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VOLEVO SPOSARE UN CITTADINO

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VOLEVO SPOSARE UN CITTADINO
VOLEVO SPOSARE
UN CITTADINO
Autobiografia di Ivanna Prati
A cura di Deanna Montruccoli
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Ai miei figli
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PREFAZIONE
Ivanna mi accoglie nel piccolo appartamento del condominio
alla prima periferia del centro cittadino.
Ivanna e il marito Giovanni (Gianni) si sono trasferiti da due
anni in questa che un tempo era l’abitazione degli anziani
genitori di lei, per essere più vicini a Cristina, la loro figlia
primogenita che abita con la sua famiglia a pochi passi da qui.
L’attuale sistemazione è vissuta da Ivanna come non definitiva,
prima o poi si ritornerà nel vecchio appartamento di Ospizio in
Via Don Borghi, l’amato nido dove sono cresciuti i figli: “Là
c’è la mia casa, arredata con tutte le mie cose e i vicini che
conosco da tanti anni. Qui mi mancano i balconi però ci sono i
negozi vicini, il parco e mia figlia Cristina che abita lì”.
Ad ogni incontro ritrovo Ivanna lieta, l’aspetto curato e con
indosso il suo inseparabile grembiulino da donna di casa. È
desiderosa di raccontare la storia della sua vita per poterla
ritrovare su un libro che donerà ai figli e ai suoi cari.
Ogni volta, al termine dei nostri incontri, Ivanna si stupisce di
essersi ricordata tante cose che riguardano il tempo passato.
Le persone, i luoghi, gli avvenimenti piccoli e grandi
riemergono come se l’uno richiamasse l’altro.
Deanna
Aprile 2010
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RICORDI VICINI, LONTANI NEL TEMPO
Un borgo sulla collina, un piccolo mondo rassicurante quello
in cui cresce Ivanna, ma nei pensieri della ragazzina che già
guarda al futuro, si fa strada l’idea ben precisa di ciò che
vuole fare da grande.
Un contadino non lo sposerei mai
Io mi chiamo Prati Ivanna, non tutti mi chiamano Ivanna ma
Ivana,Vanna, e ce ne sono anche di quelli che mi chiamano
Ivonne.
Mio padre voleva chiamarmi Ivana perché era il nome di una
bella signorina che un tempo abitava nel nostro paese.
Ottanta anni fa quando sono nata, il prete non mi voleva
mettere quel nome perché diceva che è un nome russo, allora
mi hanno chiamata con una enne in più, Ivanna, e di secondo
nome Giovanna.
Sulla carta di identità c’è solo Prati Ivanna. Sono nata a
Casalgrande l’8 Gennaio 1930.
Noi eravamo contadini, a me la terra non piaceva.
Io ho sempre detto anche alle mie amiche: “ Un contadino non
lo sposerei mai, perché questa terra è troppo bassa ”. Loro
avevano i morosi contadini.
Quando andavi a mietere con la falce c’era da farsi male alle
gambe con al stram (steli del grano falciato) e io mi mettevo i
pantaloni.
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Io proprio dicevo: “ Il primo cittadino che incontro e che mi
possa piacere…”.
E’ capitato lui (il marito Giovanni) che abitava in città e ho
pensato: “Me e vag a Res”. Io vado a Reggio.
Casalgrande Alto
Ivanna nell’angolino
Ricordo le cose che mi raccontava mia mamma di quando ero
piccolina e lei era in famiglia, con la suocera, erano in dieci.
Mia nonna Clementina era un po’ tremenda, rimaneva in casa a
fare da mangiare e mandava tutti nei campi a lavorare la terra:
mia madre, mio padre, la zia Maria, lo zio Ezio.
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Noi bambini rimanevamo lì con lei, eravamo in quattro: io, mio
fratello e i due cugini. Ci volevamo un bene da matti e loro
guai per me che ero l’unica femmina.
Allora la mamma mi lasciava a casa con questa nonna e io si
vede che ero un po’ birichina, lei come castigo mi metteva in
un angolo della cucina, mi diceva di stare ferma lì fin che non
fossero tornati la mia mamma e il papà.
La mamma mi raccontava che quando tornava dai campi e mi
vedeva nell’angolo invece che a tavola a mangiare, a lei veniva
da piangere e chiedeva a mia nonna: “Perché è là l’Ivanna? ”
“Perché l’ha fat la birichina, l’ha m’hà fat tribuler e l’ho mesa
in castig”. (Ha fatto la birichina, mi ha fatto tribolare e l’ho
messa in castigo).
La nonna Clementina non me la ricordo l’ho vista in foto, è
morta che avevo tre anni. Mio fratello è nato che lei era appena
morta e lo hanno chiamato Clementino, lo abbiamo sempre
chiamato Tino oppure Omèto.
Una bella casa a Casalgrande alto
E’ una accogliente casa da contadini quella dove abita Ivanna.
Nel borgo tranquillo la vita scorre tra il lavoro dei campi, le
occupazioni casalinghe, i giochi dei bambini nei cortili aperti,
le chiacchiere al tepore della stalla nelle sere d’inverno.
Tempo senza fretta, scandito dai rintocchi del campanile.
La nostra era una delle più belle case di Casalgrande, aveva
due piani, era fatta di mattoni. Giù avevamo una bella sala da
pranzo dove si mangiava quando venivano i parenti, una stanza
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dove c’era il lavandino e si lavavano i piatti, una stanza dove
mangiavamo tutti i giorni, un corridoio grande.
C’era una entrata davanti con la porta morta che dava sulla
strada e sul nostro giardino, una entrata era sul dietro per
andare nella stalla dove si teneva il bestiame, poi il portico
bello grande dove noi ragazzi stavamo a chiacchierare quando
avevamo tempo, sopra c’era il fienile.
Al piano di sopra avevamo le camere da letto e su il solaio, il
granaio che quando si andava a mietere si metteva lì il
frumento, steso sul pavimento a seccare.
Era la casa della famiglia; prima i miei erano in affitto e dopo
l’hanno comprata dalla padrona che era una signora di Modena,
hanno comprato anche la terra.
Della terra ne avevamo un bel pezzo vicino a casa e un altro
pezzo giù sulla strada per Sassuolo; c’era da fare tanta strada a
piedi per arrivare lì dove avevamo l’uva e l’erba per le mucche.
La nostra casa non era isolata, ma non era proprio nel borgo;
un po’a parte e di fronte c’era un’altra casa con l’aia e l’erba
dove andavamo a giocare con le amiche che abitavano lì.
Mio padre prima aveva il fondo e tutte le mucche assieme a
mio zio Ezio.
Questa casa era grande, in seguito si sono divise le due
famiglie sempre nello stesso edificio, a noi è rimasto un pezzo
di terra.
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Le usanze contadine
Quando ero piccola giocavamo a nascondino, eravamo in
mezzo alla campagna e ti nascondevi dietro a un albero.
Andavo a casa delle amiche oppure venivano loro da noi a
giocare a tombola al sabato o alla domenica, gli altri giorni no,
eravamo contadini e non avevamo tempo.
In estate stavamo fuori seduti al fresco, si sentivano i grilli e
c’era una bella luna piena. Sotto al portico c’era una lampadina
che dava un po’ di luce al cortile ed avevamo le rondini che
avevano fatto i nidi. Lì avevamo anche il pozzo con la catena
e il secchio, prendevamo l’acqua da bere e per la casa.
Per le mucche avevamo la busa (Specie di grande vasca
scavata nella terra, solitamente nelle vicinanze della stalla, per
contenere l’acqua piovana).
Con il sole l’acqua diventava calda e se verso sera volevi
lavarti le gambe, l’acqua era ancora tiepida. C’era da stare
attenti a sta busa d’acqua, siccome il nostro cortile era molto
bello noi avevamo sempre dei bambini, perché quelli che non
erano contadini, i casant, non ce l’avevano e poteva essere
pericoloso se ci finivano dentro.
In casa avevamo la stufa a legna. Chi aveva il camino si
scaldava così, ci mettevano le fascine che facevano nei campi
per avviare la fiamma e poi mettevano la legna grossa che
faceva le braci, con le quali d’inverno si scaldava il letto.
Mettevamo le padelle con la cenere e la brace: si copriva la
brace e poi si metteva la padella dentro a quello che
chiamavano il prete.
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Si usavano quelle cose lì per scaldare il letto, ma si stava bene
quando andavi a letto e trovavi le lenzuola belle calde!
D’ inverno per scaldarci, alla sera ci trovavamo nella stalla,
giocavamo a tombola o facevamo dei centrini con l’uncinetto,
gli uomini andavano alla Cooperativa a giocare a carte e
semmai venivano più tardi. Le donne facevano anche le calze e
i maglioni con i ferri.
Io ho fatto dei maglioni per i miei amici, uno di questi voleva
venire da me come moroso, dopo io ho trovato lui (Gianni) e
ho detto: “No, no. Questo io lo mando a Messa. Io vado in
città”.
Odori suoni voci di campagna
Gli odori della campagna non mi piacevano, avevo paura che
gli altri sentissero sui miei vestiti l’odore della stalla.
A Casalgrande alto non si sentivano rumori. Si sentivano le
voci delle mamme che chiamavano forte i bambini. Ce n’era
poi una che aveva cinque figli, erano casant. Lei faceva la
bidella alle scuole di Casalgrande. I suoi figli erano tutti
chiamati con la emme: Marilù, Mauro, Mario, Marusca,
Marisa. Li chiamava per andare a mangiare; era toscana, aveva
una pronuncia diversa dalla nostra, parlano bene quelli della
Toscana.
Noi stavamo a bocca aperta a sentirla parlare, quando li
chiamava: “Mmmarilù!.. Mmmarusca!...”
Poi è venuta in città e ha messo su una bottega dove vendeva la
verdura.
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L’orologio non so quando abbiamo cominciato a usarlo, non mi
ricordo che ce ne fosse uno in casa come adesso abbiamo tutti.
Noi abitavamo vicino alla chiesa, c’erano le campane che
suonavano tutti i botti, suonavano tutte le ore e la mezza.
Ad esempio, se erano le sei e mezza suonavano sei colpi, e la
mezza era un colpo a metà, un bottino.
L’ Ave Maria suonava presto al mattino, forse alle cinque
quando si alzavano i contadini. I contadini così sapevano
l’orario e si alzavano per dare da mangiare alle mucche, per
mungerle. Verso le sette e mezzo mio padre portava il latte al
caseificio che era di fronte a casa nostra, bastava attraversare la
strada.
Noi avevamo solo quattro mucche e portavamo il latte a mano
con i secchi o con i bidoncini. Invece tanta gente portava il
latte con il basel in spalla e sopra i due bidoncini. Altri che
abitavano più lontano, come i Mazzacani che avevano da fare
anche il rampo di strada, avevano il carrettino con il cane
davanti che lo tirava.
La miseria dei casant
Si conoscono bene tra di loro i compaesani e nei momenti
difficili del dopoguerra chi ha maggiori possibilità, come la
famiglia di Ivanna, viene in soccorso ai vicini di casa più
disagiati.
I casant erano quelli che non avevano la terra, erano i più
poveri, facevano gli operai nella Ceramica. In una famiglia non
lavoravano in tre o quattro ma solo uno.
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Io e la mia famiglia, essendo contadini eravamo i più signori
allora, ammazzavamo il maiale e avevamo salami, prosciutti,
avevamo tutto.
Mi ricordo ancora i ciccioli, delle volte mi viene voglia di
comprarli, ma quando li sento c’è una bella differenza da quelli
che facevamo noi.
Si facevano con il torchio: facevi prima lo strutto che i ciccioli
diventavano cotti e un po’ più asciutti poi li mettevano dentro a
un burazzo, poi nel torchio che venivano un po’ secchi. Adesso
non sono così buoni: forse avranno un altro modo per farli.
“ I casant i an patii una miseria!”. C’era una famiglia vicino
a noi, dietro alla nostra casa che erano proprio casant e in
tempo di guerra non sapevano cosa mangiare.
La nostra mamma allungava a loro qualcosa da mangiare, noi
avevamo il forno e facevamo il
pane in casa. Gli abbiamo dato
da mangiare noi tante volte,
anche del salame.
In quella famiglia dei Bonezzi
c’era una bambina mia amica, è
venuta da sposata ad abitare a
Reggio anche lei.
Aveva qualche anno più di me,
sono andata a trovarla qualche
anno fa, prima che morisse, e si
ricordava di noi, di queste cose.
Quando i casant venivano a
casa nostra, alla sera ci
sedevamo sotto il portico a
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sfogliare al formintoun (granoturco) e cantavamo delle
canzoni… “Il mazzolin dei fiori”.
Del tempo di guerra ricordo poco, so che si andava tutti, anche
i casant, nella nostra cantina quando di sera passava
quell’aereo “Pippo”.
Abbiamo avuto in casa i soldati a dormire una notte, io ero una
bambina e non ricordo se erano stranieri, ma non ho avuto
paura.
Quel mazzolin di fiori
Quel mazzolin di fiori che vien dalla montagna
e bada ben che non si bagna che lo voglio regalar
Lo voglio regalare, perché l’è un bel mazzetto
lo voglio dare al mio moretto questa sera quando ‘l vien
Stasera quando ‘l viene sarà una brutta sera
E perché sabato sera lu non l’è vegnù da me
Non l’è vegnù da me, l’è andà dalla Rosina
e perché mi son poverina mi fa pianger e sospirar
Mi fa pianger e sospirare sul letto dei lamenti
e cosa mai diran le genti, cosa mai diran di me?
Diran che son tradita, tradita nell’onore
e a me mi piange il cuore e per sempre piangerà.
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Nei campi con il papà
Da bambina, dopo la scuola andavo sempre con mio padre a
vendemmiare o a voltare l’erba per fare il fieno, mi prendeva
sempre con lui, am vriva un bein da mat.
La mamma stava in casa a fare da mangiare, a me non piaceva
andare nei campi, ma lui mi prendeva molto volentieri, era
tanto buono e bravo con me che poi mi piaceva e lo
accontentavo.
Quando andavamo a vendemmiare avevo circa dodici anni e lui
mi diceva: “Veh Ivanna, te to so l’ova basa, ag vag po me in
sema al scalet” (Ivanna tu raccogli l’uva in basso, raccolgo poi
io quella in alto con la scaletta).
Aveva paura che cadessi. Mi trovavo bene con lui perché era
un uomo che parlava.
A mezzogiorno, non andavamo a casa, siccome era un
po’distante portavamo dietro il mangiare. Un po’ di salume i
contadini ce l’avevano sempre, e il formaggio grana, per frutta
c’era l’uva. Apparecchiavamo in mezzo ai campi sotto un
albero e mangiavamo lì.
Andavo a mietere quando ero un po’ più grande a tredici/
quattordici anni.
Lì ci trovavamo con le mie amiche della mia età, figlie di altri
contadini, anche loro a mietere vicino al nostro campo, perché
ognuno aveva il suo pezzo di terra.
Quando non ero a scuola o a lavorare nei campi con il papà,
andavo dalle suore a ricamare.
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E fom studier l’Omèto
Mi piaceva tanto studiare: “Papà fammi studiare!”
“No, e fom studier l’Omèto”. No, facciamo studiare l’Ometto.
Si chiama Clementino mio fratello, ma anche adesso delle volte
al telefono mi viene di chiamarlo Omèto.
Io ho brontolato tanto con mio padre allora perché mio fratello
che era un
maschio lo hanno fatto studiare e a volte invece di andare a
scuola lui magari andava per suo conto o a trovare
un’amichetta. Io invece ho fatto solo fino alla quinta che me
eg’ iva anca voia de studier. Mi piaceva studiare,da ragazzina
ho fatto anche dottrina ai bambini dalle suore.
Mio fratello ha studiato poi è andato militare presto volontario
e si è arruolato in Aviazione. Ha fatto il corso di Aiuto pilota,
infatti adesso ha una buona pensione. Anche lui non è più tanto
giovane, è nato due anni dopo di me; è rimasto vedovo, non ha
figli. Ci sentiamo spesso al telefono, adesso è a S. Remo in
vacanza e mi ha telefonato anche da là.
Dalle suore Dorotee
Ivanna frequenta la scuola elementare del paese gestita dalle
suore Dorotee, maestre esigenti nell’insegnamento delle
materie scolastiche e delle pratiche religiose.
Le suore rappresentano un importante punto di riferimento per
le ragazze: luogo di incontro formativo e anche di svago.
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Oggi Ivanna è orgogliosa di essere arrivata fino alla quinta
elementare con buoni risultati, le resta il rammarico per non
avere potuto proseguire gli studi.
I primi ricordi sono di quando avevo sette anni e andavo a
scuola dalle suore Dorotee che avevano l’Asilo e la Scuola
elementare femminile lì a Casalgrande.
L’esame lo abbiamo dato alle scuole comunali giù ai Buglioli,
che è un paese sempre in comune di Casalgrande e se volevi
continuare la scuola, dovevi andare lì.
L’esame era in terza e in quinta, noi delle suore eravamo molto
preparate, più degli altri scolari e prendevamo dei bei voti.
Le maestre erano tutte suore, molto severe e allora imparavi,
erano cinque:
suor Liduina, suor Antonietta, suor Marcellina, suor Raffaella,
suor Luigina.
Sono andata dalle suore dalla prima alla quinta elementare.
A scuola ero brava, stavo attenta e ci sono sempre andata
volentieri, mi sarebbe piaciuto che i miei mi avessero fatto
studiare.
Preferivo l’italiano, i calcoli e la matematica non mi piacevano
tanto.
Mi piacevano i dettati non facevo un errore, e anche storia e
geografia erano le mie materie preferite.
Finite le scuole sono andata a ricamare gli asciugamani fatti al
telaio, facevo l’orlo a giorno che si chiamava luce. Per il mio
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corredo ho ricamato le mie lenzuola con le mie cifre P I a
punto croce, a punt imbùti, a punto resta. Io avevo imparato.
Le suore ci insegnavano a cucire quei pannolini per noi donne,
fatti sempre a telaio che erano tessuti tutti insieme in una pezza
lunga, erano uniti da una frangia,
tu dovevi tagliare questa frangia per dividerli e fare un punto
perché non si sfilassero. Allora si usavano quelli, non c’erano
quelli di adesso, che si buttano.
Le suore portavano noi ragazze a visitare il Collegio dove
c’erano le novizie, a veder se nà quelchidona l’andesa in t’al
sori. (Forse qualcuna si sarebbe fatta suora).
Facevamo un giorno di ritiro, andavamo là al mattino e
venivamo a casa alla sera, si mangiava anche tutte insieme,
facevamo delle risate, ci divertivamo così.
C’era una che era di un buffo e diceva: “Al sori dorotee a ghe
d’avis che som in tanti e nà quelchidona ed noetri la vaga in
t’al sori !”. (Le suore dorotee pensano che fra tante qualcuna si
farà suora!).
Una di noi si è alzata e ha detto: “Me in t’al sori ag vag mia;
c’è troppo da pregare”. Dalle suore a Casalgrande infatti c’era
da pregare molto.
Io ho fatto anche dottrina ai bambini e c’era da portarli in
chiesa a dire le orazioni, così ho detto: “Me in t’al sori eg vag
propria mia”.
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L’emozione di recitare
Le suore maestre preparavano anche molti spettacoli di teatro e
le parti degli uomini che pensavano non fossero adatte le
toglievano.
A noi ragazze davano un libretto con la nostra parte da
imparare a memoria.
Io dovevo imparare la parte della suora e mi sono poi messa il
vestito di questa su orina - suor Luigina - che mi andava bene
perché lei era alta come me.
Mi ricordo che una volta prima di iniziare la commedia, il
parroco mi ha fatto scucire l’orlo del vestito per allungarlo
perché diceva che era troppo corto e così ho recitato con l’orlo
scucito.
Allora non c’era il cinema né a Casalgrande alto né ai
Buglioni, quindi facevamo tante commedie e avevamo
moltissima gente che veniva a vederci nel Teatrino delle Suore.
Io mi emozionavo quando facevamo teatro; prima di andare sul
palco mi ci voleva un po’, mi veniva quell’affanno perché
bisognava imparare la commedia in italiano.
Io non avendo studiato ero preoccupata, due mie amiche
avevano studiato da maestre e potevano anche cambiare le
parole con altre dello stesso significato se si dimenticavano; io
invece bisognava che avessi studiato la parte a memoria.
Una volta nella commedia “Tradita” ho dovuto leggere tutta la
storia di questa tradita, ero lì seduta sul palco e non finiva più.
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C’era anche la parte degli uomini, quella che le suore avevano
tralasciato o che avevano adattato, la facevamo noi, alcune mie
amiche si vestivamo da uomo.
Facevamo le Farse e ci volevano gli uomini per fare ridere e
anche lì io mi sono dovuta vestire da uomo, ho fatto la parte di
uno che si sentiva male, ero svenuta e hanno chiamato il
dottore che poi era una di noi con il camice.
Le persone che guardavano lo spettacolo ridevano da matti e
noi anche se non avevamo studiato lavoravamo bene perché e
feven tanti provi, facevamo tante prove prima di presentarci sul
palco.
Oh! Avevamo fatto solo la quinta elementare!
Il teatro era tutto pieno perché quando c’erano queste
commedie tutti venivano a teatro a Casalgrande alto.
Prima di andare sul palco guardavo da dietro i tendoni del
sipario e pensavo: “Oh Dio, Dio! Quanta gente che c’è ! ”.
Dovevo leggere questa parte con il libro aperto vestita da
suora. Andavo bene perché mi applaudivano! Ero contenta, la
gente che ti vedeva applaudiva che non ti lasciavano neanche
finire la parte.
Le commedie ce le insegnava una delle suore una maestra;
un’altra era cuoca e faceva da mangiare.
Una delle suore, suor Luigina la più giovane si confidava con
noi ragazze, una volta che era seduta lì con noi eravamo in
quattro o cinque le abbiamo chiesto:
“ Suor Luigina perché lei è andata nelle suore? ”.
“I miei non avevano la possibilità di farmi studiare e mi hanno
messa in collegio”.
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Stando dalle suore in collegioè diventata suora, come quelle
novizie che una volta abbiamo visto a Montecchio quando
siamo andate a visitare la Casa madre delle suore Dorotee.
Ho un buon ricordo di suor
Luigina.
A quel tempo avevo quattordici,
quindici anni e da più grande
invece facevo i lavori nei campi
fino a quando mi sono sposata.
Nessuna di noi amiche che
eravamo in un bel gruppo e
andavamo sempre lì dalle suore di
Casalgrande si è poi fatta suora, ci
siamo tutte sposate.
Il mio cappello di seta
Sappiamo che Cesarina e Remigio genitori di Ivanna, nei primi
anni di matrimonio accompagnavano la nonna Clementina in
carrozzella ai Buglioni a fare visita alla consuocera Luigina.
Passando per la strada di Casalgrande, la suocera era
orgogliosa di mostrare ai compaesani la bella coppia di
giovani sposi “ E go du be spos”, ho due begli sposi .
Cesarina è proprio una bella nuora e ci tiene a presentarsi
sempre impeccabile. Ivanna la sua bambina, dovrà anche lei
crescere curata ed elegante nell’aspetto.
La mamma era più severa del papà, lei mi sgridava un pò nel
senso che magari andavo a Messa e non avevo ancora fatto il
letto.
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Pensavo: “Al fag po’ dop, e vag mia a let adesa” (Lo faccio
dopo adesso non devo andare a letto).
C’era la Messa alle dieci e io mi preparavo, lei ci teneva che mi
preparassi bene e mi faceva mettere il cappello in testa che io
non volevo, io avevo vergogna perché le mie amiche non
l’avevano.
“Io non lo voglio!”.
“No che te ste bein! Vieni a Messa con me!”.
Il mio era un cappello di seta, a me piacevano le cose semplici
a lei invece no, era una donna molto distinta mia madre anche
se era di famiglia contadina.
Se tu la vedevi anche in casa mentre faceva da mangiare, lei e
la cognata facevano una settimana per uno, ma lei era sempre
in ordine e aveva sempre il suo grembiule.
Io devo aver preso da lei perché e go seimper al grumbiel. Ho
sempre il grembiule. Mi alzo mi lavo mi pettino vado in bagno
e per ultima cosa mi devo mettere il grembiule altrimenti non
riesco a metter su il caffè, mi è rimasta questa abitudine.
La mamma è sempre stata una donna che ci teneva a vestire
bene. Non era una donna adatta ad andare in campagna, era
molto fine, bella con un bel personale.
Io mi dicevo: “Se diventassi come la mamma!”
Lei per esempio aveva un bel seno, io non ne ho.
I miei genitori sono quelli che mi hanno dato gli insegnamenti,
ma chi mi suggeriva cosa dovevo fare, cosa dovevo mettermi
era mia mamma, mi stava un po’ addosso perché bisognava che
io fossi sempre la migliore, ci teneva perché lei era
impeccabile, andava a Messa e non aveva un capello fuori
posto.
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La mia mamma era così ambiziosa che mi profumava con delle
fiale che vendevano e io dicevo: “Mamma! solo io sono così!”
Ero figlia di contadini e lei mi vestiva come una principessa.
Avevo anche una zia sarta sorella del papà, si chiamava Bice,
aveva tre maschi, mi voleva un bene da dio e appena aveva un
pezzettino di stoffa mi faceva le vestine tutte a pieghe.
Un cugino burlone
Ride anche adesso Ivanna nel rievocare gli scherzi di quel
burlone di suo cugino
Giovanni che faceva divertire tutti: amici, clienti, cugini.
Lui era speciale nell’intrattenere, raccontare barzellette e fare
scherzi.
Porgiamo l’orecchio e ancora adesso ci sembra che arrivino a
noi le risa dall’interno della casa dei Prati o dalla bottega del
barbiere.
Il nonno Massimo me lo ricordo, anche Gianni, mio marito, lo
ha conosciuto. Era rimasto vedovo ed era in casa con noi.
Voleva molto bene a noi ragazzi. Aveva una cosa, voleva
sempre il parroco Don Aldo: “Insoma al vin mia Don Aldo?”
E noi: “Insomma nonno non può venire tutti i giorni! Ha la
parrocchia! ”
A un certo punto lui continuava a predicare così, mio cugino
Giovanni che era tanto buffo ha fatto finta di essere lui il prete.
Lui si divertiva a fare gli scherzi e a prendere in giro. Ha detto
a noi ragazzi che ridevamo come dei matti: “Voi state fuori che
vado io dal nonno” .
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Il nonno era cieco, non ci vedeva più e siccome voleva sempre
la benedizione, mio cugino ha preso un po’di fieno l’ha
bagnato nell’acqua e poi: (vocione) “ Massimino! ”
“Oh! E gnu Don Aldo! È venuto Don Aldo! ”
“ E’ tanto che mi cerca…riesce ad alzarsi?”
“ No Sgnor Paroc! ”
“ Beh stia seduto, la benedizione conta lo stesso, si metta con le
mani giunte ”.
Ha fatto finta di dargli la benedizione, e noi dietro la porta a
ridere. Mio cugino Giovanni ci faceva ridere senza bisogno di
andare al cinema.
Faceva il parrucchiere, un giorno una mamma gli ha portato il
suo bambino e gli ha detto: “Tosel bein” e invece al l’ha tose a
brec con la cerga, l’ha tosato a zero con la chierica, per ridere,
ma poi la mamma di quel bambino se n’é avuta tanto a male, è
tornata e gli ha fatto una predica: “Beda Giovàni che me fiol al
ga mia da ander in ti pret!”
Mio figlio non deve andare nei preti va solo a fare la Prima
Comunione! ”
Una vacanza in montagna
Ivanna rievoca avvenimenti impressi nella sua memoria di cui
è stata protagonista insieme ai parenti della famiglia paterna,
i Prati.
Si fa seria ricordando il disagio di una vacanza forzata in
casa degli zii, ride ricordando una buffa situazione vissuta con
la zia Maria.
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Ero una ragazzina e mangiavo poco, mi hanno mandata in
montagna dai miei zii; mia zia si chiamava Fenisia, mio zio
Gìgi una volta che era venuto giù a trovare i miei genitori
aveva detto: “Mandela su, a ghe al ches c’la magna di più.
Mandatela su forse avrà più appetito”
I miei zii avevano un pezzo di terra, partivano al mattino per
andare a lavorare i campi che erano lontani. Mi lasciavano a
casa da sola che io avevo una paura!
In quel paesino erano tutti contadini, ci abitava una famiglia si
chiamavano Capitani, erano i più ricchi del borgo. Sono stati
loro a dirmi di scrivere una lettera, l’ho fatta imbucare da
questa signora Capitani, l’ho indirizzata ai vicini di casa mia a
Casalgrande, alla Cicci . Ci ha pensato lei a farla leggere ai
miei genitori, dicevo che lì io stavo molto male.
Restavo sola tutto il giorno, a ghera tanti et cal moschi.
C’erano tante mosche.
In casa c’erano i pavimenti di assi che facevano sempre
polvere e quando ci camminavo sopra si sentiva un rumore che
mi faceva paura.
Così sono rimasta là poco e sono ritornata casa mia.
Questi zii avevano due figli, Massimo e Francangelo ma lì non
c’erano, forse erano venuti giù in pianura.
Ricordo che il più grande, Massimo, è stato tanto a casa mia e
andava con il treno a Scandiano a studiare.
Dalla parte di mio padre avevo molti cugini maschi .
Lo zio Alcide, uno dei fratelli di mio padre, e la zia Rosina
avevano due figli: Ampelio e Angiolino.
Quando andavo a casa della zia Rosina, per lei era un piacere,
era una brava cuoca e mi preparava la torta di tagliatelline. La
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zia mi prendeva le mani e mi diceva: “Ivanna sposer mia ve
un cuntadein! Con c’al do bèli man lè. To un sitadein ”. (Non
sposare un contadino, con quelle belle mani che hai! Sposa un
cittadino).
E io: “No, me al spos mia un cuntadein!”
In città con la zia Maria
La prima volta che ho visto il mare avevo quattordici anni,
sono andata in treno con la zia Maria da una sua cognata che
lavorava in un albergo a S. Remo.
Siamo rimaste lì quindici giorni.
Mia zia Maria, che abitava insieme a noi, un giorno mi ha
detto: “ E tant ca gò d’ander a Res, vot che g’andoma me e te?
(E’tanto che voglio andare a Reggio, vuoi che ci andiamo
insieme?)
Io le avevo detto: “ Zia , mi raccomando vestiti un po’ bene,
non venire in ciabatte! Perché andiamo sotto i portici a vedere
le vetrine, e là sono tutti ben vestiti. Altrimenti io vado avanti e
non ti conosco più come mia zia ”
Mi viene da ridere, mi sembra ancora di vederla! Si era vestita
bene, si era messa le scarpe coi tacchi: “Le d’mei che toga a
dre al sàvati, perchè se po’ a am vin a fer mel i pe! E’ meglio
che mi porti dietro le ciabatte, se poi mi viene male ai piedi! ”
Io ero una ragazzina di quattordici anni, era una delle prime
volte che venivo in città. Siamo venute a Reggio in treno da
Casalgrande. Dalla stazione a venire sotto i portici (via Emilia
) c’era un bel po’ di strada da fare a piedi, non c’era allora il
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tram. Quando siamo arrivate sotto i portici ha detto: “Ivanna
am fa tant mel i pe!”
“Zia portè pasinsia! Portate pazienza! Se vi levate le scarpe io
non vi conosco per mia zia”.
E lei: “C’ma faghia? Come faccio? Non riesco più a
camminare”. “ Fate come volete ma io non vi conosco” .
C’era la gente fitta così in via Emilia e io avevo vergogna.
Caro mio, quando siamo arrivate verso la fine dei portici non
camminava più, lei non ha fatto tanto, la s’è caveda al scherpi,
anzi, erano due sandali perché era d’estate.
Lei era abituata in campagna, era rimasta scalza e io avevo una
vergogna boia, andavo avanti per mio conto.
Sentivo che mi chiamava: “Ivanna! Ivanna aspetom!
Aspettami!”
Io facevo finta di niente poi mi sono arresa e ho detto: “ Set sa
fom zia? Tornom in stasion, tornom a cà, perché a girer per
Res con vò schelsa me e gò vergogna, som mia in mes i camp
chè! (Torniamo a casa, io mi vergogno con voi scalza ,non
siamo in mezzo ai campi qui! ).
E lei: “A voi ander a fer un gir al Mercato Coperto”.
Voleva andare a fare un giro là dove c’erano tutti i banchetti, le
bancarelle dove vendevano anche le scarpe. Era tardi e non ce
l’abbiamo fatta ad entrare, siamo ritornate in stazione a
prendere il treno senza comprare niente e siamo ritornate a
casa.
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La famiglia Bedeschi
Nella famiglia materna sono in tanti, la nonna Luigina è
rimasta vedova di guerra nel 1915-18 con una nidiata di dieci
figli da allevare, poi negli anni si sono aggiunti anche tanti
nipoti.
Ricordo la nonna materna, l’ho conosciuta bene, si chiamava
Luigina.
Aveva sposato mio nonno Bedeschi Ercole ed era rimasta
vedova con dieci figli.
C’erano mia mamma Cesarina, Gigina, Ornella, Elena, Linda e
Maria che è morta giovane . I maschi erano Nicola, Giovanni,
Livio, Carlo.
Alcuni dei fratelli di mia mamma sono stati in guerra nel 191518.
Mio zio Nicola è stato chiamato e non è più tornato, ha lasciato
la moglie vedova con i figli.
La mia zia più vecchia Linda sorella di mia mamma, aveva
solo una figlia che si chiamava Maria.
La nonna Luigina era rimasta vedova presto e il nonno non l’ho
conosciuto.
I Bedeschi abitavano giù in paese, ai Buglioni, ed erano
contadini, venivano a piedi a Messa a Casalgrande Alto dove
abitavamo noi, le macchine allora non c’erano e loro erano ben
distanti.
Quando veniva la nonna a casa mia, da sua figlia la mia
mamma, si andava a Messa insieme. Finita la messa la
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accompagnavamo a casa fino al Cimitero perché non andasse
da sola, doveva fare ben due chilometri.
Mi ricordo che prima di salutarci mi dava sempre qualche
soldino, ai tempi erano i due soldi.
La nonna aveva il vestito un po’ lungo come andava allora, si
metteva la mano in tasca… lei guai per me!
Perché ai nipoti si vuole quasi più bene che ai figli.
Io volevo sempre andare ad accompagnare la nonna e a volte le
dicevo: “ Nona i voi mia. Non li voglio”.
E lei : “Insoma, se ti dag, toi. Prendili!”
Agh’ è l’Ivanna!
Ivanna ragazzina scende in bicicletta giù ai Buglioni dalla nonna
Luigina a casa dei Bedeschi. Quando la vedono arrivare,i cugini
escono sull’aia ad accoglierla festosi. Ivanna vive con gioia le
relazioni con la sua famiglia e i parenti, si sente coccolata e
circondata dall’affetto di tutti.
Tra i ricordi più belli ci sono le cugine dalla parte di mia mamma,
io ero la più piccola tra loro come età.
Quando ero ragazzina mia madre mi mandava a casa loro, lì ai
Buglioli, in bicicletta, a prendere la verdura: “Và là dala nona!”.
E la nonna mi dava l’insalata, i fagiolini.
Quando andavo là le mie cugine e i cugini venivano fuori nell’aia:
“A ghe l’Ivanna! A ghe l’Ivanna!”. Mi accoglievano e mi
facevano festa.
Mia mamma mi mandava ma io ci andavo volentieri, non erano
solo dei cugini ma c’era anche dell’amicizia. Io ho una foto di
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allora con i cugini della famiglia Bedeschi là nella casa dove
abitavano ai Buglioni.
I Bedeschi erano contadini e stavano bene, avevano tanta terra.
Non dico che fossero i più ricchi del paese, ma quasi.
Dopo sono venute le fabbriche, le Ceramiche e i figli dei figli
sono andati lì lavorare e si sono fatti un’altra strada e si sono
sposati.
Una figlia dello zio Giovanni ha sempre fatto la magliaia, a quel
tempo andava tutti i giorni a Sassuolo in bicicletta, erano le prime
macchine da maglieria, lei era molto brava e faceva otto ore di
lavoro al giorno.
Allora ci divertivamo con poco, andavamo sull’altalena, stavamo
sotto il portico e loro che erano più grandi di me raccontavano le
loro cose, facevamo delle risate per delle stupidate.
Alcune mie cugine ci sono ancora e ci telefoniamo. Io sono molto
riconoscente ai tutti i miei cugini, ci siamo voluti tanto bene.
I cugini Bedeschi
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Le amicizie e i primi amori
Una giovinezza a cui basta poco per ridere e divertirsi: due
chiacchiere con le amiche del paese che si conoscono da
sempre, le recite nel teatro delle suore, le festine con i primi
morosini, ma Ivanna tiene un sogno nel cassetto.
Da ragazzina nei giorni di festa mi trovavo con le amiche dalle
suore, una amica era la Mariuccia, aveva cinque sorelle, una di
loro era poi stata morosina di mio fratello.
Ero molto amica delle contadine del prete, andavo a casa loro e
ci trovavamo insieme anche con i nostri morosini.
Una di loro era la mia amica più intima, si chiamava Imelde,
siamo venute su assieme, abbiamo fatto le elementari dalle
suore assieme.
L’Imelde si è sposata e ha avuto sei figli perché il marito era
molto cattolico, poi si è ammalata ed è morta che il più piccolo
aveva tre anni.
C’erano anche la Liduina e la Maria che abitavano lì da me.
Di amiche ne avevo tante anche dei Buglioni, una si chiamava
Gualberta.
Un’altra mia amica era l’Irma Bonezzi che faceva la
parrucchiera in casa sua a Casalgrande alto, erano in sei sorelle
e due maschi, erano dei casant.
Noi ragazze andavamo da lei, se si voleva andare proprio da
una parrucchiera dovevi andare giù in paese ai Buglioni.
Per fare la messa in piega metteva su tutti i bigodini, non aveva
il casco, usava una specie di fon per asciugare i capelli. Aveva
dei ferri che scaldava con le braci per fare i ricci e le onde .
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Anche mia mamma che ci teneva molto ai suoi capelli,
scaldava il ferro per farsi le onde.
Se andavo a Reggio con l’Irma per vedere le vetrine
prendevamo il treno a Casalgrande. Il treno veniva da
Sassuolo e poi passava da Scandiano, Pratissolo, Fogliano, Due
Maestà.
Io ho passato la gioventù così.
Il primo amore era un ragazzo che abitava lì di fronte, faceva al
caser. Si chiamava Gaetano e quando portavamo il latte al
caseificio mi dava sempre il tosone che teneva da parte per me.
Uno dei miei corteggiatori abitava ai Buglioni.
Quelli lì a me potevano piacere per stare in compagnia ma non
li volevo sposare perché dopo dovevo andare nella stalla.
Avevo tanti corteggiatori, ma tutti contadini.
Ce n’era un altro che abitava di fronte, uno di quei casant che
noi gli davamo da mangiare e si chiamava Liseo (Lisnei).
Dopo l’ho lasciato andare perché è arrivato Gianni.
Le mie amiche hanno sposato dei contadini, forse a loro
piaceva di più andare in campagna.
Avevo anche dei corteggiatori contadini, ma io non li volevo.
La terra mi piaceva, ma solo per guardarla.
In casa mia ci volevamo bene
Come carattere io assomiglio a mio papà, gli ho voluto sempre
molto bene.
Lui mi adorava, quando è stato ammalato cercava sempre me..
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Mio fratello Clementino ha un carattere diverso dal mio, è
andato via presto da casa, a venti anni è andato a Milano, ha
trovato una ragazza, la Nella, si è sposato e poi è rimasto
lontano.
Io invece sono rimasta in casa finchè mi sono sposata.
Quando mio fratello chiamava le amiche e gli amici, si
divertivano in casa ad ascoltare la musica con il grammofono e
lui diceva a mia madre di mandarmi a letto.
I miei genitori da anziani hanno vissuto in questo appartamento
dove adesso abitiamo io e Gianni, la mamma aveva
l’esaurimento e sempre chiamava me.
Mio padre non la sgridava mai, era molto buono ha portato
sempre pazienza,
le diceva: “ Cesarina tes adesa a vin l’Ivanna. Taci adesso
viene l’Ivanna ”.
Mia mamma soffriva di questo disturbo da molto tempo e mio
padre ci stava male se qualcuno la sgridava, lui sopportava e
non le ha mai detto: “Taci!”, in malo modo come fanno certi
mariti.
Lei voleva sempre qualcuno e chiamava continuamente.
Quando andavo a trovarla si calmava un pò.
Forse se avesse avuto un marito più deciso sarebbe stato
meglio, avrebbe reagito un po’di più; avendo un marito così
buono lei non ci saltava fuori.
Mio padre aveva tante premure e attenzioni.
Anche adesso quando vado al cimitero di Casalgrande a trovare
i miei genitori vedo la mia casa che c’è ancora dove ora abita
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mio cugino Walter, mi viene in mente tutto il passato. Quando
andavamo lì in macchina dicevo a Gianni: “Vai piano ”.
Ho tanti bei ricordi, in casa mia ci volevamo bene.
Andavamo d’accordissimo, tranne le due cognate (la mamma e
la zia). Ero l’unica femmina, mi volevano bene tutti: i cugini,
il papà, la mamma e mio fratello.
E’ arrivato il cittadino
La campagna di Casalgrande è bella ma “ La terra è troppo
bassa” dice Ivanna.
I corteggiatori non le mancano, sono i bravi contadini del
paese. Un giorno però sul sagrato della chiesa appare un bel
giovane dall’aria cittadina.
Chissà Ivanna! Se ci credi davvero, prima o poi i sogni si
avverano.
Gianni mi piaceva moltissimo perché era anche un bel ragazzo
e poi a me piaceva venire in città.
Lui aveva un fratello prete, don Pietro, che era Curato nella
mia parrocchia (allora c’erano l’Arciprete e il Curato).
Veniva a trovare suo fratello e l’ho conosciuto lì alla chiesa sul
sagrato, ci siamo incontrati e poi frequentati.
Noi giovani dell’Azione Cattolica andavamo in chiesa, alla
Domenica ci trovavamo a casa di uno e dell’altro, facevamo le
caramelle di pomo e veniva anche Gianni nel nostro gruppo.
Ha cominciato a praticare casa mia, la cosa è andata così: non
mi ha fatto una dichiarazione, me l’ha fatto capire che voleva
venire a moroso da me.
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Gianni mi scriveva lettere d’amore perché allora Reggio era
lontano e non c’era il telefono. Chissà dove sono finite quelle
lettere! Non le ho più trovate. Quante lettere! Lui era bravo a
scrivere perché aveva studiato, era impiegato.
Le prime volte veniva da Reggio in bicicletta poi dopo in moto,
è venuto per cinque anni e gli ultimi veniva in macchina.
Allora Casalgrande era lontano e la mia mamma diceva:
“Sperom che stasira al vegna mia perché a piov! Speriamo
che stasera non venga perché piove!”. Invece dopo un po’
arrivava, era impiegato e non veniva a moroso presto come
fanno i contadini alle sei o alle sette, lui veniva alle otto o alle
nove quando i contadini andavano a letto.
Mia madre doveva stare lì a guardarci. Adesa ghe stan mia al
veci a bader ai moros. Io non stavo sempre lì con le mie figlie
a guardarle, quando venivano i loro ragazzi, andavano in sala e
io e Gianni in tinello.
Non facevo come mia madre, una volta si vede che erano più
rigidi.
Io ho passato una gioventù non libera, si andava a casa di una
amica a ballare, facevamo delle festicciole, ma a ballare nei
locali pubblici no, non se ne parlava neanche. Quando
andavamo a queste festine veniva con noi una mamma.
Ballavamo con il grammofono tra amiche e amici della
parrocchia.
Il primo bacio Gianni me lo ha dato fuori la volta che …
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Era di Domenica verso sera, andavamo a piedi e io lo
accompagnavo verso la stazione di Casalgrande fino dopo il
cimitero perché le prime volte lui veniva in treno da Reggio.
Lì non c’era nessuno e allora ci scappava di darci un bacio, i
primi baci sono stati lì per strada. In casa mia c’era sempre
qualcuno, mia madre, questi miei cugini che erano sempre lì
con me.
Non eravamo mai soli, la mamma stava lì con noi quando
Gianni veniva a moroso, faceva la calza con i ferri, si alzava
presto al mattino e si addormentava, ma stava lì.
La mamma era contenta che mi sposassi con lui ma ci stava
male perché venivo ad abitare distante da loro.
Il nonno Massimo non era contento che avessi Gianni per
moroso.
“Me so mia, la và a tor un sitadein,che gom tant ragas che!
Va a sposare un cittadino che abbiamo tanti ragazzi qui! ”
Aveva paura perché pensava alla distanza da Reggio a
Casalgrande, era un trauma per mio nonno.
Da Reggio a Casalgrande sembrava di andare a Milano.
Dopo sposati io e Gianni andavamo tutte le Domeniche a
Casalgrande dai miei.
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Ivanna e
primavera
Gianni
sposi
a
Ci siamo sposati il 9 Aprile nel
1954. Io avevo 24 anni e Gianni ne
aveva 33.
Una mia amica parrucchiera, la
Irma Bonezzi, mi ha aiutata a
vestirmi, avevo un bellissimo
vestito di raso bianco operato, ce
l’ho ancora, a casa in via Don
Pasquino.
Il vestito me lo aveva cucito mia cugina Maria (Nucci) che era
sarta e aveva fatto tagliare il modello alla Maramotti.
Quella mattina lì ero emozionata. Mamma mia!
Sono andata alla chiesa di Casalgrande alto a sposarmi e mio
padre mi ha accompagnata all’altare.
Ricordo bene che avevo a braccetto lui su per la scalinata lunga
che c’è per arrivare alla chiesa, dietro c’era mia zia Bice che mi
teneva su lo strascico.
Stavo proprio bene, ho le foto di allora.
Una nuova famiglia in città
Abituarsi al nuovo contesto della città al fianco del marito non
sarà difficile per Ivanna, in fondo è quello che desiderava.
La loro casa è un luogo aperto all’accoglienza, c’è posto per i
nonni nel reciproco rispetto, per la piccola nipote di Giovanni
amata allo stesso modo dei quattro figli che verranno.
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Dopo sposati siamo venuti ad abitare con i genitori di Gianni in
via Franchi dietro la chiesa della Ghiara, a Messa andavamo in
Duomo.
A me è sempre piaciuto venire in città e mi sono trovata bene
subito.
In famiglia c’era anche la Maria Pia che allora era una
bambina. Era figlia della sorella di mio marito che è stata
allevata da mia suocera dopo che mia cognata è andata a
Milano a lavorare. Mia nipote Maria Pia è rimasta con noi fino
a venti anni. E’ diventata maestra poi sua mamma l’ha voluta
con lei a Milano e ha trovato un lavoro là. E’ cresciuta insieme
a noi nella nostra famiglia, lei è un po’ più grande dei miei
figli.
È andata benissimo tra loro, anche adesso hanno un buon
rapporto.
Maria Pia è molto carina, molto brava e guai per suo zio mio
marito, perchè le ha fatto da padre. Si è poi sposata e ha due
figlie, ci vediamo ogni tanto e ci telefona.
E’ riconoscente verso suo zio, lui l’ha fatta studiare.
In quella casa è nata la Cristina nel 1955, poi l’Antonella nel
1957 e anche la Deanna nel 1958, che poi mi è morta.
Morire una bimba di nove mesi! Ho solo una foto da morta
dove ha indosso il vestitino bianco che le avevo messo. Mai più
si pensava che andasse a morire, non aveva mai avuto una
malattia. La Deanna è morta con la polmonite, le è venuta la
febbre alta e poi la meningite.
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Via Don Borghi
Un nuovo appartamento bello e spazioso all’interno del quale
la famiglia Ovi si trova proprio bene, mentre si instaurano
buone relazioni con i vicini della scala.
Questa di via Don Pasquino Borghi è per Ivanna “ La sua
casa”.
Ci ha abitato per oltre trenta anni, e ancora oggi che non è più
là continua a mantenere vivi i contatti con alcune amiche del
vecchio condominio.
Siamo andati ad abitare in via Don Borghi nel 1960 nelle case
dell’Istituto.
Lì sono nati la Daniela nel 1961 e Roberto nel 1964.
In via Franchi eravamo in stretto con anche gli suoceri e dopo
avevamo fatto la domanda per avere l’appartamento nelle
nuove case dell’Istituto.
E’ stata una fortuna averlo perché c’erano tante domande.
C’erano tre camere da letto, la sala da pranzo, il tinello, il
cucinotto, due terrazzi.
Insomma abbiamo un appartamento che…Io quando mi trovo
qua mi sembra di essere in prigione, anche se poi si sta bene,
siamo solo in due!
Là ho ancora tanta roba, non ho toccato niente, qui adopero
quello che c’è e se mi manca qualcosa vado a prenderla là.
In via Don Borghi i primi anni non c’era ancora l’ascensore,
era una scomodità arrivare al terzo piano, i negozi erano sotto
casa e dovevi portare le borse su per le scale. In via Don
Borghi ci siamo goduti la casa, anche i miei figli si sono goduti
la casa e il cortile che avevamo.
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A quel tempo ci abitava solo la nostra gente, i reggiani e i miei
ragazzi avevano tanti amici, andavano alla scuola elementare
Marconi.
La Cristina era quella che stava più in casa, si metteva sul
balcone e leggeva, invece le altre due e Roberto non venivano
più su, lui aveva trovato degli amici che abitavano lì vicino
nelle case popolari e andava giù in via Doberdò a giocare al
pallone. Invece la Antonella e la Daniela stavano nel nostro
cortile, era un bel parco.
Io ero tranquilla, li vedevo che erano lì, a me piaceva molto.
Io andavo poco giù in cortile, le persone della scala le
incontravo sul pianerottolo, oppure se andavo giù qualcuno mi
sentiva e magari apriva la porta per fare due chiacchiere, come
la signora che è morta pochi giorni fa e sono andata al suo
funerale, era una gran buona donna.
C’era una ragazzina, la N. che veniva sempre a casa nostra, era
molto affezionata a noi specialmente a me. Era molto buona e
sveglia, faceva sempre delle torte e ce ne portava giù. E’
venuta anche qui a trovarci.
Di fronte a noi c’era la famiglia dei M. Erano buona gente,
non si sono mai lamentati per la confusione che facevano i miei
ragazzi e le loro amiche.
La famiglia sotto di me aveva otto figli.
Noi della scala non abbiamo mai avuto dei litigi, andavamo
d’accordo.
Tante volte quando vado a letto alla sera mi viene in mente e
dico a Gianni: “Mamma mia! A sembrom in un simitèri!
Sembra di stare in un cimitero!”. Non si sente niente, mi sto
abituando ma qui non c’è anima viva, là c’era sempre un po’ di
confusione con i ragazzi.
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Una bella confusione
I ragazzi crescono e si fanno le loro amicizie, giocano in
cortile e poi vengono tutti su in casa in un festoso vivace
andirivieni.
Ivanna fa notare alle ragazze la presenza della nonna Pia, la
quale continua a cucinare i suoi buoni piatti senza fare caso a
tutto quel chiasso, e semmai si ritira nella sua stanza a
leggere.
Io non ho mai lavorato fuori, con la famiglia che avevo! Ero
proprio contenta e stavo bene perché ho incontrato una buona
suocera. Si chiamava Pierina la chiamavano Pia, mio suocero si
chiamava Ernesto. Si era sposata non tanto giovane e prima era
sempre stata in casa con il fratello che era Monsignore in una
parrocchia di Castelnovo Sotto.
La nonna Pia è sempre rimasta con noi anche dopo la morte di
mio suocero, e allora diceva: “Se egh’esa mia Giovanii!”.
Chiamava così mio marito.
Lei avrebbe voluto stare con il figlio Don Pietro in una
Canonica come aveva fatto da giovane con suo fratello, Don
Pietro invece non aveva una parrocchia, faceva il predicatore e
viveva in Seminario, andava a predicare dove lo chiamavano,
anche all’estero. Ci va anche adesso che ha più di novanta anni
a predicare qui vicino.
Era bravissima a fare da mangiare perché a quei tempi si
mangiava meglio in una Canonica. Mi trovavo bene con lei, io
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non riesco a litigare. Non riesco a sopportare due che litigano.
Se devo litigare piuttosto sto zitta.
Mia suocera non mi dava proprio l’occasione.
Quando c’erano tutti e quattro i miei figli facevano una
confusione!
Lei non li ha mai sgridati, si chiudeva nella sua camera a
leggere i giornali, “Il Resto del Carlino, e non si è mai
lamentata.
L’Antonella, la mia seconda figlia portava su tutti gli amici e
le amiche, si cambiavano i vestiti andavano su e giù facevano
un baccano! Io dicevo: “ Ma ragasoli ghe la nona là!
Ragazzine c’è la nonna!”.
Lei non ha mai detto: “Chi ragas lè e fan d’la confusione!”
Quei ragazzi fanno confusione!
Se ci fosse stata la mia mamma invece, lei aveva un carattere
diverso.
La cioccolata di nonna Pia
Io mi occupavo dei figli e trovavo pronto il mangiare perché ci
pensava mia suocera in cucina. Non c’era una gran abbondanza
perché lavorava solo Gianni, con quattro figli!
Lei riusciva a fare dei buoni piatti con poca spesa.
Le mie figlie dicono anche adesso: “ Ti ricordi? La nonna Pia
faceva quel riso asciutto con lo zafferano che era così buono!”.
Lo faceva giallo poi ci metteva il burro sciolto e il formaggio.
Allora non si mangiava della gran carne.
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Tante cose le ho imparate da lei perché noi contadini
mangiavamo i salumi, molti affettati, quello che avevamo in
casa. Noi non sapevamo cosa era lo zafferano.
In casa mia, il flan non sapevamo cosa fosse, lei faceva i flan
con le patate e gli spinaci che diventava con un ripiano sotto
giallo e quello sopra verde. Li cuoceva nello stampo con il
buco e dopo ci metteva dentro i piselli in umido,
era un piatto buonissimo.
Io e la Pia siamo state bene insieme.
Mi ricordo sempre le scarpe che puliva alla sera. Prima di
andare a letto, mi diceva: “Ci sono le scarpe dei bambini che
domani devono andare a scuola. Portamele qua che le pulisco
io”.
Si metteva il grembiule davanti, c’era da fare con quattro da
mandare a scuola.
Io invece lavavo le calzine bianche la sera e al mattino i
bambini andavano a scuola perfetti, sempre con scarpe o
sandalini puliti puliti.
Le vicine di casa dicevano : “Non sentiamo mai discutere
l’Ivanna con sua suocera!” C’era invece chi litigava con la
suocera.
La Pia mi aiutava molto e mi sono sempre sentita libera anche
con mio marito. Se era stanca andava nella sua camera con il
suo libro da Messa, andava a letto prima di noi perché durante
il giorno aveva da fare per il mangiare.
I miei bambini non sono mai andati all’Asilo e li abbiamo
sempre tenuti io e mia suocera.
Ci eravamo divise i lavori, io pensavo alle pulizie di questo
appartamento grande, a lavare e a stirare. La prima lavatrice,
una Candy, me l’ha pagata mio padre quando è nato Roberto,
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prima dovevo lavare tutto a mano. Ce n’era tanto di lavoro da
fare.
Io ho imparato tante cose di cucina da lei, dopo che è morta ho
continuato io, ogni tanto mi viene voglia di fare il flan come
faceva lei.
I miei figli si ricordano ancora quando per i loro compleanni, la
nonna Pia faceva il cioccolato in tazza e venivano su tutti gli
amici. “ Nonna, fai la cioccolata!”. Lei la preparava in un
modo speciale, metteva latte e cioccolato nel tegamino sul
fuoco. Io la guardavo mentre con pazienza andava avanti e
indietro a mettere e togliere il tegame perché il cioccolato
venisse denso. Io le dicevo: “Ma nona, al va bein! Va bene!”
Un terrazzo che guarda sul cortile
Un padre attento che osserva e ascolta i figli e dialoga con
loro senza sprecare le parole. Mamma Ivanna è sempre
presente, affaccendata da sera a mattina a mantenere in ordine
la casa e i figli.
In estate alla Domenica prendevamo su i quattro ragazzi e
andavamo in montagna verso Casina; quando avevano le
vacanze andavamo a Baiso, a Cassinago dove c’era la casa
degli Ovi, i suoi di mio marito.
Mia suocera non è mai voluta venire, lei stava bene a casa
faceva da mangiare e poi andava nella sua camera a leggere i
giornali, “Il Resto del Carlino”. Siamo andati anche al mare
quando mia suocera ormai non c’erano più.
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Andavamo sempre a Marina di Massa, avevamo preso un
appartamento in affitto da una famiglia che conosceva la
Cristina. Ho ancora le foto, chissà dove sono!
Con i ragazzi ero quasi più severa io di Giovanni, lui era severo
quando loro andavano giù in cortile alla sera dopo cena con i
loro amici.
Erano ragazzini di quattordici, quindici anni e lui non è mai
stato tranquillo. Loro lo vedevano da giù: girava sul terrazzo
quello dietro. Non so quanti giri faceva e loro semmai
ridevano!
Lo vedevano bene Gianni perché era illuminato dalla luce che
veniva dalla cucina.
Quando venivano su loro mi raccontavano: “Mamma, il papà
girava sempre sul terrazzo! ”.“Lo sapete, vostro padre va a letto
quando voi venite in casa, se lui va a letto prima non dorme”. E
dunque erano lì nel cortile con i lampioni, dove c’era anche
una bella vasca con l’acqua.
Io non ho mai sentito Gianni sgridare i ragazzi, io li sgridavo di
più se facevano una cosa che… ma non mi hanno dato tanto da
fare, non mi hanno fatto tanto sgridare.
I miei figli sono stati abbastanza bravi, questo lo dico proprio a
voce alta. Hanno molto rispetto per noi due genitori.
Ci sono certe figlie che vogliono andare avanti indietro, le mie
ragazze invece stavano in cortile con un amico o un’amica e
non andavano via di lì perché sapevano che il loro padre le
guardava dal terrazzo.
Tutte le mie figlie erano aperte con noi genitori, si parlava.
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Raccontavano sì e no delle loro cose, solo quello che
interessava loro di dire.
Loro avevano sempre da raccontare al papà. Veniva a casa da
lavorare e io dicevo: “Ragasoli lasè magner voster peder!
Lasciate mangiare vostro padre! ”.
Tornavano da scuola e avevano sempre da dire: “Papà la
maestra ha detto questo…la professoressa ha detto
quest’altro…”. Raccontavano più le loro cose a Gianni che a
me, forse lui li comprendeva perché aveva studiato più di me.
Parlavano ed erano ascoltati dal loro padre.
I ragazzi in cammino
I momenti più belli erano i compleanni che facevano i miei
ragazzi.
Venivano su gli amici dal cortile e c’era anche mia suocera.
Facevano della confusione ma era anche una gioia averli tutti
assieme.
Dopo hanno cominciato ad avere i morosetti
Quando si sono sposati i miei figli non ero tanto contenta che
andassero, ero un po’ preoccupata. Il mio pensiero era che non
li vedevo più come prima, ero abituata a vederli sempre, ti
riempivano la casa, dopo viene questo vuoto.
Quando mi sono sposata io, ad esempio, a mia madre che già
soffriva di esaurimento al ghe gnu ancora più gros.
Sono venuta Reggio, i miei erano di Casalgrande, sembreva
che andesa a Milan.
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Quando i miei ragazzi andavano a scuola e portavano a casa dei
bei voti, per me era una emozione grande. Una mamma pensa a
come andranno i figli a scuola. Specialmente la Cristina aveva
una maestra molto severa alle elementari. Dovevano studiare
per prendere dei voti abbastanza belli, per non essere rimandati
o bocciati, ma sono sempre andati avanti bene.
Le preoccupazioni vengono quando i figli si sposano e vanno
per loro conto e li vedi meno.
L’Antonella era vivace e portava su in casa le amiche, si
vestiva con quei vestiti lunghi per Carnevale. Avevamo una
cassapanca nell’entrata dove metteva i suoi vestiti, la apriva e
poi loro ragazzine se li mettevano. Andava giù con queste sue
amichette. Io dicevo con Gianni quando era a casa di
Domenica: “Guarda!”. Metteva tutte in fila le sue amiche e
faceva fare loro ginnastica. E’ sempre stata una ragazza aperta,
socievole con molte amicizie, anche adesso che è sposata con
tre figli.
La Cristina ha un altro carattere, aveva anche lei le sue
amicizie ma era più riservata.
La Daniela è la più giovane delle mie figlie ed ha la passione di
fare tante cose con le mani: i fiori di seta, il decoupage.
Mio padre quando ero incinta e già avevo tre figlie mi diceva:
“Quando nasce se è un maschio ti regalo la lavatrice! ”.
E così quando è nato Roberto nel 1964 mio padre mi ha
regalato una Candy, una delle prime lavatrici che sono venute
fuori, costava diecimila lire.
Roberto in casa parlava un po’ meno delle sorelle, non stava
tanto lì a chiacchierare con suo papà, lui scappava, mangiava
poi andava giù con i suoi amici, aveva la mania del pallone.
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Giocava in una squadra, anche da bambino avevano da fare le
partite. C’era uno di S.Maurizio che lo veniva a prendere per
fare gli allenamenti e le partite. Adesso è suo figlio Gabriele
che gioca a calcio.
Le sorelle erano perfino gelose del fratello forse pensavano che
noi genitori volessimo più bene a lui che a loro perché era un
maschio. Dopo quattro femmine!
I condomini della nostra scala dicevano: “Meno male che
l’Ivanna ha avuto il maschio, altrimenti Ovi chissà quant ag
n in feva comprer! Chissà quanti gliene faceva comprare di
figli! ”.
Allo stesso tempo le ragazze volevano bene a Roberto.
L’Antonella si occupava della Daniela, la sorellina più piccola,
la Cristina teneva di più Roberto che era il cocco.
Le ragazze se lo litigavano perché era il più piccolo e lo
andavano a cullare nel lettino perchè dormisse.
I miei figli erano molto attaccati fra loro, sono sempre andati
d’accordo, non li ho mai visti fare delle gran litigate.
Ivanna ieri e oggi
Gianni ha un buon carattere, noi non abbiamo mai litigato. Non
posso lamentarmi di mio marito, io delle volte gli dico su,
magari perché mangia poco. Lui non mi ha mai detto: “Fat in
à. Fatti in là ”.
Io ho un carattere che non mi tengo le cose dentro e dico quello
che penso ma lui non dice niente, anche con i figli .
Gianni lascia fare e dire, a me piacerebbe che lui dicesse la sua
opinione e non dare ragione a uno e all’altro.
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Io non vorrei avere sempre ragione, a volte gli dico: “ Se tu la
pensi diversa da me dillo! ”
A me piacerebbe avere un confronto, se ho ragione io o se ha
ragione lui, ma ormai non posso pretendere che cambi, mi va
bene così.
Io invece non tengo dentro. La mia mamma era buona ma mi
diceva: “ Se vedi che hai ragione dì la tua! ”.
Lei invece taceva quando era in casa con mia zia Maria, che
voleva sempre avere ragione.
“Le d’mei dir che ciaper l’esaurimeint. E’ meglio parlare che
prendere l’esaurimento ”
Sono però una persona che non è capace di litigare, io piuttosto
taccio, per me stare in pace è importante. Non posso sopportare
due persone che litigano.
Penso che sia perché quando ero una bambina ed eravamo in
famiglia stavo così male a vedere questa mia zia con mia
madre che si “beccavano” per niente. Mia mamma piangeva,
aveva un carattere diverso.
Mia zia invece era proprio un carabiniere, anche con me, mi
faceva lavare le scale due volte, e lì mi veniva un po’ il
nervoso.
Questa cosa che ho vissuto mi è rimasta in mente. Dicevo con
mia madre: “ Se mi sposo, a costo di mangiare una volta al
giorno, io in casa con una cognata non ci vado”.
Quando i suoi figli facevano qualcosa che non andava, lei li
picchiava in testa con la spazzola da scarpe. Non voleva che si
sporcassero, se si facevano una macchia, cominciava: “
Guerda st’e fat! Guarda cosa hai fatto!”
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Io ci stavo tanto male, difendevo i miei cugini le dicevo: “ Ma
no zia ! ”.
Mia madre poteva brontolarmi dietro se ne avevo bisogno ma
io non l’ho mai sentita cattiva verso me.
Dopo si sono divise le famiglie, era meglio che si fossero divisi
prima.
E som una bèla squedra
I giorni scorsi ero preoccupata perché doveva nascere la bimba
di mio nipote Samuele; dicevo all’Antonella: “Dimmelo subito
appena nasce quella bimba! ” Perché io ero agitata, sapevo che
ormai doveva nascere, alla fine di Marzo.
E adesso c’è una bella notizia, sono diventata bisnonna di una
splendida bambina, l’hanno chiamata Agata.
E’ nata il 28 Marzo verso le quattro del mattino e a me l’hanno
detto alle otto. Il giorno di Pasqua sono venuti con la bimba
dalla Cristina e ci siamo trovati tutti lì, a gheren in ‘na bela
squadra, eravamo in una bella squadra.
Sono molto contenta perché dove siamo io e Gianni magari se
ci troviamo a casa della Cristina, va pur là che ci sono i nostri
figli, tutti vengono.
Io dico sempre ai miei figli e ai nipoti che si facciano la loro
vita anche loro. Il mondo non è tutto bello come sembra, ci
sono anche le preoccupazioni; adesso che è nata questa bimba
sono felicissimi ma le cose sono cambiate, i genitori non
dormiranno più tranquilli come prima, non è tutto rose e fiori.
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Sono ben contenta che abbiano dei figli perché così capiscono
cosa vuol dire avere la responsabilità di essere genitori. Ci
tenevo molto ad avere dei figli, quando mi sono sposata sono
stata tre mesi senza e avevo paura di non averne, dopo invece
sono arrivati.
Io l’ho provato, avevo solo un fratello ma essendo andato a
militare, siamo stati poco insieme e poi lui aveva i suoi amici;
le mie figlie invece essendo in tre sorelle, a volte vanno via
insieme, parlano tra di loro e si possono aiutare.
Io voglio un bene uguale a tutti i miei sette nipoti, è un bene
diverso da quello che si vuole ai figli. Sono bravi e belli, forse
una nonna li vede anche più belli, da uno all’altro per me non
cambia.
Tommaso studia a Pavia, quando viene a trovarmi, io smetto di
fare i miei lavori per ascoltarlo, mi piace molto parlare con lui.
Suo fratello Damiano fa il liceo, ha un carattere espansivo, con
me è molto affettuoso, delle volte mi abbraccia così forte che
quasi mi fa cadere.
Mi piacciono tanto i miei nipoti, per me sono importanti, ti
rendono più espansiva. Anch’io sono più affettuosa con loro
che con le altre persone.
La Cecilia fa il liceo, è molto bella è castana, sa fare dolci
molto buoni. Domenica ci ha fatto la torta di cioccolato e
l’abbiamo mangiata tutti assieme. Forse ha preso da suo nonno
Giovanni, lui ha fatto tanti dolci, una sua specialità era la
bavarese lombarda.
Giovanni è carino, fa le superiori, è bravo a giocare a calcio.
Gli hanno messo il nome del nonno, lo chiamano proprio
Giovanni e non Gianni come mio marito.
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Maddi, Maddalena, studia, adesso la vedo meno perché fa
l’università all’Aquila. E’ una bella ragazza bionda, ha gli
occhi tra il verde e il blu. E’ espansiva, quando viene da noi ci
bacia e ci abbraccia.
Gabriele fa la terza media, è diventato alto come suo padre e
anche lui ha la passione del calcio. Oggi mio figlio è venuto a
pranzo da noi e gli ho detto: “Come mai non hai portato Gabri?
” E lui mi ha risposto: “ Perché ha una partita di calcio”.
La mia vita, la mia casa
Nella mia vita di tutti i giorni c’è il pro e il contro perché la
mia casa è là in via Don Borghi, però se vado là sono in strada
quando esco. Ce l’avremmo un bel parco, il Campo di Marte,
ma Gianni non guida più la macchina, andarci a piedi è lontano
e sulla la via Emilia c’è un traffico boia!
Gianni forse è abbastanza contento di stare qui, io non lo so
cosa pensa, vorrei che dicesse la sua. Siccome in questo
appartamento ci abitavano i miei genitori io ci sto un po’… Li
ho sempre lì davanti.
Tante volte ci penso a quando venivo fino qui a trovarli in
bicicletta da Ospizio, allora non c’era il traffico. Le volte che
sono venuta! Quando i bambini erano a scuola oppure li
lasciavo a mia suocera.
Alla fine vorrei dire che sto tanto volentieri in questa casa
perché siamo vicini ai figli, se abbiamo bisogno di loro,
specialmente per Gianni. Qui io mi sento più sicura, altrimenti
andrei nella mia casa là in via Don Borghi.
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Le mie speranze sono di stare in salute e di non soffrire.
Desidererei non rimanere vedova, non rimanere da sola, perché
anche se hai quattro figli è brutto restare da soli. Se dopo vai
da loro, ognuno però ha la propria famiglia. Io ho provato cosa
vuol dire con mia madre, che dopo la morte di mio padre è
venuta ad abitare con noi. Da quello che ho visto con lei, io
penso che si possa stare male l’uno e l’altro, anche se i figli ti
vogliono bene.
Ce l’ho proprio fatta!
Oggi vorrei ringraziare sia mio padre che mia madre, mio
padre mi voleva un bene dell’anima. Quando è morto ho
provato un grande dolore e ho sentito molto la sua mancanza.
Anche quando è morta la mamma ne ho sentito la mancanza,
ma lei era un po’ più severa del papà. Lui me le dava tutte di
vinta quando ero piccola, andavo sempre con lui nei campi,
eravamo molto legati.
Quando mi sono sposata piangeva più lo che me medra.
Io sono contenta della mia vita, non ho passato tante cose
brutte che altri hanno passato. Non ho mai litigato con
qualcuno e perciò non mi è rimasto nessun rancore.
Sto bene di salute, i miei figli sono vicini e spesso vengono,
anche Roberto a volte si ferma a pranzo.
Io e Gianni siamo contenti quando passiamo quei momenti
insieme a loro.
Non mi danno pensiero, sono veramente abbastanza bravi con
le loro famiglie e i figli.
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Se guardo indietro vedo che abbiamo fatto anche dei sacrifici e
mi domando: “Come abbiamo fatto? Anche mia suocera ha
sopportato tutti quei nipoti che facevano quella confusione! ”.
Portavamo tutti più pazienza di come fanno oggi, lasciavamo
perdere le piccole cose che potevano fare litigare.
Una cosa che avrei voluto fare nella vita? Era di potere
studiare, ho fatto solo la quinta, ma come ho già detto, una
volta i genitori chi facevano studiare? I maschi.
E poi… volevo sposare un cittadino e ci sono riuscita.
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POSTFAZIONE
Cara Ivanna siamo arrivate al termine dei nostri incontri per le
interviste e io desidero dirti grazie perché raccontandomi la tua
storia da quando eri bambina fino ad oggi che sei nonna, anzi
bisnonna, mi hai resa partecipe della tua vita.
Mi sono sentita accolta nella tua casa come tu sai fare, con
semplicità.
Ho avuto la opportunità di conoscere tuo marito Gianni e i tuoi figli.
Hai raccontato di te affidandoti al mio ascolto, facendomi dono delle
tue esperienze di vita. Tutto questo mi ha fatto bene, ho imparato
delle cose importanti, come quella che è possibile diventare anziani
in serenità e benessere.
In età avanzata è facile sentire chi si lamenta per i vari malanni della
vita, tu invece sei una donna grande che non brontola.
Quando ti ho chiesto come stavi, ogni volta hai risposto: “Direi
abbastanza bene! Non mi lamento!”.
Ti ho sentita in pace con te stessa e con tutti, circondata dall’affetto
dei tuoi cari che sono per te la cosa più importante.
Vedo al centro del tavolo nel tuo soggiorno il vasetto di fiori rosa
che un giorno ti ho regalato; continua a fiorire grazie alle tue cure,
perchè di giorno lo sposti sul davanzale alla luce del sole.
Quella piantina è un piccolo segno della nostra amicizia che
continuerà anche quando lei smetterà di mettere fiori, infatti noi due
insieme a Gianni abbiamo in programma chiacchiere, passeggiate
nel parco e tè al Circolo.
E ricordati che prossimamente mi devi far vedere la tua casa in Via
Don Borghi!
Deanna
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Stampato nel mese di maggio 2010
dal Centro Stampa del Comune di Reggio Emilia
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