Ci viveva la famiglia dei Belfiore: è diventata “Cascina Caccia”, sede
by user
Comments
Transcript
Ci viveva la famiglia dei Belfiore: è diventata “Cascina Caccia”, sede
28 Dossier ‘ndrangheta SAN SEBASTIANO PO Ci sono voluti undici anni per liberare il bene confiscato alla mafia. Ora è centro di incontro e confronto La casa del Boss, simbolo di legalità Ci viveva la famiglia dei Belfiore: è diventata “Cascina Caccia”, sede di Libera I DELITTI DELLA ‘NDRANGHETA NELL’OLTREPO’ In via Serra Alta 6, a San Sebastiano da Po, a due passi da Chivasso, sorge la “Cascina Bruno e Carla Caccia”. Questo casolare di mille metri quadrati, circondato da un ettaro di terreno coltivabile, è stato per lungo tempo un immobile della mafia. Di proprietà della famiglia Belfiore, che annovera alcuni suoi componenti nelle fila della criminalità organizzata torinese, è oggi un luogo restituito alla collettività. Domenico Belfiore, il capo famiglia, è stato condannato nel 1992 alla pena dell’ergastolo per essere il mandante dell’omicidio del procuratore Bruno Caccia. Chi era Bruno Caccia Nacque a Cuneo nel 1917. Iniziò la sua carriera in magistratura nel 1941 nel Palazzo di giustizia di Torino. Nel capoluogo piemontese ci rimase sino al 1964 ricoprendo la carica di Sostituto Procuratore, per poi passare ad Aosta come Procuratore della Repubblica. Nel 1967 Caccia ritornò nelle aule torinesi con l’incarico di sostituto Procuratore della Repubblica e, nel 1980, gli fu affidato il compito di presiedere l’organo giudiziario all’ombra della Mole. Era un uomo scrupoloso, attento ai dettagli, inflessibile, fedele al ruolo di tutore della legge. Diede un contributo di fondamentale importanza per contrastare la ferocia del terrorismo. Grazie alla sua opera, la Procura instituì i primi processi ai capi storici di Br e Prima linea. Il lavoro di Bruno Caccia in Procura fece vacillare le basi del dominio malavitoso imperante tra Torino e Provincia. Nel capoluogo piemontese era arrivato un vero uomo delle istituzioni che non si poteva corrompere. La malavita lo sapeva e decise di eliminarlo. Bruno Caccia venne freddato con diversi colpi di pistola sotto casa. Era il 26 giugno del 1983. In Italia un’altra vittima di mafia. LUGLIO 2003 Giuseppe Gioffrè freddato a San Mauro Nella foto d’archivio il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, simbolo della lotta alle mafie, con i ragazzi di Libera e l’allora sindaco del paese, Paola Cunetta, alla Cascina Caccia di via Serra Alta 6 a San Sebastiano OggiinviaSerraAlta6 siincontranoragazzi ditutteleetà:concineforum, dibattiti,camminatesi cercadinondimenticare... La confisca La misura di prevenzione patrimoniale, che ha permesso a questa struttura di essere confiscata, è stata emessa, nel 1996, a carico di Salvatore Belfiore, fratello di Domenico, con diversi reati alle spalle legati al 416 bis. Solo il 17 maggio 2007 questa struttura è stata liberata definitivamente dagli ultimi residenti, ma l’iter della sua confisca è iniziato 11 anni prima. Il bene, come spesso accade tra gli affiliati delle cosche, era stato intestato ad un soggetto non legato agli affari illeciti della famiglia, in questo caso ad un fratello incensurato. La confisca definitiva dell’immobile è stata effettuata 3 anni dopo, nel dicembre del 1999. Solo nel 2005, il bene, (da 2 anni di proprietà del comune di San Sebastiano da Po) per volontà dell’amministrazione guidata dall’allora sindaco Paola Cunetta, viene destinato, per la sua riutilizzazione a fini sociali, al Gruppo Abele. Due anni dopo, gli ultimi inquilini della casa, hanno lasciato definitiva- Stefano Alvaro, l’omicida Giuseppe Gioffrè, la vittima Era una domenica estiva del 2003 quando in un parco di San Mauro si consumava un regolamento di conti dalle modalità indubbiamente mafiose. Il pensionato Fiat Giuseppe Gioffré, esule dalla Calabria, veniva raggiunto nei pressi di una panchina e freddato non appena il killer si fu accertato della sua identità. Una vendetta attesa quarant’anni, da quando cioé nel 1964 Giuseppe Gioffrè uccise i suoi rivali Antonio Alvaro e Antonio Dalmato nella cosidetta “strage di Sant’Eufemia”. Poi la fuga di Gioffrè. Al nord. A San Mauro. Finché, appunto, la ‘ndrangheta non lo trova. E lo fredda. Viene arrestato il giovane Stefano Alvaro, appena 25 anni, rampollo di una cosca considerata vicina alla criminalità organizzata calabrese. Un processo lungo quello ad Alvaro, condannato a 25 anni di carcere. Bruno Caccia Don Luigi Ciotti alla Cascina Caccia mente la struttura. Con l’insediamento di quattro residenti e con la collaborazione di Acmos e Libera, l’avventura di “Cascina Bruno e Carla Caccia”, ha avuto ufficialmente inizio. I progetti La Cascina si propone di sviluppare alcuni progetti volti al coinvolgimento del territorio e di chiunque desideri avvicinarsi a questa realtà. L’obiettivo dei nuovi residenti è quello di trasformare la casa in luogo dove bambini, ragazzi e adulti possano formarsi su temi quali l’educazione alla legalità e alla cittadinanza, al consumo responsabile, alla sostenibilità ambientale, ecc... A questo fine si organizzano gite, incontri, seminari, cineforum. La cascina è dotata di circa un ettaro di terreno coltivato dove c’è la possibilità di produrre “valore economico”. “Renderci auto-sufficienti dal punto di vista alimentare - scrivono i ragazzi di Libera sul sito internet della Cascina - e coltivare un prodotto d’eccellenza a marchio Libera Terra, rappresenta la risposta di mercato al sistema malavitoso per anni vivo in questo luogo”. Il viaggio Tra le ultime iniziative partite da San Sebastiano, va ricordata senz’altro la “carovana di memoria e di impegno quotidiano” che ha percorso tremila chilometri in cinque giorni, attraverso i luoghi simbolo dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Due pulmini - di cui uno messo a disposizione dalla Provincia di Torino - e varie auto dei ragazzi di Libera si sono dirette verso Roma dove è stata ricordata Rita Atria, la diciassettenne siciliana che si uccise dopo aver collaborato con Borsellino. Poi la carovana ha fatto tappa a Milazzo (Messina), dove Rita Atria è stata ricordata con una messa da don Luigi Ciotti. E ancora Cisterna di Latina (Latina), Polistena (Reggio Calabria), Isola Capo Rizzuto (Crotone) fino a Castel Volturno (Caserta). “Un viaggio - dice Davide Mattiello, dell'ufficio di presidenza di Libera - che è come un colpo di evidenziatore su questioni che oggi vengono a galla sempre più pesantemente, come la ricerca di una verità storica sulla stagione '92-'93. Ma anche sul tema del lavoro, senza il quale non c'é libertà”. Nella foto a lato i rilievi sulla scena del delitto del procuratore Bruno Caccia, assassinato da Domenico Belfiore, poi condannato alla pena dell’ergastolo. FEBBRAIO 2007 Rocco Femia ucciso a Bardassano di Gassino Quel che resta della vecchia Fiat Uno bruciata insieme a Rocco Femia Si chiamava Rocco Femia, 53 anni, nato e residente a Gioiosa Jonica in via Fragastò 3. Da almeno due anni era fuggito dalla Calabria, braccato da rivali determinati a vendicare uno sgarbo ancora misterioso. Unico segno particolare, quello che sembra il resto di un tatuaggio sul torace. Niente altro. Il cadavere trovato a Bardassano, all´interno di una vecchia Fiat Uno rubata, è un mistero. Quasi completamente carbonizzato, niente più braccia né gambe, faccia distrutta, impronte inutilizzabili. DICEMBRE 2008 Giuseppe Femia massacrato a Gassino Lo hanno massacrato a martellate, fino a spaccargli il cranio. E’ stato ucciso così Giuseppe Femia, artigiano edile di 48 anni, residente a Gioiosa Ionica ma domiciliato da alcuni anni a Gassino. Era cugino del boss della ’ndrangheta Rocco Femia. Sposato da tempo, era solito allontanarsi dalla famiglia - tutti i suoi parenti vivono a Gioiosa Ionica -, per lunghi periodi di lavoro al Nord. Prestava la sua opera presso la ditta edile Cirillo a Chivasso.