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Fegato-Vie biliari

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Fegato-Vie biliari
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne FEGATO L’indagine strumentale di I livello nel sospetto di una patologia epatica è rappresentata dall’ecografia. Le ragioni ciò sono: 1. Assenza di radiazioni ionizzanti
2. Non invasività
3. Ampia diffusione sul territorio della metodica
4. Basso costo
5. Capacità di fornire immagini del fegato dotate di una buona risoluzione spaziale.
6. Valida analisi della struttura parenchimale
Ad incrementare le possibilità diagnostiche della metodica sono, inoltre, le funzioni di: ‐ Eco‐color‐Doppler ‐ Imaging armonico L’eco‐color‐Doppler permette di: ‐ Determinare la presenza di flusso nei singoli vasi ‐ Caratterizzare il flusso In particolare,  quello dei rami portali, presenta spettro monofasico, velocità costante, direzione epatopeta e modificazioni
fasiche respiratorie;  quello delle diramazioni dell’arteria epatica, presenta uno spettro bifasico (con alternanza, cioè, di una
componente sistolica, dove la velocità raggiunge il picco massimo, ad una diastolica) e bassa resistenza;  quello delle vene sovraepatiche, presenta uno spettro trifasico, per i cambiamenti apportati dalla cinetica
atriale. ‐
Valutare la vascolarizzazione di lesioni focali intraparenchimali e stabilirne il tipo di apporto ematico preferenziale (arterioso o portale). Imaging armonico Si basa sul rilevamento di echi con frequenza multipla di quella di emissione, definita fondamentale, normalmente presenti nel fascio ultrasonoro riflesso. Un frequenza degli echi due volte multipla di quella d’emissione prende il nome di seconda armonica. L’impiego della seconda armonica migliora il rapporto segnale‐rumore, riduce gli artefatti delle immagini e ne aumenta la risoluzione di contrasto. Consente, pertanto, il riconoscimento di lesioni focali a sede sottocapsulare, la cui individuazione, mediante scansione ecotomografica tradizionale, può risultare difficoltosa per la presenza di artefatti da riverberazione che si producono in corrispondenza dell’interfaccia fra sottocutaneo e parenchima epatico. L’imaging armonico rende anche possibile l’utilizzo di mdc ecografici di II generazione che permettono di seguire, in tempo reale, l’intera dinamica del c.e. di lesioni epatiche focali. I mdc ecografici di II generazione – costituiti da microbolle di esafluoruro di zolfo, con un guscio di fosfolipidi – presentano, infatti, una maggiore elasticità e, quando colpiti da un fascio di US a basso indice meccanico, entrano in risonanza senza rompersi, generando armoniche (echi con frequenza multipla di quella fondamentale), che il trasduttore deve essere in grado di rilevare. L’ecografia, infine, costituisce un valido sistema di guida alla biopsia epatica ed alle tecniche di ablazione percutanea dei tumori (alcolizzazione, ipertermia, laserterapia). Limiti dello studio ecografico del fegato sono: 1. Dipendenza dall’abilità dell’operatore
2. Riduzione dell’accuratezza diagnostica in presenza di:
 Meteorismo, per riflessione del fascio da parte del contenuto aereo intestinale
 Obesità e steatosi marcata che, per attenuazione, impediscono al fascio ultrasonoro di raggiungere
gli strati più profondi del fegato
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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Indagini di II livello TC, effettuando scansioni prima e dopo iniezione endovenosa di un mdc iodato idrosolubile La scansione diretta, pre‐contrastografica è utile per identificare: ‐ Calcificazioni e raccolte ematiche, che appaiono spontaneamente iperdense. ‐ Alterazioni strutturali del parenchima epatico (caso di steatosi ed emocromatosi) Le scansioni eseguite dopo iniezione endovenosa del mdc sono finalizzate ad incrementare la differenza di densità tra tessuto sano e patologico. N.B. Nell’interpretare le scansioni contrastografiche bisogna considerare le peculiarità del flusso ematico intraepatico. Il fegato, infatti, è vascolarizzato, per il 20‐25%, dall’arteria epatica e, per il 75‐80%, dalla vena porta. Pertanto, l’incremento di densità del parenchima epatico, è  Modesto, nella fase arteriosa, 20‐30 sec dopo l’iniezione  Marcato, in fase portale, 50‐60 sec dopo Pertanto, in fase arteriosa, la relativa ipodensità del fegato consente di apprezzare lesioni ipervascolarizzate, che appaiono iperdense. La fase portale, invece, è da preferire per il riconoscimento di lesioni scarsamente vascolarizzate, che appaiono ipodense rispetto al parenchima epatico circostante. RM Ha un’accuratezza diagnostica paragonabile a quella della TC, con i vantaggi di: 1. Non utilizzare radiazioni ionizzanti 2. Poter effettuare scansioni secondo il piano dello spazio desiderato, senza bisogno di ricorrere a tecniche di ricostruzione (MULTIPLANARITÀ) 3. Poter acquisire immagini “pesate” secondo differenti proprietà fisiche, caratteristiche dei diversi tessuti, quali tempo di rilassamento T1 – tempo necessario al ripristino della magnetizzazione longitudinale, dopo l’interruzione dell’impulso di RF – tempo di rilassamento T2 – tempo necessario alla perdita della magnetizzazione trasversale, dopo l’interruzione dell’impulso di RF – densità protonica – numero di protoni risonanti per unità di volume (MULTIPARAMETRICITÀ) La multiparametricità fa sì che la RM disponga di: ‐ Notevole capacità di caratterizzazione tissutale ‐ Elevata risoluzione di contrasto intrinseca Tuttavia, per l’insufficiente disponibilità dell’apparecchiatura sul territorio e per i costi elevati, il suo utilizzo è ancora limitato e viene riservato a: 1. Pz che non possono ricevere i mdc iodati uroangiografici, utilizzati in TC 2. Casi in cui ecografia e TC si siano dimostrate non risolutive La studio RM del fegato prevede, innanzitutto, l’impiego di sequenze T1 e T2‐pesate. Le sequenze T1‐pesate forniscono ottimi dettagli anatomici. Le sequenze T2‐pesate, invece, offrono immagini meno risolute anatomicamente ma dotate di una più alta risoluzione di contrasto che favorisce il riconoscimento di eventuali lesioni focali. La valutazione combinata del segnale in entrambe le sequenze risulta utile alla caratterizzazione tissutale. Qualora si voglia dimostrare, nel sospetto di steatosi epatica, la presenza, diffusa o focale, di lipidi intracellulari è possibile ricorrere a sequenze che utilizzano la tecnica del chemical‐shift. Tali sequenze sfruttano la minore frequenza di precessione dei protoni del grasso rispetto a quelli dell’acqua, fornendo, per selettiva variazione del tempo di echo, immagini T1‐pesate “in fase” ed “in opposizione di fase” lipidi/acqua, nelle quali l’intensità del segnale è funzione del rapporto esistente tra lipidi ed acqua all’interno delle cellule del tessuto esaminato. Nelle immagini T1‐pesate acquisite “in opposizione di fase”, i tessuti le cui cellule contengono non solo acqua, ma anche lipidi, tipicamente mostrano, per soppressione reciproca, un segnale la cui intensità si riduce rispetto a quanto osservato nelle immagini T1‐pesate acquisite “in fase”. Ciò consente di individuare quantità anche modeste di lipidi intracellulari. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Lo studio RM del fegato può inoltre avvalersi di tre diverse categorie di mdc, impiegati per facilitare l’individuazione e, soprattutto, la caratterizzazione di lesioni epatiche focali: 1) Mdc generali o extracellulari ‐ Sono costituiti da ioni metallici paramagnetici (Gd), chelati a molecole prive di specificità tissutale (DTPA). ‐ Presentano distribuzione bi‐compartimentale, vascolare/interstiziale ‐ Subiscono esclusiva escrezione renale Il grado di impregnazione da parte di tali mdc viene valutato, dopo somministrazione e.v., mediante una scansione dinamica con sequenze T1‐pesate veloci, effettuata nelle tre fasi fondamentali dell’esame contrastografico del fegato: arteriosa, portale e tardiva. 2) Mdc epato‐biliari Sono costituiti da ioni metallici paramagnetici (come il Gd), chelati a molecole lipofile. La lipofilia della molecola chelante fa sì che tali mdc vengano selettivamente captati dagli epatociti ed escreti nella bile. Ciò si verifica 20‐30 min dopo la somministrazione e.v. del mdc e viene valutata mediante l’acquisizione di immagini T1‐pesate nelle quali il mdc esalterà il segnale del parenchima epatico sano e di un’eventuale iperplasia nodulare focale. L’iperplasia nodulare focale contiene infatti epatociti ben differenziati ed un apparato canalicolare biliare che garantiscono la funzione bilio‐secernente della lesione. L’iperplasia nodulare focale, pertanto, se esaminata mediante mdc epato‐biliari, apparirà isointensa rispetto al parenchima epatico sano circostante. Le lesioni focali del fegato non contenenti epatociti o costituite da linee neoplastiche epatocitarie prive di funzione bilio‐secernente, invece, non assumono il mdc, presentandosi ipointense rispetto al parenchima epatico sano circostante. 3) Mdc reticolo‐endoteliali Consistono in nanoparticelle superparamegnetiche di ossido di ferro, elettivamente captate dalle cellule reticolo‐endoteliali di fegato, milza e midollo osseo di cui inducono un abbattimento del segnale nelle sequenze T2‐pesate. Dopo somministrazione di tali mdc, pertanto, le lesioni tumorali non contenenti cellule reticolo‐endoteliali appariranno iperintense rispetto al parenchima sano circostante, nelle immagini T2‐pesate. TECNICHE RADIOISOTOPICHE Scintigrafia epatosplenica con sostanze colloidali marcate mediante 99mTc. Tali sostanze, somministrate endovena, vengono rimosse dal circolo, per fagocitosi, ad opera delle cellule reticolo‐endoteliali, particolarmente abbondanti nel fegato e nella milza. Le lesioni epatiche sostitutive, benigne e maligne, essendo prive di cellule RE, appaiono come aree di ridotta captazione del radio‐farmaco (“aree fredde”). Fa eccezione l’iperplasia nodulare focale che contiene cellule reticolo‐endoteliali e che, quindi, capta i radiocolloidi. Scintigrafia epatobiliare con derivati dell’acido imminodiacetico marcati mediante 99mTc che vengono elettivamente captati dagli epatociti ed escreti nella bile, dopo coniugazione. Fornisce pertanto informazioni circa: 1. Funzione escretrice degli epatociti 2. Transito biliare intra ed extraepatico 3. Tempi di riempimento e svuotamento della colecisti 4. Eventuale presenza di:  Reflusso duodeno‐gastrico  Fistole bilio‐digestive  Spandimento di bile in peritoneo Scintigrafia epatica con globuli rossi autologhi marcati mediante 99mTc‐pertecnetato Permette di differenziare un angioma epatico, che, per la ricca vascolarizzazione, appare come un’area di intenso accumulo dei GR marcati, da altre lesioni focali del fegato. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne LESIONI EPATICHE FOCALI BENIGNE Angioma epatico È il tumore più frequente del fegato. Se ne distinguono forme capillari e forme cavernose, entrambe con carattere benigno. Risulta generalmente asintomatico e di riscontro occasionale. Gli angiomi di grandi dimensioni, tuttavia, possono indurre una sintomatologia dolorosa, da sovradistensione della capsula epatica. Una temibile complicanza, inoltre, consiste nella rottura spontanea di un angioma sottocapsulare, con sanguinamento intraperitoneale. All’ecografia, l’angioma epatico tipicamente appare come una lesione nodulare con margini regolari e con ecostruttura solida iperecogena omogenea, spesso localizzata in sede sottocapsulare. Tale aspetto è riscontrabile nel 95% dei casi. Nel restante 5% dei casi, l’angioma epatico si manifesta come una formazione iso‐ipoecogena, per la presenza, in esso, di un’abbondante componente fibrotica o per lo sviluppo all’interno di un fegato steatosico la cui ecogenicità diffusamente aumentata, fa sì che il contrasto ecografico tra parenchima epatico ed angioma si annulli. Al color‐Doppler, non si osservano segnali vascolari nel contesto dell’angioma, poiché il flusso ematico intra‐lesionale è molto lento. Nei casi non tipici, la diagnosi di angioma epatico può esser posta dimostrandone la caratteristica perfusione centripeta mediante: 1. Tecniche eco‐contrastografiche basate sull’imaging armonico che rende possibile l’impiego di mdc ecografici di II generazione 2. TC, con scansioni dinamiche eseguite dopo somministrazione e.v. del mdc Alla TC, l’angioma, per il caratteristico riempimento centripeto, presenta, in fase arteriosa, un c.e. soltanto periferico, che poi si estende anche al centro della lesione, nelle fasi portale e tardiva. Va detto, tuttavia, che la regione centrale degli angiomi di maggiori dimensioni può rimanere priva di c.e., per involuzione fibrotica, ponendo un problema di DD con metastasi epatiche. Tale DD viene permessa da: ‐ Scintigrafia epatica con globuli rossi autologhi marcati mediante 99mTc‐pertecnetato, che si accumulano in grande quantità nell’angioma, per la ricca vascolarizzazione. ‐ RM, alla quale l’angioma mostra un comportamento peculiare. Appare, infatti, ipointenso nelle sequenze T1‐pesate, divenendo progressivamente iperintenso in quelle T2‐pesate, con il crescere del tempo di echo. Angiomiolipoma (AML) epatico È un tumore mesenchimale benigno costituito da vasi sanguigni, fibre muscolari lisce e grasso. Con maggiore frequenza si riscontra nel sesso femminile e nei pz affetti da sclerosi tuberosa. La sede più comune è il rene ma può essere osservato anche a livello epatico. All’ecografia, l’AML epatico è indistinguibile da un angioma. Entrambi si manifestano, infatti, come lesioni nodulari con ecostruttura solida iperecogena. La diagnosi di natura è resa possibile dalla dimostrazione della componente adiposa della lesione, quando prevalente, mediante TC o RM. Alla scansione TC diretta, la componente adiposa dell’AML appare ipodensa; alla RM, appare iperintensa nelle sequenze T1‐pesate, priva di segnale nelle sequenze T2‐pesate con fat suppression. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Adenoma epatocitario È una neoplasia benigna di più comune riscontro in donne che assumono contraccettivi orali. È costituito da travate di epatociti neoplastici ben differenziati e fittamente stipati, tra cui sono compresi spazi sinusoidali dilatati che ricevono un apporto ematico esclusivamente arterioso. Mancano dotti biliari e cellule RE. È di solito asintomatico, ma presenta un alto rischio di sanguinamento spontaneo, soprattutto se a localizzazione sottocapsulare. Va posto in DD con un’iperplasia nodulare focale (INF) che, presumibilmente, rappresenta una risposta iperplastica del fegato ad una preesistente alterazione vascolare e che, nei casi tipici, contiene una cicatrice centrale stellata circondata da epatociti normali, dotti biliari, cellule del sistema RE. Tale DD è importante ai fini della scelta terapeutica, che risulta: ‐ chirurgica, nell’adenoma epatocitario, per l’alto rischio di sanguinamento spontaneo; ‐ conservativa, nell’INF, non gravata da un rischio emorragico. All’indagine ecografica, sia l’adenoma epatocitario che l’INF si manifestano come lesioni nodulari, con ecostruttura solida, ipo o isoecogena. L’unico carattere distintivo, peraltro incostante, è la presenza, al centro di un nodulo iperplastico, di un’immagine stellata iperecogena di cui il CD dimostri segnali arteriosi che si irradiano verso la periferia del nodulo “a ruota di carro”. Per meglio caratterizzare la lesione, ci si può avvalere di una TC con scansioni dinamiche eseguite dopo somministrazione e.v. di un mdc iodato idrosolubile uroangiografico. Tale indagine tuttavia consente la DD tra adenoma epatocitario ed INF solo se dimostra l’eventuale cicatrice centrale stellata di un nodulo iperplastico che appare ipodensa, rispetto al resto della lesione, in fase arteriosa; iperdensa, nelle scansioni molto tardive. Qualora la cicatrice centrale stellata non sia apprezzabile, con la TC, è difficile distinguere le due condizioni. Entrambe le lesioni nodulari, infatti, per la ricca vascolarizzazione, fornita da rami dell’arteria epatica, si presentano iperdense, rispetto al parenchima epatico circostante, in fase arteriosa; iso‐ipodense, nelle fasi portale e tardiva. In tale circostanza, la DD può esser consentita da: ‐ RM con mdc epato‐specifici (epato‐biliari, paramagnetici e reticolo‐endoteliali, superparamagnetici negativi) L’adenoma, infatti, non contenendo dotti biliari, dopo somministrazione e.v. di mdc epato‐biliari, paramagnetici, appare ipointenso, rispetto al parenchima epatico circostante, nelle sequenze T1‐
pesate. Inoltre, essendo privo di cellule del sistema RE, dopo somministrazione e.v. di mdc reticolo‐
endoteliali, superparamagnetici, negativi, appare iperintenso, rispetto al parenchima epatico circostante, nelle sequenze T2‐pesate. L’INF, invece, poiché presenta, nel suo contesto, dotti biliari e cellule di Kupfer, assume entrambi i mdc, mostrandosi isointensa rispetto al parenchima sano circostante. ‐ Scintigrafia epato‐splenica con 99Tc‐solfuro colloidale L’adenoma epatocitario, infatti, mancando di cellule RE, non capta i radiocolloidi, a differenza dell’INF. Ascesso epatico Possibili cause: 1. Colangite ascendente 2. Batteriemia portale da un focolaio intra‐addominale (appendicite, diverticolite) 3. Batteriemie sistemiche 4. Diffusione per contiguità al fegato di un focolaio infettivo adiacente (come un ascesso subfrenico) 5. Traumi aperti dell’addome 6. Amebiasi WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne L’indagine strumentale d’elezione per la diagnosi di ascesso epatico è la TC con mdc. L’ecografia, infatti, può non consentire il riconoscimento di piccoli ascessi ad ecostruttura intensamente corpuscolata. La TC documenta l’ascesso epatico come una lesione intraparenchimale ipodensa, delimitata da un cercine isodenso che, dopo somministrazione e.v. del mdc, va incontro ad un intenso c.e., divenendo, quindi, iperdenso. Il riscontro di gas all’interno della lesione, con eventuale livello idro‐aereo, risulta patognomonico di ascesso e depone per un’infezione da anaerobi. Ecografia e TC possono, inoltre, guidare il drenaggio percutaneo della raccolta ascessuale. MALIGNE I tumori maligni del fegato vanno distinti in PRIMITIVI e SECONDARI. Tra i PRIMITIVI, quelli maggiormente rilevanti sono l’epatocarcinoma ed il colangiocarcinoma periferico. Epatocarcinoma È il tumore maligno primitivo del fegato più frequente. Solitamente insorge in un fegato affetto da patologia cronica:  Epatite cronica HBV‐correlata  Cirrosi epatica Esiste, comunque, una rara forma di epatocarcinoma – l’epatocarcinoma fibrolamellare – che colpisce soprattutto donne giovani, in assenza di una patologia epatica cronica. Macroscopicamente, può manifestarsi in forma:  Focale  Multifocale  Infiltrante Sotto il profilo istologico, si distinguono epatocarcinomi ben differenziati, moderatamente differenziati e scarsamente differenziati. L’HCC tipicamente presenta una ricca neo‐angiogenesi a partenza dall’arteria epatica e responsabile di un cospicuo apporto ematico arterioso, la cui dimostrazione, mediante metodiche di immagine, costituisce un elemento importante per la diagnosi di natura. Lo sviluppo di un HCC viene generalmente sospettato nel corso del FOLLOW‐UP di pz cirrotici, che prevede il dosaggio dei livelli sierici di alfa‐FP e l’esecuzione di un’ecografia dell’addome, con periodicità semestrale. All’ecografia, l’epatocarcinoma appare come una lesione nodulare con ecostruttura: ‐ ipoecogena, quando di dimensioni ridotte ‐ disomogenea, quando voluminosa, per la presenza, nel suo contesto, di aree di necrosi o di emorragia. Il color‐Doppler dimostra una ricca vascolarizzazione arteriosa, la cui presenza può esser confermata dall’impiego di mdc ecografici di II generazione che consentono di apprezzare il rapido enhancement della lesione e l’altrettanto rapido wash out del mdc. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne In presenza di un reperto ecografico ed ecocontrastografico suggestivo di HCC, per definire con precisione l’entità dell’impegno epatico e per effettuare uno studio vascolare più dettagliato, è indicato il ricorso, come indagine strumentale di II livello, ad una TC o ad una RM. La TC deve essere eseguita con tecnica contrastografica trifasica, secondo cui, dopo la somministrazione endovenosa di un mdc iodato idrosolubile, vengono praticate scansioni in fase arteriosa (con un ritardo di 25‐30”), portale (con un ritardo di 50‐60”) e tardiva (con un ritardo di 120‐180”). L’HCC, per la ricca vascolarizzazione offerta da rami neoformati dell’arteria epatica, appare: ‐ Iperdenso, rispetto al parenchima epatico circostante, in fase arteriosa ‐ Iso‐ipodenso, in fase portale ‐ Ipodenso, talora con una pseudo‐capsula, in fase tardiva La TC con mdc permette, inoltre, di: 1. Precisare numero, dimensioni e sede dei noduli di HCC, considerando che il tumore può già esordire in forma multinodulare. 2. Riconoscere l’eventuale presenza di infiltrazione o trombosi neoplastica della vena porta e dei suoi rami principali, dimostrabile attraverso la scansione contrastografica eseguita in fase portale. 3. Ottenere, mediante uno studio a strato sottile con ricostruzioni angiografiche, la mappa vascolare del fegato cirrotico, da cui è possibile ricavare le afferenze arteriose del nodulo neoplastico. Ciò risulta particolarmente importante per la pianificazione dell’approccio terapeutico, sia esso di radiologia interventistica (chemioembolizzazione intrarteriosa) o di chirurgia resettiva e trapiantologica. RM Alla RM, l’HCC appare: 1. Ipointenso, nelle sequenze T1‐pesate 2. Moderatamente iperintenso, in quelle T2‐pesate Quando esaminato mediante scansioni contrastografiche dinamiche, eseguite dopo somministrazione e.v. di un mdc paramagnetico a distribuzione bi‐compartimentale vascolare/interstiziali (Gd‐DTPA), mostra la stessa ricca vascolarizzazione arteriosa apprezzabile in TC. Si presenta, infatti, iperintenso, nelle sequenze T1‐pesate precoci ed ipointenso, in quelle tardive. Lo studio contrastografico dinamico con Gd‐DTPA consente, inoltre, di apprezzare l’eventuale pseudo‐capsula tumorale come una rima ipointensa, nelle fasi pre‐contrastografiche; che diviene iperintensa, nella fase tardiva post‐
contrastografica. La specificità della RM può essere incrementata dall’utilizzo di mdc epato‐biliari, paramagnetici e RE, superparamagnetici: 3. Dopo somministrazione e.v. di un mdc epato‐biliare, paramagnetico, l’HCC appare ipointenso, rispetto al parenchima epatico circostante, nelle sequenze T1‐pesate, per assenza di funzione bilio‐secernente. 4. Dopo somministrazione e.v. di un mdc RE, superparamagnetico, negativo, l’HCC si dimostra iperintenso, rispetto al parenchima epatico circostante, nelle sequenze T2‐pesate, poiché, essendo privo di cellule del sistema RE, non assume il mdc. Ciò rende possibile, in pz cirrotici, la DD con voluminosi noduli di rigenerazione. Tali noduli, infatti, poiché contengono dotti biliari e cellule RE, accumulano entrambi i mdc epato‐specifici, mostrandosi, quindi, isointensi rispetto al parenchima epatico circostante. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Colangiocarcinoma periferico Per definizione, origina a valle della seconda biforcazione dei rami del dotto epatico comune. Si tratta di un adenocarcinoma che, nel 90% dei casi, secerne mucina. È tipicamente associato ad un’abbondante reazione fibrotica, responsabile di un effetto retraente sulle strutture adiacenti e sulla capsula epatica. Presenta un comportamento molto aggressivo e, a differenza dell’HCC, metastatizza con frequenza ai linfonodi ilari ed a quelli del legamento epato‐duodenale. Sotto il profilo ecografico, si presenta come una massa ipoecogena, rispetto al parenchima epatico circostante, con margini lobulati. Per meglio caratterizzare la lesione – anche ai fini della DD con un HCC – bisogna valutarne il comportamento contrastografico, avvalendosi di TC o RM. Alla TC con mdc, la lesione mostra, in fase arteriosa, l’enhancement della sola porzione periferica, dove è maggiormente concentrata la componente cellulare. L’impregnazione della zona centrale, dove invece prevale la componente fibrotica, si verifica, infatti, solo in fase tradiva. Tipica, inoltre, è l’evidenza di un’azione retraente sui margini epatici. In RM, il CCC presenta, nelle sequenze T2‐pesate, una porzione periferica iperintensa (indicativa di cellularità) ed una zona centrale ipointensa, per la prevalenza di fibrosi. Nelle sequenze T1‐pesate appare globalmente ipontensa rispetto al parenchima epatico circostante. L’esame dinamico con Gd‐DTPA documenta una comportamento contrastografico simile a quello osservato in TC. Impiegando mdc epato‐specifici, non si riscontra l’impregnazione del tumore. SECONDARI Metastasi Sono le lesioni maligne del fegato più comuni. Danno metastasi epatiche soprattutto i tumori gastroenterici, pancreatici, mammari, polmonari, renali, neuroendocrini ed i melanomi. Indagine di I livello per la ricerca di metastasi epatiche Ecografia Sotto il profilo ecografico, le metastasi epatiche appaiono come lesioni nodulari, ipoecogene, a margini ben definiti e, talora, con aspetto “a bersaglio”. Se studiate mediante color‐Doppler o mdc ecografici intravascolari, nella maggior parte dei casi, presentano una scarsa vascolarizzazione. Fanno eccezione le metastasi di tumori ipervascolarizzati, quali tumori neuroendocrini, neoplasie renali e tiroidee, melanomi. Come indagine strumentale di II livello ci si avvale di una TC con mdc. Generalmente, le metastasi epatiche sono meglio riconoscibili in fase portale, nella quale appaiono ipodense, per la ridotta vascolarizzazione. Le metastasi di tumori ipervascolarizzati, invece, sono più evidenti in fase arteriosa, nella quale si dimostrano iperdense. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne 1) Nei casi dubbi e 2) per stabilire con certezza il numero di metastasi epatiche, in prospettiva di un intervento chirurgico, è necessario il ricorso ad una RM. La RM, infatti, grazie alla sua maggiore risoluzione di contrasto risulta più sensibile nel riconoscere piccole metastasi epatiche, che appaiono ipointense in T1 ed iperintense in T2. Dopo somministrazione di un mdc paramagnetico vascolare/interstiziale (Gd‐DTPA), le metastasi epatiche presentano un’intensità di segnale che varia in rapporto alla loro vascolarizzazione. Impiegando mdc paramagnetici ad escrezione epato‐biliare, le metastasi epatiche si dimostrano ipointense in T1, per l’assenza di funzione bilio‐secernente. Utilizzando, invece, mdc superparamagnetici a captazione reticolo‐endoteliale, appaiono iperintense in T2, perché prive di cellule RE. N.B. metastasi epatiche sono documentabili anche da una PET‐FDG o da una PET/TC praticata per la stadiazione di patologie neoplastiche di vari distretti corporei. Il principale vantaggio risiede nella maggiore sensibilità rispetto alle metodiche morfo‐strutturali, dato che l’aumento dell’attività glico‐metabolica in sede di metastasi, precede la comparsa delle alterazioni anatomiche su cui ci si basa per il loro riconoscimento . PATOLOGIA EPATICA DIFFUSA Cirrosi Lo studio per immagini è finalizzato non alla diagnosi di cirrosi ‐ che risulta clinica ed istologica ‐ bensì a: 1. Determinare il volume del fegato 2. Valutare lo stato ipertensivo portale 3. Riconoscere precocemente un epatocarcinoma L’indagine strumentale impiegata in prima istanza per l’analisi del fegato cirrotico è rappresentata da un’ecografia con color‐Doppler. Tale indagine consente di: 1. Apprezzare le tipiche alterazioni della morfologia e del volume del fegato, quali: ‐ Ecostruttura parenchimale grossolanamente disomogenea ‐ Margini bozzuti ‐ Dimensioni ridotte del lobo dx, con ipertrofia compensatoria dei lobi sinistro e caudato 2. Documentare l’esistenza di un’ipertensione portale e monitorarne l’evoluzione. L’ecografia, infatti, è capace di evidenziare l’aumento di calibro della vena porta (che supera i 12‐13 mm) e, mediante l’ausilio del CD, l’alterazione del flusso ematico portale che vede ridurre progressivamente la sua velocità, con perdita della fisiologica escursione respiratoria. Con l’aggravarsi dell’ipertensione, il flusso ematico portale assume direzione epatofuga, apprezzabile al CD, come un “ribaltamento del profilo spettrale”. Possibile è anche il riscontro di ostruzioni trombotiche e di circoli collaterali di scarico porto‐sistemici. 3. Identificare precocemente lesioni nodulari che, se superiori al cm, andrebbero ulteriormente analizzate mediante un esame ecocontrastografico, attraverso cui se ne valuta la vascolarizzazione. Tipicamente, infatti, l’evoluzione di un nodulo displastico verso l’HCC procede mediante un progressivo aumento dell’apporto arterioso ed una riduzione di quello portale. 4. Stabilire l’entità di una splenomegalia 5. Riconoscere la presenza di ascite, anche quando non sia apprezzabile clinicamente WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Il ricorso ad indagini strumentali di II livello (TC o RM) è indicato qualora il reperto ecografico di una lesione ipervascolarizzata suggerisca lo sviluppo, in un pz cirrotico, di un epatocarcinoma. In RM, l’impiego di mdc epatospecifici (PM ad escrezione EB e SPM a captazione RE) permette la DD tra HCC e voluminosi noduli di rigenerazione della cirrosi. Tali noduli, infatti, poiché conservano funzione bilio‐
secernente e cellule RE, accumulano entrambi i mdc epato‐specifici, mostrandosi isointensi rispetto al parenchima circostante. Steatosi epatica È una patologia generalmente asintomatica, caratterizzata da un patologico accumulo di lipidi all’interno degli epatociti. Si distinguono una forma macrovescicolare, legata a obesità, abuso di alcol, DM, farmaci ed una forma microvescicolare, associata ad un deficit di ossidazione epatica degli acidi grassi. Sotto il profilo ecografico, il fegato steatosico appare diffusamente iperecogeno, con attenuata penetrazione del fascio ultrasonoro negli strati più profondi. Le regioni prossime ai rami portali possono essere risparmiate dall’accumulo lipidico (skip areas). Tali aree di risparmio dimostrandosi ipoecogene rispetto al resto del parenchima, possono simulare processi espansivi. Talora la steatosi si manifesta in forma focale come un nodulo iperecogeno. Ciò pone un problema di DD con altre lesioni focali iperecogene del fegato come l’angioma epatico. La TC dimostra una diffusa riduzione delle densità epatica nelle scansioni senza mdc. Alla RM la condizione di steatosi può essere facilmente diagnosticata ricorrendo alla tecnica del “chemical shift”. Emocromatosi Condizione patologica caratterizzata da un progressivo accumulo dei depositi di Fe nell’organismo. Si distinguono: ‐ Forma primaria, ereditaria ‐ Forma secondaria ad un aumentato apporto orale o parenterale di Fe. Una forme secondaria di emocromatosi colpisce, ad esempio, i pz talassemici per le ripetute emotrasfusioni di cui necessitano. L’indagine d’elezione per dimostrare l’abnorme accumulo di Fe nel sistema reticoloendoteliale del fegato è rappresentata dalla RM. Alla RM, il fegato emocromatosico si manifesta con una marcata riduzione del segnale parenchimale nelle sequenze T1 e T2‐pesate. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne COLECISTI e VIE BILIARI L’indagine strumentale di I livello per lo studio della colecisti e delle vie biliari è l’ecografia Le ragioni di ciò sono: 1. Assenza di radiazioni ionizzanti 2. Non invasività 3. Ampia disponibilità 4. Basso costo 5. Elevato contrasto ecografico esistente tra vie biliari e parenchima epatico 6. Indipendenza dalla funzionalità epatica Si richiedono: ‐ Preparazione del pz con carbone vegetale, per ridurre il meteorismo intestinale ‐ Digiuno di almeno 8 h, per garantire che un’adeguata quantità di bile distenda le vie biliari extraepatiche e la colecisti N.B. L’indagine è capace di fornire informazioni, non solo, morfologiche ma, anche, funzionali, come quelle relative all’attività contrattile della colecisti valutata dopo somministrazione di un pasto grasso. Limiti 1. Dipendenza dall’abilità dell’operatore 2. Incostante visualizzazione del tratto retropancreatico del coledoco, per l’interposizione di gas intestinali 3. Bassa accuratezza diagnostica nei pz obesi Per quanto riguarda le indagini strumentali di II livello, attualmente, la metodica che meglio dimostra la morfologia della colecisti e delle vie biliari è la colangio‐RM che può essere diretta o con mdc. ‐ Nella colangio‐RM diretta si utilizzano sequenze fortemente T2‐pesate che, annullando il segnale dei tessuti solidi, mettono in risalto quello iperintenso dei fluidi statici o semi‐stazionari, come la bile. ‐ La colangio‐RM con mdc prevede la somministrazione ev di mdc paramagnetici che, dopo una fase di distribuzione vascolare/interstiziale, subiscono, per la lipofilia della molecola (sempre a base di Gd), escrezione biliare, rendendo la bile iperintensa nelle sequenze T1‐pesate. La colangio‐RM fornisce, pertanto, un’immagine “a calco” di colecisti e vie biliari, la cui rappresentazione è di qualità sovrapponibile a quella che può essere ottenuta mediante una colangio‐pancreatografia retrograda endoscopica (ERCP), con i vantaggi della non invasività e dell’assenza del rischio di complicanze, quali pancreatite acuta e perforazioni. La colangio‐RM, tuttavia, a differenza dell’ERCP, non consente di: ‐ Ottenere campioni di bile ‐ Effettuare prelievi citologici VBP ‐ Eseguire procedure interventistiche La colangio‐RM andrebbe preferita, come indagine strumentale di II livello, nei casi di ‐ Sospetta ostruzione benigna litiasica della VBP, con ecografia dubbia o non dirimente, per incompleta visualizzazione del coledoco (probabilità pre‐test intermedia di benignità dell’ostruzione). Qualora, infatti, l’ecografia abbia consentito di apprezzare calcoli nella VBP, il pz dovrebbe essere direttamente sottoposto ad un’ERCP, con finalità terapeutica. ‐ Sospetta calcolosi intraepatica ‐ Sospetta colangite sclerosante primitiva Ulteriori indicazioni sono: ‐ Caratterizzazione di malformazioni delle vie biliari ‐ Valutazione dell’estensione intraduttale di colangiocarcinomi ilari (Tumori di Klatskin) WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Ulteriori metodiche impiegabili, in seconda istanza, per lo studio della colecisti e delle vie biliari sono: ‐ TC ‐ Colangiografie strumentali ‐ Scintigrafia epato‐biliare TC Va praticata effettuando scansioni prima e dopo somministrazione e.v. di un mdc iodato idrosolubile. La scansione diretta è indicata per riconoscere calcoli nei dotti biliari intraepatici e nella VBP la cui modesta iperdensità potrebbe essere mascherata all’interno delle scansione contrastografiche. La somministrazione ev del mdc consente di:  Evidenziare meglio le vie biliari intra ed extraepatiche, per il c.e. dei vasi e del parenchima epatico circostante  Valutare c.e. e spessore della parete, alterati in caso di flogosi e neoplasie Andrebbe preferita, come indagine di II livello, nei casi di elevata probabilità pre‐test – clinica, laboratoristica ed ecografica – di ostruzione maligna delle VB, perché capace di fornire informazioni utili, non solo, per la diagnosi ma, anche, per la stadiazione – locoregionale ed a distanza – della presunta neoplasia, consentendo, così, di valutarne la resecabilità. Ulteriori indicazioni 1. Ricerca delle complicanze di patologie flogistiche acute (colecistite, colangite) perché, grazie alla sua panoramicità, consente di esplorare l’ambiente addominale circostante. 2. Studio combinato del pancreas, nel sospetto di pancreatite acuta biliare Colagiografie strumentali ‐ Colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP) Si pratica mediante un endoscopio a visione laterale che permetta di riconoscere la papilla di Vater. La papilla di Vater viene incannulata e, attraverso la cannula, sotto controllo radioscopico, si inietta un mdc uroangiografico diluito nel coledoco e nel dotto di Wirsung. Ciò rende possibile la visualizzazione, su radiogrammi mirati, del sistema duttale pancreatico e dei dotti biliari. Si tratta, tuttavia, di un’indagine invasiva e gravata dal rischio di complicanze, come pancreatiti acute, perforazioni, emorragie, colangiti. Per questo, a scopo diagnostico, è stata attualmente sostituita dalla colangio‐RM. Continua, comunque, ad essere utilizzata per eseguire procedure interventistiche, quali:  Estrazione di calcoli dalla VBP mediante pallone gonfiabile o cestello di Dormia, previa papillosfinterotomia endoscopica  Posizionamento di stent nelle vie biliari  Drenaggio interno della bile ‐ Colangiografia percutanea transepatica Prevede l’introduzione percutanea, mediante ago di Chiba, di un mdc uroangiografico all’interno di un dotto biliare intraepatico che deve essere sufficientemente dilatato. Tale requisito va verificato prima dell’indagine mediante ecografia. Viene oggi utilizzata solo per procedure interventistiche, come il drenaggio esterno della bile a scopo decompressivo. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Scintigrafia epatobiliare con derivati dell’acido imminodiacetico marcati mediante 99mTc che vengono elettivamente captati dagli epatociti ed escreti nella bile, dopo coniugazione. Fornisce pertanto informazioni circa: ‐ Funzione escretrice degli epatociti ‐ Transito biliare intra ed extraepatico ‐ Tempi di riempimento e svuotamento della colecisti ‐ Eventuale presenza di:  Reflusso duodeno‐gastrico  Fistole bilio‐digestive  Spandimento di bile in peritoneo Il suo impiego e stato ridimensionato dalla colangio‐RM Specifiche condizioni Litiasi o Calcolosi biliare È l’affezione più frequente della colecisti e delle vie biliari. Nel 70% dei casi, il colesterolo rappresenta la componente principale dei calcoli biliari (calcoli colesterinici). Nel restante 30% dei casi, la componente principale è invece rappresentata dal bilirubinato di calcio (calcoli pigmentari). N.B. Tutti i calcoli contengono minerali e calcio: quando quest ultimo è presente in misura > 4% il calcolo è radiopaco, all’esame radiografico diretto ed iperdenso, alla TC senza mdc. La formazione di calcoli colesterinici è dovuta ad un aumento della concentrazione biliare di colesterolo o ad una diminuita secrezione di acidi biliari nella bile. Fattori di rischio sono: sesso femminile, multiparità, obesità, assunzione di contraccettivi orali. La formazione di calcoli pigmentari è invece ritenuta secondaria all’aumento dei livelli biliari di bilirubina non coniugata con acido glicuronico per: ‐ Ipersecrezione epatica diretta ‐ De‐glicuronazione batterica Fattore inducente la formazione di calcoli è la presenza, nella bile, di nuclei di condensazione, costituiti da detriti cellulari, corpi batterici, essudato fibrinoso infiammatorio. Fattore agevolante l’accrescimento dei calcoli è la stasi biliare. La sede più comune di litiasi biliare è la colecisti. La calcolosi della colecisti è, nel 70% dei casi, asintomatica. Nei restanti casi, si manifesta con la tipica colica biliare: doloro sottocostale dx o epigastrico che dura almeno 30 min e che insorge dopo un pasto copioso. È dovuta ad un aumento di pressione nella colecisti, per transitoria ostruzione del dotto cistico da parte di una formazione litiasica. N.B. I pz sintomatici hanno una probabilità del 35% di sviluppare, nei 10 anni successivi al primo sintomo, complicanze, quali: colecistite acuta, pancreatite biliare, calcoli coledocica, colangiti, fistole bilio‐digestive. Un’ecografia è capace di dimostrare, con una sensibilità ed una specificità > 95%, la presenza di calcoli nella colecisti dove appaiono come formazioni endoluminali iperecogene, mobili e dotate di un cono d’ombra posteriore. Nella colecisti, ai calcoli, spesso si associa la presenza di fango o sludge biliare, evidenziabile come una raccolta di fini echi di intensità medio‐bassa, senza cono d’ombra posteriore e tendenti alla stratificazione, con il variare del decubito del pz. Il fango biliare può produrre, per aggregazione, vere e proprie masse (sludge balls) o costituire un accumulo diffuso, rendendo l’ecogenicità della colecisti paragonabile a quella del parenchima epatico (epatizzazione della colcisti). WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne L’evidenza ecografica di una calcolosi della colecisti deve far prendere in considerazione la possibilità di effettuare un intervento di colecistectomia per via laparoscopica, che risulta indicato in: ‐ Tutti i casi sintomatici ‐ Quelli asintomatici ma con condizioni di rischio, come la presenza di numerosi piccoli calcoli, capaci di migrare nella VBP. N.B. In previsione di un intervento di colecistectomia, potrebbe essere utile effettuare una colangio‐RM, per riconoscere eventuali varianti anatomiche delle VBE. Ciò viene comunque praticato raramente per gli alti costi della metodica e per la sua scarsa diffusione sul territorio. N.B. Nel corso di un intervento di colecistectomia per calcolosi della colecisti, viene generalmente eseguita una colecistografia intra‐operatoria, realizzata iniettando all’interno del dotto cistico un mdc iodato idrosolubile. L’intento è quello di riconoscere l’eventuale presenza di calcoli nella VBP. Complicanze post‐colecistectomia sono riconducibili a: ‐ Mancata chiusura del moncone del dotto cistico, con leak biliare ‐ Stenosi o sezione della VBP Vengono denunciate da: ‐ Elevazione degli indici di colestasi ‐ Riscontro, ai controlli ecografici post‐operatori, di una raccolta di bile nel letto della colecisti (bilioma). L’ecografia consente di dimostrare l’eventuale dilatazione delle VB, suggestiva della presenza di una stenosi a valle, e l’eventuale formazione di un bilioma. Per una più accurata valutazione dell’intero albero biliare è comunque richiesta l’esecuzione di una colangio‐RM, meglio se con mdc. La calcolosi della VBP è più spesso secondaria alla migrazione di calcoli dalla colecisti e dal dotto cistico. Può comunque anche essere primitiva in pz colecistectomizzati ed in presenza di una stasi della VBP. La più tipica manifestazione clinica della calcolosi della VBP, consiste in un ittero ostruttivo la cui natura benigna viene suggerita da: ‐ Comparsa preceduta da episodi di colica biliare ‐ Carattere intermittente e non ingravescente ‐ Assenza del segno di Courvoisier‐Terrier (colecisti palpabile in ipocondrio dx) In caso di sovrainfezione batterica (colangite), all’ittero si associano: febbre e dolore a tipo colica biliare (triade di Charcot). All’ecografia, i calcoli della VBP – pur avendo analoghe caratteristiche ecostrutturali – non sempre sono apprezzabili, soprattutto se localizzati nel tratto terminale del coledoco, per lo sbarramento acustico dovuto al gas duodenale e colico. La presenza di un ostacolo in questa sede viene comunque suggerita dalla dilatazione delle vie biliari a monte. ‐ Qualora l’ecografia abbia consentito di visualizzare calcoli nella VBP, il pz dovrebbe essere direttamente sottoposto ad un ERCP, con finalità terapeutica. ‐ Qualora l’ecografia non abbia dimostrato integralmente il coledoco – ma solo la dilatazione del suo tratto prossimale – e si abbia un fondato sospetto di ostruzione benigna litiasica della VBP, andrebbe invece preferita una colangio‐RM. Alla colangio‐RM, i calcoli appaiono come formazioni ovalari di basso segnale nel contesto dell’iperintensità della bile. La calcolosi delle vie biliari intraepatiche generalmente colpisce pz sottoposti ad un intervento di anastomosi bilio‐digestiva, complicata da una stenosi cicatriziale responsabile di colestasi. È riconoscibile all’ecografia ma deve essere valutata anche mediante una colangio‐RM, per meglio pianificare il successivo trattamento, quasi sempre radiologico interventistico per via transepatica. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Nei pz con calcolosi biliare, la DxI ha, non solo, il compito di individuare e localizzare i calcoli, ma anche di: ‐ Riconoscere eventuali complicanze (colecistite acuta e cronica, empiema della colecisti, perforazione colecistica, ostruzione biliare). ‐ Stabilire la composizione chimica dei calcoli, che condiziona la possibilità di effettuare un trattamento solubilizzante con UDCA. Per far ciò ci si avvale di un esame radiografico diretto dell’addome:  I calcoli puri di colesterolo sono radiotrasparenti  I calcoli puri di bilirubinato di calcio sono radiopachi  I calcoli misti hanno una radiopacità variabile Solo in presenza di calcoli colesterinici puri è indicato l’impiego di UDCA. ‐ Valutare la morfologia e la funzione della colecisti Colecistite acuta In oltre il 90% dei casi, è secondaria all’incuneamento di un calcolo nell’infundibolo o nel dotto cistico (colecistite acuta litiasica). Nei restanti casi (colecistite acuta alitiasica), si associa a malattie sistemiche – come diabete mellito – ed a nutrizione parenterale prolungata. Si manifesta con: dolore in ipocondrio dx ed epigastrio che a, differenza della colica biliare, persiste per più di 6 h, febbre, segno di Murphy positivo. L’indagine di I livello, nel sospetto di colecistite acuta, è un’ecografia che può rivelare: 1. Calcoli in sede peri‐infundibolare, apprezzabili in oltre il 90% dei casi 2. Sovradistensione del lume colecistico 3. Ispessimento delle pareti della colecisti, che appaiono ipoecogene, per l’edema e che si dimostrano ipervascolarizzate al color‐Doppler 4. Segno di Murphy ecografico (dolore intenso provocato dalla compressione della parete addominale al di sopra della colecisti, mediante la sonda) N.B. Qualora il contenuto della colecisti perda la sua caratteristica anecogenicità, presentando echi interni, bisogna sospettare lo sviluppo di un empiema colecistico, caratterizzato dalla raccolta di materiale purulento all’interno della colecisti. N.B. Il riscontro di microascessi parietali, come minute aree anecogene nel contesto della parete, depone per una colecistite gangrenosa, evoluzione finale del processo flogistico acuto che coinvolge la colecisti. La gangrena parietale è seguita dalla perforazione del viscere, con evidenza, all’indagine ecografica, di raccolte fluide nella loggia colecistica, in sede sottoepatica, lungo la doccia parieto‐colica dx. La perforazione della colecisti è generalmente coperta dai visceri circostanti, con formazione di un “piastrone” dolente. In sua presenza, è indicata l’esecuzione di una TC dell’addome con mdc che consente di valutare meglio l’estensione della raccolta pericolecistica, precisandone i rapporti con i vasi e con le vie biliari intra ed extraepatiche. Ciò risulta utile ai fini della pianificazione dell’intervento chirurgico. Colecistite cronica È sempre associata a litiasi biliare e generalmente si riscontra in pz con una storia pluriennale di coliche biliari. È documentabile da un’ecografia che evidenzia: ‐ Diminuzione di volume della colecisti, fino al quadro conclamato della “colecisti atrofica” ‐ Aumento di spessore delle pareti colecistiche, per sclerosi, nel cui contesto è possibile apprezzare minute calcificazioni ‐ Calcoli WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Un esame radiografico diretto dell’addome può rivelare calcificazioni parietali diffuse, che configurano il quadro della “colecisti a porcellana”. Colecistosi Comprende un insieme di patologie degenerative della parete colecistica, essenzialmente rappresentate da: ‐ Colesterolosi ‐ Adenomiomatosi Nella colesterolosi, l’ecografia documenta multiple formazioni iperecogene adese alla parete della colecisti le quali, a differenza dei calcoli, ‐ non presentano un cono d’ombra posteriore ‐ possono essere localizzati sia sulla parete declive che su quella anti‐declive ‐ non si spostano con il variare del decubito del pz. Tali formazioni fanno sì che la colecisti assuma un caratteristico aspetto “a fragola”. Nell’adenomiosi, si osserva un ispessimento della mucosa con formazione di diverticoli intramurali. Tale aspetto può essere osservato – seppur con difficoltà – all’ecografia, mentre risulta facilmente apprezzabile mediante colangio‐RM. Le colecistosi predispongono alla litiasi della colecisti e costituiscono un’indicazione alla colecistectomia. Carcinoma della colecisti Tumore relativamente raro di origine epiteliale (adenocarcinoma) che può presentarsi in forma papillare vegetante o in forma infiltrante scirrosa. Ha un picco d’incidenza dopo la V‐VI decade di vitae e si associa costantemente a calcolosi. È pertanto più frequente nelle donne, maggiormente colpite da questa patologia rispetto agli uomini (3:1). Ulteriori fattori di rischio sono: la colecistite cronica e la colecisti a porcellana. Il riscontro di tale neoplasia spesso avviene in maniera occasionale all’esame istologico effettuato dopo un intervento di colecistectomia, per litiasi. In questi casi, si deve reintervenire, effettuando un’epatectomia parziale (IV e V segmento) ed una linfadenectomia del peduncolo epatico. La sintomatologia è tardiva e prevalentemente rappresentata da un ittero ostruttivo dovuto all’infiltrazione per contiguità della VBP. L’indagine strumentale di I livello è un’ecografia il cui reperto varia a seconda della presentazione macroscopica della neoplasia. Nella forma papillare vegetante, mostra una colecisti occupata da una massa solida iperecogena disomogenea, nel cui contesto sono apprezzabili una o più immagini litiasiche, con il caratteristico cono d’ombra posteriore. Nella forma infiltrante scirrosa – di non facile DD con le colecistiti croniche e l’adenomiomatosi – rivela, invece, pareti colecistiche marcatamente ed irregolarmente ispessite. L’ecografia può inoltre documentare l’eventuale presenza di: ‐ infiltrazione del IV e del V segmento epatico, dove si apprezza un’area ipoecogena semilunare; ‐ dilatazione delle vie biliari, che ne suggerisce il coinvolgimento neoplastico: ‐ linfoadenopatie WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne In seconda istanza, ci si avvale di: ‐ TC con mdc, che precisa l’estensione extracolecistica della neoplasia ‐ Colangio‐RM, che meglio documenta l’interessamento delle vie biliari Colangite sclerosante primitiva (CSP) Malattia colestatica cronica ad eziologia sconosciuta ed a patogenesi autoimmune Colpisce prevalentemente maschi, di età < 45 anni, soprattutto se affetti da RCU Sotto il profilo anatomo‐patologico, i dotti biliari, intra ed extra‐epatici, sono interessati da un processo infiammatorio cronico ad evoluzione fibrotica che determina stenosi progressive e segmentarie, con dilatazione dei segmenti interposti. Una CSP va sospettata nei pz che presentano una sindrome colestatica cronica con assenza di anticorpi anti‐mitocondri. La diagnosi si basa sull’esecuzione combinata di una colangio‐RM e di una biopsia epatica, che fornisce anche informazioni utili ai fini stadiativi. La colangio‐RM tipicamente dimostra l’alternanza di dilatazioni e stenosi dei dotti biliari, con aspetto a “corona di rosario”. Il 10% dei pz con CSP sviluppa un CC. Per la diagnosi precoce di un CC, nei pz con CSP, ci si affida a colangio‐
RM e determinazione dei livelli sierici di Ca19.9, da effettuare in maniera periodica. Colangiocarcinoma È la neoplasia più frequente delle vie biliari Ha un picco di incidenza nella VII decade di vita Se ne distinguono:  Forme intraepatiche  Forme extraepatiche che possono originare da qualsiasi punto della VBP, situata tra l’ilo epatico e la papilla di Vater. I CC intraepatici, a loro volta, comprendono:  Forme periferiche, distali alla seconda ramificazione dei dotti epatici dx e sin  Forme ilari o tumori di Klatskin che si sviluppano dalla confluenza dei dotti epatici dx e sin. Dei tumori di Klatskin si riconoscono, in accordo alla classificazione di Bismuth, 4 tipologie:  Tipo I, tumore limitato alla confluenza dei dotti epatici dx e sin senza invasione della loro origine  Tipo II, tumore che interessa la confluenza dei dotti epatici dx e sin e la loro origine, con separazione dei due emisistemi  Tipo III, tumore che, dalla confluenza, si estende al dotto epatico dx o sin  Tipo IV, tumore che, dalla confluenza, si estende ad entrambi i dotti epatici Si manifesta con ittero ostruttivo ingravescente e perdita di peso. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Indagine di I livello, nel sospetto di CC: ecografia I CC intraepatici periferici appaiono come lesioni nodulari iso o ipoecogene, se di diametro < 3 cm; prevalentemente iperecogene, se si diametro > 3 cm. Quando esaminati al color‐Doppler, mostrano una scarsa vascolarizzazione. Il tumore di Klatskin è difficilmente evidenziabile all’indagine ecografica. Depongono comunque per la sua presenza: ‐ Dilatazione delle vie biliari a monte ‐ Atrofia lobare, apprezzabile come un’alterazione circoscritta dell’ecostruttura parenchimale. Nei pz con tumore di Klaskin, l’impiego del color‐Doppler permette di riconoscere l’eventuale infiltrazione neoplastica dei rami portali. I CC extraepatici, all’ecografia, possono presentarsi sotto forma di stenosi delle vie biliari, ispessimento parietale, massa iperecogena endoluminale, priva di cono d’ombra posteriore, alterazione del tessuto lasso periduttale. I CC extraepatici, tuttavia, non sempre sono identificabile dall’ecografia, soprattutto se localizzati nel tratto terminale del coledoco, per lo sbarramento acustico dovuto al gas duodenale e colico. La presenza di un ostacolo in questa sede viene comunque suggerita dalla dilatazione delle vie biliari a monte. Come indagine strumentale di II livello, ci si avvale di una TC spirale con scansioni contrastografiche multifasiche che permette di:  Individuare e caratterizzare la lesione Nell’ambito dei CC,  Le forme periferiche, mostrano, in fase arteriosa, l’enhancement della sola porzione periferica, dove è maggiormente concentrata la componente cellulare. L’impregnazione della zona centrale, dove prevale un’ampia componente fibrotica, si verifica, invece, solo in fase tradiva. Tale comportamento favorisce la DD con un epatocarcinoma.  Le forme ilari si presentano come un tessuto solido ipodenso periduttale, con esile rima periferica di enhancemnet in fase arteriosa  Le forme extraepatiche possono manifestarsi come noduli endoluminali ipodensi o come ispessimenti parietali a carattere stenotico, con brusca terminazione distale.  Stabilire:  Livello di ostruzione  Estensione loco‐regionale, con particolare riferimento all’infiltrazione di strutture vascolari  Presenza di metastasi linfonodali ed a distanza Tali informazioni sono fondamentali per esprimere un giudizio di resecabilità della neoplasia. Il ricorso ad una colangio‐RM è indicato nei casi di sospetta patologia ilare non confermata dalla TC e per stabilire l’estensione intraduttale di un tumore di Klatskin, permettendo di definirne la tipologia in accordo alla classificazione di Bismuth. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Ittero ostruttivo Nei pz con un quadro clinico e laboratoristico di ittero ostruttivo la DxI è finalizzata a definire: ‐ Presenza ‐ Sede ‐ Natura della lesione ostruente i dotti biliari che generalmente consiste in un calcolo o in una neoplasia di vie biliari, testa del pancreas, papilla di Vater La DxI, inoltre, ha il compito di valutare l’estensione del tumore responsabile, in caso di ittero neoplastico. L’indagine strumentale di I livello è costituita da un’ecografia. L’ecografia ‐ conferma la natura ostruttiva dell’ittero, dimostrando la dilatazione delle vie biliari a monte dell’ostacolo ‐ consente di riconoscere il livello dell’ostruzione ‐ può svelare la natura della lesione ostruente le vie biliari. Ad esempio,  i calcoli appaiono come formazioni iperecogene mobili, dotate di un cono d’ombra posteriore  i CC della VBP possono manifestarsi sotto forma di ispessimento parietale a carattere stenotico, massa iperecogena endoluminale priva di cono d’ombra posteriore, alterazione del tessuto lasso periduttale  i tumori della testa del pancreas sono apprezzabili come formazioni nodulari, generalmente solide ed ipoecogene, con margini sfumati Va detto, tuttavia, che il tratto distale, retropancreatico del coledoco è difficilmente esplorabile all’indagine ecografica, per lo sbarramento acustico provocato dal gas duodenale e colico. Come indagine strumentale di II livello ci avvale di: ‐ ERCP, qualora l’ecografia abbia documentato la presenza di un calcolo nella VBP, poiché ne consente l’estrazione mediante pallone gonfiabile o cestello di Dormia, previa papillosfinterotomia endoscopica. ‐ Colangio‐RM, in caso di sospetta calcolosi delle vie biliari, non dimostrata dall’ecografia. ‐ TC spirale con mdc, in caso di elevata probabilità pre‐test – clinica ed ecografica – di ostruzione maligna delle vie biliari, poiché permette di valutare l’estensione loco‐regionale ed a distanza della neoplasia, rendendo così possibile un giudizio di resecabilità. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Malformazioni della colecisti e delle vie biliari Relativamente alla colecisti, rare sono: agenesia, duplicazione, sinistro‐posizione, localizzazione intraepatica. Meno rara è la presenza di un vero e proprio meso che sospende la colecisti rendendola marcatamente mobile e passibile di torsioni acute (colecisti pendula). Frequenti sono le anomalie di forma (colecisti “ad uncino” ed “a berretto frigio”) e la presenza si setti che sepimentano il lume colecistico. L’ecografia consente di individuare la quasi totalità delle malformazioni colecistiche. Relativamente alle vie biliari, si riconoscono: ‐ Malattia cistica dell’albero biliare Affezione congenita caratterizzata da dilatazioni cistiche singole o multiple dei dotti biliari intra ed extraepatici. Predilige il sesso femminile. Se ne distinguono 5 tipi, in accordo alla classificazione di Todani:  Tipo I (80‐90% dei casi), dilatazione cistica, segmentaria o fusiforme del coledoco  Tipo II, presenza di un diverticolo sovraduodenale della VBP  Tipo III, dilatazione cistica della porzione distale, intraduodenale del coledoco (coledococele)  Tipo IV, dilatazioni cistiche multiple delle vie biliari intra ed extraepatiche o del solo tratto extraepatico dell’albero biliare  Tipo V, presenza di cisti multiple delle vie biliari intraepatiche di maggiori dimensioni (Malattia di Caroli). Se ad esser coinvolti sono anche i piccoli dotti biliari interlobulari e se vi è evoluzione verso la cirrosi epatica, si parla di sindrome di Caroli. L’ecografia, indagini strumentale di I livello, può evidenziare lesioni ipo‐anecogene cistiche, sacculari o fusiformi in corrispondenza dell’ilo epatico e lungo il decorso del coledoco. Una colangio‐RM è comunque indispensabile per meglio caratterizzare l’affezione, garantita da un’accurata rappresentazione dell’intero albero biliare, con la possibilità di apprezzare la comunicazione delle lesioni cistiche con l’albero biliare e di esaminare l’anatomia della giunzione pancreatico‐coledocica. ‐ Atresia delle vie biliari È la causa più comune di ittero neonatale colestatico. Le alterazioni anatomo‐patologiche più tipiche sono: obliterazione dei dotti biliari, fibrosi periportale, evoluzione verso la cirrosi biliare. L’ecografia spesso evidenzia un diffuso aumento dell’ecogenicità del parenchima epatico, potendo inoltre documentare il segno del “cordone triangolare” (iperecogenicità di tipo fibrotico in corrispondenza della biforcazione della vena porta), indicativo ma non specifico dell’affezione. In secondo istanza, va impiegata una RM, capace di evidenziare l’elevata intensità di segnale degli spazi fibrotici perivascolari, nelle sequenze T2‐pesate. La RM va inoltre eseguita con tecnica colangiografica per l’individuazione dei tratti pervi dell’albero biliare, di grande importanza ai fini della scelta dell’intervento correttivo. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Milza L’indagine strumentale di I livello per lo studio della milza è rappresentata dall’ecografia. Tale indagine consente di: 1. Effettuare un’analisi volumetrica e strutturale della milza, in pz con splenomegalia 2. Individuare raccolte ematiche intraparenchimali, sotto‐capsulari e perispleniche 3. Riconoscere lesioni focali della milza L’integrazione con tecniche Doppler rende possibile la valutazione del peduncolo vascolare splenico e del circolo portale. Indagini strumentali di livello successivo includono: TC, praticando scansioni prima e dopo somministrazione endovenosa di un mdc iodato idrosolubile La scansione diretta pre‐contrastografica permette di riconoscere calcificazioni e raccolte ematiche intraspleniche, che appaiono spontaneamente iperdense. Le scansioni eseguite dopo somministrazione ev del mdc sono invece indicate per: 1. Esaminare il peduncolo vascolare splenico ed il circolo portale 2. Individuare e caratterizzare lesioni focali della milza 3. Dimostrare alterazioni spleniche post‐traumatiche e riconoscere, nel loro contesto, focolai di sanguinamento attivo, denunciati dallo stravaso del mdc. La maggiore accuratezza diagnostica si ottiene mediante apparecchiature multistrato che offrono la possibilità di acquisire, in pochi secondi, ampi volumi corporei, con scansioni caratterizzate da uno spessore di strato molto sottile, fino a 0,5 mm. Viene pertanto esaltata la risoluzione spaziale delle immagini che diviene tale da rendere la dimensione del volume di acquisizione (voxel) pressoché identica nei 3 piani dello spazio (voxel isotropico). Il volume anatomico acquisito può così essere visualizzato in tutti e tre i piani dello spazio, senza perdita di informazioni. Ricostruzioni multiplanari di elevata qualità sono molto utili per valutare: ‐ i rapporti della milza con le strutture contigue ed in particolare con il diaframma ‐ la diffusione di raccolte fluide conseguenti alla rottura della milza. RM Offre i vantaggi di: 1. Non utilizzare radiazioni ionizzanti 2. Poter effettuare scansioni secondo il piano dello spazio desiderato, senza bisogno di ricorrere a tecniche di ricostruzione (MULTIPLANARITÀ). Ciò risulta particolarmente utile per valutare i rapporti della milza con l’emidiaframma sin e con il rene omolaterale. Tale valutazione, infatti, si effettua mediante acquisizioni sul piano coronale. 3. Poter acquisire immagini “pesate” secondo differenti proprietà fisiche, caratteristiche dei diversi tessuti, quali tempo di rilassamento T1 – tempo necessario al ripristino della magnetizzazione longitudinale, dopo l’interruzione dell’impulso di RF – tempo di rilassamento T2 – tempo necessario alla perdita della magnetizzazione trasversale, dopo l’interruzione dell’impulso di RF – densità protonica – numero di protoni risonanti per unità di volume (MULTIPARAMETRICITÀ). La multiparametricità fa sì che la RM disponga di: ‐ Notevole capacità di caratterizzazione tissutale ‐ Elevata risoluzione di contrasto intrinseca WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Le sequenze T1‐pesate, forniscono un ottimo dettaglio anatomico; quelle T2‐pesate, risultano più efficaci nel dimostrare e caratterizzare lesioni focali della milza. L’indagine viene in genere completata acquisendo immagini T1‐pesate, dopo somministrazione e.v. di un mdc paramagnetico (Gd‐DTPA) che favorisce il riconoscimento di lesioni focali della milza – spesso isointense rispetto al parenchima splenico circostante – e la loro caratterizzazione. TECNICHE MEDICO‐NUCLEARI Scintigrafia con 99Tc‐solfuro colloidale, che viene captato elettivamente dalle cellule reticoloendoteliali epatiche, spleniche e midollari. Viene principalmente impiegata per individuare e caratterizzare, sotto il profilo funzionale, milze accessorie o localizzate in sedi ectopiche. La somministrazione di cellule ematiche autologhe marcate con 99mTc e denaturate mediante calore (per indurne la rimozione dal circolo ad opera dei macrofagi splenici) consente lo studio dell’attività emocateretica della milza ed il riconoscimento delle condizioni di ipersplenismo. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Rottura della milza Può essere: 1. secondaria a traumi non penetranti, per un meccanismo indiretto di trazione da parte dei legamenti che si inseriscono sulla capsula splenica, saldamente aderente al parenchima, friabile e ricco di sangue; 2. secondaria a traumi penetranti di torace ed addome (anche iatrogeni); 3. spontanea (rottura patologica che complica splenomegalie a rapida insorgenza). Nel sospetto di rottura della milza, l’indagine strumentale di I livello è costituita da un’ecografia dell’addome. L’ecografia risulta, infatti, molto sensibile nell’individuare liquido libero intraperitoneale il cui riscontro è fortemente indicativo di rottura della milza, anche in assenza di lesioni spleniche post‐traumatiche apprezzabili, verso cui l’indagine ecografica mostra una minore sensibilità. Il passo successivo nella gestione del pz con sospetta rottura di milza viene stabilito rapportando il reperto ecografico al quadro emodinamico osservato: 1. Con ecografia negativa e pz emodinamicamente stabile, l’iter diagnostico può ritenersi concluso; 2. con ecografia positiva per liquido libero intraperitoneale e pz emodinamicamente stabile, è indicato uno stretto monitoraggio ecografico ed un eventuale ricorso alla TC; 3. indipendentemente dal reperto ecografico, se il pz si presenti emodinamicamente instabile, è d’obbligo praticare una TC con mdc. TC con mdc È l’indagine più accurata nel documentare alterazioni spleniche post‐traumatiche, quali:  Ematoma, centro‐parenchimale o sotto‐capsulare  Lacerazione e rottura Gli ematomi splenici, nella scansione diretta pre‐contrastografica, appaiono spontaneamente iperdensi rispetto al parenchima circostante, se l’emorragia è recente (prime 24 h). Con il passare dei gg, diventano, prima, isodensi e, poi, ipodensi. Dopo somministrazione e.v. del mdc, non modificano la propria densità, a meno che non vengano riforniti di sangue fresco (sanguinamento attivo). Lacerazione e rottura si presentano come un’immagine lineare ipodensa, priva di c.e. dopo somministrazione e.v. del mdc. Di solito si associano ad emoperitoneo. Lo stravaso del mdc è segno di emorragia attiva ed impone un intervento chirurgico immediato. L’ecografia e la TC con mdc sono inoltre indicate nel follow up dei pz che presentano un ematoma splenico sotto‐capsulare post‐traumatico, al fine di individuarne l’eventuale aumento di volume. L’aumento di volume dell’ematoma si verifica per il rigonfiamento osmotico che accompagna la frammentazione dell’emoglobina e può esser responsabile di una rottura tardiva della milza. Una rottura tardiva della milza deve esser sospettata se una sintomatologia in via di normalizzazione, peggiori improvvisamente (rottura in due tempi). WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Splenomegalie La splenomegalia consiste in un aumento di volume della milza. Sotto il profilo etiologico, si distinguono:  Splenomegalie infiltrative, da linfomi, leucemie, mononucleosi infettiva, AIDS.  Splenomegalie infiammatorie croniche, da sarcoidosi, artrite reumatoide, TBC, malaria.  Splenomegalie congestizie, da ipertensione portale. L’ipertensione portale, a sua volta, può essere:  Pre‐epatica, da trombosi della vena porta o della vena splenica  Epatica, da cirrosi  Post‐epatica, da trombosi delle vene sovra‐epatiche (Sindrome di Budd‐Chiari) e scompenso cardiaco dx La valutazione volumetrica e morfologica della milza è affidata, in prima istanza all’ecografia, che spesso può anche orientare circa la natura della splenomegalia. In particolare, la diagnosi eziologica viene suggerita da: 1. Ecostruttura splenica 2. Stato del circolo portale, esaminato mediante tecniche Doppler 3. Presenza o meno di lesioni focali Come indagini strumentali di II livello, ci si può avvalere di TC con mdc e RM Nelle splenomegalie congestizie, da ipertensione portale, l’ecografia con eco‐color‐Doppler è capace di documentare: 1. Aumento di volume della milza, che appare normo‐ecogena 2. Incremento del diametro portale, che supera i 12‐13 mm 3. Rallentamento del flusso ematico in vena porta, fino alla sua completa inversione o allo sviluppo di trombosi portale 4. Circoli collaterali di scarico porto‐sistemici, anche se questi ultimi sono meglio apprezzabili mediante angio‐TC ed angio‐RM Nelle splenomegalie infiltrative, l’ecografia rivela un aumento di volume della milza che mostra un’ecostruttura omogenea, con echi piccoli, stipati e di intensità variabile. Lesioni focali, quando presenti, appaiono come noduli multipli ipoecogeni. TC e RM Sono più sensibili nell’identificare lesioni focali, anche subcentimetriche, a patto di impiegare un mdc. Nelle splenomegalie infiammatorie croniche, l’ecografia evidenzia aumento di volume della milza che presenta un’ecostruttura disomogenea, con echi più grossolani ed intensi della norma. N.B. Nella sarcoidosi è talora possibile apprezzare lesioni focali – ipoecogene, all’ecografia ed ipodense, alla TC – che risultano indistinguibili da quelle di un linfoma. In questi casi la DD è solo di tipo istologico. Nei pz che presentano splenomegalia, lo studio dell’attività emocateretica della milza ed il riconoscimento di una condizione di ipersplenismo sono possibili effettuando una scintigrafia con cellule ematiche autologhe marcate mediante 99mTc e denaturate tramite calore (per indurne la rimozione dal circolo ad opera dei macrofagi splenici). Un’embolizzazione in corso di arteriografia splenica (splenectomia angiografica) permette di controllore l’eventuale stato di ipersplenismo. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Infarto splenico Spesso complica il decorso di una splenomegalia. La diagnosi di infarto splenico può esser posta mediante ecografia con eco‐color‐Doppler e TC con mdc. All’ ecografia con eco‐color‐Doppler, l’infarto splenico appare come un’area triangolare ipoecogena, con apice rivolto verso l’ilo e base poggiante sulla capsula, priva di segnali vascolari. Con il tempo, l’infarto splenico generalmente evolve in una formazione iperecogena, di dimensioni ridotte rispetto a quelle iniziali, che ne rappresenta l’esito fibrotico. Alla scansione TC diretta, un infarto splenico acuto appare come un’area triangolare ipodensa che, dopo somministrazione e.v. del mdc, mostra un c.e. scarso o nullo. Ascesso splenico Può esser provocato da: 1. Batteriemie sistemiche in corso di endocardite infettiva e salmonellosi 2. Sovrainfezione di un ematoma 3. Estensione alla milza di un processo infettivo contiguo (come un ascesso subfrenico) Clinica ‐ Dolore in ipocondrio sin, esacerbato dalla palpazione, che può irradiarsi a torace, spalla sinistra, fianco sinistro. ‐ Febbre ‐ Splenomegalia Indagine di I livello nel sospetto di un ascesso splenico: ecografia. All’ecografia, l’ascesso splenico appare come una lesione focale intraparenchimale, con ecostruttura mista, liquida e solida. La conferma diagnostica viene fornita da una TC con mdc che rivela una lesione intraparenchimale ipodensa, delimitata da un cercine isodenso che va incontro ad un intenso c.e. ‐ divenendo quindi iperdenso ‐ dopo somministrazione e.v. del mdc. Il riscontro di gas all’interno della lesione risulta patognomonico di ascesso e depone per un’infezione da anaerobi. Ecografia e TC possono, inoltre, guidare il drenaggio percutaneo della raccolta ascessuale. Tumori benigni Sono rari e, nella maggior parte dei casi, consistono in: ‐ Emangiomi, derivanti dall’epitelio dei sinusoidi, di cui i cavernosi si dimostrano più comuni dei capillari. ‐ Linfoangiomi, che generalmente assumono la forma di cisti multiple a pareti sottili. ‐ Amartomi Gli emangiomi splenici sono generalmente asintomatici e, solo di rado, si manifestano con: ‐ Dolore ‐ Massa palpabile dell’ipocondrio sin ‐ Anemia, trombocitopenia ed alterazioni della coagulazione (Sindrome di Kasabach‐Merrit) Quando raggiungono dimensioni cospicue, inoltre, possono andare incontro a rottura con emoperitoneo. All’ecografia, si manifestano come lesioni focali iperecogene omogenee. Alla TC con mdc, le forme cavernose, presentano un tipico enhancement post‐contrastografico centripeto. WWW.SUNHOPE.IT
Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Tumori maligni I tumori maligni più comuni della milza sono i linfomi. L’interessamento splenico da parte di linfomi, raramente, è primitivo (caso di LnH a piccoli cellule), dimostrandosi, con maggiore frequenza, secondario ed apprezzabile, in circa il 30% dei pz con malattia sistemica, all’atto della prima diagnosi. Può manifestarsi sotto forma di: ‐ Aumento di volume della milza che mostra un’ecostruttura omogenea, con echi piccoli, stipati e di intensità variabile. ‐ Lesioni focali multiple che, all’ecografia, appaiono ipoecogeni a margini netti ‐ Massa singola di grandi dimensioni, anch’essa ipoecogena all’ecografia. N.B. le lesioni focali sono meglio dimostrabili da una TC con mdc che, nella fase di enhancement parenchimale, documenta tali lesioni come aree ipodense, per la scarsa vascolarizzazione. La diagnosi di natura viene suggerita dal contestuale interessamento di stazioni linfonodali, superficiali e profonde, dimostrato, con accuratezza elevata, da una PET‐TC. Tra le neoplasie maligne non emolinfopoietiche della milza, prevalgono i sarcomi ed in particolare l’angiosarcoma correlato, negli anni 30‐50, all’uso di un mdc contenente torio, il Thorotrast. All’ecografia, appare come una lesione disomogenea, con zone solide di media ecogenicità e zone ipoecogene, da riferire a focolai di necrosi colliquativa. L’eco‐color‐Doppler dimostra la ricca vascolarizzazione della lesione. La TC con mdc evidenzia una formazione solida, a densità non uniforme e caratterizzata da un disomogeneo enhancement post‐contrastografico, che non interessa le zone di necrosi. Le ricostruzioni multiplanari permettono di stabilire i rapporti della lesione con il diaframma e con le altre strutture anatomiche contigue. Ciò può anche essere valutato, direttamente e senza bisogno di ricostruzione, mediante RM, grazie alla sua multiplanarità. N.B. Nessuna metodica di immagine permette di stabilire con certezza il carattere maligno della lesione a meno che non sia dimostrabile il suo sviluppo infiltrativo o la presenza di metastasi a distanza. Le metastasi spleniche sono rare ad eccezione di quelle da melanoma. N.B. Tali lesioni, alla RM, tipicamente appaiono iperintense, nelle sequenze T1‐pesate, per l’effetto paramagnetico della melanina. WWW.SUNHOPE.IT
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