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Scevola, Nicola.

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Scevola, Nicola.
Scevola, Nicola. "The Italian Grand Tour." Casa Vogue. (October 2013): 82-87 [ill.]
GORDON MATTA CV10.indd 1-2
Progetto di “Arc de triomphe for
workers”, 1975, courtesy The
Estate of Gordon Matta-Clark e
David Zwirner, New York/London.
THE
ITALIAN
GRAND
TOUR
text by Nicola Scevola
photos by Gordon Matta-Clark
Un viaggio retrospettivo
sulle orme fotografiche
disseminate da Gordon
Matta-Clark durante i
suoi vari soggiorni in
Italia. Riflessioni, idee,
spunti, illuminazioni
che, dopo quarant’anni,
ancora ci impressionano
per freschezza, poetica
e lucidità d’intenti
Da sinistra, in senso orario.
Una serie di fotografie scattate
da Gordon Matta-Clark che
documentano il suo intervento
“Infraform”, realizzato a Milano,
nel 1973; foto The Estate of
Gordon Matta-Clark e David
Zwirner, New York/London.
19/09/13 12:17
Da sempre l’Italia attira intellettuali desiderosi di studiare le
radici della civiltà occidentale e, così, trarne ispirazione. Per
un breve periodo, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta,
la tradizione del Grand Tour italiano ha coinvolto anche le
più itineranti avanguardie dell’arte mondiale in cerca di un
pubblico pronto ad apprezzarle. Inizialmente, gli esponenti
dell’arte concettuale e minimalista americana faticavano ad
avere riconoscimento in patria e, appena potevano, venivano in Europa per trovare galleristi e collezionisti disposti a
sostenerli. Fra questi artisti c’è Gordon Matta-Clark, “anarchitetto” diventato famoso per i suoi lavori in edifici in demolizione, sui quali interveniva inventando forme nuove
con flessibili, seghe e scalpelli. Dopo aver completato, con
ottimi risultati, la facoltà di architettura alla Cornell university, dove si forma studiando le teorie moderniste in voga
all’epoca, Matta-Clark abbandona l’architettura tradizionale, sconfinando nell’arte: anziché progettare nuove strutture, scava, seziona e modifica quelle già esistenti, per creare
nuove prospettive e ridare dignità e valore a edifici abbandonati e decadenti. La natura radicale dei suoi interventi,
però, rende difficile per l’artista trentenne trovare spazi e finanziamenti per le sue opere. Il tutto è complicato dalla natura effimera dei lavori, sopravvissuti solo attraverso foto e
video. Ma l’Italia di quegli anni fornisce all’artista newyorkese diverse opportunità per ideare nuovi progetti. MattaClark ha un rapporto speciale con il nostro Paese, anche in
virtù delle sue connessioni familiari. Il padre, il pittore surrealista Roberto Sebastián Matta, aveva abitato a lungo in Italia (a Panarea e a Tarquinia) e avuto due compagne italiane,
una delle quali aveva dato a Gordon un fratellastro, Pablo
Echaurren. Non stupisce, quindi, che, nell’estate del 1973,
Gordon sbarchi a Milano per realizzare uno dei suoi tipici
interventi in una fabbrica dismessa del quartiere Isola, intitolato “Infraform”. «Ho avuto subito la sensazione che avesse una determinazione particolare», ricorda Giorgio Colombo, fotografo d’arte contemporanea che aiutò l’artista
americano a documentare la sua prima opera milanese. «Mi
hanno sempre stupito le dimensioni dei suoi interventi e le
difficoltà tecniche che affrontava: lavorava spesso senza
autorizzazione e in modo veloce e rischioso, prima o durante le fasi di demolizione degli edifici». La realizzazione di
“Infraform” coincide con il primo viaggio in Italia di MattaClark, invitato a Genova da Paolo Minetti di Galleria Forma per un altro progetto: si tratta di “A w-hole house: Roof
top atrium and datum cut”, che viene realizzato sezionando il colmo del tetto di una casa di Sestri Ponente. Un paio
d’anni più tardi, Gordon, che nel frattempo ha fondato il
gruppo Anarchitecture, è di nuovo a Milano, su invito di
Salvatore Ala. Il gallerista aveva conosciuto Matta-Clark a
New York, dove si recava regolarmente, attratto dal fermento artistico che si concentrava nel quartiere di SoHo e
di cui l’architetto era uno dei principali esponenti. «A quell’epoca, molti giovani artisti americani venivano in Italia in
cerca di riconoscimento e opportunità di lavorare», ricorda
Ala. «Oltre a Matta-Clark, arrivarono Dan Flavin, Richard
Serra, Sol LeWitt, Joseph Kosuth, John Baldessari. Tutta
gente oggi venerata, ma che allora faticava a essere capita
negli Stati Uniti». A Milano, Ala dà carta bianca a MattaClark, che gli propone di rimuovere una parte del pavimento della sua galleria in via Mameli. Ma l’esperimento non
va come sperato: «Il cemento si sbriciolava, e Gordon dovette rinunciare a metà dell’opera», ricorda Ala. «Il padre venne a trovarlo mentre lavorava e, vedendo come aveva ridotto la galleria, disse che ero più matto di suo figlio». L’artista
GORDON MATTA CV10.indd 3-4
Realizzazione di “A w-hole house:
Roof top atrium”, 1973, stampe da
fotomontaggio; Canadian centre
for architecture, Montréal © The
Estate of Gordon Matta-Clark. A
sinistra. “Little houses in Genoa”,
settembre-ottobre 1976, lucidi,
The Estate of Gordon Matta-Clark,
in deposito al Canadian centre
for architecture, Montréal © The
Estate of Gordon Matta-Clark.
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“Little houses in Genoa”,
settembre-ottobre 1976,
lucidi, The Estate of Gordon
Matta-Clark, in deposito al
Canadian centre for
architecture, Montréal © The
Estate of Gordon Matta-Clark.
GORDON MATTA CV10.indd 5-6
decide di intraprendere un nuovo progetto: installare un filo
d’acciaio che, partendo dal cortile d’ingresso dello spazio
espositivo, attraversa tutte le pareti delle stanze, vetri delle
finestre inclusi. Nello stesso periodo, studia un intervento in
una fabbrica occupata di Sesto San Giovanni. «Sono venuto
con l’idea di trasformare una fabbrica in abbandono da un
brutto sogno in qualcosa di alternativo e vitale», scrive illustrando il progetto per un “Arc de triomphe for workers”.
L’artista si sente vicino alle contestazioni politiche che scuotono l’Italia di quegli anni; da sempre, peraltro, i suoi lavori
mostrano una forte valenza sociale e un’attenzione ai problemi delle classi più emarginate. Nonostante i buoni propositi, però, convincere gli attivisti politici e gli operai che
hanno occupato la fabbrica alle porte di Milano a lasciarlo
lavorare non è facile. «Molti di loro consideravano Gordon
semplicemente un matto che voleva tagliare in due il loro
edificio», ricorda la vedova dell’artista, Jane Crawford. L’idea alla fine naufraga: la polizia interviene a presidiare l’area, che viene sgomberata prima che Matta-Clark abbia il
tempo di iniziare il lavoro. Meno noto, eppure ricco di suggestioni e illuminante sulle metodologie e le prospettive future della ricerca poetica dell’artista, è il suo terzo e ultimo
soggiorno in Italia. Si tratta di un’escursione sull’Appennino
Ligure, tra il settembre e l’ottobre 1976: un vagabondare,
mentre l’autunno incalza, con sacco a pelo e limitate finanze, del quale rimane una serie di fotografie scattate, come
sempre, dall’artista stesso. Protagoniste le “Little houses in
Genoa” – in queste pagine ne pubblichiamo alcune inedite
–, le quali vanno a costituire una sorta di diario in cui Gordon raccoglie immagini e pensieri, così come aveva fatto nei
precedenti viaggi. Abbandonata, dunque, l’analisi della città, a interessare l’artista sono ora le piccole, anonime forme
di architettura spontanea che si incontrano fuori dai centri
abitati: case coloniche, capanni e rifugi sparsi nelle campagne. «Gli piaceva vagare a piedi per i campi e studiare quelle strutture che i contadini costruiscono per necessità, usando materiali semplici e riciclando quello che hanno a disposizione, come le carcasse di automobili, che vengono adibite
a depositi per gli attrezzi, o le vasche da bagno, che sono
trasformate in piccoli santuari», spiega Jane Crawford, che
lo accompagnò. Questi appunti “bucolici” formano un progetto sulla non-monumentalità (di “paesaggi classici italiani
non-u-mentali”, scrisse Matta-Clark alla madre) rimasto incompiuto: due anni più tardi, un tumore fulminante stroncava l’artista all’età di trentacinque anni. «L’Italia», conclude Jane Crawford, «è stata molto importante per Gordon e
Aree industriali dismesse,
fabbriche occupate, piccole
case coloniche. Sono i diversi
edifici che l’“anarchitetto”
mette via via al centro
dei suoi progetti italiani
ha influenzato profondamente il suo linguaggio artistico. Il
dibattito politico italiano, poi, rafforzò il suo desiderio di
dare all’arte una dimensione sociale, e il movimento dell’Arte Povera lo ispirò nell’uso di materiali di recupero». N.S.
Gordon Matta-Clark, dettaglio di una fotografia tratta da
“Series D (Datum cut)”, da un layout per una proposta di
pubblicazione su “Quadrille”, ca. 1973: The Estate of Gordon Matta-Clark in deposito presso il Canadian centre for
architecture, Montréal © The Estate of Gordon Matta-Clark.
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