Comments
Description
Transcript
Gli uccelli - IIS Cremona
Aristofane Gli uccelli ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE “LUIGI CREMONA” 19-30 maggio 2015 Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo. Non dico ciò in quanto se tu li vedi o gli odi, sempre ti rallegrano; ma intendo di essi medesimi in sé, volendo dire che sentono giocondità e letizia più che alcuno altro animale… Leopardi Elogio degli uccelli Aristofane Gli uccelli Riduzione drammaturgica: Beatrice Alberti, Diana Benevelli, Gabriella Baldanchini, Paola Bonichi, Maria Luisa Caillaud, Giovanna Cantore, Filippo Di Betto, Lorenzo Di Giacomo, Simone Krasnovsky, Maurizio Maravigna, Daniel Marchese, Luca Marnoni, Teresa Monari, Gilberto Nardi, Carlotta Osti, Paolo Repossi, Luisa Romanello, Michael Smith, Paolo Tacchetti, Matteo Tarli, Giulia Villani Interpreti: Rebecca Alessio, Diana Benevelli, Rebecca Biancamano, Giovanna Cantore, Sara Caporale, Davide Cinque, Valeria Copparoni, Federica Cozzolino, Filippo Di Betto, Lorenzo Di Giacomo, Emanuele Fantini, Ying Li, Chiara Longinotti, Daniel Marchese, Arianna Marinoni, Eleonora Mori, Gilberto Nardi, Vittoria Olivati, Carlotta Osti, Elena Pozzi, Michael Smith, Matteo Tarli, Morgana Trizzino, Giulia Villani Elementi scenografici: Manuela Colomberotto (progettazione e realizzazione), Vittorio Quagliuolo, Rosa Rainone Costumi: Gabriella Baldanchini, Chiara Bongermino, Manuela Colomberotto, Luisa Romanello Luci e fonica: Domenico Diaco, Chiara Loscalzo, Sofia Priora Assistenti alla regia: Patrizia Barbaccia, Maria Luisa Caillaud, Patrizia Caracciolo, Simone Krasnovsky Laboratorio musicale: Ernesto Bovio, Simone Doniselli, Luca Marnoni Il training è stato curato da Alessandro Avanzi Regia: Maurizio Maravigna Si ringraziano per la collaborazione: la Preside Bruna Baggio, la Segretaria economa Lia Del Bono, Maira Carmi, Carlo Cattadori, Marco Costa, Alessio Di Betto, Alessandro Granata, Paolo Repossi, Paola Serra, tutto il personale non docente della scuola, e in particolare Chiara Bongermino, Rita Celino, Andrea Maviglia È stato possibile realizzare questo progetto grazie al sostegno della Commissione Teatro e del Comitato Genitori Prima recita: 19 maggio 2015 Repliche: 20, 22, 25, 26, 29, 30 maggio 2015 Ore 21,00 ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE “LUIGI CREMONA” Viale Marche, 73 - Milano introduzione Il progetto del teatro al “Cremona” è davvero una esperienza corale: docenti, ex docenti, studenti, genitori, uniti da una grande passione si ritrovano anno dopo anno per dar vita ad un laboratorio che ha come esito la rappresentazione di un testo rivisitato e adeguato per renderlo più funzionale ed efficace. Un progetto artistico che, a ben vedere, è un vero e proprio progetto didattico, un fare scuola vivo e concreto in cui si costruiscono saperi disciplinari, si apprendono modalità comunicative ed espressive, si approfondiscono autori e periodi storici, si rielaborano e si sintetizzano testi; il tutto in un contesto emotivo, relazionale, comunicativo di grande impatto, che rende tutti partecipi di una impresa collettiva, che al di là degli esiti finali, costituisce un’esperienza che in genere viene ricordata tra quelle che maggiormente segnano il proprio percorso di vita. Dal punto di vista dei docenti l’esperienza teatrale ha anche un valore educativo specifico; un valore che si declina nei motivi della partecipazione, della collaborazione, dell’autocontrollo e della disciplina, del riconoscimento degli altri, della relazione positiva e del rispetto delle regole comuni. E’, nel linguaggio della scuola, una modalità efficace per la costruzione delle competenze di cittadinanza che costituiscono un bagaglio indispensabile per ogni studente nel suo divenire un adulto responsabile, capace di interagire positivamente con la propria realtà naturale e sociale. Nell’assistere, nel corso di quest’anno, alla costruzione della rappresentazione de “Gli Uccelli” di Aristofane, ho potuto apprezzare molti aspetti della metodologia utilizzata e vedere come da un primo inizio, in una sorta di puzzle i cui pezzi si incastrano perfettamente, pian piano tutti i singoli momenti del laboratorio abbiano trovato la loro posizione: l’attività di drammaturgia per la riduzione del testo, il training degli attori, la produzione delle scenografie, la realizzazione dei costumi, la memorizzazione del copione, le prove ed infine gli spettacoli e le repliche; il tutto in un clima di armonia, partecipazione, condivisione che ha caratterizzato l’attività di quanti sono stati coinvolti in questa esperienza. Voglio ringraziare di cuore tutti per l’entusiasmo e la passione con cui hanno lavorato e hanno saputo contribuire a quello che sarà certamente l’ennesimo successo. In primo luogo, primus inter pares, Maurizio Maravigna, che è il coordinatore e l’anima del laboratorio teatrale, e poi ad uno ad uno tutti i docenti, gli studenti, i genitori, il personale tecnico e amministrativo della scuola che hanno consentito, non senza fatica o difficoltà, anche quest’anno a far sì che la prima idea prendesse corpo. Il riconoscimento civico dello scorso anno, l’attestato dell’Ambrogino d’oro della città di Milano, non poteva trovare più meritato riscontro anche nello spettacolo che ciascuno di noi avrà modo di apprezzare. Bruna Baggio Dirigente scolastico IIS Cremona 5 Lasciarsi andare Il laboratorio teatrale dell’Istituto Cremona ritorna ai Greci dopo tanti anni: era il 2003 quando ci siamo dedicati all’Orestea di Eschilo. E ora, a distanza di dodici anni, ci cimentiamo con Gli uccelli di Aristofane, che Dario Del Corno definisce la più bella commedia di tutti i tempi. Questo passaggio dalla tragedia alla commedia nasconde più insidie di quanto si possa immaginare. Mentre esiste una tradizione di riferimento per la tragedia greca, che magari è una somma di fraintendimenti, non possiamo dire lo stesso della commedia arcaica. È un po’ come se con la perdita del secondo libro della Poetica di Aristofane, dedicato al comico, fosse stato tagliato il cordone ombelicale che ci collegava alle sue origini. Ci sono studi letterari, storici, filologici, antropologici, sappiamo tante cose, ma la verifica sul palcoscenico è sempre insoddisfacente. La satira politica non è immediatamente comprensibile, il lieto fine talvolta imbarazzante: come scrive Borges noi moderni crediamo più facilmente all’Inferno che al Paradiso e siamo in difficoltà a mettere in scena un happy ending. Sappiamo che Gli uccelli furono presentati in concorso alle Grandi Dionisie del 414 a.C. (dove conquistarono il secondo posto), durante la guerra del Peloponneso, mentre era in corso la spedizione ateniese in Sicilia. La maggior parte dei critici ritiene (giustamente) che nel testo non ci siano riferimenti puntuali ai fatti storici, ma certo non possiamo dimenticare che Aristofane scrive in un momento difficile per la sua polis e che i due vecchietti protagonisti, Pistetero e Evelpide, sono in fuga da Atene e cercano una citta “lanosa e morbida” in cui abitare. Atene è diventata invivibile e non per gli argomenti un po’ pretestuosi 6 addotti da Evelpide nella prima scena: la polis è in piena conflitto bellico, nel 415 a.C. c’era stato lo scandalo delle erme, raccontato da Tucidide, la democrazia ateniese stava collassando… Tutto questo lascia tracce indelebili lungo la commedia e soprattutto genera il desiderio utopico di una città ideale. Gli uccelli sono divisi in tre grandi macrosequenze, separate da due bellissime parabasi liriche. Nella prima i due malconci protagonisti arrivano nel mondo degli uccelli e progettano con essi la fondazione di Nubicuculia. Nella seconda Pistetero si sbarazza del compare, tenta di celebrare un sacrificio di fondazione e resiste all’assalto di un poeta, uno spacciaoracoli, un geometra urbanista, un ispettore e un commerciante. Nella terza, mentre il grande muro difensivo è completato, Pistetero licenzia malamente Iride, la messaggera degli Dei, riceve una soffiata da Prometeo e, infine, contratta con Poseidone, Eracle e Triballo, ottenendo la mano di Sovranità, una dea che gli garantirà il potere assoluto, togliendolo a Zeus. Con le nozze di Pistetero e Sovranità e con la conseguente festa nuziale si chiude la commedia. Il finale di per sé rappresenta l’istaurazione di un mondo capovolto: dalla città vengono cacciati tutti quegli approfittatori che corrodono il vissuto civile di una comunità, non sono ammessi i più facinorosi (il parricida) e sono estromessi anche gli dei della tradizione: Pistetero alla fine si fa dio. È il trionfo del carnevalesco: il protagonista alla fine ottiene la più totale soddisfazione narcisistica: cibo, sesso e potere. Aristofane però dissemina la sua commedia di particolari inquietanti. L’impresa impossibile (rappresentare oggi Aristofane) diventa però possibile con un gruppo di ragazzi, anche se alle prime armi. La naturalezza con cui si accostano alla comicità permette di realizzare quella divina ambiguità che compagnie più professionali non riescono a raggiungere. I giovani colgono infatti con leggerezza l’essenza del comico, hanno meno remore di un adulto a far convivere i momenti lirici con quelli sarcastici, la cattiveria di un personaggio con una risata liberatoria… Una situazione che sembra porre limitazioni fa così scaturire inaspettate soluzioni ed energie non prevedibili. L’importante è lasciarsi andare… al genio comico e poetico di Aristofane. Come nelle Nuvole Strepsiade dava a fuoco al pensatoio di Socrate, qui la conquista del potere da parte di Pistetero sembra l’istaurazione di una dittatura. Il rapporto che lo lega uccelli sin dall’inizio si presenta come una strumentalizzazione bell’e buona. Nelle scene finali un gruppo di uccelli dissidenti sono infilzati allo spiedo e divorati in un banchetto. Il lettore odierno ha la sensazione che il grande poema dell’Utopia si trasformi man mano in una distopia… Ma è davvero così, o stiamo proiettando su un testo antico timori e ideologie che sono proprie della contemporaneità? Il comico concedeva ad Aristofane una libertà di movimento che le nostre poetiche più sofisticate non ci concedono. Gli uccelli sono per noi un oggetto inafferrabile, che si apre alle più diverse interpretazioni (d’altra parte non è questa la forza di un grande classico?): una moderna rappresentazione è tanto più convincente quanto riesce a dar ragione delle sue infinite potenzialità, senza mai dimenticare che si tratta di un’opera che vuole suscitare il riso. Pistetero e Evelpide, i due balordi che danno inizio alla commedia, come abbiamo già detto, sono due vecchi. La scelta più scontata sarebbe stata quella di invitare i giovani attori a fingere la vecchiaia, parodiandola, ma il risultato sarebbe stato sicuramente inautentico. Abbiamo deciso di lasciare anche nella finzione la vera realtà anagrafica degli attori. E questa scelta ha segnato inevitabilmente tutta l’interpretazione dello spettacolo. Pistetero e Evelpide diventano due giovani senza né arte e né parte alla ricerca di un futuro, come tanti giovani di oggi. Fuggono da una delle tante città della modernità divenute senza speranza e cercano un luogo ideale in cui andare a vivere. Dopo una peregrinazione senza senso, capitano in una comunità di uccelli, che vivono liberi, un po’ anarchici, forse degli hippies, forse gli abitanti di una Christiania… Pistetero intuisce che quella comunità può non soltanto essere la sua città ideale, ma che in essa può acquisire un potere assoluto. Gli uccelli possono essere facilmente plagiati e strumentalizzati… la sua scalata al potere è il soggetto di questa commedia, che così riconquista appieno la sua natura politica. L’utopia non è la città veniente, l’utopia è nel cuore di ogni uccello. È nella sapienza profonda, propria di un giovane o di un ottuagenario, che “tutto nel mondo è burla”. Maurizio Maravigna 7 Introduzione agli Uccelli di Aristofane La commedia antica Nell’epitaffio per i caduti nel primo anno della guerra del Peloponneso (431-430 a. C.) lo storico Tucidide fa pronunciare a Pericle un elogio della cultura dell’Atene democratica del V sec. a. C. in cui, tra l’altro, dice: E abbiamo dato al nostro spirito moltissimo sollievo dalle fatiche, istituendo abitualmente agoni e feste per tutto l’anno e avendo belle suppellettili nelle nostre case private, dalle quali giornalmente deriva il diletto con cui scacciamo il dolore. Pericle, secondo Tucidide, menziona come fondamentali per la “qualità della vita” della città, insieme alla bellezza degli edifici privati, i pubblici festeggiamenti organizzati dalla polis. Le feste in onore degli dei erano infatti ad Atene eventi speciali, che prevedevano anche seguitissime gare sportive e artistiche. Due feste in particolare, dedicate a Dioniso, il dio della vegetazione e del vino, erano legate a rappresentazioni drammatiche: le Lenee (tra gennaio e febbraio) e le Grandi Dionisie (tra marzo e aprile). Queste ultime, della durata di più giorni, furono istituite nella seconda metà del VI secolo da Pisistrato, ma, con l’avvento della democrazia nel V secolo, nei decenni di maggior splendore di Atene, il significato politico e culturale delle Dionisie si accrebbe: fu imposta anche una tassa ai cittadini più ricchi per il finanziamento della messa in scena dei cori degli spettacoli teatrali. Pericle istituì perfino un contributo statale che consentiva ai meno abbienti di partecipare gratuitamente alle rappresentazioni. La festa acquistò dunque una funzione importante per la coesione sociale e il rafforzamento dell’identità della nuova Atene. Soprattutto le gare teatrali appassionavano gli Ateniesi: tre giorni erano dedicati alle tragedie e uno alla commedia. Il giudizio finale sulle opere in gara, con la proclamazione di un vincitore rispettivamente per la tragedia e per la commedia, veniva espresso dai rappresentanti delle dieci tribù, il simbolo dell’unità territoriale e politica della città, a conferma della partecipazione della comunità cittadina all’evento teatrale. Non stupisce dunque che la commedia antica, di cui Aristofane è il massimo rappresentante, sia stata definita “commedia politica”: con questo termine si allude non tanto e non solo ai riferimenti, che pure in Aristofane sono ben presenti, all’attualità e ai potenti del 8 momento, presi in giro e svillaneggiati spesso con un potente turpiloquio, quanto al profondo legame fra la commedia e la vita della polis. Una caratteristica, questa, che rende diversa la commedia aristofanesca dalle opere teatrali moderne. Molto diverse sono anche le modalità della rappresentazione. Determinante era la presenza di un coro di 24 attori, che agiva sulla scena cantando e danzando accompagnato dalla musica. La struttura dell’azione drammatica era incentrata in buona parte sull’interazione fra coro e singoli attori, che si esprimevano in versi, vicini al parlato, in parte con accompagnamento musicale. E non mancavano le parti soliste, nel flauto o nel canto. Gli attori, e il coro in particolare, si presentavano in scena con maschere e con travestimenti buffoneschi e fantasiosi; potevano essere animali, o forze della natura, come in molti cori delle commedie di Aristofane: uccelli, vespe, rane, nuvole… Per quel che ne sappiamo, la commedia del V secolo ci appare più simile a un’opera lirica leggera o a un musical piuttosto che a un moderno dramma in prosa. La struttura si rifaceva a uno schema fisso, e l’arte del commediografo consisteva appunto nel giocare sulle variazioni, prevedendo le aspettative di un pubblico che frequentava abitualmente il teatro. Gli uccelli Gli uccelli furono rappresentati nelle Grandi Dionisie del 414 a. C., in un periodo di apparente tregua della guerra con Sparta, dopo la pace di Nicia (421 a C.). Pochi mesi prima della messa in scena era iniziata una spedizione della grande flotta ateniese verso la Sicilia, che mirava a rafforzare l’“impero” di Atene sul mare, in risposta all’antagonista Sparta, e che fu sostenuta con forza da Alcibiade, ambiguo protagonista della vita politica di quegli anni. Ma, appena dopo la partenza della flotta, Alcibiade, uno dei comandanti in capo, fu richiamato in patria, accusato di aver partecipato ad un’azione, tra il sacrilego e il vandalico, che aveva scosso la città: la decapitazione delle Erme, statue votive poste ai crocicchi delle strade. Alcibiade fu così costretto a lasciare l’incarico di comandante supremo, e fuggì a Sparta. In questo periodo di forti tensioni interne ed esterne per gli esiti di una spedizione che poteva risolversi in un trionfo o in un disastro (come poi fu) mancano quasi completamente nella commedia le consuete allusioni mordaci contro politici e strateghi. Alcuni interpreti hanno comunque cercato, con molte forzature, di individuare in essa riferimenti “in codice” alla spedizione siciliana, altri ne hanno fatto la celebrazione della fantasia e dell’evasione in un’atmosfera sognante, nell’aereo mondo degli uccelli. In realtà nella “politicità perenne” di Aristofane, come dice Guido Paduano, anche se lontana dal puntuale richiamo all’attualità, è da cercare la chiave interpretativa, e vedremo perché. Argomento. Nel prologo due ateniesi, Pistetero ed Evelpide, cioè il “Persuasore” e lo “Speranzoso”, nauseati dalla smodata passione che i loro concittadini nutrono per i processi, fuggono da Atene alla ricerca di una città dove possano vivere in pace. Giungono dall’Upupa, che una volta era Tereo, un uomo e un re della Tracia, e gli chiedono se nei suoi voli abbia mai visto una città del genere. Poiché nessuna delle indicazioni dell’Upupa sembra soddisfacente, l’intraprendente Pistetero propone di fondare una città degli uccelli. La proposta piace a Tereo-Upupa, che convoca tutti gli uccelli, ed essi arrivano l’uno dopo l’altro dai luoghi più lontani, formando il coro. Da principio si oppongono violentemente ai due ateniesi, che, in quanto uomini, sono i loro tradizionali nemici, ma quando Pistetero riesce ad illustrare il suo progetto ne sono conquistati: la nuova città, a cui sarà imposto il nome di Nubicuculia, “città delle nuvole e dei cuculi”, posta nell’aria tra la terra dove vivono gli uomini e il cielo degli dei, saprà imporre agli uni e agli altri la sua volontà; per vincere gli dei, prendendoli per fame, basterà intercettare il fumo delle vittime dei sacrifici in loro onore. Mentre Pistetero fa i riti propiziatori per la fondazione della città arrivano, spinti dai più meschini interessi, vari personaggi, figure tipiche del mondo ateniese, che tentano di inserirsi nel grande progetto: un indovino, il geometra Metone, un poeta, un petulante ispettore dello Stato e un borioso venditore di decreti. Eccetto il poeta, che riceve degli indumenti, tutti vengono cacciati a bastonate. La costruzione della 9 città, grazie all’alacre lavoro degli uccelli, procede in tempi brevissimi, a cominciare dalle mura che circondano l’aria. Gli dei allora, ridotti a digiuno, mandano Iride a sollecitare gli uomini a fare sacrifici per loro, ma la messaggera degli dei, volando nello spazio aereo degli uccelli, è bloccata e minacciata da Pistetero. Arrivano intanto altri personaggi dal mondo terrestre con l’intenzione di prendere dimora nella nuova città, di cui si è diffusa la fama. Arriva Prometeo, l’antico amico degli uomini, a dare buoni consigli a Pistetero per condurre una trattativa con gli dei, e arriva infine un’ambasceria degli dei, composta da Poseidone, Eracle e Triballo, una divinità barbara dallo strano linguaggio. Pistetero detta le sue condizioni: esse prevedono che gli uccelli divengano alleati degli dei, ma il potere centrale deve passare a lui, che sposerà Basileia (Sovranità), la giovane donna che è depositaria dei fulmini di Zeus e quindi simbolo del comando. Cede per primo Eracle, il dio-mangione, preso per la gola appena sente odore di cucina: Pistetero sta appunto arrostendo degli uccelli oppositori al nuovo regime. E con Eracle anche gli altri dei accettano le condizioni dell’ateniese. L’accordo viene raggiunto e suggellato da una grande festa, in cui si celebra il matrimonio di Pistetero e di Basileia e il trionfo del protagonista, omaggiato dagli uccelli come un nuovo Zeus. La fuga da Atene. All’inizio della commedia i due ateniesi fuggono dalla loro città: perché? Entrambi affermano di cercare un posto “tranquillo” (apragmona), sono disgustati dai processi e dalle tasse, dall’attivismo e dall’avido affarismo della vita politica e sociale di Atene. Nel periodo di preparazione della spedizione siciliana, che fa da sfondo alla commedia, coloro che sostene- 10 vano una politica moderata, più “tranquilla”, venivano insultati dal partito della guerra proprio con il termine apragmon. Pericle, come racconta Tucidide, aveva sottolineato qualche anno prima che la politica imperialistica di Atene non poteva permettersi di prendere le distanze dall’“attivismo” (polypragmosyne) che garantiva la posizione egemone della città. Agli occhi degli altri Greci, dice ancora Tucidide, gli Ateniesi sono sempre pronti a progettare nuovi piani e a metterli in pratica, tendono a non stare mai tranquilli e a non lasciare in pace neanche gli altri. La spedizione in Sicilia, conclusasi disastrosamente, fortemente voluta dal partito della guerra e “del fare”, è l’ultima espressione di quella vitalità imperialistica che domina la democrazia ateniese con i suoi demagoghi, spesso bersaglio polemico di molte commedie di Aristofane. La “smania di darsi da fare” è una caratteristica dei personaggi ateniesi che arrivano a disturbare Pistetero durante i riti di fondazione: l’invadente funzionario, il leguleio da strapazzo, l’odioso delatore, il geometra Metone, ridicolmente fiducioso negli strumenti scientifici e tecnologici… questa è l’Atene “moderna”: burocrazia, eccesso nel controllo della vita civica, ipertrofismo dell’apparato giudiziario, ottimismo cieco verso un’inarrestabile espansione. Ma i cittadini ne sono schiacciati; Pistetero, invece di risentire dei benefici effetti dello sviluppo, si sente privato di quello che dovrebbe essere il bene più prezioso in un sistema democratico: la libera espressione individuale. Non si può lottare contro un potere così pervasivo e frenetico, si può solo fuggire fuori dal mondo. E’ una soluzione radicale che fa trapelare la consapevolezza della crisi imminente della città e l’impossibilità di proporre rimedi alternativi. Tuttavia l’atteggiamento verso Atene è ambivalente in Pistetero, come in Aristofane. Un ateniese, nonostante le critiche e il disgusto, non cessa di sentire l’orgoglio di essere cittadino di una grande polis: Atene, per il nostro fuggiasco, è “il paese delle triremi belle”, la cui grandezza è fuori discussione, e, in ogni momento del dramma, essa rimane riferimento e modello. Del resto Pistetero stesso si distingue, come un vero ateniese, per intraprendenza e polypragmosyne, quando progetta di costruire la città degli uccelli: la sua impresa non sembra alla fine un’espressione della stessa volontà di potenza che guidava la politica imperialistica di Atene? Il mondo degli uccelli. “Io vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita”. Queste parole, con cui termina l’Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi, sono ricordate da Dario Del Corno nel suo commento alla commedia di Aristofane. In esse si esprime il sogno di una metamorfosi che ha sempre affascinato tutti gli uomini, presente nella letteratura e nell’arte di ogni tempo. Il desiderio di avere le ali, di staccarsi da terra, di perdersi e cantare nel cielo, è l’emblema di un’evasione irrealizzabile. Ma non nella commedia: essa, nella sua audacia fantastica, può dare luogo all’impossibile e ci fa trasmigrare, con il viaggio dei nostri due ateniesi, dai paesaggi terrestri, attraverso l’intermediazione dell’Upupa, in uno spazio vuoto, nel mondo degli uccelli, un luogo che non c’é. Utopia, appunto: il non-luogo (ou-topos), dove si realizza l’ideale di un’esistenza felice, priva di fatiche e di mali, alternativa al reale. Se nell’Utopia moderna la caratteristica fondamentale (da Thomas Moore, che coniò la parola, al Novecento) può essere individuata in una secolarizzazione dell’attesa del regno dei cieli e quindi nella prefigurazione di una società armoniosa e giusta, in cui c’è piena sintonia fra individuo e comunità, nel mito “utopico” antico, presente nel mondo greco come in molte altre culture, sono evidenti altri tratti. Il modello di vita perfetta si colloca in un remoto “altrove”, nel tempo o nello spazio: in letteratura lo ritroviamo nel mito dell’età dell’oro, ma ha da sempre avuto un ruolo importante nei racconti popolari, nella forma del paese di Cuccagna o del “mondo alla rovescia”. Il primo si caratterizza per l’abbondanza del cibo e dei piaceri carnali, unita all’assenza di fatica e di lavoro, nel secondo assistiamo a un ribaltamento del mondo reale, in particolare per quanto riguarda la morale e i rapporti di potere, secondo la tecnica d’inversione del “carnevalesco”. Nella commedia, un genere letterario che affonda le sue radici nella cultura popolare e nei riti arcaici, ele- menti di entrambi i modelli sono presenti nel sogno di evasione dei nostri due ateniesi. Essi cercano, così dicono all’Upupa, una città “morbida come una pelliccia”, dove ogni giorno si possa essere invitati a un “banchetto di nozze”: immagini che esprimono pulsioni primarie di benessere fisico, di soddisfazione del desiderio, alimentare e sessuale. Il mondo degli uccelli sembra rispondere a queste aspirazioni, come si scopre dal racconto dell’Upupa, il cui stile di vita appare delizioso: lì non c’è bisogno del portafoglio, c’è cibo in quantità e secondo il capriccio, una vera “luna di miele”, perché allietata dalla presenza della sposa, la dolce “usignoletta” canterina che, al suo ingresso, suscita le battute ammirate e salaci dei due ateniesi. Il mondo degli uccelli è il recupero di un’esistenza secondo natura, che non conosce le leggi delle società storiche. Nel canto corale, confrontandosi con gli uomini, definiti “ombre che vivono nelle tenebre” senza la gioia delle ali, gli uccelli esaltano la propria libertà e immortalità (è la specie che conta, non gli individui). Essi, immersi nel tempo ciclico della natura, godono avidamente dei frutti delle diverse stagioni e possono ancora vivere in festa con le ninfe. Soprattutto, tra gli uccelli non ci sono ci sono schiavi e proscritti, gerarchie e leggi, anzi, paradossalmente, è in onore proprio ciò che è proibito fra gli uomini: si attribuisce merito a chi non rispetta gli obblighi verso i genitori e addirittura picchia il padre, infrangendo così il tabù della paternità, radicatissimo nella cultura greca. Ecco dunque che il sogno “utopico” prende anche l’aspetto di un mondo alla rovescia. Ma Nubicuculia, la nuova città, non sembra corrispondere a questo mondo ideale, che altro non è se non il desiderio della libertà, intesa nella sua dimensione più vitale. Il progetto di Pistetero prende subito un’altra strada: lo spazio senza limiti del cielo (polos) deve diventare una polis, e prima di tutto, naturalmente, per affermare l’egemonia degli uccelli, si devono costruire delle mura, proiezione celeste delle famose mura di Atene, erette da Temistocle più di mezzo secolo prima. Il successo dell’impresa è subordinato all’accettazione da parte degli uccelli degli ordini di Pistetero, che subito procede ad assegnare a ciascuna specie un compito, adatto alle proprie caratteristiche. E così dall’anarchia dello stato di natura si passa a una gerarchica obbedienza 11 al nuovo signore. Quando, attirati dalla promessa di libertà di un “mondo rovesciato”, arrivano dalla terra nuovi aspiranti cittadini, Pistetero, ormai padrone della situazione, sarà chiaro: non c’è diritto di cittadinanza a Nubicuculia per chi non rispetti le leggi… e non ami i genitori! L’ordine è instaurato. Del resto l’ordine e l’obbedienza sono più che mai necessari perché la nuova città nasce in assetto di guerra per imporre la propria supremazia, in primo luogo agli dei. Il comandante in capo (“un vero stratego” dice Evelpide) è Pistetero, che occupa quasi sempre la scena nel condurre le trattative con i celesti. Lungi dall’essere i nuovi dei, come pure era stato loro promesso, i pennuti devono accettare di divenire lo strumento di una restaurazione, i sudditi in un ordinamento tradizionale, che impone loro di aiutare gli uomini sulla terra e far buon viso al patto finale con gli dei, secondo il quale dovranno punire gli empi e gli spergiuri. Non solo: i poveri uccelletti “dissidenti” verso il nuovo regime finiranno arrosto per un banchetto dell’ex benefattore Pistetero tramutatosi in tiranno. Gli uccelli, gli aerei simboli dello stato di natura, sono anche creature ingenue, vittime dell’eroe protagonista, a loro superiore per furbizia e capacità dialettica. Costui, alla fine della commedia, fa sua la morale repressiva e gerarchica da cui era fuggito. Nubicuculia, l’anti-Atene, si presenta immancabilmente troppo simile a quella stessa città che si voleva dimenticare. L’apparente incoerenza del ribaltamento del piano originario di Pistetero può trovare una spiegazione proprio nelle caratteristiche dell’eroe comico. L’irresistibile ascesa dell’eroe comico. Aristotele nella Poetica afferma che la commedia rappresenta l’uomo come “peggiore di noi”; ciò significa che nell’eroe comico appaiono atteggiamenti e pulsioni represse comuni a tutti gli uomini, giudicati negativamente secondo la prospettiva moralistica del filosofo greco. L’eroe di Aristofane in generale, e Pistetero in particolare, mostra, all’inizio della commedia, una situazione di debolezza: è vecchio, frustrato, insofferente nei confronti della comunità cui appartiene, ma nutre un progetto di riscatto che nasce dalla forza dei suoi desideri, in primo luogo desideri del corpo (cibo, sesso, piacere), ma anche desideri di autoaffermazione, espressione di un’indomita energia vitale. Tuttavia “la fortuna aiuta i frustrati”, commenta Antonio Grilli nella sua introduzione agli Uccelli. Infatti Pistetero riuscirà ad affermare a spese di un gruppo queste esigenze primarie di realizzazione di sé, nonostante una iniziale impossibilità di agire sul piano della realtà. La commedia ha, appunto, una funzione compensatoria: l’eroe comico dovrà ricavare da sé, dalla propria volontà desiderante, dalle sue risorse fantastiche la soluzione che lo porterà al trionfo, almeno nell’irrealtà del gioco scenico. 12 Negli Uccelli c’è un momento in cui il protagonista concepisce l’idea geniale: “Ecco, io vedo un grande progetto, per la stirpe degli uccelli, e la potenza che vi darà il potere, se mi date retta”. In queste parole-chiave la capacità d’immaginazione si unisce alla funzione persuasiva della parola, adombrata in quel “se mi date retta”. Attraverso la manipolazione della parola, muovendosi liberamente fra vari livelli di senso, Pistetero sarà capace di dar forma ad una nuova realtà politica, come abbiamo visto nel gioco di parole polos/polis. Ma la parola sarà decisiva nell’agone con il coro, in cui Pistetero, come un vero sofista ateniese dalla parlantina sciolta, si giocherà tutte le sue capacità affabulatorie, inventandosi una fantasiosa “primogenitura” degli uccelli nell’intero universo, accolta con entusiasmo dai suoi interlocutori. L’impulso del desiderio, il disinibito primordiale egocentrismo dell’eroe della commedia antica porta obbligatoriamente a una contrapposizione dell’individuo con la collettività, quel gruppo che è il limite esterno di ogni possibile espansione dell’io. Il conflitto di Pistetero con la società è una competizione diretta, un “corpo a corpo”, perché egli vede nello stato un antagonista che ha le caratteristiche di un rivale: ingordo, insaziabile nello spillar quattrini, sopraffattore, inoltre tremendamente esigente, con la scusa dei “valori civici”, in fatto di obblighi morali, che impongono rinunce a favore degli interessi comuni. Si è visto in questo contrasto una rivendicazione di autonomia di carattere “edipico” (Guido Paduano): la città, come un padre, è oggetto di contestazione, tanto quanto lo sono, nella seconda parte della commedia, gli dei, con i quali Pistetero ingaggia uno scontro (una sorta di “Titanomachia” comica) fino a sconfiggerli e diventare un nuovo Zeus. Il riscatto di Pistetero dalla sua condizione di “minorità” avverrà con la fondazione di un sistema nuovo. Nuovo tuttavia solo per il fatto che Pistetero si è trasformato da “oggetto” a “soggetto” di potere e può dire: “Lo stato sono io”, dando libero sfogo alla sua volontà di potenza che adesso non ha più ostacoli. Gli uccelli, con la loro ingenuità e la loro mancanza di individualismo competitivo, sono asserviti al ferreo sistema di regole che l’ateniese rifuggiva, ma che è ben contento di ripristinare ora che il padrone è lui. E siccome il potere non è tale se non permette il libero soddisfacimento dell’aggressività, Pistetero caccia allegramente a bastonate gli impostori che si vorrebbero insinuare nella nuova città e fa arrostire gli oppositori. Nell’ultima scena si celebra un matrimonio che sancisce una perfetta felicità erotica e la detronizzazione di Zeus, dopo che è giunto, come ha detto l’araldo, persino il tributo di gloria e onori da parte degli uomini che “arriveranno a frotte qui da te”. Dunque Pistetero, riconosciuto vincitore anche dai membri del suo grup- po di origine, alla fine resta uomo fra gli uomini, dai quali forse non si era mai allontanato, con l’appagante certezza che, almeno nella commedia, anche un ometto qualunque come lui può rovesciare il re dell’Olimpo e prenderne il potere. Lo spettatore ateniese è invitato da Aristofane a solidarizzare con l’eroe comico, in un processo d’identificazione (“Questo sono io”), e nello stesso tempo a ridere di lui (“Ma io potrei essere diverso ”). Complicità e distanza. Si ride, qualche volta un po’ amaro, in questa “commedia ateniese”. Pur con tutte le differenze, può essere utile ricordare che cosa è stata per noi “la commedia all’italiana”, come noi abbiamo riso con Totò, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, quando rappresentavano i Pulcinella, gli Arlecchini, i Capitan Fracassa di oggi, le immortali maschere e i “mostri” del nostro paese, e, in modo allegro e impietoso, ci hanno dato la consapevolezza dei vizi storici e del sistema di valori della nostra società. Paola Bonichi Per la stesura del testo mi sono state soprattutto utili le introduzioni agli Uccelli di Dario Del Corno, Alessandro Grilli e Guido Paduano, a cui rimando per approfondimenti: Aristofane, Gli Acarnesi, Le Nuvole, Le Vespe, Gli uccelli, a c. di G.Paduano, Garzanti, 1979 Aristofane, Gli uccelli, a cura di Giuseppe Zanetto (introduzione e traduzione di Dario Del Corno), Fondazione Lorenzo Valla, 1987 Aristofane, Gli uccelli, a cura di Alessandro Grilli, BUR, 2006 13 TRAMA Pistetero ed Evelpide, cittadini ateniesi, per sfuggire ai debiti, alle tasse e ai tribunali, abbandonano la loro città, alla ricerca di un luogo “senza impicci, dove stabilirsi e passare la vita”. Guidati da una cornacchia e da un gracchio, dopo un lungo viaggio, giungono a incontrare Tereo, un tempo uomo, ora trasformato in upupa (1), per sapere da lui, che da quando è uccello può sorvolare il mondo intero, dove trovare “una città lanosa e morbida, in cui sdraiarsi come su una pelliccia”. Parlando con Upupa capiscono però che, senza andare lontano, questo desiderio si potrebbe realizzare proprio lì dove sono, nel mondo degli uccelli, in cui si vive “senza bisogno di portafogli” e ci si nutre “di sesamo, mirto, semi di papavero e menta”. L’idea piace a Pistetero che, illuminandosi, elabora lì per lì un grande progetto: fondare una città degli uccelli, che dia alla loro stirpe potere sugli uomini e sugli dei. La nuova città-stato, difesa da forti mura, sorgerà nell’aria tra la terra e il mondo celeste, frapponendosi tra gli uomini e gli dei. Gli dei, se vorranno continuare a banchettare grazie ai sacrifici offerti dagli uomini, dovranno pagare un tributo agli uccelli, ma gli uomini sapranno presto riconoscere negli uccelli e non più negli dei i loro nuovi padroni, generosi nel beneficarli per la loro devozione ma anche pronti a punirli in caso di infedeltà. Upupa è ammaliato dalle parole di Pistetero. Si tratta però di far accettare l’idea a tutti gli uccelli, che sono da sempre abituati a vivere liberi, non sottoposti alle regole che governano una città-stato e, soprattutto, abituati a vedere negli uomini i propri naturali nemici. Per convincerli Pistetero dovrà fare ricorso a tutta la sua abilità oratoria. Upupa entra nella boscaglia a svegliare Procne, un tempo sua moglie, ora trasformata in usignoletta, che lo accompagna nel canto con cui il coro degli uccelli è chiamato in scena. Alla vista dei due umani in compagnia di Upupa, gli uccelli si sentono traditi e minacciati. Si apprestano perciò ad attaccare militarmente Pistetero ed Evelpide che, terrorizzati, cercano in qualche modo riparo. Upupa riesce però faticosamente a riportare la pace e a convincere gli uccelli ad ascoltare le parole di Pistetero che, rassicurato, comincia con grande abilità demago- 14 gica la sua opera di persuasione. Così, fa credere agli uccelli di essere loro la stirpe vivente più antica, nata prima degli dei e degli uomini, e dimostra, con argomenti da esperto imbonitore, che anticamente gli uccelli regnavano su tutti gli altri esseri viventi. Ora invece essi sono alla mercé degli uomini, cacciati, catturati e cucinati in mille modi. Ma fondando una loro città gli uccelli potranno ottenere di nuovo il potere perduto, la gratitudine degli uomini e la sottomissione degli dei. Le parole di Pistetero sono accolte con crescente interesse dagli uccelli che alla fine appaiono, nella loro primitiva ingenuità, del tutto convinti dall’abilità retorica del cittadino ateniese. Pistetero ed Evelpide però sono uomini e perché possano dare avvio all’impresa devono essere trasformati in uccelli. A ciò provvede Upupa che, grazie a una piccola radice miracolosa, farà spuntare anche a loro le ali. Dopo qualche apprezzamento un po’ pesante sulla bellezza di Procne, i due seguono Upupa nella boscaglia. Il coro degli uccelli si rivolge ora agli spettatori (2): con toni ispirati rievoca l’origine della stirpe degli uccelli dall’unione di Eros e Caos, la loro natura immortale e la loro costante presenza benefica nella vita degli uomini; poi, con modi molto più prosaici, invita gli spettatori a mescolarsi con il mondo degli uccelli, in cui è bene accetto tutto ciò che tra gli uomini è punito per legge. Per non parlare dei grandi vantaggi che avere le ali procura nella vita di ogni giorno. I due cittadini ateniesi tornano in scena muniti di ali e Pistetero dà avvio all›opera di costruzione della città e insieme di imposizione del proprio potere personale. Trova un nome alla città, che si chiamerà Nubicucùlia. Si libera di Evelpide, spedendolo a occuparsi della costruzione delle mura e convoca un sacerdote per procedere al sacrificio ai nuovi dei alati. Il rito, appena iniziato, è però interrotto dall’arrivo di un poeta, il primo di una serie di profittatori che, richiamati dalla notizia della fondazione della nuova città, si dichiarano pronti a prestare la loro opera in cambio di qualche ricompensa. Dopo il poeta, giungono a interrompere il rito sacrificale un venditore di oracoli, un matematico esperto in lottizzazione dell’aria, un commerciante di leggi e decreti, un ispettore ministeriale. Tutti sono scacciati in malo modo da Pistetero, che rientra nella boscaglia a terminare il rito. Resta in scena solo il coro, che celebra la gloria e il potere degli uccelli, nuovi dei per gli uomini, pronti a premiarli o a punirli. Si rivolge infine agli spettatori promettendo benefici e ricchezza in cambio di applausi. Pistetero, tornato in scena, riceve da un messaggero notizie sulla costruzione della mura, magnificamente portata a termine grazie alla collaborazione delle varie specie di uccelli. Ma ecco giungere un secondo messaggero, con la pessima notizia che uno degli dei di Zeus è riuscito a eludere le difese e a penetrare nella città. Il coro degli uccelli leva grida di guerra contro gli dei. L’intrusa è Iride, che era in viaggio verso la terra per ordinare agli uomini di riprendere i sacrifici agli dei. Pistetero, dopo averle spiegato che gli uomini ora sacrificano agli uccelli e non più agli dei dell’Olimpo, la caccia rivolgendo a lei e a Zeus tremende minacce. Dalla terra giunge ora l’araldo che era stato inviato ad annunciare agli uomini il nuovo potere degli uccelli. Porta a Pistetero una corona d’oro, omaggio degli uomini che lo onorano e che, presi da “ornitomania”, a migliaia vorrebbero avere le ali per condividere la spensierata e felice esistenza degli uccelli. Ecco infatti che, attratti dalle promesse di vita libera da leggi e costrizioni, si presentano a Pistetero due aspiranti alla trasformazione in uccelli: un giovane che odia il padre e vorrebbe strangolarlo e beccarlo; un ufficiale giudiziario, delatore di professione, che vive denunciando stranieri e sequestrando i loro beni. Ma Pistetero, deludendo le loro attese, li allontana entrambi. Ora, che ha preso saldamente in mano il governo di Nubicuculia, sembra voler stabilire un nuovo ordine e porre fine alla condizione felicemente anarchica della società degli uccelli. Giunge ora in scena Prometeo, il titano punito da Zeus per avere donato agli uomini il fuoco sottratto agli dei. Con grande soddisfazione, lui, che odia Zeus, svela a Pistetero lo scompiglio che regna nell’Olimpo da quando il nuovo potere degli uccelli impedisce agli dei di sfamarsi ricevendo i sacrifici degli uomini. In particolare, gli dei barbari, i Triballi, affamati, minacciano guerra a Zeus (3). Prometeo preannuncia l’arrivo di ambasciatori dall’Olimpo ma suggerisce a Pistetero di non accettare accordi a meno che Zeus non consegni lo scettro del potere agli uccelli e dia in moglie a Pistetero Sovranità, “una magnifica ragazza che amministra la folgore di Zeus e tutto il resto”. Arriva infatti l’ambasciata olimpica, formata da Poseidon, Eracle e Triballo. Pistetero, che evidentemente ha ormai imposto il suo ordine a Nubicuculia, li accoglie mentre è intento a cucinare un tagliere di uccelletti “ribellatisi contro pennuti democratici e giudicati colpevoli” (4) e pone a Poseidon le condizioni di pace suggeritegli da Prometeo, sottolineando i vantaggi che deriverebbero agli dei dall’alleanza con la città degli uccelli. Poseidon rifiuta indignato, mentre Eracle, che pensa solo a una mangiata di uccelletti, è più disponibile. Pistetero allora, circuendolo abilmente, riesce a ottenere con facilità il suo appoggio e quello del rozzo Triballo. E Poseidon, messo in minoranza, è costretto a cedere. Pistetero, vinta ormai la battaglia con gli dei, può celebrare in gloria le nozze con Sovranità. Paolo Repossi 1.Tereo, marito di Procne, si era innamorato della cognata Filomela e le aveva fatto violenza. Procne, venuta a conoscenza della cosa, si era vendicata imbandendo al marito le carni del figlioletto Iti. Quando Tereo, sconvolto, tenta di uccidere le due donne, per intervento divino, viene trasformato in upupa. Procne diventa usignolo e Filomela rondine. La vicenda, appartenente alla tradizione attica, era stata oggetto di una tragedia di Sofocle. 2.È elemento strutturale della commedia antica la cosiddetta “parabasi”, cioè il momento in cui il coro, sospendendo la partecipazione all’azione scenica, si rivolge direttamente agli spettatori con varietà di toni, da elevati a bassi e triviali. 3.“Triballi” era il nome di una popolazione della Tracia, considerata barbara e selvaggia. Il termine era in uso per indicare genericamente dei giovani rozzi e scapestrati. Anche la credenza che il frutto dei sacrifici fosse ripartito assegnando le carni succose agli uomini e il fumo agli dei era ricondotta nel mito a un inganno messo in atto da Prometeo ai danni di Zeus. 4.C’è in questo passaggio un’eco delle vicende politiche di Atene al tempo della rappresentazione della commedia. Nel 414 a.C. la città era impegnata da lunghi anni nella guerra contro Sparta e non erano rare condanne a morte di cittadini accusati di crimini contro il governo democratico della città. 15 Guardiamo Aristofane Irripetuta e irripetibile è l’esperienza del teatro greco del V secolo e della commedia “arcaica” per eccellenza. Non lo si ripeterà mai abbastanza: gli ateniesi non andavano a teatro la sera, per divertirsi o per passare il tempo, o per farsi una cultura o per dimostrare di averne una: il teatro greco è un fatto politico, lo spettatore è un cittadino, non un uomo colto o interessato al teatro. A teatro ci si andava in occasione di feste in onore degli dei, come dire a messa, di giorno e si era circondati da migliaia di concittadini. A teatro si celebra il rito della comunità cittadina, dell’appartenenza a questa comunità, della sopravvivenza della città stessa. La partecipazione allo spettacolo è garanzia della durata della città e della comunità. Le origini antropologiche della commedia, legate ai riti primaverili della rigenerazione e della ripresa del ciclo biologico naturale (pensate almeno al primo numero musicale del Re leone, “The circle of life”), determinarono il linguaggio e la funzione della commedia arcaica, creando un insieme che non si sarebbe più ripetuto. parlando di cose di cui il tacere è bello: eppure Aristofane ha scritto un’intera commedia prendendo in giro Socrate e facendo di lui un pagliaccio grottesco). Se una persona importante di Atene non avesse sentito il proprio nome maltrattato nella commedia probabilmente avrebbe fatto bastonare il poeta. Celebrando ed esaltando senza pudori le funzioni vitali del corpo la commedia riconferma la rinascita ciclica della città stessa. L’insulto rituale ha una funzione apotropaica (altra bella parola, significa, letteralmente, allontanamento della jella, scaramanzia): la famosa “invidia degli dei” viene evitata ridicolizzando qualche difetto della persona fortunata. La commedia greca non è mai realmente “satirica”. E gli uomini politici ateniesi (ma non solo loro) conoscevano il detto di Oscar Wilde “parlate male di me purché ne parliate”. È interessante ricordare che furono i romani a proibire, nella commedia latina, l’uso di prendere in giro dei personaggi reali sulla scena. Il linguaggio. Chi voleva comporre una commedia non poteva evitare di usare un linguaggio aiscrologico e scommatico (che belle parole!). Aiscrologia significa turpiloquio. Turpiloquio significa dire le parolacce. Le parole sconce della commedia riguardano due aspetti della corporeità: il sesso e il cibo (nei suoi due momenti di “ingestione” e di “eliminazione”). In una commedia un autore ateniese doveva parlare di “cacca”, doveva inserire battutacce, e niente affatto allusive, sulle più fantasiose attività sessuali. Doveva farlo a tutti i costi, anche se non c’entrava nulla con quanto stava scrivendo. Linguaggio scommatico significa insultare qualcuno… e nel modo meno elegante e ironico possibile. In una commedia era obbligatorio nominare esplicitamente i personaggi più noti e popolari dell’Atene contemporanea e dire di loro le schifezze più immonde (Pericle fu per vent’anni il capo dello stato Ateniese, e per vent’anni la commedia lo prese in giro pesantemente, ma questo non gli impedì di essere rieletto ogni anno). Aristofane e Socrate probabilmente erano buoni amici e Platone nel Simposio ci descrive la fine del banchetto in cui i due austeri intellettuali sono gli unici a non essere ancora completamente ubriachi mentre stanno La struttura. Tutte le commedie di Aristofane hanno una struttura identica… e un infinita possibilità di variazione. Il protagonista (spesso un vecchio, ma può essere addirittura una donna come Lisistrata o addirittura un dio come il Dioniso delle Rane) ha un grosso problema personale (i debiti fatti dal figlio, la guerra, un parente nei guai, è stufo di vivere ad Atene). Egli affronta questo problema con un’invenzione folle e aggressiva ma soprattutto “fantastica” (creare una nuova città a mezza strada fra la terra e il cielo, organizzare uno sciopero delle donne, scendere nell’oltretomba per riportare in vita il poeta preferito). Nella realizzazione del suo piano deve scontrarsi e sbaragliare una serie di personaggi minori che cercano di ostacolarlo o di approfittarsi di lui. Ci riesce… e trionfa. E alla fine fa una festa in cui si mangia e si beve e magari compare una strana figura allegorica di sesso femminile (Ricchezza, Pace) con la quale il nostro eroe, che ha nel frattempo riacquistato una gagliarda virilità, celebra un’allegra ierogamia (altra bella parola da grecisti, significa: “accoppiamento sacro tra esseri divini”). Il problema è risolto, la vita continua, my heart will go on. La città è salva…almeno fino alla prossima primavera, alle prossime commedie, al prossimo ciclo. 16 Il Trickster. Il protagonista comico è l’evoluzione nelle forme del genere letterario comico di una figura del mito e del Folklore chiamata dagli studiosi Trickster (per pigrizia accludo un copia-incolla da Santa Wikipedia). Nella mitologia, nella religione e nello studio del folklore il trickster (ingl. ingannatore) è un essere spirituale, uomo, donna o animale antropomorfo, vorace, abile nell’imbroglio e caratterizzato da una condotta amorale, al di fuori delle regole convenzionali. Nel folklore il personaggio appare come uno scaltro mentitore che con poco lungimiranti sotterfugi riesce a uscire sano e salvo anche dalle situazioni più ingarbugliate (delle quali spesso è artefice), come nella maschera di Pulcinella o nell’Ifrit delle tradizioni arabo-islamiche. In questo differisce dal brigante, poiché la sua attitudine raramente lo porta a notevoli guadagni o cambi radicali di vita; piuttosto le sue furbonerie sono un contorto lasciapassare per la riuscita di piccoli imbrogli, sia commerciali che sessuali, che spesso sfociano nella comicità. Il trickster, spesso un ladro o un folle, è colui che mette in moto cambiamenti imprevedibili nelle storie. Non crea, ma concrea, dando alla creazione aspetti imprevedibili, o, in alternativa, distrugge il mondo conosciuto o l’ordine costituito, creandone uno differente (vedi ad esempio Loki per la tradizione mitologica norrena; Prometeo per la cultura greca). Echi di questa figura si ritrovano negli eroi aristofaneschi i quali appunto condividono con essa il potere di concreare, di plasmare la realtà creandone una nuova secondo la loro volontà. Questa può essere un’adeguata descrizione di Pistetero, il protagonista degli Uccelli e ho sottolineato il passo che, mi sembra, riassume il senso della commedia arcaica ateniese. Ho detto all’inizio che l’esperienza del V secolo è irripetuta. Meno di cent’anni dopo Aristofane la scena comica ateniese cambia completamente. Il nuovo autore è Menandro. E le sue commedie parlano d’amore, di sentimenti delicati, di finezza d’animo, comprensione, bontà e buon gusto. E non contengono parolacce. E non contengono più il rapporto con la città. Parlano di individui. Il teatro occidentale seguirà la sua traccia. Non quella di Aristofane. Il Trickster dovrà nascondersi e apparire qua e là in modo strano e inaspettato. Vorrei proporvi qualcuna delle sue manifestazioni. Nella commedia di Shakespeare… pensate a Come vi piace, al Mercante di Venezia alla Dodicesima notte. Il mondo (degli uomini… maschi) rischia di andare in malora fino a quando non appare una ragazza che lo salva rinnovandolo. Ma per fare questo la ragazza deve travestirsi, ingannare, cambiare sesso, fingere di essere un ragazzo. Rosalinda, Porzia, Viola non sono certo brutali come Pistetero… ma sanno ingannare, sanno prendere un giro la follia degli uomini apparentemente assennati. Nelle cosiddette commedie romantiche dell’ultimo periodo, Il racconto d’inverno, La tempesta, la ragazza magica non avrà più bisogno di darsi da fare, di inventare qualche inganno o magia per salvare il mondo. Perdita entra in scena offrendo fiori a tutti, e la terra morta grazie a lei riprende a generare lillà; Miranda deve solo guardare le terra desolata in cui viviamo per trasformarla in un mondo nuovo popolato da dei. La commedia di Shakespeare, come quella di Aristofane, ci promette che il mondo non finirà. Thomas Mann, studiando mitologia e storia delle religioni per la sua tetralogia biblica su Giuseppe e i suoi fratelli, si innamora della figura del Trickster e da essa crea il personaggio di Giuseppe. Ma questo non gli basta, e lo continua nel romanzo (che si porterà dietro fino alla morte, lasciandolo incompiuto) Le confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull. Leggetelo! E Lubitsch, il genio della commedia cinematografica? In To be or not to be (Vogliamo vivere 1942) gli attori del teatro Yiddish di Varsavia si travestono da nazisti, e il loro capocomico da Hitler, per fuggire. E che dire di Billy Wilder, che di Lubitsch fu sempre devoto, e di A qualcuno piace caldo? Joe e Jerry hanno un problema molto serio: salvare la pelle dalla banda di Ghette. Per farlo inventano le meravigliose Josephine e Daphne. E in questo mondo alla rovescia, nel quale i motoscafi vanno avanti solo a marcia indietro e le agenzie di pompe funebri nascondono spacci di alcool, i nostri eroi incontreranno la divina Marilyn e il generoso milionario che ci insegna che “nessuno è perfetto”. Il più grande di tutti è uno strano personaggio che compare in un caldo tramonto primaverile in un parco di Mosca. Dal suo modo di parlare si capisce che è straniero, ma nessuno riesce a definire di quale paese sia. Il fatto che poche sere fa sia stato a cena con il famoso filosofo Kant suona abbastanza inquietante. Scopriremo più avanti che si chiama Woland, e che è il diavolo… o meglio “una parte di quella forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il bene”. È un diavolo colto, ha studiato Kant e letto Goethe e probabilmente molti altri autori, ma il suo hobby è la magia. E ne darà gran prova al teatro del Varietà. Il romanzo è Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Un libro molto pericoloso, come è sempre pericoloso l’incontro con un trickster L’ultimo trickster è Roberto Benigni. La vita è bella è una commedia aristofanesca. Benigni è un trickster con il più terribile dei problemi. Ma la sua invenzione, la fede nella fantasia e nella vita, gli danno l’incredibile vittoria sulla morte. Aristofane non sapeva niente di antropologia, non aveva studiato storia del teatro o del folklore, in lui il mito parlava ancora direttamente; Benigni è un poeta colto e “studiato”, ed ha avuto un’idea geniale: trasformare se stesso, non solo la sua opera, in un trickster vivente. Il suo capolavoro è, forse, la camminata sulle teste del pubblico nella notte in cui vinse l’Oscar. Aldo Scarpis 17 I tre sguardi di Aristofane negli Uccelli Dalla polis reale alla polis ideale «Vedendo ciò e vedendo quali uomini tenessero la politica, quanto più consideravo le leggi e i costumi, quanto più diventavo maturo, tanto più mi sembrò difficile amministrare gli affari di stato». È questo il sentimento di frustrazione di Platone, quando decide di allontanarsi volontariamente da Atene (Lettera VII). Dopo il trauma della condanna di Socrate e di fronte alla crisi morale e politica di Atene, spera di promuovere esperienze nuove in Sicilia: l’ideale d’uno stato giusto fondato sull’educazione ove il bene del singolo sia organico al Bene universale e che tra teoria e prassi non si diano fratture. Non è certo questo l’atteggiamento “speculativo” di Evelpide e di Pistetero, i protagonisti della commedia di Aristofane Gli uccelli. Anch’essi però avvertono il disagio del distacco e, anche se dovranno lasciare il diritto di cittadinanza ateniese, è forte il desiderio di una «città lanosa e morbida», accogliente e senza gli obblighi e le angherie economico-giuridiche della democrazia ateniese. La metafora della “città degli uccelli” potrebbe essere vista come l’aspirazione coerente con la diffusa teoria della conoscenza sofistica. In particolare, se secondo la celebre formula di Protagora «l’uomo è misura [métron] di tutte le cose» e se la materia è flusso in continua trasformazione, allora, forse, per meglio realizzare i personali desideri e bisogni, è meglio che la specie umana si fornisca di un bel paio d’ali. Per guadagnarsi questo potenziamento, Pistetero sfodera tutti gli argomenti della retorica della persuasione, prima con l’Upupa-Tereo, un umano che ha già fatto il “salto” nel mondo dei volatili, e poi, dopo grossi rischi, anche con gli uccelli stessi. Da vero ateniese dei suoi tempi (V-IV secolo) è esperto nella ricerca dell’utile, quel continuo compromesso tra demos e demagoghi su cui si regge la polis. Tra gli esempi più famosi dell’incontro tra realpolitik e retorica resta il Dialogo dei Meli di Tucidide (La guerra del Peloponneso). Sono queste le pagine che documentano come in nome della “necessità” storica, in verità in nome del più forte, Atene cerchi di estinguere la speranza dell’indipendenza della colonia ribelle. La giustificazione di tale comportamento in politica estera è fornita da Tucidide stesso; la spiegazione è racchiusa nell’enigma di Atene; essa risulta governo di popolo e dominio di signori. È questa la diagnosi che permette 18 di cogliere nello “sguardo” di Aristofane una capacità antropologica, filtrata dal comico, nei personaggi delle sue commedie. Il primo sguardo, nella commedia Gli uccelli, è proprio sulla stasis (guerra civile). Il “mondo di Atene”, fatto coincidere con l’idea di democrazia, ha plasmato il corso della storia europea. Un profondo conoscitore della cultura classica come Luciano Canfora ironizzando anche su questo rivestimento di grecità, presente nel preambolo alla Costituzione Europea, ripercorre la costruzione diacronica del mito di Atene lungo la storia occidentale evidenziando come «in forma strisciante o in forma aperta, per molte generazioni, la guerra civile [tra i cittadini] era, nelle città greche lo “stato abituale”, regolare, normale: si è nati, si vive, si morrà in essa». Non è questa la sede per ripercorrere tutte le fasi della storia d’Atene dalla vittoria sui Persiani alla caduta della polis, alla fine della guerra del Peloponneso. Tuttavia va fatto un forte richiamo alla storica antichista Nicole Loraux che ha saputo fornire una intelligente analisi del conflitto “dentro la città” letto alla luce sia dell’antropologia sia della psicanalisi. Sempre al servizio dell’intuizione di Aristofane, riflessa negli Uccelli, la stasis non va vista solo come l’avvicendamento, tutto umano, del confronto amico-nemico che attraversa la storia della città greca. È la guerra della famiglia, sempre latente (che la tragedia ben riflette), divisione che passa dai fratelli della stessa stirpe familiare (in greco oikos) alla città. Questa sorprendente lettura della Loraux trova conferma nella antica presenza di due immagini di storia nella struttura dello scudo di Achille nell’Iliade di Omero. C’è una storia delle battaglie, gloriosa e necessaria anche all’economia cittadina e c’è la storia dei riti religiosi, dei matrimoni e della insoddisfazione degli esclusi dalla società democratica: schiavi, donne e stranieri. Come la “famiglia” così il “tiranno” è latente in questo livello della storia della città greca. Tornando agli Uccelli potremmo rintracciare un secondo “sguardo” di Aristofane sulla futura città dei volatili, Nubicuculia, ed è la possibilità di una società secondo natura, dove basti avere le ali per profittare di ogni genere di piacere in un sogno eudemonistico senza regole. Non è questa la prospettiva dell’aristocratico Aristofane che diffida, a buon diritto, del “comunismo” dei beni e delle donne. È stato messo in crisi, nella versione paradossale, questo aspetto dell’Utopia di Platone, nella commedia Le donne in assemblea. Prassagora, l’eroina della commedia, secondo Luciano Canfora non sarebbe altro che la “comandante filosofa”, figura capovolta del filosofo reggitore della Repubblica di Platone. L’utopia naturalistica è quindi oltrepassata dallo “sguardo” di Aristofane. Nubicuculia, nell’orizzonte del terzo “sguardo” di Aristofane negli Uccelli, dalla tensione paradigmatica della guerra civile non può che sfociare nella severa costruzione d’uno stato assoluto o Leviatano, alla Hobbes. Agamben, in un recente saggio in linea con il modello presentato da Loraux, collega le coppie populus / multitudo dissoluta – civitas / status naturalis. La grecità, in tale interpretazione, prefigura un pensiero moderno e forse lo anticipa. Pistetero infatti nella commedia in questione sposa Sovranità, sottraendo agli dei il dominio sul cosmo, pena la morte di fame degli dei stessi ai quali lo stato degli uccelli sottrarrebbe i fumi dei sacrifici. E gli uccelli? Un grande banchetto soddisferà ogni desiderio elementare e sancirà l’oblio (cancellazione della memoria) delle offese anteriori alla nuova stirpe. Ancora la Loraux sottolinea la operatività di una politica come “pratica dell’oblio” lungo la storia di Atene; tra il 403 e il 400, dopo la caduta dei Trenta e dopo la vittoria della parte democratica, quest’ultima, in nome della pace, giurò di non vendicarsi dei torti subiti e al posto di processi “vendicativi” promulgò un’amnistia generale. Una delle difficoltà della traduzione e della restituzione teatrale della lingua di Aristofane è l’intreccio tra la comicità e il suo vocabolario. La composizione intraducibile insieme alla pratica paradossale delle vicende hanno spinto autori come Diego Lanza a servirsi di un linguaggio “arlecchino”, o “idioma immaginario”, come strada della conservazione di quel gioco di prestigio che è la commedia del grande autore greco. Anche Ettore Romagnoli, a suo tempo, aveva impiegato il dialetto romanesco per la Lisistrata. Per quel che riguarda il lavoro dei nostri “giovanissimi” attori, abbiamo scelto di lasciar trasparire e valorizzare le componenti adolescenziali del temperamento individuale in uno scambio che la Scuola si sforza di attivare tra presente e passato, tra i classici e l’attualità, sul limite difficilissimo tra divulgazione e valore del documento. Spero che i giovani abbiano compreso come Aristofane sia stato un “maestro del sospetto” e un antropologo, mescolandosi al suo demos, del quale conosce ogni sfaccettatura, nel bene e nel male, e col quale costruisce un ponte con i nostri tempi. Lo storico Marc Bloch disse che «è impossibile comprendere il passato senza chinarsi sul presente». Forse può valere anche la variabile inversa, sempre nei limiti della tensione verso l’oggettività storica. Maria Luisa Caillaud Bibliografia Giorgio Agamben, Stasis. La guerra civile come paradigma politico, Homo Sacer, II, 2, Bollati Boringhieri, 2015. Aristofane, Gli uccelli, introduzione, traduzione e note di A. Grilli, BUR, 2008. Aristofane, Gli uccelli, a cura di G. Paduano, Garzanti, 1979. Henri Bergson, Il riso. Saggio sul significato del comico, Laterza, 1982. Gillo Dorfles, Artificio e natura, Einaudi, 1979. Luciano Canfora, Il mondo di Atene, Laterza, 2011. Luciano Canfora, La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone, Laterza, 2014. Luciano Canfora, Tucidide l’oligarca imperfetto, Editori Riuniti, 1988. Luciano Canfora, Il comunista senza partito: seguito da Democrazia e lotta di classe nell’antichità di Arthur Rosenberg, Sellerio, 1990. Luciano Canfora, La guerra civile ateniese, Rizzoli, 2013. Luciano Canfora, La democrazia. Storia di un’ideologia, Laterza, 2004. Raffaele Cantarella, Aristofane, Le commedie, 1972. Pierre Clastres, La società contro lo stato. Ricerche di antropologia politica, Feltrinelli, Milano 1977. Johann Gustav Droysen, Aristofane. Introduzione alle commedie, a cura di G. Bonacina, Sellerio Editore, 1998. Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, BUR, 1987. Carlo Ferdinando Russo, Aristofane autore di teatro, Sansoni, 1984 (I ed. 1962). Louis- Jules Gernet, I greci senza miracolo, Editore Riuniti, 1986. Diego Lanza, Lingua e discorso nell’Atene delle professioni, Liguori Editore, Napoli 1979. Nicole Loraux, La città divisa. L’oblio nella memoria di Atene, Neri Pozza, 2006. Giuseppe Mastromarco, Introduzione a Aristofane, Laterza, 1994. Guido Paduano, Il testo e il mondo. Elementi di teoria della letteratura, Bollati Boringhieri, 2013. Davide Susanetti, Atene post-occidentale. Spettri antichi per la democrazia contemporanea, Carocci, 2014. 19 Progetto grafico e impaginazione: Tommaso Poletto