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Abramo: una Voce... una Promessa

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Abramo: una Voce... una Promessa
SOLITUDINI… FRA SOGNO E CORAGGIO
ABRAMO: UNA VOCE… UNA PROMESSA
Lectio biblica diocesana per i Giovani su Gn 12,1-9
Villalba – chiesa madre, 6 dicembre 2012
1Il
Signore disse ad Abram: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. 2Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. 3Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te
si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
4Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. 5Abram dunque prese
la moglie Sarai, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso il paese di Canaan. Arrivarono al paese di Canaan 6e Abram attraversò il
paese fino alla località di Sichem, presso la Quercia di More. Nel paese si trovavano allora i Cananei.
7Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questo paese». Allora Abram costruì in quel posto un altare al Signore che gli
era apparso. 8Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore. 9Poi Abram levò la tenda per accamparsi
nel Negheb.
1. Introduzione
Carissimi giovani, dopo la splendida e straordinaria Missione biblica diocesana, conclusa con la solenne Veglia di Pentecoste in Cattedrale, riprendiamo il nostro percorso ordinario con la lectio di Avvento.
Da alcuni anni gli incontri diocesani di lectio biblica hanno assunto uno
stile itinerante e noi, carovana delle sentinelle del mattino, siamo convenuti tutti qui a Villalba, in questa ridente cittadina e in questa bellissima chiesa madre restituita al suo degno splendore, grazie all’amore e allo zelo dell’arcipre-
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te don Achille Lomanto. E mentre rivolgo a lui e all’intera comunità villalbese il mio e nostro ringraziamento, saluto con tutto l’affetto del mio cuore tutti voi, miei carissimi giovani, e con voi l’èquipe diocesana di pastorale giovanile; in particolare don Rino Dello Spedale Alongi, Valentina La Verde e Giacomo Zatti.
Vedervi è per me motivo di gioia e commozione, perché voi siete il presente più bello della nostra Diocesi; voi siete le sentinelle del mattino e, dunque, garanzia e promessa di futuro; voi siete il cuore inquieto e la domanda
viva di Dio alla nostra fede e al nostro impegno di annunciare e testimoniare il Vangelo di Cristo Gesù, con passione d’amore e autenticità credente.
Grazie, allora, per la vostra presenza; grazie per il vostro esserci essendo
quello che siete oggi e quello che vi sforzate di diventare domani. Mettiamoci insieme in ascolto della Parola di Dio e facciamoci guidare e illuminare dalla fede e dal cammino del nostro caro amico e padre Abramo.
2. Nel pellegrinaggio della fede
Abramo è l’uomo cercato e trovato da Dio. Abramo rappresenta Israele e tutti coloro che sono sempre alla ricerca di Dio. Abramo è ciascuno di noi in cammino per incontrare il Volto di Dio e di se stesso nell’ascolto della Parola del
Signore.
Abramo è nostro padre per il suo atto di fede, per il suo atteggiamento radicale di fiducia nella Voce di Dio. È il modello esemplare dell’uomo in atteggiamento di accoglienza e di disponibilità. In questo senso è nostro padre nella disponibilità e nell’apertura alla fede e alla speranza. Abramo crede alla Parola di
Dio, si apre alla Parola imprevedibile e inconoscibile. Perché Dio non lo conosciamo, non l’abbiamo mai visto, non sappiamo pienamente chi è. Ma sappiamo che Lui è l’Io Sono della storia, agisce in noi e noi siamo chiamati a fidarci di Lui, senza conoscerlo a fondo, coinvolti in questa peregrinatio fidei.
Abramo era partito con suo padre Terach da Ur dei Caldei per arrivare a
Carran, dove il padre muore. Abramo è tentato di lasciar perdere quel viaggio e di tornare verso la sua patria e la sua casa a Ur. Ma prosegue il viaggio
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verso una ignota Terra promessa, spinto da una Voce che lo chiama ad un futuro ricco di promesse: una terra fertile e una discendenza numerosa. La sua
partenza è un atto di fede, è un cieco abbandono in Colui che ancora non ha
imparato a conoscere.
3. Dio parla… personalmente
«Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il
paese che io ti indicherò» (Gen 12,1). La prima realtà che Abramo vive è che
Dio parla! Per Abramo è un fatto inaudito, perché fino a quel momento era
sempre lui a rivolgersi alla divinità e non viceversa. Ora è Dio a parlare per
primo e si presenta come Colui che si china sull’uomo, instaurando con lui
un rapporto di comunione e di dialogo. In questo rapporto con Dio, Abramo
scopre un “di più” e accoglie l’invito a partire e a lasciare tutto, rompendo
anche il tronco vitale della sua terra e della casa di suo padre.
In questa accoglienza, Abramo porge l’orecchio a Dio con fiducia e obbedienza, vivendo già le parole del Salmo 45: «Ascolta, figlia, guarda e porgi
l’orecchio, dimentica la tua gente e la casa di tuo padre» (Sal 45,11). Sono parole che lo sposo rivolge alla sua sposa.
«Ascolta… guarda… porgi l’orecchio»: questi per Abramo sono atteggiamenti fondamentali, che ognuno di noi dovrebbe assumere nella sua relazione
con Dio e con la Sua Parola: ascoltare, guardare, porgere l’orecchio del cuore.
«Il Signore disse ad Abram» (Gen 12,1): perché proprio a lui? La ragione
non sta nei meriti particolari di Abramo, ma nell’iniziativa libera e sovrana
di Dio. Abramo non ha alcun diritto che Dio prenda in considerazione proprio lui. E lui è solo davanti a questo Dio che, liberamente e senza dare spiegazioni, lo sceglie e lo chiama. È l’incontro di due solitudini: Dio, solo nel suo
cielo; Abramo, solo con alle spalle una terra di Babele abbandonata a se stessa… Dopo la disfatta della torre di Babele, la nuova storia dell’umanità può
cominciare perché è avvenuto un incontro tra queste due solitudini.
Un midrash degli ebrei afferma: «Prima di Abramo, il Santo – benedetto
egli sia – poteva estendere la sua sovranità solo al cielo, ma a partire da Abramo la sua signoria comprende tanto il cielo quanto la terra». Perché Dio
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entra in questo mondo grazie alla fede di Abramo e di ciascuno di noi. E quanto più incondizionata è la fede, tanto più operosamente Dio entra e si rende
presente nel mondo e nella aggrovigliata e babelica storia degli uomini.
A partire da Abramo, il Signore si rivolge ad ogni uomo e ogni donna personalmente, a tu per tu. Per dare luce e protezione nel cammino della vita, ma
anche per sollecitare una risposta credente. Con Abramo inizia una storia personalizzata della relazione dell’uomo con Dio, con tutto ciò che di affetto passione tensione entra in una relazione. Con Abramo, Dio inizia una storia in
cui non solo l’uomo rischia nel fidarsi di Lui, ma è soprattutto Dio a rischiare di più, proprio perché lega il suo Nome a quello dell’uomo. E allora ciascuno di noi si chieda:
- quali rischi corre Dio con me, dando fiducia a me?
- quali rischi corre Gesù nell’affidare il suo Vangelo alle mie labbra, alla mia
testimonianza, a me giovane fragile e debole?
4. Vai verso il tuo cuore
«Il Signore disse ad Abram: “Vattene…”» (Gen 12,1): in ebraico questo imperativo è espresso con il verbo halak ripetuto due volte: lek lekah, cioè vai verso te stesso! Il cammino che Dio ordina ad Abramo non riguarda primariamente il lasciare un luogo fisico per andare in un altro luogo, bensì di entrare in se stesso, di compiere un viaggio verso e dentro il suo cuore. Dio, dunque, non chiede ad Abramo di uscire “fuori di sé” ma, al contrario, di entrare dentro per camminare verso se stesso. Solo così Abramo può scoprire il suo
volto e il Volto di questo Dio ignoto.
E Abramo accetta di partire e di compiere il viaggio più difficile per l’uomo: andare verso se stesso, scoprendo i suoi limiti e i suoi talenti, le sue
sconfitte e i suoi sogni… fino a conoscere e incontrare dentro se stesso il volto di Dio. Proprio come dirà S. Agostino: «Per anni, Signore, ti cercavo fuori di me… e non mi accorgevo che tu abitavi dentro di me». Abramo diventa così il primo cercatore di Dio dentro il suo stesso cuore. Possiamo allora pregare dicendo: Dio di Abramo, Tu ci inviti ad andare a noi stessi, a guardarci dentro, ad allargare lo spazio dell’essenziale abbandonando i troppi idoli che ci ingombrano il cuore e la vita. Rendici cercatori e pellegrini del no-
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stro e tuo Volto, soprattutto quando pensiamo di conoscerci e di sentirci già
arrivati!
Vai per te!... Vai verso te stesso! Dio si presenta ad Abramo anzitutto come
Colui che conosce la verità di ciò che Abramo è e lo sprona a scoprirla. È come se Dio gli dicesse: «Lascia tutte le tue sicurezze e vai alla scoperta di ciò
che veramente sei ai miei occhi, alla scoperta di ciò per cui ti ho creato e ti ho
posto in questa storia». Ed ecco: la partenza di Abramo è un viaggio verso la
conoscenza di se stesso, della verità di se stesso davanti a Dio e, al tempo stesso, è un lungo viaggio verso la conoscenza di questo Signore Dio.
5. Essere benedizione
«Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e
diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno… in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2-3): Abramo si scopre
ricco di una ricchezza che non consiste nell’avere tesori per sé, ma nell’arricchirsi per l’altro. Infatti, Dio afferma: «In te saranno benedette tutte le famiglie della terra». Sembra di risentire anche le parole di Gesù quando dice:
«Non accumulate tesori sulla terra… accumulate invece tesori nel cielo… Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19-21).
Nella benedizione di Dio è racchiusa una grande promessa di felicità, non
solo per Abramo ma per tutte le famiglie della terra. Il fine della benedizione di Dio non è il denaro né il potere né il successo, ma la chiamata alla felicità.
Mio carissimo giovane amico, tu ed io siamo voluti da Dio per essere felici!
E Abramo è chiamato a raggiungere la felicità viaggiando dentro di sé e nel
profondo del suo stesso cuore, per scoprire che la sua felicità è felicità condivisa, gioia che allarga il cuore e porta il Vangelo della felicità a tutti.
Il vocabolario della benedizione nel nostro testo ricorre cinque volte in due
versetti. Dal capitolo 2 di Genesi fino a questo momento non ricorre mai la
parola “benedizione”; ora la troviamo cinque volte! Questo ci fa capire che il
distacco di Abramo dalla sua terra e dal suo clan è secondario rispetto alla
ricchezza di felicità che lui troverà e sarà per sé e per tutti.
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«Ti benedirò… e diventerai una benedizione»: sì, miei carissimi giovani,
oggi più che mai c’è bisogno di benedire, di essere davvero benedizione nei rapporti con il creato e, ancor più, tra uomo e uomo, tra popolo e popolo. Una
benedizione che raggiungerà la sua pienezza in Cristo Gesù. Solo in Lui si
annienta tutto il negativo e tutta la maledizione di cui gli uomini si coprono,
come ha scritto S. Paolo: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione… diventando Lui stesso maledizione per noi…» (Gal 3,13). E una volta annientato
tutto il negativo, Dio Padre «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale
nei cieli, in Cristo. In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nell’Amore» (Ef 1,3-4).
E allora il testo biblico dà molto più peso a ciò che Dio promette che non
a ciò che Abramo deve lasciare. Ancora S. Paolo, scrivendo ai Filippesi, afferma: «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla
sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo… Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai
arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo» (Fil 3,7-12).
Chiediamoci ora:
- che cosa devo ancora lasciare per farmi conquistare da Dio e raggiungere
la vera felicità?
- con la mia vita, le mie parole e le mie scelte sono davvero una benedizione per gli altri?
6. La partenza e l’altare
«Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore» (Gen 12,4): la
chiamata di Dio esige una risposta. E Abramo pronuncia il suo sì nell’ascolto obbediente alla Parola che Dio gli rivolge. Abramo parte e si orienta verso
quella grandezza e quella benedizione di Dio accolta non come utopia, ma
come cammino verso la pienezza di sé nel mistero della felicità promessa. E
obbedisce subito, non fa domande, non pretende spiegazioni, non chiede assolutamente nulla. Dice semplicemente sì. Per questo S. Paolo lo ha definito
«il padre di tutti i credenti» (Rm 4,11ss).
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«Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore… Allora Abram
costruì in quel posto un altare al Signore che gli era apparso… e piantò la tenda… Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore. Poi Abram
levò la tenda…» (Gen 12,4-9). Abramo pianta e leva la tenda e ad ogni tappa
costruisce un altare, cioè va segnando le tappe del suo cammino. È una vita che
cambia, una felicità che cresce e va registrata con il segno dell’altare. È una storia con Dio nell’incontro di due solitudini in solidarietà che si va costruendo… anche se il viaggio è sempre verso una promessa ignota Terra. Come
dirà la Lettera agli Ebrei: «Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava» (Eb 11,8). Ma una cosa Abramo sa per certo: Dio è in strada con lui! E
questa certezza credente viene segnalata da Abramo con la costruzione di un
altare ad ogni tappa raggiunta.
7. Fede dal cuore inquieto
In tutto il suo cammino Abramo costruirà quattro altari, l’ultimo sul monte del sacrificio del figlio Isacco (cfr. Gen 22,9). Ogni volta che Abramo toglie
la tenda costruisce un altare: ogni partenza è segnata da una pietra, da una
tappa con il Signore. È come un nuovo e sempre ignoto viaggio verso se stesso. Ma l’altare costruito ad ogni partenza dice che Dio non abita in un luogo
fisso, ma è in viaggio con Abramo, perchè la residenza di Dio è la traiettoria,
il cuore e la vita di Abramo. Lo dirà Gesù alla samaritana: «È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4,23).
Abramo pianta e toglie la tenda, guarda l’orizzonte e cerca di scoprire il
“verso dove” del suo cammino, mentre percorre il viaggio nella profondità
di se stesso scavando dentro il suo cuore. Abramo è nostro padre nella fede,
ma è un padre dal cuore inquieto. Abramo ci insegna e ci consegna non una fede scontata né un Dio trovato per sempre, ma una fede intrisa di inquietudine e ricerca, di radicamenti e sradicamenti… perché il mistero che noi siamo
e, soprattutto, il Mistero che è Dio ci affascina e ci attrae, ma non possiamo
mai conoscerlo e possederlo completamente, come non possiamo mai dichiarare completa l’opera di Dio che noi stessi siamo.
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Abramo ci insegna e ci consegna una fede inquieta, nella quale si può conoscere il calo di tensione e anche lo sgomento e lo smarrimento. Eppure siamo chiamati ad andare avanti, perché «chi confida nel Signore non resterà
deluso» (Sal 32,24). Credere è sempre guardare avanti, è sperare e attendere.
Perciò Abramo «ebbe fede sperando contro ogni speranza» (Rm 4,18).
Nella storia di Abramo, Dio si rivela non più come il Dio dell’altare e nemmeno come il Dio della tenda, ma come il Dio in viaggio con l’uomo verso la
Terra promessa del suo cuore. Da quel giorno il Signore sarà per sempre il
Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Da quel giorno, anzi da questa sera,
miei carissimi giovani, il Signore vuole essere e diventare il Dio di Rino, di
Valentina, di Giacomo… Dio, il mio Dio!
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