86 Determinazione in altri dello stato d`incapacità, allo scopo di far
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86 Determinazione in altri dello stato d`incapacità, allo scopo di far
Art. 86 LIBRO I - DEI REATI IN GENERALE 86 Determinazione in altri dello stato d’incapacità, allo scopo di far commettere un reato. Se taluno mette altri nello stato d’incapacità d’intendere o di volere, al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato d’incapacità (613, 728). • La suggestione ipnotica, come causa eventualmente determinante l’incapacità di intendere o di volere, non è incompatibile col vizio parziale di mente; ché anzi, in tali condizioni patologiche, l’influsso soggettivo può considerarsi di più agevole ricezione da parte del soggetto. * Cass. pen., 16 aprile 1953, Mazzoli. La suggestione poiché i suoi effetti incidono sulla capacità di intendere e di volere potendone alterare od escludere la efficienza si inquadra nel più lato concetto di infermità mentale, in quanto tale espressione, usata dagli artt. 88 e 89 c.p., va intesa come qualsiasi condizione patologica, anche transitoria, clinicamente valutabile, che si concreti in una sintomatologia psichica tale da escludere totalmente la capacità di intendere e di volere ovvero da scemarla grandemente. La suggestione presenta una estesa gamma quantitativa e qualitativa di effetti sulla psiche dell’individuo, nel senso che il suggestionato, pur avendo agito sotto la forza psichica della volontà altrui, può aver mantenuto coscienza e volontà autonoma (al più appena insensibilmente intaccata) sì da dover essere considerato imputabile, ovvero può aver agito con capacità d’intendere e di volere totalmente soppressa, sì da dover essere considerato non imputabile, ovvero, come stadi intermedi tra tali due ipotesi estreme, la sua capacità di intendere e di volere, può essere stata, più o meno notevolmente intaccata. * Cass. pen., sez. I, 30 aprile 1974, Andreucci. • 87 Stato preordinato d’incapacità d’intendere o di volere. La disposizione della prima parte dell’articolo 85 non si applica a chi si è messo in stato d’incapacità d’intendere o di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa (922, 111). 88 Vizio totale di mente. Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere o di volere (222). ❖ Si veda anche il commento sub artt. 85 e 89. SOMMARIO: a) Nozione di infermità; b) Accertamento; c) Conclusioni divergenti dei periti; d) In genere. a) Nozione di infermità. • Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i «disturbi della personali- COMCP03 patrizia 390 tà», che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di «infermità», purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di «infermità». (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva erroneamente escluso il vizio parziale di mente sul rilievo che il disturbo paranoideo, dal quale, secondo le indicazioni della perizia psichiatrica, risultava affetto l’autore dell’omicidio, non rientrava tra le alterazioni patologiche clinicamente accertabili, corrispondenti al quadro di una determinata malattia psichica, per cui, in quanto semplice «disturbo della personalità», non integrava quella nozione di «infermità» presa in considerazione dal codice penale). * Cass. pen., Sezioni Unite, 8 marzo 2005, n. 9163 (ud. 25 gennaio 2005), Raso. [RV230317] Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, il disturbo della personalità, di consistenza, intensità e gravità, tale da incidere sulla capacità di intendere e volere, a differenza delle anomalie del carattere, può essere preso in esame anche se non rientrante nel concetto di infermità mentale quando si traduca in uno status patologico in grado di escludere o scemare grandemente la capacità. Tale può essere anche uno stato emotivo e passionale, dovuto allo stress conseguente alla crisi del rapporto coniugale, che determini una compromissione della capacità di volere e si associ ad uno status patologico anche se di natura transeunte. * Cass. pen., sez. I, 12 gennaio 2006, n. 1038 (ud. 22 novembre 2005), Volontè ed altro. [RV233278] Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, il disturbo della personalità, di consistenza, intensità e gravità, tale da incidere sulla capacità di intendere e volere, a differenza delle anomalie del carattere, può essere preso in esame anche se non rientrante nel concetto di infermità mentale quando si traduca in uno status patologico in grado di escludere o scemare grandemente la capacità. Tale può essere anche uno stato emotivo e passionale, dovuto allo stress conseguente alla crisi del rapporto coniugale, che determini una compromissione della capacità di volere e si associ ad uno status patologico anche se di natura transeunte. * Cass. pen., sez. I, 12 gennaio 2006, n. 1038 (ud. 22 novembre 2005), Volontè ed altro. [RV233278] L’infermità mentale di cui agli artt. 88 e 89 c.p. è concetto più ampio rispetto a quello di «ma- • • • 391 TITOLO IV - DEL REO E DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO lattia mentale» potendo in essa rientrare anche i disturbi della personalità che per consistenza, rilevanza e gravità siano tali da incidere concretamente sulla capacità d’intendere e di volere, proponendosi, quindi, come causa idonea ad escluderla o grandemente scemarla. Al fine di non allargare eccessivamente il campo della non imputabilità, deve trattarsi di un disturbo idoneo a determinare (e che abbia, in effetti, determinato) una situazione di assetto psichico incontrollabile ed ingestibile (totalmente o in grave misura) che, incolpevolmente, rende l’agente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di conseguentemente indirizzarli, di percepire il disvalore sociale del fatto, di autonomamente e liberamente autodeterminarsi, e, inoltre, deve essere individuabile un nesso eziologico tra il disturbo mentale ed il fatto-reato che consenta di ritenere il secondo causalmente determinato dal primo. * Cass. pen., sez. I, 3 maggio 2005, n. 16574 (ud. 31 marzo 2005), A.G., in Riv. pen. 2005, 1073. Il concetto di infermità mentale recepito dal nostro codice penale è più ampio rispetto a quello di malattia mentale, di guisa che, non essendo tutte le malattie di mente inquadrate nella classificazione scientifica delle infermità, nella categoria dei malati di mente potrebbero rientrare anche dei soggetti affetti da nevrosi e psicopatie, nel caso che queste si manifestino con elevato grado di intesità e con forme più complesse tanto da integrare gli estremi di una vera e propria psicosi. In tal caso − al fine della esclusione o della riduzione della imputabilità − è, comunque, necessario accertare l’esistenza di un effettivo rapporto tra il complesso delle anomalie psichiche effettivamente riscontrate nel singolo soggetto e il determinismo dell’azione delittuosa da lui commessa, chiarendo se tale complesso di anomalie psichiche, al quale viene riconosciuto il valore di malattia, abbia avuto un rapporto motivante con il fatto delittuoso commesso. * Cass. pen., sez. I, 24 aprile 2003, n. 19532 (ud. 9 aprile 2003), De Nardo e altro. [RV224809] In tema di imputabilità, il «disturbo antisociale della personalità» può rientrare nella nozione di infermità e può incidere, escludendola o scemandola grandemente, sulla capacità di intendere o di volere. Quest’ultima può assumere rilevanza autonoma anche in presenza di accertata capacità di comprendere il disvalore sociale della azione delittuosa, solo quando gli impulsi della azione, pur riconosciuta come riprovevole dall’agente, siano tali da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze. (Fattispecie nella quale l’imputato di furto di una autovettura aveva dedotto di essere affetto da un disturbo della personalità che lo induceva a compiere furti nei cimiteri. I giudici di merito lo avevano condannato escludendo la rilevanza della pur ipotizzabile incapacità di volere e la Corte ha ritenuto tale motivazione non contraddittoria, osservando che la esistenza di un impulso non può essere considerata come causa da sola sufficiente a • • Art. 88 determinare un’azione incoerente con il sistema di valori di chi la compie, essendo onere dell’interessato dimostrare il carattere cogente, nel singolo caso, dell’impulso stesso). * Cass. pen., sez. V, 8 marzo 2006, n. 8282 (ud. 9 febbraio 2006), Scarpinato. [RV233228] In tema di imputabilità, le anomalie caratteriali e le disarmonie della personalità, le quali non sono conseguenti ad uno stato patologico ma si collegano ad uno sviluppo mentale non molto progredito, non eliminano, né diminuiscono la capacità di rappresentazione e di autodeterminazione e quindi non hanno alcuna incidenza sulla imputabilità. * Cass. pen., sez. III, 23 maggio 2003, n. 22834 (ud. 25 marzo 2003), Simone. [RV225231] In tema di imputabilità, la malattia di mente rilevante per la sua esclusione o riduzione è solo quella medico-legale, dipendente da uno stato patologico serio che comporti una degenerazione della sfera intellettiva o volitiva dell’agente. Ne consegue che la capacità di intendere e di volere non è esclusa dal fatto che il soggetto sia affetto non da infermità mentale in senso patologico, ma solo da anomalie psichiche o da disturbi della personalità. * Cass. pen., sez. I, 9 aprile 2004, n. 16940 (ud. 25 marzo 2004), Egger. [RV227926] L’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, esprimono concetti diversi ed operano anche su piani diversi, sebbene la prima, quale componente naturalistica della responsabilità, debba essere accertata con priorità rispetto alla seconda (in applicazione di tale principio la Corte ha annullato con rinvio la sentenza con la quale i giudici di merito avevano escluso la sussistenza dell’elemento psicologico del reato di calunnia, facendo riferimento a elementi che riguardavano l’imputabilità ed il vizio totale e parziale di mente). * Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2003, n. 16260 (ud. 10 marzo 2003), P.G. in proc. Cesarano. [RV225645] In tema di imputabilità, le anomalie che influiscono sulla capacità di intendere e di volere sono le malattie mentali in senso stretto, cioè le insufficienze celebrali originarie e quelle derivanti da conseguenze stabilizzate di danni cerebrali di varia natura, nonché le psicosi acute o croniche, contraddistinte, queste ultime, da un complesso di fenomeni psichici che differiscono da quelli tipici di uno stato di normalità per qualità e non per quantità. Ne consegue che esula dalla nozione di infermità mentale il gruppo delle cosiddette abnormità psichiche, come le nevrosi e le psicopatie, che non sono indicative di uno stato morboso e si sostanziano in anamalie del carattere non rilevanti ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p., in quanto hanno natura transeunte, si riferiscono alla sfera psicointellettiva e volitiva e costituiscono il naturale portato di stati emotivi e passionali. * Cass. pen., sez. VI, 5 giugno 2003, n. 24614 (ud. 7 aprile 2003), Spagnoli. [RV225560] • • • • COMCP03 patrizia Art. 88 LIBRO I - DEI REATI IN GENERALE Perché un minore di età sia riconosciuto − ai sensi del combinato disposto degli artt. 85, 88, 89 e 90 c.p. − incapace di intendere e di volere al momento della commissione del reato, è necessario l’accertamento di un’infermità di natura ed intensità tali da compromettere, in tutto od in parte, i processi conoscitivi, valutativi e volitivi del soggetto, eliminando od attenuando grandemente la capacità di percepire il disvalore sociale del fatto e di autodeterminarsi autonomamente. Pertanto, specifiche condizioni socio-ambientali e familiari nelle quali il minore sia eventualmente vissuto, particolarmente dolorose e laceranti, se pure possono aver avuto influenza negativa sul soggetto, inficiando le potenzialità di valutazione critica della propria condotta e agevolando il processo psicologico di “autolegittimazione” del crimine, non hanno, per ciò solo, compromesso la capacità del minore di rendersi conto del significato delle proprie azioni e di volizione delle stesse e quindi non rappresentano una forma di patologia mentale legittimante un giudizio di non imputabilità. * Cass. pen., sez. VI, 28 luglio 2003, n. 31753 (ud. 27 maggio 2003), Maddaloni. [RV226281] Gli stati emotivi o passionali, per loro stessa natura, sono tali da incidere, in modo più o meno massiccio, sulla lucidità mentale del soggetto agente senza che ciò, tuttavia, per espressa disposizione di legge, possa escludere o diminuire l’imputabilità, occorrendo a tal fine un quid pluris che, associato allo stato emotivo o passionale, si traduca in un fattore determinante un vero e proprio stato patologico, sia pure in natura transeunte e non inquadrabile nell’ambito di una precisa classificazione nosografica. L’esistenza o meno di detto fattore va accertata sulla base degli apporti della scienza psichiatrica la quale, tuttavia, nella vigenza dell’attuale quadro normativo e nella sua funzione di supporto alla decisione giudiziaria, non potrà mai spingersi al punto di attribuire carattere di “infermità” (come tale rilevante, ai sensi degli artt. 88 e 89 c.p., ai fini della esclusione e della riduzione della capacità d’intendere e di volere), ad alterazioni transeunti della sfera psico-intellettiva e volitiva che costituiscano il naturale portato degli stati emotivi o passionali di cui si sia riconosciuta l’esistenza. * Cass. pen., sez. I, 27 gennaio 1998, n. 967 (ud. 5 dicembre 1997), Giordano. Conforme, Cass. pen., sez. VI, 21 maggio 2004, n. 23737, Martelli. [RV209382] In tema di imputabilità, gli artt. 88 e 89 c.p. postulano una infermità di tale natura e intensità da compromettere seriamente i processi conoscitivi e volitivi della persona, eliminando o attenuando la capacità della medesima di rendersi conto del significato delle proprie azioni e di comprenderne, quindi, il disvalore sociale, nonché di determinarsi in modo autonomo. Le infermità che influiscono sulla imputabilità sono le malattie mentali in senso stretto, cioè le insufficienze cerebrali originarie e quelle derivanti da conseguenze stabilizzate di danni cere- • • • COMCP03 patrizia 392 brali di varia natura, nonché le psicosi acute o croniche. Queste ultime sono contraddistinte da un complesso di fenomeni psichici che differiscono da quelli tipici di uno stato di normalità per qualità e non per quantità, come accade invece per il vasto gruppo delle «abnormità psichiche», quali le nevrosi e le psicopatie, che non sono indicative di uno stato morboso e si sostanziano in anomalie del carattere o della sfera affettiva, non rilevanti ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p. Ne consegue che, quando a causa di una situazione conflittuale dovuta a particolari tensioni psichiche si determini un’accentuazione di alcuni tratti del carattere del soggetto, inducendolo, come avviene nelle reazioni «a corto circuito», a tenere una condotta animale, non si può certamente parlare di malattia di mente, sicché la disposizione cui occorre riferirsi è quella di cui all’art. 90 c.p. * Cass. pen., sez. I, 13 maggio 1993, n. 4954 (ud. 3 marzo 1993), Zannoni. Conforme, Cass. pen., sez. I, 17 giugno 1997, n. 5885, Ortolina. Il vizio di mente, totale o parziale, che esclude totalmente ovvero scema grandemente soltanto, la capacità di intendere e di volere, deve essere dovuto ad una «infermità» che non si identifica, però, necessariamente con la infermità mentale, dato che nel concetto di «infermità» possono essere comprese anche infermità aventi origine fisica o, comunque, organica. Pertanto, dovendo sempre dipendere da una infermità così intesa, il vizio di mente di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen. deve essere direttamente o indirettamente collegabile ad uno stato patologico. L’accertamento e la valutazione di un tale stato patologico prima, quale possibile causa del vizio di mente, e della sua incidenza, poi, sulla capacità di intendere e di volere, costituiscono quindi, i passaggi logici cui il giudice di merito è obbligato allorquando è posto davanti alla necessità o meno di un’indagine sullo stato di mente dello imputato. * Cass. pen., sez. I, 1 ottobre 1988, n. 9612 (ud. 21 dicembre 1987), Scatizzi. L’infermità mentale ex artt. 88 e 89 c.p. presuppone l’esistenza di un vero e proprio stato patologico idoneo ad alterare i processi dell’intelligenza e della volontà con esclusione o notevole diminuzione della capacità di intendere e di volere, sicché esulano da tale nozione sia le anomalie caratteriali non conseguenti ad uno stato patologico, sia uno sviluppo intellettuale non molto progredito, in assenza di fattori patologici. * Cass. pen., sez. I, 30 aprile 1990, n. 6234 (ud. 1 luglio 1989), Corsaro. Gli artt. 88 e 89 del codice penale che disciplinano, rispettivamente, l’infermità totale o parziale di mente, come cause che escludono o diminuiscono notevolmente l’imputabilità, ossia la capacità di intendere e di volere, postulano − secondo il sistema accolto dal codice − l’esistenza di una vera e propria malattia mentale, ossia di uno stato patologico, comprensivo delle malattie (fisiche e mentali), in senso stretto, che incidono sui processi volitivi e intellettivi della persona o delle anomalie psichiche, • • • 393 TITOLO IV - DEL REO E DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO che seppure non classificabili, secondo precisi schemi nosografici, perché sprovvisti di una sicura base organica, siano tali, per la loro intensità da escludere totalmente o scemare grandemente la capacità di intendere (ossia la capacità del soggetto di rendersi conto del valore delle proprie azioni, e, quindi ad apprenderne il disvalore sociale) e di volere (ossia l’attitudine del soggetto ad autodeterminarsi in relazione ai normali impulsi che ne motivano l’azione e, comunque, in modo coerente con le rappresentazioni apprese) del colpevole. * Cass. pen., sez. I, 24 aprile 1991 (c.c. 25 febbraio 1991, n. 958), La Placa. Conforme, Cass. pen., sez. I, 4 luglio 1996, n. 854, Zanatta. L’infermità di mente, che esclude o diminuisce la imputabilità, deve sempre dipendere da una causa patologica, produttiva di alterazione dei processi volitivi o intellettivi. La sindrome ansiosa depressiva, invece, in quanto si innesta su una ipermotiva personalità di base, e in quanto è determinata da una esasperazione del rapporto del soggetto con l’ambiente, non è associabile ad alcuna entità nosologica. * Cass. pen., sez. I, 15 novembre 1988, n. 11061 (ud. 29 febbraio 1988), Iannone. La nozione giuridica di «infermità» rilevante ai fini dell’esclusione della capacità di intendere e di volere deve ritenersi compiutamente integrata nell’ipotesi di accertata «malattia di mente» in senso medico-legale − con tale espressione facendosi riferimento a quelle alterazioni psichiche che la scienza psichiatrica definisce «psicosi» e che prendono vita da processi morbosi somatici, siano essi noti, come nelle cosiddette «psicosi organiche», ovvero tuttora ignoti o perlomeno non dimostrati con sicurezza, ma comunque postulati, come nelle cosiddette «psicosi endogene» (schizofrenie e distimie), alle prime assimilate in relazione al quadro psicopatologico ed alle caratteristiche nosografiche che presentano − sì che i «malati di mente» sono tutti, quasi senza eccezione, non imputabili. Accanto a questo gruppo di affezioni mentali, ed ai limiti della «salute mentale» (secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità), esiste un vasto raggruppamento di soggetti che la scienza psichiatrica riconduce nella categoria degli «abnormi psichici» − designati per lo più con le espressioni di «nevrotici» o di «psicopatici» − che non integrano il concetto di «malati di mente» in senso medico-legale e le cui anomalie, pur rientrando certamente nel concetto giuridico di «infermità», non sono necessariamente dotate di quell’intensità richiesta dalla legge per la sussistenza almeno del vizio parziale di mente. Ciò tuttavia non esclude che a tali infermità − specie nei loro gradi estremi o nelle loro forme più complesse − non possa essere riconosciuto «valore di malattia», tenuto conto dell’effettivo rapporto tra il tipo di abnormità psichica effettivamente riscontrata nel singolo soggetto ed il determinismo dell’azione delittuosa da lui commessa. A tal fine è necessario anzitutto chiarire se quell’infermità abbia avuto un rapporto motivante con il fatto delit- • • Art. 88 tuoso commesso e quindi stabilire − in caso di risposta positiva a tale quesito − se la stessa sia tale da far fondatamente ritenere che quel soggetto, in relazione al fatto compiuto, o non fosse proprio in grado di rendersi conto dell’illiceità del fatto e di comportarsi in conformità a questa consapevolezza (ipotesi che non può essere esclusa a priori, anche se statisticamente rara), ovvero avesse al riguardo una capacità grandemente scemata. * Cass. pen., sez. I, 24 maggio 1986, n. 4103 (ud. 24 febbraio 1986), Ragno. Conforme, Cass. pen., sez. I, 3 marzo 1987, n. 2641, Corbatto. Il concetto di infermità mentale recepito dal nostro codice penale è più ampio rispetto a quello di malattia mentale, di guisa che, non essendo tutte le malattie di mente inquadrate nella classificazione scientifica delle infermità, nella categoria dei malati di mente potrebbero rientrare anche dei soggetti affetti da nevrosi e psicopatie, nel caso che queste si manifestino con elevato grado di intensità e con forme più complesse tanto da integrare gli estremi di una vera e propria psicosi. In tal caso − al fine della esclusione o della riduzione della imputabilità − è, comunque, necessario accertare l’esistenza di un effettivo rapporto tra il complesso delle anomalie psichiche effettivamente riscontrate nel singolo soggetto e il determinismo dell’azione delittuosa da lui commessa, chiarendo se tale complesso di anomalie psichiche, al quale viene riconosciuto il valore di malattia, abbia avuto un rapporto motivante con il fatto delittuoso commesso. * Cass. pen., sez. I, 16 aprile 1997, n. 3536 (ud. 4 marzo 1997), P.M. in proc. Chiatti. [RV207228] Non esiste incompatibilità logico-giuridica tra due sentenze, emesse nei confronti dello stesso imputato per fatti diversi, commessi in tempi diversi, delle quali una lo ritenga incapace e l’altra invece capace (ovvero di capacità grandemente scemata) perché l’infermità mentale può non costituire uno status permanente dell’individuo e l’accertamento delle condizioni mentali, ai fini dell’imputabilità, dev’essere effettuato in relazione al momento in cui il reato venne commesso. * Cass. pen., sez. I, 22 febbraio 1989, n. 2883 (ud. 24 gennaio 1989), Panfilla. Qualunque condizione morbosa, anche se difficilmente caratterizzabile sul piano clinico, può integrare il vizio di mente sempre che presenti connotazioni tali da escludere o diminuire le normali capacità intellettive e volitive. * Cass. pen., sez. I, 8 aprile 1986, n. 2782 (ud. 13 gennaio 1986), Spanò. L’infermità mentale ex artt. 88 e 89 c.p. deve dipendere da una causa patologica, e quindi esulano da essa quelle anomalie caratteriali o altre anormalità che, pur afferendo al processo psichico di determinazione e di inibizione, non si pongono come condizioni di alterazione della capacità d’intendere e di volere, intesa quest’ultima quale attitudine del soggetto a valutare il significato della propria condotta, autodeterminandosi nella selezione dei molteplici motivi o moventi. (Nella specie, sulla • • • • COMCP03 patrizia Art. 88 LIBRO I - DEI REATI IN GENERALE base dell’enunciato principio, si è precisato che la frenastenia costituisce una semplice fragilità mentale dovuta ad allentamento dei freni inibitori). * Cass. pen., sez. I, 8 novembre 1983, n. 9287 (ud. 9 giugno 1983), Marinelli. Ai fini dell’accertamento sulla sussistenza o non del vizio di mente, i singoli reperti che costituiscono la base comune del giudizio metodologicoclinico vanno considerati non singolarmente bensì globalmente, perché solo dalla molteplicità e complessità dei fattori patogeni può delinearsi un determinato quadro sindromico di anormalità mentale. (Nella specie la Cassazione ha ritenuto esatta la motivazione dei giudizi di merito che avevano ritenuto sussistere il vizio parziale di mente in un soggetto il cui quadro sindromico di anormalità mentale era stato in concreto individuato nell’esistenza di una insufficienza mentale nella quale si erano inseriti, esaltandola, altri fattori patologici che avevano operato una circoscrizione grave della sfera volitiva nell’ambito di una regressione psichica). * Cass. pen., sez. I, 2 novembre 1978, n. 13466 (ud. 20 ottobre 1978), Vinci. In tema di imputabilità, in mancanza di una infermità o malattia mentale, o comunque di una alterazione anatomico-funzionale della sfera psichica, le alterazioni di tipo caratteriale ed i connessi disturbi della personalità non acquistano rilievo per escludere o ridurre l’imputabilità: l’eventuale difetto di capacità intellettiva e/o volitiva che ne deriva rimane priva di rilevanza giuridica. * Cass. pen., sez. V, 27 gennaio 1998, n. 1078 (ud. 19 novembre 1997), Paesani. Conforme, Cass. pen., sez. I, 17 novembre 1997, n. 10422, Baldini. [RV209681] In tema di circolazione stradale e di responsabilità del conducente di autoveicolo, il malore del guidatore repentinamente ed improvvisamente insorto è pur sempre una infermità, ovvero uno stato morboso, ancorchè transitorio, ascrivibile alla previsione di cui all’art. 88 c.p.: esso non incide sulla potenzialità intellettiva e volitiva del soggetto, ma, con la perdita o il grave perturbamento della coscienza, spezza il collegamento tra il comportamento del soggetto medesimo e le funzioni psichiche che allo stesso presiedono, determinando così movimenti o stati di inerzia corporei inconsapevoli ed automatici, cioè privi dei caratteri tipici della condotta, secondo lo schema dell’art. 42 c.p.. Ne consegue che il malore improvviso non è ascrivibile alla categoria del caso fortuito, di cui all’art. 45 c.p., giacchè questo presuppone pur sempre un’azione umana cosciente e volontaria, mentre il malore improvviso esclude tali connotazioni di coscienza e volontarietà, non realizzando così quelle condizioni minime che l’art. 42 c.p. richiede perchè un fatto umano, astrattamente costitutivo di reato, divenga penalmente rilevante. Ne consegue che una volta dedotta la circostanza, il giudice deve valutare la configurabilità o meno della capacità di intendere e di volere dell’imputato che la eccepisce. * Cass. • • • COMCP03 patrizia 394 pen., sez. IV, 29 luglio 2004, n. 32931 (ud. 20 maggio 2004), Oddo. [RV229081] In tema di omicidio colposo determinato dalla perdita di controllo di un autoveicolo, qualora venga prospettata dall’imputato la tesi difensiva del malore improvviso − da inquadrarsi nella nozione di infermità incidente sulla capacità intellettiva e volitiva del soggetto come prevista dall’art. 88 c.p. e non all’ipotesi di caso fortuito di cui all’art. 45 stesso codice − il giudice di merito può correttamente disattenderla in assenza di elementi concreti capaci di renderla plausibile (ad esempio l’età o le condizioni psico-fisiche dell’imputato) ed in presenza, peraltro, di elementi idonei a far ritenere che la perdita di controllo del veicolo sia stata determinata da un altro fattore non imprevedibile, quale un improvviso colpo di sonno dovuto ad uno stato di spossatezza per lunga veglia, che avrebbe dovuto indurre il conducente a desistere dalla guida. (La Corte ha ritenuto congrua la motivazione del giudice di merito che, rifiutando la prospettazione dell’imputato − un improvviso e imprevedibile capogiro gli avrebbe fatto perdere il controllo dell’autovettura − ha invece ritenuto provato come causa dell’incidente un colpo di sonno dovuto alla stanchezza nonostante la quale, imprudentemente, l’imputato si era posto alla guida). * Cass. pen., sez. IV, 29 luglio 2004, n. 32931 (ud. 20 maggio 2004), Oddo. [RV229082] • b) Accertamento. • L ’infermità mentale non costituisce uno stato permanente ma va accertata in relazione alla commissione di ciascun reato; essa non può essere ritenuta sulla sola base di un precedente proscioglimento dell’imputato per totale incapacità di intendere e di volere. * Cass. pen., sez. VI, 2 dicembre 1997, n. 3843 (c.c. 7 ottobre 1997), Giordano G. [RV209080] Stabilire se un soggetto, nei singoli casi, sia nel momento del fatto privo di capacità di intendere e di volere, ovvero abbia la stessa grandemente scemata ovvero lo stabilire se trattasi di soggetto con personalità anormale, costituisce una questione di fatto il cui esame compete istituzionalmente al giudice di merito. Costui deve avvalersi dell’ausilio di perizia psichiatrica ed il suo giudizio si rende insindacabile in sede di legittimità quando si riveli esaurientemente motivato, anche con il solo richiamo alle conclusioni e valutazioni della perizia. * Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 1989, n. 723 (ud. 2 aprile 1988), Cacciarru. L’accertamento sull’infermità di mente dell’imputato va compiuto in relazione al fatto concreto addebitato ed al tempo in cui il fatto medesimo è stato commesso. L’indagine già esperita in altro processo non è pertanto mai vincolante nel successivo giudizio, poiché la malattia precedentemente diagnosticata può successivamente essere guarita o scemata o localizzata ad una determinata sfera • • 395 TITOLO IV - DEL REO E DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO d’attività. * Cass. pen., sez. II, 24 aprile 1982, n. 4385 (ud. 29 gennaio 1982), Michelotto. Per la sussistenza del vizio di mente non è sufficiente che il giudice riconduca l’azione dell’imputato sotto un modello di infermità apoditticamente affermata, ma è necessario, invece, che lo stesso indichi i dati anamnesici, clinici, comportamentali o sorgenti dalle stesse modalità del fatto, rivelatori dell’asserito quadro morboso. (Nella specie è stata ritenuta viziata da motivazione apparente la stessa che − dopo aver affermato che il soggetto era affetto da sindrome paranoide, recependo la realtà in maniera distorta proprio a causa della sua personalità morbosa, causa vera della sua azione, solo occasionalmente determinata dalla realtà a lui esterna − gli aveva concesso la diminuente del vizio parziale di mente, riconducendo la sua azione al modello indicato, pur in assenza di dati anamnesici, clinici, comportamentali o sorgenti dalle stesse modalità del fatto, rivelatori dell’asserito quadro morboso). * Cass. pen., sez. I, 22 novembre 1982, n. 11108 (ud. 25 maggio 1982), Modica. • c) Conclusioni divergenti dei periti. • Allorché le conclusioni degli esperti che han- no ricevuto incarico di eseguire perizia psichiatrica sull’imputato (nella specie, in differenti gradi del giudizio) siano insanabilmente divergenti, il controllo di legittimità sulla motivazione del provvedimento concernente la capacità di intendere e di volere deve necessariamente riguardare i criteri che hanno determinato la scelta tra le opposte tesi scientifiche: il che equivale a verificare se il giudice del merito abbia dato congrua ragione della scelta e si sia soffermato sulle tesi che ha creduto di non dovere seguire e se, nell’effettuare tale operazione, abbia tenuto costantemente presenti le altre risultanze processuali e abbia con queste confrontato le tesi recepite. * Cass. pen., sez. I, 7 luglio 2000, n. 8076 (ud. 24 maggio 2000), P.G. in proc. Stevanin. [RV216613] d) In genere. • L’amnistia, la quale preclude un giudizio sulla responsabilità, deve prevalere rispetto alla pronuncia di non luogo a procedere ex art. 88 c.p. che presuppone la materiale riferibilità del fatto all’imputato. * Cass. pen., sez. I, 25 luglio 1991 (c.c. 27 giugno 1991, n. 2910), Giordano. Alla stregua degli studi psichiatrici scientifici ormai consolidati, si deve distinguere tra psicosi e psicopatia, l’una considerata vera e propria patologia mentale, tale da alterare i processi intellettivi o volitivi, l’altra da valutarsi alla stregua di una mera caratteropatia, cioè come anomalia del carattere, non incidente sulla sfera intellettiva o della volontà e, quindi, non tale da annullare o da scemare grandemente la capacità di intendere o di volere. * Cass. pen., sez. I, 15 gennaio 1992, n. 299 (ud. 10 ottobre 1991), Maffei. • • Art. 88 Ai fini della sussistenza del vizio di mente, anche nei casi di epilessia conclamata i soggetti che ne soffrono non patiscono alcuna diminuzione delle loro capacità psichiche, al di fuori dei momenti di crisi e al di fuori dei casi in cui, per la gravità e il decorso del male, la personalità e l’integrità psichica del malato ne vengono seriamente incise. (Nella specie si è ritenuta irrilevante la circostanza del pregresso riconoscimento di persone dovuto alla predetta patologia, attesa la diversità di valutazione tra capacità lavorativa e capacità di intendere e di volere). * Cass. pen., sez. I, 3 aprile 1992, n. 4041 (ud. 2 marzo 1992), De Santis. L’epilessia non costituisce di per sé una malattia che comporti uno stato permanente di infermità mentale nel soggetto; la incapacità di intendere o volere è invece ravvisabile nel momento del raptus, vale a dire allorché il malato è colto da una crisi epilettica che, provocando movimenti e spasmi incontrollabili possa determinare movimenti degli arti e del corpo dei quali il malato, in quel momento, non può rendersi conto. * Cass. pen., sez. VI, 26 marzo 1993, n. 3031 (ud. 19 gennaio 1993), Pollini. L’epilessia non deve essere considerata una patologia tale da causare una permanente deficienza psichica giacché in periodi extra-accessuali il soggetto ha piena capacità di intendere e di volere e conserva lucidità e completa consapevolezza delle proprie azioni. * Cass. pen., sez. I, 16 ottobre 1992, n. 9889 (ud. 26 giugno 1992), Manganaro. La degenerazione dell’istinto sessuale, non accompagnata da manifestazioni morbose rivelatrici della mancanza, totale o parziale, della facoltà intellettiva e volitiva, non può considerarsi indizio concludente di infermità mentale. * Cass. pen., sez. III, 5 novembre 1986, n. 12306 (ud. 7 luglio 1986), Lovicu. La cleptomania è una tendenza impulsiva al furto riscontrabile in molteplici malattie mentali. Il soggetto affetto da una malattia che provochi tale tendenza impulsiva potrà essere ritenuto infermo di mente ai sensi degli artt. 88 o 89 se la sua capacità di intendere e di volere ne risulti totalmente o parzialmente esclusa. * Cass. pen., sez. II, 11 aprile 1983 (ud. 5 ottobre 1982), Valente. L’infermità di mente, che esclude o diminuisce la imputabilità, deve sempre dipendere da una causa patologica, produttiva di alterazione dei processi volitivi o intellettivi. La sindrome ansiosa depressiva, invece, in quanto si innesta su una ipermotiva personalità di base, e in quanto è determinata da una esasperazione del rapporto del soggetto con l’ambiente, non è associabile ad alcuna entità nosologica. * Cass. pen., sez. I, 15 novembre 1988, n. 11061 (ud. 29 febbraio 1988), Iannone. Non tutti gli stati di tossicomania, la quale è una dipendenza meramente psichica alla droga, o di tossicodipendenza, che è una assuefazione cronica alla stessa, producono di per sé alterazione mentale rilevante agli effetti di cui agli artt. 88 e 89 c.p., ma solo quegli stati di grave intossicazione da so- • • • • • • COMCP03 patrizia Art. 89 LIBRO I - DEI REATI IN GENERALE stanze stupefacenti che determinano un vero e proprio stato patologico psicofisico dell’imputato, incidendo profondamente sui processi intellettivi o volitivi di quest’ultimo. * Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 1996, n. 6357 (ud. 24 maggio 1996), Corillo. [RV205097] Per escludere (o diminuire) l’imputabilità, l’intossicazione da sostanze stupefacenti non solo deve essere cronica (cioè stabile), ma deve produrre un’alterazione psichica permanente, cioè una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un’azione strettamente collegata all’assunzione di sostanze stupefacenti; lo stato di tossicodipendenza non costituisce, pertanto, di per sè, indizio di malattia mentale o di alterazione psichica. * Cass. pen., sez. VI, 16 giugno 1999, n. 7885 (ud. 22 dicembre 1998), Carlini E. [RV214757] Poiché l’imputabilità di cui all’art. 88 c.p. e la capacità di partecipare al processo penale di cui all’art. 70 c.p.p., pur costituendo stati soggettivi accomunati dall’infermità mentale, operano su piani del tutto diversi ed autonomi, non ha alcuna incidenza sull’accertamento della capacità dell’imputato di essere parte e sulla eventuale sospensione del procedimento l’impedimento, derivante dalla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 425, n. 1, c.p.p., all’adozione, nell’udienza preliminare, della pronuncia di non luogo a procedere per difetto di imputabilità, conseguentemente deve considerarsi abnorme, e come tale immediatamente ricorribile per cassazione, il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare che disattende la richiesta di accertamenti sulla capacità dell’imputato di parteciparvi, argomentando che il difetto di imputabilità può essere dichiarato solo dal giudice del dibattimento: tale rifiuto incide infatti su uno dei fondamentali e indefettibili presupposti richiesti dalla legge ai fini della costituzione e dello svolgimento del rapporto processuale, il cui cardine è rappresentato dal fatto che esso deve necessariamente far capo ad un soggetto capace di partecipare coscientemente al processo, come premessa essenziale della possibilità di autodifesa e quale garanzia del «giusto processo» presidiata dall’art. 24 della Costituzione. * Cass. pen., sez. I, 17 maggio 1995, n. 1381 (c.c. 6 marzo 1995), Insana. [RV201279] In tema di imputabilità di persone concorrenti nel reato, accertata la piena capacità di intendere e di agire di ciascun singolo imputato, non è corretto dedurre la seminfermità di mente dall’intreccio delle interazioni e dalle influenze reciproche che si verificano in occasione di una azione collettiva. Dal principio che la responsabilità penale è personale (art. 27 Cost.) si desume, in negativo, la impossibilità per il singolo di escludere la responsabilità di un evento conseguente alla sua azione con riferimento a motivi inerenti all’elemento psicologico e alla imputabilità che non siano a lui personalmente ascrivibili. L’art. 86 c.p., che prevede la responsabilità esclusiva di colui che mette altri nello stato di inca- • • • COMCP03 patrizia 396 pacità di intendere e di volere, al fine di fargli commettere un reato, in luogo delle responsabilità di colui che in concreto agisce, passa pur sempre attraverso la non imputabilità (art. 111 c.p.) del soggetto agente, che opera come mero strumento dell’altro con atti materiali privi di qualsiasi nesso psicologico con l’evento a causa della sua incapacità psichica determinata dal terzo. I rapporti tra coagenti nell’azione criminale e le conseguenze di tali relazioni sono disciplinati dal capo III del titolo IV c.p., in tema di concorso di persone nel reato (artt. 112, 114, 115). L’influenza sul singolo dei comportamenti di terzi è considerata dall’art. 62 n. 2 (provocazione) e n. 3 (suggestione di una folla in tumulto). Al di là delle attenuanti previste dal legislatore per tali ipotesi, quali correttivi alla netta chiusura rispetto alla rilevanza degli stati emotivi e passionali operata dall’art. 90 c.p., non è consentito desumere dalle suggestioni di terzi elementi da cui trarre conseguenze in ordine alla imputabilità di un soggetto non ritenuto infermo o seminfermo di mente. * Cass. pen., sez. I, 18 marzo 1994, n. 3240 (ud. 25 gennaio 1994), Maso. L’accertamento del fatto-reato in tutte le sue componenti, comprese quelle circostanziali, presenta carattere di priorità rispetto a quello dell’imputabilità del soggetto cui il fatto medesimo viene attribuito. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha censurato la decisione del giudice d’appello il quale, investito di gravame proposto dall’imputato avverso sentenza con la quale il medesimo era stato assolto per vizio totale di mente, con applicazione di misura di sicurezza, aveva ritenuto di non poter prendere in esame la richiesta di attenuanti generiche avanzata dall’appellante giacché in tal modo avrebbe indebitamente espresso, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, un implicito giudizio di colpevolezza). * Cass. pen., sez. VI, 18 luglio 2001, n. 29106 (ud. 11 aprile 2001), Vitale, in Riv. pen. 2001, 931. Con la dizione perizia sullo stato di mente dell’imputato deve intendersi non soltanto la perizia finalizzata a verificare l’imputabilità di un soggetto, ma anche quella volta ad accertare la capacità di questi a partecipare coscientemente al processo, ai sensi dell’art. 70 c.p.p., così come la compatibilità dello stato fisico o mentale con il regime carcerario. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittima la proroga del termine di custodia cautelare in dipendenza del protrarsi della perizia disposta per accertare la compatibilità dello stato di salute dell’indagato con il regime carcerario). * Cass. pen., sez. III, 23 settembre 2002, n. 31600 (ud. 1 luglio 2002), Puoci A. [RV222417] • • 89 Vizio parziale di mente. Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso; 397 TITOLO IV - DEL REO E DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO ma la pena è diminuita (65, 1412, 148, 219; 70, 220, 508 c.p.p.). ❖ Si veda anche il commento sub artt. 85 e 88. SOMMARIO: a) Nozione - Configurabilità; b) Seminfermità mentale ed elemento soggettivo del reato; c) Accertamento; d) Seminfermità mentale e circostanze del reato. a) Nozione - Configurabilità. • In tema di imputabilità, le anomalie che influiscono sulla capacità di intendere e di volere sono le malattie mentali in senso stretto, cioè le insufficienze celebrali originarie e quelle derivanti da conseguenze stabilizzate di danni cerebrali di varia natura, nonché le psicosi acute o croniche, contraddistinte, queste ultime, da un complesso di fenomeni psichici che differiscono da quelli tipici di uno stato di normalità per qualità e non per quantità. Ne consegue che esula dalla nozione di infermità mentale il gruppo delle cosiddette abnormità psichiche, come le nevrosi e le psicopatie, che non sono indicative di uno stato morboso e si sostanziano in anamalie del carattere non rilevanti ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p., in quanto hanno natura transeunte, si riferiscono alla sfera psicointellettiva e volitiva e costituiscono il naturale portato di stati emotivi e passionali. * Cass. pen., sez. VI, 5 giugno 2003, n. 24614 (ud. 7 aprile 2003), Spagnoli. [RV225560] In tema di imputabilità, gli articoli 88 e 89 c.p. − che disciplinano rispettivamente l’infermità totale e parziale di mente, quali cause che escludono o diminuiscono la capacità di intendere e di volere − postulano l’esistenza di una vera e propria malattia mentale, ossia di uno stato patologico che incide sui processi volitivi e intellettivi della persona oppure di anomalie psichiche che, seppure non classificabili secondo precisi schemi nosografici, perché sprovviste di una sicura base organica, siano tali, per la loro intensità, da escludere totalmente o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere del colpevole. Ne consegue che una condizione di perturbamento psichico transitoria, di natura non patologica, dovuta ad una sindrome ansiosa depressiva, non essendo destinata ad incidere sulla capacità di intendere e di volere, non è in grado di compromettere l’imputabilità dell’imputato. (Contrasto segnalato con relazione n. 74 del 2003). * Cass. pen., sez. VI, 22 maggio 2003, n. 22765 (ud. 12 marzo 2003), Moranziol. [RV226006] Affinché possa riconoscersi una imputabilità ridotta per vizio parziale di mente, ai sensi dell’art. 89 c.p., occorre che la capacità di intendere (intesa nel senso di una corretta rappresentazione del mondo esterno e degli effetti della propria condotta) e/o quella di volere (intesa nel senso di una efficiente regolamentazione della propria, libera auto- • • Art. 89 determinazione) siano scemate grandemente, senza essere escluse, a cagione di una infermità mentale (avente accezione più ampia di quella di malattia mentale) dipendente da un’alterazione patologica insediatasi anche non stabilmente nel soggetto. Conseguentemente non valgono a ridurre l’imputabilità né a costituire vizio parziale di mente, gli stati emotivi e passionali (esclusi dall’art. 90 c.p.) né le anomalie del carattere le quali, pur incidendo sul comportamento, non alterano le capacità di rappresentazione o di autodeterminazione. * Cass. pen., sez. I, 12 luglio 1991, n. 7523 (ud. 4 giugno 1991), Catalano. Il vizio parziale di mente previsto dall’art. 89 c.p. in tanto può assumere rilevanza in quanto, per definizione, sia tale da scemare grandemente, pur senza escluderla, la capacità di intendere e di volere. Ciò non implica, però, il divieto di attribuire al vizio anzidetto una ridotta incidenza ai fini della determinazione, in concreto, della pena, quando risulti che il soggetto sia stato indotto al delitto, in misura preponderante, da fattori suscettibili di operare in modo pressoché analogo anche in assenza della riscontrata compromissione psico-volitiva. * Cass. pen., sez. I, 11 giugno 1992, n. 6934 (ud. 18 maggio 1992), Di Stefano. In tema di imputabilità, gli artt. 88 e 89 c.p. postulano una infermità di tale natura e intensità da compromettere seriamente i processi conoscitivi e volitivi della persona, eliminando o attenuando la capacità della medesima di rendersi conto del significato delle proprie azioni e di comprenderne, quindi, il disvalore sociale, nonché di determinarsi in modo autonomo. Le infermità che influiscono sulla imputabilità sono le malattie mentali in senso stretto, cioè le insufficienze cerebrali originarie e quelle derivanti da conseguenze stabilizzate di danni cerebrali di varia natura, nonché le psicosi acute o croniche. Queste ultime sono contraddistinte da un complesso di fenomeni psichici che differiscono da quelli tipici di uno stato di normalità per qualità e non per quantità, come accade invece per il vasto gruppo delle «abnormità psichiche», quali le nevrosi e le psicopatie, che non sono indicative di uno stato morboso e si sostanziano in anomalie del carattere o della sfera affettiva, non rilevanti ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p. Ne consegue che, quando a causa di una situazione conflittuale dovuta a particolari tensioni psichiche si determini un’accentuazione di alcuni tratti del carattere del soggetto, inducendolo, come avviene nelle reazioni «a corto circuito», a tenere una condotta animale, non si può certamente parlare di malattia di mente, sicché la disposizione cui occorre riferirsi è quella di cui all’art. 90 c.p. * Cass. pen., sez. I, 13 maggio 1993, n. 4954 (ud. 3 marzo 1993), Zannoni. La differenza fra vizio parziale e totale di mente è, come la stessa terminologia degli artt. 88 e 89 c.p. rende evidente, di carattere prevalentemente quantitativo, poiché tali vizi trovano il comune presupposto in una infermità sulla sfera psichica del • • • COMCP03 patrizia Art. 89 LIBRO I - DEI REATI IN GENERALE soggetto e sulla di lui capacità di intendere e di volere, e differiscono solo nel quantum di tale incidenza, che darà vita al vizio totale, quando sia da escludere la detta capacità, ed a quello parziale qualora scemi grandemente, senza escluderla, la capacità stessa. Peraltro, il grado di incidenza della malattia sulla capacità di intendere e di volere deve essere valutato in concreto, e non con riferimento a classificazioni scientifiche enunciate in astratto, perché le malattie mentali hanno portata diversa sui singoli organismi ed agiscono, quindi, in modo più o meno penetrante sulle facoltà intellettive e volitive. * Cass. pen., sez. III, 29 ottobre 1970, n. 1144, Argau ed altro. Per la configurabilità della diminuente del vizio parziale di mente non è sufficiente la presenza di un’infermità fisica o psichica, ma occorre che essa sia di tale gravità da ridurre notevolmente, pur senza escluderla del tutto, la capacità di intendere o di volere del soggetto. * Cass. pen., sez. II, 17 aprile 1981, n. 3565 (ud. 5 dicembre 1980), Beretta. Pur essendo la nozione di infermità psichica presa in considerazione dall’art. 89 c.p. più ampia di quella di malattia o infermità psichica vera e propria, comprendendo la prima anche i disturbi mentali transitori; tuttavia, perché il vizio parziale di mente possa essere riconosciuto, è necessario che esso derivi da uno stato morboso, il quale si ricolleghi, a sua volta ad una alterazione patologica tale da dare la certezza che al momento della commissione del fatto l’imputato era in tali condizioni di mente da scemare grandemente, pur senza escluderla, la capacità di intendere e di volere. Esulano, pertanto, dalla nozione di infermità di mente, totale o parziale, quelle semplici anomalie del carattere ed anche altre anormalità che, pur potendo influire sul processo di determinazione e d’inibizione, non siano, tuttavia, suscettibili di alterare la capacità di intendere e di volere del soggetto. * Cass. pen., sez. II, 4 maggio 1976, De Luca. Perché ricorra il vizio parziale di mente non basta una qualsiasi deviazione della funzione mentale ma occorre che la diminuzione delle facoltà intellettive e volitive dipenda da un’alterazione patologica clinicamente accertabile, corrispondente al quadro tipico di una determinata malattia. * Cass. pen., sez. V, 28 settembre 1981, n. 8394 (ud. 4 giugno 1981), De Giosa. Ai fini del riconoscimento del vizio parziale di mente dell’imputato non è sufficiente fare riferimento all’oligofrenia come originaria carenza generica dell’intelligenza, occorrendo la puntualizzazione dell’incapacità del soggetto ad inserirsi durevolmente, fattivamente ed utilmente nella comunità sociale. * Cass. pen., sez. I, 13 maggio 1976, n. 5764 (ud. 17 novembre 1975), Esposito, Maiello ed altri. L’accertamento della capacità di intendere e di volere di chi è affetto da intossicazione cronica da alcool spetta al giudice indipendentemente da ogni onere probatorio a carico dell’imputato, una volta che questi abbia allegato documentazione at- • • • • • COMCP03 patrizia 398 testante il suo etilismo cronico. * Cass. pen., sez. IV, 23 maggio 1995, n. 5924 (ud. 18 aprile 1995), Vizzani. [RV201689] Ai fini della configurabilità del vizio parziale di mente non basta la sussistenza in soggetto tossicodipendente di semplici anomalie del carattere o di manifestazioni a tipo nevrotico di natura episodica o sporadica, ma occorre il riscontro di una condizione patologica che incidendo sullo stato di mente dell’imputato sia tale da scemare in modo apprezzabile le sue capacità intellettive e volitive. * Cass. pen., sez. II, 29 novembre 1986, n. 13350 (ud. 8 aprile 1986), Bologna. Lo stato di tossicodipendenza non integra il vizio parziale di mente, ove non sia provato che il soggetto sia affetto da intossicazione cronica da sostanze stupefacenti che abbia prodotto un’alterazione psichica permanente. * Cass. pen., sez. VI, 24 ottobre 1989, n. 14154 (ud. 11 ottobre 1988), Vita. Lo stato di senilità non può considerarsi alla stregua di un’infermità capace di produrre un turbamento patologico nel processo intellettivo o volitivo, a meno che assuma caratteristiche cliniche speciali, come la demenza senile, le forme paranoidi o altre forme morbose rilevanti ai fini dell’infermità mentale. * Cass. pen., sez. VI, 17 gennaio 1984, n. 460 (ud. 16 novembre 1983), La Torre. L’infermità totale o parziale di mente va intesa come uno stato patologico e quindi esulano dalla sua nozione quelle anomalie del carattere o altre anormalità − quali le psicopatie − che, pur influendo sul processo di determinazione o di inibizione, non sono, tuttavia, suscettibili di alterare la capacità di intendere e di volere. Il vizio, totale o parziale di mente, deve, in altri termini, dipendere sempre da uno stato patologico, che alteri il processo intellettivo o quello della volontà, annullando o scemando grandemente la capacità di intendere e di volere. (Nella specie era stata diagnosticata una “psicopatia disaffettiva”). * Cass. pen., sez. I, 12 luglio 1980, n. 8862 (ud. 21 maggio 1980), Gallini. Gli psicopatici appartengono, dal punto di vista psichiatrico, a quella vasta zona che occupa lo spazio intermedio fra normalità e anormalità, potendo, secondo la varietà e l’intensità dell’anomalia psichica da cui sono affetti, accostarsi all’una o all’altra delle linee di confine ed essere considerati dei paranormali, dei seminfermi di mente o, nei casi limite, dei fatalmente predestinati a vere e proprie psicosi. Il giudizio sullo stato mentale dello psicopatico è affidato al perito e varia secondo le infinite particolarità del caso concreto. Non merita, pertanto, censura la sentenza che nel delitto commesso da uno psicopatico ravvisa la risoluzione di un conflitto edipico non superato, e in tale ragione occulta individua il vero movente dell’azione criminosa con cui il reo mira a placare il profondo senso di colpa da cui si sente afflitto. * Cass. pen., sez. I, 14 luglio 1978, n. 9562 (ud. 17 febbraio 1978), Ammirati. L’epilessia non costituisce di per sé una malattia che comporti uno stato permanente di infer- • • • • • • 399 TITOLO IV - DEL REO E DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO mità mentale nel soggetto; la incapacità di intendere o volere è invece ravvisabile nel momento del raptus, vale a dire allorchè il malato è colto da una crisi epilettica che, provocando movimenti e spasmi incontrollabili possa determinare movimenti degli arti e del corpo dei quali il malato, in quel momento, non può rendersi conto. * Cass. pen., sez. VI, 26 marzo 1993, n. 3031 (ud. 19 gennaio 1993), Pollini. Sussiste autonomia concettuale tra diminuente per vizio parziale di mente (che inerisce strettamente alla persona ed alla sua imputabilità) e gravità del reato, fondata sui criteri oggettivi e soggettivi dettati dall’art. 133 cod. pen. nessuno dei quali interessa la sfera della funzione mentale se non, indirettamente, per ciò che attiene alla intensità del dolo. Trattasi, perciò, di concetti diversi e separati, che attengono ad aspetti differenziati ed autonomi del rapporto agente – reato (e del fatto materiale in questo compreso), e la cui valutazione, ancorché naturalmente contestuale, non implica necessità alcuna di interdipendenza o di reciproca influenza. Talché nulla vieta di ritenere e valutare il fatto – reato in conformità dei criteri surricordati (adeguando concretamente la sanzione al livello di gravità ritenuta) e, nel contempo, di ravvisare la diminuente de qua, con la riduzione di pena che consegue ai sensi della legge, e che ricomprende ogni risvolto legato all’accertata compromissione della facoltà di intendere o di volere. * Cass. pen., sez. I, 19 ottobre 1988, n. 10252 (ud. 17 febbraio 1988), Bellotti. L’inesistenza di uno stato morboso e la presenza di semplici manifestazioni di tipo nevrotico depressive, di disturbi della personalità, comunque prive di un substrato organico come la semplice insufficienza mentale, non sono idonee a dare fondamento ad un giudizio di infermità mentale, indispensabile pure ai fini del vizio parziale di mente. * Cass. pen., sez. I, 12 luglio 1991, n. 7523 (ud. 4 giugno 1991), Catalano. Gli stati emotivi o passionali, per loro stessa natura, sono tali da incidere, in modo più o meno massiccio, sulla lucidità mentale del soggetto agente senza che ciò, tuttavia, per espressa disposizione di legge, possa escludere o diminuire l’imputabilità, occorrendo a tal fine un quid pluris che, associato allo stato emotivo o passionale, si traduca in un fattore determinante un vero e proprio stato patologico, sia pure in natura transeunte e non inquadrabile nell’ambito di una precisa classificazione nosografica. L’esistenza o meno di detto fattore va accertata sulla base degli apporti della scienza psichiatrica la quale, tuttavia, nella vigenza dell’attuale quadro normativo e nella sua funzione di supporto alla decisione giudiziaria, non potrà mai spingersi al punto di attribuire carattere di “infermità” (come tale rilevante, ai sensi degli artt. 88 e 89 c.p., ai fini della esclusione e della riduzione della capacità d’intendere e di volere), ad alterazioni transeunti della sfera psico-intellettiva e volitiva che costituiscano il naturale portato degli stati • • • Art. 89 emotivi o passionali di cui si sia riconosciuta l’esistenza. * Cass. pen., sez. I, 27 gennaio 1998, n. 967 (ud. 5 dicembre 1997), Giordano. [RV209382] In tema di imputabilità, in mancanza di una infermità o malattia mentale, o comunque di una alterazione anatomico-funzionale della sfera psichica, le alterazioni di tipo caratteriale ed i connessi disturbi della personalità non acquistano rilievo per escludere o ridurre l’imputabilità: l’eventuale difetto di capacità intellettiva e/o volitiva che ne deriva rimane priva di rilevanza giuridica. * Cass. pen., sez. V, 27 gennaio 1998, n. 1078 (ud. 19 novembre 1997), Paesani. [RV209681] La malattia di mente rilevante per l’esclusione o per la riduzione dell’imputabilità è solo quella medico-legale, dipendente da uno stato patologico veramente serio, che comporti una degenerazione della sfera intellettiva o volitiva dell’agente; di conseguenza deve ritenersi sussistente la capacità di intendere e di volere in un soggetto affetto solo da anomalie psichiche o da disturbi della personalità. * Cass. pen., sez. I, 17 novembre 1997, n. 10422 (ud. 20 ottobre 1997), Baldini. [RV208929] • • b) Seminfermità mentale ed elemento soggettivo del reato. Il dolo eventuale − inteso come atteggiamento di accettazione del rischio di un certo risultato − è compatibile con la seminfermità mentale, a meno che non si dimostri in concreto che la malattia incideva su un particolare aspetto di quell’atteggiamento, alterandolo in modo sostanziale. * Cass. pen., sez. I, 6 agosto 1988, n. 8719 (ud. 9 maggio 1988), Ciancabilla. In tema di imputabilità, sussiste compatibilità tra il vizio parziale di mente ed il dolo, poiché i due concetti operano su piani diversi ed è la stessa legge che concepisce la compatibilità del funzionamento dell’intelligenza e della volontà − cui va ricondotto il dolo − con una parziale infermità di mente. (Nella fattispecie è stata ritenuta la compatibilità tra il vizio parziale di mente ed il dolo eventuale). * Cass. pen., sez. I, 3 ottobre 1997, n. 8972 (ud. 11 marzo 1997), Di Massimo. [RV208470] La diminuente del vizio parziale di mente è compatibile con una maggiore intensità del dolo, che può giustificare il diniego delle attenuanti generiche in considerazione delle gravi modalità della condotta criminosa. (Nel caso di specie, la Corte di cassazione ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito i quali, pur avendo accertato la sussistenza di un vizio parziale di mente dell’imputato, avevano negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sulla base dell’elevata gravità della condotta da questi posta in essere, consistita in reiterate molestie anche di carattere sessuale − ai danni di una giovane donna, di natura simile ad altri specifici precedenti penali). * Cass. pen., sez. III, 20 maggio 2005, n. 19248 (ud. 7 aprile 2005), Tiani. [RV231849] • • • COMCP03 patrizia Art. 89 LIBRO I - DEI REATI IN GENERALE • La diminuente del vizio parziale di mente, prevista dall’art. 89 c.p., è compatibile con la sussistenza del dolo. Infatti non vi è contrasto fra l’ammettere la seminfermità di mente ed il ritenere provato il dolo − la coscienza e la volontà, cioè, sebbene diminuite − dal momento che è la stessa legge che concepisce la compatibilità del funzionamento dell’intelligenza e della volontà con il vizio parziale di mente. * Cass. pen., sez. VI, 19 dicembre 1990, n. 16597 (ud. 2 febbraio 1990), Fiora. Nel nostro sistema giuridico – penale il vizio parziale di mente non è incompatibile con l’elemento soggettivo del reato in quanto implicano due concetti operanti su piani diversi: l’uno riconduce alla imputabilità del soggetto, secondo la nozione fornita dall’art. 85 cod. pen. ossia a una condizione personale il cui contenuto è la capacità di intendere e di volere, l’altro al rapporto tra il volere del soggetto e un determinato atto preveduto dalla legge come reato; consegue che il reato commesso da un seminfermo di mente non si sottrae all’indagine relativa all’elemento soggettivo per accertare se esso sia attribuibile alla sua volontà. * Cass. pen., sez. III, 20 febbraio 1986, n. 1574 (ud. 10 gennaio 1986), Gropelli. Sussiste piena compatibilità logica e giuridica tra ritenuta intensità del dolo e riconoscimento del vizio parziale di mente. Tra la diminuente del vizio parziale di mente, che attiene alla capacità di intendere e di volere ed all’imputabilità, e la intensità del dolo, considerata come grado rilevante della determinazione a conseguire il proposito criminoso, esiste infatti autonomia concettuale, posto che la prima riguarda la sfera psichica del soggetto ed il momento formativo della volontà, mentre la seconda concerne il momento nel quale la volontà si manifesta e persegue l’obiettivo considerato. * Cass. pen., sez. I, 4 aprile 1995, n. 3633 (ud. 18 gennaio 1995), Mazzoni. Conforme, Cass. pen., sez. V, 10 dicembre 1999, n. 14107, Arcilesi. [RV201498] Il giudice, una volta accertato l’elemento intenzionale del reato, risultante dalla volontà dell’agente e dalla rappresentazione dell’evento da parte del medesimo, non è tenuto, se l’imputato è seminfermo di mente, ad alcuna particolare indagine sul dolo, che non resta escluso dal vizio parziale di mente. Infatti, mentre quest’ultimo attiene alla imputabilità del soggetto, il dolo rappresenta la volontà del soggetto diretta verso l’evento ed appartiene alla struttura del reato, di cui costituisce elemento attuale ed operante ed attiene alla colpevolezza, la cui analisi presuppone il superamento logico di quella sulla imputabilità e non può ulteriormente essere influenzata da quet’ultima, neppure nell’ipotesi di ridotta capacità di intendere e di volere. * Cass. pen., sez. I, 17 ottobre 1989, n. 13852 (ud. 7 febbraio 1988), Saccavino. L’indagine sulla colpevolezza di un soggetto ad imputabilità diminuita va effettuata con gli stessi criteri adottabili nei riguardi del soggetto pienamente capace. Tuttavia, la ridotta capacità di inten- • • • • COMCP03 patrizia 400 dere e di volere può avere influenza nella ricerca del dolo solo nei casi contraddistinti da un particolare dolo specifico, ma non in quello in cui rileva il dato generico come l’omicidio, la rapina, il furto, le lesioni. (Nella specie, l’imputato aveva commesso un tentato omicidio nello stabilimento carcerario dove era detenuto e deduceva di averlo fatto in assenza, accertata, di coscienza e volontà, in quanto soggetto facilmente influenzabile soprattutto dopo aver ingerito alcoolici o eccitanti). * Cass. pen., sez. I, 16 gennaio 1985, n. 600 (ud. 12 novembre 1984), Saporito. L’imputabilità diminuita per vizio parziale di mente è rilevante soltanto per la diminuizione della misura della pena, ma non coinvolge, in linea di principio, il problema dell’elemento psicologico del reato. La ridotta capacità di intendere o di volere, che ne esprime la condizione psichica, può avere influenza nella ricerca del dolo in reati contrassegnati da particolari doli specifici, ma non in reati tipici ordinari, come l’omicidio o la lesione nei delitti contro l’integrità personale o il furto e la rapina nei delitto contro il patrimonio. * Cass. pen., sez. II, 21 aprile 1970, n. 981, Rinaldi. In ipotesi di reato commesso da un seminfermo di mente va comunque accertata la sussistenza dell’elemento psicologico, atteso che quest’ultimo non è incompatibile con il vizio parziale di mente, residuando pur sempre, anche nello status di imputabilità diminuita, la capacità di intendere e di volere, la cui diminuzione può avere rilevanza nei reati a dolo specifico, ma non in quelli caratterizzati dal dolo generico. * Cass. pen., sez. VI, 5 marzo 2001, n. 9202 (ud. 17 ottobre 2000), Riva. [RV218410] • • c) Accertamento. • L’accertamento sull’infermità di mente dell’imputato deve essere compiuto in relazione al fatto concreto addebitato ed al tempo in cui il fatto medesimo è stato commesso. L’indagine già esperita in altro procedimento non è vincolante nel successivo giudizio poiché la malattia precedentemente diagnosticata può essere al momento guarita o attenuata o localizzata ad una determinata sfera di attività. * Cass. pen., sez. I, 2 ottobre 1989, n. 13010 (ud. 8 marzo 1988), Corvino. Il vizio parziale di mente va considerato come elemento accidentale del reato, e quindi non può essere preso in considerazione dal giudice della impugnazione ove non formi oggetto di uno specifico punto di gravame o non sia, a questo, essenzialmente connesso. * Cass. pen., sez. I, 9 maggio 1987, n. 5815 (ud. 4 febbraio 1987), Carrà. Il giudice di merito ha il dovere di dichiarare d’ufficio la mancanza di condizioni di imputabilità soltanto quando sia evidente la prova della totale infermità di mente, mentre l’eventuale vizio parziale di mente costituisce una semplice circostanza attenuante che deve essere allegata dall’imputato. * • • 401 TITOLO IV - DEL REO E DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO Cass. pen., sez. III, 22 marzo 1991, n. 3262 (ud. 18 febbraio 1991), Gatti. Stabilire se l’imputato, riconosciuto come persona capace d’intendere e di volere, fosse al momento del fatto seminfermo di mente costituisce valutazione di fatto che compete esclusivamente al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata. * Cass. pen., sez. III, 9 aprile 1991 (ud. 11 febbraio 1991, n. 3912), Martinelli. • d) Seminfermità mentale e circostanze del reato. • La premeditazione non è incompatibile con il vizio parziale di mente, in quanto anche un seminfermo di mente può essere capace di concepire un atteggiamento psicologico e volitivo più o meno fermo e di subire, opponendovi una diversa resistenza, valide controspinte al delitto. Anche un seminfermo di mente può essere dunque capace di agire sia con dolo d’impeto che con dolo di proposito, e l’unica ipotesi in cui è riscontrabile incompatibilità tra la circostanza aggravante e la diminuente è quella in cui la malattia che provoca la diminuita imputabilità ha diretta incidenza sul processo intellettivo o volitivo, tanto da identificarsi con esso. * Cass. pen., sez. I, 5 agosto 1992, n. 8771 (ud. 26 maggio 1992), Careri. L’aggravante della premeditazione e l’attenuante del vizio parziale di mente non sono in linea di principio incompatibili e quindi possono coesistere, eccetto il caso in cui vi sia identità fra la premeditazione e l’idea fissa ossessiva costituente l’essenza dell’infermità mentale ravvisata, poiché in tal caso non possono sussistere, per motivi patologici, le controspinte morali ed etiche avversanti e bilancianti il proposito delittuoso. * Cass. pen., sez. I, 5 dicembre 1984, n. 10811 (ud. 28 settembre 1984), Di Giovannanto. La circostanza aggravante speciale della premeditazione è incompatibile con la diminuente del vizio parziale di mente quando la premeditazione è un effetto della malattia che costituisce l’assenza dell’infermità o questa incida sul processo intellettivo o volitivo, sconvolgendoli, e non quando, invece, l’infermità non crei soluzioni o squilibri nel proposito criminoso, non produca aberrazioni o deliri nell’idea o spinte incontrollabili nella volizione. (Nella specie l’imputato era stato riconosciuto come portatore di grave squilibrio emotivo con caratteristiche distimiche e dominante ansietà senza, peraltro, che la sindrome depressiva da cui era affetto fosse assunta a livelli psicotici ed era stato ritenuto che pur essendo lo stesso ipodotato sul piano intellettivo, fossero assenti elementi aberranti nella sua ideazione, rallentata ma efficiente. La Cassazione ha ritenuto esatto il ragionamento dei giudici di merito che avevano ritenuto compatibile la premeditazione con riconosciuto vizio parziale di mente). * Cass. pen., sez. I, 6 dicembre 1982, n. 11599 (ud. 25 giugno 1982), Iannaccone. • • • Art. 89 La premeditazione è, in linea generale, compatibile con la seminfermità mentale. Il vizio parziale di mente può, tuttavia, portare ad escludere la premeditazione, quando attraverso la disamina e la valutazione critica della perizia psichiatrica e di tutti gli elementi in suo possesso, il giudice accerti che la diminuita capacità di intendere e di volere dell’agente ha influito, in modo determinante, sul modo di essere del suo atteggiamento psicologico, sotto il profilo della consapevole e voluta persistenza nel tempo della volontà criminosa e della sua capacità di comprendere il significato dei propri atti e di superare attraverso la revisione critica e la riflessione, le spinte criminogene, che si identificano con i caratteri e l’essenza dell’infermità, debitamente accertati. * Cass. pen., sez. I, 13 novembre 1991, n. 11394 (ud. 11 febbraio 1991), Abel. Non sussiste incompatibilità concettuale tra la circostanza aggravante della premeditazione e vizio parziale di mente operando la prima sul piano del dolo ed il secondo sull’imputabilità. Ciò però non esclude che sul piano concreto, si verifichi siffatta incompatibilità tutte le volte che si riscontri che la malattia mentale incida sulle capacità critiche determinando la fissazione dell’ideazione, senza possibilità del sorgere di quel conflitto interiore tra spinte al delitto e controspinte inibitorie, che costituisce il fondamento del maggiore disvalore della condotta e dell’aggravamento di pena. È questo un accertamento di fatto, collegato alla tipologia e gravità della patologia, che sfugge a censure di legittimità quando sia adeguatamente e logicamente motivato. * Cass. pen., sez. I, 2 marzo 1992, n. 2268 (ud. 18 dicembre 1991), De Negri. La circostanza aggravante del motivo futile non è astrattamente incompatibile con la diminuente del vizio parziale di mente, dovendo di volta in volta il giudice del merito accertare la reale incidenza dell’infermità sulla concreta sussistenza del movente, quale causa psichica dell’azione umana al reo imputabile. * Cass. pen., sez. I, 1 marzo 1985, n. 2079 (ud. 22 ottobre 1984), Alessandro. La circostanza aggravante del motivo futile può essere applicata anche nel caso in cui il colpevole abbia agito in stato di ubriachezza. Infatti ai sensi dell’art. 92 c.p. l’ubriachezza volontaria o colposa non esclude l’imputabilità, di guisa che i motivi che hanno determinato l’ubriaco al delitto debbono essere valutati con criteri analoghi a quelli adottati per la persona normale. * Cass. pen., sez. I, 7 marzo 1996, n. 2553 (ud. 20 novembre 1995), Flore. [RV204070] La seminfermità mentale e le circostanze aggravanti della premeditazione e del motivo abietto o futile operano su piani distinti: l’una (la seminfermità) è aspetto della capacità di intendere e di volere, ossia dell’imputabilità, la quale è a sua volta uno status in base al quale l’autore di un fatto costituente reato è ritenuto responsabile dei suoi atti e quindi soggetto di diritto penale; le altre ineriscono invece al dolo, che è qualificato più intensamente nel • • • • COMCP03 patrizia