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Gli uccelli - IIS Cremona

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Gli uccelli - IIS Cremona
Aristofane
Gli uccelli
ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE “LUIGI CREMONA”
19-30 maggio 2015
Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo.
Non dico ciò in quanto se tu li vedi o gli odi, sempre ti rallegrano;
ma intendo di essi medesimi in sé, volendo dire che sentono
giocondità e letizia più che alcuno altro animale…
Leopardi
Elogio degli uccelli
Aristofane
Gli uccelli
Riduzione drammaturgica: Beatrice Alberti, Diana Benevelli, Gabriella Baldanchini,
Paola Bonichi, Maria Luisa Caillaud, Giovanna Cantore, Filippo Di Betto,
Lorenzo Di Giacomo, Simone Krasnovsky, Maurizio Maravigna, Daniel Marchese,
Luca Marnoni, Teresa Monari, Gilberto Nardi, Carlotta Osti, Paolo Repossi,
Luisa Romanello, Michael Smith, Paolo Tacchetti, Matteo Tarli, Giulia Villani
Interpreti: Rebecca Alessio, Diana Benevelli, Rebecca Biancamano,
Giovanna Cantore, Sara Caporale, Davide Cinque, Valeria Copparoni,
Federica Cozzolino, Filippo Di Betto, Lorenzo Di Giacomo, Emanuele Fantini, Ying Li,
Chiara Longinotti, Daniel Marchese, Arianna Marinoni, Eleonora Mori, Gilberto Nardi,
Vittoria Olivati, Carlotta Osti, Elena Pozzi, Michael Smith, Matteo Tarli,
Morgana Trizzino, Giulia Villani
Elementi scenografici: Manuela Colomberotto (progettazione e realizzazione),
Vittorio Quagliuolo, Rosa Rainone
Costumi: Gabriella Baldanchini, Chiara Bongermino,
Manuela Colomberotto, Luisa Romanello
Luci e fonica: Domenico Diaco, Chiara Loscalzo, Sofia Priora
Assistenti alla regia: Patrizia Barbaccia, Maria Luisa Caillaud,
Patrizia Caracciolo, Simone Krasnovsky
Laboratorio musicale: Ernesto Bovio, Simone Doniselli, Luca Marnoni
Il training è stato curato da Alessandro Avanzi
Regia: Maurizio Maravigna
Si ringraziano per la collaborazione: la Preside Bruna Baggio,
la Segretaria economa Lia Del Bono, Maira Carmi, Carlo Cattadori, Marco Costa,
Alessio Di Betto, Alessandro Granata, Paolo Repossi, Paola Serra,
tutto il personale non docente della scuola,
e in particolare Chiara Bongermino, Rita Celino, Andrea Maviglia
È stato possibile realizzare questo progetto grazie al sostegno
della Commissione Teatro e del Comitato Genitori
Prima recita: 19 maggio 2015
Repliche: 20, 22, 25, 26, 29, 30 maggio 2015
Ore 21,00
ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE “LUIGI CREMONA”
Viale Marche, 73 - Milano
introduzione
Il progetto del teatro al “Cremona” è davvero una esperienza corale: docenti, ex docenti, studenti, genitori,
uniti da una grande passione si ritrovano anno dopo anno per dar vita ad un laboratorio che ha come esito
la rappresentazione di un testo rivisitato e adeguato per renderlo più funzionale ed efficace.
Un progetto artistico che, a ben vedere, è un vero e proprio progetto didattico, un fare scuola vivo e concreto
in cui si costruiscono saperi disciplinari, si apprendono modalità comunicative ed espressive, si approfondiscono
autori e periodi storici, si rielaborano e si sintetizzano testi; il tutto in un contesto emotivo, relazionale,
comunicativo di grande impatto, che rende tutti partecipi di una impresa collettiva, che al di là degli esiti
finali, costituisce un’esperienza che in genere viene ricordata tra quelle che maggiormente segnano il proprio
percorso di vita.
Dal punto di vista dei docenti l’esperienza teatrale ha anche un valore educativo specifico; un valore che
si declina nei motivi della partecipazione, della collaborazione, dell’autocontrollo e della disciplina,
del riconoscimento degli altri, della relazione positiva e del rispetto delle regole comuni. E’, nel linguaggio
della scuola, una modalità efficace per la costruzione delle competenze di cittadinanza che costituiscono
un bagaglio indispensabile per ogni studente nel suo divenire un adulto responsabile, capace di interagire
positivamente con la propria realtà naturale e sociale.
Nell’assistere, nel corso di quest’anno, alla costruzione della rappresentazione de “Gli Uccelli” di Aristofane,
ho potuto apprezzare molti aspetti della metodologia utilizzata e vedere come da un primo inizio, in una sorta
di puzzle i cui pezzi si incastrano perfettamente, pian piano tutti i singoli momenti del laboratorio abbiano
trovato la loro posizione: l’attività di drammaturgia per la riduzione del testo, il training degli attori, la
produzione delle scenografie, la realizzazione dei costumi, la memorizzazione del copione, le prove ed infine
gli spettacoli e le repliche; il tutto in un clima di armonia, partecipazione, condivisione che ha caratterizzato
l’attività di quanti sono stati coinvolti in questa esperienza.
Voglio ringraziare di cuore tutti per l’entusiasmo e la passione con cui hanno lavorato e hanno saputo
contribuire a quello che sarà certamente l’ennesimo successo.
In primo luogo, primus inter pares, Maurizio Maravigna, che è il coordinatore e l’anima del laboratorio teatrale,
e poi ad uno ad uno tutti i docenti, gli studenti, i genitori, il personale tecnico e amministrativo della scuola
che hanno consentito, non senza fatica o difficoltà, anche quest’anno a far sì che la prima idea prendesse corpo.
Il riconoscimento civico dello scorso anno, l’attestato dell’Ambrogino d’oro della città di Milano, non poteva
trovare più meritato riscontro anche nello spettacolo che ciascuno di noi avrà modo di apprezzare.
Bruna Baggio
Dirigente scolastico IIS Cremona
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Lasciarsi andare
Il laboratorio teatrale dell’Istituto Cremona ritorna ai
Greci dopo tanti anni: era il 2003 quando ci siamo
dedicati all’Orestea di Eschilo. E ora, a distanza di dodici anni, ci cimentiamo con Gli uccelli di Aristofane,
che Dario Del Corno definisce la più bella commedia
di tutti i tempi. Questo passaggio dalla tragedia alla
commedia nasconde più insidie di quanto si possa immaginare.
Mentre esiste una tradizione di riferimento per la tragedia greca, che magari è una somma di fraintendimenti,
non possiamo dire lo stesso della commedia arcaica.
È un po’ come se con la perdita del secondo libro della
Poetica di Aristofane, dedicato
al comico, fosse stato tagliato il
cordone ombelicale che ci collegava alle sue origini. Ci sono
studi letterari, storici, filologici,
antropologici, sappiamo tante
cose, ma la verifica sul palcoscenico è sempre insoddisfacente. La satira politica non è
immediatamente comprensibile, il lieto fine talvolta imbarazzante: come scrive Borges
noi moderni crediamo più
facilmente all’Inferno che
al Paradiso e siamo in difficoltà a mettere in scena un
happy ending.
Sappiamo che Gli uccelli furono presentati in concorso
alle Grandi Dionisie del 414
a.C. (dove conquistarono il secondo posto), durante la guerra
del Peloponneso, mentre era in corso la spedizione
ateniese in Sicilia. La maggior parte dei critici ritiene
(giustamente) che nel testo non ci siano riferimenti
puntuali ai fatti storici, ma certo non possiamo dimenticare che Aristofane scrive in un momento difficile per
la sua polis e che i due vecchietti protagonisti, Pistetero
e Evelpide, sono in fuga da Atene e cercano una citta
“lanosa e morbida” in cui abitare. Atene è diventata
invivibile e non per gli argomenti un po’ pretestuosi
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addotti da Evelpide nella prima scena: la polis è in piena conflitto bellico, nel 415 a.C. c’era stato lo scandalo delle erme, raccontato da Tucidide, la democrazia
ateniese stava collassando… Tutto questo lascia tracce
indelebili lungo la commedia e soprattutto genera il
desiderio utopico di una città ideale.
Gli uccelli sono divisi in tre grandi macrosequenze, separate da due bellissime parabasi liriche.
Nella prima i due malconci protagonisti arrivano nel
mondo degli uccelli e progettano con essi la fondazione di Nubicuculia.
Nella seconda Pistetero
si sbarazza del compare,
tenta di celebrare un sacrificio di fondazione e resiste
all’assalto di un poeta, uno
spacciaoracoli, un geometra
urbanista, un ispettore e un
commerciante.
Nella terza, mentre il grande
muro difensivo è completato,
Pistetero licenzia malamente Iride, la messaggera degli
Dei, riceve una soffiata da
Prometeo e, infine, contratta con Poseidone, Eracle e Triballo, ottenendo
la mano di Sovranità, una
dea che gli garantirà il potere assoluto, togliendolo
a Zeus. Con le nozze di
Pistetero e Sovranità e con
la conseguente festa nuziale
si chiude la commedia.
Il finale di per sé rappresenta l’istaurazione di un mondo capovolto: dalla città vengono cacciati tutti quegli approfittatori che corrodono il
vissuto civile di una comunità, non sono ammessi i più
facinorosi (il parricida) e sono estromessi anche gli dei
della tradizione: Pistetero alla fine si fa dio. È il trionfo
del carnevalesco: il protagonista alla fine ottiene la più
totale soddisfazione narcisistica: cibo, sesso e potere.
Aristofane però dissemina la sua commedia di particolari inquietanti.
L’impresa impossibile (rappresentare oggi Aristofane)
diventa però possibile con un gruppo di ragazzi, anche
se alle prime armi. La naturalezza con cui si accostano
alla comicità permette di realizzare quella divina ambiguità che compagnie più professionali non riescono
a raggiungere.
I giovani colgono infatti con leggerezza l’essenza del
comico, hanno meno remore di un adulto a far convivere i momenti lirici con quelli sarcastici, la cattiveria
di un personaggio con una risata liberatoria… Una situazione che sembra porre limitazioni fa così scaturire
inaspettate soluzioni ed energie non prevedibili. L’importante è lasciarsi andare… al genio comico e poetico
di Aristofane.
Come nelle Nuvole Strepsiade dava a fuoco al pensatoio di Socrate, qui la conquista del potere da parte
di Pistetero sembra l’istaurazione di una dittatura. Il
rapporto che lo lega uccelli sin dall’inizio si presenta
come una strumentalizzazione bell’e buona.
Nelle scene finali un gruppo di uccelli dissidenti sono
infilzati allo spiedo e divorati in un banchetto.
Il lettore odierno ha la sensazione che il grande poema
dell’Utopia si trasformi man mano in una distopia…
Ma è davvero così, o stiamo proiettando su un testo
antico timori e ideologie che sono proprie della contemporaneità? Il comico concedeva ad Aristofane una
libertà di movimento che le nostre poetiche più sofisticate non ci concedono.
Gli uccelli sono per noi un oggetto inafferrabile, che si
apre alle più diverse interpretazioni (d’altra parte non
è questa la forza di un grande classico?): una moderna
rappresentazione è tanto più convincente quanto riesce a dar ragione delle sue infinite potenzialità, senza
mai dimenticare che si tratta di un’opera che vuole suscitare il riso.
Pistetero e Evelpide, i due balordi che danno inizio alla
commedia, come abbiamo già detto, sono due vecchi.
La scelta più scontata sarebbe stata quella di invitare i
giovani attori a fingere la vecchiaia, parodiandola, ma
il risultato sarebbe stato sicuramente inautentico. Abbiamo deciso di lasciare anche nella finzione la vera
realtà anagrafica degli attori. E questa scelta ha segnato
inevitabilmente tutta l’interpretazione dello spettacolo. Pistetero e Evelpide diventano due giovani senza
né arte e né parte alla ricerca di un futuro, come tanti
giovani di oggi. Fuggono da una delle tante città della
modernità divenute senza speranza e cercano un luogo
ideale in cui andare a vivere. Dopo una peregrinazione senza senso, capitano in una comunità di uccelli,
che vivono liberi, un po’ anarchici, forse degli hippies,
forse gli abitanti di una Christiania… Pistetero intuisce
che quella comunità può non soltanto essere la sua
città ideale, ma che in essa può acquisire un potere
assoluto. Gli uccelli possono essere facilmente plagiati
e strumentalizzati… la sua scalata al potere è il soggetto di questa commedia, che così riconquista appieno
la sua natura politica. L’utopia non è la città veniente,
l’utopia è nel cuore di ogni uccello. È nella sapienza
profonda, propria di un giovane o di un ottuagenario,
che “tutto nel mondo è burla”.
Maurizio Maravigna
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Introduzione agli Uccelli
di Aristofane
La commedia antica
Nell’epitaffio per i caduti nel primo anno della guerra
del Peloponneso (431-430 a. C.) lo storico Tucidide fa
pronunciare a Pericle un elogio della cultura dell’Atene
democratica del V sec. a. C. in cui, tra l’altro, dice: E
abbiamo dato al nostro spirito moltissimo sollievo dalle
fatiche, istituendo abitualmente agoni e feste per tutto
l’anno e avendo belle suppellettili nelle nostre case private, dalle quali giornalmente deriva il diletto con cui
scacciamo il dolore.
Pericle, secondo Tucidide, menziona come fondamentali per la “qualità della vita” della città, insieme alla
bellezza degli edifici privati, i pubblici festeggiamenti
organizzati dalla polis. Le feste in onore degli dei erano
infatti ad Atene eventi speciali, che prevedevano anche
seguitissime gare sportive e artistiche.
Due feste in particolare, dedicate a Dioniso, il dio della vegetazione e del vino, erano legate a rappresentazioni drammatiche: le Lenee (tra gennaio e febbraio) e
le Grandi Dionisie (tra marzo e aprile). Queste ultime,
della durata di più giorni, furono istituite nella seconda metà del VI secolo da Pisistrato, ma, con l’avvento
della democrazia nel V secolo, nei decenni di maggior
splendore di Atene, il significato politico e culturale
delle Dionisie si accrebbe: fu imposta anche una tassa
ai cittadini più ricchi per il finanziamento della messa
in scena dei cori degli spettacoli teatrali. Pericle istituì
perfino un contributo statale che consentiva ai meno
abbienti di partecipare gratuitamente alle rappresentazioni. La festa acquistò dunque una funzione importante per la coesione sociale e il rafforzamento dell’identità della nuova Atene.
Soprattutto le gare teatrali appassionavano gli Ateniesi:
tre giorni erano dedicati alle tragedie e uno alla commedia. Il giudizio finale sulle opere in gara, con la
proclamazione di un vincitore rispettivamente per la
tragedia e per la commedia, veniva espresso dai rappresentanti delle dieci tribù, il simbolo dell’unità territoriale e politica della città, a conferma della partecipazione della comunità cittadina all’evento teatrale.
Non stupisce dunque che la commedia antica, di cui
Aristofane è il massimo rappresentante, sia stata definita “commedia politica”: con questo termine si allude
non tanto e non solo ai riferimenti, che pure in Aristofane sono ben presenti, all’attualità e ai potenti del
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momento, presi in giro e svillaneggiati spesso con un potente
turpiloquio, quanto al profondo legame fra la commedia e la
vita della polis. Una caratteristica, questa, che rende diversa
la commedia aristofanesca dalle opere teatrali moderne.
Molto diverse sono anche le modalità della rappresentazione. Determinante era la presenza di un coro di
24 attori, che agiva sulla scena cantando e danzando
accompagnato dalla musica. La struttura dell’azione
drammatica era incentrata in buona parte sull’interazione fra coro e singoli attori, che si esprimevano in
versi, vicini al parlato, in parte con accompagnamento
musicale. E non mancavano le parti soliste, nel flauto
o nel canto. Gli attori, e il coro in particolare, si presentavano in scena con maschere e con travestimenti
buffoneschi e fantasiosi; potevano essere animali, o forze della natura, come in molti cori delle commedie di
Aristofane: uccelli, vespe, rane, nuvole… Per quel che
ne sappiamo, la commedia del V secolo ci appare più
simile a un’opera lirica leggera o a un musical piuttosto
che a un moderno dramma in prosa.
La struttura si rifaceva a uno schema fisso, e l’arte del
commediografo consisteva appunto nel giocare sulle
variazioni, prevedendo le aspettative di un pubblico
che frequentava abitualmente il teatro.
Gli uccelli
Gli uccelli furono rappresentati nelle Grandi Dionisie
del 414 a. C., in un periodo di apparente tregua della
guerra con Sparta, dopo la pace di Nicia (421 a C.).
Pochi mesi prima della messa in scena era iniziata una
spedizione della grande flotta ateniese verso la Sicilia,
che mirava a rafforzare l’“impero” di Atene sul mare, in
risposta all’antagonista Sparta, e che fu sostenuta con
forza da Alcibiade, ambiguo protagonista della vita
politica di quegli anni. Ma, appena dopo la partenza
della flotta, Alcibiade, uno dei comandanti in capo,
fu richiamato in patria, accusato di aver partecipato
ad un’azione, tra il sacrilego e il vandalico, che aveva scosso la città: la decapitazione delle Erme, statue
votive poste ai crocicchi delle strade. Alcibiade fu così
costretto a lasciare l’incarico di comandante supremo,
e fuggì a Sparta.
In questo periodo di forti tensioni interne ed esterne
per gli esiti di una spedizione che poteva risolversi
in un trionfo o in un disastro (come poi fu) mancano
quasi completamente nella commedia le consuete allusioni mordaci contro politici e strateghi. Alcuni interpreti hanno comunque cercato, con molte forzature,
di individuare in essa riferimenti “in codice” alla spedizione siciliana, altri ne hanno fatto la celebrazione
della fantasia e dell’evasione in un’atmosfera sognante,
nell’aereo mondo degli uccelli. In realtà nella “politicità perenne” di Aristofane, come dice Guido Paduano,
anche se lontana dal puntuale richiamo all’attualità, è
da cercare la chiave interpretativa, e vedremo perché.
Argomento. Nel prologo due ateniesi, Pistetero ed Evelpide, cioè il “Persuasore” e lo “Speranzoso”, nauseati
dalla smodata passione che i loro concittadini nutrono
per i processi, fuggono da Atene alla ricerca di una città dove possano vivere in pace. Giungono dall’Upupa,
che una volta era Tereo, un uomo e un re della Tracia,
e gli chiedono se nei suoi voli abbia mai visto una città
del genere. Poiché nessuna delle indicazioni dell’Upupa sembra soddisfacente, l’intraprendente Pistetero
propone di fondare una città degli uccelli. La proposta
piace a Tereo-Upupa, che convoca tutti gli uccelli, ed
essi arrivano l’uno dopo l’altro dai luoghi più lontani,
formando il coro.
Da principio si oppongono violentemente ai due ateniesi, che, in quanto uomini, sono i loro tradizionali
nemici, ma quando Pistetero riesce ad illustrare il suo
progetto ne sono conquistati: la nuova città, a cui sarà
imposto il nome di Nubicuculia, “città delle nuvole e
dei cuculi”, posta nell’aria tra la terra dove vivono gli
uomini e il cielo degli dei, saprà imporre agli uni e
agli altri la sua volontà; per vincere gli dei, prendendoli
per fame, basterà intercettare il fumo delle vittime dei
sacrifici in loro onore. Mentre Pistetero fa i riti propiziatori per la fondazione della città arrivano, spinti dai
più meschini interessi, vari personaggi, figure tipiche
del mondo ateniese, che tentano di inserirsi nel grande
progetto: un indovino, il geometra Metone, un poeta,
un petulante ispettore dello Stato e un borioso venditore
di decreti. Eccetto il poeta, che riceve degli indumenti,
tutti vengono cacciati a bastonate. La costruzione della
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città, grazie all’alacre lavoro degli uccelli, procede in
tempi brevissimi, a cominciare dalle mura che circondano l’aria. Gli dei allora, ridotti a digiuno, mandano
Iride a sollecitare gli uomini a fare sacrifici per loro,
ma la messaggera degli dei, volando nello spazio aereo degli uccelli, è bloccata e minacciata da Pistetero.
Arrivano intanto altri personaggi dal mondo terrestre
con l’intenzione di prendere dimora nella nuova città, di cui si è diffusa la fama. Arriva Prometeo, l’antico
amico degli uomini, a dare buoni consigli a Pistetero
per condurre una trattativa con gli dei, e arriva infine
un’ambasceria degli dei, composta da Poseidone, Eracle e Triballo, una divinità barbara dallo strano linguaggio. Pistetero detta le sue condizioni: esse prevedono
che gli uccelli divengano alleati degli dei, ma il potere
centrale deve passare a lui, che sposerà Basileia (Sovranità), la giovane donna che è depositaria dei fulmini di
Zeus e quindi simbolo del comando. Cede per primo
Eracle, il dio-mangione, preso per la gola appena sente
odore di cucina: Pistetero sta appunto arrostendo degli
uccelli oppositori al nuovo regime. E con Eracle anche
gli altri dei accettano le condizioni dell’ateniese. L’accordo viene raggiunto e suggellato da una grande festa,
in cui si celebra il matrimonio di Pistetero e di Basileia e il trionfo del protagonista, omaggiato dagli uccelli
come un nuovo Zeus.
La fuga da Atene. All’inizio della commedia i due ateniesi fuggono dalla loro città: perché? Entrambi affermano di cercare un posto “tranquillo” (apragmona),
sono disgustati dai processi e dalle tasse, dall’attivismo
e dall’avido affarismo della vita politica e sociale di
Atene.
Nel periodo di preparazione della spedizione siciliana,
che fa da sfondo alla commedia, coloro che sostene-
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vano una politica moderata, più “tranquilla”, venivano
insultati dal partito della guerra proprio con il termine
apragmon.
Pericle, come racconta Tucidide, aveva sottolineato
qualche anno prima che la politica imperialistica di
Atene non poteva permettersi di prendere le distanze
dall’“attivismo” (polypragmosyne) che garantiva la posizione egemone della città. Agli occhi degli altri Greci,
dice ancora Tucidide, gli Ateniesi sono sempre pronti a
progettare nuovi piani e a metterli in pratica, tendono
a non stare mai tranquilli e a non lasciare in pace neanche gli altri. La spedizione in Sicilia, conclusasi disastrosamente, fortemente voluta dal partito della guerra e “del fare”, è l’ultima espressione di quella vitalità
imperialistica che domina la democrazia ateniese con
i suoi demagoghi, spesso bersaglio polemico di molte
commedie di Aristofane.
La “smania di darsi da fare” è una caratteristica dei
personaggi ateniesi che arrivano a disturbare Pistetero durante i riti di fondazione: l’invadente funzionario, il leguleio da strapazzo, l’odioso delatore, il geometra Metone, ridicolmente fiducioso negli strumenti
scientifici e tecnologici… questa è l’Atene “moderna”:
burocrazia, eccesso nel controllo della vita civica,
ipertrofismo dell’apparato giudiziario, ottimismo cieco verso un’inarrestabile espansione. Ma i cittadini ne
sono schiacciati; Pistetero, invece di risentire dei benefici effetti dello sviluppo, si sente privato di quello
che dovrebbe essere il bene più prezioso in un sistema
democratico: la libera espressione individuale. Non si
può lottare contro un potere così pervasivo e frenetico,
si può solo fuggire fuori dal mondo. E’ una soluzione
radicale che fa trapelare la consapevolezza della crisi
imminente della città e l’impossibilità di proporre rimedi alternativi.
Tuttavia l’atteggiamento verso Atene è ambivalente in
Pistetero, come in Aristofane. Un ateniese, nonostante
le critiche e il disgusto, non cessa di sentire l’orgoglio
di essere cittadino di una grande polis: Atene, per il
nostro fuggiasco, è “il paese delle triremi belle”, la
cui grandezza è fuori discussione, e, in ogni momento
del dramma, essa rimane riferimento e modello.
Del resto Pistetero stesso si distingue, come un vero
ateniese, per intraprendenza e polypragmosyne,
quando progetta di costruire la città degli uccelli:
la sua impresa non sembra alla fine un’espressione della stessa volontà di potenza che guidava
la politica imperialistica di Atene?
Il mondo degli uccelli. “Io vorrei, per un
poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza
e letizia della loro vita”. Queste parole, con cui termina l’Elogio degli
uccelli di Giacomo Leopardi, sono
ricordate da Dario Del Corno nel suo
commento alla commedia di Aristofane. In esse si esprime il sogno di
una metamorfosi che ha sempre affascinato tutti gli uomini, presente
nella letteratura e nell’arte di ogni
tempo. Il desiderio di avere le ali, di
staccarsi da terra, di perdersi e cantare nel cielo, è
l’emblema di un’evasione irrealizzabile. Ma non nella
commedia: essa, nella sua audacia fantastica, può dare
luogo all’impossibile e ci fa trasmigrare, con il viaggio
dei nostri due ateniesi, dai paesaggi terrestri, attraverso
l’intermediazione dell’Upupa, in uno spazio vuoto, nel
mondo degli uccelli, un luogo che non c’é.
Utopia, appunto: il non-luogo (ou-topos), dove si realizza l’ideale di un’esistenza felice, priva di fatiche e di
mali, alternativa al reale. Se nell’Utopia moderna la caratteristica fondamentale (da Thomas Moore, che coniò
la parola, al Novecento) può essere individuata in una
secolarizzazione dell’attesa del regno dei cieli e quindi
nella prefigurazione di una società armoniosa e giusta,
in cui c’è piena sintonia fra individuo e comunità, nel
mito “utopico” antico, presente nel mondo greco come
in molte altre culture, sono evidenti altri tratti. Il modello di vita perfetta si colloca in un remoto “altrove”,
nel tempo o nello spazio: in letteratura lo ritroviamo
nel mito dell’età dell’oro, ma ha da sempre avuto un
ruolo importante nei racconti popolari, nella forma
del paese di Cuccagna o del “mondo alla rovescia”. Il
primo si caratterizza per l’abbondanza del cibo e dei
piaceri carnali, unita all’assenza di fatica e di lavoro,
nel secondo assistiamo a un ribaltamento del mondo
reale, in particolare per quanto riguarda la morale e i
rapporti di potere, secondo la tecnica d’inversione del
“carnevalesco”.
Nella commedia, un genere letterario che affonda le
sue radici nella cultura popolare e nei riti arcaici, ele-
menti di entrambi i modelli sono
presenti nel sogno di evasione
dei nostri due ateniesi. Essi cercano, così dicono all’Upupa, una
città “morbida come una pelliccia”, dove ogni giorno si possa
essere invitati a un “banchetto di nozze”: immagini che
esprimono pulsioni primarie
di benessere fisico, di soddisfazione del desiderio, alimentare e sessuale. Il mondo degli
uccelli sembra rispondere a queste
aspirazioni, come si scopre dal racconto dell’Upupa, il cui stile di vita
appare delizioso: lì non c’è bisogno
del portafoglio, c’è cibo in quantità
e secondo il capriccio, una
vera “luna di miele”, perché
allietata dalla presenza della
sposa, la dolce “usignoletta”
canterina che, al suo ingresso, suscita le battute ammirate
e salaci dei due ateniesi.
Il mondo degli uccelli è il recupero di un’esistenza secondo natura, che non conosce le leggi delle
società storiche. Nel canto corale, confrontandosi con
gli uomini, definiti “ombre che vivono nelle tenebre”
senza la gioia delle ali, gli uccelli esaltano la propria
libertà e immortalità (è la specie che conta, non gli individui). Essi, immersi nel tempo ciclico della natura,
godono avidamente dei frutti delle diverse stagioni e
possono ancora vivere in festa con le ninfe. Soprattutto,
tra gli uccelli non ci sono ci sono schiavi e proscritti,
gerarchie e leggi, anzi, paradossalmente, è in onore
proprio ciò che è proibito fra gli uomini: si attribuisce
merito a chi non rispetta gli obblighi verso i genitori
e addirittura picchia il padre, infrangendo così il tabù
della paternità, radicatissimo nella cultura greca. Ecco
dunque che il sogno “utopico” prende anche l’aspetto
di un mondo alla rovescia.
Ma Nubicuculia, la nuova città, non sembra corrispondere a questo mondo ideale, che altro non è se non il
desiderio della libertà, intesa nella sua dimensione più
vitale.
Il progetto di Pistetero prende subito un’altra strada: lo
spazio senza limiti del cielo (polos) deve diventare una
polis, e prima di tutto, naturalmente, per affermare l’egemonia degli uccelli, si devono costruire delle mura,
proiezione celeste delle famose mura di Atene, erette
da Temistocle più di mezzo secolo prima. Il successo
dell’impresa è subordinato all’accettazione da parte
degli uccelli degli ordini di Pistetero, che subito procede ad assegnare a ciascuna specie un compito, adatto
alle proprie caratteristiche. E così dall’anarchia dello
stato di natura si passa a una gerarchica obbedienza
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al nuovo signore. Quando, attirati dalla promessa di
libertà di un “mondo rovesciato”, arrivano dalla terra
nuovi aspiranti cittadini, Pistetero, ormai padrone della
situazione, sarà chiaro: non c’è diritto di cittadinanza a
Nubicuculia per chi non rispetti le leggi… e non ami i
genitori! L’ordine è instaurato.
Del resto l’ordine e l’obbedienza sono più che mai necessari perché la nuova città nasce in assetto di guerra per imporre la propria supremazia, in primo luogo
agli dei. Il comandante in capo (“un vero stratego” dice
Evelpide) è Pistetero, che occupa quasi sempre la scena
nel condurre le trattative con i celesti. Lungi dall’essere
i nuovi dei, come pure era stato loro promesso, i pennuti devono accettare di divenire lo strumento di una
restaurazione, i sudditi in un ordinamento tradizionale,
che impone loro di aiutare gli uomini sulla terra e far
buon viso al patto finale con gli dei, secondo il quale
dovranno punire gli empi e gli spergiuri. Non solo: i
poveri uccelletti “dissidenti” verso il nuovo regime finiranno arrosto per un banchetto dell’ex benefattore
Pistetero tramutatosi in tiranno.
Gli uccelli, gli aerei simboli dello stato di natura, sono
anche creature ingenue, vittime dell’eroe protagonista,
a loro superiore per furbizia e capacità dialettica. Costui, alla fine della commedia, fa sua la morale repressiva e gerarchica da cui era fuggito. Nubicuculia, l’anti-Atene, si presenta immancabilmente troppo simile a
quella stessa città che si voleva dimenticare.
L’apparente incoerenza del ribaltamento del piano originario di Pistetero può trovare una spiegazione proprio nelle caratteristiche dell’eroe comico.
L’irresistibile ascesa dell’eroe comico. Aristotele nella
Poetica afferma che la commedia rappresenta l’uomo
come “peggiore di noi”; ciò significa che nell’eroe comico appaiono atteggiamenti e pulsioni represse comuni a tutti gli uomini, giudicati negativamente secondo la prospettiva moralistica del filosofo greco.
L’eroe di Aristofane in generale, e Pistetero in particolare, mostra, all’inizio della commedia, una situazione
di debolezza: è vecchio, frustrato, insofferente nei confronti della comunità cui appartiene, ma nutre un progetto di riscatto che nasce dalla forza dei suoi desideri,
in primo luogo desideri del corpo (cibo, sesso, piacere),
ma anche desideri di autoaffermazione, espressione di
un’indomita energia vitale.
Tuttavia “la fortuna aiuta i frustrati”, commenta Antonio
Grilli nella sua introduzione agli Uccelli. Infatti Pistetero riuscirà ad affermare a spese di un gruppo queste
esigenze primarie di realizzazione di sé, nonostante
una iniziale impossibilità di agire sul piano della realtà.
La commedia ha, appunto, una funzione compensatoria: l’eroe comico dovrà ricavare da sé, dalla propria
volontà desiderante, dalle sue risorse fantastiche la soluzione che lo porterà al trionfo, almeno nell’irrealtà
del gioco scenico.
12
Negli Uccelli c’è un momento in cui il protagonista
concepisce l’idea geniale: “Ecco, io vedo un grande
progetto, per la stirpe degli uccelli, e la potenza che vi
darà il potere, se mi date retta”. In queste parole-chiave la capacità d’immaginazione si unisce alla funzione
persuasiva della parola, adombrata in quel “se mi date
retta”. Attraverso la manipolazione della parola, muovendosi liberamente fra vari livelli di senso, Pistetero
sarà capace di dar forma ad una nuova realtà politica,
come abbiamo visto nel gioco di parole polos/polis.
Ma la parola sarà decisiva nell’agone con il coro, in cui
Pistetero, come un vero sofista ateniese dalla parlantina sciolta, si giocherà tutte le sue capacità affabulatorie, inventandosi una fantasiosa “primogenitura” degli
uccelli nell’intero universo, accolta con entusiasmo dai
suoi interlocutori.
L’impulso del desiderio, il disinibito primordiale egocentrismo dell’eroe della commedia antica porta obbligatoriamente a una contrapposizione dell’individuo
con la collettività, quel gruppo che è il limite esterno
di ogni possibile espansione dell’io. Il conflitto di Pistetero con la società è una competizione diretta, un
“corpo a corpo”, perché egli vede nello stato un antagonista che ha le caratteristiche di un rivale: ingordo,
insaziabile nello spillar quattrini, sopraffattore, inoltre
tremendamente esigente, con la scusa dei “valori civici”, in fatto di obblighi morali, che impongono rinunce
a favore degli interessi comuni.
Si è visto in questo contrasto una rivendicazione di
autonomia di carattere “edipico” (Guido Paduano): la
città, come un padre, è oggetto di contestazione, tanto
quanto lo sono, nella seconda parte della commedia,
gli dei, con i quali Pistetero ingaggia uno scontro (una
sorta di “Titanomachia” comica) fino a sconfiggerli e
diventare un nuovo Zeus.
Il riscatto di Pistetero dalla sua condizione di “minorità” avverrà con la fondazione di un sistema nuovo.
Nuovo tuttavia solo per il fatto che Pistetero si è trasformato da “oggetto” a “soggetto” di potere e può dire:
“Lo stato sono io”, dando libero sfogo alla sua volontà
di potenza che adesso non ha più ostacoli.
Gli uccelli, con la loro ingenuità e la loro mancanza
di individualismo competitivo, sono asserviti al ferreo sistema di regole che l’ateniese rifuggiva, ma che
è ben contento di ripristinare ora che il padrone è
lui. E siccome il potere non è tale se non permette
il libero soddisfacimento dell’aggressività, Pistetero
caccia allegramente a bastonate gli impostori che si
vorrebbero insinuare nella nuova città e fa arrostire
gli oppositori.
Nell’ultima scena si celebra un matrimonio che sancisce una perfetta felicità erotica e la detronizzazione
di Zeus, dopo che è giunto, come ha detto l’araldo,
persino il tributo di gloria e onori da parte degli uomini
che “arriveranno a frotte qui da te”. Dunque Pistetero,
riconosciuto vincitore anche dai membri del suo grup-
po di origine, alla fine resta uomo fra gli uomini, dai
quali forse non si era mai allontanato, con l’appagante
certezza che, almeno nella commedia, anche un ometto qualunque come lui può rovesciare il re dell’Olimpo
e prenderne il potere.
Lo spettatore ateniese è invitato da Aristofane a solidarizzare con l’eroe comico, in un processo d’identificazione (“Questo sono io”), e nello stesso tempo a ridere
di lui (“Ma io potrei essere diverso ”). Complicità e distanza. Si ride, qualche volta un po’ amaro, in questa
“commedia ateniese”.
Pur con tutte le differenze, può essere utile ricordare
che cosa è stata per noi “la commedia all’italiana”,
come noi abbiamo riso con Totò, Alberto Sordi, Ugo
Tognazzi, Vittorio Gassman, quando rappresentavano
i Pulcinella, gli Arlecchini, i Capitan Fracassa di oggi,
le immortali maschere e i “mostri” del nostro paese, e,
in modo allegro e impietoso, ci hanno dato la consapevolezza dei vizi storici e del sistema di valori della
nostra società.
Paola Bonichi
Per la stesura del testo mi sono state soprattutto utili le introduzioni agli Uccelli di Dario Del Corno, Alessandro Grilli e Guido
Paduano, a cui rimando per approfondimenti:
Aristofane, Gli Acarnesi, Le Nuvole, Le Vespe, Gli uccelli, a c. di G.Paduano, Garzanti, 1979
Aristofane, Gli uccelli, a cura di Giuseppe Zanetto (introduzione e traduzione di Dario Del Corno), Fondazione Lorenzo Valla, 1987
Aristofane, Gli uccelli, a cura di Alessandro Grilli, BUR, 2006
13
TRAMA
Pistetero ed Evelpide, cittadini ateniesi, per sfuggire ai
debiti, alle tasse e ai tribunali, abbandonano la loro
città, alla ricerca di un luogo “senza impicci, dove stabilirsi e passare la vita”. Guidati da una cornacchia e
da un gracchio, dopo un lungo viaggio, giungono a
incontrare Tereo, un tempo uomo, ora trasformato in
upupa (1), per sapere da lui, che da quando è uccello
può sorvolare il mondo intero, dove trovare “una città
lanosa e morbida, in cui sdraiarsi come su una pelliccia”. Parlando con Upupa capiscono però che, senza
andare lontano, questo desiderio si potrebbe realizzare
proprio lì dove sono, nel mondo degli uccelli, in cui
si vive “senza bisogno di portafogli” e ci si nutre “di
sesamo, mirto, semi di papavero e menta”.
L’idea piace a Pistetero che, illuminandosi, elabora lì
per lì un grande progetto: fondare una città degli uccelli, che dia alla loro stirpe potere sugli uomini e sugli
dei. La nuova città-stato, difesa da forti mura, sorgerà
nell’aria tra la terra e il mondo celeste, frapponendosi
tra gli uomini e gli dei. Gli dei, se vorranno continuare a banchettare grazie ai sacrifici offerti dagli uomini,
dovranno pagare un tributo agli uccelli, ma gli uomini
sapranno presto riconoscere negli uccelli e non più negli dei i loro nuovi padroni, generosi nel beneficarli per
la loro devozione ma anche pronti a punirli in caso di
infedeltà.
Upupa è ammaliato dalle parole di Pistetero. Si tratta
però di far accettare l’idea a tutti gli uccelli, che sono
da sempre abituati a vivere liberi, non sottoposti alle
regole che governano una città-stato e, soprattutto, abituati a vedere negli uomini i propri naturali nemici. Per
convincerli Pistetero dovrà fare ricorso a tutta la sua
abilità oratoria.
Upupa entra nella boscaglia a svegliare Procne, un
tempo sua moglie, ora trasformata in usignoletta, che
lo accompagna nel canto con cui il coro degli uccelli è
chiamato in scena.
Alla vista dei due umani in compagnia di Upupa, gli
uccelli si sentono traditi e minacciati. Si apprestano
perciò ad attaccare militarmente Pistetero ed Evelpide che, terrorizzati, cercano in qualche modo riparo.
Upupa riesce però faticosamente a riportare la pace e a
convincere gli uccelli ad ascoltare le parole di Pistetero
che, rassicurato, comincia con grande abilità demago-
14
gica la sua opera di persuasione. Così, fa credere agli
uccelli di essere loro la stirpe vivente più antica, nata
prima degli dei e degli uomini, e dimostra, con argomenti da esperto imbonitore, che anticamente gli uccelli regnavano su tutti gli altri esseri viventi. Ora invece essi sono alla mercé degli uomini, cacciati, catturati
e cucinati in mille modi. Ma fondando una loro città gli
uccelli potranno ottenere di nuovo il potere perduto, la
gratitudine degli uomini e la sottomissione degli dei.
Le parole di Pistetero sono accolte con crescente interesse dagli uccelli che alla fine appaiono, nella loro
primitiva ingenuità, del tutto convinti dall’abilità retorica del cittadino ateniese. Pistetero ed Evelpide però
sono uomini e perché possano dare avvio all’impresa
devono essere trasformati in uccelli. A ciò provvede
Upupa che, grazie a una piccola radice miracolosa,
farà spuntare anche a loro le ali. Dopo qualche apprezzamento un po’ pesante sulla bellezza di Procne, i due
seguono Upupa nella boscaglia.
Il coro degli uccelli si rivolge ora agli spettatori (2): con
toni ispirati rievoca l’origine della stirpe degli uccelli
dall’unione di Eros e Caos, la loro natura immortale e
la loro costante presenza benefica nella vita degli uomini; poi, con modi molto più prosaici, invita gli spettatori a mescolarsi con il mondo degli uccelli, in cui è
bene accetto tutto ciò che tra gli uomini è punito per
legge. Per non parlare dei grandi vantaggi che avere le
ali procura nella vita di ogni giorno.
I due cittadini ateniesi tornano in scena muniti di ali e
Pistetero dà avvio all›opera di costruzione della città e
insieme di imposizione del proprio potere personale.
Trova un nome alla città, che si chiamerà Nubicucùlia.
Si libera di Evelpide, spedendolo a occuparsi della costruzione delle mura e convoca un sacerdote per procedere al sacrificio ai nuovi dei alati. Il rito, appena
iniziato, è però interrotto dall’arrivo di un poeta, il primo di una serie di profittatori che, richiamati dalla notizia della fondazione della nuova città, si dichiarano
pronti a prestare la loro opera in cambio di qualche
ricompensa. Dopo il poeta, giungono a interrompere
il rito sacrificale un venditore di oracoli, un matematico esperto in lottizzazione dell’aria, un commerciante
di leggi e decreti, un ispettore ministeriale. Tutti sono
scacciati in malo modo da Pistetero, che rientra nella
boscaglia a terminare il rito.
Resta in scena solo il coro, che celebra la gloria e il
potere degli uccelli, nuovi dei per gli uomini, pronti a
premiarli o a punirli. Si rivolge infine agli spettatori promettendo benefici e ricchezza in cambio di applausi.
Pistetero, tornato in scena, riceve da un messaggero
notizie sulla costruzione della mura, magnificamente
portata a termine grazie alla collaborazione delle varie
specie di uccelli. Ma ecco giungere un secondo messaggero, con la pessima notizia che uno degli dei di
Zeus è riuscito a eludere le difese e a penetrare nella
città. Il coro degli uccelli leva grida di guerra contro gli
dei. L’intrusa è Iride, che era in viaggio verso la terra
per ordinare agli uomini di riprendere i sacrifici agli
dei. Pistetero, dopo averle spiegato che gli uomini ora
sacrificano agli uccelli e non più agli dei dell’Olimpo,
la caccia rivolgendo a lei e a Zeus tremende minacce.
Dalla terra giunge ora l’araldo che era stato inviato ad
annunciare agli uomini il nuovo potere degli uccelli. Porta a Pistetero una corona d’oro, omaggio degli
uomini che lo onorano e che, presi da “ornitomania”,
a migliaia vorrebbero avere le ali per condividere la
spensierata e felice esistenza degli uccelli.
Ecco infatti che, attratti dalle promesse di vita libera
da leggi e costrizioni, si presentano a Pistetero due
aspiranti alla trasformazione in uccelli: un giovane che
odia il padre e vorrebbe strangolarlo e beccarlo; un
ufficiale giudiziario, delatore di professione, che vive
denunciando stranieri e sequestrando i loro beni. Ma
Pistetero, deludendo le loro attese, li allontana entrambi. Ora, che ha preso saldamente in mano il governo di
Nubicuculia, sembra voler stabilire un nuovo ordine e
porre fine alla condizione felicemente anarchica della
società degli uccelli.
Giunge ora in scena Prometeo, il titano punito da Zeus
per avere donato agli uomini il fuoco sottratto agli dei.
Con grande soddisfazione, lui, che odia Zeus, svela
a Pistetero lo scompiglio che regna nell’Olimpo da
quando il nuovo potere degli uccelli impedisce agli dei
di sfamarsi ricevendo i sacrifici degli uomini. In particolare, gli dei barbari, i Triballi, affamati, minacciano
guerra a Zeus (3). Prometeo preannuncia l’arrivo di ambasciatori dall’Olimpo ma suggerisce a Pistetero di non
accettare accordi a meno che Zeus non consegni lo
scettro del potere agli uccelli e dia in moglie a Pistetero
Sovranità, “una magnifica ragazza che amministra la
folgore di Zeus e tutto il resto”.
Arriva infatti l’ambasciata olimpica, formata da Poseidon, Eracle e Triballo. Pistetero, che evidentemente ha
ormai imposto il suo ordine a Nubicuculia, li accoglie
mentre è intento a cucinare un tagliere di uccelletti “ribellatisi contro pennuti democratici e giudicati colpevoli” (4) e pone a Poseidon le condizioni di pace suggeritegli
da Prometeo, sottolineando i vantaggi che deriverebbero
agli dei dall’alleanza con la città degli uccelli. Poseidon
rifiuta indignato, mentre Eracle, che pensa solo a una
mangiata di uccelletti, è più disponibile. Pistetero allora,
circuendolo abilmente, riesce a ottenere con facilità il
suo appoggio e quello del rozzo Triballo. E Poseidon,
messo in minoranza, è costretto a cedere.
Pistetero, vinta ormai la battaglia con gli dei, può celebrare in gloria le nozze con Sovranità.
Paolo Repossi
1.Tereo, marito di Procne, si era innamorato della cognata Filomela e le aveva fatto violenza. Procne, venuta a conoscenza
della cosa, si era vendicata imbandendo al marito le carni del figlioletto Iti. Quando Tereo, sconvolto, tenta di uccidere
le due donne, per intervento divino, viene trasformato in upupa. Procne diventa usignolo e Filomela rondine. La vicenda,
appartenente alla tradizione attica, era stata oggetto di una tragedia di Sofocle.
2.È elemento strutturale della commedia antica la cosiddetta “parabasi”, cioè il momento in cui il coro, sospendendo la partecipazione all’azione scenica, si rivolge direttamente agli spettatori con varietà di toni, da elevati a bassi e triviali.
3.“Triballi” era il nome di una popolazione della Tracia, considerata barbara e selvaggia. Il termine era in uso per indicare
genericamente dei giovani rozzi e scapestrati. Anche la credenza che il frutto dei sacrifici fosse ripartito assegnando le carni
succose agli uomini e il fumo agli dei era ricondotta nel mito a un inganno messo in atto da Prometeo ai danni di Zeus.
4.C’è in questo passaggio un’eco delle vicende politiche di Atene al tempo della rappresentazione della commedia. Nel 414
a.C. la città era impegnata da lunghi anni nella guerra contro Sparta e non erano rare condanne a morte di cittadini accusati
di crimini contro il governo democratico della città.
15
Guardiamo Aristofane
Irripetuta e irripetibile è l’esperienza del teatro greco
del V secolo e della commedia “arcaica” per eccellenza. Non lo si ripeterà mai abbastanza: gli ateniesi non
andavano a teatro la sera, per divertirsi o per passare il
tempo, o per farsi una cultura o per dimostrare di averne una: il teatro greco è un fatto politico, lo spettatore è
un cittadino, non un uomo colto o interessato al teatro.
A teatro ci si andava in occasione di feste in onore degli
dei, come dire a messa, di giorno e si era circondati da
migliaia di concittadini. A teatro si celebra il rito della
comunità cittadina, dell’appartenenza a questa comunità, della sopravvivenza della città stessa. La partecipazione allo spettacolo è garanzia della durata della
città e della comunità.
Le origini antropologiche della commedia, legate ai riti
primaverili della rigenerazione e della ripresa del ciclo
biologico naturale (pensate almeno al primo numero
musicale del Re leone, “The circle of life”), determinarono il linguaggio e la funzione della commedia arcaica, creando un insieme che non si sarebbe più ripetuto.
parlando di cose di cui il tacere è bello: eppure Aristofane ha scritto un’intera commedia prendendo in
giro Socrate e facendo di lui un pagliaccio grottesco).
Se una persona importante di Atene non avesse sentito
il proprio nome maltrattato nella commedia probabilmente avrebbe fatto bastonare il poeta.
Celebrando ed esaltando senza pudori le funzioni vitali
del corpo la commedia riconferma la rinascita ciclica della città stessa. L’insulto rituale ha una funzione
apotropaica (altra bella parola, significa, letteralmente, allontanamento della jella, scaramanzia): la famosa
“invidia degli dei” viene evitata ridicolizzando qualche
difetto della persona fortunata.
La commedia greca non è mai realmente “satirica”. E
gli uomini politici ateniesi (ma non solo loro) conoscevano il detto di Oscar Wilde “parlate male di me
purché ne parliate”.
È interessante ricordare che furono i romani a proibire, nella commedia latina, l’uso di prendere in giro dei
personaggi reali sulla scena.
Il linguaggio. Chi voleva comporre una commedia non
poteva evitare di usare un linguaggio aiscrologico e
scommatico (che belle parole!).
Aiscrologia significa turpiloquio. Turpiloquio significa
dire le parolacce. Le parole sconce della commedia riguardano due aspetti della corporeità: il sesso e il cibo
(nei suoi due momenti di “ingestione” e di “eliminazione”). In una commedia un autore ateniese doveva
parlare di “cacca”, doveva inserire battutacce, e niente
affatto allusive, sulle più fantasiose attività sessuali. Doveva farlo a tutti i costi, anche se non c’entrava nulla
con quanto stava scrivendo.
Linguaggio scommatico significa insultare qualcuno…
e nel modo meno elegante e ironico possibile. In una
commedia era obbligatorio nominare esplicitamente i
personaggi più noti e popolari dell’Atene contemporanea e dire di loro le schifezze più immonde (Pericle fu per vent’anni il capo dello stato Ateniese, e per
vent’anni la commedia lo prese in giro pesantemente,
ma questo non gli impedì di essere rieletto ogni anno).
Aristofane e Socrate probabilmente erano buoni amici
e Platone nel Simposio ci descrive la fine del banchetto
in cui i due austeri intellettuali sono gli unici a non
essere ancora completamente ubriachi mentre stanno
La struttura. Tutte le commedie di Aristofane hanno una
struttura identica… e un infinita possibilità di variazione. Il protagonista (spesso un vecchio, ma può essere
addirittura una donna come Lisistrata o addirittura un
dio come il Dioniso delle Rane) ha un grosso problema
personale (i debiti fatti dal figlio, la guerra, un parente
nei guai, è stufo di vivere ad Atene). Egli affronta questo problema con un’invenzione folle e aggressiva ma
soprattutto “fantastica” (creare una nuova città a mezza
strada fra la terra e il cielo, organizzare uno sciopero
delle donne, scendere nell’oltretomba per riportare in
vita il poeta preferito). Nella realizzazione del suo piano deve scontrarsi e sbaragliare una serie di personaggi
minori che cercano di ostacolarlo o di approfittarsi di
lui. Ci riesce… e trionfa. E alla fine fa una festa in cui
si mangia e si beve e magari compare una strana figura
allegorica di sesso femminile (Ricchezza, Pace) con la
quale il nostro eroe, che ha nel frattempo riacquistato
una gagliarda virilità, celebra un’allegra ierogamia (altra bella parola da grecisti, significa: “accoppiamento
sacro tra esseri divini”). Il problema è risolto, la vita
continua, my heart will go on. La città è salva…almeno
fino alla prossima primavera, alle prossime commedie,
al prossimo ciclo.
16
Il Trickster. Il protagonista comico è l’evoluzione nelle
forme del genere letterario comico di una figura del
mito e del Folklore chiamata dagli studiosi Trickster (per
pigrizia accludo un copia-incolla da Santa Wikipedia).
Nella mitologia, nella religione e nello studio del folklore
il trickster (ingl. ingannatore) è un essere spirituale, uomo,
donna o animale antropomorfo, vorace, abile nell’imbroglio e caratterizzato da una condotta amorale, al di fuori
delle regole convenzionali. Nel folklore il personaggio
appare come uno scaltro mentitore che con poco lungimiranti sotterfugi riesce a uscire sano e salvo anche dalle
situazioni più ingarbugliate (delle quali spesso è artefice),
come nella maschera di Pulcinella o nell’Ifrit delle tradizioni arabo-islamiche. In questo differisce dal brigante,
poiché la sua attitudine raramente lo porta a notevoli guadagni o cambi radicali di vita; piuttosto le sue furbonerie
sono un contorto lasciapassare per la riuscita di piccoli
imbrogli, sia commerciali che sessuali, che spesso sfociano nella comicità. Il trickster, spesso un ladro o un folle, è colui che mette in moto cambiamenti imprevedibili
nelle storie. Non crea, ma concrea, dando alla creazione
aspetti imprevedibili, o, in alternativa, distrugge il mondo
conosciuto o l’ordine costituito, creandone uno differente
(vedi ad esempio Loki per la tradizione mitologica norrena; Prometeo per la cultura greca). Echi di questa figura si
ritrovano negli eroi aristofaneschi i quali appunto condividono con essa il potere di concreare, di plasmare la realtà
creandone una nuova secondo la loro volontà.
Questa può essere un’adeguata descrizione di Pistetero, il protagonista degli Uccelli e ho sottolineato il passo che, mi sembra, riassume il senso della commedia
arcaica ateniese.
Ho detto all’inizio che l’esperienza del V secolo è irripetuta. Meno di cent’anni dopo Aristofane la scena comica ateniese cambia completamente. Il nuovo autore
è Menandro. E le sue commedie parlano d’amore, di
sentimenti delicati, di finezza d’animo, comprensione,
bontà e buon gusto. E non contengono parolacce. E
non contengono più il rapporto con la città. Parlano di
individui. Il teatro occidentale seguirà la sua traccia.
Non quella di Aristofane. Il Trickster dovrà nascondersi
e apparire qua e là in modo strano e inaspettato. Vorrei
proporvi qualcuna delle sue manifestazioni.
Nella commedia di Shakespeare… pensate a Come vi
piace, al Mercante di Venezia alla Dodicesima notte.
Il mondo (degli uomini… maschi) rischia di andare in
malora fino a quando non appare una ragazza che lo
salva rinnovandolo. Ma per fare questo la ragazza deve
travestirsi, ingannare, cambiare sesso, fingere di essere un ragazzo. Rosalinda, Porzia, Viola non sono certo
brutali come Pistetero… ma sanno ingannare, sanno
prendere un giro la follia degli uomini apparentemente assennati. Nelle cosiddette commedie romantiche
dell’ultimo periodo, Il racconto d’inverno, La tempesta, la ragazza magica non avrà più bisogno di darsi da
fare, di inventare qualche inganno o magia per salvare
il mondo. Perdita entra in scena offrendo fiori a tutti,
e la terra morta grazie a lei riprende a generare lillà;
Miranda deve solo guardare le terra desolata in cui viviamo per trasformarla in un mondo nuovo popolato
da dei. La commedia di Shakespeare, come quella di
Aristofane, ci promette che il mondo non finirà.
Thomas Mann, studiando mitologia e storia delle religioni per la sua tetralogia biblica su Giuseppe e i suoi
fratelli, si innamora della figura del Trickster e da essa
crea il personaggio di Giuseppe. Ma questo non gli basta, e lo continua nel romanzo (che si porterà dietro
fino alla morte, lasciandolo incompiuto) Le confessioni
del cavaliere d’industria Felix Krull. Leggetelo!
E Lubitsch, il genio della commedia cinematografica?
In To be or not to be (Vogliamo vivere 1942) gli attori
del teatro Yiddish di Varsavia si travestono da nazisti, e
il loro capocomico da Hitler, per fuggire.
E che dire di Billy Wilder, che di Lubitsch fu sempre
devoto, e di A qualcuno piace caldo? Joe e Jerry hanno
un problema molto serio: salvare la pelle dalla banda
di Ghette. Per farlo inventano le meravigliose Josephine e Daphne. E in questo mondo alla rovescia, nel
quale i motoscafi vanno avanti solo a marcia indietro
e le agenzie di pompe funebri nascondono spacci di
alcool, i nostri eroi incontreranno la divina Marilyn e
il generoso milionario che ci insegna che “nessuno è
perfetto”.
Il più grande di tutti è uno strano personaggio che compare in un caldo tramonto primaverile in un parco di
Mosca. Dal suo modo di parlare si capisce che è straniero, ma nessuno riesce a definire di quale paese sia.
Il fatto che poche sere fa sia stato a cena con il famoso
filosofo Kant suona abbastanza inquietante. Scopriremo più avanti che si chiama Woland, e che è il diavolo… o meglio “una parte di quella forza che vuole
costantemente il Male e opera costantemente il bene”.
È un diavolo colto, ha studiato Kant e letto Goethe e
probabilmente molti altri autori, ma il suo hobby è la
magia. E ne darà gran prova al teatro del Varietà. Il romanzo è Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov.
Un libro molto pericoloso, come è sempre pericoloso
l’incontro con un trickster
L’ultimo trickster è Roberto Benigni. La vita è bella è
una commedia aristofanesca. Benigni è un trickster
con il più terribile dei problemi. Ma la sua invenzione,
la fede nella fantasia e nella vita, gli danno l’incredibile vittoria sulla morte. Aristofane non sapeva niente
di antropologia, non aveva studiato storia del teatro o
del folklore, in lui il mito parlava ancora direttamente; Benigni è un poeta colto e “studiato”, ed ha avuto
un’idea geniale: trasformare se stesso, non solo la sua
opera, in un trickster vivente. Il suo capolavoro è, forse, la camminata sulle teste del pubblico nella notte in
cui vinse l’Oscar.
Aldo Scarpis
17
I tre sguardi di Aristofane
negli Uccelli
Dalla polis reale alla polis ideale
«Vedendo ciò e vedendo quali uomini tenessero la
politica, quanto più consideravo le leggi e i costumi,
quanto più diventavo maturo, tanto più mi sembrò difficile amministrare gli affari di stato».
È questo il sentimento di frustrazione di Platone, quando decide di allontanarsi volontariamente da Atene
(Lettera VII). Dopo il trauma della condanna di Socrate
e di fronte alla crisi morale e politica di Atene, spera di
promuovere esperienze nuove in Sicilia: l’ideale d’uno
stato giusto fondato sull’educazione ove il bene del singolo sia organico al Bene universale e che tra teoria e
prassi non si diano fratture. Non è certo questo l’atteggiamento “speculativo” di Evelpide e di Pistetero, i protagonisti della commedia di Aristofane Gli uccelli. Anch’essi però avvertono il disagio del distacco e, anche
se dovranno lasciare il diritto di cittadinanza ateniese,
è forte il desiderio di una «città lanosa e morbida», accogliente e senza gli obblighi e le angherie economico-giuridiche della democrazia ateniese. La metafora
della “città degli uccelli” potrebbe essere vista come
l’aspirazione coerente con la diffusa teoria della conoscenza sofistica. In particolare, se secondo la celebre
formula di Protagora «l’uomo è misura [métron] di tutte
le cose» e se la materia è flusso in continua trasformazione, allora, forse, per meglio realizzare i personali
desideri e bisogni, è meglio che la specie umana si fornisca di un bel paio d’ali. Per guadagnarsi questo potenziamento, Pistetero sfodera tutti gli argomenti della
retorica della persuasione, prima con l’Upupa-Tereo,
un umano che ha già fatto il “salto” nel mondo dei
volatili, e poi, dopo grossi rischi, anche con gli uccelli
stessi. Da vero ateniese dei suoi tempi (V-IV secolo) è
esperto nella ricerca dell’utile, quel continuo compromesso tra demos e demagoghi su cui si regge la polis.
Tra gli esempi più famosi dell’incontro tra realpolitik e
retorica resta il Dialogo dei Meli di Tucidide (La guerra del Peloponneso). Sono queste le pagine che documentano come in nome della “necessità” storica, in
verità in nome del più forte, Atene cerchi di estinguere
la speranza dell’indipendenza della colonia ribelle. La
giustificazione di tale comportamento in politica estera
è fornita da Tucidide stesso; la spiegazione è racchiusa
nell’enigma di Atene; essa risulta governo di popolo e
dominio di signori. È questa la diagnosi che permette
18
di cogliere nello “sguardo” di Aristofane una capacità
antropologica, filtrata dal comico, nei personaggi delle
sue commedie.
Il primo sguardo, nella commedia Gli uccelli, è proprio
sulla stasis (guerra civile). Il “mondo di Atene”, fatto
coincidere con l’idea di democrazia, ha plasmato il
corso della storia europea. Un profondo conoscitore
della cultura classica come Luciano Canfora ironizzando anche su questo rivestimento di grecità, presente nel
preambolo alla Costituzione Europea, ripercorre la costruzione diacronica del mito di Atene lungo la storia
occidentale evidenziando come «in forma strisciante o
in forma aperta, per molte generazioni, la guerra civile
[tra i cittadini] era, nelle città greche lo “stato abituale”,
regolare, normale: si è nati, si vive, si morrà in essa».
Non è questa la sede per ripercorrere tutte le fasi della
storia d’Atene dalla vittoria sui Persiani alla caduta della polis, alla fine della guerra del Peloponneso. Tuttavia
va fatto un forte richiamo alla storica antichista Nicole
Loraux che ha saputo fornire una intelligente analisi del
conflitto “dentro la città” letto alla luce sia dell’antropologia sia della psicanalisi. Sempre al servizio dell’intuizione di Aristofane, riflessa negli Uccelli, la stasis
non va vista solo come l’avvicendamento, tutto umano, del confronto amico-nemico che attraversa la storia
della città greca. È la guerra della famiglia, sempre latente (che la tragedia ben riflette), divisione che passa
dai fratelli della stessa stirpe familiare (in greco oikos)
alla città. Questa sorprendente lettura della Loraux trova conferma nella antica presenza di due immagini di
storia nella struttura dello scudo di Achille nell’Iliade
di Omero. C’è una storia delle battaglie, gloriosa e necessaria anche all’economia cittadina e c’è la storia dei
riti religiosi, dei matrimoni e della insoddisfazione degli esclusi dalla società democratica: schiavi, donne e
stranieri. Come la “famiglia” così il “tiranno” è latente
in questo livello della storia della città greca.
Tornando agli Uccelli potremmo rintracciare un secondo “sguardo” di Aristofane sulla futura città dei volatili,
Nubicuculia, ed è la possibilità di una società secondo natura, dove basti avere le ali per profittare di ogni
genere di piacere in un sogno eudemonistico senza
regole. Non è questa la prospettiva dell’aristocratico
Aristofane che diffida, a buon diritto, del “comunismo”
dei beni e delle donne. È stato messo in crisi, nella versione paradossale, questo aspetto dell’Utopia di Platone, nella commedia Le donne in assemblea. Prassagora, l’eroina della commedia, secondo Luciano Canfora
non sarebbe altro che la “comandante filosofa”, figura
capovolta del filosofo reggitore della Repubblica di
Platone. L’utopia naturalistica è quindi oltrepassata dallo “sguardo” di Aristofane.
Nubicuculia, nell’orizzonte del terzo “sguardo” di
Aristofane negli Uccelli, dalla tensione paradigmatica
della guerra civile non può che sfociare nella severa
costruzione d’uno stato assoluto o Leviatano, alla Hobbes. Agamben, in un recente saggio in linea con il modello presentato da Loraux, collega le coppie populus /
multitudo dissoluta – civitas / status naturalis. La grecità,
in tale interpretazione, prefigura un pensiero moderno
e forse lo anticipa. Pistetero infatti nella commedia in
questione sposa Sovranità, sottraendo agli dei il dominio sul cosmo, pena la morte di fame degli dei stessi ai
quali lo stato degli uccelli sottrarrebbe i fumi dei sacrifici. E gli uccelli? Un grande banchetto soddisferà ogni
desiderio elementare e sancirà l’oblio (cancellazione
della memoria) delle offese anteriori alla nuova stirpe.
Ancora la Loraux sottolinea la operatività di una politica come “pratica dell’oblio” lungo la storia di Atene;
tra il 403 e il 400, dopo la caduta dei Trenta e dopo la
vittoria della parte democratica, quest’ultima, in nome
della pace, giurò di non vendicarsi dei torti subiti e al
posto di processi “vendicativi” promulgò un’amnistia
generale.
Una delle difficoltà della traduzione e della restituzione teatrale della lingua di Aristofane è l’intreccio tra la
comicità e il suo vocabolario. La composizione intraducibile insieme alla pratica paradossale delle vicende hanno spinto autori come Diego Lanza a servirsi di
un linguaggio “arlecchino”, o “idioma immaginario”,
come strada della conservazione di quel gioco di prestigio che è la commedia del grande autore greco. Anche Ettore Romagnoli, a suo tempo, aveva impiegato il
dialetto romanesco per la Lisistrata. Per quel che riguarda il lavoro dei nostri “giovanissimi” attori, abbiamo
scelto di lasciar trasparire e valorizzare le componenti
adolescenziali del temperamento individuale in uno
scambio che la Scuola si sforza di attivare tra presente
e passato, tra i classici e l’attualità, sul limite difficilissimo tra divulgazione e valore del documento.
Spero che i giovani abbiano compreso come Aristofane
sia stato un “maestro del sospetto” e un antropologo,
mescolandosi al suo demos, del quale conosce ogni
sfaccettatura, nel bene e nel male, e col quale costruisce un ponte con i nostri tempi. Lo storico Marc Bloch
disse che «è impossibile comprendere il passato senza
chinarsi sul presente». Forse può valere anche la variabile inversa, sempre nei limiti della tensione verso
l’oggettività storica.
Maria Luisa Caillaud
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Progetto grafico e impaginazione: Tommaso Poletto
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