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Capitolo Settimo La patologia dell`atto amministrativo

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Capitolo Settimo La patologia dell`atto amministrativo
La patologia dell’atto amministrativo
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Capitolo Settimo
La patologia dell’atto amministrativo
I
n questo capitolo viene analizzata la patologia dell’atto amministrativo. Come
tutti gli altri atti giuridici, infatti, l’atto amministrativo può essere valido se conforme alla legge, ovvero invalido quando è difforme dalla norma che lo disciplina.
Patologia dell’atto amministrativo
imperfetto inefficace ineseguibile
invalido
violazione di norma giuridica
irregolare
violazione di criteri
di opportunità
vizio di legittimità
vizio di merito
incompetenza
inopportunità
eccesso di potere
violazione di legge
tipi di
invalidità
testuale
virtuale
totale
parziale
diretta
derivata
1. Gli stati patologici dell’atto amministrativo
L’atto amministrativo è «malato» quando si discosta dal modello predeterminato dalla legge.
Con l’espressione vizio dell’atto amministrativo si indica, infatti, la divergenza tra la fattispecie in concreto posta in essere dalla P.A. ed il modello astratto predefinito in sede normativa.
Al fine di rilevare un vizio dell’atto è, infatti, necessario procedere ad una
comparazione tra l’atto posto in essere ed il modello astratto. In diritto amministrativo esiste una particolarità in base alla quale la fattispecie astratta
deve rispondere ad un duplice criterio: essa deve essere conforme alle norme
di legge, da un lato, ed alle regole di opportunità, dall’altro. Si tratta di due
parametri costituzionalizzati nell’art. 97 Cost., che sancisce il principio di legalità, nonché quello di buona amministrazione.
Ne consegue che i vizi che possono inficiare l’atto amministrativo possono
essere vizi di legittimità (qualora l’atto si discosti da quanto disposto dalle
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norme imperative) e vizi di merito (qualora l’atto, sebbene conforme alle norme, non sia rispondente alle regole di buona amministrazione).
Gli stati patologici di un atto, come si evince dallo schema che segue, possono assumere diverse gradazioni a seconda della maggiore o minore divergenza del provvedimento concreto dal parametro normativo di riferimento,
che ne disciplina il modello astratto.
Invalidità
➤➤Quando alla difformità dell’atto rispetto al parametro normativo di riferimento corrisponda la lesione dell’interesse concreto che la norma violata
intende tutelare. A seconda della gravità dei vizi l’atto può essere nullo o
annullabile
Irregolarità
➤➤Quando la difformità rispetto al parametro normativo di riferimento sia
lieve, di entità tale da non compromettere gli interessi che la norma violata intende tutelare
Oltre alle ipotesi di invalidità ed irregolarità dell’atto amministrativo vi
sono degli stati patologici caratterizzati dal fatto che il provvedimento, pur
conforme allo schema legale, non è comunque idoneo a produrre effetti.
Tali sono i casi di imperfezione, inefficacia o ineseguibilità dell’atto amministrativo.
Imperfetto
➤➤Allorché non si sia ancora concluso il suo ciclo di formazione (D.P.R. non
controfirmato dal Ministro)
Inefficace
➤➤Quando l’atto, benché perfetto, • dalla legge (controlli)
non è idoneo a produrre gli ef- • dalla natura dell’atto ricettizio (comufetti giuridici in quanto sono
nicazione)
inesistenti i requisiti d’efficacia
• dallo stesso provvedimento (condizione
previsti
sospensiva, termine iniziale)
Ineseguibile
➤➤Quando diventa, di regola temporaneamente, inefficace per il sopravvenire di un atto ostativo (es. ordinanza di sospensione) (Virga)
2. L’invalidità dell’atto amministrativo
L’atto amministrativo è invalido quando è difforme dalla norma che lo
disciplina (v. in Appendice voce → Invalidità).
In relazione alla natura della norma si possono individuare due grandi categorie di vizi:
•
se la norma è una norma giuridica, il vizio che consegue sarà un vizio di legittimità e potrà comportare l’inesistenza o l’illegittimità dell’atto;
• se la norma non è giuridica, ma rientra nelle cd. norme di buona amministrazione (norme
che impongono alla P.A. di attenersi, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, a criteri di
opportunità e di convenienza), il vizio conseguente sarà un vizio di merito e l’atto sarà inopportuno.
In relazione alla gravità della violazione si delineano i due concetti di nullità e di annullabilità.
L’atto amministrativo è nullo quando manchi di uno degli elementi essenziali richiesti dalla legge; è annullabile quando qualcuno dei suoi elementi sia
viziato.
La patologia dell’atto amministrativo
L’invalidità può essere:
— testuale o virtuale, a seconda che sia esplicitamente espressa nel testo oppure solo desumibile da esso;
— totale o parziale, dal momento che può intaccare tutto l’atto o solo una parte di esso;
— diretta o derivata: quest’ultima si verifica allorquando l’invalidità di un determinato atto
inficia un atto successivo ad esso connesso che, di per sé, potrebbe essere legittimo.
3. La nullità
Si tratta di una categoria in passato identificata autonomamente solo dai
fautori della tesi negoziale del provvedimento. In particolare, VIRGA riscontra
tale vizio quando manca un cd. elemento essenziale dell’atto (soggetto, oggetto, volontà, forma, destinatario).
A tale presupposto (mancanza di un elemento essenziale dell’atto), l’art.
21septies della L. 241/1990, introdotto dalla L. 11-2-2005, n. 15, ne ha aggiunti altri: è nullo il provvedimento viziato da difetto assoluto di attribuzione, quello adottato in violazione o elusione di giudicato e negli altri casi espressamente previsti dalla legge. In tal modo, con la detta previsione legislativa, la nullità dell’atto amministrativo acquista il pieno riconoscimento sul piano normativo.
Inoltre, la citata disposizione attribuisce alla giurisdizione esclusiva del
G.A. le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi che
violino o eludano il giudicato. Tale previsione è confluita nell’art. 133 del Codice del processo amministrativo che, appunto, elenca le ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A.
La nullità comporta le seguenti conseguenze sull’atto amministrativo:
a) inesistenza giuridica dell’atto, e quindi inefficacia dello stesso;
b) inesecutorietà: l’atto nullo è inefficace e, come tale, è anche inesecutorio;
c) inannullabilità: l’atto nullo è inesistente e, come tale, non può essere annullato. L’annullamento può aversi solo per atti che «esistono», ma sono viziati;
d) insanabilità e inconvalidabilità: l’atto nullo non può essere sanato né convalidato. È, invece, ammessa la conversione, in altro atto valido, dell’atto nullo che presenti i requisiti e gli
elementi essenziali del nuovo atto e realizzi, se convertito nell’atto diverso, l’interesse pubblico.
4. L’illegittimità dell’atto amministrativo
A)Nozione e casi
L’ atto amministrativo esistente che presenti vizi di legittimità che incidono su elementi essenziali di esso è illegittimo e, quindi, annullabile.
Originaria fonte positiva dei vizi di legittimità era l’art. 26 del R.D. 26-61924, n. 1054 (T.U. delle leggi del Consiglio di Stato) oggi abrogato dal Codice del processo amministrativo che, all’art. 29 disciplina l’azione di annullamento per violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza, nonché
l’art. 21octies della L. 7-8-1990, n. 241. Le citate disposizioni individuano
tre categorie di vizi:
— incompetenza;
— eccesso di potere;
— violazione di legge.
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Differenze tra nullità e annullabilità
Evidenti sono le differenze tra nullità e annullabilità del provvedimento amministrativo:
— mentre la nullità si configura nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, l’annullabilità è un rimedio generale contro i vizi di legittimità degli atti;
— mentre l’atto nullo è inefficace di diritto, l’atto annullabile, nonostante la sua invalidità, è
provvisoriamente efficace.
B)L’incompetenza
Come in precedenza esaminato, la competenza indica la misura della sfera di attribuzione di un dato organo (v. Cap. Terzo). La violazione delle norme che la disciplinano dà luogo all’incompetenza, che può manifestarsi in due
forme:
— incompetenza assoluta;
— incompetenza relativa.
Quando si fa riferimento all’incompetenza quale causa di annullabilità
dell’atto, ci si riferisce all’incompetenza relativa che si ha quando un organo amministrativo invade la sfera di competenza di un altro organo appartenente allo stesso settore amministrativo o, comunque, allo stesso ente.
Diverse dall’incompetenza relativa sono l’incompetenza assoluta e l’acompetenza, per le quali non opera il regime dell’annullabilità dell’atto (v. retro Cap. Terzo, par. 12).
C)L’eccesso di potere
Si configura il vizio dell’eccesso di potere allorquando la P.A. esercita il potere per finalità diverse da quelle stabilite dalla norma attributiva del potere.
Per aversi eccesso di potere, che efficacemente viene definito come scorrettezza in una scelta discrezionale, occorrono, pertanto, tre requisiti:
1) un potere discrezionale della P.A., poiché per gli atti vincolati, essendone predeterminato dalla legge il contenuto, non può riscontrarsi un vizio
della funzione (o della volontà);
2) uno sviamento di tale potere, ossia un esercizio del potere per fini diversi da quelli stabiliti dal legislatore con la norma attributiva dello stesso;
3) la prova dello sviamento, necessaria per far venir meno la presunzione di
legittimità dell’atto.
Le figure più rilevanti di eccesso di potere (cd. figure sintomatiche)
Le cd. figure sintomatiche dell’eccesso di potere rappresentano indici della presenza dello sviamento del potere discrezionale della P.A. Esaminiamole.
•
Travisamento ed erronea valutazione dei fatti
Quando la P.A. abbia ritenuto esistente un fatto inesistente ovvero quando abbia dato ai
fatti un significato erroneo, illogico o irrazionale.
• Illogicità o contraddittorietà dell’atto
Quando la motivazione dell’atto sia illogica o contrastante in varie parti, o quando la motivazione sia in contrasto col dispositivo.
• Contraddittorietà tra più atti
Quando più atti successivi siano contrastanti fra loro in modo da non far risultare quale
sia la vera volontà della P.A. (così ad esempio, nel caso in cui, dopo aver collocato a riposo un impiegato, gli si affidi un nuovo incarico).
• Inosservanza di circolari
La violazione di una circolare (atto interno) non può dar luogo di per sé a vizio di legittimità; tuttavia l’inosservanza di circolari importa eccesso di potere per la contraddizione
esistente fra la volontà manifestata col provvedimento nel singolo caso concreto e quella
manifestata in via generale dalla P.A. con l’emanazione della circolare (v. in Appendice voce
→ Norma interna).
La patologia dell’atto amministrativo
•
Disparità di trattamento
Si verifica quando per identiche situazioni di fatto si adottino provvedimenti diversi: è il
caso, ad esempio, in cui, dopo aver accertato la uguale responsabilità di due impiegati,
l’uno è assolto e l’altro punito.
• Ingiustizia manifesta
Questa figura è rarissima, poiché in genere l’ingiustizia attiene piuttosto all’opportunità o
alla convenienza dell’atto, e quindi al merito, non alla legittimità. Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha individuato alcune ipotesi di ingiustizia manifesta che si concretano in vero e proprio eccesso di potere, quale ad esempio il caso in cui si infligga una pena per scarso rendimento ad un impiegato menomato da un infortunio subito sul lavoro. Si tratta, comunque,
di una figura sintomatica che si sostanzia in atti espressione di grave iniquità.
• Violazione e vizi del procedimento
In linea di massima la violazione di una norma procedurale concreta una violazione di legge
e non già un eccesso di potere. Vi sono, tuttavia, delle ipotesi di vere e proprie figure di eccesso di potere quali: l’atto emesso sul presupposto di un parere viziato da errore o travisamento
di fatto; il difetto di istruttoria, che ricorre sia quando la P.A. abbia omesso del tutto di porre
in essere attività istruttoria, sia quando l’istruttoria ci sia stata ma presenti gravi vizi.
• Vizi della volontà
Questa figura è presa in considerazione dai fautori della teoria negoziale e si verifica quando
l’atto sia stato emesso a seguito di un procedimento non corretto di formazione della volontà.
• Mancanza di idonei parametri di riferimento
Altra figura di eccesso di potere è stata elaborata in seguito alla considerazione giurisprudenziale secondo la quale la P.A. non può incidere sulle situazioni soggettive istituzionalmente libere dei cittadini, senza la guida di idonei parametri generali di riferimento. La loro
mancanza, quindi, concreta un’ipotesi di eccesso di potere ogni qualvolta la pretesa tutelata del singolo sia in posizione di conflitto con quella analoga di altri soggetti.
Si noti che con la L. 241/1990 molte figure sintomatiche dell’eccesso di potere sono confluite
nel vizio della violazione di legge (v. sub D) in quanto la predetta legge ha codificato una serie
di obblighi non scritti, ma la cui violazione era già ritenuta rilevante dalla giurisprudenza quale sintomo dell’incoerenza dello svolgimento dell’azione amministrativa (GAROFOLI).
D)La violazione di legge
È una figura residuale comprensiva di tutti gli altri vizi di legittimità che
non configurino né incompetenza relativa né eccesso di potere.
I casi di violazione di legge possono così raggrupparsi:
•
•
•
•
•
•
vizio di forma: e cioè inosservanza delle regole prescritte per la manifestazione di volontà (la
mancanza assoluta di forma è, invece, causa di nullità);
difetto di motivazione o motivazione insufficiente;
inosservanza delle disposizioni relative alla valida costituzione dei collegi: quali le norme per la
convocazione, le votazioni, i quorum, la verbalizzazione etc.;
contenuto illegittimo;
difetto di presupposti legali;
violazione dei criteri di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 1 L. 241/1990 (come novellato nel 2005 e nel 2009).
L’espressione «legge» è da intendere in senso ampio, comprendendo tutti
gli atti di normazione non solo primaria ma anche secondaria. Non rientrano
in tale nozione le circolari, che sono norme interne e la cui violazione, come visto, concreta eccesso di potere.
E)Conseguenze dell’illegittimità
L’atto illegittimo:
— è giuridicamente esistente;
— è efficace;
— è esecutorio (finché non venga annullato).
L’annullamento si verifica soltanto a seguito di un apposito provvedimento
dell’autorità amministrativa o di una sentenza del giudice amministrativo;
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esso, inoltre, può essere richiesto solo dal soggetto nel cui interesse era posta
la norma violata.
L’atto annullabile, infine, può essere sanato, ratificato o convertito in un atto
valido.
L’esistenza di un vizio di legittimità non impedisce che l’atto amministrativo produca egualmente i suoi effetti e possa perciò essere portato ad esecuzione, fino al suo eventuale annullamento.
Il nostro ordinamento prevede comunque i seguenti rimedi contro gli atti illegittimi:
•
una sentenza del giudice amministrativo (Tribunale Amministrativo Regionale e Consiglio
di Stato) che annulli l’atto su ricorso giurisdizionale dell’interessato;
• una decisione dell’autorità amministrativa che annulli l’atto su ricorso amministrativo dell’interessato;
• un atto amministrativo adottato spontaneamente d’ufficio dalla P.A., che ritiri l’atto viziato (cc.dd. atti di ritiro);
• un atto o un procedimento della P.A. che anziché eliminare l’atto viziato lo sani o ne provochi la conservazione (cd. sanatoria e conservazione dell’atto illegittimo).
Sull’argomento v. amplius infra.
Vizi di legittimità
incompetenza
elementi
figure
provvedimento
per materia
per grado
da organo non competente
per territorio
per valore
ma dalla stessa P.A. di chi è competente
eccesso di potere
elementi
potere discrezionale
sviamento di potere
prova
figure
travisamento ed erronea valutazione dei fatti
illogicità o contraddittorietà della motivazione
contraddittorietà tra atti
inosservanza di circolari
disparità di trattamento
ingiustizia manifesta
violazione e vizi del procedimento
vizi della volontà
violazione di legge
elementi
atto della P.A.
contrasto con la legge
ininfluenza dell’elemento
psicologico
mancanza di parametri di riferimento
figure
vizio di forma
difetto o insufficienza di motivazione
invalida costituzione del collegio
contenuto illegittimo
difetto di presupposti legali
violazione dei criteri di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza e pubblicità
La patologia dell’atto amministrativo
5. L’inopportunità dell’atto amministrativo: i vizi di merito
A differenza dei vizi di legittimità, i vizi di merito non sono suscettibili di
una vera e propria classificazione, data la mutevolezza dell’interesse pubblico
e quindi di quei criteri di opportunità e di convenienza cui deve ispirarsi la P.A.
nell’esercizio dei propri poteri.
Il fondamento di tali vizi non risiede nella contrarietà dell’atto a norme giuridiche, ma nella violazione del principio di buona amministrazione (art. 97 Cost.), secondo cui l’attività amministrativa, ispirandosi ai principi razionali di economia e tecnica amministrativa, deve svolgersi nel modo
più idoneo riguardo all’uso dei mezzi e al raggiungimento dei fini.
I vizi di merito possono invalidare solo gli atti discrezionali (atti per i quali
è concesso alla P.A. di vagliare l’opportunità, la convenienza etc. dell’atto stesso).
I vizi di merito, dunque, consistono nella violazione, da parte della P.A.,
di norme non giuridiche di opportunità, di equità, di eticità, di economicità.
6. Gli atti di ritiro
A)Profili generali
L’amministrazione pubblica, nel perseguimento del pubblico interesse, gode
di una serie di poteri riconducibili, tutti, a quello generale di autotutela. Con
il termine autotutela amministrativa si fa riferimento a quel potere dell’amministrazione di rimuovere unilateralmente ed autonomamente gli ostacoli che
impediscono la realizzazione dell’interesse pubblico per il quale il legislatore
ha conferito lo specifico potere.
Gli atti di ritiro, quindi, sono quei provvedimenti amministrativi a contenuto negativo, emanati in base ad un riesame dell’atto compiuto nell’esercizio del medesimo potere amministrativo esercitato con l’emanazione dell’atto al fine di eliminarlo.
Gli atti di ritiro presentano i seguenti caratteri:
•
•
•
•
•
•
sono discrezionali quanto alla emanazione: la P.A. valuta di volta in volta se sussista un
interesse pubblico concreto ed attuale a ritirare il provvedimento;
sono provvedimenti esecutori: una volta intervenuti i requisiti di esecutività o di obbligatorietà per essi prescritti;
sono provvedimenti formali: il procedimento e le forme sono, di solito, le medesime prescritte per l’atto ritirato;
devono essere motivati obbligatoriamente (art. 3 L. 241/1990): si richiede per l’atto di ritiro la motivazione, anche quando non sia richiesta per l’atto ritirato;
sono provvedimenti recettizi: devono, cioè, essere necessariamente portati a conoscenza dei destinatari;
sono soggetti alle regole della L. 241/1990 in tema di silenzio-rifiuto e di obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento.
Gli atti di ritiro sono generalmente classificati in cinque tipi dalla dottrina
(anche se non sempre vi è identità di terminologia):
a) l’annullamento d’ufficio;
b) la revoca;
c) l’abrogazione;
d) la pronuncia di decadenza;
e) il mero ritiro.
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B)L’annullamento d’ufficio
L’annullamento è un provvedimento amministrativo di secondo grado, con il quale viene caducato, con efficacia retroattiva (ex tunc, ossia dalla data della sua emanazione) un atto amministrativo illegittimo, per la presenza di vizi di legittimità originari dell’atto (invalidità originaria).
L’art. 21nonies della L. 241/1990 (come da ultimo modif. dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1
della L. 124/2015) dispone che il provvedimento amministrativo illegittimo (perché adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza) può essere annullato d’ufficio,
sussistendone le ragioni di pubblico interesse, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a 18 mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di
vantaggi economici (inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato per il silenzio-assenso), e
tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge (comma 1). I provvedimenti amministrativi che sono conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti, dichiarazioni sostitutive mendaci o condotte
costituenti reato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di 18 mesi suindicato (comma 2bis, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2 della L. 124/2015).
Tale tipologia di annullamento è posta in essere su iniziativa della P.A. e va tenuta distinta
dall’annullamento su ricorso amministrativo e dall’annullamento in sede di controllo. Il potere
d’annullamento d’ufficio è un potere generale della P.A. e non occorre una espressa previsione di
legge per il suo esercizio.
Conseguenza dell’efficacia retroattiva dell’annullamento d’ufficio è che vengono meno anche gli effetti dell’atto annullato.
Il comma 2 dell’art. 21nonies fa salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
C)La revoca
È un provvedimento di secondo grado, espressione del potere di autotutela (motivato congruamente) con cui la P.A. ritira, con efficacia non retroattiva, un atto inficiato da vizi di merito (inopportuno, non conveniente, inadeguato), in base ad una nuova valutazione delle ragioni di convenienza ed opportunità per le quali l’atto fu emanato.
L’art. 21quinquies L. 241/1990 (come mod. dal D.L. 133/2014 conv. in L.
164/2014) prevede che il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole (concessione, autorizzazione o altro atto che instauri rapporti a durata
prolungata) può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge nel caso di sopravvenuti motivi di
pubblico interesse, di mutamento della situazione di fatto, non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, ovvero, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, a seguito di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
La revoca determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre
ulteriori effetti e l’obbligo per l’amministrazione di provvedere all’indennizzo degli eventuali pregiudizi verificatisi in danno dei soggetti direttamente interessati. Le controversie relative alla determinazione e corresponsione del
suddetto indennizzo sono devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A., ai
sensi dell’art. 133 del Codice del processo amministrativo.
Il comma 1bis dell’art. 21quinquies, introdotto dal D.L. 7/2007, conv. in L. 40/2007, prevede
che ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti
negoziali, gli eventuali rimborsi ed indennizzi corrisposti dalle amministrazioni devono riguardare solo il cd. danno emergente e non anche il lucro cessante.
Esistono due specie di revoca: l’autorevoca e la revoca gerarchica; la differenza fra le due fattispecie è riconducibile al soggetto che adotta l’atto revocatorio: nel primo caso, è la stessa autorità che ha adottato l’atto da revocare,
nel secondo è l’autorità gerarchicamente superiore rispetto a quella che ha
adottato l’atto da revocare.
La patologia dell’atto amministrativo
L’esercizio del potere di revoca presuppone:
a) una mancanza attuale di rispondenza dell’atto alle esigenze pubbliche, dedotta discrezionalmente dalla P.A. in base a una nuova valutazione degli elementi che furono a base dell’atto da revocare, oppure la constatazione che
non risultano sussistenti le ragioni di opportunità che legittimavano l’atto
al momento della sua emanazione;
b) l’esistenza di un interesse pubblico, concreto ed attuale, all’eliminazione
dell’atto inopportuno.
Sono irrevocabili:
— gli atti vincolati, perché questi sono sottratti al potere della P.A. di valutare le ragioni concernenti il merito;
— gli atti la cui efficacia si è già esaurita (ad es.: per scadenza del termine, o per raggiungimento dello scopo);
— gli atti costitutivi di status;
— gli atti costitutivi di diritti quesiti;
— i provvedimenti contenziosi (ad es.: le decisioni sui ricorsi amministrativi);
— gli atti di mera esecuzione (QUARANTA) e gli atti imperfetti.
La revoca ha efficacia ex nunc: gli effetti dell’atto revocato cessano solo dal
momento dell’operatività della revoca, mentre restano in piedi gli effetti già
prodotti in precedenza.
La revoca deve essere tenuta distinta dalla revocazione.
La prima è un provvedimento amministrativo teso al ritiro di altro precedente atto della P.A.;
la seconda, invece, è un mezzo di impugnazione (art. 323 c.p.c.) avente ad oggetto sentenze
pronunciate in grado d’appello o in unico grado.
La revoca si basa su una differente e susseguente valutazione discrezionale delle condizioni di
opportunità che avevano portato alla emanazione dell’atto. La revocazione si basa su un apprezzamento di circostanze e presupposti ignorati al momento dell’emanazione dell’atto (art.
395 c.p.c.).
D)L’abrogazione
Secondo autorevole dottrina (Virga), è un atto di ritiro che si attua per il sopravvenire di
nuove circostanze di fatto che rendono l’atto non più rispondente al pubblico interesse si differenzia dalla revoca, che si concreta nella rivalutazione delle stesse circostanze originarie.
Altra dottrina (Sandulli) osserva, invece, che anche in tale ipotesi ricorre la revoca.
Tale interpretazione esclude la configurabilità autonoma del potere di abrogazione sulla base
dei seguenti rilievi:
— l’abrogazione attiene, come la revoca, a valutazioni di opportunità dell’atto;
— l’abrogazione, come configurata da VIRGA, ha la medesima efficacia (ex nunc) della revoca;
— nella pratica è assai difficile distinguere tra esigenze pubbliche preesistenti e sopravvenute, in quanto tale diversità è sempre frutto di diverse valutazioni soggettive. In assenza,
quindi, di concrete diversità giuridiche, sembra preferibile evitare distinzioni astratte, e
parlare in ogni caso di revoca.
Il regime giuridico dell’abrogazione è il seguente:
a) gli atti suscettibili di abrogazione sono gli stessi che possono essere revocati;
b) gli effetti della abrogazione si producono (come per la revoca) ex nunc;
c) la differenza tra revoca e abrogazione starebbe nel fatto che la prima comporta un riesame
del merito dell’atto al momento della sua emanazione; la seconda, invece, una valutazione
della opportunità di tenere in vita il rapporto creato dall’atto in relazione a mutate situazioni di fatto (VIRGA); tale diversità, ammesso che esista, non influisce sul regime giuridico dell’atto.
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E)La pronuncia di decadenza
È un atto di ritiro, con efficacia ex nunc (cioè della sua adozione) che la P.A. utilizza nei confronti di precedenti atti ampliativi delle facoltà dei privati, in caso di:
— inadempimento degli obblighi o degli oneri incombenti sui destinatari;
— mancato esercizio da parte dei medesimi delle facoltà derivanti dall’atto amministrativo;
— venir meno di requisiti di idoneità necessari sia per la costituzione che per la continuazione del
rapporto.
F)Il mero ritiro (Virga)
È un atto di ritiro che si esplica, anche per fatti concludenti, nei confronti di atti non ancora efficaci come, per esempio, per gli atti del procedimento non ancora perfezionatosi, gli atti privi di un requisito di esecutività o di obbligatorietà, ovvero gli atti per loro natura inefficaci (es.:
atti nulli).
Perché possa farsi luogo al ritiro è condizione sufficiente l’accertamento della illegittimità o
inopportunità dell’atto, non essendo richiesto l’apprezzamento di un interesse pubblico, concreto ed attuale al suo ritiro. Del resto, poiché esso attiene ad un atto inefficace, non vi è alcun affidamento nei destinatari meritevole di essere tutelato (VIRGA).
7. La sanatoria dell’atto amministrativo viziato: la convalescenza e la conservazione
L’atto amministrativo che non sia radicalmente inesistente ma solo annullabile può essere, anziché ritirato, sanato con una successiva manifestazione di volontà da parte della P.A. Si distinguono al riguardo ipotesi di:
a) convalescenza, che tende direttamente a eliminare il vizio che inficia l’atto;
b) conservazione, che tende a rendere l’atto, nonostante la sua invalidità, inattaccabile da parte dei soggetti destinatari con i ricorsi amministrativi o giurisdizionali.
A)La convalescenza
Convalida
➤➤È un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo che elimina i vizi di legittimità di un atto invalido precedentemente emanato dalla stessa autorità. Esso deve contemplare l’atto che si intende convalidare, il vizio da cui
è affetto, la volontà di rimuovere il vizio. La convalida può riguardare atti
annullabili, che non siano stati precedentemente annullati, in relazione ai
quali l’autorità abbia il relativo potere e il vizio inficiante possa essere eliminato. Opera ex nunc, ma si collega ad un atto precedentemente emanato conservandone gli effetti anche nel tempo intermedio; dunque, di fatto,
opera ex tunc, cioè retroattivamente
Ratifica
➤➤È un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo con cui l’autorità astrattamente competente si appropria dell’atto adottato da un’autorità incompetente dello stesso ramo. Si differenzia dalla convalida per l’autorità che
lo pone in essere (non è la stessa autorità emanante) e per il vizio sanabile (che è solo l’incompetenza relativa)
Sanatoria
➤➤Si ha quando un atto o un presupposto di legittimità, mancante al momento dell’emanazione dell’atto amministrativo, viene emesso successivamente in modo da perfezionare ex post l’atto illegittimo. Opera generalmente
ex tunc; ma nei casi in cui incida sfavorevolmente nel campo dei diritti soggettivi, opera ex nunc
B)La conservazione
A differenza della convalescenza, la conservazione mira solo a rendere l’atto invalido inattaccabile dai ricorsi amministrativi o giurisdizionali. Essa consente, per l’appunto, la conservazione
dell’atto illegittimo per vizi di forma laddove risulta ugualmente perseguito in modo efficace
l’interesse pubblico. Il principio si concretizza attraverso una serie di figure giuridiche che ten-
La patologia dell’atto amministrativo
dono a rendere inattacabile da ricorsi un atto amministrativo che è e resta invalido (applicazione del principio generale di conservazione degli atti giuridici).
Consolidazione
➤➤È una causa di conservazione oggettiva dell’atto amministrativo che dipende dal decorso del termine perentorio entro il quale l’interessato avrebbe
potuto opporre ricorso contro l’atto invalido (si tratta di una figura processualistica accostabile al passaggio in giudicato della sentenza)
Acquiescenza
➤➤È una causa di conservazione
soggettiva dell’atto amministrativo che dipende da manifesta- • l’esistenza del provvedimento
zioni espresse o da fatti conclu- • la conoscenza dell’interessato
denti con i quali il soggetto pri- • l’accettazione del privato mediante comvato si preclude la possibilità
portamento equivoco e spontaneo
d’impugnare l’atto. Ne sono requisiti:
Conversione
➤➤Consiste nel considerare un atto invalido come appartenente ad un altro
tipo, di cui presenta i requisiti di forma e di sostanza (utile per inutile non
vitiatur)
Conferma
➤➤È una manifestazione
di volontà non innovativa con cui l’autorità ribadisce una sua precedente determinazione,
eventualmente ripetendone il contenuto
• conferma propria qualora sia adottata sulla base
di un nuovo iter procedimentale (nuova istruttoria, nuova ponderazione di interessi pubblici,
nuovo provvedimento)
— adottato dalla stessa
autorità
— senza una nuova
• conferma impropria
istruttoria
e cioè atto mera— conferma del dispomente confermativo
sitivo e della motivazione del provvedimento
Il carattere di conferma propria o impropria di un atto assume rilevanza ai fini dell’impugnazione: preclusa per la conferma impropria (carenza di interesse a ricorrere, eludibilità dei termini per l’impugnazione), configurabile per la conferma propria.
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