’onda della rivolta popolare.
Nessuno avrebbe immaginato che anche Muammar Gheddafi avrebbe dovuto fare i conti
con una rivolta. Tutti i governi invece, amici o nemici, hanno subito intuito che nel caso della
Libia lo scontro sarebbe stato più cruento, per il fatto che il Colonnello, considerava il Paese
un suo possedimento, leggeva ciò che volevano gli insorti come una specie di attacco alla
sua proprietà. […] La Libia, il Paese che ha le maggiori riserve di greggio del continente africano (e il cui territorio è fra l’altro ancora in gran parte inesplorato) è un rentier State, uno Stato
che vive delle rendite petrolifere, così come lo sono i Paesi del Golfo. Ovviamente bisogna
tener conto di una differenza di scala, per quanto riguarda le riserve di greggio come per gli
investimenti: Paesi come l’Arabia Saudita, il Kuwait o gli Emirati Arabi sono molto più ricchi.
Tuttavia, se si tiene conto di questa differenza, la similitudine sussiste per diversi aspetti.
Fra i tanti aspetti vi è anche il seguente: il regime libico ha enormemente beneficiato degli
introiti petroliferi e degli investimenti stranieri degli ultimi anni, ma ha mantenuto uno strettissimo controllo su queste risorse, impedendo che la società libica ne beneficiasse. Gheddafi
avrebbe potuto facilmente migliorare le condizioni di vita della sua (relativamente scarsa) popolazione, anche soltanto ridistribuendo una parte degli introiti petroliferi, o – ancora meglio
– creando le basi per il decollo di una economia non petrolifera; ha invece puntato sulla tenuta ideologica del regime e sulla retorica populista antioccidentale, nonostante gli interessi
che lo legano a questo stesso Occidente siano molteplici e stratificati in ogni settore. La ricchezza è rimasta concentrata nelle mani di pochissimi: essenzialmente i suoi familiari e i membri del suo clan, e le persone più strettamente legate ad essi. […]
Gheddafi non è amato dalla sua gente, a parte da coloro che vivono delle sue prebende
[delle rendite che provengono direttamente da lui, n.d.r.] come, ad esempio, le alte gerarchie
delle Forze Armate, gli esponenti dell’intelligence, i capi dei comitati rivoluzionari e gli uomini
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
F. Rizzi, Mediterraneo in rivolta, Castelvecchi, Roma 2011, pp. 80-87
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO E
UNITÀ 14
Il leader libico Gheddafi
a Roma nel 2010.
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Spiega il significato
dell’espressione:
economia non
petrolifera.
Chi era Omar
al-Mukhtar?
Per quale motivo
era chiamato il
leone del deserto?
Spiega il significato
del termine
unipolarismo.
La Libia del colonnello Gheddafi
della sua tribù. I libici della Cirenaica lo odiano, perché il Colonnello non ha fatto nulla per questa regione (divenuta libica grazie all’invenzione del colonialismo italiano, che l’unì
alla Tripolitania e al Fezzan). Eppure quando venne a
Roma, l’estate scorsa [2010, n.d.r.], non si fece scappare
l’occasione di appuntarsi sul petto la foto in cui era ritratto
il leone del deserto, Omar al-Mukhtar, in catene e circondato dai fascisti italiani. L’eroe della lotta contro il colonialismo italiano era della Cirenaica e fu proprio là, a Bendasi,
che scoppiarono i tumulti di protesta quando un Ministro
italiano, Roberto Calderoli, andò in televisione per mostrare, stampata su una maglietta, una caricatura di Maometto che lo raffigura con in testa un turbante a forma di
bomba con la miccia accesa. È da questa regione che
sono state organizzate le prime manifestazioni contro il regime del Colonnello. Qui è avvenuta la creazione di un
Consiglio provvisorio degli insorti ed è ancora da qui che
le milizie regolari e i mercenari sono stati sconfitti e ricacciati a Tripoli, dove si trova il bunker di Gheddafi (il quale
cerca con tutti i mezzi di sottrarre alle forze della rivolta i territori che questi hanno conquistato). Il dittatore libico non
si è fatto alcun problema a usare aerei ed elicotteri, oltreché la sua milizia, per seminare morte tra la sua stessa
gente e riconquistare parte dei territori perduti.
Dalla fine degli anni Novanta iniziava, dunque, l’avvio
della normalizzazione dei rapporti tra il regime di Gheddafi,
gli USA, l’Unione Europea e l’Italia. Nell’era dell’unipolarismo americano, Gheddafi si era reso
conto che il suo regime non sarebbe sopravvissuto nel totale isolamento internazionale in cui
era venuto a trovarsi fino a quel momento. Su un altro versante, le potenze occidentali avevano evidentemente ritenuto che fosse giunto il momento di assolvere il libico Gheddafi a un
giusto prezzo: quello degli interessi economici. Considerati tali legami, risulta chiaro perché
i Paesi occidentali non si siano affrettati a condannare Gheddafi quando in Libia sono iniziate
le proteste. Nella corsa alla Libia si è inserita prepotentemente anche l’Italia. Il 30 agosto 2008
è stato firmato il Trattato di cooperazione italo-libico tra Gheddafi e Berlusconi, proprio a Bendasi, la città da cui è partita la rivolta. In base all’accordo, l’Italia si impegnava a pagare cinque miliardi di dollari di compensazione per l’occupazione coloniale, e in cambio la Libia si
impegnava a combattere l’immigrazione clandestina e a rafforzare i propri rapporti economici con Roma. In conseguenza di questo accordo, l’Italia è dal 2008 il primo partner commerciale della Libia, anche grazie a una serie di intese personali stipulate tra il Premier Berlusconi e il leader libico. Sono queste le vere ragioni per cui la drammatica crisi che sta vivendo
la Libia rappresenta un grande problema per l’Europa e per l’Italia in particolare. […]
Negli anni il lavoro di legittimazione del Governo libico da parte italiana è stato portato avanti
in modo quasi ossessivo, e ciò spiega la reazione tiepida con cui anche il nostro Governo si
è confrontato con la rivolta in Libia: di fatto, in gioco ci sono i settori delle infrastrutture, dell’energia, delle banche, perfino del calcio; Gheddafi ha riempito di denaro le casse delle maggiori aziende italiane, e di contro la Libia è divenuta meta preferita degli investimenti nostrani.
E come se tutto ciò non bastasse, a evidenziare il vantaggio che si è creato dall’intesa Berlusconi-Gheddafi, interviene il tema dell’immigrazione: grazie all’alleanza tra i due leader, l’Italia può rimandare indietro i migranti fermati nelle acque italiane, eludendo alla luce del sole
la protezione per coloro che richiedono asilo, legittimata dal Diritto Internazionale. Le torture
e i maltrattamenti agli immigrati ricacciati in Libia vengono infatti denunciati di continuo, ma
questo non sembra impensierire la leadership italiana.
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