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Lectio Magistralis del dott. Sergio Marchionne
UNIMORE - UNIVERSITA’ DI MODENA E REGGIO EMILIA CERIMONIA D’INAUGURAZIONE DELL’840° ANNO ACCADEMICO Intervento di Sergio Marchionne, Presidente di Ferrari Presidente di CNH Industrial Amministratore Delegato di Fiat Chrysler Automobiles Sede di Modena, Auditorium Fondazione Marco Biagi 17 marzo 2016 – h 12:15 Magnifico Rettore, Autorità, Signore e Signori, buongiorno a tutti. Quando m’invitano a parlare in un’Università, mi tornano sempre in mente i ricordi dei miei anni al College. E sono tanti, visto che di Università ne ho fatte quattro. Se guardo indietro, alle mie scelte di studio e di carriera, non vedo nulla di lineare. Anzi, l’aggettivo più adatto sarebbe “caotico”. Ho rivoluzionato il mio percorso di studi, il mio lavoro e la mia vita in continuazione. Quando ho iniziato l’Università a Toronto, in Canada, ho scelto filosofia. L’ho fatto perché sentivo che, in quel momento, era una cosa importante per me. Poi ho continuato studiando tutt’altro -- scienze commerciali, Business Administration, Legge -- e ho fatto prima il commercialista e poi l’avvocato. E ho seguito tante altre strade, passando per la finanza, prima di arrivare a occuparmi d’imballaggi, poi di alluminio, di chimica, di biotecnologia, di servizi e oggi di automobili. Non so se la filosofia mi abbia reso allora un avvocato migliore o mi renda oggi un amministratore delegato migliore. E non so se il fatto di cambiare Paese a 14 anni e iniziare da zero in una terra sconosciuta e in una lingua straniera mi abbiano abituato a non avere abitudini. Ma ogni singola esperienza mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente a nuove idee, a nuove persone e a nuove prospettive. Mi ha lasciato il coraggio di cambiare, la necessità di non chiudermi dentro le idee abituali, l’importanza di rifiutare i preconcetti. Sono successe tante cose dai miei tempi all’Università. E a me capita sempre più spesso di provare quello che Mark Twain provava per suo padre, quando disse: “Quando avevo 14 anni, mio padre era tanto ignorante che mi dava fastidio averlo attorno. Ma quando ne compii 21, fui sorpreso nel vedere quanto avesse imparato in sette anni". Tutti cresciamo e anch’io, come leader, sono cresciuto enormemente. Molte idee, nozioni e convinzioni che avevo un tempo, quando ho iniziato a fare l’amministratore delegato, non esistono più. Allora tutto sembrava più facile. C’erano precisi modelli di comportamento da seguire e non c’erano le pressioni quotidiane e le responsabilità collegate all’esercizio della leadership. Poi, col tempo e con l’esperienza, la mia mente ha iniziato a elaborare una serie di idee e di nozioni nuove, in maniera più personale. Unimore pag. 2 di 12 17/03/2016 Sono alcune di queste idee che vorrei condividere con voi oggi, sulle competenze e sulle qualità di un leader del 21esimo secolo. Spero che possano essere di qualche aiuto a chi ha il privilegio di formare i leader di domani o a chi si trova oggi a definire il proprio percorso di carriera. Ci sono due cose che di sicuro non farò oggi. Non vi porterò attraverso un tour di auto-gratificazione su quello che ho fatto durante gli ultimi trenta e più anni, sui miei successi veri o presunti. E non vi farò nessuna lezione formale. L’ultima cosa di cui avete bisogno è sorbire una presentazione di grafici e numeri. Vi assicuro che ne ho viste e continuo a vederne tante – e neanch’io le ammiro poi così tanto. Lo scrittore giapponese Haruki Murakami, in uno dei suoi più grandi successi, “Kafka sulla Spiaggia”, ha scritto che: “Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto”. Credo che la capacità di adattarsi a un mondo che cambia sia la chiave di lettura della nostra epoca. Neanche noi possiamo evitare il vento, le tempeste o i cambiamenti. E non possiamo ignorarli. E’ parte della vita per ognuno di noi, com’è parte dei cicli di mercato per un’azienda. Il modo migliore per affrontarli non è cambiare il passo, ma cambiare mentalità. Tra poco saranno 12 anni da quando mi hanno chiamato alla guida della Fiat. Un’azienda che era rimasta immobile per tanto, troppo tempo, è passata negli ultimi anni attraverso cambiamenti epocali che ne hanno ridefinito la fisionomia. Alle spalle di FCA ci sono le storie centenarie di Fiat e di Chrysler. Due aziende molto diverse dal punto di vista geografico e culturale, ma con un tratto in comune: entrambe sono la prova vivente che anche per un’azienda è sempre possibile cambiare radicalmente e rinascere. Tutte e due, anche se in tempi diversi, sono state messe duramente alla prova da un cocktail complesso di dinamiche industriali negative e cattiva leadership. Dodici anni fa erano tutti d’accordo sul fatto che la Fiat non avesse grandi chance. La tesi generale era che nel giro di qualche anno, se non prima, sarebbe scomparsa dal panorama automobilistico mondiale. Unimore pag. 3 di 12 17/03/2016 Si era come scatenata una gara sulla migliore “cronaca di una morte annunciata”. Queste sono alcune delle copertine con cui la stampa internazionale dava l’addio all’auto italiana. Chrysler non era in una situazione molto diversa. Nessuno ci avrebbe scommesso un dollaro nel 2009. Il settimanale canadese Maclean’s scrisse che: “Ai tempi del crollo dell'industria dell’auto americana, sembrava alquanto probabile che le ‘Big Three’ di Detroit sarebbero diventate le ‘Big Two’. E per molti, era proprio Chrysler che non sarebbe sopravvissuta alla cosiddetta 'Carmageddon'. Si prevedeva, infatti, che “sarebbe stata liquidata per tre chewing-gum e un pugno di centesimi”. La domanda che mi fanno più spesso è come sono riuscito a cambiare il destino delle due aziende, cosa ho fatto e come l’ho fatto. La risposta più semplice che posso darvi è che ho rimosso la struttura gerarchica e verticale che governava entrambe, ho distribuito poteri e autonomia decisionale, e soprattutto ho spostato il focus sulla selezione e sullo sviluppo dei leader. Non che lo sviluppo delle persone sia un fatto esclusivo di FCA. Tutte le aziende, ogni anno, spendono miliardi di euro nello sviluppo della leadership. L’elenco dei libri che promettono la ricetta magica è infinito. E c’è tutta un’industria devota all’insegnamento delle tecniche della leadership. Eppure, nonostante tutte queste attenzioni, il senso di sfiducia verso i leader è profondo e diffuso. Tanto per i leader politici quanto per quelli d’azienda. Secondo un recente sondaggio, il 35 per cento dei lavoratori rinuncerebbe a un cospicuo aumento di stipendio pur di vedere licenziato il proprio diretto superiore. Un altro studio, condotto su tutti i dirigenti, sostiene che uno su due è incapace. Ogni anno business schools preparano migliaia di uomini e di donne nella scienza del management. Quello che in qualche modo si va a perdere in questa preparazione è che la leadership non è solo questione di processi o di misure. La leadership è una vocazione nobile – è qualcosa che arricchisce la vita delle persone. Tutte le organizzazioni create negli ultimi duecento anni sono state il prodotto di due premesse di vasta portata. La prima è che senza regole, politiche e procedure estese le persone reagiscono in maniera irresponsabile. La seconda è che il modo migliore di organizzare un’azienda è creare lavori semplici collegati tra loro da processi complessi. La prima distrugge la fiducia. La seconda priva le persone coinvolte di qualsiasi percezione di valore personale. Unimore pag. 4 di 12 17/03/2016 Gestire un’organizzazione in base a questi principi non è leadership. Quale sia la giusta leadership e come riuscire a crearla è forse uno dei problemi più spinosi. Tutti quanti -- uomini d’azienda, liberi professionisti e docenti universitari --dobbiamo fare i conti con una scelta non facile: il paradigma da usare per selezionare e valutare un leader. Il problema di fondo è che l’azienda moderna è una sovrastruttura cognitiva con un Consiglio di Amministrazione, un Presidente e Consiglieri che sono formati per esercitare un ruolo di supervisione sulla pianificazione e sul controllo. E per di più sono tenuti a farlo per legge. Ma come ha detto il professor Simons, che ad Harvard tiene la cattedra di Business Administration che fu di Charles Williams: “Le misurazioni si concentrano su errori di commissione (cose sbagliate) e carenze rispetto agli obiettivi (varianze negative). I sistemi di controllo sono sistemi a feedback negativo. I report sui controlli sono usati soprattutto per confermare che tutto proceda come stabilito. L’imprevisto è il vero nemico.” Purtroppo, tutte queste imprese operano nei mercati finanziari, che hanno un sistema di controllo di tipo amministrativo, ma non hanno nessun controllo manageriale. Sono solo un amalgama di soggetti che forniscono capitale per alimentare la nascita di nuovi concorrenti il cui unico obiettivo è rimpiazzare quelli vecchi. E il loro unico ruolo è generare imprevisti. Si tratta di un processo frenetico e incessante, racchiuso nella visione del capitalismo di Schumpeter. Nel riconoscere l’importanza della figura dell’imprenditore, l’economista austriaco lo vede come uno stimolo agli investimenti e all’innovazione, e proprio per questo causa di “distruzione creativa”. Il ruolo dei mercati, nel mondo descritto da Schumpeter, così come nel mondo di oggi, è semplicemente quello di permettere a prodotti e concorrenti di entrare e di uscire in maniera efficiente. Ed è così che i mercati lavorano: senza etica, senza esitazioni e senza coscienza. Ovunque, e in ogni momento storico, ci sono prove visibili dei venti di distruzione creativa descritti da Schumpeter. E sono tutte prove dell’efficacia di questo processo, dell’abilità del mercato di investire nei benefici della tecnologia e del progresso. E dell’abilità del sistema di assorbire le perdite provocate dalla distruzione del vecchio. La storia ci ha mostrato come questi eventi siano possibili, addirittura necessari. Prendete ad esempio il boom ferroviario in Gran Bretagna intorno al 1840. Unimore pag. 5 di 12 17/03/2016 Si raccolsero ingenti somme per finanziare lo sviluppo del progetto e alla fine quasi tutte le società coinvolte fallirono, ma il processo nel suo insieme continuò a portare enormi benefici all’economia, anche molto tempo dopo la loro scomparsa. Questi fermenti, rovinosi all’inizio, di solito producono vantaggi economici nel lungo termine. Ma non possono e non devono essere considerati casi di mercati irrazionali, perché fanno parte di una dialettica economica che è sempre in grado di generare una soluzione. La recente crisi finanziaria è un esempio del processo di distruzione creativa di Schumpeter. Un documento del Fondo Monetario Internazionale fa riferimento a quello che è successo nel mercato subprime come a “un caso di studio sui costi e sui benefici dell’innovazione finanziaria in un ambiente con dinamiche di prezzo mutevoli”. E i benefici sembravano chiari. “Il costo dei mutui a rischio è precipitato, permettendo a tante più persone di possedere una casa, specialmente tra le minoranze, e i rischi d’inadempienza sono stati dispersi, trasferiti dagli istituti di deposito ai mercati finanziari”. Per quanto meraviglioso possa sembrare, la globalizzazione ha cambiato le regole del gioco; un fatto che è passato inosservato a tutti i partecipanti, comprese le autorità di vigilanza globali. Ciò di cui siamo stati testimoni è la conseguenza inevitabile di un sistema completamente aperto e di un mondo senza più confini geografici né economici. Le parole usate dall’Economist per descrivere questo problema, qualche tempo fa, sono state: “La fragilità della perfezione”. Maggiore è l’interdipendenza nel sistema, maggiori saranno gli effetti della distruzione in una parte di esso. Nella finanza, il modello “creare e distribuire” del credito bancario ha forse dissipato i rischi, ma ha anche permesso che un problema nel mercato immobiliare americano danneggiasse le banche e gli investitori di tutto il mondo. Al tempo era quasi impossibile prevedere che, da lì a poco, alcune delle più potenti banche d’investimento sarebbero crollate, con effetti a catena sul resto del mondo e dei settori economici. Un sistema che per secoli si era basato sull’integrità, sulla fiducia e sul senso di responsabilità è stato di colpo sconvolto da due elementi: una cultura basata sull’egoismo e sull’avidità, e la mancanza di un adeguato meccanismo di pianificazione e controllo a livello di Consiglio. Gli eventi e la storia hanno dimostrato che ci reggevamo su un sistema di governance del tutto inadeguato. Soprattutto, hanno evidenziato la necessità di ripensare il ruolo del capitalismo stesso, e di stabilire qual è il corretto contesto dei mercati. Sono una struttura che disciplina le economie, non la società. Unimore pag. 6 di 12 17/03/2016 Si tratta di una distinzione sottile ma non irrilevante. Non possiamo demandare al funzionamento dei mercati la creazione di una società equa. I mercati non hanno coscienza, non hanno morale, non sanno distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Se li lasciamo agire come meccanismo operativo della società, tratteranno anche la vita umana come una merce. E questo è inaccettabile. * * * Vi dico queste cose perché voi avete il privilegio e la responsabilità di formare i leader futuri. Ed è proprio in queste aule che si apprende a rimanere flessibili. E’ qui che s’inizia a misurarsi con se stessi, a capire il senso dell’impegno e della responsabilità. E’ qui che s’impara a combattere il nostro peggiore nemico: il disimpegno, quel credo dilagante che appiattisce tutti sulla banalità e sulla mediocrità. Nessuno può prevedere come le dinamiche già in atto interverranno a influenzare il destino di chi domani entrerà nel mondo del lavoro. Quello che è certo è che il percorso di carriera tradizionale, dove si resta nella stessa azienda per tutta la vita, non è più la norma. Anche chi sceglie professioni dalla tradizione secolare - come il diritto, la finanza, la medicina e la formazione - deve essere in grado di adattarsi a un nuovo modo di fare le cose. Il mondo in cui operiamo è complesso, a volte caotico. I problemi che dobbiamo affrontare cambiano ogni giorno. Le variabili in gioco sono così tante e così grandi. Tutto questo richiede al sistema una flessibilità enorme. Richiede grande rapidità e la capacità di adeguarsi in tempo reale ai cambiamenti del mercato. Questo scriveva Hegel nella prefazione ai Lineamenti di Filosofia del Diritto: “A dire anche una parola sulla dottrina di come deve essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell'e fatta…. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”. La conoscenza è come la nottola di Minerva. Arriva a cose fatte, quando la realtà è già passata. Quello che i giovani studiano sul mondo là fuori dipinge una situazione che sarà già un’altra quando inizieranno a farne parte. Questa è la vera sfida per loro, e per tutti noi. Unimore pag. 7 di 12 17/03/2016 Voi avete la fortuna di stare a contatto con un’istituzione che ha saputo cogliere in anticipo le tendenze della società moderna. L’Unimore non è solo una delle più antiche Università europee. E’ soprattutto un Ateneo che ha dimostrato una mentalità aperta e ha realizzato un ambiente vivo e creativo. Dietro all’apertura internazionale, alla ricerca e alle collaborazioni con il mondo scientifico, con le imprese e le istituzioni, c’è un’idea precisa. L’idea che, alla fine di tutto, il compito dell’Università sia quello di preparare le generazioni future, dare loro gli strumenti culturali ed umani per diventare, a loro volta, artefici di qualcosa di valore. Questo è un obiettivo che Unimore ha sempre avuto ben presente e, grazie anche ai suoi docenti, ha promosso con coraggio. Lo testimoniano i centri di eccellenza che quest’Università ha creato, sia nel campo della ricerca medica sia in quello industriale e ad alta tecnologia. Lo testimoniano i proficui rapporti con le imprese del territorio, tra cui Maserati, CNH Industrial e, ovviamente, Ferrari. Lo testimonia anche il luogo in cui ci troviamo. Quest’Auditorium, il nome che porta, sono insieme un monito e una bandiera. Marco Biagi ricorda a tutti noi che ci saranno sempre forze di resistenza al cambiamento, più o meno barbare. Ma ci ricorda anche che il miglior modo per onorare la sua memoria è continuare a portare avanti un pensiero riformatore, fare ogni sforzo possibile perché le nostre aziende, le nostre Università e il nostro Paese restino in prima fila, competitivi e al passo col mondo reale. * * * Viviamo in un’epoca di cambiamenti profondi e radicali, che stanno ridisegnando il modo in cui viviamo e lavoriamo. Stanno modificando il nostro pianeta e ci chiamano a interrogarci sul nostro posto nel mondo, sulle nostre responsabilità. Sono cambiamenti che promettono progressi straordinari, in campo medico, tecnico e scientifico, ma possono anche provocare distruzioni economiche e pressioni sociali su migliaia di lavoratori e sulle loro famiglie. Sono cambiamenti che possono aumentare le opportunità, ma possono anche ampliare le diseguaglianze. Che ci piaccia oppure no, il ritmo della trasformazione non farà che aumentare. Di fronte a tutto questo, possiamo reagire con paura e rifugiarci nei modelli rassicuranti del passato. Possiamo reagire con cinismo, pensando che tanto non potremo fare un granché. Unimore pag. 8 di 12 17/03/2016 Oppure possiamo mettere in campo il nostro spirito di servizio, il nostro impegno e la nostra responsabilità. Possiamo cercare di fare una differenza, per quanto piccola, nel nostro mondo quotidiano. Su questo punto vorrei farvi vedere due video. Il primo è uno spaccato di vita reale. E’ stato girato un paio di anni fa durante la cerimonia d’inaugurazione del nostro nuovo impianto di Tipton, in Indiana. Chi parla è Rich Boruff, che io ho conosciuto quel giorno stesso. E’ il presidente della sezione locale della UAW, il sindacato americano dell’auto che è stato visto per tantissimo tempo come il nemico numero Uno delle aziende automobilistiche americane. Nel secondo video sentirete la storia di Adriano. Adriano è un giovane lavoratore di Pernambuco, la fabbrica che abbiamo inaugurato l’anno scorso e che sorge in una delle aree più povere del Nord Est del Brasile. Li vedrete uno di seguito all’altro e vi renderete conto che parlano di realtà sociali totalmente diverse. Ma hanno alla base un elemento comune: l’importanza che un leader si preoccupi del benessere della sua gente, che se ne assuma la responsabilità in prima persona. [Video] Ho voluto mostrarvi questi filmati perché credo che parlino in modo molto eloquente anche della mia vita lavorativa. Parlano di una realtà che noi gestiamo quotidianamente, dell’importanza cruciale del rapporto umano, di milioni di rapporti umani che si alimentano ogni giorno in un’organizzazione di circa 300.000 persone. E dimostrano anche un’altra cosa. E cioè che, oltre a definire piani di sviluppo e tracciare strategie, la nostra vera priorità è a un livello molto più umano. Se c’è un’essenza nella leadership, è proprio questa. Assumere su di sé l’obbligo morale di fare, di partecipare al processo di costruzione del domani, tanto nell’impresa quanto nella società. Sentire la responsabilità personale di restituire alle prossime generazioni la speranza di un futuro migliore. * * * Quando io ho iniziato a lavorare, credevo di dover imitare il mio capo: uno duro, senza cuore, tutto concentrato su un’esecuzione perfetta e veloce. Pensavo che fosse quello il modo per diventare un leader, e quindi mi comportai anch’io così per un certo tempo. Unimore pag. 9 di 12 17/03/2016 Poi, un giorno, entrai nell’ufficio del capo delle risorse umane e gli dissi che avrei voluto fare il direttore finanziario. Lui mi guardò e mi rispose: “Non succederà mai e poi mai”. E mi spiegò perché no. In pratica, mi disse che mi mancavano le qualità umane per rapportarmi con le persone. Uscii da quell’ufficio distrutto. Fino allora, avevo emulato il direttore finanziario e, in tutta onestà, pensavo di aver fatto anche un buon lavoro. Dopo quel colloquio iniziai a farmi molte domande, a chiedermi chi volevo diventare e quale fosse la mia vera anima. Mi resi conto che mi ero comportato contro la mia stessa natura e sentii il bisogno di cambiare. Iniziai a capire che un approccio del tipo “comanda-e-controlla” funziona nel breve periodo, perché la gente fa quello che dici solo per timore. Ma è un limite enorme su quanto a lungo ti seguiranno o quanto bene faranno il loro lavoro. Ora non cerco più di emulare nessuno. Il mio modo di essere oggi è in linea con la mia natura, e mi sento a mio agio con ciò che faccio. Allo stesso modo, in FCA non ci interessano gli individualisti, chi si crede una “superstar”. L’era dell’uomo solitario che ha successo imponendo la propria volontà su un’intera organizzazione è morta e sepolta. Io personalmente passo l’equivalente di un mese all’anno per valutare circa mille leader e impostare la loro carriera, perché credo nell’importanza della leadership in modo viscerale e religioso. Le mie valutazioni si concentrano su due qualità che secondo me sono essenziali per un leader di successo: la capacità di guidare il cambiamento e la capacità di guidare le persone. * * * Prima di chiudere vorrei spendere qualche parola su una delle decisioni storiche che abbiamo preso di recente e che è forse quella che avete sentito più vicina a voi: la scissione di Ferrari dal resto del gruppo e la sua quotazione in Borsa. Voglio farlo perché so cosa significhi Ferrari per chi vive e lavora qui. La Ferrari è Modena ed è Maranello. L’avete sempre considerata vostra, come un patrimonio collettivo di questa terra. Non è facile, per un’azienda, riuscire a costruire un legame così forte con il territorio e con le comunità in cui lavora. E’ il sogno di qualunque imprenditore. Unimore pag. 10 di 12 17/03/2016 Questo, però, significa che ogni cambiamento è vissuto con particolare intensità e con una partecipazione emotiva non comune. Sarei un ingenuo se non sapessi che la quotazione di Ferrari in Borsa non è stata accolta con le fanfare, qui a Modena. E’ una di quelle rivoluzioni epocali alle quali non siamo preparati. E’ la reazione di fronte a un figlio che diventa grande, quando si comincia a pensare che se ne stia andando per la propria strada, che in qualche modo ci stia lasciando. Sono venuto a dirvi che non è così. Se abbiamo deciso di portare la Ferrari in Borsa è per assicurarle un profilo internazionale, renderla più attraente per gli investitori di tutto il mondo, darle prospettive ancora più solide. Quello che Ferrari sta facendo è diventare più forte, più consapevole del proprio valore e delle proprie capacità. Ma se c’è una cosa che posso garantirvi è che questa terra è e resterà il punto di riferimento anche per la Ferrari di domani. La vera forza della Ferrari sta proprio dove è nata e dove si è creata la leggenda. E nessuno la porterà mai via da qui. Vi posso anche garantire che faremo tutto il possibile per rispettare la nostra storia di team più vincente nella Formula Uno. Abbiamo un unico vero obiettivo davanti a noi: riportare il titolo a Maranello. Non so quando succederà, ma voglio assicurarvi che noi ci proveremo da subito. * * * Vorrei concludere rivolgendomi direttamente agli studenti, quelli presenti e quelli che ci seguono in streaming. Ho alcuni consigli per voi, e un invito. Il primo consiglio è: qualunque convinzione abbiate oggi, per quanto forte sia, rimanete comunque aperti a cambiare voi stessi e il vostro percorso. Non fatevi intrappolare in un luogo di lavoro che soffoca la vostra creatività e la vostra crescita. Il secondo suggerimento è di ricordare sempre che il vero collante delle organizzazioni, il tessuto che tiene insieme e motiva le persone è la cultura aziendale. E questo tessuto è tenuto vivo dal contributo di tutti i membri dell’organizzazione, non da qualche singolo individuo. Terzo: non contate mai le ore, fate in modo che le ore contino. Ricordate che siamo chiamati tutti a un obiettivo più alto, nel rispetto della dignità umana e dei bisogni della società. Il quarto consiglio lo lascio alle parole di Paulo Coelho: "Perché gli uomini sono tristi? "Domanda Esther. Unimore pag. 11 di 12 17/03/2016 "È semplice" risponde il vecchio. "Vivono imprigionati nella loro storia personale. Tutti sono convinti che l'obiettivo dell'esistenza sia quello di portare a compimento un piano. Nessuno si domanda se quel progetto sia il proprio, o se sia stato pensato da altri. Le persone accumulano esperienze, ricordi, cose e idee altrui - più di quanto possano sostenere. E così dimenticano i propri sogni”. Cercate da soli la vostra strada, cambiatela tutte le volte che volete, seguite i vostri sogni. Abbiate sempre il coraggio di cambiare voi stessi – le vostre idee, il vostro approccio, il vostro punto di vista – perché è l’unico modo per cambiare le cose che non vanno e per migliorare la vostra vita e quella di tanti altri. Il mio ultimo atto, oggi, è un semplice invito ai giovani di questa Università, a prendere in considerazione FCA tra le scelte di carriera. Non ho modo migliore per farlo che leggervi la lettera che consegniamo ai nuovi assunti. Esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano. Le fanno accadere. Non dimenticano i propri sogni nel cassetto, li tengono stretti in pugno. Si gettano nella mischia, assaporano il rischio, lasciano la propria impronta. E’ un mondo in cui ogni nuovo giorno e ogni nuova sfida regalano l’opportunità di creare un futuro migliore. Chi abita in quel luogo, non vive mai lo stesso giorno due volte, perché sa che è sempre possibile migliorare qualcosa. Le persone, là, sentono di appartenere a quel mondo eccezionale almeno quanto esso appartiene loro. Lo portano in vita con il loro lavoro, lo modellano con il loro talento. V’imprimono, in modo indelebile, i propri valori. Forse non sarà un mondo perfetto e di sicuro non è facile. Nessuno sta seduto in disparte e il ritmo può essere frenetico, perché questa gente è appassionata – intensamente appassionata – a quello che fa. Chi sceglie di abitare là è perché crede che assumersi delle responsabilità dia un significato più profondo al proprio lavoro e alla propria vita. Benvenuto in quel mondo. Benvenuto in Fiat Chrysler Automobiles. Grazie a tutti. * * * Unimore pag. 12 di 12 17/03/2016